PARTE IV: La Vita e gli Insegnamenti di Gesù
Questo gruppo di fascicoli è stato patrocinato da una commissione di dodici intermedi di Urantia agente sotto la supervisione di un direttore di rivelazione Melchizedek. La base di questo racconto è stata fornita da un intermedio secondario che fu un tempo assegnato alla sorveglianza superumana dell’apostolo Andrea.
INDICE
Fascicolo 120: Il conferimento di Micael su Urantia
1. La missione del settimo conferimento
2. Le limitazioni del conferimento
3. Consigli ed avvertimenti supplementari
4. L’incarnazione — la fusione di due in uno
Fascicolo 121: L’epoca del conferimento di Micael
1. L’occidente nel primo secolo dopo Cristo
Fascicolo 122: La nascita e l’infanzia di Gesù
2. Gabriele appare ad Elisabetta
3. L’annuncio di gabriele a Maria
9. La presentazione nel tempio
Fascicolo 123: La prima infanzia di Gesù
3. Gli avvenimenti del sesto anno (1 a.C.)
5. Il periodo scolastico a Nazaret
6. Il suo ottavo anno (2 d.C.)
Fascicolo 124: La tarda infanzia di Gesù
1. Il nono anno di Gesù (3 d.C.)
4. Il dodicesimo anno (6 d.C.)
5. Il suo tredicesimo anno (7 d.C.)
Fascicolo 125: Gesù a Gerusalemme
3. La partenza di Giuseppe e Maria
4. Il primo ed il secondo giorno nel tempio
6. Il quarto giorno nel tempio
Fascicolo 126: I due anni cruciali
1. Il suo quattordicesimo anno (8 d.C.)
3. Il quindicesimo anno (9 d.C.)
4. Il primo sermone nella Sinagoga
Fascicolo 127: Gli anni dell’adolescenza
1. Il sedicesimo anno (10 d.C.)
2. Il diciassettesimo anno (11 d.C.)
3. Il diciottesimo anno (12 d.C.)
4. Il diciannovesimo anno (13 d.C.)
6. Il suo ventesimo anno (14 d.C.)
Fascicolo 128: La prima parte dell’età virile di Gesù
1. Il ventunesimo anno (15 d.C.)
2. Il ventiduesimo anno (16 d.C.)
3. Il ventitreesimo anno (17 d.C.)
5. Il ventiquattresimo anno (18 d.C.)
6. Il venticinquesimo anno (19 d.C.)
7. Il ventiseiesimo anno (20 d.C.)
Fascicolo 129: La successiva vita adulta di Gesù
1. Il ventisettesimo anno (21 d.C.)
2. Il ventottesimo anno (22 d.C.)
3. Il ventinovesimo anno (23 d.C.)
Fascicolo 130: In viaggio per Roma
1. A giaffa — discorsi su Giona
6. Il giovane uomo che aveva paura
7. A Cartagine — il discorso sul tempo e sullo spazio
8. Sulla strada per Napoli e Roma
Fascicolo 131: Le religioni del mondo
Fascicolo 132: Il soggiorno a Roma
Fascicolo 133: Il ritorno da Roma
1. La misericordia e la giustizia
5. Ad Atene — il discorso sulla scienza
6. Ad Efeso — il discorso sull’anima
7. Il soggiorno a Cipro — il discorso sulla mente
Fascicolo 134: Gli anni di transizione
1. Il trentesimo anno (24 d.C.)
2. Il viaggio della carovana verso il Caspio
4. La sovranità — divina ed umana
6. La legge, la libertà e la sovranità
7. Il trentunesimo anno (25 d.C.)
8. Il soggiorno sul Monte Hermon
Fascicolo 135: Giovanni il Battista
1. Giovanni diventa un Nazireo
6. Giovanni comincia a predicare
8. L’incontro di Gesù con Giovanni
9. I quaranta giorni di predicazione
12. La morte di Giovanni il Battista
Fascicolo 136: Il battesimo ed i quaranta giorni
4. I piani per l’opera pubblica
Fascicolo 137: Il periodo di sosta in Galilea
1. La scelta dei primi quattro apostoli
2. La scelta di Filippo e Natanaele
6. Gli avvenimenti di un giorno di sabato
7. I quattro mesi di preparazione
Fascicolo 138: La preparazione dei messaggeri del regno
3. La chiamata di Matteo e Simone
5. La chiamata di Tommaso e Giuda
6. La settimana di preparazione intensiva
10. L’organizzazione dei dodici
Fascicolo 139: I dodici apostoli
9. e 10. Giacomo e Giuda Alfeo
Fascicolo 140: L’ordinazione dei dodici
4. Voi siete il sale della terra
5. L’amore paterno e l’amore fraterno
7. La settimana successiva all’ordinazione
8. Il giovedì pomeriggio sul lago
9. Il giorno della consacrazione
10. La sera dopo la consacrazione
Fascicolo 141: L’inizio dell’opera pubblica
2. La legge di Dio e la volontà del Padre
6. L’ultima settimana ad Amatus
7. A Betania al di là del Giordano
9. La partenza per Gerusalemme
Fascicolo 142: La Pasqua a Gerusalemme
Fascicolo 143: La traversata della Samaria
1. La predicazione ad Archelaide
2. La lezione sulla padronanza di se stessi
6. Il risveglio religioso in Samaria
7. Gli insegnamenti sulla preghiera e l’adorazione
Fascicolo 144: A Gelboe e nella Decapoli
2. Il discorso sulla preghiera
6. Il convegno con gli apostoli di Giovanni
9. La morte di Giovanni il Battista
Fascicolo 145: Quattro giorni movimentati a Cafarnao
2. Un pomeriggio alla sinagoga
3. La guarigione al tramonto del sole
Fascicolo 146: Il primo giro di predicazione in Galilea
6. Nain ed il figlio della vedova
Fascicolo 147: La visita d’intermezzo a Gerusalemme
5. La visita a Simone il Fariseo
8. La festa della bontà spirituale
Fascicolo 148: La formazione degli evangelisti a Betsaida
1. Una nuova scuola di profeti
4. Il male, il peccato e l’iniquità
6. L’errata comprensione della sofferenza — Il discorso su Giobbe
7. L’uomo con la mano avvizzita
8. L’ultima settimana a Betsaida
9. La guarigione del paralitico
Fascicolo 149: Il secondo giro di predicazione
1. La fama assai diffusa di Gesù
3. L’ostilità dei capi religiosi
4. Lo svolgimento del giro di predicazione
5. La lezione sulla contentezza
Fascicolo 150: Il terzo giro di predicazione
1. Il corpo evangelico delle donne
4. L’invio degli apostoli a due a due
5. Che cosa devo fare per essere salvato?
Fascicolo 151: Sosta ed insegnamento in riva al mare
2. L’interpretazione della parabola
4. Altre parabole in riva al mare
Fascicolo 152: Avvenimenti che portarono alla crisi di Cafarnao
2. La nutrizione dei cinquemila
3. L’episodio dell’incoronazione
4. La visione notturna di Simon Pietro
Fascicolo 153: La crisi a Cafarnao
1. La preparazione dello scenario
4. Ultime parole nella sinagoga
Fascicolo 154: Gli ultimi giorni a Cafarnao
3. La seconda riunione a Tiberiade
5. La movimentata domenica mattina
Fascicolo 155: In fuga attraverso la Galilea del nord
1. Perché i pagani sono infuriati?
4. Sulla strada per la Fenicia
5. Il discorso sulla vera religione
6. Il secondo discorso sulla religione
Fascicolo 156: Il soggiorno a Tiro e a Sidone
3. Il viaggio risalendo la costa
5. L’insegnamento di Gesù a tiro
Fascicolo 157: A Cesarea di Filippo
1. L’esattore delle tasse del tempio
Fascicolo 158: Il monte della trasfigurazione
3. Il significato della trasfigurazione
Fascicolo 159: Il giro della Decapoli
3. Istruzioni per gli insegnanti ed i credenti
5. La natura positiva della religione di Gesù
Fascicolo 160: Rodano di Alessandria
1. La filosofia greca di Rodano
3. Le attrattive della maturità
4. L’equilibrio della maturità
Fascicolo 161: Ulteriori discussioni con Rodano
3. La mente umana e la mente divina di Gesù
Fascicolo 162: Alla festa dei Tabernacoli
1. I pericoli della visita a Gerusalemme
2. La prima discussione al tempio
3. La donna sorpresa in adulterio
5. Il sermone sulla luce del mondo
6. Il discorso sull’acqua della vita
7. Il discorso sulla libertà spirituale
8. L’incontro con Marta e Maria
Fascicolo 163: L’ordinazione dei settanta a Magadan
2. Il giovane uomo ricco ed altri
3. La discussione sulla ricchezza
5. Il trasferimento del campo a Pella
7. I preparativi per l’ultima missione
Fascicolo 164: Alla festa della Dedicazione
1. La storia del buon samaritano
3. La guarigione del mendicante cieco
5. L’insegnamento sotto il portico di Salomone
Fascicolo 165: L’inizio della missione in Perea
2. Il sermone sul buon pastore
3. Il sermone del sabato a Pella
5. Discorsi agli apostoli sulla ricchezza
6. La risposta alla domanda di Pietro
Fascicolo 166: L’ultima visita alla Perea del nord
4. L’insegnamento sugli accidenti
5. La congregazione di Filadelfia
Fascicolo 167: La visita a Filadelfia
2. La parabola della grande cena
3. La donna convinta di essere inferma
7. La conversazione sugli angeli
Fascicolo 168: La risurrezione di Lazzaro
Fascicolo 169: L’ultimo insegnamento a Pella
1. La parabola del figlio perduto
2. La parabola dell’intendente accorto
3. L’uomo ricco e il mendicante
Fascicolo 170: Il regno dei cieli
1. I concetti del regno dei cieli
2. Il concetto di Gesù del regno
4. L’insegnamento di Gesù sul regno
Fascicolo 171: In cammino per Gerusalemme
Fascicolo 172: L’entrata a Gerusalemme
2. La domenica mattina con gli apostoli
3. La partenza per Gerusalemme
5. L’atteggiamento degli apostoli
Fascicolo 173: Il lunedì a Gerusalemme
1. La purificazione del tempio
2. La sfida all’autorità del Maestro
4. La parabola del proprietario assente
5. La parabola del banchetto di nozze
Fascicolo 174: Il martedì mattina al tempio
2. Le domande dei dirigenti ebrei
3. I sadducei e la risurrezione
Fascicolo 175: L’ultimo discorso al tempio
2. Lo status dei singoli Ebrei
3. La riunione decisiva del Sinedrio
4. La situazione a Gerusalemme
Fascicolo 176: Il martedì sera sul Monte Oliveto
1. La distruzione di Gerusalemme
2. La seconda venuta del Maestro
3. Il seguito della discussione al campo
Fascicolo 177: Il mercoledì, giorno di riposo
4. Giuda e i capi dei sacerdoti
Fascicolo 178: L’ultimo giorno al campo
1. Il discorso sulla filiazione e la cittadinanza
2. Dopo il pasto del mezzogiorno
1. Il desiderio di essere preferito
3. Il lavaggio dei piedi degli apostoli
4. Le ultime parole al traditore
5. L’istituzione della cena del ricordo
Fascicolo 180: Il discorso di addio
Fascicolo 181: Ultime esortazioni ed avvertimenti
1. Le ultime parole di conforto
2. Le esortazioni personali di commiato
1. L’ultima preghiera in comune
2. L’ultima ora prima del tradimento
Fascicolo 183: Il tradimento e l’arresto di Gesù
4. La discussione presso il frantoio
5. In cammino verso il palazzo del sommo sacerdote
Fascicolo 184: Davanti al tribunale del Sinedrio
1. L’interrogatorio da parte di Anna
3. Davanti al tribunale dei Sinedristi
5. La seconda sessione della corte
Fascicolo 185: Il giudizio davanti a Pilato
2. Gesù compare davanti a Pilato
3. L’interrogatorio privato di Pilato
7. L’ultimo colloquio con Pilato
Fascicolo 186: Poco prima della crocifissione
2. Il comportamento del Maestro
4. I preparativi per la crocifissione
5. Relazione tra la morte di Gesù e la Pasqua
Fascicolo 187: La crocifissione
3. Coloro che videro la crocifissione
Fascicolo 188: Il periodo della tomba
3. Durante il giorno di sabato
4. Il significato della morte sulla croce
Fascicolo 189: La risurrezione
3. La risurrezione dispensazionale
4. La scoperta della tomba vuota
5. Pietro e Giovanni alla tomba
Fascicolo 190: Le apparizioni morontiali di Gesù
1. Gli annunciatori della risurrezione
2. L’apparizione di Gesù a Betania
5. La camminata con due fratelli
Fascicolo 191: Le apparizioni agli apostoli e ad altri discepoli influenti
2. La prima apparizione agli apostoli
4. La decima apparizione (a Filadelfia)
5. La seconda apparizione agli apostoli
6. L’apparizione ad Alessandria
Fascicolo 192: Le apparizioni in Galilea
1. L’apparizione presso il lago
2. La conversazione con gli apostoli a due a due
4. La riunione in riva al lago
Fascicolo 193: Apparizioni finali ed ascensione
3. L’ultima apparizione a Gerusalemme
4. Le cause della rovina di Giuda
6. Pietro convoca una riunione
Fascicolo 194: L’effusione dello Spirito della Verità
2. Il significato della Pentecoste
3. Che cosa avvenne alla Pentecoste
4. Gli inizi della Chiesa cristiana
Fascicolo 195: Dopo la Pentecoste
7. La vulnerabilità del materialismo
9. Il problema del Cristianesimo
Fascicolo 196: La fede di Gesù
3. La supremazia della religione
TITOLI E AUTORI
PARTE IV. La Vita e Gli Insegnamenti di Gesù
Fascicolo . I Titoli dei Fascicoli . Autore
120. Il conferimento di Micael su Urantia . Mantutia Melchizedek
121. L’epoca del conferimento di Micael . Commissione di Intermedi
122. La nascita e l’infanzia di Gesù . Commissione di Intermedi
123. La prima infanzia di Gesù . Commissione di Intermedi
124. La tarda infanzia di Gesù . Commissione di Intermedi
125. Gesù a Gerusalemme . Commissione di Intermedi
126. I due anni cruciali . Commissione di Intermedi
127. Gli anni dell’adolescenza . Commissione di Intermedi
128. La prima parte dell’età virile di Gesù . Commissione di Intermedi
129. La successiva vita adulta di Gesù . Commissione di Intermedi
130. In viaggio per Roma . Commissione di Intermedi
131. Le religioni del mondo . Commissione di Intermedi
132. Il soggiorno a Roma . Commissione di Intermedi
133. Il ritorno da Roma . Commissione di Intermedi
134. Gli anni di transizione . Commissione di Intermedi
135. Giovanni il Battista . Commissione di Intermedi
136. Il battesimo ed i quaranta giorni . Commissione di Intermedi
137. Il periodo di sosta in Galilea . Commissione di Intermedi
138. La preparazione dei messaggeri del regno . Commissione di Intermedi
139. I dodici apostoli . Commissione di Intermedi
140. L’ordinazione dei dodici . Commissione di Intermedi
141. L’inizio dell’opera pubblica . Commissione di Intermedi
142. La Pasqua a Gerusalemme . Commissione di Intermedi
143. La traversata della Samaria . Commissione di Intermedi
144. A Gelboe e nella Decapoli . Commissione di Intermedi
145. Quattro giorni movimentati a Cafarnao . Commissione di Intermedi
146. Il primo giro di predicazione in Galilea . Commissione di Intermedi
147. La visita d’intermezzo a Gerusalemme . Commissione di Intermedi
148. La formazione degli evangelisti a Betsaida . Commissione di Intermedi
149. Il secondo giro di predicazione . Commissione di Intermedi
150. Il terzo giro di predicazione . Commissione di Intermedi
151. Sosta ed insegnamento in riva al mare . Commissione di Intermedi
152. Avvenimenti che portarono alla crisi di Cafarnao . Commissione di Intermedi
153. La crisi a Cafarnao . Commissione di Intermedi
154. Gli ultimi giorni a Cafarnao . Commissione di Intermedi
155. In fuga attraverso la Galilea del nord . Commissione di Intermedi
156. Il soggiorno a Tiro e a Sidone . Commissione di Intermedi
157. A Cesarea di Filippo . Commissione di Intermedi
158. Il monte della trasfigurazione . Commissione di Intermedi
159. Il giro della Decapoli . Commissione di Intermedi
160. Rodano di Alessandria . Commissione di Intermedi
161. Ulteriori discussioni con Rodano . Commissione di Intermedi
162. Alla festa dei Tabernacoli . Commissione di Intermedi
163. L’ordinazione dei settanta a Magadan . Commissione di Intermedi
164. Alla festa della Dedicazione . Commissione di Intermedi
165. L’inizio della missione in Perea . Commissione di Intermedi
166. L’ultima visita alla Perea del nord . Commissione di Intermedi
167. La visita a Filadelfia . Commissione di Intermedi
168. La risurrezione di Lazzaro . Commissione di Intermedi
169. L’ultimo insegnamento a Pella . Commissione di Intermedi
170. Il regno dei cieli . Commissione di Intermedi
171. In cammino per Gerusalemme . Commissione di Intermedi
172. L’entrata a Gerusalemme . Commissione di Intermedi
173. Il lunedì a Gerusalemme . Commissione di Intermedi
174. Il martedì mattina al tempio . Commissione di Intermedi
175. L’ultimo discorso al tempio . Commissione di Intermedi
176. Il martedì sera sul Monte Oliveto . Commissione di Intermedi
177. Il mercoledì, giorno di riposo . Commissione di Intermedi
178. L’ultimo giorno al campo . Commissione di Intermedi
179. L’ultima cena . Commissione di Intermedi
180. Il discorso di addio . Commissione di Intermedi
181. Ultime esortazioni ed avvertimenti . Commissione di Intermedi
182. A Getsemani . Commissione di Intermedi
183. Il tradimento e l’arresto di Gesù . Commissione di Intermedi
184. Davanti al tribunale del Sinedrio . Commissione di Intermedi
185. Il giudizio davanti a Pilato . Commissione di Intermedi
186. Poco prima della crocifissione . Commissione di Intermedi
187. La crocifissione . Commissione di Intermedi
188. Il periodo della tomba . Commissione di Intermedi
189. La risurrezione . Commissione di Intermedi
190. Le apparizioni morontiali di Gesù . Commissione di Intermedi
191. Le apparizioni agli apostoli e ad altri discepoli influenti . Commissione di Intermedi
192. Le apparizioni in Galilea . Commissione di Intermedi
193. Apparizioni finali ed ascensione . Commissione di Intermedi
194. L’effusione dello Spirito della Verità . Commissione di Intermedi
195. Dopo la Pentecoste . Commissione di Intermedi
196. La fede di Gesù . Commissione di Intermedi
PARTE IV. La Vita e Gli Insegnamenti di Gesù
(1323.1) 120:0.1 INCARICATO da Gabriele di effettuare la supervisione della riesposizione della vita che Micael visse su Urantia nelle sembianze della carne mortale, io, il Melchizedek direttore della commissione di rivelazione cui è stato affidato questo compito, sono autorizzato a presentare questa narrazione di certi avvenimenti che hanno immediatamente preceduto l’arrivo del Figlio Creatore su Urantia per intraprendere la fase terminale della sua esperienza di conferimento nell’universo. Vivere tali vite identiche a quelle che egli impone agli esseri intelligenti da lui stesso creati, conferirsi in tal modo nelle sembianze dei suoi vari ordini di esseri creati, fa parte del prezzo che ogni Figlio Creatore deve pagare per acquisire la piena e suprema sovranità dell’universo di cose e di esseri da lui stesso creato.
(1323.2) 120:0.2 Prima degli avvenimenti che sto per descrivere, Micael di Nebadon si era conferito sei volte nelle sembianze di sei ordini differenti della sua diversificata creazione di esseri intelligenti. Poi si preparò a discendere su Urantia nelle sembianze della carne mortale, l’ordine più basso delle sue creature intelligenti dotate di volontà, e, come un umano del regno materiale, ad eseguire l’atto finale del dramma concernente l’acquisizione della sovranità sul suo universo conformemente alle direttive dei divini Capi Paradisiaci dell’universo degli universi.
(1323.3) 120:0.3 Nel corso di ciascuno di questi precedenti conferimenti Micael non solo acquisì l’esperienza finita di un gruppo di suoi esseri creati, ma acquisì anche un’essenziale esperienza di cooperazione con il Paradiso che avrebbe portato, in se stessa e per se stessa, un ulteriore contributo per costituirlo sovrano dell’universo da lui stesso edificato. Ad ogni momento di tutto il tempo passato dell’universo locale, Micael avrebbe potuto rivendicare la sovranità personale come Figlio Creatore, e come Figlio Creatore avrebbe potuto governare il suo universo nella maniera da lui stesso scelta. In tal caso Emanuele ed i Figli del Paradiso associati avrebbero lasciato l’universo. Ma Micael non desiderava governare Nebadon soltanto per proprio diritto, come Figlio Creatore. Egli desiderava, per mezzo di un’effettiva esperienza di subordinazione cooperativa alla Trinità del Paradiso, elevarsi a quell’alta posizione di status universale in cui sarebbe stato qualificato per governare il suo universo e per amministrare gli affari dello stesso con quella perfezione di discernimento e quella saggezza d’esecuzione che saranno un giorno caratteristiche dell’alto governo dell’Essere Supremo. Egli non aspirava alla perfezione di governo come Figlio Creatore, ma alla supremazia d’amministrazione come personificazione della saggezza universale e dell’esperienza divina dell’Essere Supremo.
(1324.1) 120:0.4 Micael aveva dunque un duplice proposito nel compiere questi sette conferimenti sui vari ordini di creature del suo universo: primo, completava l’esperienza necessaria nella comprensione delle creature richiesta a tutti i Figli Creatori prima di assumere una sovranità completa. In ogni momento un Figlio Creatore può governare il suo universo per proprio diritto, ma può governare come rappresentante supremo della Trinità del Paradiso solo dopo essere passato per i sette conferimenti nelle sembianze delle creature del suo universo. Secondo, egli aspirava al privilegio di rappresentare la massima autorità della Trinità del Paradiso che può essere esercitata nell’amministrazione diretta e personale di un universo locale. Di conseguenza, durante l’esperienza di ciascuno dei suoi conferimenti nell’universo, Micael si sottomise volontariamente, con successo ed in modo soddisfacente, alle volontà variamente costituite delle diverse associazioni delle persone della Trinità del Paradiso. Cioè, nel primo conferimento egli si sottomise alla volontà congiunta del Padre, del Figlio e dello Spirito; nel secondo conferimento alla volontà del Padre e del Figlio; nel terzo conferimento alla volontà del Padre e dello Spirito; nel quarto conferimento alla volontà del Figlio e dello Spirito; nel quinto conferimento alla volontà dello Spirito Infinito; nel sesto conferimento alla volontà del Figlio Eterno; e durante il settimo ed ultimo conferimento su Urantia alla volontà del Padre Universale.
(1324.2) 120:0.5 Micael, dunque, unisce nella sua sovranità personale la volontà divina delle settuple fasi dei Creatori universali con l’esperienza della comprensione delle creature del suo universo locale. In tal modo la sua amministrazione è divenuta rappresentativa del massimo potere ed autorità possibile, sebbene priva di qualsiasi pretesa arbitraria. Il suo potere è illimitato, poiché deriva dall’associazione sperimentata con le Deità del Paradiso; la sua autorità è indiscussa, perché è stata acquisita mediante un’effettiva esperienza nelle sembianze delle creature dell’universo; la sua sovranità è suprema, poiché incorpora simultaneamente il settuplo punto di vista della Deità del Paradiso ed il punto di vista delle creature del tempo e dello spazio.
(1324.3) 120:0.6 Dopo aver determinato il momento del suo conferimento finale ed aver scelto il pianeta in cui avrebbe avuto luogo questo straordinario avvenimento, Micael ebbe con Gabriele il consueto colloquio precedente il conferimento e poi si presentò davanti a suo fratello maggiore e consigliere paradisiaco, Emanuele. Micael affidò alla custodia di Emanuele tutti i poteri d’amministrazione dell’universo che non erano stati in precedenza consegnati a Gabriele. E poco prima della partenza di Micael per l’incarnazione su Urantia, Emanuele, accettando la custodia dell’universo durante il periodo di conferimento su Urantia, si accinse ad impartire a Micael i consigli relativi al conferimento stesso, che gli sarebbero serviti come guida durante l’incarnazione, quando fosse ben presto cresciuto su Urantia come un mortale del regno.
(1324.4) 120:0.7 A tale proposito bisogna tenere presente che Micael aveva scelto di eseguire questo conferimento nelle sembianze della carne mortale sottomesso alla volontà del Padre del Paradiso. Il Figlio Creatore non avrebbe avuto bisogno d’istruzioni da parte di nessuno per effettuare questa incarnazione se avesse avuto per solo scopo quello di acquisire la sovranità sul suo universo; ma egli si era impegnato in un programma di rivelazione del Supremo che implicava la funzione cooperativa con le diverse volontà delle Deità del Paradiso. Perciò la sua sovranità, una volta definitivamente e personalmente acquisita, avrebbe incluso effettivamente la totalità della volontà settupla della Deità che culmina nel Supremo. Egli, dunque, era stato precedentemente istruito sei volte dai rappresentanti personali delle diverse Deità del Paradiso e delle loro associazioni; ed ora veniva istruito dall’Unione dei Giorni, ambasciatore della Trinità del Paradiso presso l’universo locale di Nebadon ed agente in nome del Padre Universale.
(1325.1) 120:0.8 C’erano dei vantaggi immediati e delle compensazioni immense derivanti dalla compiacenza di questo potente Figlio Creatore a sottomettersi volontariamente ancora una volta alla volontà delle Deità del Paradiso, e questa volta a quella del Padre Universale. Grazie a questa decisione di effettuare tale subordinazione associativa, Micael avrebbe fatto l’esperienza in questa incarnazione non solo della natura dell’uomo mortale, ma anche della volontà del Padre Paradisiaco di tutti. Inoltre egli poteva intraprendere questo conferimento straordinario con la completa certezza non solo che Emanuele avrebbe esercitato la piena autorità del Padre del Paradiso nell’amministrazione del suo universo durante la sua assenza per il conferimento su Urantia, ma anche con la confortante consapevolezza che gli Antichi dei Giorni del superuniverso avevano decretato la sicurezza del suo regno per l’intero periodo del conferimento stesso.
(1325.2) 120:0.9 Questo era il quadro della memorabile circostanza in cui Emanuele presentò la missione del settimo conferimento. E dalle raccomandazioni fatte prima del conferimento da Emanuele al capo dell’universo, che divenne in seguito Gesù di Nazaret (Cristo Micael) su Urantia, io sono autorizzato a presentare i seguenti estratti:
(1325.3) 120:1.1 “Fratello mio Creatore, io sto per assistere al tuo settimo ed ultimo conferimento nell’universo. Tu hai compiuto le sei missioni precedenti nel modo più fedele e perfetto, e non ho il minimo dubbio che trionferai anche in questo tuo conferimento terminale per acquisire la sovranità. Fino ad ora sei apparso sulle tue sfere di conferimento come un essere pienamente sviluppato dell’ordine da te scelto. Ora stai per apparire su Urantia, il pianeta disordinato e perturbato che hai scelto, non come un mortale pienamente sviluppato, ma come un bambino inerme. Questa, mio caro compagno, sarà per te un’esperienza nuova e non ancora tentata. Tu sei sul punto di pagare l’intero prezzo di un conferimento e di sperimentare l’illuminazione completa dell’incarnazione di un Creatore nelle sembianze di una creatura.
(1325.4) 120:1.2 “Durante ciascuno dei tuoi conferimenti precedenti tu hai scelto volontariamente di sottometterti alla volontà delle tre Deità del Paradiso e delle loro divine interassociazioni. Nei tuoi conferimenti precedenti ti sei sottomesso a tutte le sette fasi della volontà del Supremo, eccetto che alla volontà personale di tuo Padre del Paradiso. Ora che hai deciso di sottometterti totalmente alla volontà di tuo Padre durante il tuo settimo conferimento, io, quale rappresentante personale di nostro Padre, assumo l’incondizionata giurisdizione sul tuo universo durante il tempo della tua incarnazione.
(1325.5) 120:1.3 “Intraprendendo il conferimento su Urantia tu ti sei volontariamente spogliato di ogni supporto extraplanetario e di ogni assistenza speciale che avrebbero potuto esserti forniti da qualche creatura di tua stessa creazione. Come i tuoi figli creati di Nebadon dipendono interamente da te per essere guidati con sicurezza lungo le loro carriere nell’universo, così ora bisogna che tu dipenda interamente ed incondizionatamente da tuo Padre del Paradiso per essere guidato con sicurezza attraverso le vicissitudini non rivelate della tua prossima carriera mortale. E quando avrai terminato questa esperienza di conferimento, tu conoscerai in tutta verità il senso pieno e la ricchezza di significato di quella fede-fiducia che tu così invariabilmente chiedi a tutte le tue creature di possedere come parte della loro intima relazione con te in quanto Creatore e Padre del loro universo locale.
(1326.1) 120:1.4 “Durante il tuo conferimento su Urantia devi occuparti soltanto di una cosa, della comunione ininterrotta tra te e tuo Padre del Paradiso; e sarà grazie alla perfezione di questa relazione che il mondo del tuo conferimento, come tutto l’universo da te creato, riceveranno una nuova e più comprensibile rivelazione di tuo Padre e di mio Padre, il Padre Universale di tutti. Ti devi occupare, dunque, solo della tua vita personale su Urantia. Io sarò pienamente ed efficacemente responsabile della sicurezza e dell’amministrazione continua del tuo universo dal momento del tuo volontario abbandono dell’autorità fino a quando ritornerai tra di noi come Sovrano d’Universo, confermato dal Paradiso, e riceverai di ritorno dalle mie mani, non l’autorità di vicegerente che ora lasci a me, ma il potere supremo e la giurisdizione sul tuo universo.
(1326.2) 120:1.5 “E affinché tu possa conoscere con certezza che io ho il potere di fare tutto ciò che ora ti sto promettendo (sapendo molto bene che io rappresento l’assicurazione di tutto il Paradiso per il compimento fedele della mia parola), ti annuncio che mi è appena stata comunicata una decisione degli Antichi dei Giorni di Uversa che impedirà ogni pericolo spirituale in Nebadon per tutto il periodo del tuo conferimento volontario. Dal momento in cui abbandonerai la coscienza all’inizio della tua incarnazione mortale, fino al tuo ritorno tra di noi come sovrano supremo ed incondizionato di questo universo che tu stesso hai creato ed organizzato, niente di grave può accadere in tutto Nebadon. In questo intervallo di tempo della tua incarnazione, io sono in possesso degli ordini degli Antichi dei Giorni che dispongono senza indugi l’estinzione istantanea ed automatica di ogni essere colpevole di ribellione o sospettato d’istigare un’insurrezione nell’universo di Nebadon mentre tu sei assente per questo conferimento. Fratello mio, considerata l’autorità del Paradiso inerente alla mia presenza, accresciuta dal mandato giuridico di Uversa, il tuo universo e tutte le sue creature leali saranno al sicuro durante il tuo conferimento. Tu puoi partire per la tua missione con un solo pensiero — accrescere la rivelazione di nostro Padre agli esseri intelligenti del tuo universo.
(1326.3) 120:1.6 “Come in ciascuno dei tuoi conferimenti precedenti, vorrei ricordarti che io sono depositario della giurisdizione del tuo universo come fratello mandatario. Io esercito tutta l’autorità e tutto il potere in nome tuo. Io funziono come farebbe nostro Padre del Paradiso e conformemente alla tua esplicita richiesta che io agisca così in tua vece. Fermo restando ciò, tutta questa autorità delegata sarà nuovamente tua per essere esercitata in ogni momento che tu riterrai opportuno chiederne la restituzione. Il tuo conferimento è in ogni sua parte interamente volontario. In quanto mortale incarnato nel regno tu sei privo delle dotazioni celesti, ma puoi riavere tutto il potere abbandonato in qualsiasi momento tu sceglierai di reinvestirti dell’autorità sull’universo. Se tu dovessi scegliere di reintegrarti nel potere e nell’autorità, ricordati che sarà unicamente per ragioni personali, poiché io sono la vivente e suprema garanzia, la cui presenza e promessa garantiscono la sicura amministrazione del tuo universo conformemente alla volontà di tuo Padre. Una ribellione, come si è prodotta per tre volte in Nebadon, non può verificarsi durante la tua assenza da Salvington per questo conferimento. Per il periodo del tuo conferimento su Urantia, gli Antichi dei Giorni hanno decretato che ogni ribellione in Nebadon porterebbe in se stessa il germe del suo automatico annientamento.
(1326.4) 120:1.7 “Per tutto il tempo in cui sarai assente per questo straordinario conferimento finale io m’impegno (con la collaborazione di Gabriele) ad amministrare fedelmente il tuo universo. Incaricandoti d’intraprendere questo ministero di rivelazione divina e di sottoporti a questa esperienza di comprensione umana perfezionata, io agisco in nome di mio Padre e di tuo Padre, e ti offro i seguenti consigli che dovrebbero guidarti nel vivere la tua vita terrena mentre divieni progressivamente autocosciente della missione divina connessa con il tuo prolungato soggiorno nella carne.
(1327.1) 120:2.1 “1. Secondo gli usi ed in conformità alla tecnica di Sonarington — in esecuzione dei mandati del Figlio Eterno del Paradiso — ho preso tutti i provvedimenti necessari per l’immediato inizio di questo tuo conferimento come mortale in armonia con i piani da te stabiliti ed affidati alla mia custodia da Gabriele. Tu crescerai su Urantia come un bambino del regno, vi completerai la tua educazione umana — restando costantemente sottomesso alla volontà di tuo Padre del Paradiso — vivrai la tua vita su Urantia così come hai stabilito, terminerai il tuo soggiorno planetario e ti preparerai per l’ascensione a tuo Padre per ricevere da lui la sovranità suprema del tuo universo.
(1327.2) 120:2.2 “2. Oltre alla tua missione terrena e alla tua rivelazione all’universo, ma incidentale ad entrambe, ti consiglio di assumere, dopo essere divenuto sufficientemente autocosciente della tua identità divina, l’incarico addizionale di porre fine tecnicamente alla ribellione di Lucifero nel sistema di Satania e di fare tutto ciò in qualità di Figlio dell’Uomo. Quindi, in quanto creatura mortale del regno, resa potente nella sua debolezza dalla sottomissione per fede alla volontà di tuo Padre, suggerisco che tu faccia con benevolenza tutto ciò che hai ripetutamente rifiutato di compiere arbitrariamente con il potere e la forza quando ne avevi la possibilità all’inizio di questa ribellione colpevole ed ingiustificata. Considererei un coronamento appropriato del tuo conferimento come mortale se tu ritornassi fra di noi come Figlio dell’Uomo, Principe Planetario di Urantia, così come Figlio di Dio, sovrano supremo del tuo universo. In quanto uomo mortale, il tipo più basso di creatura intelligente in Nebadon, affronta e giudica le pretese blasfeme di Caligastia e di Lucifero e, nell’umile condizione da te assunta, poni fine per sempre alle vergognose ed errate presentazioni di questi figli della luce decaduti. Avendo tu continuamente rifiutato di screditare questi ribelli mediante l’esercizio delle tue prerogative di creatore, ora conviene che, nelle sembianze delle creature più basse della tua creazione, tu tolga il potere dalle mani di questi Figli deviati. Così il tuo intero universo locale riconoscerà in tutta equità, chiaramente e per sempre, la giustezza del tuo agire facendo nel tuo ruolo di mortale incarnato quelle cose che la misericordia ti esortava a non fare con il potere di un’autorità arbitraria. Avendo così stabilito con il tuo conferimento la possibilità della sovranità del Supremo in Nebadon, avrai in effetti portato a conclusione gli affari ancora non giudicati di tutte le precedenti insurrezioni, nonostante l’intervallo di tempo più o meno lungo necessario al raggiungimento di questo risultato. Con questo atto i dissensi pendenti del tuo universo saranno sostanzialmente liquidati. E con la susseguente attribuzione della sovranità suprema sul tuo universo simili sfide alla tua autorità non potranno mai più avvenire in nessuna parte della tua grande creazione personale.
(1327.3) 120:2.3 “3. Quando sarai riuscito a porre fine alla secessione di Urantia, come senza dubbio farai, ti consiglio di accettare da Gabriele la consegna del titolo di ‘Principe Planetario di Urantia’ quale eterno riconoscimento da parte del tuo universo della tua esperienza finale di conferimento, e di fare inoltre tutto il possibile, compatibilmente con lo scopo del tuo conferimento, per compensare le afflizioni e la confusione portate su Urantia dal tradimento di Caligastia e dal successivo fallimento di Adamo.
(1328.1) 120:2.4 “4. In conformità alla tua richiesta, Gabriele e tutti gli interessati collaboreranno con te nel desiderio espresso di terminare il tuo conferimento su Urantia con il pronunciamento di un giudizio dispensazionale del regno, accompagnato dalla fine di un’epoca, dalla risurrezione dei sopravviventi mortali addormentati e dall’instaurazione della dispensazione dello Spirito della Verità effuso.
(1328.2) 120:2.5 “5. Per quanto concerne il pianeta del tuo conferimento e l’immediata generazione di uomini che vi vivono al tempo del tuo soggiorno come mortale, ti consiglio di operare largamente nel ruolo d’insegnante. Poni attenzione, in primo luogo, alla liberazione e all’ispirazione della natura spirituale dell’uomo. Successivamente illumina l’intelletto umano ottenebrato, guarisci l’anima degli uomini e libera la loro mente dalle paure secolari. E poi, secondo la tua saggezza di mortale, rivolgi le tue cure al benessere fisico e al conforto materiale dei tuoi fratelli nella carne. Vivi la vita religiosa ideale per l’ispirazione e l’edificazione di tutto il tuo universo.
(1328.3) 120:2.6 “6. Sul pianeta del tuo conferimento, restituisci la libertà spirituale agli uomini isolati dalla ribellione. Porta su Urantia un ulteriore contributo alla sovranità del Supremo, estendendo così questa sovranità a tutto il vasto dominio della tua creazione personale. In questo tuo conferimento materiale nelle sembianze della carne tu stai per fare l’esperienza dell’illuminazione finale di un Creatore nel tempo-spazio, la doppia esperienza di lavorare nei limiti della natura umana e con la volontà di tuo Padre del Paradiso. Nella tua vita temporale la volontà della creatura finita e la volontà del Creatore infinito sono destinate a divenire una, così come esse stanno anche per unirsi nella Deità in evoluzione dell’Essere Supremo. Spargi sul pianeta del tuo conferimento lo Spirito della Verità e rendi così tutti i mortali normali di quell’isolata sfera immediatamente e pienamente accessibili al ministero della presenza frazionata di nostro Padre del Paradiso, gli Aggiustatori di Pensiero dei regni.
(1328.4) 120:2.7 “7. In tutto ciò che compirai sul mondo del tuo conferimento tieni costantemente a mente che stai vivendo una vita destinata ad istruire e ad edificare tutto il tuo universo. Stai conferendo questa vita d’incarnazione mortale su Urantia, ma dovrai vivere questa vita per ispirare spiritualmente tutte le intelligenze umane e superumane che sono vissute, esistono ora, o potranno vivere su ciascun mondo abitato che ha formato, forma ora, o potrà fare parte della vasta galassia del tuo dominio amministrativo. La tua vita terrestre nelle sembianze della carne mortale non dovrà essere vissuta per servire da esempio ai mortali di Urantia nel corso del tuo soggiorno terrestre, né per qualsiasi generazione successiva di esseri umani su Urantia o su un qualunque altro mondo. La tua vita nella carne su Urantia sarà piuttosto d’ispirazione per tutte le vite su tutti i mondi di Nebadon per tutte le generazioni delle ere future.
(1328.5) 120:2.8 “8. La grande missione che devi realizzare e sperimentare nell’incarnazione mortale è contenuta nella tua decisione di vivere una vita sinceramente consacrata a fare la volontà di tuo Padre del Paradiso, in modo da rivelare Dio, tuo Padre, nella carne e specialmente alle creature della carne. Allo stesso tempo interpreterai anche in maniera nuova e superiore nostro Padre per gli esseri supermortali di tutto Nebadon. Parallelamente a questo ministero di nuova rivelazione e di accresciuta interpretazione del Padre del Paradiso ad ogni tipo di mente umana e superumana, tu opererai anche per fare una nuova rivelazione dell’uomo a Dio. Poni in evidenza, durante la tua unica breve vita nella carne, come non si è mai visto prima in tutto Nebadon, le trascendenti possibilità raggiungibili da un umano che conosce Dio durante la breve carriera di un’esistenza mortale, e fornisci una nuova ed illuminante interpretazione dell’uomo e delle vicissitudini della sua vita planetaria a tutte le intelligenze superumane di tutto Nebadon, e per ogni tempo. Tu stai per discendere su Urantia nelle sembianze della carne mortale, e vivendovi come un uomo del tuo tempo e della tua generazione agirai in modo da mostrare al tuo intero universo l’ideale di una tecnica perfezionata nell’impegno supremo degli affari della tua vasta creazione: la realizzazione di Dio che cerca l’uomo e lo trova ed il fenomeno dell’uomo che cerca Dio e lo trova; e farai tutto ciò con loro reciproca soddisfazione e durante il breve periodo di una vita nella carne.
(1329.1) 120:2.9 “9. Ti raccomando di tenere sempre a mente che, sebbene di fatto tu diverrai un umano ordinario del regno, potenzialmente resterai un Figlio Creatore del Padre del Paradiso. Durante tutta questa incarnazione, anche se vivrai e agirai come un Figlio dell’Uomo, gli attributi creativi della tua divinità personale ti seguiranno da Salvington ad Urantia. La tua volontà avrà sempre il potere di porre termine all’incarnazione in qualsiasi momento successivo all’arrivo del tuo Aggiustatore di Pensiero. Prima dell’arrivo e del ricevimento dell’Aggiustatore io sarò garante dell’integrità della tua personalità. Ma dopo l’arrivo del tuo Aggiustatore ed in concomitanza con il tuo progressivo riconoscimento della natura e dell’importanza della tua missione di conferimento, dovrai astenerti dal formulare qualsiasi volontà superumana di realizzazione, di riuscita o di potere per il fatto che le tue prerogative di creatore resteranno associate alla tua personalità umana a causa della inseparabilità di questi attributi dalla tua presenza personale. Ma nessuna ripercussione superumana accompagnerà la tua carriera terrestre al di fuori della volontà del Padre del Paradiso, a meno che, con un atto di volontà cosciente e deliberata, tu non prenda una decisione indivisa culminante in una scelta della tua intera personalità.
(1329.2) 120:3.1 “Ed ora, fratello mio, nel prendere congedo da te mentre ti prepari a partire per Urantia e dopo averti consigliato riguardo alla condotta generale del tuo conferimento, permettimi di darti alcuni avvertimenti risultanti da una consultazione con Gabriele e concernenti le fasi minori della tua vita di mortale. Noi ti suggeriamo ancora che:
(1329.3) 120:3.2 “1. Nel perseguimento dell’ideale della tua vita mortale terrena tu ponga attenzione anche alla realizzazione e all’esemplificazione di certe cose pratiche e di aiuto immediato per i tuoi simili.
(1329.4) 120:3.3 “2. Per quanto concerne le relazioni di famiglia, dà precedenza alle usanze accettate della vita famigliare che troverai stabilite nel periodo e nella generazione del tuo conferimento. Vivi la tua vita famigliare e di comunità conformemente alle consuetudini del popolo tra cui hai scelto di apparire.
(1329.5) 120:3.4 “3. Nelle tue relazioni con l’ordine sociale ti consigliamo di limitare i tuoi sforzi principalmente alla rigenerazione spirituale e all’emancipazione intellettuale. Evita ogni coinvolgimento nella struttura economica e negli impegni politici della tua epoca. Consacrati più specialmente a vivere la vita religiosa ideale su Urantia.
(1329.6) 120:3.5 “4. In nessuna circostanza, nemmeno nel più piccolo dettaglio, dovresti interferire nell’evoluzione progressiva normale e ordinata delle razze di Urantia. Ma questa proibizione non deve essere interpretata come limitante i tuoi sforzi per lasciare dietro di te su Urantia un sistema duraturo e migliorato di etica religiosa positiva. In quanto Figlio dispensazionale ti sono accordati certi privilegi concernenti l’avanzamento dello status spirituale e religioso dei popoli del mondo.
(1330.1) 120:3.6 “5. Nel modo che riterrai opportuno, ti identificherai con i movimenti religiosi e spirituali che troverai su Urantia, ma cerca in tutti i modi possibili di evitare l’istituzione formale di un culto organizzato, di una religione cristallizzata o di un gruppo etico separato di esseri umani. La tua vita ed i tuoi insegnamenti diverranno l’eredità comune di tutte le religioni e di tutti i popoli.
(1330.2) 120:3.7 “6. Al fine di non contribuire senza necessità alla creazione su Urantia di sistemi stereotipati successivi di credenze religiose o di altri tipi di devozioni religiose non progressive, ti diamo ancora un altro avvertimento: non lasciare scritti dietro di te sul pianeta. Astieniti da qualsiasi scritto su materiali permanenti; ordina ai tuoi associati di non fare immagini o altri ritratti del tuo corpo fisico. Cura che niente di potenzialmente idolatra sia lasciato sul pianeta al momento della tua partenza.
(1330.3) 120:3.8 “7. Mentre vivrai la vita sociale abituale e ordinaria del pianeta come un individuo normale di sesso maschile, non entrerai probabilmente nella relazione del matrimonio, che sarebbe perfettamente onorevole e compatibile con il tuo conferimento. Ma devo ricordarti che una delle regole dell’incarnazione di Sonarington proibisce che un Figlio di conferimento originario del Paradiso lasci dietro di sé una discendenza umana su un qualsiasi pianeta.
(1330.4) 120:3.9 “8. Per tutti gli altri dettagli del tuo prossimo conferimento, noi vorremmo affidarti alle direttive dell’Aggiustatore interiore, agli insegnamenti dello spirito divino sempre presente di guida umana, e al giudizio ragionevole della tua mente umana in espansione di cui sarai dotato per eredità. Una tale associazione degli attributi di creatura e di Creatore ti permetterà di vivere per noi la perfetta vita di uomo sulle sfere planetarie, non necessariamente perfetta se considerata da qualunque uomo di qualunque generazione e su qualsiasi mondo (ancor meno su Urantia), ma pienamente e supremamente completa secondo la valutazione dei mondi più altamente perfezionati ed in corso di perfezionamento del tuo vasto universo.
(1330.5) 120:3.10 “Ed ora possa tuo Padre e mio Padre, che ci ha sempre sostenuti in tutti gli adempimenti passati, guidarti, sostenerti ed essere con te dal momento in cui ci lascerai ed in cui abbandonerai la tua coscienza di personalità, per tutto il tuo graduale ritorno al riconoscimento della tua identità divina incarnata in forma umana, e poi durante tutta la tua esperienza di conferimento su Urantia, fino alla tua liberazione dalla carne ed alla tua ascensione alla destra della sovranità di nostro Padre. Quando ti rivedrò su Salvington, saluteremo il tuo ritorno tra di noi come sovrano supremo ed incondizionato di questo universo che tu hai creato, servito e completamente compreso.
(1330.6) 120:3.11 “Io regno ora in tua vece. Assumo la giurisdizione di tutto Nebadon quale sovrano facente funzione durante l’intervallo del tuo settimo conferimento come mortale su Urantia. E a te, Gabriele, affido la salvaguardia di colui che sta per divenire il Figlio dell’Uomo fino a quando ritornerà presto a me in potere ed in gloria come Figlio dell’Uomo e Figlio di Dio. E, Gabriele, io sono il tuo sovrano fino a quando Micael ritornerà come tale.”
(1330.7) 120:3.12 Poi, in presenza di tutta Salvington riunita, Micael scomparve immediatamente, e non lo rivedemmo più al suo posto abituale fino al suo ritorno come capo supremo e personale dell’universo dopo il completamento della sua carriera di conferimento su Urantia.
(1331.1) 120:4.1 E così certi figli indegni di Micael, che avevano accusato il loro Creatore-padre di cercare egoisticamente la sovranità e che avevano insinuato che il Figlio Creatore deteneva arbitrariamente ed autocraticamente il potere in virtù della irragionevole lealtà delle creature servili di un universo ingannato, stavano per essere ridotti per sempre al silenzio e lasciati confusi e disillusi dalla vita di abnegazione che il Figlio di Dio stava ora per intraprendere come Figlio dell’Uomo — restando costantemente sottomesso alla “volontà del Padre del Paradiso”.
(1331.2) 120:4.2 Ma non cadete in errore; Cristo Micael, pur essendo veramente un essere di origine duale, non era una doppia personalità. Egli non era Dio in associazione con l’uomo, ma piuttosto Dio incarnato nell’uomo. Ed egli fu sempre esattamente questo essere congiunto. Il solo fattore progressivo in questa relazione incomprensibile fu la realizzazione progressiva autocosciente ed il riconoscimento (con la sua mente umana) del fatto di essere Dio e uomo.
(1331.3) 120:4.3 Cristo Micael non è divenuto progressivamente Dio. Dio non è divenuto uomo ad un dato momento importante della vita terrena di Gesù. Gesù fu Dio e uomo — sempre e per l’eternità. E questo Dio e questo uomo erano e sono ora uno, come la Trinità del Paradiso di tre esseri è in realtà una Deità.
(1331.4) 120:4.4 Non perdete mai di vista il fatto che il supremo scopo spirituale del conferimento di Micael era di accrescere la rivelazione di Dio.
(1331.5) 120:4.5 I mortali di Urantia hanno dei concetti variabili del miracoloso, ma per noi che viviamo come cittadini dell’universo locale ci sono pochi miracoli, e tra questi i conferimenti d’incarnazione dei Figli Paradisiaci sono di gran lunga i più misteriosi. L’apparizione di un Figlio divino nel e sul vostro mondo mediante un processo apparentemente naturale noi lo consideriamo un miracolo — il funzionamento di leggi universali che oltrepassano la nostra comprensione. Gesù di Nazaret era una persona miracolosa.
(1331.6) 120:4.6 Attraverso tutta questa esperienza straordinaria, ed in essa, Dio il Padre scelse di manifestarsi come fa sempre — nella maniera abituale — nel modo normale, naturale ed affidabile dell’azione divina.
(1332.1) 121:0.1 IO SONO l’intermedio secondario un tempo assegnato all’apostolo Andrea, agente sotto la supervisione di una commissione di dodici membri della Fratellanza Unita degli Intermedi di Urantia, patrocinata congiuntamente dal capo che presiede il nostro ordine e dal Melchizedek registratore, e sono autorizzato a redigere il racconto delle attività della vita di Gesù di Nazaret, quali sono state osservate dal mio ordine di creature terrestri e quali furono in seguito parzialmente messe per iscritto dal soggetto umano di cui ero il custode temporale. Sapendo come il suo Maestro evitava scrupolosamente di lasciare dietro di sé documenti scritti, Andrea rifiutò fermamente di produrre copie della sua narrazione scritta. Un atteggiamento simile da parte degli altri apostoli di Gesù ritardò considerevolmente la redazione dei Vangeli.
(1332.2) 121:1.1 Gesù non è venuto in questo mondo durante un’epoca di decadenza spirituale. Al momento della sua nascita Urantia viveva una rinascita del pensiero spirituale e della vita religiosa quali non aveva conosciuto in tutta la sua precedente storia postadamica né ha vissuto in nessun’altra epoca dopo di allora. Quando Micael s’incarnò su Urantia, il mondo presentava per il conferimento del Figlio Creatore le condizioni più favorevoli che fossero mai prevalse in precedenza o che si siano presentate in seguito. Nei secoli immediatamente precedenti a quest’epoca la cultura e la lingua greche si erano diffuse nell’Occidente e nel vicino Oriente, e gli Ebrei, essendo una razza levantina di natura parte occidentale e parte orientale, erano eminentemente qualificati per utilizzare questo quadro culturale e linguistico per l’efficace diffusione di una nuova religione sia in Oriente che in Occidente. Queste circostanze molto favorevoli erano ancor più accresciute dalla tollerante politica di governo del mondo mediterraneo da parte dei Romani.
(1332.3) 121:1.2 Tutta questa combinazione d’influenze mondiali è bene illustrata dalle attività di Paolo, il quale, avendo la cultura religiosa di un Ebreo tra gli Ebrei, proclamò il vangelo di un Messia ebreo in lingua greca, mentre lui stesso era un cittadino romano.
(1332.4) 121:1.3 Niente di simile alla civiltà del tempo di Gesù è stata vista in Occidente prima o dopo quest’epoca. La civiltà europea fu unificata e coordinata sotto una triplice influenza straordinaria:
(1332.5) 121:1.4 1. I sistemi politici e sociali romani.
(1332.6) 121:1.5 2. La lingua e la cultura della Grecia — e, in una certa misura, la sua filosofia.
(1332.7) 121:1.6 3. L’influenza in rapida espansione degli insegnamenti morali e religiosi degli Ebrei.
(1332.8) 121:1.7 Quando nacque Gesù l’intero mondo mediterraneo era un impero unificato. Per la prima volta nella storia del mondo buone strade collegavano i numerosi centri maggiori. I mari erano sgombri dai pirati ed una grande era di commerci e di viaggi stava avanzando rapidamente. L’Europa non ha più goduto un periodo simile di viaggi e di commerci fino al diciannovesimo secolo dopo Cristo.
(1333.1) 121:1.8 Nonostante la pace interna e la prosperità superficiale del mondo greco-romano, la maggior parte degli abitanti dell’impero languiva nello squallore e nella povertà. La classe superiore, poco numerosa, era ricca; una classe inferiore povera e miserabile comprendeva la massa dell’umanità. In quei tempi non c’era una classe media felice e prospera; questa classe aveva appena cominciato a fare la sua apparizione nella società romana.
(1333.2) 121:1.9 Le prime lotte tra gli Stati in espansione dei Romani e dei Parti erano state concluse in un passato allora recente, lasciando la Siria nelle mani dei Romani. Ai tempi di Gesù, la Palestina e la Siria stavano godendo di un periodo di prosperità, di relativa pace e di rapporti commerciali molto estesi con i paesi sia dell’Oriente che dell’Occidente.
(1333.3) 121:2.1 Gli Ebrei facevano parte dell’antica razza Semitica, che includeva anche i Babilonesi, i Fenici ed i più recenti nemici di Roma, i Cartaginesi. Nella parte iniziale del primo secolo dopo Cristo gli Ebrei erano il gruppo più influente dei popoli semitici, e si trovavano ad occupare una posizione geografica particolarmente strategica nel mondo, quale era governato in quel tempo ed organizzato per il commercio.
(1333.4) 121:2.2 Molte delle grandi vie che collegavano le nazioni dell’antichità passavano per la Palestina, che divenne così il punto d’incontro, o il crocevia stradale, di tre continenti. I viaggi, il commercio e gli eserciti di Babilonia, Assiria, Egitto, Siria, Grecia, Partia e Roma passarono in successione per la Palestina. Da tempi immemorabili molte strade carovaniere provenienti dall’Oriente passavano per qualche parte di questa regione andando verso i rari buoni porti dell’estremità orientale del Mediterraneo, da dove le navi trasportavano i loro carichi in tutto l’Occidente marittimo. E più della metà di questo traffico carovaniero passava per la piccola città di Nazaret in Galilea, o in prossimità di essa.
(1333.5) 121:2.3 Benché la Palestina fosse la terra d’origine della cultura religiosa ebraica e la culla del Cristianesimo, gli Ebrei erano sparsi per il mondo intero, abitavano in molte nazioni e praticavano il commercio in tutte le province degli Stati romano e parto.
(1333.6) 121:2.4 La Grecia fornì una lingua ed una cultura, Roma costruì le strade ed unificò un impero, ma la dispersione degli Ebrei, con più di duecento sinagoghe e le loro comunità religiose ben organizzate sparse qua e là in tutto il mondo romano, fornì i centri culturali dove il nuovo vangelo del regno dei cieli trovò accoglienza iniziale e da dove si diffuse successivamente sino alle parti più lontane del mondo.
(1333.7) 121:2.5 Ogni sinagoga ebrea tollerava una frangia di credenti Gentili, uomini “devoti” o “timorosi di Dio”, ed è tra questa frangia di proseliti che Paolo operò la maggior parte delle sue prime conversioni al Cristianesimo. Anche il tempio di Gerusalemme aveva il suo cortile riccamente adornato per i Gentili. La cultura, il commercio ed il culto di Gerusalemme e di Antiochia erano legati molto strettamente. Ed è ad Antiochia che i discepoli di Paolo furono chiamati per la prima volta “Cristiani”.
(1333.8) 121:2.6 La centralizzazione del culto ebraico del tempio a Gerusalemme costituiva allo stesso tempo il segreto della sopravvivenza del loro monoteismo e la promessa di alimentare e diffondere nel mondo un concetto nuovo ed ampliato di quel Dio unico di tutte la nazioni e Padre di tutti i mortali. Il servizio del tempio a Gerusalemme rappresentava la sopravvivenza di un concetto culturale religioso di fronte alla rovina di una successione di sovrani nazionali Gentili e persecutori razziali.
(1334.1) 121:2.7 Il popolo ebreo di quest’epoca, sebbene fosse sotto la sovranità romana, godeva di un considerevole grado di autogoverno, e ricordando le gesta eroiche di liberazione allora recenti, compiute da Giuda Maccabeo e dai suoi immediati successori, fremeva nell’attesa dell’apparizione molto prossima di un liberatore ancora più grande, il Messia a lungo atteso.
(1334.2) 121:2.8 Il segreto della sopravvivenza della Palestina, regno degli Ebrei, come Stato semiindipendente, era avvolto nella politica estera del governo romano, che desiderava mantenere il controllo della grande via palestinese di transito tra la Siria e l’Egitto, come pure dei terminali occidentali delle vie carovaniere tra l’Oriente e l’Occidente. Roma non voleva che sorgesse una qualche potenza nel Levante che potesse frenare la sua espansione futura in queste regioni. La politica d’intrighi che aveva per oggetto di opporre la Siria Seleucide e l’Egitto dei Tolomei richiedeva il mantenimento della Palestina come uno Stato separato e indipendente. La politica romana, la degenerazione dell’Egitto e l’indebolimento progressivo dei Seleucidi di fronte al potere crescente dei Parti spiegano perché, per parecchie generazioni, un piccolo e debole gruppo di Ebrei sia stato capace di conservare la propria indipendenza sia contro i Seleucidi al nord che contro i Tolomei al sud. Gli Ebrei attribuivano questa fortuita libertà ed indipendenza dal governo politico dei popoli circostanti più potenti al fatto di essere il “popolo eletto”, all’intervento diretto di Yahweh. Un tale atteggiamento di superiorità razziale rese loro ancor più difficile sopportare la sovranità romana quando questa infine si abbatté sul loro paese. Ma anche in questo triste momento gli Ebrei rifiutarono di capire che la loro missione mondiale era spirituale, non politica.
(1334.3) 121:2.9 Gli Ebrei erano particolarmente apprensivi e sospettosi all’epoca di Gesù perché erano allora governati da uno straniero, Erode l’Idumeo, che si era impadronito della sovranità sulla Giudea ingraziandosi abilmente i governatori romani. E benché Erode professasse fedeltà alle osservanze cerimoniali ebraiche, si mise a costruire dei templi per numerosi strani dei.
(1334.4) 121:2.10 Le relazioni amichevoli di Erode con i governatori romani permettevano agli Ebrei di viaggiare sicuri nel mondo ed aprivano così la strada ad una maggiore penetrazione ebraica anche nelle regioni lontane dell’Impero Romano e nelle nazioni straniere, con le quali Roma aveva dei trattati, portando il nuovo vangelo del regno dei cieli. Anche il regno di Erode contribuì molto all’ulteriore mescolanza delle filosofie ebraica ed ellenistica.
(1334.5) 121:2.11 Erode costruì il porto di Cesarea, che contribuì ancor più a fare della Palestina il crocevia del mondo civilizzato. Egli morì nell’anno 4 a.C., e suo figlio Erode Antipa governò la Galilea e la Perea durante la giovinezza ed il ministero di Gesù, fino all’anno 39 dopo Cristo. Come suo Padre, Antipa era un grande costruttore. Egli ricostruì molte città della Galilea, compreso l’importante centro commerciale di Sefforis.
(1334.6) 121:2.12 I Galilei non godevano del pieno favore dei capi religiosi e degli insegnanti rabbinici di Gerusalemme. Quando nacque Gesù la Galilea era più gentile che ebrea.
(1334.7) 121:3.1 Sebbene le condizioni economiche e sociali dello Stato romano non fossero dell’ordine più elevato, la pace interna e la prosperità generale erano propizie al conferimento di Micael. Nel primo secolo dopo Cristo la società del mondo mediterraneo era formata da cinque classi sociali ben definite:
(1335.1) 121:3.2 1. L’aristocrazia. Le classi superiori con denaro e potere ufficiali, i gruppi privilegiati e dirigenti.
(1335.2) 121:3.3 2. I gruppi d’affari. I principi mercanti ed i banchieri, i commercianti — i grandi importatori ed esportatori — i mercanti internazionali.
(1335.3) 121:3.4 3. La classe media poco numerosa. Benché questo gruppo fosse veramente ristretto, era molto influente e fornì la spina dorsale morale della Chiesa cristiana primitiva, che incoraggiò questi gruppi a continuare nei loro vari mestieri e commerci. Tra gli Ebrei, molti Farisei appartenevano a questa classe di commercianti.
(1335.4) 121:3.5 4. Il proletariato libero. Questo gruppo aveva una condizione sociale molto bassa o insignificante. Benché fieri della loro libertà, gli appartenenti a questo gruppo erano molto svantaggiati perché erano costretti a competere con la manodopera degli schiavi. Le classi superiori li consideravano con disprezzo, ritenendoli inutili salvo che per la “riproduzione”.
(1335.5) 121:3.6 5. Gli schiavi. Metà della popolazione dello Stato romano era composta da schiavi; molti di loro erano individui superiori e si facevano rapidamente strada tra il proletariato libero ed anche nel commercio. La maggior parte di loro era mediocre e molto inferiore.
(1335.6) 121:3.7 La schiavitù, anche di popoli superiori, era una caratteristica delle conquiste militari romane. Il potere del padrone sul suo schiavo era assoluto. La Chiesa cristiana primitiva era largamente composta dalle classi inferiori e da questi schiavi.
(1335.7) 121:3.8 Gli schiavi superiori ricevevano spesso dei salari e risparmiando i loro guadagni potevano acquistare la loro libertà. Molti di questi schiavi emancipati si elevarono ad alte posizioni nello Stato, nella Chiesa e nel mondo degli affari. E furono proprio queste possibilità che resero la Chiesa cristiana primitiva così tollerante verso questa forma modificata di schiavitù.
(1335.8) 121:3.9 Nel primo secolo dopo Cristo non c’erano problemi sociali molto estesi nell’Impero Romano. La maggior parte della popolazione si considerava come appartenente a quel gruppo in cui casualmente era nata. C’era sempre una porta aperta attraverso la quale gli individui dotati e capaci potevano elevarsi dagli strati inferiori a quelli superiori della società romana, ma la gente era generalmente contenta del proprio rango sociale. Non c’era coscienza di classe, né essi consideravano queste distinzioni di classe come ingiuste o cattive. Il Cristianesimo non era in alcun senso un movimento economico avente per scopo il miglioramento delle miserie delle classi inferiori.
(1335.9) 121:3.10 Sebbene le donne godessero di maggior libertà in tutto l’Impero Romano rispetto alla loro posizione limitata in Palestina, la devozione familiare e l’affetto naturale degli Ebrei superavano di gran lunga quelli del mondo dei Gentili.
(1335.10) 121:4.1 Dal punto di vista morale i Gentili erano un po’ inferiori agli Ebrei, ma esisteva nel cuore dei Gentili più nobili un vasto terreno di bontà naturale ed un affetto umano potenziale in cui era possibile al seme del Cristianesimo germogliare e produrre un abbondante raccolto di carattere morale e di realizzazione spirituale. Il mondo dei Gentili era allora dominato da quattro grandi filosofie, tutte più o meno derivate dal Platonismo iniziale dei Greci. Queste scuole di filosofia erano:
(1335.11) 121:4.2 1. Gli Epicurei. Questa scuola di pensiero era consacrata alla ricerca della felicità. I migliori Epicurei non si abbandonavano ad eccessi sensuali. Questa dottrina contribuì almeno a liberare i Romani da una forma nefasta di fatalismo; essa insegnava che gli uomini potevano fare qualcosa per migliorare la loro condizione terrena. Essa combatteva efficacemente la superstizione ignorante.
(1336.1) 121:4.3 2. Gli Stoici. Lo Stoicismo era la filosofia superiore delle classi più elevate. Gli Stoici credevano che una Ragione-Destino regolatrice dominasse tutta la natura. Essi insegnavano che l’anima dell’uomo era divina ed imprigionata nel corpo cattivo di natura fisica. L’anima dell’uomo raggiungeva la libertà vivendo in armonia con la natura, con Dio; così la virtù diveniva la sua stessa ricompensa. Lo Stoicismo si elevò ad una moralità sublime, ad ideali che non furono mai superati dopo di allora da alcun sistema di filosofia puramente umano. Mentre gli Stoici professavano di essere la “discendenza di Dio”, non riuscirono a conoscerlo e dunque a trovarlo. Lo Stoicismo restò una filosofia; non divenne mai una religione. I suoi adepti cercavano di sintonizzare le loro menti con l’armonia della Mente Universale, ma non giunsero a considerare se stessi come i figli di un Padre amorevole. Paolo era fortemente incline allo Stoicismo quando scrisse: “In qualunque condizione mi trovi, ho imparato ad esserne contento.”
(1336.2) 121:4.4 3. I Cinici. Benché i Cinici facessero risalire la loro filosofia a Diogene di Atene, derivavano gran parte della loro dottrina dalle vestigia degli insegnamenti di Machiventa Melchizedek. In passato il Cinismo era stato più una religione che una filosofia. Almeno i Cinici resero democratica la loro religione-filosofia. Nelle campagne e sulle piazze dei mercati essi predicavano continuamente la loro dottrina che “l’uomo poteva salvarsi se voleva”. Essi predicavano la semplicità e la virtù e spingevano gli uomini ad affrontare la morte senza paura. Questi predicatori Cinici itineranti contribuirono molto a preparare il popolo spiritualmente affamato alla venuta dei successivi missionari cristiani. Il loro piano di predicazione popolare seguiva molto il modello delle Epistole di Paolo ed era in accordo con il suo stile.
(1336.3) 121:4.5 4. Gli Scettici. Lo scetticismo affermava che la conoscenza era fallace e che la convinzione e la certezza erano impossibili. Era un atteggiamento puramente negativo e non si diffuse mai molto.
(1336.4) 121:4.6 Queste filosofie erano semireligiose; erano spesso fortificanti, etiche e nobilitanti, ma il loro livello era generalmente troppo elevato per il popolo comune. Ad eccezione forse del Cinismo, esse erano filosofie per i forti ed i sapienti, non religioni di salvezza anche per i poveri e i deboli.
(1336.5) 121:5.1 Nel corso delle ere precedenti la religione era stata principalmente un affare della tribù o della nazione; essa non era stata spesso una materia d’interesse per l’individuo. Gli dei erano tribali o nazionali, non personali. Questi sistemi religiosi non portavano affatto soddisfazione alle aspirazioni spirituali individuali della persona comune.
(1336.6) 121:5.2 Ai tempi di Gesù le religioni dell’Occidente comprendevano:
(1336.7) 121:5.3 1. I culti pagani. Erano una combinazione di mitologia, di patriottismo e di tradizioni elleniche e latine.
(1336.8) 121:5.4 2. L’adorazione dell’imperatore. Questa deificazione dell’uomo come simbolo dello Stato urtava profondamente gli Ebrei ed i primi Cristiani, e portò direttamente alle crudeli persecuzioni di entrambe le Chiese da parte del governo romano.
(1337.1) 121:5.5 3. L’astrologia. Questa pseudoscienza della Babilonia si trasformò in una religione in tutto l’Impero greco-romano. Anche nel ventesimo secolo gli uomini non si sono ancora del tutto liberati da questa credenza superstiziosa.
(1337.2) 121:5.6 4. Le religioni dei misteri. Su questo mondo spiritualmente affamato si era abbattuto un diluvio di culti dei misteri, nuove e strane religioni provenienti dal Levante che avevano conquistato le persone del popolo comune ed avevano promesso loro la salvezza individuale. Queste religioni divennero rapidamente la credenza accettata delle classi inferiori del mondo greco-romano. Ed esse contribuirono molto a preparare la strada per la rapida diffusione degli insegnamenti cristiani, considerevolmente superiori, che presentavano un concetto maestoso della Deità, associata ad un’affascinante teologia per le persone intelligenti e ad una profonda offerta di salvezza per tutti, compreso l’uomo comune, ignorante ma spiritualmente affamato, di quel tempo.
(1337.3) 121:5.7 Le religioni dei misteri segnarono la fine delle credenze nazionali e portarono alla nascita di numerosi culti personali. I misteri erano molteplici, ma tutti caratterizzati da:
(1337.4) 121:5.8 1. Una leggenda mitica, un mistero — da cui il loro nome. In generale questo mistero concerneva la storia della vita, della morte e del ritorno alla vita di qualche dio, come se ne trova un esempio negli insegnamenti del Mitraismo, che fu per un certo tempo contemporaneo e concorrente del culto crescente del Cristianesimo di Paolo.
(1337.5) 121:5.9 2. I misteri erano non nazionali ed interrazziali. Essi erano personali e fraterni, e diedero origine a confraternite religiose e a numerose società settarie.
(1337.6) 121:5.10 3. I loro servizi religiosi erano caratterizzati da elaborate cerimonie d’iniziazione e da impressionanti sacramenti di culto. I loro riti e rituali segreti erano talvolta macabri e rivoltanti.
(1337.7) 121:5.11 4. Qualunque fosse la natura delle loro cerimonie o il grado dei loro eccessi, questi misteri promettevano invariabilmente ai loro devoti la salvezza, la “liberazione dal male, la sopravvivenza dopo la morte ed una vita duratura nei regni beati al di là di questo mondo di tristezza e di schiavitù”.
(1337.8) 121:5.12 Ma non commettete l’errore di confondere gli insegnamenti di Gesù con i misteri. La popolarità dei misteri rivela la ricerca da parte degli uomini della sopravvivenza, mostrando così una fame ed una sete reale di una religione personale e di una rettitudine individuale. Sebbene i misteri non riuscirono a soddisfare adeguatamente queste aspirazioni, prepararono la via all’apparizione successiva di Gesù, che portò veramente a questo mondo il pane e l’acqua della vita.
(1337.9) 121:5.13 Paolo, nello sforzo di utilizzare l’accettazione generalizzata dei migliori tipi delle religioni dei misteri, fece alcuni adattamenti agli insegnamenti di Gesù in modo da renderli più accettabili ad un maggior numero di possibili convertiti. Ma anche il compromesso di Paolo sugli insegnamenti di Gesù (il Cristianesimo) era superiore al migliore dei misteri perché:
(1337.10) 121:5.14 1. Paolo insegnava una redenzione morale, una salvezza etica. Il Cristianesimo orientava verso una nuova vita e proclamava un nuovo ideale. Paolo abbandonò i riti magici e gli incantamenti cerimoniali.
(1337.11) 121:5.15 2. Il Cristianesimo presentava una religione che si agganciava a soluzioni definitive del problema umano, perché non solo offriva la salvezza dal dolore ed anche dalla morte, ma prometteva anche la liberazione dal peccato, seguita dal dono di un carattere retto con qualità di sopravvivenza eterna.
(1338.1) 121:5.16 3. I misteri erano edificati su miti. Il Cristianesimo, quale lo predicava Paolo, era basato su un fatto storico: il conferimento di Micael, il Figlio di Dio, all’umanità.
(1338.2) 121:5.17 La moralità tra i Gentili non era necessariamente collegata alla filosofia o alla religione. Fuori della Palestina non sempre accadeva che la gente si aspettasse da un sacerdote una condotta di vita morale. La religione ebraica, poi gli insegnamenti di Gesù e più tardi il Cristianesimo in evoluzione di Paolo, furono le prime religioni europee a presentare da un lato la morale e dall’altro l’etica, insistendo perché le persone religiose prestassero qualche attenzione ad entrambe.
(1338.3) 121:5.18 È tra gli uomini di una tale generazione, dominata da questi sistemi filosofici incompleti e confusa da simili culti religiosi complessi che Gesù nacque in Palestina. A questa stessa generazione egli diede successivamente il suo vangelo di religione personale — la filiazione con Dio.
(1338.4) 121:6.1 Verso la fine del primo secolo avanti Cristo il pensiero religioso di Gerusalemme era stato enormemente influenzato e parzialmente modificato dagli insegnamenti della cultura greca ed anche dalla filosofia greca. Nella lunga disputa tra le posizioni delle scuole orientali ed occidentali di pensiero ebraico, Gerusalemme ed il resto dell’Occidente ed il Levante adottarono in generale il punto di vista ebraico occidentale, o ellenistico modificato.
(1338.5) 121:6.2 Al tempo di Gesù in Palestina prevalevano tre lingue: il popolo comune parlava un dialetto aramaico; i sacerdoti ed i rabbini parlavano l’ebraico; le classi colte e gli strati più elevati degli Ebrei parlavano in generale il greco. La traduzione delle Scritture ebraiche in lingua greca, fatta molto presto ad Alessandria, contribuì in larga misura al successivo predominio dell’ala greca della cultura e della teologia ebraiche. E gli scritti degli istruttori cristiani sarebbero presto apparsi nella stessa lingua. La rinascita del Giudaismo data dalla traduzione in greco delle Scritture ebraiche. Questa influenza fu decisiva per determinare più tardi l’orientamento del culto cristiano di Paolo verso l’Occidente anziché verso l’Oriente.
(1338.6) 121:6.3 Benché le credenze ebree ellenizzate fossero molto poco influenzate dagli insegnamenti degli Epicurei, furono sostanzialmente molto influenzate dalla filosofia di Platone e dalle dottrine di autoabnegazione degli Stoici. La grande intromissione dello Stoicismo è esemplificata nel Quarto Libro dei Maccabei; la penetrazione della filosofia platonica e delle dottrine stoiche si manifesta nella Saggezza di Salomone. Gli Ebrei ellenizzati apportarono alle Scritture ebraiche una tale interpretazione allegorica che non trovarono alcuna difficoltà a conformare la teologia ebraica alla loro riverita filosofia aristotelica. Ma tutto ciò portò ad una confusione disastrosa, fino a che questi problemi furono presi in mano da Filone di Alessandria, il quale procedette a dare armonia e sistematicità alla filosofia greca e alla teologia ebraica in un sistema di credenze e di pratiche religiose compatto ed abbastanza coerente. Ed era quest’ultimo insegnamento di filosofia greca e di teologia ebraica congiunte che prevaleva in Palestina quando Gesù visse ed insegnò, e che Paolo utilizzò come fondazione su cui costruire il suo culto più progredito ed illuminante del Cristianesimo.
(1338.7) 121:6.4 Filone era un grande maestro; dai tempi di Mosè non era mai vissuto un uomo che avesse esercitato un’influenza così profonda sul pensiero etico e religioso del mondo occidentale. Quanto alla combinazione degli elementi migliori nei sistemi contemporanei d’insegnamenti etici e religiosi, ci sono stati sette maestri umani eccezionali: Sethard, Mosè, Zoroastro, Lao-tze, Budda, Filone e Paolo.
(1339.1) 121:6.5 Paolo riconobbe ed eliminò saggiamente dalla sua teologia basilare precristiana molte delle incongruenze di Filone, ma non tutte, risultanti dallo sforzo di combinare la filosofia mistica greca e le dottrine stoiche romane con la teologia legalistica degli Ebrei. Filone aprì la via a Paolo per ristabilire più completamente il concetto della Trinità del Paradiso, che era rimasta a lungo sopita nella teologia ebraica. Su un solo punto Paolo non riuscì a mantenersi all’altezza di Filone o a superare gli insegnamenti di questo Ebreo di Alessandria ricco ed istruito, e cioè sulla dottrina della redenzione. Filone insegnava la liberazione dalla dottrina di ottenere il perdono soltanto con il versamento di sangue. Egli, inoltre, intravide forse la realtà e la presenza degli Aggiustatori di Pensiero più chiaramente di Paolo. Ma la teoria di Paolo sul peccato originale, le dottrine della colpa ereditaria, del male innato e della sua redenzione, erano parzialmente di origine mitraica ed avevano poco in comune con la teologia ebraica, con la filosofia di Filone o con gli insegnamenti di Gesù. Certi aspetti degli insegnamenti di Paolo concernenti il peccato originale e la redenzione provenivano da Paolo stesso.
(1339.2) 121:6.6 Il Vangelo di Giovanni, l’ultimo dei racconti della vita terrena di Gesù, era rivolto ai popoli occidentali e presenta la sua storia ispirandosi largamente al punto di vista dei successivi Cristiani di Alessandria, che erano anche seguaci degli insegnamenti di Filone.
(1339.3) 121:6.7 Al tempo di Cristo si produsse ad Alessandria una strana inversione di sentimenti verso gli Ebrei, e da questa antica roccaforte ebraica partì una violenta ondata di persecuzioni, che si estese anche a Roma, da dove molte migliaia di loro furono banditi. Ma questa campagna di travisamento dei fatti fu di breve durata; ben presto il governo imperiale ripristinò completamente in tutto l’Impero le libertà degli Ebrei che erano state limitate.
(1339.4) 121:6.8 In tutto il mondo, qualunque fosse il luogo in cui gli Ebrei si trovavano dispersi per il commercio o l’oppressione, conservavano di comune accordo il loro cuore incentrato sul tempio sacro di Gerusalemme. La teologia ebraica sopravvisse come era interpretata e praticata a Gerusalemme, nonostante che a più riprese fosse stata salvata dall’oblio grazie all’opportuno intervento di certi educatori babilonesi.
(1339.5) 121:6.9 Fino a due milioni e mezzo di questi Ebrei dispersi avevano l’abitudine di venire a Gerusalemme per la celebrazione delle loro feste religiose nazionali. E indipendentemente dalle differenze teologiche o filosofiche tra gli Ebrei dell’Oriente (Babilonesi) e quelli dell’Occidente (Ellenici), essi erano tutti d’accordo di considerare Gerusalemme come centro del loro culto e di restare sempre in attesa della venuta del Messia.
(1339.6) 121:7.1 Al tempo di Gesù gli Ebrei erano pervenuti ad un concetto stabile della loro origine, della loro storia e del loro destino. Essi avevano costruito un solido muro di separazione tra loro ed il mondo dei Gentili, e consideravano tutte le abitudini dei Gentili con totale disprezzo. Essi veneravano la lettera della legge ed indulgevano ad una forma di rettitudine personale basata sul falso orgoglio della discendenza. Si erano formati delle idee preconcette riguardo al Messia promesso, e la maggior parte di queste aspettative prevedeva un Messia che sarebbe venuto come parte della loro storia nazionale e razziale. Per gli Ebrei di quel tempo la teologia ebraica era irrevocabilmente stabilita, fissata per sempre.
(1339.7) 121:7.2 Gli insegnamenti e le pratiche di Gesù concernenti la tolleranza e la bontà andavano contro l’atteggiamento di vecchia data degli Ebrei verso gli altri popoli, che essi consideravano pagani. Per generazioni gli Ebrei avevano tenuto verso il mondo esterno un atteggiamento che rendeva loro impossibile accettare gli insegnamenti del Maestro sulla fratellanza spirituale degli uomini. Essi non volevano condividere Yahweh alla pari con i Gentili e similmente non volevano accettare come Figlio di Dio uno che insegnava dottrine così nuove e strane.
(1340.1) 121:7.3 Gli Scribi, i Farisei ed il clero mantenevano gli Ebrei in una terribile schiavitù di ritualismo e di legalismo, una schiavitù ben più reale di quella del governo politico romano. Gli Ebrei del tempo di Gesù non soltanto erano asserviti alla legge, ma erano anche legati dalle esigenze servili delle tradizioni, che coinvolgevano ed invadevano tutti i campi della vita personale e sociale. Queste minuziose regole di condotta inseguivano e dominavano ogni Ebreo fedele, e non c’è da sorprendersi che essi abbiano respinto immediatamente uno di loro che pretendeva d’ignorare le loro tradizioni sacre e che osava disprezzare le loro regole di condotta sociale a lungo onorate. Essi difficilmente potevano considerare con favore gli insegnamenti di uno che non esitava ad entrare in conflitto con dogmi che essi consideravano come stabiliti dal Padre Abramo stesso. Mosè aveva dato loro la loro legge ed essi non volevano compromessi.
(1340.2) 121:7.4 Nel primo secolo dopo Cristo l’interpretazione orale della legge da parte degli insegnanti riconosciuti, gli Scribi, aveva acquisito un’autorità più alta della stessa legge scritta. E tutto ciò rendeva più facile per certi capi religiosi degli Ebrei aizzare il popolo contro l’accettazione di un nuovo vangelo.
(1340.3) 121:7.5 Queste circostanze resero impossibile agli Ebrei compiere il loro destino divino come messaggeri del nuovo vangelo d’indipendenza religiosa e di libertà spirituale. Essi non riuscirono a spezzare le catene della tradizione. Geremia aveva detto che la “legge doveva essere scritta nel cuore degli uomini”, Ezechiele aveva parlato di un “nuovo spirito che doveva vivere nell’anima dell’uomo”, ed il Salmista aveva pregato perché Dio “crei un cuore puro e rinnovi uno spirito retto”. Ma quando la religione ebraica delle buone opere e della schiavitù alla legge cadde vittima della stagnazione dovuta all’inerzia delle tradizioni, il movimento di evoluzione religiosa si spostò verso ovest presso i popoli europei.
(1340.4) 121:7.6 E così fu un popolo differente ad essere chiamato a portare al mondo una teologia in progresso, un sistema d’insegnamento che incorporava la filosofia dei Greci, la legge dei Romani, la moralità degli Ebrei, ed il vangelo della santità della personalità e della libertà spirituale formulato da Paolo e basato sugli insegnamenti di Gesù.
(1340.5) 121:7.7 Il culto del Cristianesimo di Paolo metteva in risalto la sua moralità come un segno d’origine ebraica. Gli Ebrei consideravano la storia come la provvidenza di Dio — Yahweh all’opera. I Greci apportarono al nuovo insegnamento dei concetti più chiari della vita eterna. Le dottrine di Paolo furono influenzate sotto l’aspetto teologico e filosofico non soltanto dagli insegnamenti di Gesù, ma anche da Platone e da Filone. La sua etica fu ispirata non soltanto da Cristo, ma anche dagli Stoici.
(1340.6) 121:7.8 Il vangelo di Gesù, quale fu incorporato nel culto di Paolo del Cristianesimo di Antiochia, si mescolò con gli insegnamenti seguenti:
(1340.7) 121:7.9 1. I ragionamenti filosofici dei proseliti greci del Giudaismo, inclusi certi loro concetti della vita eterna.
(1340.8) 121:7.10 2. Gli attraenti insegnamenti dei culti prevalenti dei misteri, e specialmente le dottrine mitraiche di redenzione, di riscatto e di salvezza mediante il sacrificio fatto da un qualche dio.
(1340.9) 121:7.11 3. La solida moralità della religione ebraica stabilita.
(1341.1) 121:7.12 L’Impero Romano Mediterraneo, il regno dei Parti ed i popoli adiacenti del tempo di Gesù avevano tutti delle idee sommarie e primitive riguardo alla geografia del mondo, all’astronomia, alla salute ed alla malattia; e naturalmente essi rimasero stupefatti dalle nuove e sorprendenti dichiarazioni del carpentiere di Nazaret. Le idee di possessione da parte di spiriti buoni o cattivi non si applicavano soltanto agli esseri umani, ma molti consideravano che ogni roccia ed ogni albero fossero posseduti da uno spirito. Questa era un’epoca d’incantesimi e ciascuno considerava i miracoli come degli eventi ordinari.
(1341.2) 121:8.1 Per quanto possibile e compatibile con il nostro mandato, noi ci siamo sforzati di utilizzare, ed in una certa misura di coordinare, i documenti esistenti concernenti la vita di Gesù su Urantia. Anche se abbiamo potuto avere accesso agli scritti perduti dell’apostolo Andrea ed abbiamo beneficiato della collaborazione di una vasta schiera di esseri celesti che erano sulla terra durante i tempi del conferimento di Micael (in particolare il suo Aggiustatore ora Personalizzato), è stato nostro proposito servirci anche dei Vangeli detti di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni.
(1341.3) 121:8.2 Questi scritti del Nuovo Testamento hanno avuto la loro origine nelle seguenti circostanze:
(1341.4) 121:8.3 1. Il Vangelo di Marco. Giovanni Marco scrisse la prima (eccettuate le note di Andrea), la più breve e la più semplice storia della vita di Gesù. Egli presentò il Maestro come un ministro, come un uomo tra gli uomini. Benché Marco fosse un giovane che era stato vicino a molte delle scene che descrive, il suo racconto è in realtà il Vangelo secondo Simon Pietro. Egli si associò prima con Pietro e più tardi con Paolo. Marco scrisse questa storia su istigazione di Pietro e su insistente richiesta della Chiesa di Roma. Sapendo con quale persistenza il Maestro aveva rifiutato di scrivere i suoi insegnamenti durante la sua incarnazione sulla terra, Marco, come gli apostoli ed altri discepoli eminenti, esitava a metterli per iscritto. Ma Pietro sentiva che la Chiesa di Roma aveva bisogno del sostegno di un tale racconto scritto, e Marco acconsentì ad intraprenderne la preparazione. Egli redasse molte note prima della morte di Pietro avvenuta nell’anno 67 d.C., ed in conformità al quadro approvato da Pietro, cominciò la sua descrizione per la Chiesa di Roma subito dopo la morte di Pietro. Il Vangelo fu completato verso la fine dell’anno 68 d.C. Marco lo scrisse basandosi interamente sulla propria memoria e sui ricordi di Pietro. Questo documento è stato da allora considerevolmente modificato; numerosi passaggi sono stati soppressi e sono state fatte aggiunte ulteriori al fine di sostituire l’ultimo quinto del Vangelo originale, che fu perso dal primo manoscritto prima ancora di essere stato copiato. Questo documento di Marco, unitamente alle note di Andrea e di Matteo, fu la base scritta di tutti i successivi racconti evangelici che cercarono di descrivere la vita e gli insegnamenti di Gesù.
(1341.5) 121:8.4 2. Il Vangelo di Matteo. Il Vangelo detto secondo Matteo è il racconto della vita del Maestro che fu scritto per l’edificazione dei Cristiani ebrei. L’autore di questo documento cerca costantemente di mostrare che nella vita di Gesù molte cose furono fatte affinché “si adempisse ciò che fu detto dal profeta”. Il Vangelo di Matteo presenta Gesù come un figlio di Davide, descrivendolo come avente grande rispetto per la legge ed i profeti.
(1341.6) 121:8.5 L’apostolo Matteo non scrisse questo Vangelo. Esso fu scritto da Isadoro, uno dei suoi discepoli, il quale aveva come aiuto nel suo lavoro non soltanto i ricordi personali di Matteo di questi avvenimenti, ma anche alcune note compilate da quest’ultimo subito dopo la crocifissione, relative alle parole di Gesù. Queste note di Matteo erano scritte in aramaico; Isadoro scrisse in greco. Non c’era alcun proposito d’inganno nell’attribuire l’opera a Matteo. In quel tempo gli allievi avevano l’abitudine di onorare in questo modo i loro maestri.
(1342.1) 121:8.6 Il documento originale di Matteo fu pubblicato ed ampliato nell’anno 40 d.C., poco prima che egli lasciasse Gerusalemme per impegnarsi nella predicazione evangelica. Era un documento privato la cui ultima copia fu distrutta nell’incendio di un monastero siriano nell’anno 416 d.C.
(1342.2) 121:8.7 Isadoro fuggì da Gerusalemme nell’anno 70 d.C., dopo l’assedio della città da parte degli eserciti di Tito, portando con sé a Pella una copia delle note di Matteo. Nell’anno 71, mentre abitava a Pella, Isadoro scrisse il Vangelo secondo Matteo. Egli possedeva anche i primi quattro quinti della narrazione di Marco.
(1342.3) 121:8.8 3. Il Vangelo di Luca. Luca, il medico di Antiochia in Pisidia, era un Gentile convertito da Paolo e scrisse una storia del tutto differente della vita del Maestro. Egli cominciò a seguire Paolo e ad istruirsi sulla vita e sugli insegnamenti di Gesù nell’anno 47 d.C. Luca conservò nel suo racconto molto della “grazia del Signore Gesù Cristo” perché raccolse questi fatti da Paolo e da altri. Luca presenta il Maestro come “l’amico dei Pubblicani e dei peccatori”. Fu solo dopo la morte di Paolo che egli riordinò le sue numerose note in un Vangelo. Luca lo scrisse nell’anno 82 in Acaia. Egli progettò tre libri concernenti la storia di Cristo e del Cristianesimo, ma morì nell’anno 90, poco prima di terminare la seconda di queste opere, gli “Atti degli Apostoli”.
(1342.4) 121:8.9 Come materiale per la compilazione del suo Vangelo, Luca fece principalmente ricorso alla storia della vita di Gesù come Paolo gliel’aveva riferita. Il Vangelo di Luca è quindi, per certi aspetti, il Vangelo secondo Paolo. Ma Luca aveva altre fonti d’informazione. Egli non solo interrogò decine di testimoni oculari dei numerosi episodi della vita di Gesù che riferisce, ma possedeva anche una copia del Vangelo di Marco, cioè i primi quattro quinti, il racconto di Isadoro ed un breve scritto redatto ad Antiochia nell’anno 78 d.C. da un credente di nome Cedes. Luca aveva anche una copia mutilata e molto riveduta di alcune note che si supponevano prese dall’apostolo Andrea.
(1342.5) 121:8.10 4. Il Vangelo di Giovanni. Il Vangelo secondo Giovanni riferisce molte opere compiute da Gesù in Giudea e nei dintorni di Gerusalemme che non sono contenute negli altri racconti. Questo è il Vangelo detto secondo Giovanni, il figlio di Zebedeo, e benché Giovanni non l’abbia scritto, l’ha ispirato. Dalla sua prima stesura questo Vangelo è stato riveduto parecchie volte per farlo apparire come scritto da Giovanni stesso. Quando fu redatto questo documento Giovanni aveva gli altri Vangeli e vide che molte cose erano state omesse; di conseguenza, nell’anno 101, incoraggiò il suo associato Natan, un Ebreo greco di Cesarea, a cominciare a scrivere. Giovanni attingeva il suo materiale dalla sua memoria e facendo riferimento ai tre documenti già esistenti. Egli non possedeva note scritte personali. L’Epistola conosciuta come “Prima di Giovanni” fu scritta da Giovanni stesso come lettera di presentazione del lavoro che Natan eseguì sotto la sua direzione.
(1342.6) 121:8.11 Tutti questi scrittori presentarono delle oneste descrizioni di Gesù come essi l’avevano visto, ricordavano, o secondo quello che avevano appreso di lui, e secondo come i loro concetti di questi avvenimenti lontani furono influenzati dalla loro adesione successiva alla teologia del Cristianesimo di Paolo. E questi documenti, per quanto imperfetti, sono stati sufficienti a cambiare il corso della storia di Urantia per quasi duemila anni.
(1343.1) 121:8.12 [Attestazione: Nell’eseguire il mio incarico di riesporre gli insegnamenti di Gesù di Nazaret e di raccontare di nuovo le sue opere, ho fatto largo ricorso a tutte le fonti d’archivio e d’informazione planetarie. Il mio fine predominante è stato quello di preparare un documento che non solo illuminerà la generazione degli uomini attualmente viventi, ma che possa anche essere d’aiuto per tutte le generazioni future. Dalla vasta riserva d’informazioni messe a mia disposizione ho scelto quelle che convenivano meglio alla realizzazione di questo proposito. Per quanto possibile ho ricavato le mie informazioni da fonti puramente umane. Soltanto quando queste fonti risultarono insufficienti sono ricorso agli archivi superumani. Quando le idee ed i concetti della vita e degli insegnamenti di Gesù sono stati espressi in modo accettabile da una mente umana, ho invariabilmente dato la preferenza a questi modelli di pensiero apparentemente umani. Sebbene mi sia sforzato di aggiustare l’espressione verbale per conformarla meglio al nostro concetto del significato reale e della vera importanza della vita e degli insegnamenti del Maestro, in tutte le mie esposizioni ho aderito per quanto possibile ai concetti e ai modelli di pensiero umani attuali. Io so bene che i concetti che hanno avuto origine nella mente umana si riveleranno più accettabili e più utili per tutte le altre menti umane. Quando non sono riuscito a trovare i concetti necessari negli archivi o nelle espressioni umane, allora ho fatto ricorso alle riserve della memoria del mio stesso ordine di creature terrestri, gli intermedi. E quando questa fonte secondaria d’informazione è risultata inadeguata, sono ricorso senza esitazione alle fonti d’informazione superplanetarie.
(1343.2) 121:8.13 Gli appunti che ho riunito e a partire dai quali ho preparato questo racconto della vita e degli insegnamenti di Gesù — a parte la memoria dello scritto dell’apostolo Andrea — contengono gioielli di pensiero e concetti superiori degli insegnamenti di Gesù provenienti da più di duemila esseri umani che sono vissuti sulla terra dai tempi di Gesù fino al momento in cui furono redatte le presenti rivelazioni, o più esattamente queste rinarrazioni. Il permesso di ricorrere alla rivelazione è stato utilizzato soltanto quando gli archivi umani ed i concetti umani non hanno consentito di fornire modelli di pensiero adeguati. La mia missione di rivelazione mi proibiva di ricorrere a fonti extraumane, sia d’informazione che di espressione, fino a quando io potessi attestare che non ero riuscito nei miei sforzi di trovare in fonti puramente umane l’espressione concettuale richiesta.
(1343.3) 121:8.14 Benché io, con la collaborazione dei miei undici compagni intermedi associati e sotto la supervisione del Melchizedek relatore, abbia descritto questo racconto secondo il mio concetto del suo effettivo svolgimento e secondo la mia scelta di espressione immediata, tuttavia, la maggior parte delle idee ed anche alcune delle espressioni effettive che ho in tal modo utilizzato hanno avuto la loro origine nelle menti di uomini appartenenti a numerose razze che sono vissuti sulla terra durante le generazioni trascorse, fino a quelli ancora viventi all’epoca di questo lavoro. Sotto molti aspetti io ho servito più da raccoglitore e da editore che da narratore originale. Mi sono appropriato senza esitazione delle idee e dei concetti, preferibilmente umani, che mi avrebbero permesso di creare il ritratto più efficace della vita di Gesù, e che mi avrebbero qualificato per riesporre i suoi incomparabili insegnamenti con la fraseologia più utilmente sensazionale e più universalmente ispirante. A nome della Fratellanza degli Intermedi Uniti di Urantia riconosco con la più grande gratitudine il nostro debito verso tutte le fonti d’archivio e di concetti che sono state utilizzate qui di seguito nella nuova elaborazione della nostra riesposizione della vita di Gesù sulla terra.]
(1344.1) 122:0.1 SARÀ difficilmente possibile spiegare totalmente le numerose ragioni che portarono a scegliere la Palestina come luogo per il conferimento di Micael, e specialmente perché proprio la famiglia di Giuseppe e Maria fosse stata scelta come ambiente immediato per l’apparizione di questo Figlio di Dio su Urantia.
(1344.2) 122:0.2 Dopo lo studio del rapporto speciale sullo stato dei mondi isolati preparato dai Melchizedek, ed essersi consultato con Gabriele, Micael scelse alla fine Urantia come pianeta in cui effettuare il suo conferimento finale. In seguito a questa decisione Gabriele visitò personalmente Urantia, e dopo aver studiato i gruppi umani ed aver esaminato gli aspetti spirituali, intellettuali, razziali e geografici del mondo e dei suoi popoli, egli decise che gli Ebrei possedevano quei vantaggi relativi che giustificavano la loro scelta come razza per il conferimento. Dopo che Micael ebbe approvato questa decisione, Gabriele nominò ed inviò su Urantia la Commissione dei Dodici per la Famiglia — scelta fra gli ordini più elevati di personalità dell’universo — alla quale affidò l’incarico di fare un’investigazione sulla vita familiare degli Ebrei. Quando questa commissione terminò i suoi lavori, Gabriele era presente su Urantia e ricevette il rapporto che indicava tre unioni possibili che erano, secondo l’opinione della commissione, ugualmente favorevoli come famiglie di conferimento per la progettata incarnazione di Micael.
(1344.3) 122:0.3 Fra le tre coppie designate Gabriele scelse personalmente Giuseppe e Maria, facendo poi la sua apparizione personale a Maria, comunicandole allo stesso tempo la lieta novella che era stata scelta per divenire la madre terrena del figlio di conferimento.
(1344.4) 122:1.1 Giuseppe, il padre umano di Gesù (Joshua ben Joseph), era un Ebreo tra gli Ebrei, benché avesse molti ceppi razziali non giudaici che si erano aggiunti in diverse occasioni al suo albero genealogico da parte della linea femminile dei suoi progenitori. L’ascendenza paterna di Gesù risaliva ai tempi di Abramo e, attraverso questo venerabile patriarca, alle antiche linee ereditarie che portavano ai Sumeri e ai Noditi e, attraverso le tribù meridionali degli antichi uomini blu, ad Andon e Fonta. Davide e Salomone non erano ascendenti in linea diretta di Giuseppe, il cui lignaggio non risaliva direttamente nemmeno ad Adamo. Gli ascendenti prossimi di Giuseppe erano degli artigiani — costruttori, carpentieri, muratori e fabbri. Giuseppe stesso era un carpentiere e divenne successivamente un imprenditore. La sua famiglia apparteneva ad una lunga ed illustre stirpe di notabili del popolo, esaltata di tanto in tanto dall’apparizione d’individui eccezionali che si erano distinti in connessione con l’evoluzione della religione su Urantia.
(1345.1) 122:1.2 Maria, la madre terrena di Gesù, discendeva da una lunga stirpe di antenati eccezionali comprendente molte delle donne più rimarchevoli della storia razziale di Urantia. Benché Maria fosse una donna comune del suo tempo e della sua generazione, con un temperamento abbastanza normale, annoverava fra le sue antenate donne illustri come Annon, Tamar, Rut, Betsabea, Ansie, Cloa, Eva, Enta e Ratta. Nessuna ebrea di quel tempo aveva in comune un lignaggio di progenitori più illustre o risalente ad origini più favorevoli. L’ascendenza di Maria, come quella di Giuseppe, era caratterizzata dalla predominanza d’individui vigorosi ma ordinari, elevati ogni tanto da numerose personalità di spicco nel cammino della civiltà e nell’evoluzione progressiva della religione. Dal punto di vista razziale è improprio considerare Maria un’Ebrea. Per la sua cultura e le sue credenze essa era Ebrea, ma per i suoi caratteri ereditari era più un insieme composito delle razze siriana, ittita, fenicia, greca ed egiziana, avendo la sua eredità razziale delle basi più ampie di quella di Giuseppe.
(1345.2) 122:1.3 Tra tutte le coppie viventi in Palestina al momento del progettato conferimento di Micael, Giuseppe e Maria possedevano la combinazione più ideale di connessioni razziali assai diffuse e di doti di personalità superiori alla media. Il piano di Micael era di apparire sulla terra come un uomo medio, affinché il popolo comune potesse comprenderlo ed accoglierlo; per questa ragione Gabriele scelse proprio delle persone come Giuseppe e Maria per divenire i genitori del conferimento.
(1345.3) 122:2.1 L’opera realizzata da Gesù durante la sua vita su Urantia fu in realtà iniziata da Giovanni il Battista. Il padre di Giovanni, Zaccaria, apparteneva al clero ebraico, mentre sua madre, Elisabetta, era membro del ramo più prospero dello stesso grande gruppo familiare al quale apparteneva anche Maria, la madre di Gesù. Zaccaria ed Elisabetta, benché fossero sposati da molti anni, non avevano figli.
(1345.4) 122:2.2 Fu verso la fine del mese di giugno dell’anno 8 a. C., circa tre mesi dopo il matrimonio di Giuseppe e Maria, che Gabriele apparve ad Elisabetta un giorno a mezzodì, esattamente come più tardi fece conoscere la sua presenza a Maria. Gabriele disse:
(1345.5) 122:2.3 “Mentre tuo marito Zaccaria sta innanzi all’altare a Gerusalemme, e mentre il popolo riunito prega per la venuta di un liberatore, io, Gabriele, sono venuto ad annunciarti che presto partorirai un figlio che sarà il precursore di questo maestro divino, e chiamerai tuo figlio Giovanni. Egli crescerà consacrato al Signore Dio tuo, e quando sarà giunto nel pieno degli anni, egli farà gioire il tuo cuore perché condurrà molte anime a Dio, e proclamerà anche la venuta del guaritore dell’anima del tuo popolo e del liberatore spirituale di tutta l’umanità. La tua parente Maria sarà la madre di questo figlio della promessa, ed io apparirò anche a lei.”
(1345.6) 122:2.4 Questa visione spaventò grandemente Elisabetta. Dopo la partenza di Gabriele, essa rimuginò su questa esperienza, meditando a lungo le parole del maestoso visitatore, ma parlò di questa rivelazione soltanto a suo marito fino alla sua visita successiva a Maria all’inizio di febbraio dell’anno seguente.
(1345.7) 122:2.5 Per cinque mesi, tuttavia, Elisabetta conservò il suo segreto anche nei confronti di suo marito. Quando essa gli rivelò la storia della visita di Gabriele, Zaccaria fu molto scettico e per settimane dubitò dell’intera esperienza, acconsentendo senza entusiasmo a credere nella visita di Gabriele a sua moglie solo quando non poté più dubitare che essa stesse aspettando un figlio. Zaccaria era molto perplesso sulla futura maternità di Elisabetta, ma non mise in dubbio l’integrità di sua moglie, nonostante la propria età avanzata. Fu solo circa sei settimane prima della nascita di Giovanni che Zaccaria, a seguito di un sogno impressionante, divenne pienamente convinto che Elisabetta stava per diventare la madre di un figlio del destino, di colui che doveva preparare la via per la venuta del Messia.
(1346.1) 122:2.6 Gabriele apparve a Maria verso la metà di novembre dell’anno 8 a.C., mentre essa lavorava nella sua casa di Nazaret. Più tardi, quando Maria seppe con certezza che stava per diventare madre, persuase Giuseppe a lasciarla andare nella Città di Giuda, situata sulle colline a circa sette chilometri ad ovest di Gerusalemme, per fare visita ad Elisabetta. Gabriele aveva informato ciascuna di queste future madri della sua apparizione all’altra. Esse erano naturalmente impazienti d’incontrarsi, di confrontare le loro esperienze e di parlare del probabile avvenire dei loro figli. Maria rimase presso la sua lontana cugina per tre settimane. Elisabetta contribuì molto a consolidare la fiducia di Maria nella visione di Gabriele, cosicché essa ritornò a casa più pienamente consacrata alla chiamata di essere la madre del figlio del destino, che essa doveva così presto presentare al mondo come un bimbo inerme, un bambino normale e medio del regno.
(1346.2) 122:2.7 Giovanni nacque nella Città di Giuda il 25 marzo dell’anno 7 a.C. Zaccaria ed Elisabetta furono molto lieti del fatto che un figlio fosse venuto loro come Gabriele aveva promesso, e quando all’ottavo giorno presentarono il bambino per la circoncisione lo chiamarono ufficialmente Giovanni, com’era stato loro ordinato in precedenza. Un nipote di Zaccaria era già partito per Nazaret, portando il messaggio di Elisabetta a Maria annunciante che suo figlio era nato e che il suo nome sarebbe stato Giovanni.
(1346.3) 122:2.8 Fin dalla sua più tenera infanzia, i genitori di Giovanni gli inculcarono giudiziosamente l’idea che sarebbe cresciuto per diventare un capo spirituale ed un istruttore religioso. Ed il cuore di Giovanni era sempre un terreno pronto per la semina di questi semi ispiranti. Fin da bambino lo si trovava spesso al tempio durante i periodi di servizio di suo padre, ed era estremamente ricettivo al significato di tutto ciò che vedeva.
(1346.4) 122:3.1 Una sera verso il tramonto, prima che Giuseppe fosse ritornato a casa, Gabriele apparve a Maria a fianco di una bassa tavola di pietra e, dopo che essa si fu ripresa, le disse: “Vengo per ordine di colui che è mio Maestro e che tu amerai e nutrirai. A te, Maria, porto una buona novella, perché ti annuncio che il concepimento dentro di te è ordinato dal cielo e che a tempo debito tu diverrai madre di un figlio; lo chiamerai Joshua, ed egli inaugurerà il regno dei cieli sulla terra e tra gli uomini. Non parlare di tutto ciò salvo che a Giuseppe e ad Elisabetta, tua parente, alla quale io sono egualmente apparso e che tra poco metterà al mondo anch’essa un figlio, il cui nome sarà Giovanni, e che preparerà la via al messaggio di liberazione che tuo figlio proclamerà agli uomini con grande potenza e profonda convinzione. Non dubitare delle mie parole, Maria, perché questa casa è stata scelta come dimora umana del figlio del destino. La mia benedizione è su di te, il potere degli Altissimi ti darà forza ed il Signore di tutta la terra stenderà la sua ombra su di te.”
(1346.5) 122:3.2 Maria meditò questa visita nel segreto del suo cuore per molte settimane, fino ad essere certa di aspettare un figlio, prima di osare rivelare questi avvenimenti straordinari a suo marito. Quando Giuseppe apprese tutto ciò, benché avesse grande fiducia in Maria, rimase molto turbato e non riuscì a dormire per molte notti. Dapprima Giuseppe ebbe dei dubbi sulla visita di Gabriele. Poi, quando fu quasi persuaso che Maria avesse realmente udito la voce e visto la forma del messaggero divino, aveva la mente frastornata chiedendosi come potessero accadere tali cose. Come poteva il discendente di esseri umani essere un figlio di destino divino? Giuseppe non riuscì a risolvere questo conflitto d’idee fino a quando, dopo parecchie settimane di riflessione, lui e Maria giunsero alla conclusione che erano stati scelti per divenire i genitori del Messia, benché il concetto ebraico non prevedesse che il salvatore atteso dovesse essere di natura divina. Essendo giunti a questa importante conclusione, Maria accelerò la sua partenza per far visita ad Elisabetta.
(1347.1) 122:3.3 Al suo ritorno Maria andò a trovare i suoi genitori, Gioacchino ed Anna. I suoi due fratelli e le sue due sorelle, come pure i suoi genitori, furono sempre molto scettici sulla missione divina di Gesù, benché certamente in quest’epoca essi non sapessero nulla della visita di Gabriele. Ma Maria confidò a sua sorella Salomè che pensava che suo figlio fosse destinato a diventare un grande maestro.
(1347.2) 122:3.4 L’annuncio di Gabriele a Maria fu fatto il giorno seguente al concepimento di Gesù, e questo fu il solo avvenimento soprannaturale connesso con la sua intera esperienza di portare e mettere al mondo il figlio della promessa.
(1347.3) 122:4.1 Giuseppe non accettò l’idea che Maria stesse per diventare la madre di un figlio straordinario fino a quando non ebbe fatto l’esperienza di un sogno molto impressionante. In questo sogno un brillante messaggero celeste gli apparve e, fra le altre cose, gli disse: “Giuseppe, io ti appaio per ordine di Colui che regna ora nei cieli, ed ho ricevuto l’incarico di darti delle istruzioni concernenti il figlio che Maria partorirà e che diverrà una grande luce nel mondo. In lui sarà la vita, e la sua vita diverrà la luce dell’umanità. Egli verrà prima tra il suo popolo, ma essi praticamente non lo accoglieranno; ma a tutti coloro che lo accoglieranno egli rivelerà che sono i figli di Dio.” Dopo questa esperienza Giuseppe non dubitò assolutamente più del racconto di Maria circa la visita di Gabriele e la promessa che il bambino non ancora nato sarebbe divenuto un messaggero divino per il mondo.
(1347.4) 122:4.2 In tutte queste visite niente fu detto a proposito della casa di Davide. Nulla fu mai annunciato circa il fatto che Gesù sarebbe divenuto un “liberatore degli Ebrei”, e nemmeno che sarebbe stato il Messia a lungo atteso. Gesù non era un Messia quale gli Ebrei si aspettavano, ma era il liberatore del mondo. La sua missione era per tutte le razze e tutti i popoli, non per un gruppo particolare.
(1347.5) 122:4.3 Giuseppe non discendeva da Re Davide. Maria aveva più ascendenza davidica di Giuseppe. È vero che Giuseppe andò a Betlemme, la città di Davide, per essere registrato nel censimento romano, ma ciò perché sei generazioni prima l’antenato paterno di Giuseppe di quella generazione, essendo orfano, era stato adottato da un certo Zadoc, che discendeva direttamente da Davide; per questo anche Giuseppe era considerato come appartenente alla “casa di Davide”.
(1347.6) 122:4.4 La maggior parte delle cosiddette profezie messianiche dell’Antico Testamento furono redatte perché si riferissero a Gesù molto tempo dopo che la sua vita era stata vissuta sulla terra. Per secoli i profeti ebrei avevano proclamato la venuta di un liberatore, e queste promesse erano state interpretate dalle generazioni successive come riferentisi ad un nuovo governatore ebreo che si sarebbe seduto sul trono di Davide e, con i metodi ritenuti miracolosi di Mosè, avrebbe provveduto a stabilire gli Ebrei in Palestina come una nazione potente, libera da ogni dominazione straniera. Inoltre molti passaggi simbolici che si trovano nelle Scritture ebraiche furono in seguito applicati a torto alla missione della vita di Gesù. Molti brani dell’Antico Testamento furono distorti in modo da sembrare riferiti a certi episodi della vita terrena del Maestro. Gesù stesso negò una volta pubblicamente ogni connessione con la casa reale di Davide. Anche il passaggio “una giovane donna partorirà un figlio” fu cambiato in “una vergine partorirà un figlio”. Ciò avvenne anche per le numerose genealogie di Giuseppe e di Maria che furono costruite dopo la carriera di Micael sulla terra. Molte di queste discendenze comprendono numerosi antenati del Maestro, ma nell’insieme non sono autentiche e non si può fare affidamento sulla loro esattezza. I primi discepoli di Gesù cedettero troppo spesso alla tentazione di mostrare che tutte le antiche espressioni profetiche trovassero compimento nella vita del loro Signore e Maestro.
(1348.1) 122:5.1 Giuseppe era un uomo dalle maniere gentili, estremamente coscienzioso e fedele sotto ogni aspetto alle convenzioni e alle pratiche religiose del suo popolo. Egli parlava poco ma pensava molto. La penosa condizione del popolo ebreo causava a Giuseppe molta tristezza. Mentre era giovane, tra i suoi otto fratelli e sorelle egli era stato più allegro, ma nel corso dei primi anni della sua vita matrimoniale (durante l’infanzia di Gesù) andava soggetto a periodi di lieve scoraggiamento spirituale. Queste manifestazioni d’umore si attenuarono notevolmente poco prima della sua morte prematura e dopo che la situazione economica della sua famiglia era stata migliorata dal suo passaggio dal rango di carpentiere al ruolo di prospero imprenditore.
(1348.2) 122:5.2 Il temperamento di Maria era tutto l’opposto di quello di suo marito. Essa era generalmente di buon umore, era molto raramente abbattuta e possedeva un’indole sempre raggiante. Maria si lasciava andare a libere e frequenti espressioni dei suoi sentimenti emotivi e non la si vide mai afflitta prima della morte improvvisa di Giuseppe. E si era appena rimessa da questo shock quando si trovò immersa nella preoccupazione e negli interrogativi che sorgevano in lei per la straordinaria carriera di suo figlio maggiore, che si stava svolgendo così rapidamente davanti ai suoi occhi attoniti. Ma in tutta questa esperienza insolita Maria rimase calma, coraggiosa ed abbastanza accorta nel rapporto con il suo strano e poco comprensibile primogenito e con i suoi fratelli e sorelle sopravviventi.
(1348.3) 122:5.3 Gesù derivò molta della sua eccezionale gentilezza e della sua meravigliosa ed affettuosa comprensione della natura umana da suo padre; ereditò da sua madre il dono di grande maestro e la sua enorme capacità di giusta indignazione. Nelle reazioni emotive verso l’ambiente della sua vita di adulto Gesù era talvolta simile a suo padre, meditativo e pio, talvolta caratterizzato da un’apparente tristezza; ma più spesso agiva alla maniera della disposizione ottimistica e determinata di sua madre. Nell’insieme il temperamento di Maria tendeva a dominare la carriera del Figlio divino a mano a mano che cresceva ed avanzava a grandi passi nella sua vita di adulto. In certi particolari Gesù era una mescolanza dei tratti di carattere dei suoi genitori; sotto altri aspetti presentava i tratti dell’uno in contrasto con quelli dell’altro.
(1348.4) 122:5.4 Da Giuseppe, Gesù ereditò la rigida educazione nelle usanze dei cerimoniali ebraici e la sua straordinaria conoscenza delle Scritture ebraiche; da Maria trasse una visione più ampia della vita religiosa ed un concetto più aperto della libertà spirituale personale.
(1349.1) 122:5.5 Le famiglie di Giuseppe e di Maria erano molto istruite per il loro tempo. Giuseppe e Maria furono istruiti ben oltre la media per il loro tempo e la loro posizione sociale. Lui era un pensatore; lei era una donna previdente, abile nell’adattarsi e pratica nell’esecuzione immediata. Giuseppe era un bruno dagli occhi neri; Maria era un tipo quasi biondo dagli occhi bruni.
(1349.2) 122:5.6 Se Giuseppe fosse vissuto, sarebbe divenuto indubbiamente un fermo credente nella missione divina del suo primogenito. Maria oscillava tra la credenza e il dubbio, essendo grandemente influenzata dalla posizione assunta dagli altri suoi figli e dai suoi amici e parenti, ma fu sempre fortificata nel suo atteggiamento finale dal ricordo dell’apparizione di Gabriele subito dopo il concepimento del bambino.
(1349.3) 122:5.7 Maria era una tessitrice esperta, di un’abilità superiore alla media nella maggior parte delle arti domestiche dell’epoca; essa era una brava donna di casa ed un’eccellente conduttrice di famiglia. Giuseppe e Maria erano entrambi dei buoni educatori e curarono che i loro figli fossero bene istruiti nelle conoscenze del loro tempo.
(1349.4) 122:5.8 Quando era giovane, Giuseppe fu impiegato dal padre di Maria nel lavoro per costruire un annesso alla sua casa, e fu quando Maria portò a Giuseppe una tazza d’acqua durante un pasto di mezzogiorno che i due giovani, che erano destinati a diventare i genitori di Gesù, cominciarono a farsi la corte.
(1349.5) 122:5.9 Giuseppe e Maria si sposarono, secondo il costume ebraico, a casa di Maria nei dintorni di Nazaret quando Giuseppe ebbe ventun anni. Questo matrimonio concluse un normale fidanzamento di circa due anni. Poco dopo essi s’installarono nella loro nuova casa di Nazaret, che era stata costruita da Giuseppe con l’aiuto di due dei suoi fratelli. Questa casa era situata ai piedi delle alture che dominavano l’incantevole contrada circostante. In questa casa appositamente preparata i giovani genitori in attesa pensavano di accogliere il figlio della promessa, senza immaginare che questo importante avvenimento dell’universo sarebbe accaduto a Betlemme di Giudea mentre sarebbero stati assenti da casa.
(1349.6) 122:5.10 La maggior parte della famiglia di Giuseppe divenne credente negli insegnamenti di Gesù, ma pochissimi membri della famiglia di Maria credettero in lui prima della sua dipartita da questo mondo. Giuseppe propendeva più verso il concetto spirituale del Messia atteso, ma Maria e la sua famiglia, specialmente suo padre, pensavano al Messia come ad un liberatore temporale e governante politico. Gli antenati di Maria si erano apertamente identificati con le attività dei Maccabei dei tempi allora ancora recenti.
(1349.7) 122:5.11 Giuseppe sosteneva vigorosamente il punto di vista orientale, o babilonese, della religione ebraica; Maria propendeva fortemente verso l’interpretazione occidentale o ellenistica, più liberale e più aperta, della legge e dei profeti.
(1349.8) 122:6.1 La casa di Gesù non era molto lontana dall’alta collina a nord di Nazaret, ad una certa distanza dalla fonte del villaggio, situata nella parte orientale della città. La famiglia di Gesù abitava alla periferia della città, e ciò gli rese più facile in seguito godere di frequenti passeggiate nella campagna e fare delle escursioni fino alla sommità di queste alture vicine, le colline più alte del sud della Galilea, ad eccezione della catena del Monte Tabor ad est e della collina di Nain, che aveva quasi la stessa altitudine. La loro casa era situata poco a sud e ad est del promontorio meridionale di questa collina e circa a metà strada tra la base di questa elevazione e la strada che conduceva da Nazaret a Cana. All’infuori dell’ascesa sulla collina, la passeggiata favorita di Gesù consisteva nel percorrere uno stretto sentiero che si snodava lungo la base di questa collina in direzione nordest fino ad un punto in cui si congiungeva alla strada di Sefforis.
(1350.1) 122:6.2 La casa di Giuseppe e Maria era una struttura in pietra ad una stanza con un tetto piatto ed una costruzione annessa per il ricovero degli animali. L’arredo consisteva in una bassa tavola di pietra, delle pentole e dei piatti in terracotta ed in pietra, un telaio, una lampada, parecchi piccoli sgabelli e delle stuoie per dormire sul pavimento di pietra. Nel cortile retrostante, vicino all’annesso degli animali, si trovava la tettoia che copriva il forno ed il mulino per macinare il grano. Ci volevano due persone per far funzionare questo tipo di mulino, una per macinare ed un’altra per alimentarlo di grano. Quando Gesù era piccolo alimentava spesso di grano questo mulino mentre sua madre girava la macina.
(1350.2) 122:6.3 Più avanti, quando la famiglia si accrebbe, essi si sedevano tutti per prendere il loro pasto attorno alla tavola di pietra ingrandita, attingendo il cibo da un piatto o da una terrina comuni. D’inverno, durante il pasto della sera, la tavola era rischiarata da una piccola lampada piatta di terracotta riempita di olio d’oliva. Dopo la nascita di Marta, Giuseppe aggiunse alla casa una grande stanza, che fu utilizzata come bottega di carpentiere durante il giorno e come stanza da letto durante la notte.
(1350.3) 122:7.1 Nel mese di marzo dell’anno 8 a.C. (il mese in cui Giuseppe e Maria si sposarono), Cesare Augusto decretò che tutti gli abitanti dell’Impero Romano dovevano essere contati, che si doveva fare un censimento di cui potersi servire per determinare meglio la tassazione. Gli Ebrei erano sempre stati assai prevenuti contro ogni tentativo di “contare il popolo”, e ciò, in connessione con le serie difficoltà interne di Erode, re di Giudea, aveva concorso a rimandare di un anno l’inizio di questo censimento nel regno degli Ebrei. In tutto l’Impero Romano questo censimento fu effettuato nell’anno 8 a.C., eccetto che nel regno di Erode in Palestina, dove ebbe luogo nell’anno 7 a.C., un anno più tardi.
(1350.4) 122:7.2 Non era necessario che Maria andasse a Betlemme per l’iscrizione — Giuseppe era autorizzato a registrare la sua famiglia — ma Maria, essendo una persona avventurosa ed intraprendente, insisté per accompagnarlo. Essa aveva paura di essere lasciata sola, per timore che il figlio nascesse mentre Giuseppe era lontano, ed inoltre, non essendo Betlemme lontana dalla Città di Giuda, Maria prevedeva la possibilità di una piacevole visita alla sua parente Elisabetta.
(1350.5) 122:7.3 Giuseppe proibì virtualmente a Maria di accompagnarlo, ma fu inutile; al momento di preparare il cibo per il viaggio di tre o quattro giorni, essa preparò doppie razioni e si tenne pronta a partire. Ma prima di mettersi effettivamente in viaggio, Giuseppe aveva acconsentito alla partenza di Maria, ed essi lasciarono allegramente Nazaret allo spuntar del giorno.
(1350.6) 122:7.4 Giuseppe e Maria erano poveri, e poiché non avevano che una bestia da soma, Maria, essendo incinta, salì sull’animale con le provviste mentre Giuseppe andava a piedi, conducendo l’animale. La costruzione e l’allestimento della casa avevano rappresentato una grossa spesa per Giuseppe, che doveva anche contribuire al mantenimento dei suoi genitori, in quanto suo padre si era recentemente infortunato. E così questa coppia ebrea lasciò la sua modesta dimora il mattino presto del 18 agosto dell’anno 7 a.C. per il suo viaggio a Betlemme.
(1351.1) 122:7.5 Il primo giorno di viaggio li portò a contornare i contrafforti del Monte Gelboe, dove si accamparono per la notte in riva al Giordano, e si abbandonarono a numerose congetture su quale tipo di figlio sarebbe nato loro. Giuseppe aderiva all’idea di un istruttore spirituale e Maria era per quella di un Messia ebreo, un liberatore della nazione ebraica.
(1351.2) 122:7.6 Di buonora, il mattino del 19 agosto, Giuseppe e Maria si misero di nuovo in cammino. Essi presero il loro pasto di mezzogiorno ai piedi del Monte Sartaba, che dominava la valle del Giordano, e continuarono il loro viaggio raggiungendo Gerico, dove si fermarono per la notte in una locanda sulla strada principale nei sobborghi della città. Dopo il pasto della sera e molte discussioni sull’oppressione del governo romano, su Erode, sul censimento e sull’influenza comparata di Gerusalemme e di Alessandria come centri di studio e di cultura ebraici, i viaggiatori di Nazaret si ritirarono per il riposo notturno. Il mattino presto del 20 agosto essi ripresero il loro viaggio e raggiunsero Gerusalemme prima di mezzogiorno, visitarono il tempio e proseguirono per la loro destinazione, giungendo a Betlemme a metà pomeriggio.
(1351.3) 122:7.7 La locanda era gremita e di conseguenza Giuseppe cercò un alloggio presso lontani parenti, ma tutte le camere di Betlemme erano strapiene di gente. Quando ritornò nel cortile della locanda, lo informarono che le stalle per le carovane, ricavate sul fianco della roccia e situate giusto sotto la locanda, erano state svuotate degli animali e pulite per ospitare dei clienti. Lasciato l’asino nel cortile, Giuseppe si caricò sulle spalle le borse degli indumenti e delle vivande e discese con Maria i gradini di pietra che conducevano al loro alloggio sottostante. Essi si trovarono sistemati in quello che era stato un magazzino di grano, di fronte alle stalle e alle mangiatoie. Erano state appese delle tende di tela, ed essi si ritennero fortunati per aver trovato una sistemazione così confortevole.
(1351.4) 122:7.8 Giuseppe aveva pensato di andare ad iscriversi subito, ma Maria era stanca; essa soffriva molto e lo supplicò di restare con lei; cosa che egli fece.
(1351.5) 122:8.1 Per tutta la notte Maria fu agitata, cosicché nessuno di loro dormì molto. Al levare del giorno i dolori del parto si manifestarono nettamente, ed a mezzogiorno del 21 agosto dell’anno 7 a.C., con l’aiuto e la gentile assistenza di alcune compagne di viaggio, Maria partorì un figlio maschio. Gesù di Nazaret era venuto al mondo; egli fu avvolto nei panni che Maria aveva portato per una tale possibile circostanza e fu adagiato in una vicina mangiatoia.
(1351.6) 122:8.2 Il figlio promesso era nato esattamente nella stessa maniera in cui sono venuti al mondo tutti i bambini prima e dopo quel giorno; e all’ottavo giorno, secondo la pratica ebraica, egli fu circonciso e chiamato ufficialmente Joshua (Gesù).
(1351.7) 122:8.3 Il giorno dopo la nascita di Gesù, Giuseppe fece la sua iscrizione. Incontrato un uomo con cui essi avevano conversato due sere prima a Gerico, Giuseppe fu condotto da lui presso un amico benestante che occupava una camera nella locanda e che si disse felice di scambiare il suo alloggio con quello della coppia di Nazaret. Quel pomeriggio essi si spostarono nella locanda dove rimasero per circa tre settimane, fino a quando trovarono alloggio nella casa di un lontano parente di Giuseppe.
(1351.8) 122:8.4 Il secondo giorno dopo la nascita di Gesù, Maria mandò a dire ad Elisabetta che suo figlio era nato, e costei le aveva risposto invitando Giuseppe a recarsi a Gerusalemme per parlare con Zaccaria di tutte le loro faccende. La settimana seguente Giuseppe andò a Gerusalemme per conferire con Zaccaria. Zaccaria ed Elisabetta avevano entrambi acquisito la convinzione sincera che Gesù dovesse realmente diventare il liberatore degli Ebrei, il Messia, e che il loro figlio Giovanni sarebbe divenuto il capo dei suoi assistenti, il suo braccio destro del destino. E poiché Maria condivideva le stesse idee, non fu difficile persuadere Giuseppe a rimanere a Betlemme, la Città di Davide, affinché Gesù potesse crescere per divenire il successore di Davide sul trono di tutto Israele. Di conseguenza essi rimasero a Betlemme per più di un anno, mentre nel frattempo Giuseppe si occupava di alcuni lavori di carpenteria.
(1352.1) 122:8.5 A mezzogiorno, al momento della nascita di Gesù, i serafini di Urantia, riuniti sotto gli ordini dei loro direttori, cantarono effettivamente degli inni di gloria sopra la mangiatoia di Betlemme, ma queste espressioni di lode non furono udite da nessun orecchio umano. Nessun pastore o altra creatura mortale venne a rendere omaggio al bambino di Betlemme fino al giorno dell’arrivo di certi sacerdoti provenienti da Ur, che Zaccaria aveva inviato da Gerusalemme.
(1352.2) 122:8.6 A questi sacerdoti della Mesopotamia era stato detto qualche tempo prima da uno strano insegnante religioso del loro paese che egli aveva fatto un sogno nel quale fu informato che “la luce della vita” era sul punto di apparire sulla terra sotto forma di un bambino e tra gli Ebrei. Ed allora questi tre maestri partirono per cercare questa “luce della vita”. Dopo molte settimane di vane ricerche a Gerusalemme, essi stavano per ritornare ad Ur quando Zaccaria li incontrò e rivelò loro la sua credenza che Gesù fosse l’oggetto della loro ricerca, e li mandò a Betlemme dove trovarono il bambino e lasciarono i loro doni a Maria, sua madre terrena. Il bambino aveva quasi tre settimane al momento della loro visita.
(1352.3) 122:8.7 Questi uomini saggi non videro alcuna stella per guidarli a Betlemme. La bella leggenda della stella di Betlemme ebbe origine così: Gesù era nato a mezzogiorno del 21 agosto dell’anno 7 a.C. Il 29 maggio dell’anno 7 a.C. si era verificata una straordinaria congiunzione di Giove e di Saturno nella costellazione dei Pesci. Ed è un fatto astronomico eccezionale che congiunzioni simili si siano prodotte il 29 settembre ed il 5 dicembre dello stesso anno. Sulla base di questi avvenimenti straordinari, ma totalmente naturali, gli zelanti bene intenzionati delle generazioni successive costruirono l’attraente leggenda della stella di Betlemme che condusse i Magi adoranti presso la mangiatoia, dove videro e adorarono il bambino appena nato. Alle menti dell’Oriente e del Medio Oriente piacciono molto le fiabe e tessono continuamente tali bei miti attorno alla vita dei loro capi religiosi e dei loro eroi politici. In assenza della stampa, quando la maggior parte della conoscenza umana si trasmetteva oralmente da una generazione all’altra, era molto facile che i miti diventassero tradizioni e che le tradizioni fossero alla fine accettate come fatti.
(1352.4) 122:9.1 Mosè aveva insegnato agli Ebrei che ogni figlio primogenito apparteneva al Signore, e che tale figlio, invece di essere sacrificato come era costume fra le nazioni pagane, poteva avere salva la vita se i suoi genitori l’avessero riscattato pagando cinque sicli a qualunque sacerdote autorizzato. Un’altra ordinanza di Mosè decretava che, trascorso un certo periodo di tempo, una madre doveva presentarsi al tempio per la purificazione (oppure far fare da qualcun altro il sacrificio appropriato per lei). Era usanza compiere queste due cerimonie contemporaneamente. Di conseguenza, Giuseppe e Maria si recarono di persona al tempio a Gerusalemme per presentare Gesù ai sacerdoti e per effettuare il suo riscatto, e per fare anche il sacrificio appropriato per assicurare la purificazione cerimoniale di Maria dalla presunta impurità del parto.
(1353.1) 122:9.2 Nei pressi dei cortili del tempio passeggiavano costantemente due personaggi rimarchevoli: Simeone, un cantore, ed Anna, una poetessa. Simeone era un Giudeo, ed Anna era una Galilea. I due stavano spesso in compagnia uno dell’altra ed erano entrambi in confidenza con il sacerdote Zaccaria, il quale aveva confidato loro il segreto di Giovanni e di Gesù. Sia Simeone che Anna desideravano ardentemente la venuta del Messia, e la loro fiducia in Zaccaria li portò a credere che Gesù fosse il liberatore atteso dal popolo ebreo.
(1353.2) 122:9.3 Zaccaria sapeva che quel giorno Giuseppe e Maria dovevano venire al tempio con Gesù, ed aveva convenuto con Simeone ed Anna che avrebbe indicato, alzando la mano in segno di saluto, quale nella processione dei primogeniti era Gesù.
(1353.3) 122:9.4 Per questa occasione Anna aveva scritto un poema che Simeone si mise a cantare, con grande sorpresa di Giuseppe, di Maria e di tutti coloro che erano riuniti nei cortili del tempio. E questo fu il loro inno di redenzione del figlio primogenito:
(1353.4) 122:9.5 Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele,
(1353.5) 122:9.6 Perché ci ha visitato ed ha portato redenzione al suo popolo;
(1353.6) 122:9.7 Egli ha elevato un corno di salvezza per tutti noi
(1353.7) 122:9.8 Nella casa del suo servitore Davide.
(1353.8) 122:9.9 Come disse per bocca dei suoi santi profeti —
(1353.9) 122:9.10 Ci salva dai nostri nemici e dalla mano di tutti coloro che ci odiano;
(1353.10) 122:9.11 Per mostrare misericordia ai nostri padri e per ricordare la sua santa alleanza —
(1353.11) 122:9.12 Il giuramento che fece ad Abramo nostro padre,
(1353.12) 122:9.13 Per permettere che noi, liberati dalle mani dei nostri nemici,
(1353.13) 122:9.14 Potessimo servirlo senza paura,
(1353.14) 122:9.15 In santità e rettitudine davanti a lui per tutti i nostri giorni.
(1353.15) 122:9.16 Sì, e tu, figlio della promessa, sarai chiamato il profeta dell’Altissimo;
(1353.16) 122:9.17 Perché andrai dinanzi al volto del Signore per stabilire il suo regno;
(1353.17) 122:9.18 Per far conoscere la salvezza al suo popolo
(1353.18) 122:9.19 Nella remissione dei suoi peccati.
(1353.19) 122:9.20 Gioite nella tenera misericordia del nostro Dio, perché la sorgente di luce che giunge dall’alto ci ha ora visitati
(1353.20) 122:9.21 Per brillare su coloro che risiedono nelle tenebre e nell’ombra della morte;
(1353.21) 122:9.22 Per guidare i nostri passi nelle vie della pace.
(1353.22) 122:9.23 Ed ora lascia che il tuo servo parta in pace, o Signore, secondo la tua parola,
(1353.23) 122:9.24 Perché i mie occhi hanno visto la tua salvezza,
(1353.24) 122:9.25 Che hai preparato davanti al volto di tutti i popoli;
(1353.25) 122:9.26 Una luce per illuminare anche i Gentili
(1353.26) 122:9.27 E la gloria del tuo popolo Israele.
(1353.27) 122:9.28 Sulla via del ritorno a Betlemme, Giuseppe e Maria rimasero silenziosi — confusi e intimiditi. Maria era molto turbata dal saluto di addio di Anna, la vecchia poetessa, e Giuseppe non era d’accordo su questo sforzo prematuro di far passare Gesù per il Messia atteso del popolo ebreo.
(1353.28) 122:10.1 Ma gli informatori di Erode non erano inattivi. Quando gli riferirono della visita dei sacerdoti di Ur a Betlemme, Erode convocò questi Caldei davanti a lui. Egli interrogò accuratamente questi saggi sul nuovo “re dei Giudei”, ma essi gli diedero poca soddisfazione, spiegando che il bambino era nato da una donna che era venuta con suo marito a Betlemme per il censimento. Erode, non soddisfatto di questa risposta, li rimandò con una borsa di denaro e ordinò loro di ritrovare il bambino affinché anche lui potesse andare ad adorarlo, poiché essi avevano dichiarato che il suo regno sarebbe stato spirituale e non temporale. Ma quando i saggi non ritornarono, Erode divenne sospettoso. Mentre egli rimuginava queste cose nella sua testa, i suoi informatori ritornarono e gli fecero un rapporto completo sui recenti avvenimenti al tempio; gli portarono una copia di alcune parti del cantico di Simeone che erano state cantate alla cerimonia del riscatto di Gesù. Ma essi non erano riusciti a seguire Giuseppe e Maria, ed Erode si adirò molto con loro quando non seppero dirgli dove la coppia avesse condotto il bambino. Mandò allora degli inquirenti per rintracciare Giuseppe e Maria. Sapendo che Erode perseguitava la famiglia di Nazaret, Zaccaria ed Elisabetta rimasero lontani da Betlemme. Il bambino fu nascosto presso dei parenti di Giuseppe.
(1354.1) 122:10.2 Giuseppe aveva paura di cercare lavoro e le sue magre economie calavano rapidamente. Anche al momento della cerimonia di purificazione al tempio, Giuseppe si considerò abbastanza povero da limitare a due giovani piccioni l’offerta per Maria, come Mosè aveva ordinato per la purificazione delle madri indigenti.
(1354.2) 122:10.3 Quando, dopo più di un anno di ricerche, le spie di Erode non ebbero individuato Gesù, e poiché si sospettava che il bambino fosse ancora nascosto a Betlemme, Erode preparò un decreto che ordinava che fosse fatta una ricerca sistematica in tutte le case di Betlemme e che tutti i bambini maschi sotto i due anni fossero uccisi. In questo modo Erode sperava di assicurarsi che questo bambino destinato a diventare “re dei Giudei” sarebbe stato eliminato. E fu così che perirono in un solo giorno a Betlemme di Giudea sedici bambini maschi. Ma l’intrigo e l’omicidio, anche nella sua stessa famiglia, erano avvenimenti comuni alla corte di Erode.
(1354.3) 122:10.4 Il massacro di questi bambini ebbe luogo verso la metà di ottobre dell’anno 6 a. C., quando Gesù aveva poco più di un anno. Ma c’erano dei credenti nella venuta del Messia anche fra gli addetti alla corte di Erode, ed uno di questi, venuto a sapere dell’ordine di massacrare i bambini maschi di Betlemme, si mise in contatto con Zaccaria, che a sua volta inviò un messaggero a Giuseppe. E la notte prima del massacro Giuseppe e Maria partirono da Betlemme con il bambino per Alessandria d’Egitto. Per evitare di attirare l’attenzione essi viaggiarono da soli con Gesù fino in Egitto. Essi andarono ad Alessandria con i fondi procurati da Zaccaria, e là Giuseppe riprese il suo mestiere mentre Maria e Gesù alloggiavano presso dei parenti benestanti della famiglia di Giuseppe. Essi soggiornarono ad Alessandria per due anni interi e tornarono a Betlemme soltanto dopo la morte di Erode.
(1355.1) 123:0.1 IN CONSEGUENZA delle incertezze e delle ansietà del loro soggiorno a Betlemme, Maria svezzò il bambino solo dopo che furono arrivati sani e salvi ad Alessandria, dove la famiglia poté riprendere una vita normale. Essi vissero presso dei parenti e Giuseppe poté mantenere la sua famiglia avendo trovato lavoro subito dopo il loro arrivo. Egli fu impiegato come carpentiere per parecchi mesi e poi fu promosso alla posizione di caposquadra di un numeroso gruppo di operai impiegati nella costruzione, allora in corso, di un edificio pubblico. Questa nuova esperienza gli diede l’idea di diventare un imprenditore e costruttore al loro ritorno a Nazaret.
(1355.2) 123:0.2 Durante questi primi anni dell’infanzia indifesa di Gesù, Maria mantenne una lunga e costante vigilanza affinché non accadesse nulla al suo bambino che potesse mettere in pericolo il suo benessere od interferire in qualche modo con la sua futura missione sulla terra; nessuna madre fu mai più dedita a suo figlio. Nella casa in cui si trovava Gesù c’erano altri due bambini press’a poco della sua età e, fra i vicini di casa, ce n’erano altri sei la cui età era abbastanza vicina alla sua per farne dei compagni di gioco accettabili. Da principio Maria era incline a tenere Gesù vicino a sé. Essa temeva che qualcosa potesse accadergli se gli si permetteva di giocare nel giardino con gli altri bambini, ma Giuseppe, con l’appoggio della sua parentela, riuscì a convincerla che questa linea di condotta avrebbe privato Gesù della preziosa esperienza d’imparare ad adattarsi ai bambini della sua stessa età. E Maria, comprendendo che un tale programma di protezione esagerata ed insolita rischiava di renderlo timido ed un po’ egocentrico, diede infine il suo assenso al piano che permetteva al figlio della promessa di crescere esattamente come tutti gli altri bambini, e pur sottostando a questa decisione, essa si preoccupò di restare sempre in guardia mentre il piccolo gruppo giocava attorno alla casa o nel giardino. Solo una madre amorosa può conoscere il peso che Maria portò nel suo cuore per la sicurezza di suo figlio durante gli anni tra la prima e la seconda infanzia.
(1355.3) 123:0.3 Nei due anni del loro soggiorno ad Alessandria, Gesù godette di buona salute e continuò a crescere normalmente. A parte pochi amici e parenti, nessuno fu informato che Gesù era un “figlio della promessa”. Uno dei parenti di Giuseppe lo rivelò ad alcuni amici di Menfi, discendenti del lontano Ikhnaton, ed essi, con un piccolo gruppo di credenti di Alessandria, si riunirono nella sontuosa dimora del parente-benefattore di Giuseppe, poco tempo prima del loro ritorno in Palestina, per augurare ogni bene alla famiglia di Nazaret ed ossequiare il bambino. In questa occasione gli amici riuniti fecero dono a Gesù di un esemplare completo della traduzione in greco delle Scritture ebraiche. Ma questo esemplare dei testi sacri ebraici fu messo nelle mani di Giuseppe solo dopo che lui e Maria ebbero entrambi declinato l’invito dei loro amici di Menfi e di Alessandria di rimanere in Egitto. Questi credenti sostenevano che il figlio del destino avrebbe potuto esercitare una ben più grande influenza mondiale abitando ad Alessandria piuttosto che in qualunque luogo della Palestina. Queste persuasioni ritardarono di qualche tempo la loro partenza per la Palestina dopo aver ricevuto la notizia della morte di Erode.
(1356.1) 123:0.4 Finalmente Giuseppe e Maria lasciarono Alessandria su un battello in partenza per Giaffa, appartenente al loro amico Ezraeon, ed arrivarono in questo porto alla fine di agosto dell’anno 4 a.C. Essi si recarono direttamente a Betlemme, dove passarono tutto il mese di settembre a discutere con i loro amici e parenti se dovessero rimanere là o ritornare a Nazaret.
(1356.2) 123:0.5 Maria non aveva mai completamente abbandonato l’idea che Gesù dovesse crescere a Betlemme, la Città di Davide. Giuseppe non credeva realmente che il loro figlio fosse destinato a diventare un re liberatore d’Israele. Inoltre egli sapeva che lui stesso non era un vero discendente di Davide; che il fatto di essere considerato fra la posterità di Davide era dovuto all’adozione di uno dei suoi antenati nella linea dei discendenti di Davide. Maria pensava naturalmente che la Città di Davide fosse il luogo più appropriato in cui il nuovo candidato al trono di Davide potesse essere cresciuto, ma Giuseppe preferiva rischiare con Erode Antipa piuttosto che con suo fratello Archelao. Egli nutriva grandi timori per la sicurezza del bambino a Betlemme o in qualsiasi altra città della Giudea, e pensava che Archelao avrebbe proseguito probabilmente la politica minacciosa di suo padre Erode più di quanto avrebbe fatto Antipa in Galilea. A prescindere da tutte queste ragioni, Giuseppe espresse apertamente la sua preferenza per la Galilea come luogo migliore in cui crescere ed educare il bambino, ma ci vollero tre settimane per vincere le obiezioni di Maria.
(1356.3) 123:0.6 Il primo ottobre Giuseppe aveva convinto Maria e tutti i loro amici che era meglio per loro ritornare a Nazaret. Di conseguenza, all’inizio di ottobre dell’anno 4 a.C. essi lasciarono Betlemme per Nazaret seguendo la strada di Lidda e Scitopoli. Essi partirono di buon’ora una domenica mattina; Maria ed il bambino erano montati su un animale da soma appena acquistato, mentre Giuseppe e cinque parenti li accompagnavano a piedi; i parenti di Giuseppe non avevano permesso loro di fare il viaggio da soli fino a Nazaret. Essi avevano paura di andare in Galilea passando per Gerusalemme e per la valle del Giordano, e le strade dell’ovest non erano del tutto sicure per due viaggiatori soli con un bambino in tenera età.
(1356.4) 123:1.1 Al quarto giorno di viaggio il gruppo giunse senza inconvenienti a destinazione. Essi arrivarono senza preavviso nella loro casa di Nazaret, che era stata occupata per più di tre anni da uno dei fratelli sposati di Giuseppe, il quale in verità fu sorpreso di vederli. Essi avevano condotto i loro affari in modo così riservato che sia la famiglia di Giuseppe che quella di Maria non sapevano nemmeno che avevano lasciato Alessandria. Il giorno dopo il fratello di Giuseppe condusse via la sua famiglia, e Maria, per la prima volta dalla nascita di Gesù, si sistemò con la sua piccola famiglia per godere della vita nella propria casa. In meno di una settimana Giuseppe trovò lavoro come carpentiere ed essi furono estremamente felici.
(1356.5) 123:1.2 Gesù aveva circa tre anni e due mesi al momento del loro ritorno a Nazaret. Egli aveva sopportato benissimo tutti questi viaggi, si trovava in eccellente salute e provava una gioia infantile ed esuberante ad avere dei locali per lui dove giocare liberamente ed essere felice. Ma gli mancava molto la compagnia dei suoi compagni di gioco di Alessandria.
(1356.6) 123:1.3 Sulla strada per Nazaret, Giuseppe aveva persuaso Maria che sarebbe stato inopportuno diffondere fra i loro amici e parenti galilei la notizia che Gesù era un figlio della promessa. Essi rimasero d’accordo di non fare alcuna menzione di queste materie a nessuno. Ed entrambi tennero fede a questa promessa.
(1357.1) 123:1.4 Tutto il quarto anno di Gesù fu un periodo di sviluppo fisico normale e di straordinaria attività mentale. Nel frattempo egli aveva stretto una grande amicizia con un ragazzo vicino, quasi della sua stessa età, di nome Giacobbe. Gesù e Giacobbe erano sempre felici di giocare insieme e divennero col tempo grandi amici e compagni leali.
(1357.2) 123:1.5 Il successivo avvenimento importante nella vita di questa famiglia di Nazaret fu la nascita del secondo figlio, Giacomo, nelle prime ore del mattino del 2 aprile dell’anno 3 a.C. Gesù era eccitato al pensiero di avere un fratellino e stava vicino a lui per delle ore semplicemente per osservare i primi gesti del bambino.
(1357.3) 123:1.6 Fu a metà estate di questo stesso anno che Giuseppe costruì un piccolo laboratorio accanto alla fontana del villaggio e vicino al caravanserraglio. Dopo di ciò egli fece pochi lavori come carpentiere a giornata. Aveva come associati due dei suoi fratelli e parecchi altri operai, che mandava a lavorare fuori mentre lui restava in laboratorio a fabbricare carrucole, gioghi ed altri oggetti di legno. Egli faceva anche lavori in cuoio, con la corda e con la tela. E Gesù, mentre cresceva, quando non era a scuola, trascorreva il suo tempo quasi egualmente ad aiutare sua madre nei lavori di casa e ad osservare suo padre al lavoro nel laboratorio, ascoltando nel contempo le conversazioni e le chiacchiere dei conduttori di carovane e dei viaggiatori provenienti dai quattro angoli della terra.
(1357.4) 123:1.7 Nel luglio di quest’anno, un mese prima che Gesù compisse quattro anni, un’epidemia maligna di disturbi intestinali portata dai viaggiatori delle carovane si diffuse in tutta Nazaret. Maria fu così allarmata per il pericolo al quale Gesù era esposto per questa epidemia che fece i bagagli e fuggì con i suoi due bambini alla fattoria di suo fratello, parecchi chilometri a sud di Nazaret, sulla strada di Meghiddo, vicino a Sarid. Essi non ritornarono a Nazaret per più di due mesi; Gesù fu molto felice per questa sua prima esperienza in una fattoria.
(1357.5) 123:2.1 Poco più di un anno dopo il ritorno a Nazaret, il bambino Gesù arrivò all’età della sua prima personale e sincera decisione morale; e ciò portò ad abitare in lui un Aggiustatore di Pensiero, un dono divino del Padre del Paradiso, che aveva servito in precedenza con Machiventa Melchizedek ed acquisito così l’esperienza per funzionare in connessione con l’incarnazione di un essere supermortale vivente nelle sembianze della carne mortale. Questo avvenimento ebbe luogo l’11 febbraio dell’anno 2 a.C. Gesù non fu più consapevole della venuta del Monitore divino di quanto lo sono milioni e milioni di altri bambini che, prima e dopo quel giorno, hanno parimenti ricevuto questi Aggiustatori di Pensiero venuti ad abitare le loro menti ed a lavorare per la spiritualizzazione finale di queste menti e per la sopravvivenza eterna delle loro anime immortali in evoluzione.
(1357.6) 123:2.2 In questo giorno di febbraio terminò la supervisione diretta e personale dei Dirigenti dell’Universo per quanto concerneva l’integrità di Micael incarnato come bambino. A partire da quel momento e per tutto lo sviluppo umano della sua incarnazione, la salvaguardia di Gesù era destinata a rimanere a carico di questo Aggiustatore interiore e dei guardiani serafici associati, aiutati di tanto in tanto dal ministero delle creature intermedie, incaricate dell’esecuzione di certi compiti specifici conformemente alle istruzioni dei loro superiori planetari.
(1357.7) 123:2.3 Gesù compì cinque anni in agosto di quest’anno, perciò ne parleremo come del suo quinto anno (solare) di vita. In quest’anno, 2 a.C., poco più di un mese prima del suo quinto compleanno, Gesù fu molto felice per la venuta al mondo di sua sorella Miriam, nata nella notte dell’11 luglio. La sera del giorno seguente Gesù ebbe un lungo colloquio con suo padre sul modo in cui i diversi gruppi di esseri viventi vengono al mondo come individui distinti. La parte più preziosa della prima educazione di Gesù fu data dai suoi genitori in risposta alle sue domande riflessive e profonde. Giuseppe non mancò mai di fare tutto il suo dovere prendendosi la pena e spendendo del tempo per rispondere alle numerose domande del ragazzo. Dall’età di cinque anni e fino ai dieci Gesù fu un continuo punto interrogativo. Anche se Giuseppe e Maria non potevano rispondere sempre alle sue domande, non mancavano mai di discuterle a fondo ed in ogni altro modo possibile di assisterlo nei suoi sforzi per giungere ad una soluzione soddisfacente dei problemi che la sua sveglia mente gli aveva suggerito.
(1358.1) 123:2.4 Dopo il loro ritorno a Nazaret essi avevano avuto una vita familiare molto intensa, e Giuseppe era stato particolarmente occupato nella costruzione del suo nuovo laboratorio e nella ripresa dei suoi affari. Egli fu talmente occupato che non aveva trovato il tempo di costruire una culla per Giacomo, ma aveva rimediato a ciò molto prima della nascita di Miriam, cosicché essa aveva un lettino molto confortevole in cui annidarsi mentre la famiglia l’ammirava. Ed il bambino Gesù partecipava con grande entusiasmo a tutte queste esperienze naturali e normali dell’ambiente familiare. Egli si divertiva molto col suo fratellino e la sua sorellina e fu di grande aiuto a Maria nella loro cura.
(1358.2) 123:2.5 C’erano poche famiglie nel mondo gentile di quel tempo che potevano dare ad un bambino un’educazione intellettuale, morale e religiosa migliore di quella delle famiglie ebree della Galilea. Questi Ebrei avevano un programma sistematico per l’educazione e l’istruzione dei loro figli. Essi dividevano la vita di un bambino in sette stadi:
(1358.3) 123:2.6 1. Il neonato, dal primo all’ottavo giorno.
(1358.4) 123:2.7 2. Il lattante.
(1358.5) 123:2.8 3. Lo svezzato.
(1358.6) 123:2.9 4. Il periodo di dipendenza dalla madre, sino alla fine del quinto anno.
(1358.7) 123:2.10 5. L’inizio dell’indipendenza del bambino e, per i maschi, l’assunzione da parte del padre della responsabilità per la loro educazione.
(1358.8) 123:2.11 6. I giovani e le giovani adolescenti.
(1358.9) 123:2.12 7. I giovani uomini e le giovani donne.
(1358.10) 123:2.13 Era usanza degli Ebrei della Galilea che le madri avessero la responsabilità dell’educazione dei figli fino al loro quinto compleanno, e poi, se il figlio era un maschio, di considerare il padre responsabile dell’educazione del giovane da quel momento in poi. Quest’anno perciò Gesù entrò nel quinto stadio della carriera di un figlio ebreo galileo, e di conseguenza il 21 agosto dell’anno 2 a.C. Maria lo affidò ufficialmente a Giuseppe per il proseguimento della sua educazione.
(1358.11) 123:2.14 Benché Giuseppe dovesse ora assumere la responsabilità diretta dell’educazione intellettuale e religiosa di Gesù, sua madre s’interessava ancora della sua educazione familiare. Essa gli insegnò a conoscere e coltivare le vigne ed i fiori che crescevano lungo i muri del giardino che circondavano completamente la loro casa. Portò anche sulla terrazza della casa (la stanza da letto estiva) delle casse di sabbia poco profonde nelle quali Gesù disegnò delle mappe e fece molte delle sue prime esercitazioni di scrittura in aramaico, in greco e più tardi in ebraico, perché egli imparò col tempo a leggere, a scrivere ed a parlare correntemente tutte e tre le lingue.
(1358.12) 123:2.15 Gesù appariva essere fisicamente un bambino quasi perfetto, e continuava a fare dei progressi normali mentalmente ed emotivamente. Egli soffrì di un leggero disturbo digestivo, la sua prima indisposizione di poca importanza, alla fine del suo quinto anno (solare).
(1359.1) 123:2.16 Benché Giuseppe e Maria parlassero spesso del futuro del loro figlio primogenito, se voi foste stati là, avreste solamente osservato lo sviluppo di un bambino normale di quel tempo e luogo, sano, senza preoccupazioni, ma estremamente avido di sapere.
(1359.2) 123:3.1 Con l’aiuto di sua madre, Gesù aveva già imparato bene il dialetto galileo della lingua aramaica, ed ora suo padre cominciava ad insegnargli il greco. Maria parlava poco il greco, ma Giuseppe parlava correntemente sia l’aramaico che il greco. Il manuale per lo studio della lingua greca era l’esemplare delle Scritture ebraiche — una versione completa della Legge e dei Profeti, inclusi i Salmi — che era stato donato loro alla partenza dall’Egitto. In tutta Nazaret c’erano soltanto due esemplari completi delle Scritture in greco, ed il possesso di una di esse da parte della famiglia del carpentiere faceva della casa di Giuseppe un luogo molto ricercato, e permise a Gesù, mentre cresceva, d’incontrare una processione quasi incessante di studiosi seri e di cercatori sinceri della verità. Prima della fine di quest’anno Gesù aveva assunto la custodia di questo prezioso manoscritto, essendogli stato detto nel giorno del suo sesto compleanno che il libro sacro gli era stato offerto da amici e parenti di Alessandria. Ed in brevissimo tempo egli sapeva leggerlo correntemente.
(1359.3) 123:3.2 Il primo grande shock della giovane vita di Gesù avvenne poco prima che compisse i sei anni. Era sembrato al ragazzo che suo padre — o almeno suo padre e sua madre insieme — sapessero tutto. Immaginate perciò la sorpresa di questo bambino indagatore quando chiese a suo padre la causa di un leggero terremoto appena verificatosi e si sentì rispondere da Giuseppe: “Figlio mio, in realtà non lo so.” Cominciò così quella lunga e sconcertante serie di disillusioni, nel corso della quale Gesù si accorse che i suoi genitori terreni non erano né infinitamente saggi né onniscienti.
(1359.4) 123:3.3 Il primo pensiero di Giuseppe fu di dire a Gesù che il terremoto era stato causato da Dio, ma un attimo di riflessione lo avvertì che una tale risposta avrebbe provocato immediatamente ulteriori domande ancora più imbarazzanti. Anche nella sua prima infanzia era stato molto difficile rispondere alle domande di Gesù concernenti i fenomeni fisici o sociali dicendogli avventatamente che Dio o il diavolo ne erano responsabili. Conformemente alla credenza prevalente del popolo ebraico, Gesù era da tempo disposto ad accettare la dottrina dei buoni e dei cattivi spiriti come possibile spiegazione dei fenomeni mentali e spirituali, ma molto presto si mise a dubitare che queste influenze invisibili fossero responsabili degli avvenimenti fisici del mondo naturale.
(1359.5) 123:3.4 Prima che Gesù compisse i sei anni, all’inizio dell’estate dell’anno 1 a.C., Zaccaria, Elisabetta ed il loro figlio Giovanni vennero a far visita alla famiglia di Nazaret. Gesù e Giovanni trascorsero dei momenti felici durante questa visita, la prima nei loro ricordi. Benché i visitatori poterono restare solo pochi giorni, i genitori parlarono di molte cose, inclusi i piani futuri per i loro figli. Mentre essi erano impegnati in tal modo, i ragazzi giocavano con dei blocchetti di legno nella sabbia sulla terrazza della casa e si divertivano insieme in molte altre maniere come degli autentici ragazzi.
(1359.6) 123:3.5 Avendo incontrato Giovanni, che veniva dai dintorni di Gerusalemme, Gesù cominciò a dimostrare uno straordinario interesse per la storia d’Israele e ad informarsi dettagliatamente sul significato dei riti del sabato, dei sermoni della sinagoga e delle feste ricorrenti di commemorazione. Suo padre gli aveva spiegato il significato di tutti questi anniversari. La prima era la festa dell’illuminazione di metà inverno, che durava otto giorni ed iniziava con una candela la prima notte, aggiungendone una ogni notte successiva; ciò commemorava la dedicazione del tempio dopo la restaurazione del cerimoniale di Mosè da parte di Giuda Maccabeo. Poi veniva, all’inizio di primavera, la celebrazione del Purim, la festa di Ester e la liberazione di Israele per mezzo di essa. Poi seguiva la Pasqua solenne, che gli adulti celebravano a Gerusalemme tutte le volte che era possibile, mentre a casa i figli dovevano ricordarsi che per tutta la settimana non bisognava mangiare pane fatto lievitare. Più tardi veniva la festa dei primi frutti, il raccolto della mietitura; ed infine la più solenne di tutte, la festa del nuovo anno, il giorno dell’espiazione. Anche se alcune di queste celebrazioni ed osservanze erano difficili da comprendere per la giovane mente di Gesù, egli vi rifletteva seriamente. E poi prese gioiosamente parte alla festa dei tabernacoli, il periodo delle vacanze annuali di tutto il popolo ebraico, il momento in cui si accampavano sotto capanne di frasche e si abbandonavano alla gioia ed ai piaceri.
(1360.1) 123:3.6 Durante quest’anno Giuseppe e Maria ebbero delle difficoltà con Gesù riguardo alle sue preghiere. Egli insisteva per parlare a suo Padre celeste come avrebbe parlato a Giuseppe, suo padre terreno. Questa infrazione ai modi solenni e riveriti di comunicazione con la Deità era un po’ sconcertante per i suoi genitori, specialmente per sua madre, ma non si riusciva a persuaderlo di cambiare; egli diceva le sue preghiere così come gli era stato insegnato, dopodiché insisteva per avere “giusto un piccolo colloquio con mio Padre nei cieli”.
(1360.2) 123:3.7 In giugno di quest’anno Giuseppe cedette il laboratorio di Nazaret ai suoi fratelli e si dedicò completamente al suo lavoro d’imprenditore edile. Prima della fine dell’anno il reddito della famiglia era più che triplicato. Mai più, fino a dopo la morte di Giuseppe, la famiglia di Nazaret conobbe l’angoscia della povertà. La famiglia s’ingrandì sempre di più, e si spese molto denaro in studi ed in viaggi supplementari, ma il reddito crescente di Giuseppe rimaneva sempre al passo con l’aumento delle spese.
(1360.3) 123:3.8 Durante i pochi anni che seguirono Giuseppe fece lavori considerevoli a Cana, Betlemme (di Galilea), Magdala, Nain, Sefforis, Cafarnao ed Endor, così come molte costruzioni a Nazaret e nei suoi dintorni. Quando Giacomo divenne abbastanza grande per aiutare sua madre nelle faccende di casa e nella cura dei figli più giovani, Gesù fece frequenti viaggi lontano da casa con suo padre in queste città e villaggi circostanti. Gesù era un acuto osservatore ed acquisì molte conoscenze pratiche nel corso di questi viaggi lontano da casa; egli immagazzinava assiduamente le conoscenze concernenti l’uomo ed il suo modo di vivere sulla terra.
(1360.4) 123:3.9 Quest’anno Gesù fece grandi progressi per adattare i suoi forti sentimenti ed i suoi impulsi vigorosi alle esigenze familiari di cooperazione e di disciplina domestica. Maria era una madre amorevole, ma abbastanza severa sulla disciplina. Tuttavia, sotto molti aspetti, era Giuseppe che esercitava il maggior controllo su Gesù, perché aveva l’abitudine di sedersi vicino al ragazzo e di spiegargli pienamente le ragioni reali e soggiacenti della necessità di un disciplinato contenimento dei desideri personali a favore del benessere e della tranquillità di tutta la famiglia. Quando la situazione era stata spiegata a Gesù, egli cooperava sempre intelligentemente e di buon grado con i desideri dei genitori e con le regole familiari.
(1360.5) 123:3.10 Quando sua madre non aveva bisogno del suo aiuto in casa, Gesù occupava molto del suo tempo libero nello studio dei fiori e delle piante durante il giorno ed in quello delle stelle la sera. Egli mostrava una spiacevole tendenza a restare sdraiato sulla schiena e a contemplare con meraviglia il cielo stellato per molto tempo dopo la sua ora abituale di andare a letto in questa casa bene ordinata di Nazaret.
(1361.1) 123:4.1 Questo fu in verità un anno movimentato nella vita di Gesù. All’inizio di gennaio una grande tempesta di neve si abbatté sulla Galilea. La neve cadde per sessanta centimetri di altezza; fu la più forte nevicata che Gesù vide durante la sua vita ed una delle più importanti a Nazaret in cent’anni.
(1361.2) 123:4.2 Le distrazioni dei ragazzi ebrei al tempo di Gesù erano piuttosto limitate; troppo spesso i ragazzi giocavano alle occupazioni più serie che avevano osservato fare dalle persone più anziane di loro. Essi giocavano molto ai matrimoni e ai funerali, cerimonie che vedevano così frequentemente e che erano così spettacolari. Danzavano e cantavano, ma avevano pochi giochi organizzati, come quelli che piacciono tanto ai ragazzi moderni.
(1361.3) 123:4.3 Gesù, in compagnia di un ragazzo del vicinato e più tardi di suo fratello Giacomo, amava giocare nell’angolo più lontano del laboratorio familiare di carpenteria, dove essi si divertivano molto con dei trucioli e dei pezzi di legno. Era sempre difficile per Gesù comprendere il male che c’era in certi tipi di gioco che erano proibiti di sabato, ma non mancò mai di conformarsi ai desideri dei suoi genitori. Egli aveva un’attitudine all’umorismo e al gioco che aveva poche opportunità di esprimere nell’ambiente del suo tempo e della sua generazione, ma fino all’età di quattordici anni egli fu per la maggior parte del tempo gaio e spensierato.
(1361.4) 123:4.4 Maria aveva una piccionaia sul tetto dello stabile per gli animali contiguo alla casa, ed essi destinavano i profitti della vendita dei piccioni ad un fondo speciale di carità, che Gesù amministrava dopo averne dedotto la decima che versava all’incaricato della sinagoga.
(1361.5) 123:4.5 Il solo vero incidente capitato a Gesù fino ad allora fu una caduta dalla scala di pietra del cortile retrostante, che portava alla camera da letto che aveva il tetto di tela. Successe in luglio durante un’improvvisa tempesta di sabbia proveniente da est. I venti caldi, che sollevavano dei refoli di sabbia fine, soffiavano generalmente durante la stagione delle piogge, specialmente in marzo e aprile. Era eccezionale vedere una tale tempesta in luglio. Quando essa arrivò, Gesù stava giocando sulla terrazza della casa com’era sua abitudine, perché durante la maggior parte della stagione secca questa era la sua stanza di giochi abituale. Scendendo dalla scala egli fu accecato dalla sabbia e cadde. Dopo questo incidente Giuseppe costruì una balaustra ai due lati della scala.
(1361.6) 123:4.6 Non c’era alcun modo in cui questo incidente potesse essere prevenuto. Non fu una negligenza imputabile ai guardiani intermedi temporali, poiché un intermedio primario ed uno secondario erano stati assegnati alla sorveglianza del ragazzo; né era imputabile al serafino guardiano. Semplicemente ciò non poteva essere evitato. Ma questo lieve incidente, avvenuto mentre Giuseppe era ad Endor, provocò un’ansietà così grande nella mente di Maria che essa decise poco saggiamente di tenere Gesù molto vicino a lei per qualche mese.
(1361.7) 123:4.7 Le personalità celesti non interferiscono arbitrariamente negli incidenti materiali, che sono avvenimenti correnti di natura fisica. Nelle circostanze ordinarie solo gli intermedi possono intervenire sulle condizioni materiali per salvaguardare le persone di uomini e donne del destino, ed anche in situazioni speciali questi esseri possono agire solo in obbedienza ai mandati specifici dei loro superiori.
(1361.8) 123:4.8 Questo non fu che uno dei numerosi incidenti minori di tal genere che capitarono in seguito a questo giovane curioso ed avventuroso. Se considerate l’infanzia e la fanciullezza ordinaria di un ragazzo dinamico, avrete un’idea abbastanza buona della carriera giovanile di Gesù e forse potrete immaginare quanta ansietà causò ai suoi genitori, particolarmente a sua madre.
(1362.1) 123:4.9 Il quarto membro della famiglia di Nazaret, Giuseppe, nacque mercoledì mattina 16 marzo dell’anno 1 d. C.
(1362.2) 123:5.1 Gesù aveva ora sette anni, l’età nella quale i bambini ebrei erano tenuti a cominciare la loro educazione ufficiale nelle scuole della sinagoga. Di conseguenza, in agosto di quest’anno egli iniziò la sua movimentata vita scolastica a Nazaret. Questo ragazzo leggeva, scriveva e parlava già correntemente due lingue, l’aramaico ed il greco. Egli doveva ora familiarizzarsi con il compito d’imparare a leggere, scrivere e parlare la lingua ebraica. Egli era veramente impaziente per la nuova vita scolastica che lo aspettava.
(1362.3) 123:5.2 Per tre anni — fino ai dieci — egli frequentò la scuola elementare della sinagoga di Nazaret. Durante questi tre anni egli studiò i rudimenti del Libro della Legge così come redatto in lingua ebraica. Nei tre anni successivi egli studiò nella scuola superiore ed imparò a memoria, col metodo della ripetizione ad alta voce, gli insegnamenti più profondi della legge sacra. Egli fu diplomato dalla scuola della sinagoga nel corso del suo tredicesimo anno e fu restituito ai suoi genitori dai capi della sinagoga come un educato “figlio del comandamento” — un cittadino ormai responsabile della comunità d’Israele, cosa che gli imponeva di assistere alla Pasqua a Gerusalemme; di conseguenza, egli partecipò alla sua prima Pasqua quell’anno in compagnia di suo padre e di sua madre.
(1362.4) 123:5.3 A Nazaret gli allievi si sedevano in semicerchio sul pavimento mentre il loro insegnante, il cazan, un funzionario della sinagoga, era seduto di fronte a loro. Cominciando dal Libro del Levitico, essi passavano allo studio degli altri libri della Legge, seguito dallo studio dei Profeti e dei Salmi. La sinagoga di Nazaret possedeva un esemplare completo delle Scritture in lingua ebraica. Prima dei dodici anni non si studiava nient’altro che le Scritture. Durante i mesi estivi le ore di scuola erano molto ridotte.
(1362.5) 123:5.4 Gesù divenne presto padrone della lingua ebraica, e da giovane, quando nessun visitatore importante soggiornava a Nazaret, gli si chiedeva spesso di leggere le Scritture ebraiche ai fedeli riuniti nella sinagoga per i servizi religiosi regolari del sabato.
(1362.6) 123:5.5 Beninteso, le scuole della sinagoga non avevano libri di testo. Per insegnare il cazan pronunciava una frase che gli scolari ripetevano all’unisono dopo di lui. Quando avevano accesso ai libri scritti della Legge, gli studenti imparavano le loro lezioni leggendo ad alta voce e ripetendo costantemente.
(1362.7) 123:5.6 In aggiunta alla sua educazione ufficiale, Gesù cominciò poi a prendere contatto con la natura umana delle quattro parti della terra, giacché gli uomini di numerosi paesi andavano e venivano nel laboratorio di riparazioni di suo padre. Crescendo, egli si mescolò liberamente alle carovane che si fermavano vicino alla fontana per riposarsi e ristorarsi. Poiché parlava correntemente il greco, egli non aveva difficoltà a conversare con la maggior parte dei viaggiatori e dei conducenti delle carovane.
(1362.8) 123:5.7 Nazaret era una stazione sulla via delle carovane ed un crocevia di viaggi, ed era largamente popolata da Gentili; allo stesso tempo era molto conosciuta come centro d’interpretazione liberale della legge ebraica tradizionale. In Galilea gli Ebrei si mescolavano con i Gentili più liberamente di quanto non fosse usanza in Giudea. E fra tutte le città della Galilea, gli Ebrei di Nazaret erano i più liberali nella loro interpretazione delle restrizioni sociali basate sui timori di contaminazione risultante dal contatto con i Gentili. Queste condizioni avevano dato origine ad una massima corrente a Gerusalemme: “Può uscire qualcosa di buono da Nazaret?”
(1363.1) 123:5.8 Gesù ricevette la sua formazione morale e la sua cultura spirituale principalmente nel suo ambiente familiare. Acquisì molta della sua educazione intellettuale e teologica dal cazan. Ma la sua educazione reale — quel bagaglio di mente e di cuore per la prova effettiva di lottare con i difficili problemi della vita — l’ottenne mescolandosi ai suoi simili. Fu questa stretta associazione coi suoi simili, giovani e vecchi, Ebrei e Gentili, che gli fornì l’opportunità di conoscere la razza umana. Gesù era molto colto, nel senso che comprendeva completamente gli uomini e li amava con devozione.
(1363.2) 123:5.9 Durante i suoi anni alla sinagoga egli fu uno studente brillante, possedendo un grande vantaggio per il fatto di saper parlare tre lingue. In occasione della fine del corso di Gesù nella sua scuola, il cazan di Nazaret fece notare a Giuseppe che egli temeva “di aver imparato più cose dalle domande penetranti di Gesù” di quante lui era “stato capace d’insegnare al ragazzo”.
(1363.3) 123:5.10 Durante il suo intero corso di studi Gesù imparò molto e trasse grande ispirazione dai sermoni regolari del sabato nella sinagoga. Era usanza chiedere ai visitatori importanti che si fermavano il sabato a Nazaret di prendere la parola nella sinagoga. Crescendo, Gesù ascoltò molti grandi pensatori dell’intero mondo ebraico esporre i loro punti di vista, ed anche molti che non erano Ebrei ortodossi, poiché la sinagoga di Nazaret era un centro avanzato e liberale di pensiero e di cultura ebraici.
(1363.4) 123:5.11 Entrando a scuola a sette anni (in quest’epoca gli Ebrei avevano appena messo in vigore una legge sull’istruzione obbligatoria), era usanza per gli allievi scegliere il loro “testo d’anniversario”, una sorta di regola d’oro per guidarli durante tutti i loro studi, e sul quale dovevano spesso relazionare nel corso del loro esame a tredici anni. Il testo che Gesù aveva scelto era tratto dal profeta Isaia: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha unto; egli mi ha inviato a portare la buona novella ai mansueti, a consolare gli afflitti, a proclamare la libertà agli schiavi ed a liberare i prigionieri spirituali.”
(1363.5) 123:5.12 Nazaret era uno dei ventiquattro centri di sacerdozio della nazione ebraica. Ma il clero della Galilea era più liberale degli Scribi e dei rabbini della Giudea nell’interpretazione delle leggi tradizionali. E a Nazaret c’era anche più libertà circa l’osservanza del sabato, per questo Giuseppe aveva l’abitudine di condurre Gesù a passeggio il sabato pomeriggio. Una delle loro escursioni favorite consisteva nel salire sull’alta collina vicina alla loro casa, da dove avevano una vista panoramica di tutta la Galilea. A nordovest, con tempo sereno, essi potevano vedere la lunga cresta del Monte Carmelo che scendeva verso il mare; e Gesù ascoltò molte volte suo padre raccontare la storia di Elia, uno dei primi della lunga fila di profeti ebrei, che biasimò Acab e smascherò i sacerdoti di Baal. A nord, il Monte Hermon elevava il suo picco nevoso in uno splendore maestoso e monopolizzava la linea dell’orizzonte con i quasi mille metri delle sue pendici superiori che scintillavano del biancore delle nevi eterne. Lontano, ad oriente, essi potevano discernere la valle del Giordano e, molto più lontano, le colline rocciose di Moab. Anche a sud e ad est, quando il sole ne illuminava le mura di marmo, essi potevano scorgere le città greco-romane della Decapoli con i loro anfiteatri ed i loro templi pretenziosi. E quando si attardavano al calare del sole, potevano distinguere ad ovest i battelli a vela sul lontano Mediterraneo.
(1364.1) 123:5.13 Dalle quattro direzioni Gesù poteva osservare i convogli di carovane che proseguivano il loro viaggio, entrando ed uscendo da Nazaret, e a sud poteva vedere il vasto e fertile paese della piana di Esdraelon, che si stendeva verso il Monte Gelboe e la Samaria.
(1364.2) 123:5.14 Quando non salivano sulle alture per guardare i paesaggi lontani, essi vagabondavano per la campagna e studiavano la natura sotto i suoi vari aspetti secondo le stagioni. La primissima educazione di Gesù, a parte quella familiare, era consistita nel prendere un contatto rispettoso ed amorevole con la natura.
(1364.3) 123:5.15 Prima degli otto anni egli era conosciuto da tutte le madri e dalle giovani di Nazaret, che l’avevano incontrato ed avevano parlato con lui alla fontana che era vicino a casa sua, e che era uno dei centri sociali d’incontro e di pettegolezzo dell’intera città. Quest’anno Gesù imparò a mungere la mucca della famiglia e a prendersi cura degli altri animali. Durante quest’anno e quello seguente egli imparò anche a fare il formaggio e a tessere. A dieci anni era un abile tessitore. Fu in quest’epoca che Gesù ed il suo giovane vicino Giacobbe divennero grandi amici del vasaio che lavorava nei pressi della fontana; e mentre osservavano le agili dita di Natan modellare l’argilla sul tornio, entrambi decisero molte volte di diventare vasai quando fossero cresciuti. Natan era molto affezionato ai ragazzi e spesso dava loro dell’argilla per giocare, cercando di stimolare la loro immaginazione creativa suggerendo di sfidarsi nel modellare vari oggetti ed animali.
(1364.4) 123:6.1 Questo fu un interessante anno scolastico. Benché Gesù non fosse uno studente straordinario, era un allievo diligente ed apparteneva al terzo migliore della sua classe, facendo così bene il suo lavoro da essere dispensato dal presenziare per una settimana al mese. Egli trascorreva generalmente questa settimana o con suo zio pescatore sulle rive del Mare di Galilea, vicino a Magdala, o alla fattoria di un altro zio (fratello di sua madre) a circa otto chilometri a sud di Nazaret.
(1364.5) 123:6.2 Benché sua madre si preoccupasse esageratamente della sua salute e della sua sicurezza, si abituava gradualmente a questi soggiorni lontano da casa. Gli zii e le zie di Gesù l’amavano molto, e ne derivò fra di loro, nel corso di quest’anno e degli anni seguenti, una viva competizione per assicurarsi la sua compagnia durante queste visite mensili. Il suo primo soggiorno di una settimana nella fattoria di suo zio (dalla sua infanzia) fu in gennaio di quest’anno; la prima esperienza di una settimana di pesca sul Mare di Galilea avvenne nel mese di maggio.
(1364.6) 123:6.3 In quest’epoca Gesù incontrò un insegnante di matematica di Damasco e, dopo aver imparato alcune nuove tecniche aritmetiche, dedicò molto tempo alla matematica per parecchi anni. Egli sviluppò un senso acuto dei numeri, delle distanze e delle proporzioni.
(1364.7) 123:6.4 Gesù cominciò ad apprezzare molto suo fratello Giacomo e alla fine di quest’anno aveva cominciato ad insegnargli l’alfabeto.
(1364.8) 123:6.5 Quest’anno Gesù fece degli accordi per scambiare prodotti caseari con lezioni di arpa. Egli aveva un’inclinazione straordinaria per tutto ciò che era musicale. Più tardi fece molto per promuovere l’interesse per la musica vocale fra i suoi giovani compagni. A undici anni egli era un abile arpista e provava grande piacere a far sentire alla sua famiglia ed ai suoi amici le sue straordinarie interpretazioni e le sue belle improvvisazioni.
(1365.1) 123:6.6 Mentre Gesù continuava a fare progressi considerevoli a scuola, non tutto andava bene per i suoi genitori o per i suoi insegnanti. Egli persisteva nel porre una quantità di domande imbarazzanti concernenti la scienza e la religione, particolarmente riguardo alla geografia e all’astronomia. Insisteva specialmente per sapere perché c’era una stagione secca ed una piovosa in Palestina. Egli cercò ripetutamente la spiegazione della grande differenza fra le temperature di Nazaret e della valle del Giordano. Semplicemente non cessava mai di porre tali domande, intelligenti ma imbarazzanti.
(1365.2) 123:6.7 Il suo terzo fratello, Simone, nacque venerdì sera 14 aprile di quest’anno 2 d.C.
(1365.3) 123:6.8 In febbraio, Naor, uno degli insegnanti di un’accademia rabbinica di Gerusalemme, venne a Nazaret per osservare Gesù, dopo aver compiuto una missione simile a casa di Zaccaria vicino a Gerusalemme. Egli venne a Nazaret su istigazione del padre di Giovanni. Poiché all’inizio fu un po’ sorpreso dalla franchezza di Gesù e dal suo modo poco convenzionale di rapportarsi alle cose religiose, attribuì ciò al fatto che la Galilea era lontana dai centri ebraici d’istruzione e di cultura, e consigliò a Giuseppe e a Maria di permettergli di condurre Gesù con lui a Gerusalemme, dove avrebbe potuto beneficiare dei vantaggi dell’educazione e dell’istruzione nel centro della cultura ebraica. Maria era quasi persuasa ad acconsentire; era convinta che il suo primogenito sarebbe divenuto il Messia, il liberatore degli Ebrei. Giuseppe esitava; era anch’egli persuaso che Gesù sarebbe cresciuto per divenire un uomo del destino, ma su quale sarebbe stato quel destino era profondamente incerto. Ma egli non dubitò mai realmente che suo figlio dovesse compiere una qualche grande missione sulla terra. Più pensava al consiglio di Naor, più dubitava della saggezza di questa proposta di soggiorno a Gerusalemme.
(1365.4) 123:6.9 A causa di questa divergenza di opinione fra Giuseppe e Maria, Naor chiese il permesso di sottoporre tutta la questione a Gesù. Gesù lo ascoltò con attenzione, parlò con Giuseppe, con Maria e con un vicino, Giacobbe il muratore, il cui figlio era il suo compagno di giochi favorito, e poi, due giorni più tardi, riferì che poiché esisteva una tale divergenza di opinioni fra i suoi genitori ed i suoi consiglieri e poiché egli non si stimava competente ad assumersi la responsabilità di una simile decisione, non sentendosi fortemente spinto né in un senso né nell’altro, alla luce dell’intera situazione aveva deciso alla fine di “parlare con mio Padre che è nei cieli”. E benché egli non fosse perfettamente sicuro della risposta, sentiva che doveva piuttosto restare a casa “con mio padre e mia madre”, aggiungendo, “essi che mi amano così tanto dovrebbero essere capaci di fare di più per me e di guidarmi con maggior sicurezza che non degli estranei che possono solamente vedere il mio corpo ed osservare la mia mente, ma che non possono conoscermi veramente.” Essi rimasero tutti meravigliati e Naor se ne tornò a Gerusalemme. Questo avvenne molti anni prima che fosse nuovamente presa in considerazione l’idea che Gesù potesse andare via da casa.
(1366.1) 124:0.1 ANCHE se Gesù avrebbe potuto beneficiare di un’opportunità migliore d’istruzione ad Alessandria che in Galilea, non avrebbe avuto lo stesso splendido ambiente per risolvere i problemi della sua vita con un minimo di guida educativa, godendo allo stesso tempo del grande vantaggio del contatto costante con un così gran numero di uomini e di donne di ogni classe provenienti da tutte le parti del mondo civilizzato. Se fosse rimasto ad Alessandria la sua educazione sarebbe stata diretta dagli Ebrei e seguendo linee esclusivamente ebraiche. A Nazaret egli ricevette un’educazione ed una formazione che lo prepararono in modo più accettabile a capire i Gentili, e che gli fornirono un’idea migliore e più equilibrata dei meriti rispettivi del punto di vista della teologia ebraica orientale, o babilonese, e di quella occidentale, o ellenica.
(1366.2) 124:1.1 Sebbene non si possa dire che Gesù sia mai stato seriamente ammalato, quest’anno soffrì di lievi disturbi dell’infanzia assieme ai suoi fratelli e alla sua sorellina.
(1366.3) 124:1.2 Egli continuava a frequentare la scuola ed era sempre un alunno stimato, con una settimana di libertà ogni mese, e continuava a dividere il suo tempo in modo quasi uguale fra i viaggi con suo padre nelle città vicine, i soggiorni alla fattoria di suo zio a sud di Nazaret e le partite di pesca al largo di Magdala.
(1366.4) 124:1.3 L’incidente più serio capitatogli fino ad allora a scuola si verificò nel tardo inverno quando Gesù osò sfidare il cazan riguardo all’insegnamento che tutte le immagini, le pitture e i disegni erano di natura idolatra. Gesù provava altrettanto piacere a disegnare i paesaggi quanto a modellare una grande varietà di oggetti con l’argilla da vasaio. Tutto questo genere di cose era strettamente proibito dalla legge ebraica, ma fino ad allora egli era riuscito a superare le obiezioni dei suoi genitori al punto che l’avevano autorizzato a proseguire in queste attività.
(1366.5) 124:1.4 Ma ci furono nuovi problemi a scuola quando uno degli allievi che stava più indietro scoperse Gesù mentre disegnava a carboncino un ritratto dell’insegnante sul pavimento della classe. Il ritratto era là, chiaro come il giorno, e molti degli anziani l’avevano visto prima che il comitato andasse a trovare Giuseppe per chiedergli di fare qualcosa per reprimere l’insubordinazione del suo primogenito. E benché questa non fosse la prima lamentela giunta a Giuseppe e a Maria sul comportamento del loro versatile ed intraprendente figlio, era però la più seria di tutte le accuse presentate sino ad allora contro di lui. Gesù ascoltò per qualche momento la condanna dei suoi sforzi artistici, seduto su una grossa pietra appena all’esterno della porta retrostante. Egli s’irritò nel sentire biasimare suo padre per i suoi cosiddetti misfatti; così avanzò intrepidamente fin davanti ai suoi accusatori. Gli anziani furono pieni d’imbarazzo. Alcuni furono inclini a prendere l’episodio con umorismo, mentre uno o due sembravano pensare che il ragazzo fosse sacrilego se non blasfemo. Giuseppe era confuso, Maria indignata, ma Gesù insisté per essere ascoltato. Egli ebbe il permesso di parlare; difese coraggiosamente il suo punto di vista e, con consumato autocontrollo, disse che si sarebbe conformato alla decisione di suo padre in questa come in tutte le altre questioni controverse. Ed il comitato di anziani partì in silenzio.
(1367.1) 124:1.5 Maria tentò d’influenzare Giuseppe affinché permettesse a Gesù di modellare l’argilla a casa, a condizione che promettesse di non proseguire a scuola alcuna di queste attività contestabili, ma Giuseppe si sentiva spinto a dichiarare che prevalesse l’interpretazione rabbinica del secondo comandamento. E così Gesù non disegnò né modellò mai più una qualunque forma da quel giorno e finché visse nella casa di suo padre. Ma egli non era convinto del male di ciò che aveva fatto e l’aver abbandonato il suo passatempo preferito fu una delle grandi prove della sua giovane vita.
(1367.2) 124:1.6 Alla fine di giugno Gesù, in compagnia di suo padre, salì per la prima volta sulla cima del Monte Tabor. Il tempo era sereno e la vista era stupenda. Sembrò a questo ragazzo di nove anni di aver realmente contemplato il mondo intero eccetto l’India, l’Africa e Roma.
(1367.3) 124:1.7 La seconda sorella di Gesù, Marta, nacque giovedì notte 13 settembre. Tre settimane dopo la nascita di Marta, Giuseppe, che era a casa per qualche tempo, cominciò la costruzione di un annesso alla loro casa, un misto di laboratorio e di stanza da letto. Un piccolo banco da lavoro fu costruito per Gesù che, per la prima volta, possedette attrezzi propri. Per parecchi anni egli lavorò a questo banco nei momenti liberi e divenne molto abile nella fabbricazione di gioghi.
(1367.4) 124:1.8 Questo inverno ed il seguente furono i più freddi a Nazaret da molti decenni. Gesù aveva visto della neve sulle montagne, e la neve era caduta parecchie volte a Nazaret, rimanendo sul terreno solo per breve tempo, ma prima di questo inverno egli non aveva mai visto il ghiaccio. Il fatto che l’acqua potesse essere un solido, un liquido o un vapore — egli aveva meditato a lungo sul vapore che usciva dalle pentole d’acqua bollente — diede molto da riflettere al ragazzo sul mondo fisico e la sua costituzione. E tuttavia la personalità incarnata in questo giovane in crescita era, durante tutto questo tempo, quella stessa del creatore e dell’organizzatore di tutte queste cose in tutto un immenso universo.
(1367.5) 124:1.9 Il clima di Nazaret non era rigido. Gennaio era il mese più freddo, con una temperatura media di circa dieci gradi. In luglio ed in agosto, i mesi più caldi, la temperatura variava tra i ventiquattro ed i trentadue gradi. Dalle montagne fino al Giordano e alla valle del Mar Morto il clima della Palestina passava dal freddo al torrido. E così, in un certo senso, gli Ebrei erano preparati a vivere in quasi tutti i vari climi del mondo.
(1367.6) 124:1.10 Anche durante i mesi estivi più caldi una fresca brezza marina soffiava abitualmente da ovest dalle dieci di mattina alle dieci di sera. Ma ogni tanto dei terribili venti caldi provenienti dal deserto orientale soffiavano su tutta la Palestina. Queste folate di vento si producevano generalmente in febbraio ed in marzo, verso la fine della stagione delle piogge. In quell’epoca la pioggia cadeva con degli acquazzoni rinfrescanti da novembre ad aprile, ma non pioveva in modo continuo. C’erano solo due stagioni in Palestina, l’estate e l’inverno, la stagione secca e la stagione piovosa. In gennaio i fiori cominciavano a sbocciare, e alla fine di aprile tutto il paese era un vasto giardino fiorito.
(1367.7) 124:1.11 In maggio di quest’anno, nella fattoria di suo zio, Gesù aiutò per la prima volta nella mietitura del grano. Prima dei tredici anni egli era riuscito a scoprire qualcosa praticamente di ogni mestiere che gli uomini e le donne esercitavano nei dintorni di Nazaret, eccetto la lavorazione dei metalli; e quando fu più grande, dopo la morte di suo padre, trascorse parecchi mesi nel laboratorio di un fabbro.
(1368.1) 124:1.12 Quando il lavoro ed il passaggio delle carovane diminuivano, Gesù faceva con suo padre molti viaggi di piacere o d’affari nelle città vicine di Cana, Endor e Nain. Da ragazzo egli aveva visitato spesso Sefforis, situata a circa cinque chilometri a nordovest di Nazaret, e che dall’anno 4 a.C. fino all’anno 25 d.C. circa fu la capitale della Galilea ed una delle residenze di Erode Antipa.
(1368.2) 124:1.13 Gesù continuava a crescere fisicamente, intellettualmente, socialmente e spiritualmente. I suoi viaggi lontano da casa contribuirono molto a dargli una comprensione migliore e più generosa della propria famiglia, e da questo momento anche i suoi genitori cominciarono ad imparare da lui nel mentre lo educavano. Anche da giovane Gesù era un pensatore originale ed un abile istruttore. Egli era in costante conflitto con la cosiddetta “legge orale”, ma cercava sempre di adattarsi alle pratiche della sua famiglia. Egli s’intendeva abbastanza bene con i ragazzi della sua età, ma era spesso scoraggiato dalla lentezza della loro mente. Prima dei dieci anni egli era divenuto il capo di un gruppo di sette ragazzi che si erano riuniti in una società per promuovere l’acquisizione delle qualità dell’età matura — fisiche, intellettuali e religiose. Gesù riuscì ad introdurre fra questi ragazzi molti giochi nuovi e vari metodi migliorati di ricreazione fisica.
(1368.3) 124:2.1 Era il cinque luglio, il primo sabato del mese, quando Gesù, mentre passeggiava per la campagna in compagnia di suo padre, espresse per la prima volta dei sentimenti e delle idee denotanti che cominciava a prendere coscienza della natura straordinaria della missione della sua vita. Giuseppe ascoltò con attenzione le importanti parole di suo figlio, ma fece pochi commenti; volutamente non diede informazioni. Il giorno dopo Gesù ebbe con sua madre un colloquio simile, ma più lungo. Maria ascoltò similmente le dichiarazioni del ragazzo, ma nemmeno lei volle dare alcuna informazione. Questo accadde circa due anni prima che Gesù parlasse di nuovo ai suoi genitori di questa crescente rivelazione nella sua coscienza riguardo alla natura della sua personalità e al carattere della sua missione terrena.
(1368.4) 124:2.2 In agosto egli entrò alla scuola superiore della sinagoga. A scuola provocava costantemente scompiglio con le domande che persisteva a porre. Egli teneva tutta Nazaret più o meno in subbuglio. I suoi genitori erano riluttanti ad impedirgli di porre queste domande imbarazzanti, ed il suo principale insegnante era molto turbato dalla curiosità del ragazzo, dalla sua perspicacia e dalla sua sete di conoscenza.
(1368.5) 124:2.3 I compagni di gioco di Gesù non vedevano nulla di soprannaturale nella sua condotta; sotto la maggior parte degli aspetti egli era del tutto simile a loro. Il suo interesse per lo studio era un po’ superiore alla media, ma per nulla eccezionale. È vero che a scuola egli poneva più domande dei suoi compagni di classe.
(1368.6) 124:2.4 Il suo tratto più insolito e rimarchevole era forse la sua riluttanza a battersi per i suoi diritti. Poiché era un ragazzo ben sviluppato per la sua età, i suoi compagni di gioco trovavano strano che fosse poco incline a difendersi, anche di fronte all’ingiustizia o quando era sottoposto a maltrattamenti personali. Comunque, egli non soffrì molto di questa tendenza grazie all’amicizia di Giacobbe, il suo giovane vicino, che aveva un anno più di lui. Questi era il figlio del tagliapietre associato agli affari di Giuseppe. Giacobbe era un grande ammiratore di Gesù e si faceva carico di vegliare a che nessuno si permettesse d’imporsi a Gesù approfittando della sua avversione al combattimento fisico. Molte volte dei giovani più grandi e maleducati attaccarono Gesù, contando sulla sua presunta docilità, ma ricevettero sempre una rapida e sicura punizione per mano del suo autonominatosi campione e sempre pronto difensore, Giacobbe il figlio del tagliapietre.
(1369.1) 124:2.5 Gesù era generalmente accettato come capo dei ragazzi di Nazaret che sostenevano gli ideali più elevati del loro tempo e della loro generazione. Egli era realmente amato dalla sua cerchia di giovani associati, non soltanto perché era equo, ma anche perché possedeva una rara e comprensiva simpatia che denotava amore e rasentava una prudente compassione.
(1369.2) 124:2.6 Quest’anno egli cominciò a mostrare una marcata preferenza per la compagnia di persone più anziane. Era felice di parlare di questioni culturali, educative, sociali, economiche, politiche e religiose con menti più mature, e la profondità dei suoi ragionamenti e l’acutezza delle sue osservazioni affascinavano talmente i suoi compagni adulti che erano sempre più disponibili a frequentarlo. Prima che egli divenisse responsabile del sostegno della famiglia, i suoi genitori cercavano costantemente di spingerlo ad associarsi con ragazzi della sua età, o più vicini alla sua età, piuttosto che con individui più anziani e più istruiti per i quali mostrava una tale preferenza.
(1369.3) 124:2.7 Alla fine di quest’anno egli fece con suo zio un’esperienza di due mesi di pesca sul Mare di Galilea, ed ebbe molto successo. Prima di giungere all’età adulta egli era divenuto un esperto pescatore.
(1369.4) 124:2.8 Il suo sviluppo fisico proseguiva; a scuola era un allievo avanzato e privilegiato; a casa s’intendeva abbastanza bene con i suoi fratelli e sorelle più giovani, avendo il vantaggio di essere di tre anni e mezzo maggiore del più vecchio degli altri figli. Egli era ben considerato a Nazaret, salvo che dai genitori di alcuni tra i ragazzi più ottusi, che parlavano spesso di Gesù come di persona troppo sfrontata, mancante dell’umiltà e della riservatezza che si convengono ai giovani. Egli manifestava una crescente tendenza ad orientare i giochi dei suoi giovani compagni in direzioni più serie e più riflessive. Era un maestro nato e non poteva assolutamente fare a meno di esercitare questa funzione, nemmeno quando sembrava impegnato nel gioco.
(1369.5) 124:2.9 Giuseppe cominciò presto ad insegnare a Gesù i diversi modi di guadagnarsi da vivere, spiegandogli i vantaggi dell’agricoltura sull’industria e sul commercio. La Galilea era il distretto più bello e prospero della Giudea, e la vita costava circa un quarto di quanto costava a Gerusalemme ed in Giudea. Era una provincia di villaggi agricoli e di città industriali prospere, comprendente più di duecento città con oltre cinquemila abitanti e trenta con oltre quindicimila.
(1369.6) 124:2.10 Durante il primo viaggio con suo padre per osservare l’industria della pesca sul lago di Galilea, Gesù aveva quasi deciso di diventare un pescatore; ma l’intima associazione con il mestiere di suo padre lo spinse più tardi a diventare carpentiere, mentre più tardi ancora una combinazione d’influenze lo portò a scegliere definitivamente la carriera d’insegnante religioso di un ordine nuovo.
(1369.7) 124:3.1 Durante tutto quest’anno il ragazzo continuò a fare con suo padre dei viaggi lontano da casa, ma fece anche frequenti visite alla fattoria di suo zio, ed occasionalmente andava a Magdala per pescare con lo zio che si era sistemato vicino a questa città.
(1369.8) 124:3.2 Giuseppe e Maria furono spesso tentati di fare per Gesù delle preferenze particolari o di lasciar trapelare in altro modo la loro conoscenza ch’egli era un figlio della promessa, un figlio del destino. Ma i suoi genitori erano entrambi straordinariamente saggi e sagaci in tutte queste materie. Le poche volte in cui essi avevano mostrato in qualche maniera una preferenza per lui, anche al minimo grado, il ragazzo non aveva esitato a rifiutare ogni considerazione speciale di tal genere.
(1370.1) 124:3.3 Gesù passava un tempo considerevole al magazzino di approvvigionamenti delle carovane, e conversando con i viaggiatori provenienti da tutte le parti del mondo acquisiva una quantità d’informazioni sugli affari internazionali che era stupefacente per la sua età. Questo fu l’ultimo anno durante il quale poté godere di molta libertà per i giochi e le gioie della gioventù. Da questo momento in poi le difficoltà e le responsabilità si moltiplicarono rapidamente nella vita di questo giovane.
(1370.2) 124:3.4 Mercoledì sera 24 giugno dell’anno 5 d.C. nacque Giuda. La nascita di questo settimo figlio fu accompagnata da complicazioni. Maria fu così ammalata per parecchie settimane che Giuseppe restò a casa. Gesù era molto occupato a fare delle commissioni per suo padre e ad assolvere molti doveri a causa della grave malattia di sua madre. Non fu mai più possibile a questo giovane ritornare al comportamento infantile dei suoi primi anni. A partire dalla malattia di sua madre — giusto prima dei suoi undici anni — egli fu costretto ad assumere le responsabilità proprie del figlio primogenito, e di farlo un anno o due prima del momento in cui questi oneri avrebbero normalmente dovuto ricadere sulle sue spalle.
(1370.3) 124:3.5 Il cazan passava una sera per settimana con Gesù per aiutarlo ad approfondire lo studio delle Scritture ebraiche. Egli era molto interessato ai progressi del suo promettente allievo; perciò era disposto ad aiutarlo in molte maniere. Questo pedagogo ebreo esercitò una grande influenza su questa mente in sviluppo, ma non riuscì mai a comprendere perché Gesù fosse così indifferente a tutti i suoi suggerimenti circa la prospettiva di andare a Gerusalemme per continuare la sua educazione sotto i dotti rabbini.
(1370.4) 124:3.6 Verso la metà di maggio il ragazzo accompagnò suo padre in un viaggio d’affari a Scitopoli, la principale città greca della Decapoli, l’antica città ebraica di Beth-Shean. Durante il tragitto Giuseppe gli parlò a lungo dell’antica storia del Re Saul, dei Filistei e degli avvenimenti successivi della turbolenta storia d’Israele. Gesù rimase enormemente impressionato dall’aspetto pulito e dalla disposizione ben ordinata di questa città cosiddetta pagana. Si meravigliò del teatro all’aperto ed ammirò il magnifico tempio di marmo consacrato al culto degli dei “pagani”. Giuseppe fu molto turbato dall’entusiasmo del ragazzo e cercò di contrastare queste impressioni favorevoli vantando la bellezza e la grandiosità del tempio ebreo di Gerusalemme. Gesù aveva spesso contemplato con curiosità questa magnifica città greca dalla collina di Nazaret e si era informato molte volte sui suoi vasti lavori pubblici ed i suoi edifici decorati, ma suo padre aveva sempre cercato di evitare di rispondere a queste domande. Ora erano faccia a faccia con le bellezze di questa città dei Gentili e Giuseppe non poteva ignorare garbatamente le richieste d’informazioni di Gesù.
(1370.5) 124:3.7 Si dava il caso che proprio in questo periodo erano in corso nell’anfiteatro di Scitopoli i giochi annuali di competizione e le dimostrazioni pubbliche di abilità fisica fra le città greche della Decapoli, e Gesù insisté perché suo padre lo conducesse a vedere i giochi, e fu così insistente che Giuseppe non osò rifiutarglielo. Il ragazzo fu molto eccitato dai giochi ed entrò con grande entusiasmo nello spirito di queste dimostrazioni di sviluppo fisico e di destrezza atletica. Giuseppe fu indicibilmente scosso nell’osservare l’entusiasmo di suo figlio alla vista di queste esibizioni di vanità “pagana”. Quando i giochi furono terminati, Giuseppe ebbe la più grande sorpresa della sua vita quando sentì Gesù esprimere la sua approvazione per essi e suggerire che sarebbe stato bene per i giovani di Nazaret poter beneficiare in modo simile di sane attività fisiche all’aria aperta. Giuseppe parlò seriamente e lungamente con Gesù della natura cattiva di tali pratiche, ma costatò che il ragazzo non era convinto.
(1371.1) 124:3.8 La sola volta in cui Gesù vide suo padre adirato con lui fu quella notte nella camera della locanda quando, nel corso della loro discussione, il ragazzo dimenticò i precetti ebraici al punto da suggerire di rientrare a casa e di adoperarsi per la costruzione di un anfiteatro a Nazaret. Quando Giuseppe udì suo figlio primogenito esprimere tali sentimenti non ebraici, perse la sua calma abituale e, prendendo Gesù per le spalle, gridò con collera: “Figlio mio, che non ti senta mai più esprimere un pensiero così cattivo finché vivrai.” Gesù rimase stupito per l’emozione manifestata da suo padre; non gli era mai capitato prima di provare l’impatto personale dell’indignazione di suo padre e ne fu sorpreso e scosso oltre ogni espressione. Egli rispose semplicemente: “Molto bene padre mio, così sarà fatto.” E mai più il ragazzo fece anche la più piccola allusione ai giochi e ad altre attività atletiche dei Greci finché visse suo padre.
(1371.2) 124:3.9 Più tardi Gesù vide l’anfiteatro greco a Gerusalemme ed imparò quanto queste cose erano odiose dal punto di vista ebraico. Tuttavia, egli si sforzò per tutta la sua vita d’introdurre l’idea di una sana ricreazione nei suoi piani personali e, nei limiti in cui lo consentiva la pratica ebraica, anche nel successivo programma di attività regolari dei suoi dodici apostoli.
(1371.3) 124:3.10 Alla fine del suo undicesimo anno Gesù era un giovane vigoroso, ben sviluppato, moderatamente allegro ed abbastanza gaio, ma a partire da quest’anno egli si dedicò sempre di più a particolari periodi di profonda meditazione e di seria contemplazione. Egli si dedicava molto a riflettere su come doveva adempiere gli obblighi verso la sua famiglia ed allo stesso tempo obbedire all’appello della sua missione verso il mondo; egli aveva già concepito che il suo ministero non doveva limitarsi al miglioramento del popolo ebreo.
(1371.4) 124:4.1 Questo fu un anno movimentato nella vita di Gesù. Egli continuava a fare dei progressi a scuola e non si stancava mai di studiare la natura, mentre si dedicava sempre di più allo studio dei metodi con i quali gli uomini si guadagnavano da vivere. Egli cominciò a lavorare regolarmente nel laboratorio familiare di carpenteria e fu autorizzato a gestire il proprio salario, cosa molto insolita da ottenere in una famiglia ebrea. Quest’anno imparò anche che era saggio conservare il segreto su tali questioni in famiglia. Egli stava prendendo coscienza del modo in cui aveva causato turbamento nel villaggio, e divenne perciò sempre più discreto dissimulando tutto ciò che poteva farlo considerare come diverso dai suoi simili.
(1371.5) 124:4.2 Durante tutto quest’anno egli passò per numerosi periodi d’incertezza, se non di vero dubbio, circa la natura della sua missione. La sua mente umana in naturale sviluppo non aveva ancora afferrato pienamente la realtà della sua duplice natura. Il fatto di avere una sola personalità rendeva difficile alla sua coscienza riconoscere la doppia origine di quei fattori che componevano la natura associata a questa stessa personalità.
(1371.6) 124:4.3 A partire da allora egli riuscì ad intendersi meglio con i suoi fratelli e sorelle. Era sempre più pieno di tatto, sempre compassionevole ed attento al loro benessere e alla loro felicità, e mantenne buoni rapporti con loro fino all’inizio del suo ministero pubblico. Per essere più espliciti, egli andava d’accordo con Giacomo e Miriam, ed in modo eccellente con i due figli più giovani (allora non ancora nati), Amos e Rut. Andava sempre abbastanza d’accordo con Marta. Le difficoltà che incontrò in famiglia provennero in larga parte da frizioni con Giuseppe e Giuda, particolarmente con quest’ultimo.
(1372.1) 124:4.4 Fu un’esperienza impegnativa per Giuseppe e Maria allevare un figlio con questa combinazione senza precedenti di divinità e di umanità, e meritano grande stima per aver adempiuto con tanta fedeltà e successo alle loro responsabilità di genitori. I genitori di Gesù comprendevano sempre di più che risiedeva qualcosa di superumano in questo figlio maggiore, ma non avevano mai sognato, nemmeno minimamente, che questo figlio della promessa fosse in verità il creatore effettivo di questo universo locale di cose e di esseri. Giuseppe e Maria vissero e morirono senza aver mai saputo che il loro figlio Gesù era in realtà il Creatore dell’Universo incarnato in un mortale.
(1372.2) 124:4.5 Quest’anno Gesù s’interessò più che mai alla musica e continuò a dare lezione in casa ai suoi fratelli e sorelle. Fu in quest’epoca che il ragazzo divenne pienamente cosciente della differenza tra i punti di vista di Giuseppe e di Maria riguardo alla natura della sua missione. Egli meditò molto sulla divergenza d’opinione dei suoi genitori, ascoltando spesso le loro discussioni quando lo credevano profondamente addormentato. Egli propendeva sempre di più per il punto di vista di suo padre, cosicché sua madre era destinata a soffrire al comprendere che suo figlio respingeva a poco a poco le sue direttive nelle questioni relative alla carriera della sua vita. E con il passare degli anni questo divario di comprensione si andò allargando. Maria comprendeva sempre meno il significato della missione di Gesù, e questa tenera madre fu sempre più risentita dal fatto che suo figlio prediletto non realizzasse le sue più care aspettative.
(1372.3) 124:4.6 Giuseppe credeva sempre di più nella natura spirituale della missione di Gesù. E se non ci fossero state altre ragioni più importanti, sembrerebbe in effetti una sfortuna che egli non sia vissuto abbastanza a lungo da vedere il compimento del suo concetto del conferimento di Gesù sulla terra.
(1372.4) 124:4.7 Durante il suo ultimo anno di scuola, quando aveva dodici anni, Gesù fece delle rimostranze a suo padre a proposito del costume ebraico di toccare il pezzo di pergamena inchiodato sullo stipite della porta ogniqualvolta si entrava o si usciva dalla porta di casa, e di baciare poi il dito che aveva toccato la pergamena. Come parte di questo rito si usava dire: “Il Signore preserverà la nostra uscita e la nostra entrata, da ora e per sempre”. Giuseppe e Maria avevano istruito ripetutamente Gesù sulle ragioni di non fare immagini o di disegnare quadri, spiegando che tali creazioni avrebbero potuto essere usate a fini idolatri. Benché Gesù non fosse riuscito a capire pienamente la loro proibizione di fare immagini e quadri, possedeva un elevato concetto della coerenza e perciò fece notare a suo padre la natura essenzialmente idolatra di questo omaggio abituale alla pergamena sullo stipite della porta. Dopo questa rimostranza di Gesù, Giuseppe rimosse la pergamena.
(1372.5) 124:4.8 Con il tempo Gesù contribuì molto a modificare le loro pratiche religiose, quali le preghiere familiari ed altri costumi. Era possibile fare molte di queste cose a Nazaret, perché la sinagoga era sotto l’influenza di una scuola liberale di rabbini, di cui era un esempio il rinomato insegnante di Nazaret, José.
(1372.6) 124:4.9 Durante quest’anno e i due anni seguenti Gesù soffrì di una grande angustia mentale dovuta al suo sforzo costante per adattare le sue vedute personali sulle pratiche religiose e sulle convenzioni sociali alle credenze stabilite dei suoi genitori. Egli era tormentato dal conflitto tra la necessità di essere fedele alle proprie convinzioni e l’esortazione della sua coscienza alla doverosa sottomissione ai suoi genitori; il suo conflitto supremo era tra due grandi comandamenti che dominavano nella sua giovane mente. Il primo era: “Sii fedele ai dettati delle tue più alte convinzioni di verità e di rettitudine.” L’altro era: “Onora tuo padre e tua madre, perché essi ti hanno dato la vita e l’educazione della vita.” Comunque egli non si sottrasse mai alla responsabilità di fare i necessari aggiustamenti quotidiani fra questi regni di fedeltà alle proprie convinzioni personali e di dovere verso la propria famiglia, e raggiunse la soddisfazione di fondere sempre più armoniosamente le convinzioni personali e gli obblighi familiari in un magistrale concetto di solidarietà collettiva basata sulla lealtà, l’equità, la tolleranza e l’amore.
(1373.1) 124:5.1 In quest’anno il ragazzo di Nazaret passò dalla fanciullezza all’inizio dell’età adulta; la sua voce cominciò a cambiare ed altri tratti della mente e del corpo evidenziarono l’inizio dello stato di virilità.
(1373.2) 124:5.2 Domenica notte 9 gennaio dell’anno 7 d.C. nacque il suo fratellino Amos. Giuda non aveva ancora due anni e la sua sorellina Rut non era ancora nata; si può dunque vedere che Gesù aveva una famiglia piuttosto numerosa di bambini lasciati alla sua sorveglianza quando suo padre morì in un incidente l’anno seguente.
(1373.3) 124:5.3 Fu circa a metà febbraio che Gesù divenne umanamente certo di essere destinato a compiere una missione sulla terra per illuminare l’umanità e rivelare Dio. Delle decisioni importanti, unite a dei piani di grande portata, si stavano formulando nella mente di questo giovane che era, all’apparenza esterna, un normale giovane ebreo di Nazaret. Gli esseri intelligenti di tutto Nebadon osservavano affascinati e stupiti gli inizi di questo sviluppo nei pensieri e negli atti del figlio ora adolescente del carpentiere.
(1373.4) 124:5.4 Il 20 marzo dell’anno 7 d.C., primo giorno della settimana, Gesù uscì diplomato dal corso d’istruzione nella scuola locale collegata con la sinagoga di Nazaret. Questo era un gran giorno nella vita di ogni famiglia ebrea ambiziosa, il giorno in cui il figlio primogenito era proclamato “figlio del comandamento” e il primogenito riscattato del Signore Dio d’Israele, un “figlio dell’Altissimo” e servitore del Signore di tutta la terra.
(1373.5) 124:5.5 Il venerdì della settimana precedente Giuseppe era tornato da Sefforis, dove gli era stato affidato l’incarico di costruire un nuovo edificio pubblico, per essere presente in questa felice occasione. L’insegnante di Gesù credeva fermamente che il suo sveglio e diligente allievo fosse destinato a qualche eminente carriera, a qualche alta missione. Gli anziani, malgrado tutte le loro noie con le tendenze non conformiste di Gesù, erano molto fieri del giovane ed avevano cominciato a fare dei piani che gli permettessero di andare a Gerusalemme per continuare la sua educazione nelle rinomate accademie ebraiche.
(1373.6) 124:5.6 Quanto più Gesù udiva di tanto in tanto discutere questi piani, tanto più diveniva certo che non sarebbe mai andato a Gerusalemme a studiare con i rabbini. Ma egli non immaginava la tragedia così vicina che l’avrebbe obbligato ad abbandonare tutti questi piani per assumere la responsabilità di mantenere e dirigere una famiglia numerosa, composta di lì a poco di cinque fratelli e tre sorelle, oltre a sua madre e a lui stesso. Per crescere questa famiglia Gesù passò per un’esperienza più estesa e prolungata di quanto fu accordato a suo padre Giuseppe; ed egli si mostrò all’altezza del modello che stabilì successivamente per se stesso: diventare un saggio, paziente, comprensivo ed efficace educatore e fratello maggiore di questa famiglia — la sua famiglia — così improvvisamente colpita dal dolore per questa perdita inattesa.
(1374.1) 124:6.1 Gesù, avendo ora raggiunto la soglia della virilità ed essendo stato ufficialmente diplomato dalla scuola della sinagoga, era qualificato per recarsi a Gerusalemme con i suoi genitori e partecipare con loro alla celebrazione della sua prima Pasqua. La festa di Pasqua di quest’anno cadeva il sabato 9 aprile dell’anno 7 d.C. Un gruppo considerevole (103 persone) si preparò a partire da Nazaret il lunedì mattina presto, 4 aprile, per Gerusalemme. Essi viaggiarono verso sud in direzione della Samaria, ma presso Izreel deviarono ad est, girando attorno al Monte Gelboe per la valle del Giordano, onde evitare di passare per la Samaria. Giuseppe e la sua famiglia avrebbero desiderato attraversare la Samaria per la strada del pozzo di Giacobbe e di Betel, ma poiché gli Ebrei non amavano avere a che fare con i Samaritani, decisero di andare con il loro gruppo per la valle del Giordano.
(1374.2) 124:6.2 Il temutissimo Archelao era stato deposto e non c’era alcun pericolo a condurre Gesù a Gerusalemme. Erano trascorsi dodici anni da quando il primo Erode aveva cercato di uccidere il bambino di Betlemme, e nessuno avrebbe ora pensato di associare quel fatto all’oscuro giovane di Nazaret.
(1374.3) 124:6.3 Prima di raggiungere la biforcazione di Izreel, e mentre proseguivano il loro viaggio, essi passarono ben presto a sinistra dell’antico villaggio di Sunem, e Gesù ascoltò nuovamente parlare della più bella giovane di tutto Israele che visse colà un tempo, ed anche delle opere meravigliose compiute in questo luogo da Eliseo. Passando vicino ad Izreel i genitori di Gesù gli raccontarono le gesta di Acab e di Jezabel e le imprese di Jeu. Contornando il Monte Gelboe essi parlarono molto di Saul, che si tolse la vita sui fianchi di questa montagna, del Re Davide e dei fatti associati a questo luogo storico.
(1374.4) 124:6.4 Girando attorno alla base del Monte Gelboe i pellegrini potevano vedere a destra la città greca di Scitopoli. Essi ammirarono da lontano le sue costruzioni di marmo, ma non si avvicinarono a questa città di Gentili per paura di profanarsi e di non poter partecipare alle successive cerimonie solenni e sacre della Pasqua a Gerusalemme. Maria non comprendeva perché né Giuseppe né Gesù volessero parlare di Scitopoli. Essa non era al corrente della loro controversia dell’anno precedente, perché essi non le avevano mai rivelato questo episodio.
(1374.5) 124:6.5 Ora la strada scendeva rapidamente nella valle tropicale del Giordano, e presto Gesù ebbe esposto al suo sguardo meravigliato il sinuoso e tortuoso Giordano con le sue acque scintillanti ed increspate che scorreva verso il Mar Morto. Essi si levarono i mantelli mentre viaggiavano verso sud in questa valle tropicale, ammirando i magnifici campi di grano ed i begli oleandri carichi dei loro fiori rosa, mentre il massiccio del Monte Hermon incappucciato di neve si stagliava lontano a nord, dominando maestosamente questa storica vallata. Poco più di tre ore dopo aver passato Scitopoli essi arrivarono ad una sorgente gorgogliante e qui si accamparono per la notte, all’aperto sotto il cielo stellato.
(1374.6) 124:6.6 Nel secondo giorno del loro viaggio passarono vicino al luogo in cui lo Jabbok, provenendo da est, si getta nel Giordano, e guardando ad est verso questa valle fluviale ricordarono i tempi di Gedeone, quando i Madianiti si spinsero in questa regione per invadere il paese. Verso la fine del secondo giorno di viaggio essi si accamparono alla base della più alta montagna che dominava la valle del Giordano, il Monte Sartaba, la cui sommità era occupata dalla fortezza Alessandrina in cui Erode aveva imprigionato una delle sue mogli e sepolto i suoi due figli strangolati.
(1375.1) 124:6.7 Il terzo giorno essi passarono vicino a due villaggi che erano stati recentemente costruiti da Erode, e notarono la loro architettura superiore ed i loro bei palmeti. Mentre scendeva la notte raggiunsero Gerico, dove rimasero sino all’indomani. Quella sera Giuseppe, Maria e Gesù camminarono per due chilometri e mezzo fino al luogo dell’antica Gerico, dove Giosuè, dal quale Gesù aveva preso il nome, aveva compiuto, secondo la tradizione ebraica, le sue celebri gesta.
(1375.2) 124:6.8 Durante il quarto ed ultimo giorno di viaggio la strada era una processione ininterrotta di pellegrini. Essi cominciavano ora a salire le colline che portavano a Gerusalemme. Avvicinandosi alla sommità essi poterono vedere le montagne dell’altra sponda del Giordano e verso sud le acque pigre del Mar Morto. Circa a metà strada da Gerusalemme, Gesù vide per la prima volta il Monte degli Olivi (la regione che avrebbe avuto così tanta parte nella sua vita successiva), e Giuseppe gli fece rimarcare che la Città Santa era situata giusto dietro questa cima, ed il cuore del ragazzo pulsò velocemente nella gioiosa attesa di vedere presto la città e la casa del suo Padre celeste.
(1375.3) 124:6.9 Sulle pendici orientali dell’Oliveto essi si fermarono per riposarsi ai bordi di un piccolo villaggio chiamato Betania. Gli ospitali abitanti del villaggio offrirono i loro servizi ai pellegrini, e capitò che Giuseppe e la sua famiglia si fermarono presso la casa di un certo Simone, che aveva tre figli quasi della stessa età di Gesù — Maria, Marta e Lazzaro. Costoro invitarono la famiglia di Nazaret a riposarsi presso di loro, e nacque tra le due famiglie un’amicizia per tutta la vita. In seguito, nel corso della sua movimentata vita, Gesù si fermò molte volte in questa casa.
(1375.4) 124:6.10 Essi si affrettarono a rimettersi in cammino, giungendo ben presto ai margini dell’Oliveto, e Gesù vide per la prima volta (nella sua memoria) la Città Santa, i palazzi pretenziosi ed il tempio ispirante di suo Padre. Gesù non provò mai più nella sua vita un’emozione puramente umana paragonabile a quella che in quel momento lo soggiogò così completamente mentre stava là in questo pomeriggio di aprile sul Monte degli Olivi, bevendo la sua prima veduta di Gerusalemme. Alcuni anni più tardi egli si fermò in questo stesso luogo e pianse sulla città che stava per respingere un altro profeta, l’ultimo ed il più grande dei suoi maestri celesti.
(1375.5) 124:6.11 Ma essi si affrettarono verso Gerusalemme. Ora era giovedì pomeriggio. Raggiungendo la città, passarono davanti al tempio, e mai Gesù aveva visto una tale folla di esseri umani. Egli meditò profondamente sulla ragione per la quale questi Ebrei si erano riuniti qui, venendo dai paesi più lontani del mondo conosciuto.
(1375.6) 124:6.12 Essi raggiunsero presto il luogo preparato per la loro sistemazione durante la settimana di Pasqua, la grande casa di un ricco parente di Maria, che era venuto a conoscenza, tramite Zaccaria, della vecchia storia di Giovanni e di Gesù. Il giorno seguente, giorno della preparazione, essi si predisposero a celebrare convenientemente il sabato di Pasqua.
(1375.7) 124:6.13 Mentre tutta Gerusalemme era indaffarata a preparare la Pasqua, Giuseppe trovò il tempo di condurre suo figlio a visitare l’accademia dove era stato convenuto che avrebbe ripreso la sua educazione due anni più tardi, quando avesse raggiunto l’età richiesta di quindici anni. Giuseppe era veramente perplesso osservando il poco interesse che Gesù dimostrava per questi piani così attentamente elaborati.
(1375.8) 124:6.14 Gesù fu profondamente impressionato dal tempio e da tutti i servizi e le altre attività associate. Per la prima volta dall’età di quattro anni egli era troppo preoccupato dalle proprie riflessioni per porre molte domande. Egli pose tuttavia a suo padre parecchie domande imbarazzanti (come aveva fatto in precedenti occasioni) sul perché il Padre celeste esigesse il massacro di così tanti animali innocenti e indifesi. E suo padre sapeva bene, dall’espressione del viso del ragazzo, che le sue risposte ed i suoi tentativi di spiegazione non erano soddisfacenti per la profondità di pensiero e l’acutezza di ragionamento di suo figlio.
(1376.1) 124:6.15 La vigilia del sabato di Pasqua un flusso d’illuminazione spirituale attraversò la mente mortale di Gesù e fece debordare il suo cuore umano di pietà affettuosa per le folle spiritualmente cieche e moralmente ignoranti riunite per la celebrazione della commemorazione dell’antica Pasqua. Questo fu uno dei giorni più straordinari che il Figlio di Dio trascorse nella carne; e durante la notte, per la prima volta nella sua carriera terrena, gli apparve un messaggero speciale inviato da Salvington, incaricato da Emanuele, che disse: “L’ora è venuta. È tempo che tu cominci ad occuparti degli affari di tuo Padre.”
(1376.2) 124:6.16 E così, ancor prima che le pesanti responsabilità della famiglia di Nazaret ricadessero sulle sue giovani spalle, ora arrivava il messaggero celeste per ricordare a questo ragazzo di meno di tredici anni che era giunta l’ora di cominciare a riprendere le responsabilità di un universo. Questo fu il primo atto di una lunga successione di eventi che culminarono alla fine nel completamento del conferimento del Figlio su Urantia e nel riporre “il governo di un universo sulle sue spalle umane e divine”.
(1376.3) 124:6.17 A mano a mano che il tempo passava, il mistero dell’incarnazione diveniva per tutti noi sempre più insondabile. A malapena comprendevamo che questo ragazzo di Nazaret era il creatore di tutto Nebadon, né comprendiamo oggi come lo spirito di questo stesso Figlio Creatore e lo spirito di suo Padre del Paradiso sono associati alle anime dell’umanità. Con il passare del tempo noi potevamo vedere che la sua mente umana, mentre egli viveva la sua vita nella carne, discerneva sempre meglio che in spirito la responsabilità di un universo riposava sulle sue spalle.
(1376.4) 124:6.18 Così termina la carriera del ragazzo di Nazaret ed inizia il racconto di quella del giovane adolescente — l’umano divino sempre più cosciente di sé — che ora comincia la contemplazione della sua carriera nel mondo, mentre si sforza di conciliare i propositi sempre più vasti della sua vita con i desideri dei suoi genitori e con gli obblighi verso la sua famiglia e la società del suo tempo.
(1377.1) 125:0.1 NESSUN avvenimento di tutta la movimentata carriera terrena di Gesù fu più avvincente, più umanamente entusiasmante quanto questa sua prima visita a Gerusalemme di cui conservò il ricordo. Egli fu particolarmente stimolato dall’esperienza di assistere di persona alle discussioni del tempio, e ciò restò a lungo nella sua memoria come il grande avvenimento della fine della sua fanciullezza e dell’inizio della sua giovinezza. Questa fu la sua prima occasione di godere di alcuni giorni di vita indipendente, la gioia di andare e venire senza costrizioni e restrizioni. Questo breve periodo di vita senza direttive, durante la settimana successiva alla Pasqua, era la prima completamente libera da responsabilità di cui avesse mai goduto. E ci vollero molti anni per avere ancora, sia pure per poco tempo, un periodo altrettanto libero da ogni senso di responsabilità.
(1377.2) 125:0.2 Le donne assistevano raramente alla festa della Pasqua a Gerusalemme; la loro presenza non era richiesta. Tuttavia Gesù rifiutò praticamente di partire se sua madre non li avesse accompagnati. E quando sua madre si decise ad andare, molte altre donne di Nazaret si convinsero a fare il viaggio, cosicché il gruppo pasquale comprendeva, in rapporto agli uomini, il maggior numero di donne che fosse mai partito da Nazaret per la Pasqua. Sulla strada per Gerusalemme essi cantarono di tanto in tanto il Salmo centotrenta.
(1377.3) 125:0.3 Dal momento in cui lasciarono Nazaret fino a quello in cui giunsero sulla sommità del Monte degli Olivi, Gesù rimase costantemente teso nell’aspettativa. Durante tutta la sua gioiosa fanciullezza egli aveva inteso parlare con rispetto di Gerusalemme e del suo tempio; ora li avrebbe presto contemplati realmente. Visto dal Monte degli Olivi e dall’esterno, esaminandolo più da vicino, il tempio aveva più che soddisfatto le aspettative di Gesù; ma quando ebbe varcato le sue porte sacre cominciò la grande disillusione.
(1377.4) 125:0.4 In compagnia dei suoi genitori Gesù attraversò i recinti del tempio per andare a raggiungere il gruppo dei nuovi figli della legge che stavano per essere consacrati cittadini d’Israele. Egli fu un po’ deluso dal comportamento generale della folla nel tempio, ma il primo grande shock di quel giorno fu quando sua madre li lasciò per andare nella galleria delle donne. A Gesù non era mai successo che sua madre non lo accompagnasse alle cerimonie di consacrazione, ed era indignatissimo che essa dovesse subire una così ingiusta discriminazione. Anche se ne fu profondamente risentito, a parte qualche protesta con suo padre, egli non disse nulla. Ma rifletté, e rifletté a fondo, come le sue domande agli Scribi ed agli istruttori rivelarono una settimana più tardi.
(1377.5) 125:0.5 Egli passò per i riti della consacrazione, ma fu deluso per il loro carattere superficiale e ordinario. Non vi trovò quell’interesse personale che caratterizzava le cerimonie della sinagoga a Nazaret. Egli ritornò poi a salutare sua madre e si preparò ad accompagnare suo padre nel suo primo giro nel tempio e nei suoi vari cortili, gallerie e corridoi. I recinti del tempio potevano contenere più di duecentomila fedeli per volta, e sebbene l’immensità di queste costruzioni — a paragone di ciò che aveva già visto — avesse fatto una grande impressione sulla sua mente, egli fu maggiormente interessato dalla riflessione sul significato spirituale delle cerimonie del tempio e del culto che vi era associato.
(1378.1) 125:0.6 Anche se molti riti del tempio avevano colpito in modo toccante il suo senso del bello e del simbolico, egli era sempre deluso dalle spiegazioni dei significati reali di queste cerimonie che i suoi genitori gli offrivano in risposta alle sue molteplici e penetranti domande. Gesù semplicemente non accettava le spiegazioni sul culto e sulla devozione religiosa che implicavano la credenza nello sdegno di Dio o nella collera dell’Onnipotente. In una nuova discussione su tali questioni, al termine della visita al tempio, quando suo padre insisté dolcemente perché accettasse le credenze ortodosse degli Ebrei, Gesù si girò improvvisamente verso i suoi genitori, guardò suo padre negli occhi in modo supplichevole, e disse: “Padre mio, non può essere vero — il Padre che è nei cieli non può considerare in tal modo i suoi figli che sbagliano sulla terra. Il Padre celeste non può amare i suoi figli meno di quanto tu ami me. Ed io so bene che, per quanto malaccorti siano i miei atti, tu non potrai mai riversare la tua ira su di me né essere in collera con me. Se tu, mio padre terreno, possiedi tali riflessi umani del Divino, quanto più il Padre celeste deve essere pieno di bontà e traboccante di misericordia. Io mi rifiuto di credere che mio Padre celeste mi ami meno di mio padre terreno.”
(1378.2) 125:0.7 Quando Giuseppe e Maria udirono queste parole del loro figlio primogenito, tacquero. E non tentarono più di cambiare la sua concezione dell’amore di Dio e della misericordia del Padre che è nei cieli.
(1378.3) 125:1.1 In tutti i cortili del tempio che Gesù attraversò, fu colpito e disgustato dallo spirito d’irriverenza che vi notò. Gli sembrava che la condotta delle folle nel tempio fosse incompatibile con la loro presenza nella “casa di suo Padre”. Ma egli ebbe il più grande shock della sua giovane vita quando suo padre lo accompagnò nel cortile dei Gentili dove il loro gergo rumoroso, gli schiamazzi e le imprecazioni si mescolavano caoticamente ai belati delle pecore ed al vociare scomposto che tradiva la presenza degli agenti di cambio e dei venditori di animali sacrificali e di varie altre mercanzie.
(1378.4) 125:1.2 Ma soprattutto il suo senso del decoro fu offeso dalla vista delle frivole cortigiane che si pavoneggiavano all’interno di questo recinto del tempio, esattamente come le donne imbellettate che aveva visto recentemente durante la sua visita a Sefforis. Questa profanazione del tempio portò al culmine la sua giovanile indignazione ed egli non esitò ad esprimerla apertamente a Giuseppe.
(1378.5) 125:1.3 Gesù ammirò l’atmosfera ed il servizio del tempio, ma fu colpito dalla bruttezza spirituale che traspariva dai visi di tanti adoratori spensierati.
(1378.6) 125:1.4 Essi scesero poi nel cortile dei sacerdoti sotto il bordo di pietra davanti al tempio, dove c’era l’altare, per osservare l’uccisione dei branchi di animali ed il lavaggio del sangue dalle mani dei sacerdoti sacrificatori alla fontana di bronzo. Il pavimento macchiato di sangue, le mani imbrattate di sangue dei sacerdoti e le urla degli animali morenti superarono il limite di sopportazione di questo giovane amante della natura. Questo terribile spettacolo disgustò questo ragazzo di Nazaret; egli si attaccò al braccio di suo padre e lo supplicò di condurlo via. Essi riattraversarono il cortile dei Gentili, e persino le risa sguaiate ed i motteggi profani che vi si udirono furono un sollievo rispetto a ciò ch’egli aveva appena visto.
(1379.1) 125:1.5 Giuseppe vide come suo figlio fosse disgustato dalla vista dei riti del tempio e lo condusse saggiamente a vedere la “porta della bellezza”, la porta artistica fatta di bronzo corinzio. Ma Gesù ne aveva avuto abbastanza per la sua prima visita al tempio. Essi tornarono a prendere Maria nel cortile superiore e camminarono per un’ora all’aria aperta lontano dalla folla guardando il palazzo di Asmoneo, l’imponente abitazione di Erode e la torre delle guardie romane. Durante questa passeggiata Giuseppe spiegò a Gesù che solo gli abitanti di Gerusalemme avevano il permesso di assistere ai sacrifici quotidiani nel tempio, e che gli abitanti della Galilea ci venivano solo tre volte all’anno per partecipare al culto: alla Pasqua, alla festa della Pentecoste (sette settimane dopo la Pasqua) e alla festa dei Tabernacoli in ottobre. Queste feste erano state istituite da Mosè. Essi discussero poi delle due ultime feste stabilite, quella della Dedicazione e quella di Purim. Dopodiché tornarono al loro alloggio e si prepararono alla celebrazione della Pasqua.
(1379.2) 125:2.1 Cinque famiglie di Nazaret furono ospiti della famiglia di Simone di Betania, o associate ad essa, per la celebrazione della Pasqua, avendo Simone acquistato l’agnello pasquale per tutta la compagnia. Era il massacro di questi agnelli in numero così enorme che aveva talmente colpito Gesù durante la sua visita al tempio. Era stato previsto di consumare la Pasqua con i parenti di Maria, ma Gesù persuase i suoi genitori ad accettare l’invito di recarsi a Betania.
(1379.3) 125:2.2 Quella notte essi si riunirono per i riti della Pasqua, mangiando la carne arrostita con pane senza lievito ed erbe amare. Essendo Gesù un nuovo figlio dell’alleanza, gli fu chiesto di raccontare le origini della Pasqua, cosa che fece molto bene, ma sconcertò un po’ i suoi genitori includendovi numerosi commenti che riflettevano con moderazione le impressioni che avevano fatto sulla sua giovane ma riflessiva mente le cose che aveva così recentemente visto e udito. Questo fu l’inizio dei sette giorni di cerimonie della festa della Pasqua.
(1379.4) 125:2.3 Anche se così giovane, e benché non avesse detto niente ai suoi genitori a questo proposito, Gesù aveva cominciato a meditare sull’opportunità di celebrare la Pasqua senza sacrificare l’agnello. Egli fu mentalmente certo che questo spettacolo delle offerte sacrificali non piaceva a suo Padre celeste, e nel corso degli anni seguenti, divenne sempre più determinato d’istituire un giorno la celebrazione di una Pasqua senza spargimento di sangue.
(1379.5) 125:2.4 Gesù dormì molto poco quella notte. Il suo sonno fu assai disturbato da disgustosi sogni di massacri e di sofferenze. La sua mente era afflitta ed il suo cuore lacerato dalle incoerenze e dalle assurdità della teologia di tutto il sistema cerimoniale ebraico. Anche i suoi genitori dormirono poco. Essi erano molto sconcertati dagli avvenimenti della giornata appena conclusa; erano completamente sconvolti nel loro cuore dall’atteggiamento, secondo loro strano e risoluto, del ragazzo. Maria ebbe i nervi agitati nella prima parte della notte, ma Giuseppe rimase calmo, benché anche lui fosse perplesso. Entrambi temevano di parlare apertamente di questi problemi con il ragazzo, mentre Gesù avrebbe parlato volentieri con i suoi genitori se avessero osato incoraggiarlo.
(1379.6) 125:2.5 I servizi al tempio del giorno dopo furono più accettabili per Gesù e contribuirono molto a far dimenticare gli spiacevoli ricordi del giorno precedente. Il mattino seguente il giovane Lazzaro si prese cura di Gesù e i due comincia rono ad esplorare sistematicamente Gerusalemme e i suoi dintorni. Prima della fine del giorno Gesù scoprì i vari luoghi vicino al tempio dove erano in corso le conferenze destinate all’insegnamento ed articolate su domande e risposte. E a parte una qualche visita al Santo dei Santi, dove si chiese con meraviglia che cosa ci fosse realmente dietro il velo di separazione, egli passò la maggior parte del suo tempo vicino al tempio in queste conferenze d’insegnamento.
(1380.1) 125:2.6 Durante tutta la settimana di Pasqua, Gesù occupò il suo posto tra i nuovi figli del comandamento, e ciò significava che doveva sedersi fuori delle transenne che separavano tutte le persone che non avevano la piena cittadinanza d’Israele. Reso in tal modo cosciente della sua giovane età, egli si trattenne dal porre le molte domande che fluivano avanti e indietro nella sua mente; quanto meno se ne astenne fino a che la celebrazione della Pasqua fu terminata e le restrizioni imposte ai giovani appena consacrati furono tolte.
(1380.2) 125:2.7 Il mercoledì della settimana di Pasqua, Gesù fu autorizzato ad andare a casa di Lazzaro per passare la notte a Betania. Quella sera Lazzaro, Marta e Maria ascoltarono Gesù discutere di cose temporali ed eterne, umane e divine, e da quella sera tutti e tre lo amarono come se fosse stato loro fratello.
(1380.3) 125:2.8 Alla fine della settimana Gesù vide meno spesso Lazzaro perché questi non aveva il diritto di accesso nemmeno al cerchio esterno delle discussioni al tempio, anche se assisté a qualche discorso pubblico pronunciato nei cortili esterni. Lazzaro aveva la stessa età di Gesù, ma a Gerusalemme i giovani erano raramente ammessi alla consacrazione dei figli della legge prima di aver compiuto i tredici anni.
(1380.4) 125:2.9 Durante la settimana di Pasqua i suoi genitori trovarono moltissime volte Gesù seduto in disparte a riflettere profondamente con la sua giovane testa fra le mani. Essi non l’avevano mai visto comportarsi in questo modo e, non sapendo fino a che punto egli fosse confuso nella sua mente e turbato nel suo spirito dalle esperienze per le quali stava passando, erano dolorosamente perplessi; non sapevano che cosa fare. Essi accolsero con gioia la fine della settimana di Pasqua e desideravano ardentemente vedere il loro figlio dallo strano comportamento ritornare sicuro a Nazaret.
(1380.5) 125:2.10 Giorno dopo giorno Gesù faceva un riesame dei suoi problemi. Alla fine della settimana egli aveva fatto molti aggiustamenti; ma quando venne il momento di ritornare a Nazaret, la sua giovane mente formicolava ancora d’incertezze ed era assalita da una moltitudine di domande senza risposta e di problemi non risolti.
(1380.6) 125:2.11 Prima di lasciare Gerusalemme in compagnia dell’insegnante di Gesù a Nazaret, Giuseppe e Maria presero accordi precisi per il ritorno di Gesù quando avesse compiuto i quindici anni, per iniziare il suo lungo corso di studi in una delle accademie di rabbini più rinomate. Gesù accompagnò i suoi genitori ed il suo insegnante nella loro visita alla scuola, ma essi furono tutti desolati nel constatare quanto egli sembrasse indifferente a tutto ciò che dicevano e facevano. Maria era profondamente afflitta dalle sue reazioni alla visita di Gerusalemme, e Giuseppe era profondamente perplesso di fronte alle strane osservazioni e alla condotta insolita del ragazzo.
(1380.7) 125:2.12 Tutto sommato la settimana di Pasqua era stata un grande avvenimento nella vita di Gesù. Egli aveva avuto l’occasione d’incontrare decine di ragazzi della sua età, candidati come lui alla consacrazione, ed aveva utilizzato questi contatti come mezzo di apprendere come vivevano le genti in Mesopotamia, nel Turkestan e nella Partia, così come nelle province romane dell’Estremo Occidente. Egli era già abbastanza al corrente del modo in cui si sviluppava la gioventù dell’Egitto e di altre regioni vicine alla Palestina. In quel momento c’erano migliaia di giovani a Gerusalemme ed il ragazzo di Nazaret incontrò personalmente ed interrogò in maniera più o meno approfondita più di centocinquanta di loro. Egli era particolarmente interessato a quelli che venivano dall’Estremo Oriente e dai paesi lontani dell’Occidente. Come risultato di questi contatti il ragazzo cominciò a provare il desiderio di viaggiare per il mondo allo scopo di apprendere come i vari gruppi di suoi contemporanei lavoravano per guadagnarsi da vivere.
(1381.1) 125:3.1 Era stato convenuto che il gruppo di Nazaret si sarebbe radunato nei pressi del tempio a metà mattina del primo giorno della settimana dopo la fine della festa di Pasqua. Così essi fecero e partirono per il viaggio di ritorno a Nazaret. Gesù era andato al tempio per assistere alle discussioni, mentre i suoi genitori aspettavano il raduno dei loro compagni di viaggio. Ben presto la compagnia si preparò a partire, gli uomini in un gruppo e le donne in un altro, come era loro abitudine per andare alle feste di Gerusalemme e tornarne. Gesù era andato a Gerusalemme in compagnia di sua madre e delle donne. Ora, essendo un giovane uomo consacrato, era autorizzato a fare il viaggio di ritorno a Nazaret in compagnia di suo padre e degli uomini. Ma mentre il gruppo di Nazaret partiva per Betania, Gesù era al tempio completamente assorbito nella discussione sugli angeli e totalmente dimentico che era passata l’ora della partenza dei suoi genitori. E non si rese conto di essere stato lasciato indietro fino a mezzogiorno, al momento della sospensione delle conferenze al tempio.
(1381.2) 125:3.2 I viaggiatori di Nazaret non notarono l’assenza di Gesù, perché Maria supponeva che viaggiasse con gli uomini, mentre Giuseppe pensava che viaggiasse con le donne, poiché era andato a Gerusalemme con le donne, conducendo l’asino di Maria. Essi scoprirono la sua assenza solo quando arrivarono a Gerico e si prepararono ad accamparsi per la notte. Dopo aver chiesto informazioni ai ritardatari del gruppo che arrivavano a Gerico ed aver saputo che nessuno di loro aveva visto il loro figlio, essi trascorsero una notte insonne, rimuginando nella loro mente che cosa poteva essergli accaduto, ricordando molte delle sue reazioni insolite agli avvenimenti della settimana di Pasqua e rimproverandosi dolcemente l’un l’altro di non aver controllato che fosse nel gruppo prima di lasciare Gerusalemme.
(1381.3) 125:4.1 Nel frattempo Gesù era rimasto nel tempio tutto il pomeriggio, ascoltando le discussioni ed apprezzando l’atmosfera più calma e più decorosa, giacché le grandi folle della settimana di Pasqua erano quasi scomparse. Alla fine delle discussioni del pomeriggio, a nessuna delle quali Gesù partecipò, si recò a Betania, dove arrivò proprio al momento in cui la famiglia di Simone si preparava al pasto serale. I tre giovani furono felicissimi di accogliere Gesù, ed egli rimase nella casa di Simone per la notte. Egli stette molto poco con loro durante la sera, trascorrendo la maggior parte del suo tempo da solo a meditare in giardino.
(1381.4) 125:4.2 Il giorno dopo Gesù si alzò di buon mattino per recarsi al tempio. Sul versante dell’Oliveto egli si fermò e pianse sullo spettacolo che i suoi occhi contemplavano — un popolo spiritualmente povero, prigioniero delle tradizioni e vivente sotto la sorveglianza delle legioni romane. Il mattino presto lo trovò nel tempio con l’idea precisa di prendere parte alle discussioni. Frattanto Giuseppe e Maria si erano anche loro alzati all’alba con l’intenzione di ritornare a Gerusalemme. Prima si recarono in fretta a casa dei loro parenti, presso i quali avevano alloggiato come famiglia durante la settimana di Pasqua, ma l’indagine rivelò che nessuno aveva visto Gesù. Dopo averlo cercato per tutto il giorno e non aver trovato traccia di lui, essi ritornarono per la notte presso i loro parenti.
(1382.1) 125:4.3 Alla seconda conferenza Gesù si era azzardato a porre delle domande, e partecipò alle discussioni del tempio in maniera molto stupefacente, ma sempre compatibile con la sua giovane età. Talvolta egli pose delle domande che erano un po’ imbarazzanti per gli eruditi insegnanti della legge ebraica, ma egli dimostrava un tale spirito di candida onestà, unitamente ad una sete evidente di conoscenza, che la maggioranza degli insegnanti del tempio era disposta a trattarlo con ogni considerazione. Ma quando si permise di chiedere se era giusto mettere a morte un Gentile ubriaco che era uscito dal cortile dei Gentili ed era entrato inconsciamente nei recinti proibiti e reputati sacri del tempio, uno degli insegnanti più intolleranti si spazientì per le critiche implicite del ragazzo e, guardandolo in cagnesco, gli chiese quanti anni avesse. Gesù rispose: “Tredici anni meno poco più di quattro mesi.” “Allora”, replicò l’insegnante ora adirato, “perché sei qui quando non hai l’età per essere un figlio della legge?” E quando Gesù ebbe spiegato che aveva ricevuto la consacrazione durante la Pasqua e che era uno studente di Nazaret che aveva completato gli studi scolastici, gli insegnanti replicarono unanimemente con tono di derisione: “Avremmo dovuto saperlo; è di Nazaret.” Ma il loro capo insisté che Gesù non era da biasimare se i dirigenti della sinagoga di Nazaret l’avevano tecnicamente diplomato a dodici anni anziché a tredici. E nonostante che parecchi dei suoi detrattori se ne fossero andati, fu deciso che il ragazzo poteva continuare a prendere parte come allievo alle discussioni del tempio.
(1382.2) 125:4.4 Quando questo suo secondo giorno al tempio fu terminato, egli ritornò di nuovo a Betania per la notte. E di nuovo uscì nel giardino a meditare e a pregare. Era evidente che la sua mente era assorbita nella riflessione su gravi problemi.
(1382.3) 125:5.1 Il terzo giorno di Gesù nel tempio con gli Scribi e gli insegnanti vide l’afflusso di numerosi spettatori che, avendo sentito parlare di questo giovane della Galilea, vennero a godere l’esperienza di vedere un ragazzo che confonde i sapienti uomini della legge. Anche Simone venne da Betania per vedere ciò che il ragazzo avrebbe fatto. Durante tutto questo giorno Giuseppe e Maria continuarono l’affannosa ricerca di Gesù, andando anche parecchie volte nel tempio, ma non pensando mai d’indagare tra i vari gruppi impegnati nelle discussioni, anche se una volta giunsero quasi a portata della sua affascinante voce.
(1382.4) 125:5.2 Prima della fine del giorno tutta l’attenzione del principale gruppo di discussioni del tempio era concentrata sulle domande poste da Gesù. Tra le sue numerose domande vi furono le seguenti:
(1382.5) 125:5.3 1. Che cosa c’è realmente nel Santo dei Santi dietro il velo?
(1382.6) 125:5.4 2. Perché in Israele le madri devono restare separate dai fedeli maschi nel tempio?
(1382.7) 125:5.5 3. Se Dio è un padre che ama i suoi figli, perché tutto questo massacro di animali per guadagnare il favore divino — l’insegnamento di Mosè è stato mal compreso?
(1382.8) 125:5.6 4. Dal momento che il tempio è consacrato all’adorazione del Padre celeste, è logico permettervi la presenza di coloro che sono impegnati in scambi profani e nel commercio?
(1382.9) 125:5.7 5. Il Messia atteso sarà un principe temporale che sederà sul trono di Davide, o agirà come la luce della vita nell’istituzione di un regno spirituale?
(1383.1) 125:5.8 E per tutto il giorno coloro che ascoltavano si meravigliarono di queste domande, e nessuno fu più stupito di Simone. Per più di quattro ore questo giovane di Nazaret incalzò gli insegnanti ebrei con domande che inducevano a riflettere e che sondavano i loro cuori. Egli fece pochi commenti sulle osservazioni di quelli più anziani di lui. Egli trasmetteva il suo insegnamento tramite le domande che poneva. Con il modo scaltro e sottile di formulare una domanda egli perveniva simultaneamente a mettere in discussione il loro insegnamento e a suggerire il proprio. Nel suo modo di porre una domanda c’era un’attraente combinazione di sagacia e di arguzia che lo faceva benvolere anche da coloro che lamentavano più o meno la sua giovane età. Egli era sempre eminentemente leale e pieno di riguardo nel porre le sue domande penetranti. Nel corso di questo movimentato pomeriggio nel tempio egli manifestò la stessa riluttanza a trarre da un avversario un vantaggio sleale che caratterizzò il suo intero ministero pubblico successivo. Come adolescente, e più tardi come uomo, egli sembrava completamente scevro da ogni desiderio egoista di vincere una discussione semplicemente per il piacere di trionfare sui suoi simili con la logica, essendo supremamente interessato ad una sola cosa: proclamare la verità eterna ed effettuare così una rivelazione più completa del Dio eterno.
(1383.2) 125:5.9 Al termine della giornata Simone e Gesù ritornarono a Betania. Durante la maggior parte del tragitto l’uomo ed il ragazzo rimasero in silenzio. Di nuovo Gesù si fermò sulle pendici dell’Oliveto, ma guardando la città ed il suo tempio non pianse; reclinò solamente il capo in silenziosa devozione.
(1383.3) 125:5.10 Dopo il pasto della sera a Betania egli rifiutò ancora una volta di unirsi all’allegra compagnia e andò invece in giardino, dove si attardò fino a notte inoltrata, tentando vanamente di elaborare un piano preciso per affrontare il problema dell’opera della sua vita e per scegliere il modo migliore di rivelare ai suoi compatrioti spiritualmente ciechi un concetto più bello del Padre celeste, e liberarli così dalla loro terribile schiavitù alla legge, al rituale, al cerimoniale e alla tradizione antiquata. Ma la chiara luce non raggiunse il ragazzo alla ricerca della verità.
(1383.4) 125:6.1 Gesù si era stranamente dimenticato dei suoi genitori terreni; anche a colazione, quando la madre di Lazzaro fece notare che i suoi genitori dovevano essere in quel momento vicino a casa loro, Gesù non sembrò rendersi conto che dovevano essere alquanto preoccupati per il fatto che egli fosse rimasto indietro.
(1383.5) 125:6.2 Di nuovo egli si recò al tempio, ma non si fermò sulla sommità dell’Oliveto a meditare. Nel corso delle discussioni del mattino gran parte del tempo fu dedicata alla legge e ai profeti, e gli insegnanti furono stupiti che Gesù conoscesse così bene le Scritture, tanto in ebraico che in greco. Ma essi erano stupiti non tanto dalla sua conoscenza della verità, quanto dalla sua giovane età.
(1383.6) 125:6.3 Alla conferenza del pomeriggio essi avevano appena cominciato a rispondere alla sua domanda sul proposito della preghiera, quando il capo invitò il ragazzo a farsi avanti, a sedersi vicino a lui e a far conoscere il suo punto di vista riguardo alla preghiera e all’adorazione.
(1383.7) 125:6.4 La sera prima i genitori di Gesù avevano sentito parlare di questo strano giovane che argomentava così abilmente con i commentatori della legge, ma non avevano pensato che questo ragazzo fosse il loro figlio. Essi avevano quasi deciso di andare a casa di Zaccaria supponendo che Gesù potesse esservi andato per vedere Elisabetta e Giovanni. Pensando che Zaccaria potesse forse essere al tempio, vi si fermarono sulla loro strada per la Città di Giuda. Mentre erravano attraverso i cortili del tempio, immaginate la loro sorpresa ed il loro stupore quando riconobbero la voce del loro ragazzo smarrito e lo videro seduto fra gli insegnanti del tempio.
(1384.1) 125:6.5 Giuseppe rimase senza parole, ma Maria diede libero sfogo alla sua paura e alla sua ansietà a lungo represse; essa si slanciò verso il ragazzo, che si era alzato per salutare i suoi attoniti genitori e disse: “Figlio mio, perché ci hai trattati in questo modo? Sono più di tre giorni che tuo padre ed io ti cerchiamo disperatamente. Che cosa ti ha preso per abbandonarci?” Questo fu un momento di tensione. Tutti gli occhi erano girati verso Gesù per sentire ciò che avrebbe detto. Suo padre lo guardò con aria di rimprovero, ma non disse nulla.
(1384.2) 125:6.6 Bisogna ricordare che Gesù era considerato un giovane uomo. Egli aveva terminato la sua scolarità regolare di fanciullo, era stato riconosciuto come figlio della legge ed aveva ricevuto la consacrazione come cittadino d’Israele. Ciononostante sua madre lo riprendeva apertamente davanti a tutta la gente riunita, proprio nel mezzo dello sforzo più serio e sublime della sua giovane vita, mettendo così fine poco gloriosamente ad una delle più grandi opportunità che gli fosse mai concessa di agire come insegnante della verità, predicatore di rettitudine, rivelatore del carattere amorevole di suo Padre celeste.
(1384.3) 125:6.7 Ma il ragazzo si dimostrò all’altezza delle circostanze. Se si prendono ragionevolmente in considerazione tutti i fattori che si combinarono per provocare questa situazione, sarete meglio preparati a capire bene la saggezza della risposta del ragazzo al rimprovero non premeditato di sua madre. Dopo un momento di riflessione, Gesù rispose a sua madre dicendo: “Perché mi avete cercato così a lungo? Non vi aspettavate di trovarmi nella casa di mio Padre, poiché è giunta l’ora di occuparmi degli affari di mio Padre?”
(1384.4) 125:6.8 Tutti i presenti furono stupiti dal modo di parlare del ragazzo. Essi si ritirarono in silenzio e lo lasciarono solo con i suoi genitori. Subito dopo il giovane tolse d’imbarazzo tutti e tre dicendo tranquillamente: “Venite, genitori miei, ciascuno ha fatto ciò che credeva fosse meglio. Nostro Padre nei cieli ha disposto queste cose; rientriamo a casa.”
(1384.5) 125:6.9 Essi partirono in silenzio, arrivando a Gerico per la notte. Si fermarono solo una volta, sulle pendici dell’Oliveto, quando il ragazzo alzò il suo bastone in aria e, fremendo dalla testa ai piedi sotto l’insorgere di un’emozione intensa, disse: “O Gerusalemme, Gerusalemme ed abitanti suoi, quali schiavi siete — sottoposti al giogo dei Romani e vittime delle vostre stesse tradizioni — ma ritornerò a purificare il tempio e a liberare il mio popolo da questa schiavitù!”
(1384.6) 125:6.10 Durante i tre giorni di viaggio verso Nazaret Gesù parlò poco; nemmeno i suoi genitori dissero molto in sua presenza. Essi erano veramente disorientati dalla condotta del loro figlio primogenito, ma conservavano preziosamente le sue parole nel loro cuore, anche senza riuscire a comprenderne pienamente il significato.
(1384.7) 125:6.11 Dopo essere arrivati a casa, Gesù fece un breve discorso ai suoi genitori, assicurandoli del suo affetto e lasciando intendere che non dovevano più temere che egli avrebbe nuovamente dato loro l’occasione di restare in ansia a causa della sua condotta. Egli concluse questa solenne dichiarazione dicendo: “Benché io debba fare la volontà di mio Padre che è nei cieli, obbedirò anche a mio padre che è sulla terra. Aspetterò la mia ora.”
(1384.8) 125:6.12 Sebbene nella sua mente Gesù rifiutasse spesso di approvare gli sforzi ben intenzionati ma malaccorti dei suoi genitori di dettargli il corso delle sue riflessioni o di stabilire il piano del suo lavoro sulla terra, tuttavia, in tutte le maniere compatibili con la sua consacrazione a fare la volontà di suo Padre del Paradiso, egli si conformava con il garbo migliore ai desideri di suo padre terreno e alle abitudini della sua famiglia nella carne. Anche quando non poteva acconsentirvi, egli faceva tutto il possibile per conformarvisi. Egli era un artista nel modo di conciliare la sua consacrazione al dovere con i suoi obblighi di fedeltà familiare e di servizio sociale.
(1385.1) 125:6.13 Giuseppe era perplesso, ma Maria, riflettendo su queste esperienze, riprese coraggio, finendo per considerare i propositi di Gesù sull’Oliveto come profetici della missione messianica di suo figlio quale liberatore d’Israele. Essa si mise all’opera con rinnovata energia per orientare i pensieri di Gesù in canali patriottici e nazionalistici, e ricorse all’aiuto di suo fratello, lo zio preferito di Gesù. Ed in ogni altro modo la madre di Gesù si dedicò al compito di preparare suo figlio primogenito ad assumere il comando di coloro che volevano restaurare il trono di Davide e respingere per sempre la schiavitù politica del giogo dei Gentili.
(1386.1) 126:0.1 DI TUTTE le esperienze della vita terrena di Gesù, il quattordicesimo ed il quindicesimo anno furono quelli cruciali. Questi due anni, dopo che egli cominciò a prendere coscienza della sua divinità e del suo destino, e prima di giungere a comunicare in larga misura con il suo Aggiustatore interiore, furono i più difficili della sua movimentata vita su Urantia. È questo periodo di due anni che potrebbe essere chiamato la grande prova, la vera tentazione. Nessun giovane umano, nel passare per i primi turbamenti ed i problemi di aggiustamento dell’adolescenza, fu mai sottoposto ad una prova più cruciale di quella attraversata da Gesù durante il suo passaggio dalla fanciullezza all’età virile.
(1386.2) 126:0.2 Questo importante periodo di sviluppo nella giovinezza di Gesù cominciò alla fine della visita a Gerusalemme e al suo ritorno a Nazaret. Maria fu dapprima felice al pensiero di aver ritrovato il suo ragazzo, che Gesù fosse ritornato a casa per essere un figlio sottomesso — benché egli non fosse mai stato altro — e che sarebbe stato oramai più sensibile ai piani da lei formulati per la sua vita futura. Ma non si sarebbe crogiolata a lungo al sole dell’illusione materna e dell’inconsapevole orgoglio di famiglia; molto presto essa sarebbe stata completamente disillusa. Il ragazzo viveva sempre più in compagnia di suo padre; egli andava sempre meno da lei per i suoi problemi, mentre cresceva sempre più l’incomprensione dei suoi genitori circa la sua frequente alternanza tra gli affari di questo mondo e le meditazioni sui suoi rapporti con gli affari di suo Padre. Francamente essi non lo capivano, ma l’amavano sinceramente.
(1386.3) 126:0.3 Via via che Gesù cresceva, la sua pietà ed il suo amore per il popolo ebreo aumentavano, ma con il passare degli anni si sviluppò nella sua mente un giusto risentimento contro la presenza nel tempio di suo Padre di sacerdoti scelti per ragioni politiche. Gesù aveva un grande rispetto per i Farisei sinceri e per gli Scribi onesti, ma teneva in pessima considerazione i Farisei ipocriti ed i teologi disonesti; considerava con sdegno tutti quei capi religiosi che non erano sinceri. Quando analizzava i dirigenti d’Israele, egli era talvolta tentato di guardare con favore alla possibilità di diventare il Messia atteso dagli Ebrei, ma non cedette mai a questa tentazione.
(1386.4) 126:0.4 Il racconto delle sue gesta fra i saggi del tempio di Gerusalemme era lusinghiero per tutta Nazaret, specialmente per i suoi vecchi insegnanti della scuola della sinagoga. Per qualche tempo il suo elogio fu su tutte le bocche. Tutto il villaggio raccontava la saggezza della sua infanzia e la sua condotta meritoria, e prediceva che sarebbe stato destinato a diventare un grande capo in Israele; finalmente un maestro veramente grande stava per uscire da Nazaret in Galilea. E tutti attendevano impazienti il momento in cui avrebbe compiuto i quindici anni affinché gli fosse regolarmente permesso di leggere le Scritture nella sinagoga il giorno di sabato.
(1387.1) 126:1.1 Questo è l’anno solare del suo quattordicesimo compleanno. Egli era divenuto un buon fabbricante di gioghi e lavorava bene la tela da vele ed il cuoio. Stava diventando rapidamente anche un carpentiere ed un ebanista esperto. Questa estate egli salì frequentemente sulla sommità della collina situata a nordovest di Nazaret per pregare e meditare. Egli stava divenendo gradualmente più autocosciente della natura del suo conferimento sulla terra.
(1387.2) 126:1.2 Poco più di cento anni prima questa collina era stata “l’alto luogo di Baal” ed ora era il luogo della tomba di Simeone, un sant’uomo stimato d’Israele. Dalla sommità di questa collina di Simeone, Gesù poteva vedere Nazaret e la regione circostante. Poteva vedere Meghiddo e ricordare la storia dell’esercito egiziano che aveva riportato la sua prima grande vittoria in Asia; e come più tardi un esercito simile sconfisse Giosia, il re della Giudea. Non lontano da là poteva vedere Taanak, dove Debora e Barak sconfissero Sisara. In distanza poteva scorgere le colline di Dotan, dove gli era stato insegnato che Giuseppe era stato venduto dai suoi fratelli agli Egiziani come schiavo. Poi poteva volgere il suo sguardo verso Ebal e Garizim e ricordarsi le tradizioni di Abramo, di Giacobbe e di Abimelek. E così ricordava e rimuginava nella sua mente gli avvenimenti storici e tradizionali del popolo di suo padre Giuseppe.
(1387.3) 126:1.3 Egli continuò a portare avanti i suoi corsi superiori di lettura con gli insegnanti della sinagoga e continuò anche l’educazione familiare dei suoi fratelli e sorelle a mano a mano che raggiungevano l’età idonea.
(1387.4) 126:1.4 All’inizio di quest’anno Giuseppe si organizzò per mettere da parte il ricavato delle sue proprietà di Nazaret e di Cafarnao al fine di pagare il lungo corso di studi di Gesù a Gerusalemme, essendo previsto che egli dovesse andare a Gerusaslemme in agosto dell’anno seguente, quando avesse raggiunto il quindicesimo anno di età.
(1387.5) 126:1.5 Dall’inizio di quest’anno Giuseppe e Maria ebbero frequenti dubbi circa il destino del loro figlio primogenito. In verità egli era un ragazzo brillante e amabile, ma così difficile da comprendere e così faticoso da sondare, ed inoltre niente di straordinario o di miracoloso era mai accaduto. Decine di volte la sua orgogliosa madre era rimasta in ansiosa attesa, aspettando di vedere suo figlio compiere qualche impresa superumana o miracolosa, ma le sue speranze naufragavano sempre in una crudele delusione. Tutto ciò era scoraggiante ed anche demoralizzante. Le persone devote di quel tempo credevano veramente che i profeti e gli uomini della promessa dimostrassero sempre la loro vocazione e stabilissero la loro autorità divina compiendo miracoli e facendo prodigi. Ma Gesù non faceva niente di tutto ciò; per questo la confusione dei suoi genitori aumentava sempre più via via che contemplavano il suo futuro.
(1387.6) 126:1.6 Il miglioramento della condizione economica della famiglia di Nazaret si rifletteva in casa in molti modi, specialmente nel numero crescente di tavolette bianche lisce che erano impiegate come lavagnette per scrivere, giacché si scriveva allora a carboncino. Gesù fu anche autorizzato a riprendere le sue lezioni di musica; egli amava molto suonare l’arpa.
(1387.7) 126:1.7 Durante tutto quest’anno si poté veramente dire che Gesù “cresceva nel favore degli uomini e di Dio”. Le prospettive della famiglia sembravano buone; il futuro era brillante.
(1388.1) 126:2.1 Tutto andò bene fino al giorno fatale di martedì 25 settembre, quando un messaggero proveniente da Sefforis portò alla famiglia di Nazaret la tragica notizia che Giuseppe si era gravemente ferito per la caduta di una trave da carico mentre lavorava nella residenza del governatore. Il messaggero di Sefforis si era fermato al laboratorio prima di andare a casa di Giuseppe, informando Gesù dell’incidente accaduto a suo padre, e i due si recarono insieme a casa per comunicare la triste notizia a Maria. Gesù desiderava andare immediatamente da suo padre, ma Maria voleva ad ogni costo essere lei a recarsi in fretta da suo marito. Essa decise che Giacomo, allora in età di dieci anni, l’avrebbe accompagnata a Sefforis, mentre Gesù sarebbe rimasto a casa con i figli più giovani fino al suo ritorno, poiché lei ignorava la gravità del ferimento di Giuseppe. Ma Giuseppe morì a causa delle ferite prima dell’arrivo di Maria. Essi lo riportarono a Nazaret e il giorno dopo fu deposto nella tomba con i suoi antenati.
(1388.2) 126:2.2 Proprio nel momento in cui le prospettive erano buone e l’avvenire sembrava brillante, una mano apparentemente crudele abbatté il capo di questa famiglia di Nazaret. Gli affari di questa casa furono interrotti e tutti i piani per la futura educazione di Gesù furono distrutti. Questo giovane carpentiere, che aveva appena compiuto quattordici anni, prese coscienza che non aveva solo da svolgere la missione di suo Padre celeste di rivelare la natura divina sulla terra e nella carne, ma che la sua giovane natura umana doveva anche addossarsi la responsabilità di prendersi cura di sua madre vedova e dei suoi sette fratelli e sorelle — e di un altro figlio non ancora nato. Questo giovane di Nazaret divenne ora l’unico sostegno e conforto di questa famiglia così improvvisamente colpita. In tal modo fu permesso il succedersi su Urantia di quegli avvenimenti d’ordine naturale che obbligarono questo giovane uomo del destino ad assumere così presto le responsabilità pesanti, ma altamente educative e disciplinari, che competono a chi diventa capo di una famiglia umana, padre dei propri fratelli e sorelle, sostegno e protezione della propria madre, custode della casa paterna, la sola che avrebbe conosciuto mentre era su questo mondo.
(1388.3) 126:2.3 Gesù accettò di buon grado le responsabilità che si abbatterono così improvvisamente su di lui, e le portò avanti fedelmente sino alla fine. Perlomeno un grande problema ed una prevista difficoltà della sua vita erano stati tragicamente risolti — non ci si aspettava più ora che egli andasse a Gerusalemme a studiare sotto i rabbini. Rimase sempre vero che Gesù “non si sedette ai piedi di nessuno”. Egli era sempre desideroso d’imparare, anche dal più umile bambino, ma non derivò mai da fonti umane la sua autorità per insegnare la verità.
(1388.4) 126:2.4 Egli non sapeva ancora nulla della visita di Gabriele a sua madre prima della sua nascita; lo apprese da Giovanni soltanto il giorno del suo battesimo, all’inizio del suo ministero pubblico.
(1388.5) 126:2.5 Con il passare degli anni questo giovane carpentiere di Nazaret misurò sempre più ogni istituzione della società ed ogni usanza della religione con un criterio invariabile: che cosa fa per l’anima umana? Avvicina Dio all’uomo? Conduce l’uomo a Dio? Pur non dimenticando completamente gli aspetti ricreativi e sociali della vita, questo giovane consacrò sempre più il suo tempo e le sue energie a due soli propositi: prendersi cura della sua famiglia e prepararsi a compiere sulla terra la volontà di suo Padre celeste.
(1389.1) 126:2.6 Quest’anno i vicini presero l’abitudine di entrare all’improvviso durante le sere d’inverno per ascoltare Gesù suonare l’arpa, per ascoltare le sue storie (perché il ragazzo era un eccellente narratore) e per sentirlo leggere dalle Scritture in greco.
(1389.2) 126:2.7 Gli affari economici della famiglia continuavano a scorrere abbastanza tranquillamente perché disponeva di una buona somma di denaro liquido al momento della morte di Giuseppe. Gesù non tardò a mostrare che possedeva un giudizio acuto degli affari e sagacia finanziaria. Egli era liberale ma frugale; era economo ma generoso. Si rivelò un amministratore saggio ed efficace dei beni di suo padre.
(1389.3) 126:2.8 Nonostante tutto ciò che Gesù ed i vicini di Nazaret potevano fare per portare conforto alla famiglia, Maria ed anche i bambini erano pieni di tristezza. Giuseppe se n’era andato. Giuseppe era stato un marito ed un padre eccezionale e mancava a tutti loro. E sembrava loro ancor più tragico pensare che era morto prima che avessero potuto parlargli o ricevere la sua benedizione di addio.
(1389.4) 126:3.1 Alla metà di questo quindicesimo anno — e contiamo il tempo secondo il calendario del ventesimo secolo e non secondo l’anno ebraico — Gesù aveva preso in mano saldamente la conduzione della sua famiglia. Prima della fine di quest’anno le loro risorse erano quasi esaurite ed essi si trovarono nella necessità di vendere una delle case di Nazaret che Giuseppe possedeva in comune con il suo vicino Giacobbe.
(1389.5) 126:3.2 Mercoledì sera 17 aprile dell’anno 9 d.C. venne al mondo Rut, l’ultima nata della famiglia, e nel limite del possibile Gesù si sforzò di prendere il posto di suo padre nel confortare e curare sua madre durante questa prova difficile e particolarmente triste. Per quasi vent’anni (fino all’inizio del suo ministero pubblico) nessun padre avrebbe potuto amare ed allevare sua figlia con più affetto ed attaccamento di quanto fece Gesù nell’occuparsi della piccola Rut. Egli fu altrettanto un buon padre per tutti gli altri membri della sua famiglia.
(1389.6) 126:3.3 Durante quest’anno Gesù formulò per la prima volta la preghiera che insegnò successivamente ai suoi apostoli e che è stata conosciuta da molti come “Il Padre Nostro”. In un certo senso questa fu un’evoluzione della celebrazione familiare; gli Ebrei avevano numerose formule di lode e parecchie preghiere formali. Dopo la morte di suo padre Gesù tentò d’insegnare ai ragazzi più grandi ad esprimersi individualmente nelle loro preghiere — come lui stesso amava fare — ma essi non riuscivano a capire il suo pensiero e tornavano invariabilmente alle loro forme di preghiera imparate a memoria. Fu in questo tentativo di stimolare i suoi fratelli e sorelle più anziani a recitare delle preghiere individuali che Gesù si sforzò di guidarli con frasi suggestive, e ben presto, senza intenzione da parte sua, tutti impiegarono una forma di preghiera largamente basata sulle linee direttrici che Gesù aveva insegnato loro.
(1389.7) 126:3.4 Alla fine Gesù abbandonò l’idea di ottenere che ogni membro della famiglia formulasse preghiere spontanee, ed una sera di ottobre si sedette presso la piccola lampada piatta posta sulla bassa tavola di pietra e, su una tavoletta di cedro liscia di circa quarantacinque centimetri di lato, scrisse con un pezzo di carboncino la preghiera che divenne da quel momento la supplica modello della famiglia.
(1389.8) 126:3.5 Quest’anno Gesù fu molto turbato da riflessioni confuse. Le responsabilità familiari avevano allontanato molto efficacemente ogni idea di mettere in esecuzione un piano conforme alla visita di Gerusalemme che lo invitava ad “occuparsi degli affari di suo Padre”. Gesù ragionò giustamente che prendersi cura della famiglia di suo padre terreno doveva avere la precedenza su ogni altro dovere, e che il sostegno della sua famiglia doveva essere il suo primo obbligo.
(1390.1) 126:3.6 Nel corso di quest’anno Gesù trovò nel cosiddetto Libro di Enoch un passaggio che lo spinse ad adottare più tardi l’espressione “Figlio dell’Uomo” come designazione della sua missione di conferimento su Urantia. Egli aveva accuratamente considerato l’idea del Messia ebreo e si convinse fermamente che non sarebbe stato quel Messia. Anelava ad aiutare il popolo di suo padre, ma non pensò mai di mettersi alla testa degli eserciti ebrei per liberare la Palestina dalla dominazione straniera. Egli sapeva che non si sarebbe mai seduto sul trono di Davide a Gerusalemme. E nemmeno credeva che la sua missione fosse quella di un liberatore spirituale o di un educatore morale solo per il popolo ebreo. In nessun senso, quindi, la missione della sua vita poteva essere il compimento dei desideri ardenti e delle supposte profezie messianiche delle Scritture ebraiche; almeno non nella maniera in cui gli Ebrei comprendevano queste predizioni dei profeti. Similmente egli era certo che non sarebbe mai apparso come il Figlio dell’Uomo descritto dal profeta Daniele.
(1390.2) 126:3.7 Ma quando fosse venuto per lui il momento di farsi avanti come educatore nel mondo, quale nome avrebbe assunto? Come avrebbe giustificato la sua missione? Con quale nome sarebbe stato chiamato dalle persone che avrebbero creduto nei suoi insegnamenti?
(1390.3) 126:3.8 Mentre rimuginava tutti questi problemi nella sua mente, egli trovò nella biblioteca della sinagoga di Nazaret, fra i libri apocalittici che stava studiando, questo manoscritto chiamato “Il Libro di Enoch”. E benché egli fosse certo che non era stato scritto dall’Enoch di un tempo, il libro lo interessò molto, ed egli lo lesse e rilesse parecchie volte. C’era un passaggio che lo colpì particolarmente, il passaggio in cui appariva il termine “Figlio dell’Uomo”. L’autore di questo cosiddetto Libro di Enoch continuava a parlare di questo Figlio dell’Uomo, descrivendo il lavoro che doveva compiere sulla terra e spiegando che questo Figlio dell’Uomo, prima di venire su questo mondo per portare la salvezza all’umanità, aveva attraversato i cortili della gloria celeste con suo Padre, il Padre di tutti; e che aveva rinunciato a tutta questa grandezza e gloria per discendere sulla terra a proclamare la salvezza ai mortali bisognosi. A mano a mano che Gesù leggeva questi passaggi (ben sapendo che gran parte del misticismo orientale mescolatosi in seguito con questi insegnamenti era erroneo), sentiva nel suo cuore e riconosceva nella sua mente che fra tutte le predizioni messianiche delle Scritture ebraiche e tutte le teorie sul liberatore degli Ebrei, nessuna era così vicina alla verità quanto la storia posta in questo Libro di Enoch solo parzialmente riconosciuto. Ed egli decise seduta stante di adottare come suo titolo inaugurale “il Figlio dell’Uomo”. E così fece quando successivamente cominciò la sua opera pubblica. Gesù aveva un’abilità infallibile nel riconoscere la verità e non esitava ad accoglierla qualunque fosse la fonte da cui sembrava emanare.
(1390.4) 126:3.9 In quel tempo egli aveva completamente messo in ordine molte cose concernenti il suo futuro lavoro nel mondo, ma non disse niente di queste cose a sua madre, che era ancora risolutamente legata all’idea che egli fosse il Messia ebreo.
(1390.5) 126:3.10 Affiorava adesso la grande confusione dell’età giovanile di Gesù. Dopo aver fissato qualcosa circa la natura della sua missione sulla terra, cioè “occuparsi degli affari di suo Padre” — mostrare la natura amorevole di suo Padre a tutta l’umanità — egli cominciò a riflettere nuovamente sulle numerose citazioni delle Scritture riferentisi alla venuta di un liberatore nazionale, un maestro od un re ebreo. A quale avvenimento si riferivano queste profezie? Non era forse un Ebreo? O non lo era? Apparteneva o no alla casa di Davide? Sua madre affermava di sì; suo padre aveva giudicato che non lo era. Egli decise che non lo era. Ma i profeti avevano confuso la natura e la missione del Messia?
(1391.1) 126:3.11 Dopo tutto era possibile che sua madre avesse ragione? Nella maggior parte dei casi, quando delle divergenze d’opinione erano sorte in passato, lei aveva avuto ragione. Se egli era un nuovo maestro e non il Messia, allora come avrebbe potuto riconoscere il Messia ebreo se costui fosse apparso a Gerusalemme durante il tempo della sua missione terrena; e quali sarebbero state allora le sue relazioni con questo Messia ebreo? E quali sarebbero stati i rapporti con la sua famiglia dopo che si fosse impegnato nella missione della sua vita? Con la religione e la comunità ebraica? Con l’Impero Romano? Con i Gentili e le loro religioni? Il giovane galileo rigirava nella sua mente ciascuno di questi cruciali problemi e vi rifletteva seriamente mentre continuava a lavorare al banco di carpentiere, guadagnando laboriosamente da vivere per sé, per sua madre e per le altre otto bocche affamate.
(1391.2) 126:3.12 Prima della fine di quest’anno Maria si rese conto che i fondi della famiglia diminuivano. Essa affidò la vendita dei piccioni a Giacomo. Ben presto essi acquistarono una seconda mucca e, con l’aiuto di Miriam, cominciarono a vendere latte ai loro vicini di Nazaret.
(1391.3) 126:3.13 I suoi periodi di profonda meditazione, i suoi frequenti spostamenti per pregare sulla sommità della collina e le molte strane idee che Gesù enunciava di tanto in tanto, allarmarono profondamente sua madre. Talvolta essa pensava che il ragazzo fosse fuori di sé, e poi dominava il suo timore ricordandosi che egli era dopotutto un figlio della promessa e che era sotto molti aspetti differente dagli altri giovani.
(1391.4) 126:3.14 Ma Gesù aveva imparato a non esprimere tutti i suoi pensieri, a non esporre tutte le sue idee agli altri, nemmeno alla sua stessa madre. A partire da quest’anno Gesù limitò costantemente la divulgazione di quanto passava per la sua mente; cioè, egli parlò meno di quelle cose che una persona normale non poteva afferrare e che rischiavano di farlo considerare come bizzarro o differente dalla gente comune. Secondo tutte le apparenze egli divenne ordinario e convenzionale, sebbene desiderasse qualcuno che potesse comprendere i suoi problemi. Egli anelava ad avere un amico fedele e degno di fiducia, ma i suoi problemi erano troppo complessi per essere compresi dai suoi compagni umani. La singolarità di questa situazione eccezionale lo induceva a portare il suo fardello da solo.
(1391.5) 126:4.1 A partire dal suo quindicesimo compleanno Gesù poteva ufficialmente occupare il pulpito della sinagoga nel giorno di sabato. Molte volte prima, in assenza di oratori, era stato chiesto a Gesù di leggere le Scritture, ma ora era giunto il giorno in cui, secondo la legge, egli poteva condurre il servizio. Perciò il primo sabato dopo il suo quindicesimo compleanno il cazan dispose che Gesù conducesse il servizio mattutino della sinagoga. E quando tutti i fedeli di Nazaret furono riuniti, il giovane, dopo aver fatto la sua scelta delle Scritture, si alzò e cominciò a leggere:
(1391.6) 126:4.2 “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha unto; egli mi ha inviato a portare la buona novella ai mansueti, a curare quelli che hanno il cuore spezzato, a proclamare la libertà agli schiavi e a liberare i prigionieri spirituali; a proclamare l’anno del favore di Dio ed il giorno del giudizio del nostro Dio; a consolare tutti gli afflitti e a dare loro la bellezza in luogo delle ceneri, l’olio della gioia al posto del dolore, un canto di lodi invece dello spirito di cordoglio, affinché possano essere chiamati alberi di rettitudine, piantati dal Signore, con i quali egli possa essere glorificato.
(1392.1) 126:4.3 “Cercate il bene e non il male, affinché possiate vivere, e così il Signore, il Dio degli eserciti, sarà con voi. Odiate il male ed amate il bene; stabilite il giudizio sulla porta. Forse il Signore Dio userà grazia verso i resti di Giuseppe.
(1392.2) 126:4.4 “Lavatevi, purificatevi; allontanate il male dalle vostre azioni dinanzi ai miei occhi; cessate di fare il male ed imparate a fare il bene; cercate la giustizia, confortate gli oppressi. Difendete gli orfani di padre e perorate la causa delle vedove.
(1392.3) 126:4.5 “Con che cosa mi presenterò davanti al Signore, per inchinarmi davanti al Signore di tutta la terra? Andrò davanti a lui con olocausti, con vitelli di un anno? Il Signore gradirà le migliaia di arieti, le decine di migliaia di pecore o i fiumi d’olio? Darò il mio primogenito per la mia trasgressione, il frutto del mio corpo per il peccato della mia anima? No! Perché il Signore ci ha mostrato, o uomini, ciò che è buono. Che cosa vi chiede il Signore se non di essere giusti, di amare la misericordia e di camminare umilmente con il vostro Dio?
(1392.4) 126:4.6 “A chi, allora, paragonerete Dio che siede sull’orbita della terra? Alzate gli occhi e guardate chi ha creato tutti questi mondi, chi produce le loro moltitudini per numero e le chiama tutte con il loro nome. Egli fa tutte queste cose grazie alla grandezza della sua potenza e a causa della forza del suo potere non ne sbaglia una. Egli dona vigore ai deboli ed accresce la forza di coloro che sono stanchi. Non abbiate paura, perché io sono con voi; non temete, perché io sono il vostro Dio. Io vi fortificherò e vi aiuterò; sì, io vi sosterrò con la mano destra della mia giustizia, perché io sono il Signore vostro Dio. Ed io terrò la vostra mano destra dicendovi: non temete, perché io vi aiuterò.
(1392.5) 126:4.7 “Tu sei il mio testimone, dice il Signore, ed il mio servitore che ho scelto perché tutti possiate conoscermi e credere in me e comprendere che io sono l’Eterno. Io, sì io sono il Signore, e all’infuori di me non c’è alcun salvatore.”
(1392.6) 126:4.8 Quando ebbe terminato questa lettura, egli si sedette, e la gente rientrò a casa propria meditando le parole che egli aveva letto loro con tanta grazia. Mai i suoi concittadini l’avevano visto così magnificamente solenne; mai avevano sentito la sua voce così ardente e sincera; mai l’avevano visto così forte, così deciso, così pieno d’autorità.
(1392.7) 126:4.9 Questo pomeriggio di sabato Gesù salì con Giacomo sulla collina di Nazaret, e quando ritornarono a casa egli scrisse i Dieci Comandamenti in greco con il carboncino su due tavolette di legno liscio. Successivamente Marta colorì e decorò queste tavolette, e per parecchio tempo esse rimasero appese al muro sopra il piccolo banco da lavoro di Giacomo.
(1392.8) 126:5.1 Gradualmente Gesù e la sua famiglia ritornarono alla vita semplice dei loro primi anni. I loro vestiti ed anche il loro cibo divennero più semplici. Essi avevano latte, burro e formaggio in abbondanza. Alla stagione dovuta essi beneficiavano dei prodotti del loro giardino, ma ogni mese che passava erano obbligati a praticare una maggiore frugalità. I loro pasti erano molto semplici; il cibo migliore era riservato per il pasto della sera. Tuttavia, tra questi Ebrei, la mancanza di ricchezza non implicava un’inferiorità sociale.
(1392.9) 126:5.2 Questo giovane aveva già quasi acquisito la comprensione di come vivevano gli uomini del suo tempo. Ed a qual punto egli comprendesse bene la vita di famiglia, dei campi e del laboratorio è mostrato dai suoi insegnamenti successivi, che rivelano così pienamente i suoi contatti intimi con tutte le fasi dell’esperienza umana.
(1392.10) 126:5.3 Il cazan di Nazaret continuava a credere che Gesù sarebbe divenuto un grande maestro, probabilmente il successore del celebre Gamaliele a Gerusalemme.
(1393.1) 126:5.4 Apparentemente tutti i piani di Gesù per la sua carriera furono contrastati. Il futuro non sembrava brillante per come si sviluppavano gli avvenimenti. Ma egli non vacillò, non si scoraggiò. Continuò a vivere giorno dopo giorno, compiendo bene il suo dovere presente ed assolvendo fedelmente le responsabilità immediate della sua posizione nella vita. La vita di Gesù è la consolazione eterna di tutti gli idealisti delusi.
(1393.2) 126:5.5 Il salario di un carpentiere ordinario che lavorava a giornata diminuiva lentamente. Alla fine di quest’anno, lavorando dal mattino presto a sera tardi, Gesù non riusciva a guadagnare che l’equivalente di circa venticinque centesimi il giorno. L’anno seguente essi ebbero difficoltà a pagare le tasse civili, senza parlare delle quote della sinagoga e della tassa di mezzo siclo per il tempio. Nel corso di quest’anno l’esattore delle imposte tentò di estorcere a Gesù un ricavo supplementare, minacciando persino di sequestrare la sua arpa.
(1393.3) 126:5.6 Temendo che l’esemplare delle Scritture greche fosse scoperto e confiscato dagli esattori delle imposte, Gesù lo donò nel giorno del suo quindicesimo compleanno alla biblioteca della sinagoga di Nazaret, come offerta al Signore in occasione della sua maturità.
(1393.4) 126:5.7 Il grande shock del suo quindicesimo anno avvenne quando Gesù andò a Sefforis per ascoltare la decisione di Erode riguardo all’appello che aveva presentato per la disputa sull’entità della somma dovuta a Giuseppe al momento della sua morte accidentale. Gesù e Maria avevano sperato di ricevere una somma considerevole di denaro, mentre il tesoriere di Sefforis aveva offerto loro una somma irrisoria. I fratelli di Giuseppe avevano fatto appello ad Erode stesso, ed ora Gesù era a palazzo ed ascoltava Erode decretare che niente era dovuto a suo padre al momento della morte. E a causa di questa decisione così ingiusta Gesù non ebbe mai più fiducia in Erode Antipa. Non c’è da sorprendersi che egli abbia fatto allusione una volta ad Erode come a “quella volpe”.
(1393.5) 126:5.8 Il lavoro assiduo al banco di carpentiere durante quest’anno e gli anni seguenti privò Gesù dell’opportunità di mescolarsi ai viaggiatori delle carovane. Il magazzino di approvvigionamento della famiglia era già stato ripreso da suo zio, e Gesù lavorava tutto il suo tempo nel laboratorio di casa, dove era vicino per aiutare Maria con la famiglia. In questo periodo egli cominciò a mandare Giacomo al caravanserraglio per raccogliere informazioni sugli avvenimenti del mondo, cercando così di tenersi al corrente delle notizie del giorno.
(1393.6) 126:5.9 Nel corso della sua crescita verso l’età adulta egli passò per tutti quei conflitti ed incertezze per cui sono passati i giovani normali delle ere precedenti e successive. La rigorosa esperienza di mantenere la sua famiglia era una sicura salvaguardia contro la possibilità di disporre di troppo tempo per meditazioni oziose o per indulgere a tendenze mistiche.
(1393.7) 126:5.10 Questo fu l’anno in cui Gesù prese in affitto un grande appezzamento di terra a nord della loro casa, che fu diviso in porzioni d’orto di famiglia. Ciascuno dei figli più anziani ebbe un giardino individuale, ed essi si fecero una viva concorrenza nei loro sforzi agricoli. Il loro fratello maggiore passava ogni giorno un po’ di tempo con loro nel giardino durante la stagione della coltivazione degli ortaggi. Mentre Gesù lavorava in giardino con i suoi giovani fratelli e sorelle, ebbe più volte il desiderio di andare ad abitare tutti in una fattoria in campagna, dove avrebbero goduto la libertà e l’indipendenza di una vita libera. Ma essi non si vedevano crescere in campagna, e Gesù, che era un giovane pratico oltre che un idealista, affrontò con intelligenza ed energia il suo problema così come si presentava, e fece tutto ciò che era in suo potere per adeguare se stesso e la sua famiglia alle realtà della loro situazione e per adattare la loro condizione alla maggior soddisfazione possibile dei loro desideri individuali e collettivi.
(1393.8) 126:5.11 Ad un certo momento Gesù aveva un po’ sperato che avrebbe potuto mettere insieme i mezzi sufficienti a garantire l’intenzione di acquistare una piccola fattoria se avessero riscosso la somma considerevole dovuta a suo padre per i lavori eseguiti al palazzo di Erode. Egli aveva pensato molto seriamente al piano di trasferire la sua famiglia in campagna. Ma quando Erode rifiutò di pagare loro qualsiasi importo di quanto dovuto a Giuseppe, essi rinunciarono all’ambizione di possedere una casa in campagna. Comunque riuscirono a godere molto dell’esperienza della vita di fattoria poiché ora avevano tre mucche, quattro pecore, una moltitudine di pulcini, un asino ed un cane, oltre ai piccioni. Anche i bambini avevano i loro incarichi regolari da svolgere nello schema ben regolato dell’organizzazione che caratterizzava la vita domestica di questa famiglia di Nazaret.
(1394.1) 126:5.12 Alla fine del suo quindicesimo anno Gesù terminò la traversata di quel pericoloso e difficile periodo dell’esistenza umana, di quell’epoca di transizione tra gli anni di maggior soddisfazione dell’infanzia e la coscienza dell’imminente età adulta con le sue responsabilità ed opportunità accresciute di acquisire una maggiore esperienza nello sviluppo di un nobile carattere. Il periodo di crescita mentale e fisica era finito ed ora iniziava la vera carriera di questo giovane uomo di Nazaret.
(1395.1) 127:0.1 QUANDO entrò negli anni della sua adolescenza, Gesù si trovò ad essere il capo e l’unico sostegno di una famiglia numerosa. In pochi anni dopo la morte di suo padre tutte le loro proprietà erano state vendute. Con il passare del tempo egli prese sempre più coscienza della sua preesistenza; allo stesso tempo cominciò a comprendere più pienamente che era presente sulla terra e nella carne con l’espresso proposito di rivelare suo Padre del Paradiso ai figli degli uomini.
(1395.2) 127:0.2 Nessun adolescente che è vissuto o vivrà mai su questo mondo o su qualsiasi altro mondo ha dovuto o dovrà mai risolvere problemi più gravi o sbrogliare difficoltà più intricate. Nessun giovane di Urantia sarà mai chiamato a passare per conflitti più probanti o per situazioni più difficili di quelli che Gesù sopportò durante quegli anni ardui che vanno dal quindicesimo al ventesimo.
(1395.3) 127:0.3 Essendo passato in tal modo per l’esperienza effettiva di vivere questi anni di adolescenza su un mondo assalito dal male e tormentato dal peccato, il Figlio dell’Uomo acquisì una conoscenza completa dell’esperienza di vita della gioventù in tutti i regni di Nebadon, e divenne così per sempre il rifugio comprensivo per gli adolescenti angosciati e perplessi di ogni tempo e su tutti i mondi dell’universo locale.
(1395.4) 127:0.4 Lentamente ma sicuramente, e per esperienza effettiva, questo Figlio divino sta guadagnando il diritto di divenire il sovrano del suo universo, il governatore supremo e indiscusso di tutte le intelligenze create su tutti i mondi dell’universo locale, il rifugio comprensivo degli esseri di tutte le ere e di qualunque grado di dotazione e di esperienza personale.
(1395.5) 127:1.1 Il Figlio incarnato passò per l’infanzia e visse una fanciullezza tranquilla. Egli emerse poi dal probante e difficile periodo di transizione tra la fanciullezza e l’età virile — divenne l’adolescente Gesù.
(1395.6) 127:1.2 Quest’anno egli raggiunse la sua completa crescita fisica. Era un giovane virile ed avvenente. Egli divenne sempre più austero e serio, ma rimase amabile e comprensivo. I suoi occhi erano benevoli, ma indagatori; il suo sorriso era sempre attraente e rassicurante. La sua voce era musicale, ma autorevole; il suo saluto era cordiale, ma senza affettazione. Sempre, anche nei contatti più ordinari, sembrava essere evidente l’espressione di una duplice natura, quella umana e quella divina. Egli mostrò sempre questa combinazione di amico comprensivo e di maestro autorevole. E questi tratti della sua personalità cominciarono a manifestarsi presto, fin da questi anni della sua adolescenza.
(1395.7) 127:1.3 Questo giovane fisicamente forte e robusto raggiunse anche la crescita completa del suo intelletto umano, non la piena esperienza della mente umana, ma la piena capacità per un tale sviluppo intellettuale. Egli aveva un corpo sano e ben proporzionato, una mente vivace ed analitica, una disposizione benevola e comprensiva, un temperamento un po’ fluttuante ma dinamico; e questo insieme cominciò a comporre una personalità forte, straordinaria e seducente.
(1396.1) 127:1.4 Con il tempo divenne sempre più difficile per sua madre ed i suoi fratelli e sorelle capirlo; essi esitavano di fronte a quanto diceva ed interpretavano erroneamente quanto faceva. Essi erano tutti incapaci di comprendere la vita del loro fratello maggiore perché la loro madre aveva dato loro ad intendere che era destinato a divenire il liberatore del popolo ebreo. Dopo aver ricevuto queste indicazioni da Maria come segreti di famiglia, immaginate la loro confusione quando Gesù smentiva apertamente tutte queste idee ed intenzioni.
(1396.2) 127:1.5 Quest’anno Simone iniziò la scuola ed essi furono obbligati a vendere un’altra casa. Giacomo s’incaricò ora d’istruire la sue tre sorelle, due delle quali avevano l’età giusta per cominciare a studiare seriamente. Appena Rut crebbe, fu presa in carico da Miriam e Marta. Ordinariamente le ragazze delle famiglie ebree ricevevano un’istruzione limitata, ma Gesù era del parere (e sua madre era d’accordo con lui) che le ragazze dovessero andare a scuola come i ragazzi, e poiché la scuola della sinagoga non voleva accettarle, non c’era altra soluzione che condurre dei corsi scolastici speciali per loro a casa.
(1396.3) 127:1.6 Per tutto quest’anno Gesù restò confinato al suo banco da lavoro. Per fortuna egli aveva molto lavoro e lo eseguiva in maniera così superiore che non era mai inattivo, nemmeno quando c’era poco lavoro in quella regione. In certi momenti aveva talmente da fare che Giacomo doveva aiutarlo.
(1396.4) 127:1.7 Alla fine di quest’anno egli aveva quasi deciso che, dopo aver allevato i suoi fratelli e sorelle ed averli visti sposati, avrebbe iniziato il suo ministero pubblico come maestro di verità e rivelatore del Padre celeste al mondo. Egli sapeva che non sarebbe divenuto il Messia ebreo atteso e concluse che era quasi inutile discutere questi argomenti con sua madre; decise di permetterle di mantenere tutte le idee che le fossero piaciute, poiché tutto quello che egli aveva detto in passato aveva fatto poca o nessuna impressione su di lei, e si ricordò che suo padre non era mai stato capace di dire qualcosa che le facesse cambiare idea. A partire da quest’anno egli parlò sempre meno con sua madre o con altre persone di questi problemi. La sua missione era così particolare che nessuno al mondo avrebbe potuto dargli dei consigli per compierla.
(1396.5) 127:1.8 Benché giovane, egli era un vero padre per la sua famiglia; passava ogni ora possibile con i suoi fratelli e sorelle, ed essi lo amavano veramente. Sua madre era desolata nel vederlo lavorare tanto; era dispiaciuta che giorno dopo giorno faticasse al banco di carpentiere per guadagnare da vivere per la famiglia anziché essere a Gerusalemme, come loro avevano progettato con tanta cura, per studiare con i rabbini. Sebbene vi fossero molte cose concernenti suo figlio che Maria non riusciva a comprendere, essa lo amava molto, e ciò che apprezzava di più era la maniera spontanea con la quale egli si addossava la responsabilità della famiglia.
(1396.6) 127:2.1 In quest’epoca vi fu una considerevole agitazione, specialmente a Gerusalemme e in Giudea, a favore di una ribellione contro il pagamento delle imposte a Roma. Si stava formando un forte partito nazionalista che fu subito chiamato gli Zeloti. Contrariamente ai Farisei, gli Zeloti non volevano attendere la venuta del Messia. Essi proponevano di risolvere tutto con una rivolta politica.
(1396.7) 127:2.2 Un gruppo di organizzatori di Gerusalemme arrivò in Galilea e riuscì a farsi strada agevolmente fino al momento in cui giunse a Nazaret. Quando vennero a far visita a Gesù, egli li ascoltò con attenzione e pose un gran numero di domande, ma rifiutò di unirsi al partito. Egli rifiutò assolutamente di rivelare le ragioni che gli impedivano di aderire, ed il suo rifiuto ebbe per effetto di far uscire dagli Zeloti molti suoi giovani compagni di Nazaret.
(1397.1) 127:2.3 Maria fece del suo meglio per indurlo ad arruolarsi, ma non riuscì a smuoverlo. Essa arrivò a dirgli che il suo rifiuto di sposare la causa nazionalista, come lei ordinava, era un’insubordinazione, una violazione della sua promessa fatta al loro ritorno da Gerusalemme di essere sottomesso ai suoi genitori. Ma in risposta a questa insinuazione egli posò solamente una mano benevola sulla sua spalla e, guardandola in viso, disse: “Madre mia, come puoi tu?” E Maria ritirò la sua affermazione.
(1397.2) 127:2.4 Uno degli zii di Gesù (Simone, fratello di Maria) si era già unito a questo gruppo, divenendone in seguito un funzionario nella sezione della Galilea. E per molti anni vi fu un certo allontanamento fra Gesù e suo zio.
(1397.3) 127:2.5 Ma a Nazaret cominciò a covare il disordine. L’atteggiamento di Gesù in questa faccenda aveva avuto come risultato di creare una divisione tra i giovani ebrei della città. Circa la metà si era unita all’organizzazione nazionalista, e l’altra metà cominciò a formare un gruppo opposto di patrioti più moderati, con la speranza che Gesù ne assumesse la direzione. Essi rimasero stupefatti quando egli rifiutò l’onore che gli si offriva, portando come scusa le sue pesanti responsabilità familiari, che tutti ammettevano. Ma la situazione si complicò ancora di più poco dopo quando Isacco, un ricco ebreo prestatore di denaro ai Gentili, propose di mantenere la famiglia di Gesù se egli avesse deposto i suoi attrezzi e si fosse messo alla testa di questi patrioti di Nazaret.
(1397.4) 127:2.6 Gesù, allora appena diciassettenne, si trovò di fronte ad una delle situazioni più delicate e più imbarazzanti della sua giovane vita. È sempre difficile per i leader spirituali legarsi a movimenti patriottici, specialmente quando sono complicati da oppressori stranieri che percepiscono delle imposte; ed era doppiamente vero in questo caso poiché la religione ebraica era implicata in tutta questa agitazione contro Roma.
(1397.5) 127:2.7 La posizione di Gesù era resa ancor più difficile dal fatto che sua madre, suo zio ed anche suo fratello più giovane, Giacomo, lo esortavano tutti ad unirsi alla causa nazionalista. Tutti i migliori Ebrei di Nazaret si erano arruolati, e quei giovani che non si erano uniti al movimento erano tutti pronti ad arruolarsi nel momento in cui Gesù avesse cambiato idea. Egli aveva un solo consigliere saggio in tutta Nazaret, il suo vecchio maestro, il cazan, che lo consigliò sulla sua replica al comitato dei cittadini di Nazaret quando vennero a chiedere la sua risposta all’appello pubblico che era stato fatto. In tutta la giovane vita di Gesù questa fu la prima volta che egli ricorse coscientemente ad una manovra strategica. Fino ad allora egli aveva sempre contato su una sincera esposizione della verità per chiarire la situazione, ma ora non poteva proclamare l’intera verità. Non poteva dichiarare di essere più che un uomo; non poteva rivelare la sua idea della missione che l’attendeva quando fosse stato un po’ più maturo. Malgrado queste limitazioni, la sua fedeltà religiosa e la sua lealtà nazionale erano direttamente messe alla prova. La sua famiglia era in agitazione, i suoi giovani amici divisi, e tutto il contingente ebreo della città era in subbuglio. E pensare che era da biasimare per tutto ciò! Quanto poco egli aveva desiderato causare un qualunque turbamento ed ancor meno uno scompiglio di tal genere.
(1397.6) 127:2.8 Bisognava fare qualcosa. Gesù doveva far conoscere la sua posizione, e lo fece coraggiosamente e diplomaticamente con soddisfazione di molti, ma non di tutti. Egli si attenne ai termini della sua argomentazione originaria, sostenendo che il suo primo dovere era verso la sua famiglia, che una madre vedova ed otto fratelli e sorelle avevano bisogno di qualcosa di più di ciò che il semplice denaro può acquistare — le necessità materiali della vita; che essi avevano diritto alla sorveglianza e alla guida di un padre, e che egli non poteva in tutta coscienza scaricarsi dell’obbligo che un crudele incidente aveva fatto ricadere su di lui. Egli si felicitò con sua madre ed il maggiore dei suoi fratelli di volerlo liberare dai suoi obblighi, ma ripeté che la fedeltà a suo padre morto gli impediva di lasciare la sua famiglia, indipendentemente da quanto denaro avesse ricevuto per il loro sostegno materiale, facendo la sua indimenticabile dichiarazione che “il denaro non può amare”. Nel corso di questa allocuzione Gesù fece parecchie velate allusioni alla “missione della sua vita”, ma spiegò che, indipendentemente dal fatto che fosse o meno compatibile con il militarismo, egli vi avrebbe rinunciato con ogni altra cosa della sua vita per compiere fedelmente il suo dovere verso la famiglia. Ognuno a Nazaret sapeva bene che egli era un buon padre per la sua famiglia, e questa era una cosa così vicina al cuore di ogni nobile Ebreo che la supplica di Gesù trovò una risposta favorevole nel cuore di molti dei suoi ascoltatori. E alcuni di quelli che non la pensavano così furono disarmati da un discorso fatto da Giacomo che, sebbene non fosse in programma, fu pronunciato in quel momento. Quello stesso giorno il cazan aveva fatto provare a Giacomo il suo discorso, ma questo era il loro segreto.
(1398.1) 127:2.9 Giacomo si disse certo che Gesù avrebbe aiutato a liberare il suo popolo se lui (Giacomo) fosse stato abbastanza vecchio da assumere la responsabilità della famiglia, e che, se solo avessero consentito a Gesù di rimanere “con noi per essere il nostro padre ed il nostro educatore, allora dalla famiglia di Giuseppe non avrebbero avuto solo un capo, ma ben presto cinque leali nazionalisti, perché non vi sono cinque di noi ragazzi che crescono e che stanno per uscire dalla tutela del nostro fratello-padre per servire la nostra nazione?” E così il ragazzo mise fine abbastanza felicemente ad una situazione molto tesa e minacciosa.
(1398.2) 127:2.10 La crisi per il momento era superata, ma questo incidente non fu mai dimenticato a Nazaret. L’agitazione persisté; Gesù non beneficiò mai più di un favore unanime; le divergenze di opinione non furono mai completamente appianate. E ciò, in aggiunta ad altri avvenimenti successivi, fu una delle principali ragioni per le quali egli si trasferì qualche anno più tardi a Cafarnao. Da allora Nazaret mantenne una divisione di sentimenti riguardo al Figlio dell’Uomo.
(1398.3) 127:2.11 Quest’anno Giacomo si diplomò e cominciò a lavorare a tempo pieno a casa nel laboratorio di carpenteria. Egli era divenuto un abile operaio nel maneggiare gli attrezzi ed iniziò subito a fabbricare gioghi e carrucole, mentre Gesù cominciò a fare più dei lavori di finiture d’interni e di fine ebanisteria.
(1398.4) 127:2.12 Quest’anno Gesù fece grandi progressi nell’organizzazione della sua mente. Gradualmente egli aveva conciliato la sua natura divina con la sua natura umana, e compì tutta questa organizzazione intellettuale con la forza delle proprie decisioni e con il solo aiuto del suo Monitore interiore, un Monitore simile a quelli che hanno nella loro mente tutti i mortali normali su tutti i mondi dopo il conferimento di un Figlio. Fino ad allora niente di soprannaturale era accaduto nella carriera di questo giovane uomo, salvo la visita di un messaggero inviato da suo fratello maggiore Emanuele, che gli apparve una volta durante la notte a Gerusalemme.
(1398.5) 127:3.1 Nel corso di quest’anno tutte le proprietà della famiglia, salvo la casa in cui abitavano ed il giardino, erano stati liquidati. L’ultima porzione di proprietà a Cafarnao (eccetto una parte in un’altra proprietà), già ipotecata, fu venduta. Il ricavato servì a pagare le tasse, ad acquistare alcuni nuovi attrezzi per Giacomo e a fare un pagamento per il vecchio magazzino familiare di forniture e riparazioni vicino al caravanserraglio, che Gesù desiderava ora riscattare perché Giacomo era abbastanza grande per lavorare nel laboratorio di casa ed aiutare Maria in famiglia. Liberato per il momento dalla pressione finanziaria, Gesù decise di condurre Giacomo alla Pasqua. Essi partirono per Gerusalemme un giorno prima per essere soli, percorrendo la strada della Samaria. Durante il cammino Gesù illustrò a Giacomo i luoghi storici attraversati, come suo padre gli aveva insegnato cinque anni prima nel corso di un viaggio simile.
(1399.1) 127:3.2 Passando per la Samaria essi videro numerosi spettacoli strani. Durante questo viaggio discussero molto dei loro problemi personali, familiari e nazionali. Giacomo era un tipo di ragazzo molto religioso, e benché non fosse completamente d’accordo con sua madre riguardo al poco che conosceva dei piani concernenti l’opera della vita di Gesù, aspettava il momento in cui fosse stato in grado di assumere la responsabilità della famiglia per permettere a Gesù d’iniziare la sua missione. Egli apprezzava molto che Gesù l’avesse condotto alla Pasqua e discussero del futuro più a fondo di quanto avessero mai fatto prima.
(1399.2) 127:3.3 Gesù rifletté molto durante la traversata della Samaria, particolarmente a Betel e al pozzo di Giacobbe, dove si fermarono per bere. Lui e suo fratello discussero delle tradizioni di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Egli fece molto per preparare Giacomo a ciò che avrebbe visto a Gerusalemme, cercando così di attenuare uno shock simile a quello che lui stesso aveva provato alla sua prima visita al tempio. Ma Giacomo non era così sensibile a certi spettacoli. Egli criticò la maniera superficiale e crudele con cui qualche sacerdote compiva il suo dovere, ma nell’insieme fu molto soddisfatto del suo soggiorno a Gerusalemme.
(1399.3) 127:3.4 Gesù condusse Giacomo a Betania per la cena di Pasqua. Simone era stato sepolto con i suoi avi, e Gesù presiedette la tavolata come capo della famiglia per la Pasqua, avendo portato l’agnello pasquale dal tempio.
(1399.4) 127:3.5 Dopo la cena di Pasqua, Maria si sedette a parlare con Giacomo mentre Marta, Lazzaro e Gesù s’intrattennero insieme fino a notte inoltrata. L’indomani essi assistettero ai servizi del tempio e Giacomo fu accolto nella comunità d’Israele. Quel mattino, quando si fermarono sulla sommità dell’Oliveto per guardare il tempio, mentre Giacomo esprimeva la sua ammirazione, Gesù contemplava Gerusalemme in silenzio. Giacomo non riusciva a capire l’atteggiamento di suo fratello. Quella sera essi ritornarono di nuovo a Betania e sarebbero partiti verso casa il giorno dopo, ma Giacomo insisté per ritornare a visitare il tempio, spiegando che desiderava ascoltare gli insegnanti. E benché ciò fosse vero, nel segreto del suo cuore egli voleva ascoltare Gesù partecipare alle discussioni, come sua madre gli aveva raccontato. Essi andarono dunque al tempio ed ascoltarono le discussioni, ma Gesù non pose domande. Tutto ciò sembrava così puerile ed insignificante a questa mente di uomo/Dio che si stava risvegliando — egli poteva solo averne pietà. Giacomo rimase deluso dal fatto che Gesù non avesse detto niente. Alle sue domande Gesù rispose solamente: “La mia ora non è ancora giunta.”
(1399.5) 127:3.6 Il giorno dopo essi fecero il viaggio di ritorno passando per Gerico e la valle del Giordano, e durante il cammino Gesù raccontò molte cose, incluso il suo primo viaggio per questa strada quando aveva tredici anni.
(1399.6) 127:3.7 Al suo ritorno a Nazaret, Gesù cominciò a lavorare nel vecchio laboratorio familiare di riparazioni e fu molto lieto di poter incontrare quotidianamente molte persone provenienti da tutte le parti del paese e dei distretti circostanti. Gesù amava veramente la gente — le persone del popolo. Ogni mese egli pagava la mensilità di riscatto del laboratorio e, con l’aiuto di Giacomo, continuava a mantenere la famiglia.
(1399.7) 127:3.8 Molte volte all’anno, quando non c’erano visitatori presenti per questa funzione, Gesù continuava a leggere le Scritture del sabato alla sinagoga e commentava spesso la lezione, ma normalmente sceglieva brani che non avevano bisogno di commento. Egli era così abile nel disporre l’ordine delle letture dei vari brani che uno chiariva l’altro. Il sabato pomeriggio egli non mancava mai, tempo permettendo, di condurre i suoi fratelli e sorelle fuori per una passeggiata salutare.
(1400.1) 127:3.9 In quest’epoca il cazan inaugurò un circolo di discussioni filosofiche per giovani che si riuniva a casa dei vari membri e spesso nella sua stessa casa, e Gesù divenne un membro eminente di questo gruppo. In tal modo egli poté riguadagnare un po’ del prestigio locale che aveva perso al momento delle recenti controversie nazionalistiche.
(1400.2) 127:3.10 La sua vita sociale, per quanto limitata, non era del tutto trascurata. Egli aveva molti buoni amici ed ammiratori ferventi fra i giovani e le giovani di Nazaret.
(1400.3) 127:3.11 In settembre Elisabetta e Giovanni vennero a far visita alla famiglia di Nazaret. Giovanni, avendo perso il padre, aveva intenzione di ritornare tra le colline della Giudea per occuparsi di agricoltura ed allevare pecore, a meno che Gesù non gli consigliasse di restare a Nazaret per diventare carpentiere o fare qualche altro genere di lavoro. Essi ignoravano che la famiglia di Nazaret era praticamente in miseria. Più Maria ed Elisabetta parlavano dei loro figli, più si convincevano che sarebbe stato bene per i due giovani lavorare insieme e vedersi più spesso.
(1400.4) 127:3.12 Gesù e Giovanni ebbero molti colloqui e discussero di alcune questioni molto intime e personali. Alla fine di questa visita essi decisero di non rivedersi fino a quando non si fossero incontrati nel loro ministero pubblico dopo che “il Padre celeste li avesse chiamati” alla loro opera. Giovanni rimase profondamente scosso per aver sentito a Nazaret che doveva tornare a casa e lavorare per mantenere sua madre. Egli si convinse che avrebbe partecipato alla missione della vita di Gesù, ma comprese che Gesù si sarebbe dovuto occupare per molti anni del mantenimento della propria famiglia. Così fu molto più contento di ritornare a casa sua e di prendersi cura della loro piccola fattoria e di provvedere ai bisogni di sua madre. E Giovanni e Gesù non si rividero più fino a quel giorno al Giordano quando il Figlio dell’Uomo si presentò per essere battezzato.
(1400.5) 127:3.13 Sabato pomeriggio 3 dicembre di quest’anno la morte colpì per la seconda volta questa famiglia di Nazaret. Il piccolo Amos, il loro fratellino, morì dopo una settimana di malattia con febbre alta. Dopo essere passata per questo periodo di dolore con suo figlio primogenito come suo unico sostegno, Maria riconobbe infine e nel senso più pieno che Gesù era il vero capo della famiglia; ed egli era veramente un capo valoroso.
(1400.6) 127:3.14 Per quattro anni il loro livello di vita era costantemente diminuito; di anno in anno essi si sentivano attanagliati da una crescente povertà. Alla fine di quest’anno dovettero affrontare una delle prove più penose tra tutte le loro ardue lotte. Giacomo non aveva ancora cominciato a guadagnare molto, e la spesa di un funerale in aggiunta a tutto il resto li fece vacillare. Ma Gesù si limitò a dire alla sua ansiosa ed afflitta madre: “Madre Maria, il dispiacere non ci aiuterà; stiamo facendo tutti del nostro meglio, ed il sorriso della mamma, forse, potrebbe stimolarci a fare ancora di più. Giorno dopo giorno noi siamo fortificati in questi compiti dalla nostra speranza di avere davanti a noi giorni migliori.” Il suo solido e pratico ottimismo era veramente contagioso; tutti i figli vivevano in un’atmosfera di attesa di tempi e di cose migliori. E questo coraggio pieno di speranza contribuì fortemente a sviluppare in loro dei caratteri forti e nobili, nonostante la loro deprimente povertà.
(1400.7) 127:3.15 Gesù possedeva la facoltà di mobilitare efficacemente tutti i suoi poteri mentali, psichici e fisici nel compito da assolvere immediatamente. Egli poteva concentrare la sua mente profondamente riflessiva sul solo problema che desiderava risolvere, e questo, in aggiunta alla sua inesauribile pazienza, lo rendeva capace di sopportare serenamente le prove di un’esistenza mortale difficile — di vivere come se “vedesse Colui che è invisibile”.
(1401.1) 127:4.1 In questo periodo Gesù e Maria si capivano molto meglio. Essa lo considerava meno come un figlio; egli era divenuto per lei più un padre per i suoi figli. La vita quotidiana era piena di difficoltà pratiche ed immediate. Essi parlavano meno frequentemente dell’opera della sua vita, perché, con il passare del tempo, tutti i loro pensieri erano vicendevolmente rivolti al mantenimento e all’educazione della loro famiglia di quattro ragazzi e tre ragazze.
(1401.2) 127:4.2 All’inizio di quest’anno Gesù aveva completamente convinto sua madre ad accettare i suoi metodi di educazione dei figli — l’ingiunzione positiva a fare il bene invece dell’antico metodo ebraico di proibire di fare il male. In casa sua e durante la sua carriera d’insegnamento pubblico Gesù impiegò invariabilmente la forma positiva di esortazione. Sempre e ovunque egli diceva: “Farete questo — dovreste fare quello.” Egli non impiegava mai il modo negativo d’insegnare derivato dagli antichi tabù. Si asteneva dal dare importanza al male proibendolo, mentre esaltava il bene ordinando di compierlo. In questa casa il momento della preghiera era l’occasione per discutere di tutto ciò che concerneva il benessere della famiglia.
(1401.3) 127:4.3 Gesù cominciò a disciplinare saggiamente i suoi fratelli e sorelle ad un’età così tenera che ci fu bisogno di poca o nessuna punizione per assicurare la loro pronta e spontanea obbedienza. La sola eccezione era Giuda, verso il quale in differenti occasioni Gesù trovò necessario imporre delle punizioni per le sue infrazioni alle regole della casa. In tre occasioni in cui stimò saggio punire Giuda per aver deliberatamente violato le regole di condotta della famiglia ed averlo riconosciuto, la sua punizione fu fissata con decisione unanime dei figli più anziani ed approvata da Giuda stesso prima che gli fosse inflitta.
(1401.4) 127:4.4 Sebbene Gesù fosse molto metodico e sistematico in tutto ciò che faceva, c’erano anche in tutte le sue decisioni amministrative una confortante elasticità d’interpretazione ed un’individualità di adattamento che colpivano grandemente tutti i ragazzi con lo spirito di giustizia che animava il loro fratello-padre. Egli non castigava mai arbitrariamente i suoi fratelli e sorelle, e la sua imparzialità uniforme e la sua considerazione personale resero Gesù molto caro a tutta la sua famiglia.
(1401.5) 127:4.5 Giacomo e Simone crebbero cercando di seguire il piano di Gesù nel calmare i loro compagni bellicosi e talvolta collerici con la persuasione e la non resistenza, e ci riuscirono abbastanza bene. Ma Giuseppe e Giuda, benché accettassero tali insegnamenti in casa, si affrettavano a difendersi quando erano attaccati dai loro compagni; in particolare era Giuda colpevole di violare lo spirito di questi insegnamenti. Ma la non resistenza non era una regola della famiglia. La violazione degli insegnamenti personali non comportava alcuna punizione.
(1401.6) 127:4.6 In generale, tutti i figli, soprattutto le figlie, consultavano Gesù riguardo ai loro dispiaceri di gioventù e si confidavano con lui come avrebbero fatto con un padre affettuoso.
(1401.7) 127:4.7 Giacomo cresceva divenendo un giovane ben equilibrato e di umore costante, ma non aveva le inclinazioni spirituali di Gesù. Egli era uno studente molto migliore di Giuseppe, il quale, benché fosse un lavoratore coscienzioso, era ancor meno incline alla spiritualità; Giuseppe era uno sgobbone, ma non raggiungeva il livello intellettuale degli altri figli. Simone era un ragazzo ben intenzionato, ma troppo sognatore. Egli fu lento a sistemarsi nella vita e fu causa di considerevole preoccupazione per Gesù e Maria. Ma fu sempre un buon ragazzo e pieno di buone intenzioni. Giuda era un tizzone ardente. Aveva gli ideali più elevati, ma possedeva un temperamento instabile. Era determinato ed aggressivo quanto e più di sua madre, ma mancava molto del senso della misura e della discrezione di lei.
(1402.1) 127:4.8 Miriam era una figlia ben equilibrata e dotata di buon senso, con un apprezzamento acuto delle cose nobili e spirituali. Marta era lenta di pensiero e d’azione, ma era una ragazza molto efficiente e degna di fiducia. La piccola Rut era il raggio di sole della casa; parlava un po’ sconsideratamente, ma aveva un cuore assolutamente sincero. Essa adorava letteralmente il suo grande fratello e padre; ma essi non la viziavano. Era una bella ragazza, ma non così avvenente come Miriam, che era la bella della famiglia, se non della città.
(1402.2) 127:4.9 Con il passare del tempo Gesù fece molto per liberalizzare e modificare gli insegnamenti e le pratiche di famiglia relative all’osservanza del sabato e a molti altri aspetti della religione; e a tutti questi cambiamenti Maria dava una calorosa approvazione. In questo periodo Gesù era divenuto il capo incontestato della casa.
(1402.3) 127:4.10 Quest’anno Giuda cominciò ad andare a scuola e Gesù fu obbligato a vendere la sua arpa per sostenere queste spese. Così scomparve l’ultimo dei suoi piaceri ricreativi. Egli amava molto suonare l’arpa quando aveva la mente stanca ed il corpo affaticato, ma si consolò al pensiero che almeno l’arpa non sarebbe stata confiscata dagli esattori delle imposte.
(1402.4) 127:5.1 Sebbene Gesù fosse povero, la sua posizione sociale a Nazaret non era in alcun modo compromessa. Egli era uno dei migliori giovani della città ed era assai considerato dalla maggior parte delle giovani. Poiché Gesù era un così splendido esemplare di virilità fisica ed intellettuale, e considerata la sua reputazione di capo spirituale, non era strano che Rebecca, la figlia maggiore di Ezra, un ricco mercante e commerciante di Nazaret, avesse scoperto che si stava lentamente innamorando di questo figlio di Giuseppe. Essa confidò dapprima il suo sentimento a Miriam, la sorella di Gesù, e Miriam a sua volta ne parlò a sua madre. Maria fu vivamente turbata. Stava forse per perdere suo figlio, divenuto ora il capo indispensabile della famiglia? Sarebbero mai cessate le difficoltà? Che cosa poteva accadere ancora? Ed allora si mise a meditare quale effetto avrebbe avuto il matrimonio sulla carriera futura di Gesù. Non spesso, ma almeno qualche volta, essa si ricordava del fatto che Gesù era un “figlio della promessa”. Dopo che lei e Miriam ebbero discusso di questa faccenda, decisero di fare un tentativo per mettere fine alla cosa prima che Gesù ne venisse a conoscenza, andando direttamente da Rebecca per spiegarle tutta la storia ed informarla onestamente della loro credenza che Gesù fosse un figlio del destino; che sarebbe divenuto un grande capo religioso, forse il Messia.
(1402.5) 127:5.2 Rebecca ascoltò con attenzione; essa fu galvanizzata dal racconto e più che mai determinata a spartire la sua sorte con l’uomo che aveva scelto e a condividere la sua carriera di capo. Essa sostenne (nel suo intimo) che un tale uomo avrebbe avuto tanto più bisogno di una moglie fedele e capace. Interpretò gli sforzi di Maria per dissuaderla come una reazione naturale al suo timore di perdere il capo ed il solo sostegno della sua famiglia. Ma sapendo che suo padre approvava la sua attrazione per il figlio del carpentiere, essa dava giustamente per scontato che egli sarebbe stato felice di dare alla famiglia una rendita sufficiente a compensare pienamente la perdita dei guadagni di Gesù. Quando suo padre ebbe accettato questo piano, Rebecca ebbe altri incontri con Maria e Miriam, e non essendo riuscita ad ottenere il loro aiuto, ebbe l’audacia di andare direttamente da Gesù. Essa fece questo con la collaborazione di suo padre, che invitò Gesù a casa loro per festeggiare il diciassettesimo compleanno di Rebecca.
(1403.1) 127:5.3 Gesù ascoltò con attenzione e simpatia il racconto di queste cose, prima dal padre, poi da Rebecca stessa. Egli replicò gentilmente che nessuna somma di denaro poteva rimpiazzare il suo obbligo personale di allevare la famiglia di suo padre, di “compiere il più sacro di tutti i doveri umani — la fedeltà alla propria carne e al proprio sangue”. Il padre di Rebecca fu profondamente toccato dalle parole di devozione familiare di Gesù e si ritirò dall’incontro. Il suo unico commento a sua moglie Maria fu: “Non possiamo averlo per figlio; è troppo nobile per noi.”
(1403.2) 127:5.4 Allora cominciò il memorabile colloquio con Rebecca. Fino ad allora Gesù aveva fatto poca distinzione nelle sue relazioni con ragazzi e ragazze, con uomini e donne giovani. La sua mente era stata troppo interamente assorbita dai problemi pressanti degli affari pratici di questo mondo e dall’affascinante contemplazione della sua eventuale carriera “concernente gli affari di suo Padre” per aver mai considerato seriamente la consumazione dell’amore personale nel matrimonio umano. Ma ora si trovava di fronte ad un altro di quei problemi che ogni essere umano ordinario deve affrontare e risolvere. Egli fu veramente “provato in tutti i punti come lo siete voi”.
(1403.3) 127:5.5 Dopo aver ascoltato con attenzione, egli ringraziò sinceramente Rebecca per avergli espresso la sua ammirazione, aggiungendo: “Ciò m’incoraggerà e mi conforterà tutti i giorni della mia vita.” Egli spiegò che non era libero di avere con una donna altre relazioni che quelle di semplice rapporto fraterno e di pura amicizia. Precisò che il suo primo e più importante dovere era di allevare la famiglia di suo padre, che non poteva prendere in considerazione il matrimonio prima che ciò fosse compiuto; e poi aggiunse: “Se io sono un figlio del destino, non devo assumere degli obblighi per la durata della vita prima che il mio destino sia reso manifesto.”
(1403.4) 127:5.6 Rebecca ebbe il cuore spezzato. Essa rifiutò di essere consolata ed insisté con suo padre per lasciare Nazaret fino a che egli alla fine acconsentì di trasferirsi a Sefforis. Negli anni seguenti, per i numerosi uomini che la chiesero in sposa, Rebecca ebbe una sola risposta. Essa viveva per un solo proposito — aspettare l’ora in cui colui che era per lei il più grande uomo che fosse mai vissuto avesse cominciato la sua carriera come insegnante della verità vivente. Ed essa lo seguì con devozione attraverso gli anni movimentati del suo ministero pubblico, presente (non vista da Gesù) il giorno in cui entrò trionfalmente a Gerusalemme sopra un asinello; ed era “tra le altre donne” a fianco di Maria in quel fatale e tragico pomeriggio in cui il Figlio dell’Uomo fu appeso alla croce, per lei, come per innumerevoli mondi nell’alto, “il solo interamente degno di essere amato ed il più grande tra diecimila”.
(1403.5) 127:6.1 La storia dell’amore di Rebecca per Gesù si diffuse a Nazaret e più tardi a Cafarnao, cosicché, anche se negli anni che seguirono molte donne amarono Gesù così come l’amarono gli uomini, egli non dovette nuovamente rifiutare l’offerta personale di devozione di un’altra donna onesta. Da questo momento l’affetto umano per Gesù ebbe maggiormente la natura di una considerazione rispettosa e adoratrice. Uomini e donne lo amavano con devozione e per ciò che egli era, senza la minima sfumatura di soddisfazione egoista o di desiderio di possesso affettivo. Ma per molti anni, ogni volta che si raccontava la storia della personalità umana di Gesù, si menzionava la devozione di Rebecca.
(1404.1) 127:6.2 Miriam, che conosceva bene la questione di Rebecca e sapeva come suo fratello aveva rinunciato anche all’amore di una bella giovane (senza tenere conto del fattore della sua futura carriera di destino), giunse ad idealizzare Gesù e ad amarlo con toccante e profondo affetto sia come padre che come fratello.
(1404.2) 127:6.3 Sebbene essi non potessero permetterselo, Gesù aveva uno strano desiderio di andare a Gerusalemme per la Pasqua. Sua madre, conoscendo la sua recente esperienza con Rebecca, lo incoraggiò saggiamente a fare il viaggio. Egli non ne era marcatamente cosciente, ma ciò che desiderava di più era un’occasione per parlare con Lazzaro e per far visita a Marta e Maria. Dopo la sua famiglia egli amava questi tre più di tutti.
(1404.3) 127:6.4 Nel fare questo viaggio a Gerusalemme, egli andò per la strada di Meghiddo, Antipatride e Lidda, percorrendo in parte la stessa strada seguita quando fu ricondotto a Nazaret di ritorno dall’Egitto. Egli impiegò quattro giorni per andare alla Pasqua e rifletté molto sugli avvenimenti passati che avevano avuto luogo a Meghiddo e nei suoi dintorni, campo di battaglia internazionale della Palestina.
(1404.4) 127:6.5 Gesù attraversò Gerusalemme, fermandosi solo per guardare il tempio e la moltitudine di visitatori che si ammassavano. Egli aveva una strana e crescente avversione per questo tempio costruito da Erode, con il suo clero scelto per ragioni politiche. Desiderava soprattutto vedere Lazzaro, Marta e Maria. Lazzaro aveva la stessa età di Gesù ed era ora a capo della sua famiglia; al momento di questa visita anche la madre di Lazzaro era stata sepolta. Marta aveva poco più di un anno rispetto a Gesù, mentre Maria era di due anni più giovane. E Gesù era l’ideale idolatrato di tutti e tre.
(1404.5) 127:6.6 Nel corso di questa visita ebbe luogo una di quelle manifestazioni periodiche di ribellione contro la tradizione — l’espressione di risentimento per quelle pratiche cerimoniali che Gesù considerava dessero un’idea falsata di suo Padre celeste. Non sapendo che Gesù sarebbe venuto, Lazzaro aveva organizzato di celebrare la Pasqua con degli amici in un villaggio vicino più in basso sulla strada di Gerico. Ora Gesù proponeva di celebrare la festa dov’erano, nella casa di Lazzaro. “Ma”, disse Lazzaro, “non abbiamo l’agnello pasquale”. Ed allora Gesù cominciò una prolungata e convincente dissertazione per dimostrare che il Padre celeste in verità non s’interessava a questi rituali infantili e privi di senso. Dopo una solenne e fervente preghiera essi si alzarono, e Gesù disse: “Lasciate che le menti puerili ed ignoranti del mio popolo servano il loro Dio conformemente alle direttive di Mosè; è meglio che essi lo facciano, ma noi che abbiamo visto la luce della vita cessiamo di accostare nostro Padre attraverso le tenebre della morte. Restiamo liberi nella conoscenza della verità dell’amore eterno di nostro Padre.”
(1404.6) 127:6.7 Quella sera al crepuscolo tutti e quattro si sedettero e parteciparono alla prima festa di Pasqua che fosse mai stata celebrata da devoti Ebrei senza l’agnello pasquale. Per questa Pasqua erano stati preparati il pane senza lievito ed il vino, e questi cibi simbolici, che Gesù chiamò “il pane della vita” e “l’acqua della vita”, li servì ai suoi compagni, ed essi mangiarono conformandosi solennemente agli insegnamenti appena impartiti. E fu sua abitudine praticare questo rito sacramentale ogniqualvolta egli fece visita successivamente a Betania. Quando ritornò a casa, egli raccontò tutto ciò a sua madre. In un primo tempo essa rimase allibita, ma a poco a poco accettò il suo punto di vista. Ciononostante essa fu molto sollevata quando Gesù l’assicurò che non aveva intenzione d’introdurre questa nuova idea della Pasqua nella loro famiglia. A casa, con i ragazzi, egli continuò anno dopo anno a consumare la Pasqua “secondo la legge di Mosè”.
(1404.7) 127:6.8 Fu durante quest’anno che Maria ebbe una lunga conversazione con Gesù sul matrimonio. Essa gli chiese francamente se si sarebbe sposato nel caso fosse stato libero dalle sue responsabilità familiari. Gesù le spiegò che, siccome il dovere immediato impediva il suo matrimonio, egli vi aveva pensato poco. Egli si espresse come se dubitasse di doversi mai sposare; disse che tutte queste cose dovevano attendere “la mia ora”, il momento in cui “il lavoro di mio Padre dovrà cominciare”. Avendo già deciso nella sua mente che non doveva diventare padre di figli nella carne, si preoccupava poco del problema del matrimonio umano.
(1405.1) 127:6.9 Quest’anno egli riprese il suo compito di fondere sempre più la sua natura mortale e quella divina in una semplice ed efficace individualità umana. E continuò a crescere in status morale ed in comprensione spirituale.
(1405.2) 127:6.10 Benché tutte le loro proprietà di Nazaret (eccetto la loro casa) fossero state liquidate, quest’anno ricevettero un piccolo aiuto finanziario dalla vendita di una partecipazione in una proprietà di Cafarnao. Questa era l’ultima dell’intero patrimonio di Giuseppe. Tale proprietà di Cafarnao fu acquistata da un costruttore di battelli di nome Zebedeo.
(1405.3) 127:6.11 Giuseppe si diplomò alla scuola della sinagoga quest’anno e si preparò ad iniziare il lavoro al piccolo banco nel laboratorio familiare di carpenteria. Sebbene la proprietà del loro padre fosse esaurita, c’erano delle prospettive per riuscire a vincere la povertà poiché tre di loro erano ora regolarmente al lavoro.
(1405.4) 127:6.12 Gesù sta rapidamente diventando un uomo, non semplicemente un giovane uomo, ma un adulto. Egli ha imparato bene come portare delle responsabilità. Conosce come andare avanti di fronte alle delusioni. Si fa forza bravamente quando i suoi piani sono contrastati ed i suoi propositi temporaneamente frustrati. Ha imparato ad essere equo e giusto anche di fronte all’ingiustizia. Sta imparando come aggiustare i suoi ideali della vita spirituale in base alle esigenze pratiche dell’esistenza terrena. Sta imparando come fare dei piani per raggiungere uno scopo idealista superiore e lontano, sforzandosi assiduamente di raggiungere uno scopo di necessità più vicino ed immediato. Sta acquisendo progressivamente l’arte di aggiustare le sue aspirazioni in base alle esigenze ordinarie della vita umana. Si è quasi impadronito della tecnica di utilizzare l’energia dell’impulso spirituale per far funzionare il meccanismo delle realizzazioni materiali. Sta imparando lentamente come vivere la vita celeste proseguendo la sua esistenza terrena. Dipende sempre più dalle direttive ultime di suo Padre celeste, assumendo il ruolo paterno di guidare e dirigere i figli della sua famiglia terrena. Sta divenendo esperto nell’arte di strappare una vittoria dalle fauci stesse di una disfatta; sta imparando come trasformare le difficoltà del tempo in trionfi dell’eternità.
(1405.5) 127:6.13 E così, con il passare degli anni, questo giovane uomo di Nazaret continua a fare l’esperienza della vita qual è vissuta nella carne mortale sui mondi del tempo e dello spazio. Egli vive su Urantia una vita completa, rappresentativa e piena. Egli lasciò questo mondo avendo maturato l’esperienza che le sue creature attraversano durante i brevi e duri anni della loro prima vita, la vita nella carne. E tutta questa esperienza umana è proprietà eterna del Sovrano dell’Universo. Egli è il nostro fratello comprensivo, amico compassionevole, sovrano sperimentato e padre misericordioso.
(1405.6) 127:6.14 Da ragazzo egli accumulò un vasto insieme di conoscenze; da giovane scelse, classificò e coordinò queste informazioni; ed ora come uomo del regno egli comincia ad organizzare queste acquisizioni mentali in vista del loro impiego nel suo insegnamento successivo, nel suo ministero e nel suo servizio a favore dei suoi simili mortali su questo mondo e su tutte le altre sfere abitate dell’intero universo di Nebadon.
(1405.7) 127:6.15 Venuto al mondo come un bambino del regno, egli ha vissuto la sua vita d’infanzia ed ha attraversato le tappe successive della giovinezza e dell’adolescenza. Egli si trova ora alle soglie della piena maturità, ricco dell’esperienza della vita umana, perfezionato nella comprensione della natura umana e ripieno di compassione per le debolezze della natura umana. Egli sta divenendo esperto nell’arte divina di rivelare suo Padre del Paradiso alle creature mortali di tutte le ere e di ogni livello.
(1406.1) 127:6.16 Ed ora da uomo maturo — da adulto del regno — si prepara a proseguire la sua suprema missione di rivelare Dio agli uomini e di condurre gli uomini a Dio.
(1407.1) 128:0.1 QUANDO Gesù di Nazaret entrò nei primi anni della sua vita di adulto, aveva vissuto, e continuava a vivere, una vita umana normale e ordinaria sulla terra. Gesù venne in questo mondo esattamente come ci vengono gli altri bambini; non ebbe alcun ruolo nella scelta dei suoi genitori. Egli scelse questo mondo particolare come pianeta in cui effettuare il suo settimo ed ultimo conferimento, la sua incarnazione nelle sembianze della carne mortale, ma per il resto venne al mondo in un modo naturale, crescendo come un bambino del regno e lottando contro le vicissitudini del suo ambiente esattamente come fanno gli altri mortali su questo mondo e su mondi similari.
(1407.2) 128:0.2 Bisogna sempre tenere a mente il duplice proposito del conferimento di Micael su Urantia:
(1407.3) 128:0.3 1. Acquisire l’esperienza di vivere la vita completa di una creatura umana nella carne mortale per completare la sua sovranità in Nebadon.
(1407.4) 128:0.4 2. Rivelare il Padre Universale agli abitanti mortali dei mondi del tempo e dello spazio e condurre più efficacemente questi stessi mortali ad una migliore comprensione del Padre Universale.
(1407.5) 128:0.5 Tutti gli altri benefici materiali e vantaggi universali erano incidentali e secondari a questi propositi principali del conferimento come mortale.
(1407.6) 128:1.1 Con il raggiungimento dell’età adulta Gesù cominciò seriamente e con piena coscienza di sé il compito di completare l’esperienza di conoscere a fondo la vita delle forme più basse delle sue creature intelligenti, acquisendo così definitivamente e pienamente il diritto di sovranità assoluta sull’universo da lui stesso creato. Egli iniziò questo compito prodigioso nella piena consapevolezza della sua duplice natura. Ma aveva già efficacemente congiunto queste due nature in una — Gesù di Nazaret.
(1407.7) 128:1.2 Joshua ben Joseph sapeva molto bene di essere un uomo, un uomo mortale, nato da donna. Ciò è dimostrato dalla scelta del suo primo appellativo, il Figlio dell’Uomo. Egli partecipava veramente della nostra natura di carne e di sangue, ed anche ora, che presiede con autorità sovrana ai destini di un universo, porta ancora tra i suoi numerosi titoli ben guadagnati quello di Figlio dell’Uomo. È letteralmente vero che il Verbo creativo — il Figlio Creatore — del Padre Universale fu “fatto carne ed abitò come un uomo del regno su Urantia”. Egli lavorò, si stancò, si riposò e dormì. Ebbe fame e soddisfò il suo appetito con il cibo; ebbe sete e si dissetò con l’acqua. Egli sperimentò tutta la gamma dei sentimenti e delle emozioni umane; fu “provato in ogni cosa, come lo siete voi”, e sofferse e morì.
(1407.8) 128:1.3 Egli ottenne conoscenza, acquisì esperienza e le combinò in saggezza, proprio come fanno altri mortali del regno. Fino a dopo il suo battesimo egli non si avvalse di alcun potere soprannaturale. Non impiegò altre facoltà che quelle della sua dotazione umana come figlio di Giuseppe e di Maria.
(1408.1) 128:1.4 Quanto agli attributi della sua esistenza preumana, egli se ne spogliò. Prima dell’inizio della sua opera pubblica la sua conoscenza degli uomini e degli avvenimenti fu totalmente autolimitata. Egli era un vero uomo tra gli uomini.
(1408.2) 128:1.5 È per sempre e gloriosamente vero che: “Noi abbiamo un grande governante che può essere toccato dalla compassione per le nostre debolezze. Abbiamo un Sovrano che fu in tutti i punti provato e tentato come lo siamo noi, senza tuttavia peccare.” E poiché ha lui stesso sofferto, essendo stato provato e tentato, è abbondantemente capace di comprendere e di aiutare coloro che sono confusi ed afflitti.
(1408.3) 128:1.6 Il carpentiere di Nazaret comprendeva ora pienamente il lavoro che l’attendeva, ma scelse di vivere la sua vita umana nel canale del suo corso naturale. Ed in alcune di queste materie egli è veramente un esempio per le sue creature mortali, com’è ricordato: “Che sia in voi la mente che era anche in Cristo Gesù, il quale, essendo della natura di Dio, non trovava strano essere uguale a Dio. Ma egli si attribuì poca importanza, ed assumendo la forma di una creatura nacque nelle sembianze del genere umano. Ed essendo stato così formato come un uomo, si umiliò e divenne obbediente fino alla morte, anche alla morte sulla croce.”
(1408.4) 128:1.7 Egli visse la sua vita di mortale esattamente come tutti gli altri membri della famiglia umana possono vivere la loro, “lui che nei giorni della sua incarnazione rivolse così spesso preghiere e suppliche, anche con grande emozione e lacrime, a Colui che è capace di salvare da ogni male; e le sue preghiere furono efficaci perché egli credeva”. Perciò bisognava che fosse reso simile ai suoi fratelli sotto ogni aspetto per poter divenire per loro un sovrano misericordioso e comprensivo.
(1408.5) 128:1.8 Egli non dubitò mai della sua natura umana; ciò fu evidente per se stesso e sempre presente nella sua coscienza. Quanto alla sua natura divina c’era sempre posto per dubbi e congetture; almeno ciò fu vero fino al momento del suo battesimo. L’autocoscienza della sua divinità fu una rivelazione lenta e, dal punto di vista umano, una rivelazione per evoluzione naturale. Questa rivelazione e questa autocoscienza della divinità cominciarono a Gerusalemme, quando non aveva ancora tredici anni, con il primo avvenimento soprannaturale della sua esistenza umana. E questa esperienza di prendere autocoscienza della sua natura divina fu completata al momento della sua seconda esperienza soprannaturale durante la sua incarnazione, l’episodio che accompagnò il suo battesimo da parte di Giovanni nel Giordano, che segnò l’inizio della sua carriera pubblica di ministero e d’insegnamento.
(1408.6) 128:1.9 Tra queste due visitazioni celesti, una al suo tredicesimo anno e l’altra al suo battesimo, non accadde nulla di soprannaturale o di superumano nella vita di questo Figlio Creatore incarnato. Malgrado ciò il bambino di Betlemme, il ragazzo, il giovane uomo e l’uomo di Nazaret erano in realtà il Creatore incarnato di un universo; ma non una sola volta egli usò minimamente questo potere, né utilizzò le direttive di personalità celesti, se non quelle del suo serafino guardiano, nel corso della sua vita umana, prima del giorno del suo battesimo da parte di Giovanni. E noi che così testifichiamo, sappiamo di che cosa parliamo.
(1408.7) 128:1.10 E tuttavia, durante tutti questi anni della sua vita nella carne egli era veramente divino. Era effettivamente un Figlio Creatore del Padre del Paradiso. Una volta che ebbe abbracciato la sua carriera pubblica, dopo aver tecnicamente completato la sua esperienza puramente mortale per acquisire la sovranità, egli non esitò ad ammettere pubblicamente che era il Figlio di Dio. Non esitò a dichiarare: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il primo e l’ultimo.” Egli non protestò negli anni che seguirono quando fu chiamato Signore della Gloria, Sovrano di un Universo, il Signore Dio di tutta la creazione, il Santo d’Israele, il Signore di tutto, nostro Signore e nostro Dio, Dio con noi, Colui che ha un nome al di sopra di tutti i nomi e su tutti i mondi, l’Onnipotenza di un universo, la Mente Universale di questa creazione, l’Unico in cui sono nascosti tutti i tesori di saggezza e di conoscenza, la pienezza di Colui che riempie tutte le cose, il Verbo eterno del Dio eterno, Colui che era prima di tutte le cose ed in cui tutte le cose consistono, il Creatore dei cieli e della terra, il Sostenitore di un universo, il Giudice di tutta la terra, il Donatore della vita eterna, il Vero Pastore, il Liberatore dei mondi ed il Capitano della nostra salvezza.
(1409.1) 128:1.11 Egli non fece mai obiezione ad alcuno di questi titoli quando gli furono applicati dopo che fu emerso dalla sua vita puramente umana per entrare negli anni successivi di autocoscienza del suo ministero di divinità nell’umanità, per l’umanità ed in rapporto all’umanità in questo mondo e per tutti gli altri mondi. Gesù protestò contro un solo titolo applicatogli: quando una volta fu chiamato Emanuele, rispose semplicemente: “Non io, quello è mio fratello maggiore.”
(1409.2) 128:1.12 Sempre, anche dopo la sua emersione ad una vita più ampia sulla terra, Gesù restò umilmente sottomesso alla volontà del Padre celeste.
(1409.3) 128:1.13 Dopo il suo battesimo egli non vide perché non permettere ai suoi credenti sinceri ed ai suoi seguaci riconoscenti di adorarlo. Anche quando lottava contro la povertà e lavorava con le sue mani per sovvenire ai bisogni vitali della sua famiglia, la sua consapevolezza di essere un Figlio di Dio cresceva. Egli sapeva di essere il creatore dei cieli e di questa terra stessa in cui stava ora vivendo la sua esistenza umana. Ed anche le schiere di esseri celesti di tutto il grande universo che lo osservavano sapevano che quest’uomo di Nazaret era il loro amato Sovrano e Creatore-padre. Una profonda attesa pervadeva l’universo di Nebadon durante questi anni; tutti gli sguardi celesti convergevano continuamente su Urantia — sulla Palestina.
(1409.4) 128:1.14 Quest’anno Gesù si recò a Gerusalemme con Giuseppe per celebrare la Pasqua. Avendo già condotto Giacomo al tempio per la consacrazione, egli stimava suo dovere condurvi anche Giuseppe. Gesù non mostrava mai alcun grado di parzialità nei rapporti con la sua famiglia. Egli andò con Giuseppe a Gerusalemme per la solita strada della valle del Giordano, ma ritornò a Nazaret per la strada ad est del Giordano che attraversa Amatus. Discendendo il Giordano, Gesù raccontò a Giuseppe la storia degli Ebrei e durante il viaggio di ritorno gli parlò delle esperienze delle celebri tribù di Ruben, Gad e Galaad, che secondo la tradizione avevano abitato in queste regioni ad est del fiume.
(1409.5) 128:1.15 Giuseppe pose a Gesù molte domande tendenziose concernenti la missione della sua vita, ma alla maggior parte di esse Gesù si limitò a rispondere: “La mia ora non è ancora venuta.” Tuttavia, nel corso di queste discussioni intime, gli sfuggirono molte parole che Giuseppe ricordò durante gli avvenimenti emozionanti degli anni seguenti. Gesù, con Giuseppe, passò questa Pasqua con i suoi tre amici di Betania, secondo la sua abitudine quando era a Gerusalemme per assistere a queste feste commemorative.
(1409.6) 128:2.1 Questo fu uno dei parecchi anni durante i quali i fratelli e le sorelle di Gesù affrontarono le prove e le tribolazioni peculiari dei problemi e dei raggiustamenti dell’adolescenza. Gesù aveva ora fratelli e sorelle di età scalare dai sette ai diciotto anni, ed aveva molto da fare per aiutarli ad adattarsi ai nuovi risvegli della loro vita intellettuale ed emotiva. Egli dovette così dedicarsi ai problemi dell’adolescenza via via che si manifestavano nella vita dei suoi fratelli e sorelle più giovani.
(1410.1) 128:2.2 Quest’anno Simone uscì diplomato dalla scuola e cominciò a lavorare con il vecchio compagno di giochi e sempre pronto difensore di Gesù, Giacobbe il tagliapietre. Dopo numerose riunioni di famiglia fu deciso che era inopportuno che tutti i ragazzi diventassero carpentieri. Fu ritenuto che diversificando i loro mestieri sarebbero stati in grado di accettare dei contratti per costruire interi edifici. Inoltre essi non erano stati tutti occupati da quando tre di loro lavoravano a tempo pieno come carpentieri.
(1410.2) 128:2.3 Gesù continuò quest’anno a fare lavori di finitura di case e di ebanisteria, ma passò la maggior parte del suo tempo nel laboratorio di riparazioni delle carovane. Giacomo cominciava ad alternarsi con lui nel servizio in laboratorio. Alla fine di quest’anno, quando il lavoro di carpentiere venne a mancare a Nazaret, Gesù lasciò in carico a Giacomo il laboratorio di riparazioni ed a Giuseppe il banco da lavoro familiare, mentre lui andò a Sefforis a lavorare presso un fabbro. Egli lavorò i metalli per sei mesi ed acquisì un’abilità considerevole all’incudine.
(1410.3) 128:2.4 Prima di assumere il suo nuovo impiego a Sefforis, Gesù tenne una delle sue periodiche riunioni familiari ed affidò solennemente a Giacomo, che aveva allora appena compiuto diciotto anni, le funzioni di capo della famiglia. Egli promise a suo fratello un appoggio caloroso ed una piena collaborazione, e pretese la promessa formale di obbedienza a Giacomo da parte di ciascun membro della famiglia. Da questo giorno Giacomo assunse l’intera responsabilità finanziaria della famiglia; Gesù portava il suo contributo settimanale a suo fratello. Gesù non riprese mai più le redini dalle mani di Giacomo. Mentre lavorava a Sefforis egli avrebbe potuto rientrare a casa ogni sera se necessario, ma rimase lontano di proposito, giustificandosi di non aver tempo e con altre ragioni, ma il suo vero motivo era di abituare Giacomo e Giuseppe a portare la responsabilità della famiglia. Egli aveva cominciato il lento processo di distacco dalla sua famiglia. Ogni sabato Gesù ritornava a Nazaret, e talvolta durante la settimana quando le circostanze lo richiedevano, per osservare il funzionamento del nuovo piano, per dare dei consigli e per portare utili suggerimenti.
(1410.4) 128:2.5 Il fatto di vivere la maggior parte del tempo a Sefforis per sei mesi offrì a Gesù una nuova opportunità di conoscere meglio il punto di vista dei Gentili sulla vita. Egli lavorò con i Gentili, visse con i Gentili ed in ogni maniera possibile fece uno studio completo ed accurato delle loro abitudini di vita e della loro mentalità.
(1410.5) 128:2.6 Il livello morale di questa città in cui risiedeva Erode Antipa era talmente inferiore anche a quello della città carovaniera di Nazaret, che dopo sei mesi di soggiorno a Sefforis Gesù non fu restio a trovare un pretesto per tornare a Nazaret. Il gruppo per cui lavorava stava per iniziare dei lavori pubblici sia a Sefforis che nella nuova città di Tiberiade, e Gesù era poco disposto ad avere a che fare con un qualunque impiego sotto la supervisione di Erode Antipa. E c’erano anche altre ragioni nell’opinione di Gesù che rendevano opportuno il suo ritorno a Nazaret. Quando ritornò al laboratorio di riparazioni egli non assunse di nuovo la direzione personale degli affari di famiglia. Lavorò in laboratorio assieme a Giacomo e per quanto possibile gli permise di continuare la supervisione della casa. La gestione da parte di Giacomo degli affari di famiglia e dell’amministrazione del bilancio della casa proseguirono tranquillamente.
(1410.6) 128:2.7 Fu proprio con questo piano saggio e meditato che Gesù preparò la via per il suo ritiro definitivo dalla partecipazione attiva negli affari della sua famiglia. Quando Giacomo ebbe maturato due anni di esperienza come capo famiglia — e due anni interi prima che egli (Giacomo) si sposasse — Giuseppe fu incaricato di gestire i fondi della famiglia e gli fu affidata la direzione generale della casa.
(1411.1) 128:3.1 Quest’anno la pressione finanziaria fu un po’ diminuita perché erano in quattro a lavorare. Miriam guadagnava molto con la vendita del latte e del burro; Marta era divenuta un’abile tessitrice. Più di un terzo del prezzo d’acquisto del laboratorio di riparazioni era stato pagato. La situazione era tale che Gesù si fermò di lavorare per tre settimane per condurre Simone a Gerusalemme per la Pasqua, e questo fu il più lungo periodo libero dal suo lavoro quotidiano di cui avesse goduto dalla morte di suo padre.
(1411.2) 128:3.2 Essi andarono a Gerusalemme per la strada della Decapoli ed attraverso Pella, Gerasa, Filadelfia. Kesbon e Gerico. Ritornarono a Nazaret per la via costiera, toccando Lidda, Giaffa, Cesarea, girando quindi attorno al Monte Carmelo per Tolemaide e Nazaret. Questo viaggio permise a Gesù di conoscere abbastanza bene l’intera Palestina a nord del distretto di Gerusalemme.
(1411.3) 128:3.3 A Filadelfia Gesù e Simone fecero conoscenza con un mercante di Damasco che fu preso da una tale simpatia per la coppia di Nazaret che insisté perché si fermassero con lui nella sede dei suoi affari a Gerusalemme. Mentre Simone partecipava ai servizi del tempio, Gesù passò molto del suo tempo a parlare con quest’uomo d’affari internazionali ben educato e grande viaggiatore. Questo mercante possedeva più di quattromila cammelli da carovana; aveva interessi in tutto il mondo romano ed ora era in viaggio per Roma. Egli propose a Gesù di venire a Damasco per entrare nella sua ditta d’importazioni dall’Oriente, ma Gesù spiegò che non si sentiva in diritto di allontanarsi così tanto dalla sua famiglia per il momento. Ma sulla via del ritorno a casa egli pensò molto a queste città lontane ed ai paesi ancora più lontani dell’Estremo Occidente e dell’Estremo Oriente, paesi di cui aveva sentito parlare così spesso dai viaggiatori e dai conducenti delle carovane.
(1411.4) 128:3.4 Simone fu molto contento della sua visita a Gerusalemme. Egli fu debitamente accolto nella comunità d’Israele alla consacrazione pasquale dei nuovi figli del comandamento. Mentre Simone assisteva alle cerimonie della Pasqua, Gesù si mescolò alla folla di visitatori ed ebbe numerosi incontri personali interessanti con parecchi proseliti Gentili.
(1411.5) 128:3.5 Il più rimarchevole di questi contatti fu forse quello con un giovane greco di nome Stefano. Questo giovane era alla sua prima visita a Gerusalemme ed incontrò per caso Gesù il giovedì pomeriggio della settimana di Pasqua. Mentre entrambi passeggiavano visitando il palazzo di Asmoneo, Gesù intavolò una casuale conversazione che ebbe per effetto di attirarli l’uno verso l’altro e che portò ad una discussione di quattro ore sul modo di vivere e sul vero Dio ed il suo culto. Stefano fu enormemente colpito da ciò che disse Gesù; egli non dimenticò mai più le sue parole.
(1411.6) 128:3.6 E questo era lo stesso Stefano che divenne in seguito un credente negli insegnamenti di Gesù e la cui temerarietà nel predicare questo vangelo iniziale ebbe come risultato di farlo lapidare a morte dagli Ebrei adirati. Parte della straordinaria audacia di Stefano nel proclamare la sua opinione sul nuovo vangelo era il diretto risultato di questo precedente colloquio con Gesù. Ma Stefano non ebbe mai il minimo sospetto che il Galileo con il quale aveva parlato una quindicina di anni prima fosse la stessa persona che più tardi egli proclamò Salvatore del mondo e per il quale doveva così presto morire, divenendo così il primo martire della nuova fede cristiana in evoluzione. Quando Stefano donò la sua vita come prezzo del suo attacco contro il tempio ebreo e le sue pratiche tradizionali, si trovava là un cittadino di Tarso, di nome Saul. E quando Saul vide come questo Greco poteva morire per la sua fede, si risvegliarono nel suo cuore quei sentimenti che lo portarono alla fine a sposare la causa per la quale Stefano era morto. Più tardi egli divenne l’aggressivo e indomabile Paolo, il filosofo, se non il solo fondatore, della religione cristiana.
(1412.1) 128:3.7 La domenica dopo la settimana di Pasqua, Simone e Gesù ripartirono per Nazaret. Simone non dimenticò mai ciò che Gesù gli insegnò durante questo viaggio. Egli aveva sempre amato Gesù, ma ora sentiva che cominciava a conoscere suo fratello-padre. Essi ebbero molte conversazioni a cuore aperto mentre attraversavano il paese e preparavano i loro pasti ai bordi della strada. Arrivarono a casa giovedì a mezzogiorno, e Simone tenne la famiglia sveglia fino a tardi quella sera per raccontare le sue esperienze.
(1412.2) 128:3.8 Maria fu molto turbata quando Simone raccontò che Gesù aveva passato la maggior parte del suo tempo a Gerusalemme “conversando con gli stranieri, specialmente con quelli provenienti dai paesi lontani”. La famiglia di Gesù non riuscì mai comprendere il suo grande interesse per le persone, il suo bisogno d’intrattenersi con loro, di conoscere il loro modo di vivere e di scoprire che cosa ne pensavano.
(1412.3) 128:3.9 La famiglia di Nazaret era sempre più assorbita dai suoi problemi immediati ed umani; non si faceva frequentemente menzione della futura missione di Gesù ed egli stesso parlava molto raramente della sua carriera futura. Sua madre si ricordava raramente che egli era un figlio della promessa. Essa stava lentamente abbandonando l’idea che Gesù dovesse compiere una missione divina sulla terra, ma la sua fede era ravvivata quando si soffermava a ricordare la visitazione di Gabriele prima della nascita del bambino.
(1412.4) 128:4.1 Gesù passò gli ultimi quattro mesi di quest’anno a Damasco come ospite del mercante che aveva incontrato per la prima volta a Filadelfia mentre andava a Gerusalemme. Un rappresentante di questo mercante aveva trovato Gesù mentre passava per Nazaret e l’aveva accompagnato a Damasco. Il mercante, in parte ebreo, propose di destinare un’enorme somma di denaro per istituire una scuola di filosofia religiosa a Damasco. Egli progettava di creare un centro di studi che superasse Alessandria. E propose a Gesù di cominciare immediatamente un lungo giro preliminare nei centri pedagogici mondiali per prepararsi ad assumere la direzione di questo nuovo progetto. Questa fu una delle più grandi tentazioni che Gesù dovette mai affrontare nel corso della sua carriera puramente umana.
(1412.5) 128:4.2 Questo mercante condusse subito davanti a Gesù un gruppo di dodici mercanti e banchieri che accettavano di finanziare questa scuola appena progettata. Gesù manifestò un profondo interesse per la scuola proposta e li aiutò a preparare la sua organizzazione, ma espresse sempre il timore che i suoi altri obblighi, non dichiarati ma precedenti, non gli permettessero di accettare la direzione di un’impresa così ambiziosa. Il suo sedicente benefattore insisté, ed impiegò Gesù con profitto a casa sua per fare alcune traduzioni mentre lui, sua moglie ed i suoi figli e figlie tentavano d’indurlo ad accettare l’onore che gli veniva offerto. Ma egli non volle acconsentirvi. Sapeva bene che la sua missione sulla terra non doveva essere supportata da istituzioni d’insegnamento; sapeva che non doveva assolutamente obbligare se stesso ad essere diretto da “consigli di uomini”, per quanto bene intenzionati fossero.
(1412.6) 128:4.3 Lui, che fu respinto dai capi religiosi di Gerusalemme, anche dopo aver dimostrato la sua autorità, fu riconosciuto e salutato come capo insegnante dagli uomini d’affari e dai banchieri di Damasco, e tutto ciò quand’era un oscuro e sconosciuto carpentiere di Nazaret.
(1412.7) 128:4.4 Egli non parlò mai di questa offerta alla sua famiglia e la fine di quest’anno lo ritrovò a Nazaret ad occuparsi dei suoi doveri quotidiani come se non fosse mai stato tentato dalle proposte allettanti dei suoi amici di Damasco. Né questi uomini di Damasco associarono mai il successivo cittadino di Cafarnao che aveva messo sottosopra tutta la società ebraica con il precedente carpentiere di Nazaret che aveva osato rifiutare l’onore che le loro ricchezze congiunte avrebbero potuto procurargli.
(1413.1) 128:4.5 Gesù molto abilmente ed intenzionalmente fece in modo di tenere isolati i diversi episodi della sua vita affinché, agli occhi del mondo, non fossero mai associati insieme come atti di un singolo individuo. Negli anni successivi egli ascoltò molte volte il racconto di questa stessa storia dello strano Galileo che rifiutò l’opportunità di fondare a Damasco una scuola che competesse con Alessandria.
(1413.2) 128:4.6 Il solo proposito che Gesù aveva in mente, quando cercava d’isolare certe particolarità della sua esperienza terrena, era di evitare che la sua versatile e spettacolare carriera inducesse le generazioni future a venerare il maestro invece di obbedire alla verità che egli aveva vissuto ed insegnato. Gesù non desiderava costruire un curriculum umano che distogliesse l’attenzione dal suo insegnamento. Egli capì molto presto che i suoi discepoli sarebbero stati tentati di formulare una religione su di lui che avrebbe potuto competere con il vangelo del regno che egli intendeva proclamare al mondo. Di conseguenza, durante tutta la sua movimentata carriera, egli cercò persistentemente di sopprimere tutto ciò che riteneva potesse rafforzare questa tendenza umana naturale ad esaltare il maestro invece di proclamare i suoi insegnamenti.
(1413.3) 128:4.7 Questo stesso motivo spiega anche perché egli permise di essere chiamato con differenti appellativi durante le varie epoche della sua diversificata vita sulla terra. Inoltre egli non voleva produrre alcuna indebita influenza sulla sua famiglia o su altre persone che le portasse a credere in lui contro le loro oneste convinzioni. Egli rifiutò sempre di trarre un indebito od ingiusto vantaggio dalla mente umana. Non voleva che gli uomini credessero in lui, a meno che i loro cuori non rispondessero alle realtà spirituali rivelate nei suoi insegnamenti.
(1413.4) 128:4.8 Alla fine di quest’anno la famiglia di Nazaret si trovava in condizioni abbastanza buone. I figli crescevano e Maria cominciava ad abituarsi al fatto che Gesù fosse lontano da casa. Egli continuava ad inviare i suoi guadagni a Giacomo per mantenere la famiglia, conservandone solo una piccola parte per le sue spese personali immediate.
(1413.5) 128:4.9 Con il passare degli anni diveniva più difficile comprendere che quest’uomo era un Figlio di Dio sulla terra. Egli sembrava del tutto simile ad un individuo del regno, proprio un altro uomo tra gli uomini. E fu ordinato dal Padre celeste che il conferimento si svolgesse in questo esatto modo.
(1413.6) 128:5.1 Questo fu il primo anno per Gesù di relativa libertà dalle responsabilità familiari. Giacomo riusciva a gestire molto bene la casa con l’aiuto di Gesù in consigli ed in denaro.
(1413.7) 128:5.2 La settimana dopo la Pasqua di quest’anno un giovane uomo venne da Alessandria a Nazaret per organizzare, durante l’anno, un incontro tra Gesù ed un gruppo di Ebrei di Alessandria in un certo punto della costa della Palestina. Questo incontro fu fissato per la metà di giugno e Gesù si recò a Cesarea per incontrarsi con cinque eminenti Ebrei di Alessandria, che lo supplicarono di stabilirsi nella loro città come istruttore religioso offrendogli, per indurlo ad accettare, il posto di assistente del cazan nella loro sinagoga principale.
(1414.1) 128:5.3 I rappresentanti di questo comitato spiegarono a Gesù che Alessandria era destinata a diventare il centro principale della cultura ebraica per il mondo intero; che la tendenza ellenistica degli affari ebrei aveva praticamente superato la scuola di pensiero babilonese. Essi ricordarono a Gesù gli inquietanti sintomi di ribellione esistenti a Gerusalemme ed in tutta la Palestina e lo assicurarono che qualsiasi sollevazione degli Ebrei palestinesi sarebbe equivalsa ad un suicidio nazionale, che la mano di ferro di Roma avrebbe soffocato la ribellione in tre mesi e che Gerusalemme sarebbe stata distrutta ed il tempio demolito, che non sarebbe stata lasciata pietra su pietra.
(1414.2) 128:5.4 Gesù ascoltò tutto quello che avevano da dire, li ringraziò per la loro fiducia e, declinando l’invito di andare ad Alessandria, disse in sostanza: “La mia ora non è ancora venuta.” Essi rimasero sconcertati dalla sua apparente indifferenza all’onore che avevano pensato di conferirgli. Prima di prendere congedo da Gesù, essi gli offrirono una borsa come segno di stima dei suoi amici di Alessandria e come compenso per il tempo e le spese della sua venuta a Cesarea per conferire con loro. Ma egli rifiutò anche il denaro dicendo: “La casa di Giuseppe non ha mai ricevuto elemosine e noi non possiamo mangiare il pane altrui fintantoché io ho buone braccia ed i miei fratelli possono lavorare.”
(1414.3) 128:5.5 I suoi amici dell’Egitto salparono per rientrare a casa, e negli anni successivi, quando sentirono parlare del costruttore di battelli di Cafarnao che stava creando un tale scompiglio in Palestina, pochi di loro sospettarono che fosse il bambino di Betlemme divenuto adulto e lo stesso Galileo dal comportamento strano che aveva declinato in modo così sbrigativo l’invito a diventare un grande maestro ad Alessandria.
(1414.4) 128:5.6 Gesù ritornò a Nazaret. Il resto di quest’anno fu il semestre meno movimentato di tutta la sua carriera. Egli fu lieto di questa tregua temporanea nel programma abituale di problemi da risolvere e di difficoltà da superare. Comunicò molto con suo Padre celeste e fece enormi progressi nella padronanza della sua mente umana.
(1414.5) 128:5.7 Ma gli affari degli uomini nei mondi del tempo e dello spazio non scorrono a lungo senza scosse. In dicembre Giacomo ebbe un colloquio privato con Gesù, spiegando che era molto innamorato di Esta, una giovane di Nazaret, e che avrebbero desiderato sposarsi presto se ciò poteva essere organizzato. Egli richiamò l’attenzione sul fatto che Giuseppe era prossimo ai diciotto anni, e che sarebbe stata una buona esperienza per lui avere l’occasione di svolgere le funzioni di capo famiglia. Gesù acconsentì a che Giacomo si sposasse due anni più tardi, a condizione che nel frattempo avesse convenientemente preparato Giuseppe ad assumere la direzione della casa.
(1414.6) 128:5.8 Ed ora le cose precipitarono — il matrimonio era nell’aria. Il successo di Giacomo nell’ottenere il consenso di Gesù al suo matrimonio incoraggiò Miriam a parlare a suo fratello-padre dei suoi progetti. Giacobbe, il giovane tagliapietre un tempo autonominatosi paladino di Gesù, ora associato agli affari di Giacomo e di Giuseppe, aveva da lungo tempo pensato di chiedere la mano di Miriam. Dopo che Miriam ebbe esposto i suoi piani a Gesù, egli comandò che Giacobbe venisse da lui a presentare formale richiesta per lei e promise la sua benedizione per il matrimonio non appena essa avesse giudicato Marta all’altezza di assumere i suoi doveri di sorella maggiore.
(1414.7) 128:5.9 Quando era a casa egli continuava a tenere il corso serale di scuola tre volte alla settimana, leggeva spesso di sabato le Scritture nella sinagoga, s’intratteneva con sua madre, insegnava ai ragazzi ed in generale si comportava come un degno e rispettato cittadino di Nazaret nella comunità d’Israele.
(1415.1) 128:6.1 Quest’anno iniziò con tutta la famiglia di Nazaret in buona salute e vide la fine delle scolarità regolari di tutti i figli, ad eccezione di certi lavori che Marta doveva fare per Rut.
(1415.2) 128:6.2 Gesù era uno dei più robusti e raffinati esemplari umani che fossero mai apparsi sulla terra dai tempi di Adamo. Il suo sviluppo fisico era superbo. La sua mente era attiva, acuta, penetrante — paragonata alla mentalità media dei suoi contemporanei, essa aveva raggiunto proporzioni gigantesche — ed il suo spirito era in verità umanamente divino.
(1415.3) 128:6.3 Lo stato delle finanze familiari era nella migliore condizione dalla liquidazione delle proprietà di Giuseppe. Le ultime rate per il laboratorio di riparazioni delle carovane erano state pagate; essi non avevano più alcun debito e per la prima volta dopo anni avevano un po’ di denaro da parte. Per questo motivo, e poiché egli aveva condotto gli altri suoi fratelli a Gerusalemme per le loro prime cerimonie di Pasqua, Gesù decise di accompagnare Giuda (che era appena uscito diplomato dalla scuola della sinagoga) per la sua prima visita al tempio.
(1415.4) 128:6.4 Essi si recarono a Gerusalemme e ritornarono per la stessa strada, la valle del Giordano, perché Gesù temeva qualche noia se avesse portato il suo giovane fratello attraverso la Samaria. Già a Nazaret Giuda si era trovato parecchie volte in situazioni delicate a causa del suo temperamento avventato, unito ai suoi forti sentimenti patriottici.
(1415.5) 128:6.5 Essi arrivarono a Gerusalemme in tempo utile ed erano in cammino per la loro prima visita al tempio, la cui sola visione aveva eccitato e commosso Giuda fino al più profondo della sua anima, quando incontrarono per caso Lazzaro di Betania. Mentre Gesù parlava con Lazzaro e cercava di organizzare la celebrazione della Pasqua insieme, Giuda fece nascere un vero e proprio incidente per tutti loro. Vicino c’era una guardia romana che fece degli apprezzamenti sconvenienti ad una giovane ebrea che stava passando. Giuda s’infiammò di una fiera indignazione e non ci mise molto ad esprimere il suo risentimento per una tale scorrettezza direttamente ed a portata d’orecchie del soldato. Ora, i legionari romani erano molto sensibili a tutto ciò che rasentava l’irriverenza negli Ebrei; la guardia mise dunque immediatamente Giuda in stato d’arresto. Questo era troppo per il giovane patriota, e prima che Gesù avesse potuto metterlo in guardia con un’occhiata di avvertimento, egli si era lasciato andare con una loquace denuncia dei suoi sentimenti antiromani repressi, cosa che fece semplicemente andare tutto di male in peggio. Giuda, con Gesù al suo fianco, fu subito condotto nella prigione militare.
(1415.6) 128:6.6 Gesù tentò di ottenere sia un interrogatorio immediato per Giuda sia il suo rilascio in tempo utile per celebrare la Pasqua quella sera, ma fallì in questi tentativi. Poiché l’indomani era un giorno di “santa convocazione” a Gerusalemme, anche i Romani non osavano ascoltare accuse contro un Ebreo. Di conseguenza, Giuda restò incarcerato fino al mattino del secondo giorno dopo il suo arresto, e Gesù rimase alla prigione con lui. Essi non furono presenti nel tempio alla cerimonia di accoglimento dei figli della legge nella piena cittadinanza d’Israele. Giuda non passò per questa cerimonia formale per parecchi anni, finché non ricapitò a Gerusalemme nel tempo di Pasqua ed in connessione con il suo lavoro di propaganda per conto degli Zeloti, l’organizzazione patriottica alla quale apparteneva e nella quale era molto attivo.
(1415.7) 128:6.7 Il mattino seguente il loro secondo giorno in prigione Gesù comparve davanti al magistrato militare per conto di Giuda. Presentando delle scuse per la giovane età di suo fratello e con una chiara ma giudiziosa esposizione concernente il carattere provocatorio dell’episodio che aveva dato pretesto all’arresto di suo fratello, Gesù trattò il caso in modo tale che il magistrato espresse l’opinione che il giovane Ebreo poteva avere qualche scusa possibile per la sua violenta esplosione. Dopo aver avvertito Giuda di non permettersi più una simile temerarietà, disse a Gesù nel congedarli: “Faresti bene a tenere d’occhio il ragazzo; è capace di attirare molte noie su voi tutti.” Ed il giudice romano diceva il vero. Giuda causò molte noie a Gesù, e le noie erano sempre della stessa natura — scontri con le autorità civili a causa dei suoi scatti patriottici sconsiderati e malaccorti.
(1416.1) 128:6.8 Gesù e Giuda andarono a Betania per la notte, spiegarono perché avevano mancato il loro appuntamento per la cena della Pasqua e ripartirono per Nazaret il giorno seguente. Gesù non parlò alla famiglia dell’arresto del suo giovane fratello a Gerusalemme, ma tre settimane dopo il loro ritorno ebbe un lungo colloquio con Giuda su questo episodio. Dopo questa conversazione con Gesù, Giuda stesso lo raccontò alla famiglia. Egli non dimenticò mai la pazienza e l’indulgenza che suo fratello-padre manifestò durante tutta questa rude esperienza.
(1416.2) 128:6.9 Questa fu l’ultima Pasqua alla quale Gesù si recò con un membro della sua famiglia. Il Figlio dell’Uomo si stava staccando sempre più dalla stretta associazione con quelli della propria carne e del proprio sangue.
(1416.3) 128:6.10 Quest’anno i suoi periodi di profonda meditazione furono spesso interrotti da Rut e dai suoi compagni di gioco. E Gesù era sempre pronto a rimandare le riflessioni sulla sua opera futura a favore del mondo e dell’universo per condividere la gioia infantile e l’allegria di questi giovani, che non si stancavano mai di ascoltare Gesù raccontare le esperienze dei suoi diversi viaggi a Gerusalemme. Essi amavano molto anche le sue storie sugli animali e sulla natura.
(1416.4) 128:6.11 I ragazzi erano sempre i benvenuti al laboratorio di riparazioni. Gesù metteva della sabbia, dei blocchi di legno e dei ciottoli a fianco del laboratorio, e gruppi di giovani accorrevano là per divertirsi. Quando erano stanchi di giocare, i più intrepidi davano una sbirciatina nel laboratorio, e se il padrone non era troppo occupato, si azzardavano ad entrare dicendo: “Zio Joshua, esci e raccontaci una grande storia.” Allora lo facevano uscire tirandolo per le mani fino a che non si fosse seduto sulla sua pietra preferita vicino all’angolo del laboratorio, con i ragazzi seduti per terra in semicerchio davanti a lui. E come si divertiva questo piccolo gruppo con lo zio Joshua. Essi imparavano a ridere, e a ridere di cuore. Uno o due dei ragazzi più piccoli avevano l’abitudine di arrampicarsi sulle sue ginocchia e di sedervisi, seguendo con sguardo ammirato le espressioni del suo viso mentre raccontava le sue storie. I bambini amavano Gesù, e Gesù amava i bambini.
(1416.5) 128:6.12 Era difficile per i suoi amici capire l’estensione delle sue attività intellettuali, la maniera in cui poteva così improvvisamente e completamente passare dalle profonde discussioni di politica, di filosofia o di religione al divertimento e alla gioiosa gaiezza di questi bambini dai cinque ai dieci anni d’età. A mano a mano che i suoi fratelli e sorelle crescevano egli aveva più disponibilità di tempo libero, e prima dell’arrivo dei nipoti egli prestava una grande attenzione a questi piccini. Ma non visse abbastanza a lungo sulla terra per godere molto i suoi nipoti.
(1416.6) 128:7.1 All’inizio di quest’anno Gesù di Nazaret divenne profondamente cosciente di possedere una grande estensione di potere potenziale. Ma era anche pienamente persuaso che questo potere non doveva essere impiegato dalla sua personalità in quanto Figlio dell’Uomo, almeno non prima che la sua ora fosse giunta.
(1417.1) 128:7.2 In questo periodo egli rifletteva molto, ma diceva poco, sulla sua relazione con suo Padre celeste. E la conclusione di tutte queste riflessioni fu espressa una volta nella sua preghiera sulla sommità della collina, quando disse: “Indipendentemente da chi io sia e da quale potere io possa o meno esercitare, sono sempre stato e sarò sempre sottomesso alla volontà di mio Padre del Paradiso.” E tuttavia, mentre quest’uomo circolava a Nazaret per andare e tornare dal suo lavoro, era letteralmente vero — in ciò che concerneva un vasto universo — che “in lui erano nascosti tutti i tesori della saggezza e della conoscenza”.
(1417.2) 128:7.3 Durante tutto quest’anno gli affari della famiglia andarono bene, salvo che per Giuda. Per anni Giacomo ebbe delle noie con il suo fratello più giovane che non era incline a mettersi a lavorare e sul quale non si poteva contare per la sua partecipazione alle spese della casa. Pur vivendo in famiglia, egli non era tanto coscienzioso da portare la sua parte di salario al bilancio familiare.
(1417.3) 128:7.4 Gesù era un uomo di pace, e di tanto in tanto era molto imbarazzato dalle sortite bellicose e dalle numerose esplosioni patriottiche di Giuda. Giacomo e Giuseppe erano del parere di metterlo alla porta, ma Gesù non volle acconsentirvi. Quando la loro pazienza era severamente messa alla prova, Gesù si limitava a consigliare: “Siate pazienti. Siate saggi nei vostri consigli ed eloquenti nel vostro modo di vivere, perché il vostro giovane fratello possa prima conoscere la via migliore e poi essere costretto a seguirvi in essa.” Il consiglio saggio ed affettuoso di Gesù evitò una rottura in famiglia; essi rimasero uniti. Ma Giuda non fu mai condotto alla ragione prima del suo matrimonio.
(1417.4) 128:7.5 Maria parlava raramente della futura missione di Gesù. Ogni volta che si faceva allusione a questo argomento, Gesù rispondeva solamente: “La mia ora non è ancora giunta.” Gesù aveva quasi completato il difficile compito di disabituare la sua famiglia a dipendere dalla presenza diretta della sua personalità. Egli si stava preparando rapidamente per il giorno in cui avrebbe potuto coerentemente lasciare questa casa di Nazaret ed iniziare il preludio più attivo del suo vero ministero tra gli uomini.
(1417.5) 128:7.6 Non perdete mai di vista il fatto che la missione principale di Gesù nel suo settimo conferimento era l’acquisizione dell’esperienza di creatura, il conseguimento della sovranità di Nebadon. E nell’accumulare questa esperienza egli faceva la rivelazione suprema del Padre del Paradiso ad Urantia ed al suo intero universo locale. E secondariamente a questi propositi, egli incominciò anche a districare i complicati affari di questo pianeta connessi con la ribellione di Lucifero.
(1417.6) 128:7.7 Quest’anno Gesù godette di maggior tempo libero del solito, e dedicò molto tempo ad insegnare a Giacomo a condurre il laboratorio di riparazioni e a Giuseppe a dirigere gli affari di casa. Maria sentiva che egli si stava preparando a lasciarli. A lasciarli per andare dove? Per fare che cosa? Essa aveva quasi abbandonato l’idea che Gesù fosse il Messia. Non riusciva a comprenderlo; semplicemente non riusciva ad intendere suo figlio primogenito.
(1417.7) 128:7.8 Quest’anno Gesù passò gran parte del tempo con i singoli membri della sua famiglia. Egli li conduceva in lunghe e frequenti passeggiate sulla collina ed in campagna. Prima della mietitura egli condusse Giuda a sud di Nazaret da suo zio agricoltore, ma Giuda non vi rimase a lungo dopo il raccolto. Egli fuggì, e Simone lo ritrovò più tardi in riva al lago con i pescatori. Quando Simone lo riportò a casa, Gesù parlò a lungo con il giovane fuggiasco e poiché questi voleva diventare pescatore, andò con lui a Magdala e lo affidò alle cure di un parente, un pescatore. E Giuda lavorò abbastanza bene e regolarmente da quel momento fino al suo matrimonio, e continuò il mestiere di pescatore anche dopo il suo matrimonio.
(1418.1) 128:7.9 Era giunto finalmente il giorno in cui tutti i fratelli di Gesù avevano scelto la loro carriera e si erano sistemati. Tutto era pronto per la partenza di Gesù da casa.
(1418.2) 128:7.10 In novembre avvenne un duplice matrimonio. Giacomo ed Esta, e Miriam e Giacobbe si sposarono. Fu veramente una circostanza gioiosa. Anche Maria era nuovamente felice, salvo quando ogni tanto si rendeva conto che Gesù si stava preparando a partire. Essa soffriva sotto il peso di una grande incertezza. Se Gesù avesse voluto soltanto sedersi e parlare francamente di tutto ciò con lei come aveva fatto quando era un ragazzo; ma egli era costantemente taciturno; conservava un profondo silenzio sul futuro.
(1418.3) 128:7.11 Giacomo e la sua sposa, Esta, si stabilirono in una graziosa casetta nella parte ovest della città, un regalo del padre di lei. Anche se Giacomo continuò a sostenere la famiglia di sua madre, la sua quota fu ridotta alla metà a causa del suo matrimonio, e Giuseppe fu ufficialmente installato da Gesù quale capo famiglia. Giuda inviava ora con regolarità il suo contributo alla famiglia ogni mese. I matrimoni di Giacomo e di Miriam ebbero un’influenza molto benefica su Giuda, e quando questi ripartì per la pesca il giorno successivo al doppio matrimonio rassicurò Giuseppe che poteva contare su di lui “per compiere tutto il mio dovere e ancora di più se necessario”. E mantenne la sua promessa.
(1418.4) 128:7.12 Miriam viveva nella casa di Giacobbe, contigua a quella di Maria, perché il vecchio Giacobbe era stato sepolto con i suoi antenati. Marta prese il posto di Miriam in casa e la nuova organizzazione funzionò senza difficoltà già prima della fine dell’anno.
(1418.5) 128:7.13 All’indomani di questo duplice matrimonio Gesù ebbe un colloquio importante con Giacomo. Gli disse in confidenza che si stava preparando a lasciare la casa. Donò a Giacomo la piena proprietà del laboratorio di riparazioni, abdicò ufficialmente e solennemente dalla posizione di capo della famiglia di Giuseppe, e stabilì nella maniera più toccante suo fratello Giacomo quale “capo e protettore della casa di mio padre”. Egli redasse, ed entrambi sottoscrissero, un accordo segreto nel quale era convenuto che, a compenso della donazione del laboratorio di riparazioni, Giacomo avrebbe assunto l’intera responsabilità finanziaria della famiglia, sollevando così Gesù da ogni ulteriore obbligo in tali materie. Dopo aver firmato il contratto, e dopo che il bilancio fu sistemato in maniera tale che le spese correnti della famiglia potevano essere affrontate senza alcun contributo da parte di Gesù, questi disse a Giacomo: “Tuttavia, figlio mio, io continuerò a spedirti qualcosa ogni mese fino a quando la mia ora non sarà giunta, ed impiegherai ciò che ti manderò secondo le esigenze del momento. Adopera i miei fondi per le necessità o per i piaceri della famiglia come tu giudicherai opportuno. Utilizzali in caso di malattia o per far fronte ad emergenze impreviste che potrebbero sopraggiungere ad un qualunque membro della famiglia.”
(1418.6) 128:7.14 E così Gesù si preparò ad entrare nella seconda fase della sua vita di adulto, staccato dai suoi, prima di occuparsi pubblicamente degli affari di suo Padre.
(1419.1) 129:0.1 GESÙ si era completamente e definitivamente separato dalla gestione degli affari domestici della famiglia di Nazaret e dalla direzione immediata dei suoi membri. Egli continuò fino al momento del suo battesimo a contribuire alle finanze familiari ed a prendere un vivo interesse personale al benessere spirituale di ciascuno dei suoi fratelli e sorelle. Ed era sempre pronto a fare tutto ciò che era umanamente possibile per il conforto e la felicità di sua madre vedova.
(1419.2) 129:0.2 Il Figlio dell’Uomo aveva ora preparato ogni cosa per staccarsi permanentemente dalla casa di Nazaret; e ciò non fu facile per lui. Gesù amava naturalmente la sua gente, amava la sua famiglia, e questo affetto naturale era stato enormemente accresciuto dalla sua straordinaria devozione a loro. Più pienamente ci doniamo ai nostri simili e più li amiamo; e poiché Gesù si era così completamente dato ai suoi familiari, li amava di un grande e fervente affetto.
(1419.3) 129:0.3 Tutta la famiglia si era a poco a poco resa conto che Gesù si stava preparando a lasciarli. La tristezza della prevista separazione era attenuata soltanto da questo modo graduale di prepararli all’annuncio della sua intenzione di partire. Da più di quattro anni essi percepivano che egli stava progettando questa separazione definitiva.
(1419.4) 129:1.1 In gennaio di quest’anno, 21 d.C., in una piovosa mattina di domenica, Gesù si congedò senza cerimonie dalla sua famiglia, spiegando solamente che sarebbe andato a Tiberiade e poi a visitare le altre città vicine al Mare di Galilea. Li lasciò così, e non fu mai più un membro regolare di quella famiglia.
(1419.5) 129:1.2 Egli trascorse una settimana a Tiberiade, la nuova città che doveva presto succedere a Sefforis come capitale della Galilea; e trovandovi poco che lo interessasse, passò successivamente per Magdala e Betsaida per andare a Cafarnao, dove si fermò per far visita a Zebedeo, l’amico di suo padre. I figli di Zebedeo erano pescatori; lui stesso era un costruttore di battelli. Gesù di Nazaret era un progettista ed un costruttore esperto; era un maestro nel lavorare il legno, e Zebedeo conosceva da lunga data l’abilità dell’artigiano di Nazaret. Da molto tempo Zebedeo aveva pensato di costruire battelli migliori; espose ora i suoi progetti a Gesù ed invitò il carpentiere in visita ad unirsi a lui nell’impresa, e Gesù acconsentì immediatamente.
(1419.6) 129:1.3 Gesù lavorò con Zebedeo solo per poco più di un anno, ma durante questo tempo creò un nuovo tipo di battello e stabilì metodi interamente nuovi per costruirne. Con una tecnica superiore e procedimenti molto migliorati per essiccare le tavole di legno, Gesù e Zebedeo cominciarono a costruire battelli di un tipo molto superiore, che offrivano molta più sicurezza per la navigazione sul lago rispetto ai vecchi tipi. Per parecchi anni Zebedeo ebbe più lavoro per fabbricare questi battelli di nuovo modello di quanto la sua piccola azienda potesse produrne. In meno di cinque anni praticamente tutti i battelli naviganti sul lago erano stati costruiti nei cantieri di Zebedeo a Cafarnao. Gesù fu presto conosciuto dai pescatori galilei come il progettista dei nuovi battelli.
(1420.1) 129:1.4 Zebedeo era un uomo moderatamente benestante; i suoi cantieri si trovavano in riva al lago a sud di Cafarnao e la sua casa era situata a valle in riva al lago vicino al centro di pesca di Betsaida. Gesù visse nella casa di Zebedeo durante l’anno e più che rimase a Cafarnao. Egli aveva lavorato a lungo da solo nel mondo, cioè senza un padre, ed apprezzò molto questo periodo di lavoro con un partner-padre.
(1420.2) 129:1.5 La moglie di Zebedeo, Salomè, era parente di Anna, un tempo sommo sacerdote a Gerusalemme ed ancora il membro più influente del gruppo dei Sadducei, essendo non più in carica da soli otto anni. Salomè divenne una grande ammiratrice di Gesù. Essa lo amava quanto i suoi stessi figli Giacomo, Giovanni e Davide, mentre le sue quattro figlie consideravano Gesù come il loro fratello maggiore. Gesù andava spesso a pescare con Giacomo, Giovanni e Davide, ed essi costatarono che era un esperto pescatore quanto un abile costruttore di battelli.
(1420.3) 129:1.6 Durante tutto quest’anno Gesù inviò ogni mese del denaro a Giacomo. Egli ritornò a Nazaret in ottobre per assistere al matrimonio di Marta, ed in seguito non fu di nuovo a Nazaret per più di due anni, quando tornò brevemente per il duplice matrimonio di Simone e di Giuda.
(1420.4) 129:1.7 Per tutto quest’anno Gesù costruì battelli e continuò ad osservare come vivevano gli uomini sulla terra. Egli andava spesso a visitare la stazione delle carovane, essendo Cafarnao sulla rotta dei viaggi diretti da Damasco verso il sud. Cafarnao era un’importante base militare romana, e l’ufficiale che comandava la guarnigione era un Gentile credente in Yahweh, “un uomo devoto”, come gli Ebrei erano soliti designare questi proseliti. Questo ufficiale apparteneva ad una ricca famiglia romana e s’incaricò di costruire una bella sinagoga a Cafarnao, che era stata offerta agli Ebrei poco prima che Gesù venisse a vivere con Zebedeo. Gesù condusse i servizi in questa nuova sinagoga per più della metà di quest’anno, ed alcuni carovanieri che vi assistettero per caso si ricordarono che era il carpentiere di Nazaret.
(1420.5) 129:1.8 Quando arrivò il momento di pagare le tasse, Gesù si registrò come “artigiano qualificato di Cafarnao”. Da quel giorno e fino al termine della sua vita terrena egli fu conosciuto come residente a Cafarnao. Non si avvalse mai più di nessun’altra residenza legale, benché, per diverse ragioni, abbia permesso ad altri di domiciliarlo a Damasco, a Betania, a Nazaret ed anche ad Alessandria.
(1420.6) 129:1.9 Alla sinagoga di Cafarnao egli trovò molti nuovi libri nelle casse della biblioteca, e passò almeno cinque sere per settimana in intensi studi. Egli dedicava una sera alla vita sociale con gli adulti e passava una sera con i giovani. C’era nella personalità di Gesù qualcosa di affabile e d’ispirante che attirava invariabilmente i giovani. Egli li faceva sempre sentire a loro agio in sua presenza. Il suo grande segreto per intendersi con loro consisteva forse nel duplice fatto che egli era sempre interessato alle loro occupazioni, dando loro raramente dei consigli a meno che non glieli chiedessero.
(1420.7) 129:1.10 La famiglia di Zebedeo quasi adorava Gesù, ed i suoi membri non mancavano mai di partecipare alle sessioni di domanda e risposta che egli conduceva ogni sera dopo cena prima di andare a studiare nella sinagoga. Anche i giovani del vicinato venivano spesso ad assistere a queste riunioni del dopo cena. A questi piccoli gruppi Gesù dava un’istruzione varia ed avanzata, avanzata giusto quanto essi potevano comprendere. Egli parlava molto liberamente con loro, esponeva le sue idee ed i suoi ideali sulla politica, la sociologia, la scienza e la filosofia, ma non pretendeva mai di parlare con autorità finale, salvo quando discuteva di religione — la relazione dell’uomo con Dio.
(1421.1) 129:1.11 Una volta alla settimana Gesù teneva una riunione con tutte le persone della casa, del laboratorio e con gli aiutanti del cantiere, perché Zebedeo aveva molti operai. E fu da questi lavoratori che Gesù fu chiamato per la prima volta “il Maestro”. Essi lo amavano tutti. Il suo lavoro a Cafarnao con Zebedeo gli piaceva, ma gli mancavano i ragazzi che giocavano a fianco del laboratorio di carpenteria di Nazaret.
(1421.2) 129:1.12 Tra i figli di Zebedeo era Giacomo il più interessato a Gesù come insegnante e filosofo. Giovanni preferiva il suo insegnamento e le sue opinioni religiose. Davide lo rispettava come artigiano, ma s’interessava poco ai suoi punti di vista religiosi e ai suoi insegnamenti filosofici.
(1421.3) 129:1.13 Giuda veniva spesso di sabato per ascoltare Gesù parlare nella sinagoga e rimaneva per fargli visita. E più Giuda vedeva di suo fratello maggiore, più si convinceva che Gesù era veramente un grande uomo.
(1421.4) 129:1.14 Quest’anno Gesù fece grandi progressi nella padronanza ascendente della sua mente umana e raggiunse nuovi ed elevati livelli di contatto cosciente con il suo Aggiustatore di Pensiero interiore.
(1421.5) 129:1.15 Questo fu il suo ultimo anno di vita stabile. Mai più Gesù trascorse un intero anno nello stesso luogo o presso la stessa azienda. Il momento dei suoi pellegrinaggi terreni si avvicinava rapidamente. Non erano lontani nel futuro dei periodi d’intensa attività, ma tra la sua vita semplice ma molto attiva del passato ed il suo ministero pubblico ancora più intenso e arduo stavano ora per frapporsi alcuni anni in cui egli avrebbe viaggiato molto ed in cui la sua attività personale sarebbe stata assai diversificata. La sua formazione come uomo del regno doveva essere completata prima di poter iniziare la carriera d’insegnamento e di predicazione quale Dio-uomo divenuto perfetto delle fasi divine e postumane del suo conferimento su Urantia.
(1421.6) 129:2.1 Nel marzo dell’anno 22 d.C. Gesù prese congedo da Zebedeo e da Cafarnao. Egli chiese una piccola somma di denaro per coprire le sue spese fino a Gerusalemme. Mentre lavorava con Zebedeo egli aveva prelevato solo modeste somme di denaro, che inviava ogni mese alla sua famiglia a Nazaret. Un mese era Giuseppe che veniva a Cafarnao a prendere il denaro; il mese seguente era Giuda che veniva a Cafarnao a prendere il denaro da Gesù e a portarlo a Nazaret. Il centro di pesca in cui lavorava Giuda si trovava soltanto a pochi chilometri a sud di Cafarnao.
(1421.7) 129:2.2 Quando Gesù lasciò la famiglia di Zebedeo, fu d’accordo di restare a Gerusalemme fino al tempo di Pasqua, ed essi promisero tutti di essere presenti a questo avvenimento. Si accordarono anche di celebrare insieme la cena di Pasqua. Essi furono tutti rattristati quando Gesù li lasciò, specialmente le figlie di Zebedeo.
(1421.8) 129:2.3 Prima di lasciare Cafarnao, Gesù ebbe una lunga conversazione con il suo nuovo amico e compagno intimo, Giovanni Zebedeo. Egli disse a Giovanni che si proponeva di viaggiare molto fino a quando “la mia ora sarà giunta”, e chiese a Giovanni di agire in sua vece nell’inviare ogni mese del denaro alla sua famiglia a Nazaret fino all’esaurimento di quanto dovutogli. E Giovanni gli fece questa promessa: “Mio Maestro, occupati dei tuoi affari, compi il tuo lavoro in questo mondo; io agirò per te in questa come in ogni altra materia, e veglierò sulla tua famiglia come se dovessi mantenere la mia stessa madre ed occuparmi dei miei stessi fratelli e sorelle. Disporrò dei tuoi fondi conservati da mio padre come tu hai indicato e secondo le loro necessità, e quando il tuo denaro sarà finito, se non ne riceverò più da te e se tua madre sarà nel bisogno, allora dividerò i miei stessi guadagni con lei. Va in pace. Io agirò per tuo conto in tutte queste materie.”
(1422.1) 129:2.4 Dopo la partenza di Gesù per Gerusalemme, Giovanni si consultò dunque con suo padre Zebedeo riguardo al denaro dovuto a Gesù, e fu sorpreso che l’importo fosse così elevato. Poiché Gesù aveva lasciato l’intera questione nelle loro mani, essi convennero che il piano migliore fosse d’investire questi fondi in immobili e d’impiegarne il ricavato per aiutare la famiglia di Nazaret. E siccome Zebedeo sapeva di una piccola casa a Cafarnao che era ipotecata ed in vendita, raccomandò a Giovanni di acquistare questa casa con il denaro di Gesù e di conservare il titolo in custodia per il suo amico. E Giovanni fece come suo padre gli aveva consigliato. Per due anni il ricavato di questa casa fu destinato a rimborsare l’ipoteca, e ciò, con l’aggiunta di una grossa somma che Gesù inviò presto a Giovanni perché fosse utilizzata per le necessità della famiglia, fu quasi sufficiente per coprire il prezzo d’acquisto. E Zebedeo ci mise la differenza, cosicché Giovanni pagò il rimanente dell’ipoteca alla scadenza, acquisendo così la completa proprietà di questa casa di due stanze. In tal modo Gesù divenne proprietario di una casa a Cafarnao, ma egli non era stato informato di questo.
(1422.2) 129:2.5 Quando i membri della famiglia di Nazaret seppero che Gesù era partito da Cafarnao, essi, non conoscendo l’accordo finanziario fatto con Giovanni, credettero che fosse venuto per loro il momento di arrangiarsi senza più contare sull’aiuto di Gesù. Giacomo si ricordò del suo accordo con Gesù e con l’aiuto dei suoi fratelli assunse subito la piena responsabilità della cura della famiglia.
(1422.3) 129:2.6 Ma riportiamoci ora indietro per osservare Gesù a Gerusalemme. Per circa due mesi egli trascorse la maggior parte del suo tempo ad ascoltare le discussioni al tempio, con visite occasionali alle varie scuole dei rabbini. Egli passò quasi tutti i sabati a Betania.
(1422.4) 129:2.7 Gesù aveva portato con sé a Gerusalemme una lettera di Salomè, moglie di Zebedeo, che lo presentava all’anziano sommo sacerdote Anna come “uno dei miei stessi figli”. Anna gli dedicò molto tempo, conducendolo personalmente a visitare le numerose accademie degli insegnanti religiosi di Gerusalemme. Mentre Gesù esaminava a fondo queste scuole ed osservava attentamente i loro metodi d’insegnamento, non pose la più piccola domanda in pubblico. Benché Anna considerasse Gesù un grande uomo, era perplesso su come consigliarlo. Egli riconosceva che sarebbe stato sciocco suggerirgli di entrare come studente in una delle scuole di Gerusalemme, e tuttavia sapeva bene che non sarebbe mai stato accordato a Gesù lo status d’insegnante regolare senza essere stato preparato in queste scuole.
(1422.5) 129:2.8 Il tempo della Pasqua si avvicinava e tra la folla che giungeva da ogni luogo arrivarono a Gerusalemme, da Cafarnao, Zebedeo e tutta la sua famiglia. Essi si fermarono tutti nella spaziosa casa di Anna, in cui celebrarono la Pasqua come un’unica famiglia felice.
(1422.6) 129:2.9 Prima della fine di questa settimana di Pasqua, apparentemente per caso, Gesù incontrò un ricco viaggiatore e suo figlio, un giovane di circa diciassette anni. Questi viaggiatori venivano dall’India, ed essendo diretti a visitare Roma e diversi altri punti del Mediterraneo, avevano fatto in modo di arrivare a Gerusalemme durante la Pasqua, sperando di trovare qualcuno da poter assumere come interprete per entrambi e come precettore per il figlio. Il padre insisté perché Gesù acconsentisse a viaggiare con loro. Gesù gli parlò della sua famiglia e gli disse che sarebbe stato molto difficile allontanarsi per quasi due anni, durante i quali i suoi avrebbero potuto trovarsi nel bisogno. Di fronte a ciò, questo viaggiatore proveniente dall’Oriente propose di anticipare a Gesù il salario di un anno perché potesse affidare tali fondi ai suoi amici per preservare la sua famiglia dalle ristrettezze. E Gesù accettò di fare il viaggio.
(1423.1) 129:2.10 Gesù inviò questa importante somma a Giovanni, il figlio di Zebedeo. E voi sapete come Giovanni impiegò questo denaro per liquidare l’ipoteca sulla proprietà di Cafarnao. Gesù mise Zebedeo interamente al corrente di questo viaggio nel Mediterraneo, ma gli ingiunse di non parlarne a nessuno, nemmeno a quelli della sua stessa carne e del suo stesso sangue, e Zebedeo non rivelò mai che conosceva i luoghi di soggiorno di Gesù durante questo lungo periodo di quasi due anni. Prima del ritorno di Gesù da questo viaggio, la famiglia di Nazaret era sul punto di considerarlo morto. Solo le assicurazioni di Zebedeo, che venne a Nazaret in parecchie occasioni con suo figlio Giovanni, lasciarono viva la speranza nel cuore di Maria.
(1423.2) 129:2.11 Durante questo tempo la famiglia di Nazaret se la passava molto bene. Giuda aveva considerevolmente aumentato la sua quota e mantenne questa contribuzione supplementare fino al suo matrimonio. Nonostante richiedessero poca assistenza, Giovanni Zebedeo continuò a portare ogni mese dei doni a Maria e a Rut, secondo le istruzioni di Gesù.
(1423.3) 129:3.1 L’intero ventinovesimo anno di Gesù fu impiegato a completare il giro del mondo mediterraneo. I principali avvenimenti, nei limiti in cui ci è permesso di rivelare queste esperienze, costituiscono il soggetto delle narrazioni che seguono immediatamente questo fascicolo.
(1423.4) 129:3.2 Durante questo giro del mondo romano, per diverse ragioni, Gesù fu conosciuto come lo Scriba di Damasco. A Corinto ed in altri scali del viaggio di ritorno egli fu tuttavia conosciuto come il precettore ebreo.
(1423.5) 129:3.3 Questo fu un periodo movimentato nella vita di Gesù. Durante questo viaggio egli prese numerosi contatti con i suoi simili, ma questa esperienza è una fase della sua vita che non rivelò mai ad alcun membro della sua famiglia né ad alcuno degli apostoli. Gesù visse sino alla fine la sua vita nella carne e lasciò questo mondo senza che nessuno (salvo Zebedeo di Betsaida) conoscesse che aveva fatto questo grande viaggio. Alcuni dei suoi amici credevano che fosse ritornato a Damasco; altri pensarono che fosse andato in India. I membri della sua stessa famiglia erano inclini a credere che fosse ad Alessandria, perché sapevano che una volta era stato invitato a recarvisi per diventare assistente del cazan.
(1423.6) 129:3.4 Quando Gesù ritornò in Palestina non fece niente per cambiare l’opinione della sua famiglia che credeva fosse andato da Gerusalemme ad Alessandria; egli permise loro di continuare a credere che tutto il tempo in cui era stato assente dalla Palestina fosse stato trascorso in quella città di sapere e di cultura. Solo Zebedeo, il costruttore di battelli di Betsaida, conosceva la verità su questo argomento, e Zebedeo non ne parlò a nessuno.
(1423.7) 129:3.5 In tutti i vostri sforzi per decifrare il significato della vita di Gesù su Urantia, dovete ricordare i motivi del conferimento di Micael. Se volete comprendere il significato di molti dei suoi comportamenti apparentemente strani, dovete discernere il proposito del suo soggiorno sul vostro mondo. Egli fu costantemente attento a non costruire una carriera personale troppo affascinante e che attirasse troppa attenzione. Cercava di non fare alcun ricorso all’insolito o all’irresistibile verso i suoi simili. Egli era votato all’opera di rivelare il Padre celeste ai suoi simili mortali e allo stesso tempo era consacrato al compito sublime di vivere la sua vita terrena di mortale restando costantemente sottomesso alla volontà dello stesso Padre del Paradiso.
(1424.1) 129:3.6 Sarà anche sempre utile, per comprendere la vita di Gesù sulla terra, che tutti gli studiosi mortali di questo conferimento divino ricordino che, mentre viveva questa vita d’incarnazione su Urantia, egli la viveva per il suo intero universo. C’era qualcosa di speciale e d’ispirante associato alla vita che egli visse nella carne di natura mortale per ciascuna singola sfera abitata di tutto l’universo di Nebadon. La stessa cosa è anche vera per tutti i mondi divenuti abitabili dopo i giorni avventurosi del suo soggiorno su Urantia. E ciò sarà allo stesso modo pure vero per tutti i mondi che saranno abitati da creature dotate di volontà in tutta la storia futura di questo universo locale.
(1424.2) 129:3.7 Il Figlio dell’Uomo, durante il periodo ed attraverso le esperienze di questo giro del mondo romano, completò praticamente la sua preparazione educativa grazie al contatto con i diversi popoli del mondo del suo tempo e della sua generazione. Al momento del suo ritorno a Nazaret, grazie a questo viaggio istruttivo, egli aveva praticamente appreso come gli uomini vivevano e forgiavano la propria esistenza su Urantia.
(1424.3) 129:3.8 Il proposito reale del suo viaggio attorno al bacino del Mediterraneo era di conoscere gli uomini. Durante questo viaggio egli venne a contatto molto stretto con centinaia di esseri umani. Incontrò ed amò ogni sorta di uomini, ricchi e poveri, elevati ed umili, neri e bianchi, istruiti ed ignoranti, colti ed incolti, animaleschi e spirituali, religiosi ed irreligiosi, morali ed immorali.
(1424.4) 129:3.9 Nel corso di questo viaggio mediterraneo Gesù fece grandi progressi nel suo compito umano di dominare la mente materiale e mortale, ed il suo Aggiustatore interiore fece grandi progressi nella conquista ascensionale e spirituale di questo stesso intelletto umano. Alla fine di questo giro Gesù sapeva praticamente — in tutta certezza umana — che era un Figlio di Dio, un Figlio Creatore del Padre Universale. Il suo Aggiustatore era sempre più capace di far sorgere nella mente del Figlio dell’Uomo dei ricordi nebbiosi della sua esperienza in Paradiso in associazione con il suo Padre divino prima di partire per organizzare ed amministrare questo universo locale di Nebadon. Così, a poco a poco, l’Aggiustatore portò nella coscienza umana di Gesù quei ricordi necessari della sua esistenza divina anteriore nelle varie epoche del quasi eterno passato. L’ultimo episodio della sua esperienza preumana ad essere messo in luce dall’Aggiustatore fu il suo incontro di commiato con Emanuele di Salvington giusto prima che abbandonasse la sua personalità cosciente per intraprendere la sua incarnazione su Urantia. L’immagine di quest’ultimo ricordo della sua esistenza preumana fu resa chiara nella coscienza di Gesù il giorno stesso del suo battesimo da parte di Giovanni nel Giordano.
(1424.5) 129:4.1 Per le intelligenze celesti dell’universo locale che l’osservavano, questo viaggio mediterraneo fu la più seducente delle esperienze terrene di Gesù, o almeno di tutta la sua carriera fino alla sua crocifissione e morte umana. Questo fu il periodo affascinante del suo ministero personale, in contrasto con l’epoca del suo ministero pubblico che seguì ben presto. Questo episodio straordinario fu tanto più avvincente in quanto in questo momento egli era ancora il carpentiere di Nazaret, il costruttore di battelli di Cafarnao, lo Scriba di Damasco; era ancora il Figlio dell’Uomo. Egli non aveva ancora acquisito la completa padronanza della sua mente umana; l’Aggiustatore non aveva ancora pienamente controllato e formato la contropartita dell’identità mortale. Egli era ancora un uomo tra gli uomini.
(1425.1) 129:4.2 L’esperienza religiosa puramente umana — la crescita spirituale personale — del Figlio dell’Uomo raggiunse quasi il suo culmine di realizzazione durante questo ventinovesimo anno. Questa esperienza di sviluppo spirituale fu una crescita costantemente graduale a partire dal momento dell’arrivo del suo Aggiustatore di Pensiero fino al giorno del completamento e della conferma della relazione umana naturale e normale tra la mente materiale dell’uomo e la dotazione mentale dello spirito — il fenomeno di rendere queste due menti una sola, l’esperienza che il Figlio dell’Uomo raggiunse completamente e definitivamente, quale mortale incarnato del regno, nel giorno del suo battesimo nel Giordano.
(1425.2) 129:4.3 Durante tutti questi anni, mentre non sembrava impegnato in così numerosi periodi di comunione formale con suo Padre celeste, egli mise a punto dei metodi sempre più efficaci di comunicazione personale con la presenza spirituale interiore del Padre del Paradiso. Egli visse una vita reale, una vita piena ed una vita nella carne veramente normale, naturale e ordinaria. Egli apprende per esperienza personale l’equivalente dell’attualità dell’intera somma e della sostanza del vivere la vita degli esseri umani sui mondi materiali del tempo e dello spazio.
(1425.3) 129:4.4 Il Figlio dell’Uomo sperimentò la vasta gamma delle emozioni umane che si estendono dalla gioia splendida al dolore profondo. Egli era un ragazzo gaio ed un essere di raro buonumore; era anche un “uomo di dolori ed abituato alla sofferenza”. In senso spirituale egli visse la vita di mortale dal punto più basso a quello più alto, dall’inizio alla fine. Da un punto di vista materiale egli potrebbe sembrare aver evitato di vivere i due estremi sociali dell’esistenza umana, ma intellettualmente familiarizzò completamente con l’intera e completa esperienza dell’umanità.
(1425.4) 129:4.5 Gesù conosce i pensieri ed i sentimenti, i bisogni e gli impulsi, dei mortali evoluzionari ed ascendenti dei regni, dalla loro nascita alla loro morte. Egli ha vissuto la vita umana dagli inizi dell’individualità fisica, intellettuale e spirituale, passando per l’infanzia, la fanciullezza, la giovinezza e la maturità — fino all’esperienza umana della morte. Egli non solo passò per questi periodi umani normali e familiari di avanzamento intellettuale e spirituale, ma sperimentò anche pienamente quelle fasi superiori e più evolute dell’armonizzazione tra l’uomo e l’Aggiustatore che così pochi mortali di Urantia raggiungono. E sperimentò così la vita piena dell’uomo mortale, non solo com’è vissuta sul vostro mondo, ma anche com’è vissuta su tutti gli altri mondi evoluzionari del tempo e dello spazio, anche sui più elevati e più avanzati tra tutti i mondi stabilizzati in luce e vita.
(1425.5) 129:4.6 Sebbene questa vita perfetta che egli visse nelle sembianze della carne mortale possa non aver ricevuto l’approvazione universale ed incondizionata dei suoi simili mortali, di coloro che per caso sono stati suoi contemporanei sulla terra, tuttavia, la vita che Gesù di Nazaret visse nella carne e su Urantia ha ricevuto la piena ed assoluta accettazione dal Padre Universale come costituente nello stesso tempo e nella stessa vita di personalità la pienezza della rivelazione del Dio eterno all’uomo mortale e la presentazione di una personalità umana resa perfetta alla soddisfazione del Creatore Infinito.
(1425.6) 129:4.7 Questo era il suo vero e supremo proposito. Egli non è sceso a vivere su Urantia come un esempio perfetto e dettagliato per ogni bambino o adulto, per ogni uomo o donna, di quell’epoca o di qualsiasi altra. La verità è, in realtà, che nella sua piena, ricca, bella e nobile vita noi tutti possiamo trovare molte cose che sono squisitamente esemplari, divinamente ispiranti, ma ciò è dovuto al fatto che egli ha vissuto una vita veramente ed autenticamente umana. Gesù non ha vissuto la sua vita sulla terra per fornire a tutti gli altri esseri umani un esempio da copiare. Egli visse questa vita nella carne con lo stesso ministero di misericordia che voi tutti potete utilizzare per vivere la vostra vita sulla terra. E come egli visse la sua vita di mortale nella sua epoca e com’era, così egli diede in tal modo a tutti noi l’esempio di come vivere la nostra vita nella nostra epoca e come siamo. Voi non potete aspirare a vivere la sua vita, ma potete decidere di vivere la vostra vita com’egli ha vissuto la sua, e con gli stessi mezzi. Gesù può non essere l’esempio tecnico e dettagliato per tutti i mortali di tutte le ere su tutti i regni di questo universo locale, ma egli è eternamente l’ispirazione e la guida di tutti i pellegrini del Paradiso provenienti dai mondi dell’ascensione iniziale che si elevano attraverso l’universo degli universi ed Havona fino al Paradiso. Gesù è la via nuova e vivente che va dall’uomo a Dio, dal parziale al perfetto, dal terreno al celeste, dal tempo all’eternità.
(1426.1) 129:4.8 Alla fine del suo ventinovesimo anno Gesù di Nazaret aveva praticamente finito di vivere la vita che si richiede ai mortali che soggiornano nella carne. Egli era venuto sulla terra come la pienezza di Dio da manifestare agli uomini; ora aveva quasi raggiunto la perfezione dell’uomo che aspetta l’occasione di manifestarsi a Dio. E fece tutto questo prima di aver raggiunto i trent’anni di età.
(1427.1) 130:0.1 IL GIRO del mondo romano assorbì la maggior parte del ventottesimo anno e tutto il ventinovesimo anno della vita terrena di Gesù. Gesù e i due nativi dell’India — Gonod e suo figlio Ganid — lasciarono Gerusalemme domenica mattina, 26 aprile, dell’anno 22 d.C. Essi compirono il loro viaggio secondo il programma previsto, e Gesù diede l’addio al padre e al figlio nella città di Charax sul Golfo Persico il 10 dicembre dell’anno seguente, 23 d.C.
(1427.2) 130:0.2 Da Gerusalemme essi andarono a Cesarea passando per Giaffa. A Cesarea presero un battello per Alessandria. Da Alessandria salparono per Lasea a Creta. Da Creta fecero vela per Cartagine, con scalo a Cirene. A Cartagine presero un battello per Napoli, fermandosi a Malta, a Siracusa e a Messina. Da Napoli andarono a Capua, da dove viaggiarono per la Via Appia fino a Roma.
(1427.3) 130:0.3 Dopo il loro soggiorno a Roma essi si recarono per via di terra a Taranto, dove presero il mare per Atene in Grecia, fermandosi a Nicopoli e a Corinto. Da Atene andarono ad Efeso per la strada della Troade. Da Efeso fecero vela per Cipro, facendo scalo a Rodi. Trascorsero molto tempo a visitare Cipro ed a riposarvi, e poi s’imbarcarono per Antiochia in Siria. Da Antiochia viaggiarono verso sud fino a Sidone e poi andarono a Damasco. Da là proseguirono per carovana fino in Mesopotamia, passando per Tapsaco e Larissa. Soggiornarono per qualche tempo a Babilonia, visitarono Ur ed altri luoghi, e andarono poi a Susa. Da Susa si recarono a Charax, da dove Gonod e Ganid s’imbarcarono per l’India.
(1427.4) 130:0.4 Fu nel corso dei quattro mesi di lavoro a Damasco che Gesù aveva appreso i rudimenti della lingua parlata da Gonod e Ganid. Mentre era là egli aveva lavorato per molto tempo a traduzioni dal greco in una delle lingue dell’India, con l’assistenza di un nativo della regione di provenienza di Gonod.
(1427.5) 130:0.5 Durante questo giro attorno al Mediterraneo, Gesù dedicò circa la metà di ogni giorno ad istruire Ganid e a servire da interprete a Gonod nei suoi incontri d’affari e nei suoi contatti sociali. Il resto di ogni giorno, che era a sua disposizione, egli lo dedicava a stabilire quegli stretti contatti personali con i suoi simili, quelle intime associazioni con i mortali del regno che caratterizzarono tanto le sue attività durante questi anni immediatamente precedenti il suo ministero pubblico.
(1427.6) 130:0.6 Grazie all’osservazione di prima mano ed al contatto reale, Gesù fece conoscenza con la civiltà materiale ed intellettuale superiore dell’Occidente e del Levante. Da Gonod e dal suo brillante figlio egli apprese molto sulla civiltà e la cultura dell’India e della Cina, perché Gonod, cittadino dell’India, aveva fatto tre grandi viaggi nell’impero della razza gialla.
(1427.7) 130:0.7 Ganid, il giovane uomo, imparò molto da Gesù durante questa lunga e stretta associazione. Essi svilupparono un grande affetto l’uno per l’altro, ed il padre del giovane tentò molte volte di persuadere Gesù a ritornare con loro in India, ma Gesù rifiutò sempre, sostenendo la necessità di ritornare dalla sua famiglia in Palestina.
(1428.1) 130:1.1 Durante il loro soggiorno a Giaffa, Gesù incontrò Gadia, un interprete filisteo che lavorava per un conciatore di pelli di nome Simone. Gli agenti di Gonod in Mesopotamia avevano trattato molti affari con questo Simone; così Gonod e suo figlio desideravano fargli visita mentre andavano a Cesarea. Durante la sosta a Giaffa, Gesù e Gadia divennero buoni amici. Questo giovane Filisteo era un cercatore di verità. Gesù era un apportatore di verità; egli era la verità per quella generazione su Urantia. Quando un grande cercatore di verità ed un grande apportatore di verità s’incontrano, il risultato è una grande illuminazione rivelatrice nata dall’esperienza della nuova verità.
(1428.2) 130:1.2 Un giorno, dopo il pasto della sera, Gesù ed il giovane Filisteo passeggiavano in riva al mare, e Gadia, non sapendo che questo “Scriba di Damasco” fosse così ben versato nelle tradizioni ebraiche, mostrò a Gesù il luogo dal quale si riteneva che Giona si fosse imbarcato per il suo fatale viaggio a Tarsis. Quando ebbe terminato le sue osservazioni, egli pose a Gesù questa domanda: “Ma credi tu che il grosso pesce abbia veramente inghiottito Giona?” Gesù percepì che la vita di questo giovane era stata enormemente influenzata da questa tradizione e che le sue riflessioni avevano impresso in lui la follia di tentare di sfuggire al suo dovere; di conseguenza Gesù non disse nulla che potesse distruggere bruscamente i fondamenti della motivazione presente di Gadia per la vita pratica. In risposta a questa domanda Gesù disse: “Amico mio, noi siamo tutti dei Giona con una vita da vivere in accordo con la volontà di Dio, ed ogni volta che cerchiamo di sfuggire al dovere presente della vita per correre verso allettamenti lontani, ci poniamo con ciò sotto il controllo immediato di quelle influenze che non sono dirette dai poteri della verità e dalle forze della rettitudine. Fuggire dal proprio dovere è sacrificare la verità. Fuggire dal servizio della luce e della vita può solo portare a quei conflitti angosciosi con i terribili giganti dell’egoismo che conducono alla fine alle tenebre e alla morte, a meno che questi Giona che hanno abbandonato Dio non vogliano rivolgere il loro cuore, anche al colmo della disperazione, alla ricerca di Dio e della sua bontà. E quando queste anime disperate cercano sinceramente Dio — hanno fame di verità e sete di rettitudine — non c’è niente che possa tenerle ancora imprigionate. Per quanto profondi siano gli abissi in cui possono essere caduti, quando essi cercano la luce con tutto il loro cuore, lo spirito del Signore Dio del cielo li libererà dalla loro prigionia; le circostanze negative della vita li spingeranno sulla terraferma di nuove occasioni per un servizio rinnovato ed una vita più saggia.”
(1428.3) 130:1.3 Gadia fu fortemente scosso dall’insegnamento di Gesù. Essi conversarono fino a notte inoltrata in riva al mare, e prima di rientrare ai loro alloggi pregarono insieme l’uno per l’altro. Questo era lo stesso Gadia che ascoltò la predicazione successiva di Pietro, divenne un profondo credente in Gesù di Nazaret, ed ebbe una sera una memorabile discussione con Pietro a casa di Dorcas. E Gadia contribuì molto alla decisione finale di Simone, il ricco mercante di pelli, di abbracciare il Cristianesimo.
(1428.4) 130:1.4 (In questa narrazione del lavoro personale di Gesù con i suoi simili mortali durante questo giro del Mediterraneo, in conformità all’autorizzazione ricevuta noi tradurremo liberamente le sue parole nella terminologia moderna correntemente impiegata su Urantia al momento di questa presentazione.)
(1429.1) 130:1.5 L’ultimo incontro di Gesù con Gadia li portò a discutere sul bene e sul male. Questo giovane Filisteo era molto turbato da un sentimento d’ingiustizia dovuto alla presenza del male nel mondo a fianco del bene. Egli disse: “Come può Dio, se è infinitamente buono, permettere che noi soffriamo le pene del male; dopotutto, chi crea il male?” In quest’epoca molta gente credeva ancora che Dio creasse sia il bene che il male, ma Gesù non insegnò mai un tale errore. In risposta a questa domanda Gesù disse: “Fratello mio, Dio è amore; perciò deve essere buono, e la sua bontà è così grande e reale che non può contenere le cose meschine ed irreali del male. Dio è così positivamente buono che non c’è assolutamente posto in lui per il male negativo. Il male è la scelta immatura ed il passo falso irriflessivo di coloro che resistono alla bontà, che respingono la bellezza e che tradiscono la verità. Il male è solo il cattivo adattamento dell’immaturità o l’influenza disgregante e deformante dell’ignoranza. Il male è l’inevitabile oscurità che segue da vicino l’incauto rifiuto della luce. Il male è ciò che è oscuro e falso e che, quando è coscientemente abbracciato e volontariamente approvato, diviene peccato.
(1429.2) 130:1.6 “Tuo Padre che è nei cieli, dotandoti del potere di scegliere tra la verità e l’errore, ha creato il potenziale negativo della via positiva della luce e della vita; ma questi errori del male sono in realtà inesistenti fino a quando una creatura intelligente non decreta la loro esistenza con l’errata scelta del suo modo di vivere. E questi mali sono poi elevati a peccato dalla scelta cosciente e deliberata di una tale creatura ostinata e ribelle. Per questo nostro Padre celeste permette al bene ed al male di procedere insieme sino alla fine della vita, allo stesso modo che la natura permette al grano e alla zizzania di crescere fianco a fianco sino alla mietitura.” Gadia fu pienamente soddisfatto della risposta di Gesù alla sua domanda dopo che la loro discussione successiva ebbe chiarito alla sua mente il significato reale di queste importanti affermazioni.
(1429.3) 130:2.1 Gesù ed i suoi amici si fermarono a Cesarea oltre il tempo previsto perché si scoprì che uno degli enormi remi-timone del vascello sul quale intendevano imbarcarsi minacciava di rompersi. Il capitano decise di restare in porto mentre ne veniva preparato uno nuovo. C’era penuria di carpentieri esperti per questo lavoro, così Gesù offrì spontaneamente il suo aiuto. Di sera Gesù ed i suoi amici gironzolavano lungo i bei muraglioni che servivano da passeggiata attorno al porto. Ganid s’interessò molto alla spiegazione di Gesù sul sistema idrico della città e sulla tecnica con la quale le maree erano utilizzate per pulire le strade e le fognature della città. Questo giovane Indiano fu molto impressionato dal tempio di Augusto situato su un’altura e sormontato da una colossale statua dell’imperatore romano. Il secondo pomeriggio del loro soggiorno assisterono tutti e tre ad uno spettacolo nell’enorme anfiteatro che poteva contenere ventimila persone sedute, e la stessa sera si recarono a teatro per assistere ad una rappresentazione greca. Questi erano i primi spettacoli di tal genere ai quali Ganid avesse mai assistito, e pose a Gesù numerose domande al loro riguardo. Al mattino del terzo giorno essi fecero una visita ufficiale al palazzo del governatore, perché Cesarea era la capitale della Palestina e la residenza del procuratore romano.
(1429.4) 130:2.2 Alla loro locanda alloggiava anche un mercante proveniente dalla Mongolia, e poiché questo abitante del lontano Oriente parlava abbastanza bene il greco, Gesù ebbe parecchie lunghe conversazioni con lui. Quest’uomo rimase molto impressionato dalla filosofia di vita di Gesù e non dimenticò mai le sue parole di saggezza concernenti “il vivere la vita celeste mentre si è sulla terra sottomet tendosi quotidianamente alla volontà del Padre celeste”. Questo mercante era taoista ed era dunque divenuto un fermo credente nella dottrina di una Deità universale. Quando ritornò in Mongolia egli cominciò ad insegnare queste verità avanzate ai suoi vicini ed ai suoi associati in affari, e queste attività ebbero come risultato diretto di far decidere suo figlio primogenito di divenire un sacerdote taoista. Questo giovane uomo esercitò una grande influenza a favore della verità superiore per tutta la sua vita, e fu seguito da un figlio e da un nipote che furono anch’essi devotamente fedeli alla dottrina del Dio unico — il Sovrano Supremo del Cielo.
(1430.1) 130:2.3 Mentre il ramo orientale della Chiesa cristiana primitiva, che aveva il suo centro a Filadelfia, si attenne più fedelmente agli insegnamenti di Gesù rispetto ai confratelli di Gerusalemme, è spiacevole che non ci sia stato nessuno come Pietro per andare in Cina, o come Paolo per entrare in India, dove il terreno spirituale era allora così favorevole per piantare il seme del nuovo vangelo del regno. Questi stessi insegnamenti di Gesù, quali erano mantenuti dai fedeli di Filadelfia, avrebbero fatto altrettanto immediato ed efficace appello alle menti dei popoli asiatici spiritualmente affamati quanto ne fecero le predicazioni di Pietro e di Paolo in Occidente.
(1430.2) 130:2.4 Uno dei giovani che lavoravano un giorno con Gesù al remo-timone fu attratto dalle parole che egli lasciava cadere di tanto in tanto mentre faticavano nel cantiere navale. Quando Gesù dichiarò che il Padre celeste s’interessava al benessere dei suoi figli sulla terra, questo giovane Greco di nome Anaxando disse: “Se gli Dei s’interessano a me, perché allora non tolgono il crudele ed ingiusto caposquadra di questo cantiere?” Egli rimase stupefatto quando Gesù replicò: “Poiché tu conosci le vie della bontà ed apprezzi la giustizia, forse gli Dei hanno messo vicino a te quest’uomo sviato perché tu possa guidarlo in questa via migliore. Forse tu sei il sale che deve rendere questo fratello più gradevole a tutti gli altri uomini; ciò almeno se tu non hai perso il tuo sapore. Invero quest’uomo è il tuo padrone poiché i suoi modi cattivi t’influenzano sfavorevolmente. Perché non affermare la tua padronanza sul male grazie al potere della bontà e diventare così il padrone di tutte le relazioni tra voi due? Io affermo che il bene che è in te potrebbe vincere il male che è in lui se tu gli dessi una giusta e forte occasione. Nel corso dell’esistenza mortale non c’è avventura più appassionante della gioia esaltante di divenire il vivente partner materiale dell’energia spirituale e della verità divina in una delle loro lotte trionfali contro l’errore ed il male. È un’esperienza meravigliosa e trasformatrice il diventare il canale vivente della luce spirituale per il mortale che è nelle tenebre spirituali. Se tu sei più benedetto dalla verità rispetto a quest’uomo, il suo bisogno dovrebbe esserti di sfida. Tu non sei sicuramente il codardo che può aspettare sulla riva del mare guardando morire un compagno che non sa nuotare! Quanto più valore ha l’anima di quest’uomo che si dibatte nelle tenebre rispetto al suo corpo che annega nell’acqua!”
(1430.3) 130:2.5 Anaxando fu profondamente colpito dalle parole di Gesù. Egli raccontò subito al suo superiore ciò che Gesù aveva detto e quella sera entrambi chiesero consiglio a Gesù per la salute della loro anima. E più tardi, dopo che il messaggio cristiano era stato proclamato a Cesarea, entrambi questi uomini, uno Greco e l’altro Romano, credettero alla predicazione di Filippo e divennero membri influenti della Chiesa che egli fondò. In seguito questo giovane Greco fu nominato intendente di un centurione romano di nome Cornelio, che divenne credente grazie al ministero di Pietro. Anaxando continuò a portare la luce a coloro che erano nelle tenebre fino all’epoca in cui Paolo fu imprigionato a Cesarea, quando morì accidentalmente nel corso del grande massacro di ventimila Ebrei mentre assisteva i sofferenti e i moribondi.
(1431.1) 130:2.6 Da quel momento Ganid cominciò a capire come il suo precettore occupava il suo tempo libero in questo insolito ministero personale verso i suoi simili, ed il giovane Indiano si accinse a scoprire il motivo di queste incessanti attività. Egli chiese: “Perché t’interessi così continuamente ad incontrare degli stranieri?” E Gesù rispose: “Ganid, nessun uomo è uno straniero per chi conosce Dio. Nell’esperienza di trovare il Padre celeste si scopre che tutti gli uomini sono tuoi fratelli, e sembra strano che si provi gioia ad incontrare un fratello appena scoperto? Fare conoscenza con i propri fratelli e sorelle, conoscere i loro problemi ed imparare ad amarli, è l’esperienza suprema della vita.”
(1431.2) 130:2.7 Questo fu un colloquio che si protrasse molto a lungo nella notte e nel corso del quale il giovane chiese a Gesù di spiegargli la differenza tra la volontà di Dio e l’atto mentale umano di scegliere, che è anche chiamato volontà. In sostanza Gesù disse: la volontà di Dio è la via di Dio, l’associazione con la scelta di Dio di fronte ad ogni alternativa potenziale. Di conseguenza, fare la volontà di Dio è l’esperienza progressiva di divenire sempre più simili a Dio, e Dio è la sorgente e il destino di tutto ciò che è buono, bello e vero. La volontà dell’uomo è la via dell’uomo, la somma e la sostanza di ciò che il mortale sceglie di essere e di fare. La volontà è la scelta deliberata di un essere autocosciente che porta ad una decisione-condotta basata sulla riflessione intelligente.
(1431.3) 130:2.8 Nel corso di quel pomeriggio Gesù e Ganid si erano entrambi divertiti a giocare con un cane da pastore molto intelligente, e Ganid volle sapere se il cane aveva un’anima, se aveva una volontà, ed in risposta a queste domande Gesù disse: “Il cane ha una mente che può conoscere un uomo materiale, il suo padrone, ma non può conoscere Dio, che è spirito; il cane non possiede dunque una natura spirituale e non può godere di un’esperienza spirituale. Il cane può avere una volontà derivata dalla natura ed accresciuta con l’addestramento, ma questo potere della mente non è una forza spirituale, né è paragonabile alla volontà umana, perché non è riflessivo — non è il risultato della discriminazione di significati superiori e morali o della scelta di valori spirituali ed eterni. È il possesso di questi poteri di discriminazione spirituale e di scelta della verità che fa di un uomo mortale un essere morale, una creatura dotata degli attributi della responsabilità spirituale e del potenziale della sopravvivenza eterna.” Gesù continuò spiegando che è l’assenza di questi poteri mentali nell’animale che rende per sempre impossibile al mondo animale sviluppare un linguaggio nel tempo o sperimentare qualunque cosa di equivalente alla sopravvivenza della personalità nell’eternità. Come risultato dell’insegnamento di questo giorno Ganid non credette mai più nella trasmigrazione delle anime umane nei corpi di animali.
(1431.4) 130:2.9 Il giorno seguente Ganid parlò di tutto questo a suo padre, e fu in risposta ad una domanda di Gonod che Gesù spiegò che “le volontà umane che si occupano esclusivamente di prendere delle decisioni temporali riguardanti solamente i problemi materiali dell’esistenza animale sono condannate a perire nel tempo. Coloro che prendono delle decisioni morali sincere e fanno scelte spirituali incondizionate s’identificano così progressivamente con lo spirito interiore e divino, e si trasformano sempre più in valori di sopravvivenza eterna — una progressione senza fine di servizio divino”.
(1431.5) 130:2.10 Fu in questo stesso giorno che ascoltammo per la prima volta quella memorabile verità che, espressa in termini moderni, significherebbe: “La volontà è quella manifestazione della mente umana che permette alla coscienza soggettiva di esprimersi oggettivamente e di fare l’esperienza del fenomeno di aspirare ad essere simili a Dio.” Ed è in questo stesso senso che ogni essere umano riflessivo di mente spirituale può divenire creativo.
(1432.1) 130:3.1 Il soggiorno a Cesarea era stato denso di avvenimenti, e quando l’imbarcazione fu pronta Gesù ed i suoi due amici partirono un bel giorno a mezzodì per Alessandria d’Egitto.
(1432.2) 130:3.2 I tre godettero di una traversata molto piacevole fino ad Alessandria. Ganid era entusiasta del viaggio e subissava Gesù di domande. In prossimità del porto della città il giovane fu molto eccitato dal grande faro di Pharos, situato sull’isola che Alessandro aveva congiunto alla terraferma con un molo, creando così due magnifiche rade che fecero di Alessandria il crocevia commerciale marittimo dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa. Questo grande faro era una delle sette meraviglie del mondo ed il precursore di tutti i fari successivi. Essi si alzarono di buon mattino per visitare questo splendido dispositivo di salvaguardia degli uomini, e fra le esclamazioni di Ganid, Gesù disse: “E tu, figlio mio, sarai simile a questo faro quando ritornerai in India, anche dopo che tuo padre riposerà nella tomba; tu diverrai la luce di vita per coloro che vivono attorno a te nelle tenebre, mostrando a tutti coloro che lo desiderano la via per raggiungere il porto della salvezza in sicurezza.” E Ganid, stringendo la mano a Gesù, gli disse: “Lo farò.”
(1432.3) 130:3.3 E rimarchiamo nuovamente che i primi insegnanti della religione cristiana commisero un grave errore quando volsero esclusivamente la loro attenzione verso le civiltà occidentali del mondo romano. Gli insegnamenti di Gesù, quali erano conservati dai credenti mesopotamici del primo secolo, sarebbero stati prontamente accolti dai vari gruppi di persone religiose asiatiche.
(1432.4) 130:3.4 Quattro ore dopo essere sbarcati essi erano alloggiati all’estremità est del lungo e grande viale, largo trenta metri e lungo otto chilometri, che andava fino al limite ovest di questa città di un milione di abitanti. Dopo una prima rassegna delle principali attrazioni della città — l’università (museo), la biblioteca, il mausoleo reale di Alessandro, il palazzo, il tempio di Nettuno, il teatro ed il ginnasio — Gonod si dedicò agli affari mentre Gesù e Ganid si recarono alla biblioteca, la più grande del mondo. Qui era riunito quasi un milione di manoscritti provenienti da tutto il mondo civilizzato: Grecia, Roma, Palestina, Partia, India, Cina ed anche dal Giappone. In questa biblioteca Ganid vide la più grande collezione di letteratura indiana del mondo intero; ed essi vi trascorsero un po’ di tempo ogni giorno durante la loro sosta ad Alessandria. Gesù parlò a Ganid della traduzione in greco della Scritture ebraiche fatta in questo luogo. Ed essi analizzarono più volte tutte le religioni del mondo, con Gesù che si sforzava di far risaltare a questa giovane mente la verità contenuta in ciascuna di esse, ed aggiungendo sempre: “Ma Yahweh è il Dio sviluppato dalle rivelazioni di Melchizedek e dal patto di Abramo. Gli Ebrei erano i discendenti di Abramo ed occuparono in seguito il paese nel quale Melchizedek aveva vissuto ed insegnato, e da dove mandò degli insegnanti per il mondo intero. Ed in fin dei conti la loro religione rappresentò un riconoscimento del Signore Dio d’Israele come Padre Universale celeste più chiaro di qualsiasi altra religione del mondo.”
(1432.5) 130:3.5 Sotto la direzione di Gesù, Ganid fece una raccolta degli insegnamenti di tutte quelle religioni del mondo che riconoscevano una Deità Universale, anche se ammettevano più o meno delle deità subordinate. Dopo molte discussioni Gesù e Ganid decisero che i Romani non avevano un vero Dio nella loro religione, che la loro religione era poco più del culto dell’imperatore. I Greci, conclusero essi, avevano una filosofia, ma non una religione con un Dio personale. Essi scartarono i culti dei misteri a causa della confusione dovuta alla loro molteplicità e perché questi concetti diversi della Deità sembravano derivare da altre e più antiche religioni.
(1433.1) 130:3.6 Sebbene queste traduzioni fossero state fatte ad Alessandria, Ganid mise in ordine definitivamente questi brani scelti e vi aggiunse le sue conclusioni personali solo verso la fine del loro soggiorno a Roma. Egli fu molto sorpreso di scoprire che i migliori autori di letteratura sacra del mondo riconoscevano tutti più o meno chiaramente l’esistenza di un Dio eterno e si trovavano molto d’accordo sulla sua natura e sulla sua relazione con l’uomo mortale.
(1433.2) 130:3.7 Gesù e Ganid trascorsero molto tempo al museo durante il loro soggiorno ad Alessandria. Questo museo non era una collezione di oggetti rari, ma piuttosto un’università di belle arti, di scienze e di letteratura. Dotti professori vi tenevano giornalmente delle lezioni ed in quell’epoca questo era il centro intellettuale del mondo occidentale. Giorno dopo giorno Gesù spiegava le lezioni a Ganid. Un giorno, durante la seconda settimana, il giovane esclamò: “Maestro Joshua, tu ne sai più di questi professori; dovresti alzarti e dire loro le grandi cose che hai detto a me; essi sono ottenebrati dal molto pensare. Parlerò a mio padre ed egli organizzerà questa cosa.” Gesù sorrise dicendo: “Tu sei un allievo ammirevole, ma questi insegnanti non accetterebbero che tu ed io li istruissimo. L’orgoglio dell’erudizione non spiritualizzata è una cosa ingannevole nell’esperienza umana. Il vero maestro mantiene la sua integrità intellettuale restando sempre un apprendista.”
(1433.3) 130:3.8 Alessandria era la città in cui si mescolava la cultura dell’Occidente e dopo Roma era la città più grande e sfarzosa del mondo. Qui si trovava la più grande sinagoga ebrea del mondo, la sede amministrativa del Sinedrio di Alessandria, i settanta dirigenti anziani.
(1433.4) 130:3.9 Tra i molti uomini con cui Gonod trattava affari c’era un certo banchiere ebreo di nome Alessandro il cui fratello, Filone, era un celebre filosofo religioso di quel tempo. Filone era impegnato nel lodevole ma estremamente difficile compito di armonizzare la filosofia greca e la teologia ebraica. Ganid e Gesù parlarono molto degli insegnamenti di Filone e speravano di assistere a qualcuna delle sue lezioni, ma durante il loro soggiorno ad Alessandria questo famoso Ebreo ellenista rimase a letto ammalato.
(1433.5) 130:3.10 Gesù fece a Ganid l’elogio della filosofia greca e delle dottrine stoiche, ma fece ben capire al ragazzo la verità che questi sistemi di credenza, come gli insegnamenti indefiniti di certuni del suo popolo, erano religioni solo nel senso che conducevano gli uomini a trovare Dio e a godere di un’esperienza vivente conoscendo l’Eterno.
(1433.6) 130:4.1 La sera prima di lasciare Alessandria, Ganid e Gesù ebbero un lungo colloquio con uno dei professori che dirigevano l’università, il quale teneva un corso sugli insegnamenti di Platone. Gesù fece da interprete al colto insegnante greco, ma non inserì alcun insegnamento proprio a confutazione della filosofia greca. Quella sera Gonod era assente per affari; così, dopo che il professore se ne fu andato, il precettore ed il suo allievo ebbero una lunga ed aperta conversazione sulle dottrine di Platone. Anche se Gesù diede una moderata approvazione a certi insegnamenti greci concernenti la teoria che le cose materiali del mondo erano vaghi riflessi delle realtà spirituali invisibili ma più sostanziali, cercò tuttavia di porre una base più degna di fiducia per le riflessioni del giovane; così egli cominciò una lunga dissertazione concernente la natura della realtà nell’universo. In sostanza ed in linguaggio moderno Gesù disse a Ganid:
(1434.1) 130:4.2 La sorgente della realtà universale è l’Infinito. Le cose materiali della creazione finita sono le ripercussioni temporali-spaziali dell’Archetipo Paradisiaco e della Mente Universale del Dio eterno. La causalità nel mondo fisico, l’autocoscienza nel mondo intellettuale e l’individualità in progresso nel regno dello spirito — queste realtà proiettate su scala universale, congiunte in relazioni eterne e sperimentate con perfezione di qualità e con divinità di valori — costituiscono la realtà del Supremo. Ma in un universo in continuo cambiamento la Personalità Originale della causalità, dell’intelligenza e dell’esperienza spirituale resta immutabile, assoluta. Tutte le cose, anche in un universo eterno di valori senza limiti e di qualità divine, possono cambiare e molte volte cambiano, ad eccezione degli Assoluti e di ciò che ha raggiunto lo status fisico, l’abbraccio intellettuale o l’identità spirituale assoluti.
(1434.2) 130:4.3 Il livello più alto che una creatura finita può raggiungere è il riconoscimento del Padre Universale e la conoscenza del Supremo. Ed anche allora questi esseri con destino di finalitari continuano a sperimentare dei cambiamenti nei movimenti del mondo fisico e nei suoi fenomeni materiali. Essi restano similmente coscienti della progressione della loro individualità nella loro continua ascensione dell’universo spirituale e della loro coscienza crescente nel loro profondo apprezzamento del cosmo intellettuale, ed in risposta ad esso. Solamente nella perfezione, nell’armonia e nell’unanimità della volontà la creatura può divenire una con il Creatore; e questo stato di divinità è raggiunto e mantenuto solo se la creatura continua a vivere nel tempo e nell’eternità conformando costantemente la sua volontà personale finita alla volontà divina del Creatore. Il desiderio di fare la volontà del Padre deve sempre essere supremo nell’anima e dominare la mente di un figlio di Dio ascendente.
(1434.3) 130:4.4 Una persona orba non può mai sperare di percepire la profondità di una prospettiva. Né scienziati materialisti orbi o mistici e allegoristi spirituali orbi possono visualizzare correttamente e comprendere adeguatamente le vere profondità della realtà universale. Tutti i veri valori dell’esperienza della creatura sono nascosti nella profondità del riconoscimento.
(1434.4) 130:4.5 Una causalità senza mente non può evolvere il raffinato ed il complesso dal rozzo e dal semplice, né l’esperienza senza spiritualità può evolvere i caratteri divini della sopravvivenza eterna dalla mente materiale dei mortali del tempo. L’unico attributo dell’universo che caratterizza così esclusivamente la Deità infinita è questo dono creativo eterno della personalità che può sopravvivere nel raggiungimento progressivo della Deità.
(1434.5) 130:4.6 La personalità è quella dotazione cosmica, quella fase della realtà universale, che può coesistere con dei cambiamenti illimitati e allo stesso tempo conservare la sua identità alla presenza stessa di tutti questi cambiamenti, e indefinitamente dopo di essi.
(1434.6) 130:4.7 La vita è un adattamento della causalità cosmica originale alle esigenze e alle possibilità delle situazioni universali, e ciò viene all’esistenza attraverso l’azione della Mente Universale e l’attivazione della scintilla spirituale del Dio che è spirito. Il significato della vita è la sua adattabilità; il valore della vita è la sua attitudine a progredire — anche fino alle altezze della coscienza di Dio.
(1434.7) 130:4.8 Il cattivo adattamento della vita autocosciente all’universo si traduce in disarmonia cosmica. La divergenza definitiva della volontà della personalità dalla tendenza degli universi porta all’isolamento intellettuale, alla separazione della personalità. La perdita del pilota spirituale interiore sopravviene con la cessazione spirituale dell’esistenza. La vita intelligente e progressiva diviene allora, in se stessa e per se stessa, una prova incontrovertibile dell’esistenza di un universo con un proposito, che esprime la volontà di un Creatore divino. E questa vita, nel suo insieme, lotta per dei valori superiori, avendo per scopo finale il Padre Universale.
(1435.1) 130:4.9 A parte i servizi superiori e quasi spirituali dell’intelletto, l’uomo possiede una mente superiore al livello animale soltanto per il suo grado. Perciò gli animali (non avendo né culto né saggezza) non possono sperimentare la supercoscienza, la coscienza della coscienza. La mente animale è cosciente soltanto dell’universo oggettivo.
(1435.2) 130:4.10 La conoscenza è la sfera della mente materiale, o mente che discerne i fatti. La verità è il dominio dell’intelletto dotato spiritualmente che è cosciente di conoscere Dio. La conoscenza è dimostrabile; la verità è sperimentata. La conoscenza è un’acquisizione della mente; la verità è un’esperienza dell’anima, dell’io che progredisce. La conoscenza è una funzione del livello non spirituale; la verità è una fase del livello mente-spirito degli universi. L’occhio della mente materiale percepisce un mondo di conoscenza fattuale; l’occhio dell’intelletto spiritualizzato discerne un mondo di valori veri. Queste due visioni, sincronizzate ed armonizzate, rivelano il mondo della realtà, nel quale la saggezza interpreta i fenomeni dell’universo in termini di esperienza personale progressiva.
(1435.3) 130:4.11 L’errore (il male) è la penalità dell’imperfezione. Le qualità dell’imperfezione o i fatti del cattivo adattamento si rivelano sul livello materiale per mezzo dell’osservazione critica e dell’analisi scientifica; sul livello morale si rivelano mediante l’esperienza umana. La presenza del male costituisce la prova delle imprecisioni della mente e dell’immaturità dell’io in evoluzione. Il male è dunque anche una misura dell’imperfezione nell’interpretazione universale. La possibilità di commettere errori è inerente all’acquisizione della saggezza, il piano della progressione dal parziale e temporale al completo ed eterno, dal relativo ed imperfetto al finale e perfezionato. L’errore è l’ombra dell’incompletezza relativa che deve necessariamente sbarrare la strada universale dell’ascensione degli uomini verso la perfezione del Paradiso. L’errore (il male) non è una qualità attuale dell’universo; è semplicemente l’osservazione di una relatività nei rapporti dell’imperfezione del finito incompleto con i livelli ascendenti del Supremo e dell’Ultimo.
(1435.4) 130:4.12 Benché Gesù avesse esposto tutto ciò al giovane nel linguaggio più appropriato alla sua comprensione, alla fine della discussione Ganid aveva le palpebre pesanti e cadde ben presto nel sonno. L’indomani mattina essi si alzarono di buon’ora per salire a bordo del battello in partenza per Lasea nell’isola di Creta. Ma prima d’imbarcarsi il giovane aveva posto ancora altre domande sul male, alle quali Gesù rispose:
(1435.5) 130:4.13 Il male è un concetto di relatività. Esso nasce dall’osservazione delle imperfezioni che appaiono nell’ombra proiettata da un universo finito di cose e di esseri quando tale cosmo oscura la luce vivente dell’espressione universale delle realtà eterne dell’Uno Infinito.
(1435.6) 130:4.14 Il male potenziale è insito nella necessaria incompletezza della rivelazione di Dio quale espressione dell’infinità e dell’eternità limitata nel tempo-spazio. Il fatto del parziale in presenza del completo costituisce la relatività della realtà, crea la necessità di una scelta intellettuale e stabilisce dei livelli di valori di riconoscimento e di risposta spirituali. Il concetto incompleto e finito dell’Infinito sostenuto dalla mente temporale e limitata della creatura è, in se stesso e per se stesso, il male potenziale. Ma la crescita dell’errore per mancanza ingiustificata di una rettifica spirituale ragionevole di queste disarmonie intellettuali ed insufficienze spirituali originariamente inerenti è equivalente alla realizzazione del male attuale.
(1436.1) 130:4.15 Tutti i concetti statici, sterili, sono potenzialmente il male. L’ombra finita della verità relativa e vivente è continuamente in movimento. I concetti statici ritardano invariabilmente la scienza, la politica, la società e la religione. I concetti statici possono rappresentare una certa conoscenza, ma sono mancanti di saggezza e privi di verità. Ma non permettete al concetto di relatività di sviarvi al punto d’impedirvi di riconoscere la coordinazione dell’universo sotto la guida della mente cosmica, ed il suo controllo stabilizzato dall’energia e dallo spirito del Supremo.
(1436.2) 130:5.1 I viaggiatori avevano un solo scopo recandosi a Creta, ed era quello di distrarsi, di passeggiare per l’isola e di salire in montagna. I Cretesi di quel tempo non godevano di una reputazione invidiabile tra i popoli vicini. Tuttavia Gesù e Ganid condussero molte anime a livelli superiori di pensiero e di vita, e gettarono così le fondamenta per l’immediato accoglimento dei successivi insegnamenti del vangelo quando arrivarono i primi predicatori da Gerusalemme. Gesù amava questi Cretesi, nonostante le aspre parole che Paolo pronunciò più tardi nei loro confronti quando in seguito inviò Tito sull’isola per riorganizzare le loro Chiese.
(1436.3) 130:5.2 Sulle montagne di Creta, Gesù ebbe il suo primo lungo colloquio con Gonod sulla religione. Il padre fu molto impressionato e disse: “Non c’è da meravigliarsi che il ragazzo creda a tutto ciò che gli dici, ma non sapevo che vi fosse una tale religione a Gerusalemme, e tanto meno a Damasco.” Fu durante il soggiorno sull’isola che Gonod propose per la prima volta a Gesù di ritornare con loro in India, e Ganid fu felicissimo all’idea che Gesù potesse acconsentire a tale proposta.
(1436.4) 130:5.3 Un giorno in cui Ganid chiese a Gesù perché non si fosse dedicato al lavoro di educatore pubblico, egli disse: “Figlio mio, ogni cosa deve aspettare che giunga il suo tempo. Tu sei nato nel mondo, ma nessuna somma di ansietà e nessuna manifestazione d’impazienza ti aiuteranno a crescere. In tutte queste cose devi lasciar fare al tempo. Solo il tempo maturerà il frutto verde sull’albero. Le stagioni succedono alle stagioni ed il calare del sole succede al suo levare soltanto con lo scorrere del tempo. Io sono ora sulla via per Roma con te e tuo padre, e ciò è sufficiente per oggi. Il mio domani è interamente nelle mani del mio Padre celeste.” E poi raccontò a Ganid la storia di Mosè e dei suoi quarant’anni di vigilante attesa e di preparazione continua.
(1436.5) 130:5.4 Durante una visita ai Bei Porti capitò un fatto che Ganid non dimenticò più; il ricordo di questo episodio risvegliò sempre in lui il desiderio di fare qualcosa per cambiare il sistema di caste nella sua India natia. Un ubriacone degenerato stava aggredendo una giovane schiava sulla pubblica via. Quando Gesù vide l’afflizione della giovane, si precipitò e l’allontanò da quell’aggressore insensato. Mentre la ragazza spaventata si aggrappava a lui, egli tenne l’uomo infuriato a distanza di sicurezza con la forza del suo braccio destro proteso fino a che il miserabile si fu stancato di colpire l’aria con i suoi colpi collerici. Ganid sentì un forte impulso di aiutare Gesù a regolare questa faccenda, ma suo padre glielo impedì. Benché essi non parlassero la lingua della ragazza, costei poteva comprendere il loro atto di misericordia e testimoniò loro la sua profonda riconoscenza mentre tutti e tre la riaccompagnavano a casa. Gesù non fu probabilmente mai così vicino ad uno scontro personale con un suo simile in tutta la sua vita nella carne. Ma ebbe un compito difficile quella sera quando tentò di spiegare a Ganid perché non aveva colpito l’ubriaco. Ganid riteneva che quest’uomo avrebbe dovuto ricevere almeno altrettanti colpi di quelli che aveva dato alla ragazza.
(1437.1) 130:6.1 Mentre erano in montagna, Gesù ebbe un lungo colloquio con un giovane uomo che era timoroso e depresso. Lungi dal trovare conforto e coraggio nella compagnia dei suoi simili, questo giovane aveva cercato la solitudine delle montagne; egli era cresciuto con un sentimento d’incapacità e d’inferiorità. Queste tendenze naturali erano state accresciute da numerose circostanze difficili che il giovane aveva incontrato nel crescere, in particolare la perdita di suo padre quando aveva dodici anni. Quando lo incontrarono, Gesù disse: “Salve amico mio! Perché sei così abbattuto in un giorno così bello? Se è accaduto qualcosa che ti affligge forse io posso aiutarti in qualche modo. In ogni caso è un vero piacere per me offrirti i miei servizi.”
(1437.2) 130:6.2 Il giovane era poco incline a parlare e così Gesù fece un secondo approccio alla sua anima dicendo: “Io comprendo che tu vieni su queste montagne per star lontano dalla gente; così certamente non desideri parlare con me, ma io vorrei sapere se hai familiarità con queste montagne; conosci la direzione di questi sentieri? E per caso potresti indicarmi la via migliore per Phenix?” Ora questo giovane conosceva molto bene queste montagne, e s’interessò talmente ad indicare a Gesù la via per Phenix che disegnò tutti i sentieri sul terreno e spiegò ogni più piccolo dettaglio. Ma egli si allarmò e s’incuriosì quando Gesù, dopo averlo salutato ed aver fatto per congedarsi, si girò improvvisamente verso di lui dicendo: “So bene che desideri essere lasciato solo con la tua tristezza; ma non sarebbe né gentile né giusto, da parte mia, ricevere un aiuto così generoso da te sul modo migliore di trovare la via per Phenix e poi lasciarti spensieratamente, senza fare il minimo sforzo per rispondere alla tua supplichevole richiesta di aiuto e di guida riguardo alla via migliore da seguire verso lo scopo del destino che cerchi nel tuo cuore mentre stai qui sul fianco della montagna. Come tu conosci bene i sentieri che portano a Phenix, per averli percorsi molte volte, così io conosco bene la via per la città delle tue speranze deluse e delle tue ambizioni ostacolate. E poiché tu mi hai chiamato in aiuto, io non ti deluderò.” Il giovane fu quasi sopraffatto, ma riuscì a balbettare: “Ma — io non ti ho chiesto nulla — .” Allora Gesù, posando delicatamente una mano sulla sua spalla disse: “No, figlio mio, non con le parole ma con sguardi di desiderio hai fatto appello al mio cuore. Ragazzo mio, per colui che ama i suoi simili c’è un appello eloquente all’aiuto nella tua espressione di scoraggiamento e di disperazione. Siediti vicino a me mentre ti parlerò dei sentieri del servizio e delle vie maestre della felicità che conducono dalle afflizioni dell’io alle gioie delle attività amorevoli nella fratellanza degli uomini e nel servizio del Dio che è nei cieli.”
(1437.3) 130:6.3 Da questo momento il giovane desiderò vivamente parlare con Gesù, e cadde in ginocchio ai suoi piedi implorando Gesù di aiutarlo, di mostrargli la via per uscire dal suo mondo di dolore e di frustrazione personali. Gesù disse: “Amico mio, alzati! Tieniti eretto come un uomo! Tu puoi essere circondato da nemici meschini ed essere ritardato da molti ostacoli, ma le cose importanti e reali di questo mondo e dell’universo sono dalla tua parte. Il sole si alza ogni mattina per salutare te esattamente come fa per l’uomo più potente e ricco della terra. Guarda — tu hai un corpo robusto e muscoli vigorosi — le tue facoltà fisiche sono superiori alla media. Certamente tutto ciò è quasi inutile finché rimani qui seduto sul fianco della montagna e ti lamenti sulle tue disgrazie, reali ed immaginarie. Ma tu potresti fare grandi cose con il tuo corpo se volessi indirizzarti verso dove le grandi cose aspettano di essere fatte. Tu tenti di fuggire dal tuo io infelice, ma ciò non può essere fatto. Tu ed i tuoi problemi della vita siete reali; non puoi sfuggirli per tutta la vita. Ma guarda ancora, la tua mente è chiara e capace. Il tuo corpo robusto ha una mente intelligente per dirigerlo. Fa lavorare la tua mente per risolvere i suoi problemi; insegna al tuo intelletto a lavorare per te; rifiuta di essere dominato più a lungo dalla paura come un animale senza raziocinio. La tua mente dovrebbe essere il tuo alleato coraggioso nella soluzione dei problemi della tua vita piuttosto che essere, come tu sei stato, il suo miserabile schiavo impaurito ed il suo servo prigioniero dello scoraggiamento e della sconfitta. Ma più prezioso di tutto, il tuo potenziale di realizzazione vera è lo spirito che vive in te e che stimolerà ed ispirerà la tua mente affinché controlli se stessa ed attivi il tuo corpo, se vorrai liberarlo dalle catene della paura e rendere così la tua natura spirituale capace d’iniziare a liberarti dai mali dell’inerzia grazie alla presenza-potere della fede vivente. Ed allora, immediatamente, questa fede vincerà la paura degli uomini con l’irresistibile presenza di quel nuovo ed onnipotente amore per i tuoi simili che riempirà ben presto la tua anima fino a traboccare perché avrai preso coscienza nel tuo cuore di essere un figlio di Dio.
(1438.1) 130:6.4 “Oggi, figlio mio, tu devi rinascere, ristabilito come un uomo di fede, di coraggio e consacrato al servizio degli uomini, per amore di Dio. E quando avrai così riordinato la vita in te stesso, ti sarai egualmente rimesso in accordo con l’universo; sarai nato di nuovo — nato dallo spirito — ed ormai tutta la tua vita non sarà che una realizzazione vittoriosa. Le afflizioni ti fortificheranno, le delusioni ti sproneranno, le difficoltà ti sfideranno e gli ostacoli ti stimoleranno. Alzati, giovane uomo! Dì addio alla vita di servile paura e di vile codardia. Torna subito ai tuoi doveri e vivi la tua vita nella carne come un figlio di Dio, come un mortale dedito al servizio nobilitante dell’uomo sulla terra e destinato al superbo ed eterno servizio di Dio nell’eternità.”
(1438.2) 130:6.5 E questo giovane, di nome Fortunato, divenne più tardi il capo dei Cristiani a Creta e lo stretto collaboratore di Tito nei suoi sforzi per l’elevazione dei credenti cretesi.
(1438.3) 130:6.6 I viaggiatori erano veramente freschi e riposati quando un giorno a mezzodì si prepararono a far vela per Cartagine nell’Africa del Nord, fermandosi due giorni a Cirene. Fu qui che Gesù e Ganid diedero le prime cure ad un ragazzo di nome Rufo, che era rimasto ferito per la caduta da un carro trainato da buoi. Essi lo portarono a casa da sua madre, e suo padre, Simone, non immaginò nemmeno lontanamente che l’uomo cui più tardi portò la croce per ordine di un soldato romano fosse lo straniero che aveva un tempo soccorso suo figlio.
(1438.4) 130:7.1 Durante la maggior parte del tempo della traversata verso Cartagine, Gesù parlò con i suoi compagni di viaggio di questioni sociali, politiche e commerciali; l’argomento religione non fu quasi toccato. Per la prima volta Gonod e Ganid scoprirono che Gesù era un buon narratore e lo tennero impegnato a raccontare delle storie concernenti la sua vita in Galilea. Appresero così che era cresciuto in Galilea e non a Gerusalemme o a Damasco.
(1438.5) 130:7.2 Quando Ganid chiese che cosa si dovesse fare per farsi degli amici, avendo notato che la maggior parte delle persone che avevano incontrato era attratta da Gesù, il suo precettore disse: “Interessati dei tuoi simili; impara ad amarli ed osserva il momento favorevole per fare qualcosa per loro che sei sicuro essi desiderano sia fatto”; e poi citò il vecchio proverbio ebreo — “Un uomo che desidera avere degli amici deve anche lui mostrarsi amico.”
(1439.1) 130:7.3 A Cartagine Gesù ebbe un lungo e memorabile colloquio con un sacerdote mitraico sull’immortalità, sul tempo e sull’eternità. Questo Persiano era stato educato ad Alessandria e desiderava realmente essere istruito da Gesù. In linguaggio moderno, sostanzialmente Gesù disse in risposta alle sue numerose domande:
(1439.2) 130:7.4 Il tempo è la corrente degli avvenimenti temporali che fluiscono, percepiti dalla coscienza delle creature. Il tempo è un nome dato all’ordinamento in successione per mezzo del quale gli avvenimenti sono riconosciuti e separati. L’universo dello spazio è un fenomeno relazionato al tempo quando lo si osserva da una qualunque posizione interna al di fuori della fissa dimora del Paradiso. Il movimento del tempo si rivela solo in rapporto a qualcosa che non si muove nello spazio come un fenomeno temporale. Nell’universo degli universi il Paradiso e le sue Deità trascendono sia il tempo che lo spazio. Sui mondi abitati la personalità umana (abitata ed orientata dallo spirito del Padre del Paradiso) è la sola realtà relazionata al regno fisico che può trascendere la sequenza materiale degli avvenimenti temporali.
(1439.3) 130:7.5 Gli animali non hanno il senso del tempo come gli uomini, ed anche all’uomo, a causa della sua visione frammentaria e circoscritta, il tempo appare come una successione di avvenimenti. Ma via via che l’uomo ascende, che progredisce interiormente, la visione allargata di questa processione di avvenimenti è tale da essere percepita sempre di più nel suo insieme. Ciò che precedentemente appariva come una successione di avvenimenti sarà allora visto come un ciclo completo e perfettamente collegato. In tal modo la simultaneità circolare rimpiazzerà sempre di più la precedente coscienza della sequenza lineare degli avvenimenti.
(1439.4) 130:7.6 Vi sono sette differenti concezioni dello spazio qual è condizionato dal tempo. Lo spazio è misurato dal tempo, non il tempo dallo spazio. La confusione degli scienziati deriva dalla mancata conoscenza della realtà dello spazio. Lo spazio non è solamente un concetto intellettuale della variazione nel rapporto degli oggetti dell’universo. Lo spazio non è vuoto, e la sola cosa che l’uomo conosce che può anche trascendere parzialmente lo spazio è la mente. La mente può funzionare indipendentemente dal concetto di relazione spaziale degli oggetti materiali. Lo spazio è relativamente e comparativamente finito per tutti gli esseri aventi status di creatura. Più la coscienza si avvicina alla consapevolezza delle sette dimensioni cosmiche, più il concetto di spazio potenziale si avvicina all’ultimità. Ma lo spazio potenziale è veramente ultimo solo sul livello assoluto.
(1439.5) 130:7.7 Deve essere evidente che la realtà universale ha un significato in espansione e sempre relativo sui livelli ascendenti e di perfezionamento del cosmo. In fin dei conti i mortali sopravviventi raggiungono l’identità in un universo a sette dimensioni.
(1439.6) 130:7.8 Il concetto tempo-spazio di una mente d’origine materiale è destinato a subire delle espansioni successive via via che la personalità cosciente, che lo concepisce, ascende i livelli degli universi. Quando l’uomo raggiunge la mente intermedia tra il piano dell’esistenza materiale e quello spirituale, le sue idee sul tempo-spazio saranno considerevolmente ampliate come qualità di percezione e quantità d’esperienza. Le concezioni cosmiche in espansione di una personalità spirituale in progresso sono dovute all’accrescimento sia della profondità del discernimento che del campo della coscienza. E via via che la personalità si eleva verso l’alto e verso l’interno, fino ai livelli trascendentali della somiglianza con la Deità, il concetto del tempo-spazio si avvicinerà sempre più ai concetti del non tempo e del non spazio degli Assoluti. In senso relativo, ed in accordo con il compimento trascendentale, questi concetti del livello assoluto dovranno essere percepiti dai figli di destino ultimo.
(1440.1) 130:8.1 La prima sosta sulla strada per l’Italia fu nell’isola di Malta. Qui Gesù ebbe una lunga conversazione con un giovane depresso e scoraggiato di nome Claudo. Questo giovane aveva pensato di togliersi la vita, ma quando ebbe finito di parlare con lo Scriba di Damasco, disse: “Affronterò la vita da uomo; ho finito di fare il codardo. Ritornerò dalla mia gente e ricomincerò tutto daccapo.” Poco dopo egli divenne un predicatore entusiasta dei Cinici ed ancora più tardi si unì a Pietro nel proclamare il Cristianesimo a Roma e a Napoli, e dopo la morte di Pietro andò in Spagna a predicare il vangelo. Ma egli non seppe mai che l’uomo che l’aveva ispirato a Malta era il Gesù che in seguito egli proclamò il Liberatore del mondo.
(1440.2) 130:8.2 A Siracusa essi trascorsero una settimana intera. L’avvenimento più significativo del loro soggiorno qui fu la riabilitazione di Ezra, l’Ebreo ricaduto nel peccato, che conduceva la taverna in cui Gesù ed i suoi compagni sostarono. Ezra fu affascinato dal contatto con Gesù e gli chiese di aiutarlo a ritornare alla fede d’Israele. Egli espresse la sua disperazione dicendo: “Vorrei essere un vero figlio di Abramo, ma non riesco a trovare Dio.” Gesù disse: “Se desideri veramente trovare Dio, questo desiderio è in se stesso la prova che l’hai già trovato. Il tuo problema non è la tua incapacità di trovare Dio, perché il Padre ha già trovato te; il tuo problema è semplicemente che tu non conosci Dio. Non hai letto nel profeta Geremia: ‘Tu mi cercherai e mi troverai quando mi cercherai con tutto il tuo cuore’? Ed ancora, non ha detto questo stesso profeta: ‘Ed io ti darò un cuore per conoscermi, perché io sono il Signore, e tu apparterrai al mio popolo, ed io sarò il tuo Dio’? E non hai anche letto nelle Scritture dove è detto: ‘Egli volge il suo sguardo verso gli uomini, e se qualcuno dirà: ho peccato e pervertito ciò che era retto, e questo non mi ha portato beneficio, allora Dio libererà l’anima di quell’uomo dalle tenebre ed egli vedrà la luce’?” Allora Ezra trovò Dio e la sua anima fu soddisfatta. Più tardi questo Ebreo, assieme ad un ricco proselito greco, costruì la prima chiesa cristiana a Siracusa.
(1440.3) 130:8.3 A Messina essi si fermarono un solo giorno, ma fu abbastanza per cambiare la vita di un ragazzo, un venditore di frutta, dal quale Gesù comperò della frutta e che di rimando nutrì con il pane della vita. Il ragazzo non dimenticò mai le parole di Gesù e lo sguardo dolce che le accompagnò quando, posando la sua mano sulla spalla del ragazzo, disse: “Addio, ragazzo mio, abbi coraggio mentre cresci fino all’età adulta, e dopo aver nutrito il corpo impara anche come nutrire l’anima. E mio Padre celeste sarà con te e camminerà davanti a te.” Il ragazzo divenne un adepto della religione mitraica e più tardi si convertì alla fede cristiana.
(1440.4) 130:8.4 Infine essi giunsero a Napoli e sentirono di non essere lontani dalla loro destinazione, Roma. Gonod aveva molti affari da trattare a Napoli, e all’infuori dei momenti in cui Gesù era richiesto come interprete, lui e Ganid trascorsero il loro tempo libero a visitare e ad esplorare la città. Ganid diveniva esperto nello scoprire coloro che sembravano aver bisogno di aiuto. Essi trovarono molta povertà in questa città e distribuirono numerose elemosine. Ma Ganid non comprese mai il significato delle parole di Gesù quando, dopo che ebbe dato una moneta ad un mendicante per strada, rifiutò di fermarsi a confortare l’uomo. Gesù disse: “Perché sprecare parole con un individuo che non percepisce il significato di ciò che dici? Lo spirito del Padre non può istruire e salvare uno che non ha capacità di filiazione.” Quello che Gesù voleva dire era che l’uomo non aveva una mente normale; che gli mancava la capacità di rispondere alle direttive dello spirito.
(1441.1) 130:8.5 Non vi furono esperienze di rilievo a Napoli; Gesù ed il giovane percorsero la città a fondo e distribuirono incoraggiamenti con molti sorrisi a centinaia di uomini, di donne e di bambini.
(1441.2) 130:8.6 Da qui essi andarono a Roma passando per Capua, facendo una sosta di tre giorni a Capua. Essi viaggiarono per la Via Appia verso Roma a fianco delle loro bestie da soma, tutti e tre ansiosi di vedere la regina di un impero, la più grande città di tutto il mondo.
(1442.1) 131:0.1 DURANTE il soggiorno di Gesù, di Gonod e di Ganid ad Alessandria, il giovane aveva dedicato molto del suo tempo e somme considerevoli del denaro di suo padre per fare una raccolta degli insegnamenti delle religioni del mondo riguardanti Dio e le sue relazioni con l’uomo mortale. Ganid impiegò più di sessanta traduttori eruditi per redigere tale estratto delle dottrine religiose del mondo concernenti le Deità. E dovrebbe risultare chiaro in questo fascicolo che tutti questi insegnamenti che descrivono il monoteismo erano largamente derivati, direttamente o indirettamente, dalle predicazioni dei missionari di Machiventa Melchizedek, che erano partiti dalla loro sede centrale di Salem per diffondere la dottrina di un Dio unico — l’Altissimo — sino ai confini della terra.
(1442.2) 131:0.2 Noi presentiamo qui di seguito un riassunto del manoscritto che Ganid preparò ad Alessandria e a Roma e che fu conservato in India per centinaia d’anni dopo la sua morte. Egli riunì questo materiale sotto dieci titoli, come segue:
(1442.3) 131:1.1 Gli insegnamenti residui dei discepoli di Melchizedek, eccettuati quelli che persisterono nella religione ebraica, furono meglio preservati nelle dottrine dei Cinici. La selezione di Ganid comprendeva quanto segue:
(1442.4) 131:1.2 “Dio è supremo; egli è l’Altissimo del cielo e della terra. Dio è il cerchio perfetto dell’eternità e governa l’universo degli universi. Egli è il solo creatore dei cieli e della terra. Quando egli decreta una cosa, quella cosa è. Il nostro Dio è un Dio unico ed è compassionevole e misericordioso. Tutto ciò che è elevato, santo, vero e bello è simile al nostro Dio. L’Altissimo è la luce del cielo e della terra; egli è il Dio dell’est, dell’ovest, del nord e del sud.
(1442.5) 131:1.3 “Anche se la terra dovesse scomparire, la faccia risplendente del Supremo dimorerebbe in maestà e gloria. L’Altissimo è il primo e l’ultimo, l’inizio e la fine di ogni cosa. Non c’è che questo solo Dio ed il suo nome è Verità. Dio è autoesistente ed è privo di ogni collera ed inimicizia; egli è immortale ed infinito. Il nostro Dio è onnipotente e generoso. Sebbene egli abbia molte manifestazioni, noi adoriamo solo Dio stesso. Dio conosce tutto — i nostri segreti e le nostre dichiarazioni; egli sa anche che cosa ciascuno di noi merita. Il suo potere è uguale su tutte le cose.
(1442.6) 131:1.4 “Dio è un donatore di pace ed un protettore fedele di tutti coloro che lo temono e che confidano in lui. Egli porta la salvezza a tutti coloro che lo servono. Tutta la creazione esiste nel potere dell’Altissimo. Il suo divino amore proviene dalla santità del suo potere ed il suo affetto nasce dalla potenza della sua grandezza. L’Altissimo ha decretato l’unione del corpo e dell’anima ed ha dotato l’uomo del suo stesso spirito. Ciò che l’uomo fa deve avere una fine, ma ciò che il Creatore fa dura per sempre. Noi acquisiamo la conoscenza dall’esperienza umana, ma deriviamo la saggezza dalla contemplazione dell’Altissimo.
(1443.1) 131:1.5 “Dio sparge la pioggia sulla terra, fa splendere il sole sul grano che germoglia e ci dà la messe abbondante delle buone cose di questa vita e la salvezza eterna nel mondo che verrà. Il nostro Dio gode di una grande autorità; il suo nome è Eccellente e la sua natura è insondabile. Quando siete ammalati è l’Altissimo che vi guarisce. Dio è pieno di bontà verso tutti gli uomini; noi non abbiamo amici simili all’Altissimo. La sua misericordia riempie ogni luogo e la sua bontà abbraccia tutte le anime. L’Altissimo è immutabile ed è il nostro aiuto ogni volta che siamo nel bisogno. Ovunque vi giriate per pregare, là vi è il volto dell’Altissimo e l’orecchio aperto del nostro Dio. Potete nascondervi agli uomini, ma non a Dio. Dio non è molto lontano da noi, egli è onnipresente. Dio riempie tutti i luoghi e vive nel cuore dell’uomo che teme il suo santo nome. La creazione è nel Creatore ed il Creatore è nella sua creazione. Noi cerchiamo l’Altissimo e lo troviamo poi nel nostro cuore. Voi partite in cerca di un caro amico, e poi lo scoprite nella vostra anima.
(1443.2) 131:1.6 “L’uomo che conosce Dio considera tutti gli uomini uguali; essi sono suoi fratelli. Quelli che sono egoisti, coloro che ignorano i loro fratelli nella carne, ricevono solo noia come loro ricompensa. Coloro che amano i loro simili e che hanno un cuore puro vedranno Dio. Dio non dimentica mai la sincerità. Egli guiderà l’onesto di cuore alla verità, perché Dio è verità.
(1443.3) 131:1.7 “Nella vostra vita sconfiggete l’errore e trionfate sul male con l’amore della verità vivente. In tutte le vostre relazioni con gli uomini rendete bene per male. Il Signore Dio è misericordioso ed amorevole; egli perdona. Amiamo Dio, perché egli ci ha amato per primo. Con l’amore di Dio e grazie alla sua misericordia saremo salvati. I poveri ed i ricchi sono fratelli. Dio è il loro Padre. Il male che non vorreste fosse fatto a voi, non fatelo agli altri.
(1443.4) 131:1.8 “Fate appello al suo nome in ogni momento e, nella misura in cui credete nel suo nome, la vostra preghiera sarà ascoltata. Quale grande onore è adorare l’Altissimo! Tutti i mondi e gli universi adorano l’Altissimo. Ed in tutte le vostre preghiere rendete grazie — ascendete all’adorazione. La preghiera di adorazione evita il male ed impedisce il peccato. Lodiamo in ogni momento il nome dell’Altissimo. L’uomo che si rifugia nell’Altissimo nasconde i suoi difetti all’universo. Quando vi ponete davanti a Dio con cuore puro, non temete nulla in tutta la creazione. L’Altissimo è simile ad un padre e ad una madre amorevoli; egli ama realmente noi, suoi figli sulla terra. Il nostro Dio ci perdonerà e guiderà i nostri passi sulla via della salvezza. Egli ci prenderà per mano e ci condurrà a lui. Dio salva coloro che hanno fiducia in lui; egli non obbliga l’uomo a servire il suo nome.
(1443.5) 131:1.9 “Se la fede nell’Altissimo è penetrata nel vostro cuore, allora sarete liberati dal timore per tutti i giorni della vostra vita. Non irritatevi per la prosperità degli empi; non temete coloro che tramano il male; fate che la vostra anima fugga il peccato e ponete tutta la vostra fiducia nel Dio della salvezza. L’anima stanca del mortale errante trova eterno riposo nelle braccia dell’Altissimo; il saggio ha fame dell’abbraccio divino; il figlio terreno desidera ardentemente la sicurezza delle braccia del Padre Universale. L’uomo nobile cerca quello stato superiore in cui l’anima del mortale si unisce allo spirito del Supremo. Dio è giusto: il frutto che non riceviamo dalla nostra semina in questo mondo lo riceveremo nel prossimo.”
(1444.1) 131:2.1 I Keniti della Palestina salvarono molti degli insegnamenti di Melchizedek, e da questi scritti, conservati e modificati dagli Ebrei, Gesù e Ganid fecero la seguente selezione:
(1444.2) 131:2.2 “All’inizio Dio creò i cieli e la terra e tutto ciò che essi contengono. Ed ecco, tutto ciò che aveva creato era molto buono. Il Signore, egli è Dio; non c’è nessuno come lui in alto nel cielo o in basso sulla terra. Perciò tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. La terra sarà piena della conoscenza del Signore come le acque coprono il mare. I cieli proclamano la gloria di Dio ed il firmamento mostra la sua opera. Un giorno dopo l’altro pronuncia dei discorsi; una notte dopo l’altra mostra conoscenza. Non c’è né parola né linguaggio in cui la loro voce non sia udita. L’opera del Signore è grande ed egli ha fatto tutte le cose in saggezza; la grandezza del Signore è insondabile. Egli conosce il numero delle stelle e le chiama tutte con il loro nome.
(1444.3) 131:2.3 “Il potere del Signore è grande e la sua comprensione è infinita. Dice il Signore: ‘Come i cieli sono più alti della terra, così le mie vie sono più alte delle vostre vie ed i miei pensieri più elevati dei vostri pensieri.’ Dio rivela le cose profonde e segrete perché la luce dimora in lui. Il Signore è misericordioso e benevolo; egli pazienta a lungo ed abbonda in bontà ed in verità. Il Signore è buono e retto; egli guiderà il mite nel giudizio. Gustate e vedete quanto è buono il Signore! Benedetto è l’uomo che ha fiducia in Dio. Dio è il nostro rifugio e la nostra forza, un preziosissimo aiuto nelle difficoltà.
(1444.4) 131:2.4 “La misericordia del Signore è di eternità in eternità su coloro che lo temono e così è la sua rettitudine sui figli dei nostri figli. Il Signore è benevolo e pieno di compassione. Il Signore è buono con tutti e le sue tenere grazie sono effuse su tutta la sua creazione; egli guarisce i cuori spezzati e lenisce le loro ferite. Dove andrò lontano dallo spirito di Dio? Dove fuggirò lontano dalla presenza divina? Così dice l’Alto e Sublime che abita l’eternità, il cui nome è Santo: ‘Io abito nel luogo elevato e santo; anche presso colui che ha il cuore contrito e lo spirito umile!’ Nessuno può nascondersi al nostro Dio, perché egli riempie il cielo e la terra. Che i cieli siano felici e che la terra gioisca. Che tutte le nazioni dicano: il Signore regna! Rendete grazie a Dio, perché la sua misericordia dura per sempre.
(1444.5) 131:2.5 “I cieli proclamano la rettitudine di Dio e tutte le genti hanno visto la sua gloria. È Dio che ci ha creati e non noi stessi; noi siamo il suo popolo, le pecore del suo pascolo. La sua misericordia è perpetua e la sua verità persiste per tutte le generazioni. Il nostro Dio governa tra le nazioni. Che la terra sia piena della sua gloria! Che gli uomini lodino il Signore per la sua bontà e per i suoi doni meravigliosi ai figli degli uomini!
(1444.6) 131:2.6 “Dio ha creato l’uomo poco meno che divino e l’ha circondato d’amore e di misericordia. Il Signore conosce la via del giusto, ma la via dell’empio perirà. Il timore del Signore è l’inizio della saggezza; la conoscenza del Supremo è comprensione. Dice il Dio Onnipotente: ‘Cammina davanti a me e sii perfetto.’ Non dimenticate che l’orgoglio va innanzi alla distruzione ed uno spirito altero innanzi ad una caduta. Colui che governa il proprio spirito è più potente di colui che s’impadronisce di una città. Dice il Signore Dio, il Santo: ‘Ritornando al tuo riposo spirituale sarai salvo; nella calma e nella fiducia troverai la tua forza.’ Coloro che servono il Signore rinnoveranno il loro vigore; si eleveranno con ali come aquile. Essi correranno e non saranno stanchi; cammineranno e non saranno deboli. Il Signore porrà fine ai vostri timori. Dice il Signore: ‘Non temete perché io sono con voi. Non spaventatevi, perché io sono il vostro Dio. Io vi fortificherò, vi aiuterò; sì, vi sosterrò con la mano destra della mia giustizia.’
(1445.1) 131:2.7 “Dio è nostro Padre; il Signore è il nostro redentore. Dio ha creato le moltitudini dell’universo e le preserva tutte. La sua rettitudine è simile alle montagne ed il suo giudizio è simile ad un grande abisso. Egli ci fa bere al fiume dei suoi piaceri e nella sua luce noi vedremo la luce. È cosa buona rendere grazie al Signore e cantare lodi all’Altissimo; mostrare affettuosa benevolenza il mattino e divina fedeltà ogni sera. Il regno di Dio è un regno perpetuo ed il suo dominio persiste per tutte le generazioni. Il Signore è il mio pastore; non mancherò di nulla. Egli mi fa giacere in verdi pascoli; mi conduce presso acque tranquille. Egli ristora la mia anima. Mi guida nei sentieri di giustizia. Sì, anche se camminassi nella valle tenebrosa della morte non temerei alcun male, perché Dio è con me. La bontà e la misericordia mi accompagneranno certamente tutti i giorni della mia vita, ed abiterò nella casa del Signore per sempre.
(1445.2) 131:2.8 “Yahweh è il Dio della mia salvezza; riporrò dunque la mia fiducia nel suo nome divino. Mi affiderò al Signore con tutto il mio cuore; non farò affidamento sul mio intelletto. In tutte le mie vie io lo riconoscerò ed egli dirigerà i miei passi. Il Signore è fedele; egli mantiene la sua parola con coloro che lo servono; il giusto vivrà per la sua fede. Se non fate del bene è perché il peccato sta alla porta; gli uomini raccolgono il male che piantano ed il peccato che seminano. Non affliggetevi a causa dei malfattori. Se vedete iniquità nel vostro cuore il Signore non vi ascolterà; se peccate contro Dio nocete anche alla vostra anima. Dio porterà in giudizio l’operato di ciascun uomo con tutti i sui segreti, buoni o cattivi. Secondo quello che un uomo pensa nel suo cuore, tale egli è.
(1445.3) 131:2.9 “Il Signore è vicino a tutti coloro che fanno appello a lui in sincerità ed in verità. Si può piangere per tutta una notte, ma al mattino viene la gioia. Un cuore felice fa bene come una medicina. Dio non rifiuterà nessuna cosa buona a coloro che camminano rettamente. Temete Dio ed osservate i suoi comandamenti, perché questo è tutto il dovere dell’uomo. Così dice il Signore che creò i cieli e formò la terra: ‘Non c’è altro Dio all’infuori di me, un Dio giusto ed un salvatore. Guardate a me da tutti i confini della terra e siate salvi. Se mi cercate, mi troverete, purché mi cerchiate con tutto il vostro cuore.’ I miti erediteranno la terra e gioiranno nell’abbondanza della pace. Chiunque semina iniquità raccoglierà calamità; coloro che seminano vento raccoglieranno tempesta.
(1445.4) 131:2.10 “‘Venite ora, ragioniamo insieme’, dice il Signore, ‘anche se i vostri peccati sono di colore scarlatto, saranno bianchi come la neve; anche se sono rossi come il cremisi, saranno come la lana’. Ma non c’è pace per i malvagi; sono i vostri stessi peccati che hanno tenuto lontane le cose buone da voi. Dio è la salute del mio volto e la gioia della mia anima. Il Dio eterno è la mia forza; egli è la nostra dimora, e le braccia eterne mi sostengono. Il Signore è vicino a coloro che hanno il cuore spezzato; egli salva tutti coloro che hanno uno spirito simile a quello di un bambino. Numerose sono le afflizioni dell’uomo retto, ma il Signore lo libera da tutte. Affidate le vostre vie al Signore — abbiate fiducia in lui — ed egli le realizzerà. Colui che risiede nel luogo segreto dell’Altissimo dimorerà all’ombra dell’Onnipotente.
(1445.5) 131:2.11 “Amate il vostro prossimo come voi stessi; non portate rancore ad alcuno. Non fate a nessuno ciò che detestate. Amate vostro fratello, perché il Signore ha detto: ‘Amerò generosamente i miei figli’. Il sentiero del giusto è come una luce splendente che brilla sempre di più fino al giorno perfetto. Quelli che sono saggi brilleranno come il bagliore del firmamento e coloro che conducono molti uomini alla rettitudine brilleranno eternamente come le stelle. Che il malvagio abbandoni la cattiva strada e l’empio i suoi pensieri ribelli. Dice il Signore: ‘Che ritornino a me, ed io avrò misericordia di loro; perdonerò abbondantemente.’
(1446.1) 131:2.12 “Dice Dio, il creatore del cielo e della terra: ‘Una grande pace hanno coloro che amano la mia legge. I miei comandamenti sono: mi amerai con tutto il tuo cuore; non avrai altro dio all’infuori di me; non pronuncerai il mio nome invano; ricordati di santificare il giorno del sabato; onora il padre e la madre; non ammazzerai; non commetterai adulterio; non ruberai; non porterai falsa testimonianza; non concupirai.’
(1446.2) 131:2.13 “E a tutti coloro che amano supremamente il Signore ed il loro prossimo come se stessi, il Dio del cielo dice: ‘Io ti riscatterò dalla tomba, ti redimerò dalla morte. Sarò misericordioso verso i tuoi figli ed anche giusto. Non ho detto delle mie creature sulla terra: voi siete i figli del Dio vivente? E non vi ho amati di un amore eterno? Non vi ho invitati a divenire simili a me e a dimorare per sempre con me in Paradiso?’”
(1446.3) 131:3.1 Ganid fu colpito dalla scoperta di quanto il Buddismo fosse vicino ad essere una grande e bella religione senza Dio, senza una Deità personale ed universale. Tuttavia, egli trovò qualche traccia di certe credenze anteriori che riflettevano un po’ l’influenza degli insegnamenti dei missionari Melchizedek che continuarono la loro opera in India fino ai tempi di Budda. Gesù e Ganid raccolsero le seguenti citazioni dalla letteratura buddista:
(1446.4) 131:3.2 “Da un cuore puro la gioia sprizzerà verso l’Infinito; tutto il mio essere sarà in pace con questa letizia supermortale. La mia anima è piena di contentezza ed il mio cuore trabocca della beatitudine di una fiducia pacifica. Io non ho paura; sono libero dall’ansietà. Dimoro nella sicurezza ed i miei nemici non possono turbarmi. Sono soddisfatto dei frutti della mia fiducia. Ho trovato facile l’approccio all’Immortale. Prego che la fede mi sostenga nel lungo viaggio; so che la fede dell’aldilà non mi mancherà. So che i miei fratelli prospereranno se saranno imbevuti della fede dell’Immortale, la stessa fede che crea la modestia, la rettitudine, la saggezza, il coraggio, la conoscenza e la perseveranza. Abbandoniamo la tristezza e ripudiamo la paura. Per mezzo della fede teniamoci avvinti alla vera rettitudine e all’autentica virilità. Impariamo a meditare sulla giustizia e sulla misericordia. La fede è la vera ricchezza dell’uomo; essa è il dono della virtù e della gloria.
(1446.5) 131:3.3 “L’ingiustizia è indegna; il peccato è spregevole. Il male è degradante sia nel pensiero che nell’azione. Il dolore e la tristezza seguono il sentiero del male come la polvere segue il vento. La felicità e la pace mentale seguono il pensare puro ed il vivere virtuoso come l’ombra segue la sostanza delle cose materiali. Il male è il frutto del pensare malamente diretto. È cosa cattiva vedere il peccato dove non c’è e non vedere il peccato dove c’è. Il male è il sentiero delle false dottrine. Coloro che evitano il male vedendo le cose quali sono divengono felici abbracciando così la verità. Ponete fine alla vostra infelicità con il disgusto per il peccato. Quando guardate verso il Nobile, distoglietevi dal peccato con tutto il cuore. Non giustificate il male; non cercate scuse per il peccato. Grazie ai vostri sforzi per correggere i peccati passati acquisite la forza di resistere alla tendenza di ricadervi. Il contenimento nasce dal pentimento. Non lasciate alcuna colpa inconfessata al Nobile.
(1447.1) 131:3.4 “La contentezza e la gioia sono le ricompense delle buone azioni compiute per la gloria dell’Immortale. Nessuno può derubarvi della libertà della vostra mente. Quando la fede della vostra religione ha emancipato il vostro cuore, quando la vostra mente è stabile ed irremovibile come una montagna, allora la pace dell’anima scorrerà tranquillamente come le acque di un fiume. Coloro che sono certi della salvezza sono liberati per sempre dalla cupidigia, dall’invidia, dall’odio e dall’illusione della ricchezza. Anche se la fede è l’energia di una vita migliore, bisogna tuttavia che lavoriate con perseveranza per la vostra salvezza. Se volete essere certi della vostra salvezza finale, allora assicuratevi di cercare sinceramente di fare tutto ciò che è retto. Coltivate la certezza del cuore che viene dal di dentro e venite così a godere l’estasi della salvezza eterna.
(1447.2) 131:3.5 “Nessun uomo religioso può sperare di raggiungere l’illuminazione della saggezza immortale se persiste ad essere pigro, indolente, debole, ozioso, impudente ed egoista. Ma chiunque è previdente, prudente, riflessivo, fervente e sincero — anche se vive ancora sulla terra — può giungere all’illuminazione suprema della pace e alla libertà della saggezza divina. Ricordate, ogni atto riceverà la sua ricompensa. Il male sfocia nella tristezza ed il peccato finisce nel dolore. La gioia e la felicità sono la conseguenza di una buona vita. Anche il malvagio gode di un periodo di grazia prima del tempo della completa maturità delle sue cattive azioni, ma inevitabilmente arriva il pieno raccolto del cattivo agire. Che nessuno pensi al peccato con leggerezza, dicendo nel proprio cuore: ‘La punizione delle cattive azioni non si avvicinerà a me.’ Ciò che fate ad altri sarà fatto a voi, nel giudizio della saggezza. L’ingiustizia commessa verso i vostri simili si ritorcerà contro di voi. La creatura non può sfuggire al destino delle proprie azioni.
(1447.3) 131:3.6 “L’insensato ha detto nel suo cuore: ‘Il male non mi raggiungerà’; ma si trova sicurezza solo quando l’anima desidera dei rimproveri e la mente cerca la saggezza. Il saggio è un’anima nobile che resta amichevole in mezzo ai propri nemici, tranquillo fra i turbolenti e generoso tra gli avidi. L’amore di sé assomiglia a delle erbe cattive in un campo ben coltivato. L’egoismo conduce alla tristezza; l’inquietudine perpetua uccide. La mente domata produce felicità. Il più grande dei guerrieri è colui che vince e sottomette se stesso. Il ritegno in tutte le cose è un bene. Solo colui che apprezza la virtù e fa il suo dovere è una persona superiore. Che la collera e l’odio non siano i vostri padroni. Non parlate duramente di nessuno. La soddisfazione è la più grande ricchezza. Ciò che è dato saggiamente è ben risparmiato. Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi. Rendete bene per male; trionfate sul male con il bene.
(1447.4) 131:3.7 “Un’anima retta è più desiderabile della sovranità su tutta la terra. L’immortalità è la meta della sincerità; la morte è la fine di una vita sconsiderata. Coloro che sono sinceri non muoiono; gli stolti sono già morti. Siano benedetti coloro che osservano lo stato immortale. Quelli che torturano i viventi non troveranno felicità dopo la morte. Gli altruisti vanno in cielo, dove godono della beatitudine di una liberalità infinita e continuano a crescere in nobile generosità. Ogni mortale che pensa rettamente, che parla nobilmente e che agisce generosamente non soltanto godrà della virtù durante la sua breve esistenza qui, ma continuerà a godere delle delizie del cielo anche dopo la dissoluzione del suo corpo.”
(1447.5) 131:4.1 I missionari di Melchizedek portarono gli insegnamenti del Dio unico ovunque andarono. Gran parte di questa dottrina monoteista, così come gli altri concetti anteriori, furono incorporati negli insegnamenti successivi dell’Induismo. Gesù e Ganid fecero i seguenti estratti:
(1448.1) 131:4.2 “Egli è il grande Dio, supremo in tutto. Egli è il Signore che ingloba tutte le cose. Egli è il creatore e controllore dell’universo degli universi. Dio è un Dio unico; egli esiste da solo e da se stesso; egli è l’unico. E questo Dio unico è il nostro Creatore ed il destino ultimo dell’anima. Il Supremo brilla oltre ogni descrizione; egli è la Luce delle Luci. Ogni cuore ed ogni mondo è illuminato da questa luce divina. Dio è il nostro protettore — egli sta al fianco delle sue creature — e coloro che imparano a conoscerlo diventano immortali. Dio è la grande sorgente dell’energia; è la Grande Anima. Egli esercita una sovranità universale su tutto. Questo Dio unico è amorevole, glorioso e adorabile. Il nostro Dio è supremo in potere ed abita nella dimora suprema. Questa vera Persona è eterna e divina; è il Signore primordiale dei cieli. Tutti i profeti l’hanno salutato ed egli si è rivelato a noi. Noi l’adoriamo. O Persona Suprema, sorgente degli esseri, Signore della creazione e sovrano dell’universo, rivela a noi tue creature il potere con il quale dimori immanente! Dio ha creato il sole e le stelle; egli è luminoso, puro ed autoesistente. La sua conoscenza eterna è divinamente saggia. L’Eterno è impenetrabile dal male. Poiché l’universo è provenuto da Dio, egli lo governa appropriatamente. Egli è la causa della creazione e quindi tutte le cose sono stabilite in lui.
(1448.2) 131:4.3 “Dio è il rifugio sicuro di ogni uomo buono quando è nel bisogno; l’Immortale si prende cura di tutta l’umanità. La salvezza di Dio è forte e la sua bontà è graziosa. Egli è un protettore amorevole, un difensore benedetto. Dice il Signore: ‘Io dimoro nella loro anima come un lampo di saggezza. Io sono lo splendore degli splendidi e la bontà dei buoni. Quando due o tre di loro si riuniscono, là sono anch’io.’ La creatura non può sfuggire alla presenza del Creatore. Il Signore conta anche lo sbattere incessante delle palpebre degli occhi di ogni mortale e noi adoriamo questo Essere divino come nostro compagno inseparabile. Egli è predominante su tutto, generoso, onnipresente ed infinitamente buono. Il Signore è il nostro sovrano, il nostro rifugio ed il nostro controllore supremo, ed il suo spirito primordiale dimora nell’anima mortale. Il Testimone Eterno del vizio e della virtù dimora nel cuore dell’uomo. Meditiamo a lungo sull’adorabile e divino Vivificatore; che il suo spirito diriga completamente i nostri pensieri. Da questo mondo irreale portaci a quello reale! Dalle tenebre portaci alla luce! Dalla morte guidaci all’immortalità!
(1448.3) 131:4.4 “Con il nostro cuore purificato da ogni odio, adoriamo l’Eterno. Il nostro Dio è il Signore della preghiera; egli ode il grido dei suoi figli. Che tutti gli uomini sottomettano la loro volontà a lui, il Risoluto. Godiamo della liberalità del Signore della preghiera. Fate della preghiera la vostra amica intima e dell’adorazione il sostegno della vostra anima. ‘Se solo mi adorerete con amore’, dice l’Eterno, ‘io vi darò la saggezza per raggiungermi, perché la mia adorazione è la virtù comune a tutte le creature.’ Dio è l’illuminatore degli sfiduciati ed il potere di coloro che vacillano. Poiché Dio è il nostro potente amico, noi non temiamo più nulla. Lodiamo il nome del Vincitore mai vinto. Noi l’adoriamo perché egli è l’aiuto fedele ed eterno degli uomini. Dio è il nostro capo sicuro e la nostra guida infallibile. Egli è il grande genitore del cielo e della terra, possiede un’energia illimitata ed una saggezza infinita. Il suo splendore è sublime e la sua bellezza divina. Egli è il rifugio supremo degli universi ed il guardiano immutabile della legge eterna. Il nostro Dio è il Signore della vita ed il Consolatore di tutti gli uomini; egli ama l’umanità ed aiuta gli infelici. Egli è il donatore della nostra vita ed il Buon Pastore del gregge umano. Dio è nostro padre, nostro fratello e nostro amico. E noi desideriamo ardentemente conoscere questo Dio nel più profondo del nostro essere.
(1448.4) 131:4.5 “Noi abbiamo imparato a conquistare la fede con il desiderio del nostro cuore. Abbiamo raggiunto la saggezza dominando i nostri sensi, e con la saggezza abbiamo sperimentato la pace nel Supremo. Colui che è pieno di fede adora veramente quando il suo io interiore è rivolto a Dio. Il nostro Dio indossa i cieli come un mantello; egli abita anche gli altri sei universi dispiegati nella loro immensità. Egli è supremo su tutto ed in tutto. Noi imploriamo il perdono dal Signore per tutte le nostre trasgressioni verso i nostri simili, e vorremmo liberare il nostro amico dal torto che ci ha fatto. Il nostro spirito prova ripugnanza per ogni male; dunque, o Signore, liberaci da ogni macchia di peccato. Noi preghiamo Dio in quanto consolatore, protettore e salvatore — come colui che ci ama.
(1449.1) 131:4.6 “Lo spirito del Conservatore dell’Universo penetra l’anima della creatura semplice. È saggio l’uomo che adora il Dio Unico. Coloro che si sforzano di essere perfetti devono certamente conoscere il Signore Supremo. Chi conosce la felicità della sicurezza del Supremo non ha mai paura, perché il Supremo dice a coloro che lo servono: ‘Non temete, perché io sono con voi.’ Il Dio della provvidenza è nostro Padre. Dio è verità; ed è desiderio di Dio che le sue creature lo comprendano — che arrivino a conoscere pienamente la verità. La verità è eterna; essa sostiene l’universo. Il nostro desiderio supremo sarà l’unione con il Supremo. Il Grande Controllore è il generatore di tutte le cose — tutto evolve da lui. E questo è tutto il nostro dovere: che nessuno faccia ad altri ciò che ripugnerebbe gli fosse fatto; non nutrite alcun rancore, non colpite chi vi colpisce, vincete la collera con la misericordia e trionfate sull’odio con la benevolenza. E noi dovremmo fare tutto ciò perché Dio è un buon amico ed un padre pieno di grazia che ci perdona tutte le nostre offese terrene.
(1449.2) 131:4.7 “Dio è nostro Padre, la terra è nostra madre, e l’universo è il luogo della nostra nascita. Senza Dio l’anima è prigioniera; conoscere Dio libera l’anima. La meditazione su Dio e l’unione con lui portano alla liberazione dalle illusioni del male e alla salvezza ultima da tutti gli ostacoli materiali. Quando l’uomo arrotolerà lo spazio come un pezzo di cuoio, allora verrà la fine del male perché l’uomo avrà trovato Dio. O Dio, salvaci dalla triplice rovina dell’inferno — la cupidigia, l’ira e l’avarizia! O anima, preparati per la lotta spirituale dell’immortalità! Quando viene la fine della vita mortale, non esitare ad abbandonare questo corpo per una forma più appropriata e più bella ed a risvegliarti nei regni del Supremo e dell’Immortale, dove non vi sono paura, tristezza, fame, sete o morte. Conoscere Dio significa spezzare le corde della morte. L’anima che conosce Dio si eleva nell’universo come la crema che appare alla superficie del latte. Noi adoriamo Dio, l’autore di tutto, la Grande Anima, che dimora sempre nel cuore delle sue creature. E coloro che sanno che Dio troneggia nel cuore umano sono destinati a divenire simili a lui — immortali. Il male deve essere lasciato indietro in questo mondo, ma la virtù accompagna l’anima in cielo.
(1449.3) 131:4.8 “È solo il perverso che dice: l’universo non ha né verità né governante; esso era destinato soltanto a soddisfare la nostra cupidigia. Tali anime sono ingannate dalla meschinità del loro intelletto. Essi abbandonano così se stessi alla soddisfazione della loro cupidigia e privano la loro anima delle gioie della virtù e dei piaceri della rettitudine. Che cosa può essere più grande dell’esperienza della salvezza dal peccato? L’uomo che ha visto il Supremo è immortale. Gli amici degli uomini nella carne non possono sopravvivere alla morte; solo la virtù cammina a fianco dell’uomo mentre procede sempre in avanti verso i campi felici ed assolati del Paradiso.”
(1449.4) 131:5.1 Zoroastro fu anch’egli in contatto diretto con i discendenti dei primi missionari Melchizedek, e la loro dottrina del Dio unico divenne un insegnamento centrale nella religione che egli fondò in Persia. A parte il Giudaismo, nessuna religione di quel tempo conteneva una maggior quantità di questi insegnamenti di Salem. Dagli scritti di questa religione Ganid fece gli estratti seguenti:
(1450.1) 131:5.2 “Tutte le cose provengono dal Dio Unico ed appartengono a lui — infinitamente saggio, buono, retto, santo, risplendente e glorioso. Questo, il nostro Dio, è la sorgente di ogni luminosità. Egli è il Creatore, il Dio di tutti i buoni propositi ed il protettore della giustizia dell’universo. La linea di condotta saggia nella vita consiste nell’agire in consonanza con lo spirito della verità. Dio vede tutto, e scorge le cattive azioni dei malvagi e le buone opere dei giusti; il nostro Dio osserva tutte le cose con occhio scintillante. Il suo tocco è il tocco che guarisce. Il Signore è un benefattore onnipotente. Dio tende la sua mano benefica sia ai giusti che ai malvagi. Dio ha stabilito il mondo ed ha ordinato la ricompensa per il bene e per il male. Il Dio infinitamente saggio ha promesso l’immortalità alle anime pie che pensano con purezza ed agiscono con rettitudine. Voi diverrete ciò che desiderate supremamente essere. La luce del sole è come la saggezza per coloro che discernono Dio nell’universo.
(1450.2) 131:5.3 “Lodate Dio cercando ciò che piace al Saggio. Adorate il Dio della luce camminando gioiosamente nelle vie stabilite dalla sua religione rivelata. Non c’è che un Dio Supremo, il Signore delle Luci. Adoriamo colui che ha creato le acque, le piante, gli animali, la terra ed i cieli. Il nostro Dio è Signore, il più benevolo. Noi adoriamo il più bello, il generoso Immortale, dotato di luce eterna. Dio è il più lontano da noi e allo stesso tempo il più vicino a noi per il fatto che dimora nella nostra anima. Il nostro Dio è il divino e più santo Spirito del Paradiso, e tuttavia egli è più amichevole per l’uomo della più amichevole di tutte le creature. Dio è di grandissimo aiuto per noi nel principale dei nostri compiti, quello di conoscerlo. Dio è il nostro amico più adorabile e più retto; egli è la nostra saggezza, la nostra vita ed il vigore della nostra anima e del nostro corpo. Tramite i nostri buoni pensieri il saggio Creatore ci renderà capaci di fare la sua volontà e di pervenire così alla realizzazione di tutto ciò che è divinamente perfetto.
(1450.3) 131:5.4 “Signore, insegnaci come vivere questa vita nella carne in preparazione della prossima vita dello spirito. Parlaci, Signore, e noi eseguiremo i tuoi ordini. Indicaci le vie buone e noi andremo diritti. Accordaci di raggiungere l’unione con te. Noi sappiamo che la religione è buona se conduce all’unione con la rettitudine. Dio è la nostra natura saggia, il nostro pensiero migliore, il nostro atto retto. Possa Dio accordarci l’unità con lo spirito divino e l’immortalità in lui stesso!
(1450.4) 131:5.5 “Questa religione del Saggio purifica il credente da ogni cattivo pensiero e da ogni azione peccaminosa. Io m’inchino davanti al Dio del cielo pentendomi se ho offeso in pensieri, parole o azioni — intenzionalmente o meno — ed offro preghiere per la misericordia e lodi per il perdono. Quando mi confesso, se non ho intenzione di fare di nuovo le cose cattive so che il peccato sarà tolto dalla mia anima. So che il perdono rimuove i legami del peccato. Coloro che fanno il male riceveranno la punizione, ma coloro che seguono la verità godranno della felicità di una salvezza eterna. Prendi possesso di noi con la grazia e dispensa alla nostra anima il potere salvatore. Noi imploriamo misericordia perché aspiriamo a raggiungere la perfezione; noi vorremmo essere simili a Dio.”
(1450.5) 131:6.1 Il terzo gruppo di credenti religiosi che preservò la dottrina di un Dio unico in India — la sopravvivenza degli insegnamenti di Melchizedek — era conosciuto in quel tempo come i Suduanisti. Più recentemente questi credenti furono conosciuti come seguaci del Giainismo. Essi insegnavano:
(1450.6) 131:6.2 “Il Signore del Cielo è supremo. Coloro che commettono peccato non ascenderanno nell’alto, ma coloro che seguono le vie della rettitudine troveranno un posto in cielo. Noi siamo assicurati della vita nell’aldilà se conosciamo la verità. L’anima dell’uomo può ascendere al cielo più alto per svilupparvi la sua vera natura spirituale, per raggiungere la perfezione. La condizione celeste libera l’uomo dalla servitù del peccato e l’introduce alle beatitudini finali; il giusto ha già sperimentato la fine del peccato e di tutte le sue miserie associate. L’ego è il nemico invincibile dell’uomo e si manifesta sotto le quattro più grandi passioni umane: l’ira, l’orgoglio, la disonestà e la cupidigia. La più grande vittoria dell’uomo è la conquista di se stesso. Quando l’uomo si rivolge a Dio per essere perdonato e quando ha l’ardire di godere di questa libertà, è in tal modo liberato dalla paura. L’uomo dovrebbe vivere la sua vita trattando i suoi simili come lui vorrebbe essere trattato.”
(1451.1) 131:7.1 I manoscritti di questa religione dell’Estremo Oriente erano stati classificati solo recentemente nella biblioteca di Alessandria. Si trattava dell’unica religione al mondo di cui Ganid non aveva mai sentito parlare. Anche questa credenza conteneva dei residui dei primi insegnamenti Melchizedek, come dimostrano gli estratti seguenti:
(1451.2) 131:7.2 “Dice il Signore: ‘Voi siete tutti destinatari del mio potere divino; tutti gli uomini beneficiano del mio ministero di misericordia. Io provo grande piacere nella moltiplicazione dei giusti in tutto il paese. Nelle bellezze della natura e nelle virtù degli uomini il Principe del Cielo cerca di rivelare se stesso e di mostrare la sua natura retta. Poiché i popoli dell’antichità non conoscevano il mio nome, ho manifestato me stesso nascendo nel mondo come un’esistenza visibile ed ho subìto questa umiliazione affinché gli uomini non dimentichino il mio nome. Sono io il creatore del cielo e della terra; il sole e la luna e tutte le stelle obbediscono alla mia volontà. Io sono il governante di tutte le creature sulla terra e nei quattro mari. Sebbene io sia grande e supremo, nondimeno ho rispetto per la preghiera dell’uomo più povero. Se una creatura vuole adorarmi, ascolterò le sue preghiere ed esaudirò il desiderio del suo cuore.’
(1451.3) 131:7.3 “‘Ogni volta che l’uomo cede all’ansietà, si allontana di un passo dal governo dello spirito del suo cuore.’ L’orgoglio nasconde Dio. Se volete ottenere l’aiuto dal cielo mettete da parte il vostro orgoglio; ogni traccia di orgoglio nasconde la luce salvifica come fosse una grossa nuvola. Se non siete retti interiormente, è inutile pregare per ciò che è esteriore. ‘Se ascolto le vostre preghiere è perché vi presentate davanti a me con un cuore puro, libero da falsità e da ipocrisia, con un’anima che riflette la verità come uno specchio. Se volete ottenere l’immortalità, abbandonate il mondo e venite a me.’ ”
(1451.4) 131:8.1 I messaggeri di Melchizedek penetrarono profondamente in Cina, e la dottrina del Dio unico divenne parte dei primi insegnamenti di parecchie religioni cinesi; quella che persisté più a lungo e contenne in maggior quantità la verità monoteista fu il Taoismo. Ganid raccolse quanto segue dagli insegnamenti del suo fondatore:
(1451.5) 131:8.2 “Quanto è puro e tranquillo il Supremo e quanto è anche forte e potente, com’è profondo ed insondabile! Questo Dio del cielo è il progenitore onorato di tutte le cose. Se voi conoscete l’Eterno siete illuminati e saggi. Se non conoscete l’Eterno, allora l’ignoranza si manifesta come male, e così insorgono le passioni del peccato. Questo Essere prodigioso esisteva prima dei cieli e della terra. Egli è veramente spirituale; è unico e non muta. Egli è in verità la madre del mondo e tutta la creazione ruota intorno a lui. Questo Grande Uno si manifesta agli uomini e così permette loro di elevarsi e di sopravvivere. Anche se si ha poca conoscenza, si può tuttavia camminare nelle vie del Supremo; ci si può conformare alla volontà del cielo.
(1452.1) 131:8.3 “Tutte le buone opere di vero servizio provengono dal Supremo. Tutte le cose dipendono dalla Grande Sorgente per la loro vita. Il Grande Supremo non cerca alcun onore per i suoi doni. Egli è supremo in potere, ma resta nascosto ai nostri sguardi. Egli cambia incessantemente i suoi attributi perfezionando le sue creature. La Ragione celeste è lenta e paziente nei suoi disegni, ma sicura dei suoi risultati. Il Supremo ricopre l’universo e lo sostiene tutto. Quanto sono grandi e potenti la sua influenza traboccante ed il suo potere d’attrazione! La vera bontà è simile all’acqua nel senso che reca beneficio a tutto e non nuoce a nulla. E come l’acqua, la vera bontà ricerca i posti più bassi, anche quei livelli che gli altri evitano, e ciò avviene perché essa è affine al Supremo. Il Supremo crea tutte le cose, le nutre in natura e le perfeziona in spirito. Ed è un mistero la maniera in cui il Supremo mantiene, protegge e perfeziona la creatura senza costringerla. Egli guida e dirige, ma senza imporsi. Provvede al progresso, ma senza dominazione.
(1452.2) 131:8.4 “Il saggio rende il suo cuore universale. Un po’ di conoscenza è una cosa dannosa. Quelli che aspirano alla grandezza devono imparare ad umiliare se stessi. Nella creazione il Supremo è divenuto la madre del mondo. Conoscere la propria madre è riconoscere la propria filiazione. È saggio colui che considera tutte le parti dal punto di vista dell’insieme. Rapportatevi ad ogni uomo come se foste al suo posto. Rispondete all’offesa con la bontà. Se amate la gente essa si avvicinerà a voi — non avrete alcuna difficoltà a conquistarla.
(1452.3) 131:8.5 “Il Grande Supremo pervade tutto; egli è a destra e a sinistra; egli sostiene tutta la creazione e dimora in tutti gli esseri sinceri. Voi non potete né trovare il Supremo né andare in un luogo dove egli non ci sia. Se un uomo riconosce il male delle proprie azioni e si pente del peccato con tutto il suo cuore, allora può cercare il perdono, può sfuggire al castigo, può trasformare la calamità in benedizione. Il Supremo è il rifugio sicuro per tutta la creazione; è il custode ed il salvatore dell’umanità. Se voi lo cercate quotidianamente, lo troverete. Poiché egli può perdonare i peccati, è veramente preziosissimo per tutti gli uomini. Ricordatevi sempre che Dio non ricompensa gli uomini per quello che fanno, ma per quello che sono; perciò dovreste portare aiuto ai vostri simili senza l’idea di ricompensa. Fate del bene senza pensare ad un profitto egoista.
(1452.4) 131:8.6 “Coloro che conoscono le leggi dell’Eterno sono saggi. L’ignoranza della legge divina è una calamità e un disastro. Coloro che conoscono le leggi di Dio hanno una mentalità liberale. Se voi conoscete l’Eterno, anche se il vostro corpo perisce, la vostra anima sopravviverà al servizio dello spirito. Voi siete veramente saggi quando riconoscete la vostra scarsa importanza. Se dimorate nella luce dell’Eterno, voi godrete dell’illuminazione del Supremo. Coloro che consacrano la loro persona al servizio del Supremo sono felici in questa ricerca dell’Eterno. Quando l’uomo muore, lo spirito inizia il suo lungo volo per il viaggio di ritorno a casa.”
(1452.5) 131:9.1 Tra le grandi religioni del mondo, anche quella che riconosceva meno Dio riconobbe il monoteismo dei missionari Melchizedek e dei loro perseveranti successori. Il riassunto di Ganid del Confucianesimo fu:
(1452.6) 131:9.2 “Ciò che il Cielo stabilisce è senza errore. La verità è reale e divina. Ogni cosa ha la propria origine nel Cielo, ed il Grande Cielo non commette errori. Il Cielo ha designato molti subordinati per aiutare ad istruire ed elevare le creature inferiori. Grande, molto grande è il Dio Unico che governa l’uomo dall’alto. Dio è maestoso in potere e terribile nel giudizio. Ma questo Grande Dio ha conferito un senso morale anche a numerosi individui inferiori. La generosità del Cielo non s’interrompe mai. La benevolenza è il dono più prezioso del Cielo agli uomini. Il Cielo ha donato la sua nobiltà all’anima degli uomini; le virtù dell’uomo sono il frutto di questo dono della nobiltà del Cielo. Il Grande Cielo discerne tutto ed accompagna gli uomini in tutte le loro opere. E noi agiamo bene quando chiamiamo il Grande Cielo nostro Padre e nostra Madre. Se siamo così i servitori dei nostri progenitori divini, allora possiamo indirizzare con fiducia le nostre preghiere al Cielo. In ogni momento ed in tutte le cose dobbiamo avere riverente timore della maestà del Cielo. Noi riconosciamo o Dio, Altissimo e sovrano Potentato, che il giudizio ti appartiene e che ogni misericordia proviene dal cuore divino.
(1453.1) 131:9.3 “Dio è con noi; perciò non abbiamo alcun timore nel nostro cuore. Se si trova in me qualche virtù, essa è la manifestazione del Cielo che dimora in me. Ma questo Cielo in me formula spesso delle richieste severe alla mia fede. Se Dio è con me, io ho deciso di non avere alcun dubbio nel mio cuore. La fede deve essere molto vicina alla verità delle cose, e non vedo come un uomo possa vivere senza questa buona fede. Il bene ed il male non capitano agli uomini senza causa. Il Cielo tratta con l’anima dell’uomo secondo il proposito di questa. Quando vi trovate nel peccato, non esitate a confessare il vostro errore ed affrettatevi a porvi riparo.
(1453.2) 131:9.4 “Un uomo saggio è impegnato nella ricerca della verità, non a cercare semplicemente di vivere. Lo scopo dell’uomo è raggiungere la perfezione del Cielo. L’uomo superiore cerca il proprio assestamento ed è libero dall’ansietà e dalla paura. Dio è con voi; non abbiate dubbi nel vostro cuore. Ogni buona azione ha la propria ricompensa. L’uomo superiore non mormora contro il Cielo e non porta rancore agli uomini. Non fate agli altri ciò che non volete sia fatto a voi. Che la compassione sia parte di ogni punizione; sforzatevi in ogni modo di trasformare la punizione in benedizione. Questa è la via del Grande Cielo. Mentre tutte le creature devono morire e ritornare alla terra, lo spirito dell’uomo nobile va avanti per essere mostrato nell’alto e per ascendere alla luce gloriosa dello splendore finale.”
(1453.3) 131:10.1 Dopo l’arduo lavoro per effettuare questa compilazione degli insegnamenti delle religioni del mondo concernenti il Padre del Paradiso, Ganid s’impegnò nel compito di formulare quello che considerava un riassunto della credenza alla quale era pervenuto riguardo a Dio come risultato dell’insegnamento di Gesù. Questo giovane aveva preso l’abitudine di chiamare queste credenze la “nostra religione”. Queste furono le sue annotazioni:
(1453.4) 131:10.2 “Il Signore nostro Dio è un Signore unico, e voi dovreste amarlo con tutta la vostra mente e con tutto il vostro cuore mentre fate del vostro meglio per amare tutti i suoi figli come amate voi stessi. Questo unico Dio è nostro Padre celeste nel quale tutte le cose consistono e che dimora, con il suo spirito, in ogni anima umana sincera. E noi che siamo i figli di Dio dovremmo imparare ad affidare a lui la custodia della nostra anima come ad un Creatore fedele. Con il nostro Padre celeste tutte le cose sono possibili. Poiché egli è il Creatore, avendo fatto tutte le cose e tutti gli esseri, non potrebbe essere altrimenti. Benché non possiamo vedere Dio, possiamo conoscerlo. E vivendo quotidianamente la volontà del Padre che è nei cieli possiamo rivelarlo ai nostri simili.
(1453.5) 131:10.3 “Le ricchezze divine del carattere di Dio devono essere infinitamente profonde ed eternamente sagge. Noi non possiamo scoprire Dio mediante la conoscenza, ma possiamo conoscerlo nel nostro cuore per mezzo dell’esperienza personale. Sebbene la sua giustizia sia al di là della nostra conoscenza, la sua misericordia può essere ricevuta dall’essere più umile della terra. Sebbene il Padre riempia l’universo, vive anche nel nostro cuore. La mente dell’uomo è umana, mortale, ma lo spirito dell’uomo è divino, immortale. Dio non solo è onnipotente ma anche infinitamente saggio. Se i nostri genitori terreni, le cui tendenze sono cattive, sanno come amare i loro figli e dare loro cose buone, quanto più il buon Padre celeste deve sapere come amare saggiamente i suoi figli terreni e concedere loro adeguate benedizioni.
(1454.1) 131:10.4 “Il Padre celeste non tollererà che un solo figlio sulla terra perisca se quel figlio desidera trovare il Padre e anela sinceramente ad essere simile a lui. Il nostro Padre ama anche i malvagi ed è sempre buono con gli ingrati. Se più esseri umani potessero solo conoscere la bontà di Dio, sarebbero certamente portati a pentirsi della loro cattiveria e ad abbandonare tutti i peccati conosciuti. Tutte le cose buone provengono dal Padre della luce, nel quale non c’è né mutabilità né ombra di cambiamento. Lo spirito del vero Dio è nel cuore dell’uomo. Dio vuole che tutti gli uomini siano fratelli. Quando gli uomini cominciano a cercare Dio, è evidente che Dio ha trovato loro e che essi cercano di conoscere lui. Noi viviamo in Dio e Dio dimora in noi.
(1454.2) 131:10.5 “Non mi accontenterò più di credere che Dio è il Padre di tutto il mio popolo; d’ora in poi crederò che egli è anche mio Padre. Cercherò sempre di adorare Dio con l’aiuto dello Spirito della Verità, che è il mio aiuto quando sono realmente giunto a conoscere Dio. Ma prima di tutto praticherò il culto di Dio imparando a fare la volontà di Dio sulla terra; farò cioè del mio meglio per trattare ciascuno dei miei simili mortali esattamente come penso che Dio vorrebbe che li tratti. E quando viviamo questo tipo di vita nella carne possiamo chiedere molte cose a Dio ed egli soddisferà il desiderio del nostro cuore affinché possiamo essere meglio preparati a servire i nostri simili. Tutto questo servizio amorevole dei figli di Dio accresce la nostra capacità di ricevere e di provare le gioie del cielo, i piaceri superiori del ministero dello spirito del cielo.
(1454.3) 131:10.6 “Ringrazierò Dio tutti i giorni per i suoi ineffabili doni; lo loderò per le sue opere meravigliose a favore dei figli degli uomini. Per me egli è l’Onnipotente, il Creatore, il Potere e la Misericordia, ma più di tutto egli è il mio Padre spirituale, ed in quanto suo figlio terreno io mi farò avanti un giorno per vederlo. Il mio precettore mi ha detto che cercandolo diverrò simile a lui. Per mezzo della fede in Dio ho raggiunto la pace con lui. Questa nostra nuova religione è piena di gioia e genera una felicità duratura. Ho fiducia che gli sarò fedele fino alla morte e che riceverò certamente la corona della vita eterna.
(1454.4) 131:10.7 “Sto imparando a mettere tutto alla prova e ad aderire a ciò che è bene. Farò ai miei simili tutto quello che vorrei fosse fatto a me. Per mezzo di questa nuova fede io so che l’uomo può divenire figlio di Dio, ma sono talvolta terrificato quando mi fermo a pensare che tutti gli uomini sono miei fratelli, tuttavia ciò deve essere vero. Non vedo come io possa gioire della paternità di Dio mentre rifiuto di accettare la fratellanza degli uomini. Chiunque fa appello al nome del Signore sarà salvato. Se questo è vero, allora tutti gli uomini devono essere miei fratelli.
(1454.5) 131:10.8 “D’ora in poi io farò le mie buone azioni in segreto; pregherò anche di più quando sono solo. Non giudicherò, per evitare di essere ingiusto verso i miei simili. Imparerò ad amare i miei nemici; non ho ancora veramente dominato questa pratica di assomigliare a Dio. Sebbene io veda Dio nelle altre religioni, trovo che nella ‘nostra religione’ egli è più bello, più amorevole, più misericordioso, più personale e più positivo. Ma soprattutto questo grande e glorioso Essere è il mio Padre spirituale; io sono suo figlio. E con nessun altro mezzo, se non il mio sincero desiderio di assomigliare a lui, alla fine lo troverò e lo servirò in eterno. Finalmente ho una religione con un Dio, un Dio meraviglioso, ed è un Dio di salvezza eterna.”
(1455.1) 132:0.1 POICHÉ Gonod portava i saluti dei principi dell’India a Tiberio, il sovrano romano, il terzo giorno dopo il loro arrivo a Roma i due Indiani e Gesù si presentarono davanti a lui. Lo scontroso imperatore era eccezionalmente di buon umore quel giorno e chiacchierò a lungo con i tre. Dopo che essi l’ebbero lasciato, l’imperatore, alludendo a Gesù, fece osservare all’aiutante di campo che stava alla sua destra: “Se io avessi il portamento regale e i modi cortesi di quell’uomo sarei un vero imperatore, eh?”
(1455.2) 132:0.2 Durante il suo soggiorno a Roma, Ganid ebbe degli orari regolari per lo studio e per le visite ai luoghi interessanti della città. Suo padre aveva molti affari da trattare, e poiché desiderava che crescendo suo figlio divenisse il suo degno successore nella direzione dei suoi vasti interessi commerciali, stimò fosse giunto il momento d’introdurre il giovane nel mondo degli affari. C’erano molti cittadini dell’India a Roma, e spesso uno degli stessi impiegati di Gonod lo accompagnò come interprete, cosicché Gesù ebbe giornate intere a disposizione; ciò gli diede il tempo di familiarizzarsi completamente con questa città di due milioni di abitanti. Egli andava frequentemente al foro, centro della vita politica, giuridica e degli affari. Saliva spesso al Campidoglio e meditava sulla schiavitù ignorante in cui erano tenuti questi Romani mentre contemplava questo magnifico tempio dedicato a Giove, a Giunone e a Minerva. Passava anche molto tempo sul colle Palatino, dove si trovava la residenza dell’imperatore, il tempio di Apollo e le biblioteche greca e latina.
(1455.3) 132:0.3 In quest’epoca l’Impero Romano includeva tutta l’Europa meridionale, l’Asia Minore, la Siria, l’Egitto ed il nordovest dell’Africa; ed i suoi abitanti comprendevano cittadini di tutti i paesi dell’emisfero orientale. La ragione principale per la quale Gesù aveva acconsentito a fare questo viaggio era il suo desiderio di studiare questo aggregato cosmopolita di mortali di Urantia e di mescolarvisi.
(1455.4) 132:0.4 Gesù imparò molto sugli uomini mentre era a Roma, ma la più preziosa di tutte le molteplici esperienze del suo soggiorno di sei mesi in quella città fu il suo contatto con i capi religiosi della capitale dell’impero e l’influenza che esercitò su di loro. Entro la fine della prima settimana a Roma, Gesù aveva individuato i dirigenti più qualificati dei Cinici, degli Stoici e dei culti dei misteri, in particolare del gruppo mitraico, ed aveva fatto conoscenza con loro. Fosse o meno manifesto a Gesù che gli Ebrei avrebbero respinto la sua missione, egli prevedeva più certamente che i suoi messaggeri sarebbero venuti ben presto a Roma a proclamare il regno dei cieli. Perciò s’impegnò, nella maniera più stupefacente, a preparare la via per il migliore e più sicuro accoglimento del loro messaggio. Egli scelse cinque eminenti Stoici, undici Cinici e sedici dirigenti del culto dei misteri e passò molto del suo tempo libero per quasi sei mesi in stretta associazione con questi insegnanti religiosi. E questo fu il suo metodo d’istruzione: non una sola volta attaccò i loro errori o menzionò i difetti dei loro insegnamenti. In ciascun caso sceglieva la verità in ciò che essi insegnavano e poi procedeva ad abbellire ed a chiarire questa verità nella loro mente in modo tale che in brevissimo tempo questa elevazione della verità scacciava efficacemente l’errore ad essa associato. E così questi uomini e queste donne istruiti da Gesù furono preparati a riconoscere in seguito le verità aggiuntive e similari negli insegnamenti dei primi missionari cristiani. Fu questa pronta accettazione degli insegnamenti dei predicatori del vangelo che diede un così potente impulso alla rapida diffusione del Cristianesimo a Roma e da là in tutto l’impero.
(1456.1) 132:0.5 Il significato di questa rimarchevole opera può essere meglio compreso se si tiene presente che di questo gruppo di trentadue capi religiosi istruiti da Gesù a Roma soltanto due non diedero frutti. Gli altri trenta furono di capitale importanza nell’insediamento del Cristianesimo a Roma, ed alcuni di loro aiutarono anche a fare del principale tempio mitraico la prima chiesa cristiana di quella città. Noi che osserviamo le attività umane da dietro le quinte e alla luce di diciannove secoli di tempo, riconosciamo giusto tre fattori di suprema importanza nel periodo iniziale di preparazione per la rapida diffusione del Cristianesimo in Europa, e sono:
(1456.2) 132:0.6 1. La scelta ed il mantenimento di Simon Pietro come apostolo.
(1456.3) 132:0.7 2. Il colloquio a Gerusalemme con Stefano, la cui morte portò a convincere Saul di Tarso.
(1456.4) 132:0.8 3. La preparazione preliminare di questi trenta Romani per la successiva direzione della nuova religione a Roma ed in tutto l’impero.
(1456.5) 132:0.9 Nel corso di tutte le loro esperienze, né Stefano né i trenta selezionati compresero mai che avevano a suo tempo parlato con l’uomo il cui nome era divenuto il soggetto del loro insegnamento religioso. L’opera di Gesù nei confronti dei trentadue che aveva scelto in origine fu interamente personale. Nelle sue attività con questi individui lo Scriba di Damasco non ne riuniva mai più di tre per volta, raramente più di due, mentre più spesso li istruiva singolarmente. Egli poté compiere questa grande opera d’istruzione religiosa perché questi uomini e queste donne non erano prigionieri delle tradizioni; non erano vittime di preconcetti radicati su tutti gli sviluppi religiosi del futuro.
(1456.6) 132:0.10 Molte volte nel corso degli anni immediatamente successivi Pietro, Paolo e gli altri insegnanti cristiani di Roma sentirono parlare di questo Scriba di Damasco che li aveva preceduti e che aveva così evidentemente preparato (a loro avviso inconsapevolmente) la via per la loro venuta con il nuovo vangelo. Sebbene Paolo non abbia mai realmente sospettato l’identità di questo Scriba di Damasco, poco tempo prima della sua morte, a causa della somiglianza delle descrizioni della persona, giunse alla conclusione che il “fabbricante di tende di Antiochia” fosse anche lo “Scriba di Damasco”. In un’occasione, mentre predicava a Roma, Simon Pietro, ascoltando una descrizione dello Scriba di Damasco, sospettò che questo individuo potesse essere stato Gesù, ma respinse prontamente questa idea, sapendo benissimo (così egli credeva) che il Maestro non era mai stato a Roma.
(1456.7) 132:1.1 Fu con Angamon, il capo degli Stoici, che Gesù ebbe un colloquio di un’intera notte all’inizio del suo soggiorno a Roma. Quest’uomo divenne più tardi un grande amico di Paolo e si rivelò un potente sostegno della Chiesa cristiana a Roma. In sostanza, e riesposto in linguaggio moderno, ecco ciò che Gesù insegnò ad Angamon:
(1457.1) 132:1.2 Il criterio dei veri valori deve essere cercato nel mondo spirituale e sui livelli divini della realtà eterna. Per un mortale ascendente tutti i criteri più bassi e materiali devono essere considerati transitori, parziali ed inferiori. Lo scienziato, in quanto tale, è limitato alla scoperta della relazione tra i fatti materiali. Tecnicamente egli non ha diritto di affermare di essere materialista o idealista, perché così facendo ha presunto di abbandonare il comportamento del vero scienziato, poiché tutte queste rivendicazioni di comportamento sono l’essenza stessa della filosofia.
(1457.2) 132:1.3 A meno che la percezione morale e la realizzazione spirituale dell’umanità non siano accresciute in proporzione, il progresso illimitato di una cultura puramente materialistica può diventare alla fine una minaccia per la civiltà. Una scienza puramente materialistica nasconde in se stessa il germe potenziale della distruzione di ogni sforzo scientifico, perché un simile comportamento presagisce il crollo finale di una civiltà che ha abbandonato il suo senso dei valori morali ed ha ripudiato la sua meta spirituale di realizzazione.
(1457.3) 132:1.4 Gli scienziati materialisti e gli idealisti estremi sono destinati ad essere sempre in disaccordo. Questo non è il caso di quegli scienziati ed idealisti che posseggono un criterio comune di valori morali elevati e di livelli spirituali sperimentati. In tutte le epoche gli scienziati ed i religiosi devono riconoscere che sono sottoposti a giudizio davanti al tribunale dei bisogni umani. Essi devono astenersi dal guerreggiare tra di loro mentre si sforzano validamente di giustificare la loro persistente sopravvivenza per mezzo di una devozione accresciuta al servizio del progresso umano. Se la cosiddetta scienza o la pretesa religione di un’epoca sono false, allora bisogna che purifichino le loro attività o che scompaiano davanti all’emergere di una scienza materiale o di una religione spirituale di un ordine più autentico e più meritorio.
(1457.4) 132:2.1 Mardus era il capo riconosciuto dei Cinici di Roma e divenne un grande amico dello Scriba di Damasco. Giorno dopo giorno egli conversava con Gesù e sera dopo sera ascoltava il suo insegnamento superno. Fra le più importanti discussioni con Mardus vi fu quella destinata a rispondere alla domanda di questo Cinico sincero sul bene e sul male. In sostanza, e nel linguaggio del ventesimo secolo, Gesù disse:
(1457.5) 132:2.2 Fratello mio, il bene ed il male sono semplicemente delle parole che simbolizzano i livelli relativi della comprensione umana dell’universo osservabile. Se si è eticamente pigri e socialmente indifferenti, si può prendere come criterio del bene gli usi sociali correnti. Se si è spiritualmente indolenti e moralmente non progressivi, si possono prendere come criteri del bene le pratiche e le tradizioni religiose dei propri contemporanei. Ma l’anima che sopravvive al tempo ed emerge nell’eternità deve fare una scelta vivente e personale tra il bene ed il male, quali sono determinati dai veri valori dei criteri spirituali stabiliti dallo spirito divino che il Padre celeste ha mandato ad abitare nel cuore dell’uomo. Questo spirito interiore è il criterio della sopravvivenza della personalità.
(1457.6) 132:2.3 La bontà, come la verità, è sempre relativa ed immancabilmente contrastata dal male. È la percezione di queste qualità di bontà e di verità che permette alle anime in evoluzione degli uomini di prendere quelle decisioni di scelte personali che sono essenziali alla sopravvivenza eterna.
(1458.1) 132:2.4 L’individuo spiritualmente cieco che segue con logica il dettato scientifico, gli usi sociali e i dogmi religiosi si trova in grande pericolo di sacrificare la sua indipendenza morale e di perdere la sua libertà spirituale. Tale anima è destinata a diventare un pappagallo intellettuale, un automa sociale ed uno schiavo dell’autorità religiosa.
(1458.2) 132:2.5 La bontà si eleva sempre verso nuovi livelli d’accresciuta libertà di autorealizzazione morale e di conseguimento di una personalità spirituale — la scoperta dell’Aggiustatore interiore e l’identificazione con lui. Un’esperienza è buona quando aumenta l’apprezzamento della bellezza, accresce la volontà morale, eleva il discernimento della verità, sviluppa la capacità di amare e di servire i propri simili, esalta gli ideali spirituali ed unifica i motivi umani supremi del tempo con i piani eterni dell’Aggiustatore interiore. Tutto ciò conduce direttamente all’accresciuto desiderio di fare la volontà del Padre, favorendo così la passione divina di trovare Dio e di essere più simili a lui.
(1458.3) 132:2.6 A mano a mano che salirete la scala universale di sviluppo delle creature, troverete un aumento della bontà ed una diminuzione del male in perfetta armonia con la vostra capacità di sperimentare la bontà e di discernere la verità. L’attitudine a commettere degli errori o a praticare il male non sarà interamente perduta fino a che l’anima umana ascendente non raggiungerà i livelli spirituali ultimi.
(1458.4) 132:2.7 La bontà è vivente, relativa, sempre in progresso, invariabilmente un’esperienza personale ed eternamente correlata con il discernimento della verità e della bellezza. La bontà si trova nel riconoscimento dei valori positivi di verità del livello spirituale che deve, nell’esperienza umana, essere contrastato dalla contropartita negativa — le ombre del male potenziale.
(1458.5) 132:2.8 Finché non raggiungerete i livelli paradisiaci, la bontà sarà sempre più una ricerca che un possesso, più una meta che un’esperienza di conseguimento. Ma anche quando si ha fame e sete di rettitudine, si prova una crescente soddisfazione nel parziale raggiungimento della bontà. La presenza del bene e del male nel mondo è in se stessa una prova positiva dell’esistenza e della realtà della volontà morale dell’uomo, la personalità, che identifica così questi valori ed è anche capace di scegliere tra di essi.
(1458.6) 132:2.9 Nel momento in cui si raggiunge il Paradiso, la capacità del mortale ascendente d’identificare l’io con i veri valori spirituali s’è ampliata al punto da raggiungere la perfezione del possesso della luce della vita. Una tale personalità spirituale perfezionata diviene così completamente, divinamente e spiritualmente unificata con le qualità positive e supreme della bontà, della bellezza e della verità che non sussiste alcuna possibilità per questo spirito retto di proiettare una qualche ombra negativa del male potenziale quando è esposto alla penetrante luminosità della divina luce dei Sovrani infiniti del Paradiso. In tutte queste personalità spirituali la bontà non è più parziale, contrastante e relativa; essa è divenuta divinamente completa e spiritualmente repleta; si avvicina alla purezza e alla perfezione del Supremo.
(1458.7) 132:2.10 La possibilità del male è necessaria alla scelta morale, ma non lo è la sua attualità. Un’ombra è solo relativamente reale. Il male attuale non è necessario come esperienza personale. Il male potenziale agisce egualmente bene come stimolo alla decisione nei regni del progresso morale sui livelli inferiori dello sviluppo spirituale. Il male diventa una realtà dell’esperienza personale solo quando una mente morale fa del male la sua scelta.
(1459.1) 132:3.1 Nabon era un Ebreo greco ed il più eminente tra i capi del principale culto dei misteri a Roma, quello mitraico. Anche se questo sommo sacerdote del Mitraismo ebbe numerosi incontri con lo Scriba di Damasco, fu più durevolmente influenzato dalla loro discussione sulla verità e la fede che ebbero una sera. Nabon aveva pensato di convertire Gesù e gli aveva anche suggerito di ritornare in Palestina come insegnante mitraico. Egli non realizzava che Gesù lo stesse preparando a diventare uno dei primi convertiti al vangelo del regno. Riesposto in terminologia moderna, la sostanza dell’insegnamento di Gesù fu:
(1459.2) 132:3.2 La verità non si può definire con parole, ma soltanto vivendola. La verità è sempre qualcosa di più della conoscenza. La conoscenza concerne le cose osservate, ma la verità trascende questi livelli puramente materiali nel senso che si associa alla saggezza ed ingloba degli imponderabili come l’esperienza umana ed anche le realtà spirituali e viventi. La conoscenza ha origine nella scienza; la saggezza nella vera filosofia; la verità nell’esperienza religiosa della vita spirituale. La conoscenza si occupa dei fatti, la saggezza delle relazioni, la verità dei valori della realtà.
(1459.3) 132:3.3 L’uomo tende a cristallizzare la scienza, a formulare la filosofia e a dogmatizzare la verità perché è mentalmente pigro nell’adattarsi alle lotte progressive della vita ed è anche terribilmente timoroso dell’ignoto. L’uomo naturale è lento ad avviare dei cambiamenti nelle proprie abitudini di pensiero e nelle proprie tecniche di vita.
(1459.4) 132:3.4 La verità rivelata, la verità scoperta personalmente, è la gioia suprema dell’anima umana; essa è la creazione congiunta della mente materiale e dello spirito interiore. La salvezza eterna di quest’anima che discerne la verità e che ama la bellezza è assicurata da quella fame e sete di bontà che portano questo mortale a sviluppare un’unicità di proposito: quella di fare la volontà del Padre, di trovare Dio e di divenire simile a lui. Non c’è mai conflitto tra la vera conoscenza e la verità. Può esservi conflitto tra la conoscenza e le credenze umane, credenze influenzate dai pregiudizi, deformate dalla paura e dominate dal timore di affrontare dei fatti nuovi di scoperta materiale o di progresso spirituale.
(1459.5) 132:3.5 Ma la verità non può mai divenire possesso dell’uomo senza l’esercizio della fede. Ciò è vero perché i pensieri, la saggezza, l’etica e gli ideali dell’uomo non si eleveranno mai più in alto della sua fede, della sua sublime speranza. Ed ogni tale vera fede è basata su una riflessione profonda, un’autocritica sincera ed una coscienza morale intransigente. La fede è l’ispirazione dell’immaginazione creativa permeata dallo spirito.
(1459.6) 132:3.6 La fede agisce per liberare le attività superumane della scintilla divina, il germe immortale che vive dentro la mente dell’uomo e che è il potenziale della sopravvivenza eterna. Le piante e gli animali sopravvivono nel tempo mediante la tecnica consistente nel trasmettere da una generazione all’altra delle particelle identiche di se stessi. L’anima umana (la personalità) dell’uomo sopravvive alla morte del corpo grazie all’associazione d’identità con questa scintilla interiore della divinità che è immortale e che funziona per perpetuare la personalità umana su un livello continuo e superiore dell’esistenza universale progressiva. Il seme nascosto dell’anima umana è uno spirito immortale. La seconda generazione dell’anima è la prima di una successione di manifestazioni della personalità nelle esistenze spirituali e progressive, che terminano solo quando questa entità divina raggiunge la sorgente della sua esistenza, la sorgente personale di ogni esistenza, Dio, il Padre Universale.
(1459.7) 132:3.7 La vita umana continua — sopravvive — perché ha una funzione nell’universo, il compito di trovare Dio. L’anima dell’uomo attivata dalla fede non può fermarsi prima d’aver raggiunto questa meta del destino; ed una volta che ha raggiunto questa meta divina, essa non può più avere fine perché è divenuta simile a Dio — eterna.
(1460.1) 132:3.8 L’evoluzione spirituale è un’esperienza della scelta crescente e volontaria della bontà accompagnata da una diminuzione uguale e progressiva della possibilità del male. Con il raggiungimento della finalità della scelta della bontà e della piena capacità dell’apprezzamento della verità, nasce una perfezione della bellezza e della santità la cui rettitudine inibisce eternamente la possibilità di emergere anche del concetto del male potenziale. Una tale anima che conosce Dio non proietta alcuna ombra di sospetto del male quando funziona su un livello spirituale così elevato di bontà divina.
(1460.2) 132:3.9 La presenza dello spirito del Paradiso nella mente dell’uomo costituisce la promessa di rivelazione e l’impegno di fede di un’esistenza eterna di progressione divina per ogni anima che cerca di raggiungere l’identità con questo frammento spirituale immortale ed interiore del Padre Universale.
(1460.3) 132:3.10 Il progresso nell’universo è caratterizzato da una libertà crescente della personalità, perché essa è associata al raggiungimento progressivo di livelli sempre più elevati di autocomprensione e di conseguente volontaria autolimitazione. Il raggiungimento della perfezione nell’autolimitazione spirituale equivale al completamento dell’indipendenza nell’universo e della libertà personale. La fede nutre e mantiene l’anima dell’uomo in mezzo alla confusione del suo orientamento iniziale in questo vasto universo, mentre la preghiera diviene la grande unificatrice delle diverse ispirazioni dell’immaginazione creativa e degli impulsi della fede di un’anima che tenta d’identificare se stessa con gli ideali spirituali della divina presenza interiore associata.
(1460.4) 132:3.11 Nabon fu grandemente impressionato da queste parole, come lo fu da ciascuno dei suoi colloqui con Gesù. Queste verità continuarono ad ardere nel suo cuore ed egli fu di grande aiuto ai predicatori del vangelo di Gesù che vennero più tardi.
(1460.5) 132:4.1 Mentre era a Roma, Gesù non dedicò tutto il suo tempo libero a questo lavoro di preparare gli uomini e le donne a divenire futuri discepoli nel regno futuro. Egli passò molto tempo ad acquisire una conoscenza intima di tutte le razze e classi di uomini che vivevano in questa città, la più grande e la più cosmopolita del mondo. In ciascuno di questi numerosi contatti umani Gesù aveva un duplice proposito: desiderava conoscere le loro reazioni alla vita che essi stavano vivendo nella carne ed aveva anche intenzione di dire o di fare qualcosa per rendere questa vita più ricca e più degna di essere vissuta. I suoi insegnamenti religiosi nel corso di queste settimane non differirono da quelli che caratterizzarono la sua vita successiva come istruttore dei dodici apostoli e predicatore alle moltitudini.
(1460.6) 132:4.2 Il tema principale del suo messaggio era sempre: il fatto dell’amore del Padre celeste e la verità della sua misericordia, uniti alla buona novella che l’uomo è figlio per fede di questo stesso Dio d’amore. La tecnica abituale di Gesù nei contatti sociali consisteva nel far parlare la gente e nel portarla a conversare con lui ponendo loro delle domande. La conversazione iniziava generalmente con lui che poneva delle domande a loro e finiva con loro che ponevano delle domande a lui. Egli era ugualmente abile nell’insegnare sia ponendo delle domande che rispondendo ad esse. Di regola, a coloro che istruiva di più diceva di meno. Coloro che traevano maggior beneficio dal suo ministero personale erano dei mortali oppressi, ansiosi e demoralizzati, che trovavano molto sollievo dall’opportunità di alleggerire la loro anima grazie ad un ascoltatore affettuoso e comprensivo, ed egli era tutto questo ed ancora di più. E quando questi esseri umani disadattati avevano parlato con Gesù delle loro afflizioni, egli era sempre in grado di offrire loro delle indicazioni pratiche e d’immediato aiuto per appianare le loro reali difficoltà, senza dimenticare di pronunciare delle parole di pronto conforto e d’immediata consolazione. Ed invariabilmente egli parlava a questi mortali afflitti dell’amore di Dio e, con diversi e svariati metodi, li informava che erano i figli di questo amorevole Padre celeste.
(1461.1) 132:4.3 In questo modo, durante il suo soggiorno a Roma, Gesù entrò personalmente in contatto affettuoso e vivificante con più di cinquecento mortali del regno. Egli pervenne in tal modo ad una conoscenza delle differenti razze dell’umanità che non avrebbe mai potuto acquisire a Gerusalemme e nemmeno ad Alessandria. Egli considerò sempre questi sei mesi come uno dei periodi più produttivi ed istruttivi della sua vita terrena.
(1461.2) 132:4.4 Come si può immaginare, un uomo talmente versatile ed intraprendente non poteva vivere così per sei mesi nella metropoli del mondo senza essere avvicinato da numerose persone desiderose di assicurarsi i suoi servizi per certi affari o, più spesso, per dei progetti d’insegnamento, di riforme sociali o di movimenti religiosi. Egli ricevette più di una dozzina di tali proposte ed utilizzò ciascuna di esse come un’opportunità per trasmettere dei pensieri di elevazione spirituale con parole accuratamente scelte o mediante un servizio gentile. Gesù amava molto fare qualcosa — anche di poca importanza — per ogni sorta di persone.
(1461.3) 132:4.5 Egli parlò con un senatore romano di politica e di governo, e quest’unico contatto con Gesù fece una tale impressione su questo legislatore che passò il resto della sua vita cercando vanamente d’indurre i suoi colleghi a cambiare il corso della politica corrente dall’idea di un governo che sostiene ed alimenta il popolo a quella di un popolo che sostiene il governo. Gesù passò una serata con un ricco proprietario di schiavi; parlò dell’uomo quale figlio di Dio ed il giorno seguente quest’uomo di nome Claudio concesse la libertà a centodiciassette schiavi. Egli andò a cena da un medico greco e gli disse che i suoi pazienti avevano una mente e un’anima oltre al corpo, e portò così questo abile medico a sforzarsi di svolgere un servizio più profondo verso i suoi simili. Egli parlò con ogni sorta di persone di ogni condizione sociale. Il solo posto di Roma che non visitò furono i bagni pubblici. Egli rifiutò di accompagnare i suoi amici ai bagni a causa della promiscuità dei sessi che vi regnava.
(1461.4) 132:4.6 Ad un soldato romano, mentre camminavano lungo il Tevere, egli disse: “Sii valoroso di cuore quanto di mano. Abbi il coraggio di fare giustizia e sii grande a sufficienza da mostrare misericordia. Obbliga la tua natura inferiore ad obbedire alla tua natura superiore come tu obbedisci ai tuoi superiori. Riverisci la bontà ed esalta la verità. Scegli il bello al posto del laido. Ama il tuo prossimo e cerca Dio con tutto il tuo cuore, perché Dio è tuo Padre nei cieli.”
(1461.5) 132:4.7 Ad un oratore del foro egli disse: “La tua eloquenza è piacevole, la tua logica è ammirevole, la tua voce è gradevole, ma il tuo insegnamento non è conforme alla verità. Se solo tu potessi godere dell’ispirante soddisfazione di conoscere Dio come tuo Padre spirituale, allora potresti impiegare la tua capacità di parola per liberare i tuoi simili dalla servitù delle tenebre e dalla schiavitù dell’ignoranza.” Questo era quel Marco che ascoltò Pietro predicare a Roma e divenne il suo successore. Quando crocifissero Simon Pietro, fu quest’uomo che sfidò i persecutori romani e continuò coraggiosamente a predicare il nuovo vangelo.
(1462.1) 132:4.8 Incontrando un pover’uomo che era stato falsamente accusato, Gesù lo accompagnò davanti al magistrato, ed essendogli stato accordato il permesso speciale di comparire in sua vece, fece quel superbo discorso nel quale disse: “La giustizia fa grande una nazione, e più grande è una nazione più sarà preoccupata di fare in modo che l’ingiustizia non colpisca nemmeno il suo cittadino più umile. Guai alla nazione in cui solo coloro che posseggono denaro ed influenza possono ottenere prontamente giustizia davanti ai suoi tribunali! È sacro dovere di un magistrato assolvere l’innocente quanto punire il colpevole. Il perdurare di una nazione dipende dall’imparzialità, dall’equità e dall’integrità dei suoi tribunali. Il governo civile è fondato sulla giustizia, come la vera religione è fondata sulla misericordia.” Il giudice riconsiderò il caso, e dopo aver vagliato le testimonianze liberò l’imputato. Tra tutte le attività di Gesù durante questo periodo di ministero personale, questo avvenimento fu quello più vicino ad una comparizione in pubblico.
(1462.2) 132:5.1 Un uomo ricco, cittadino romano e stoico, divenne molto interessato agli insegnamenti di Gesù, al quale era stato presentato da Angamon. Dopo molti colloqui intimi, questo ricco cittadino chiese a Gesù che cosa farebbe con la ricchezza se la possedesse, e Gesù gli rispose: “Dedicherei la ricchezza materiale all’elevazione del livello di vita materiale, come offrirei la mia conoscenza, la mia saggezza ed il mio servizio spirituale per l’arricchimento della vita intellettuale, per la nobilitazione della vita sociale e per il progresso della vita spirituale. Amministrerei la ricchezza materiale come un saggio ed efficiente depositario delle risorse di una generazione per il profitto e la nobilitazione delle generazioni successive.”
(1462.3) 132:5.2 Ma l’uomo ricco non fu pienamente soddisfatto dalla risposta di Gesù. Egli si azzardò a chiedere di nuovo: “Ma che cosa pensi che dovrebbe fare un uomo nella mia posizione della sua ricchezza? Dovrebbe conservarla o distribuirla?” E quando Gesù percepì che egli desiderava realmente conoscere meglio la verità sulla sua fedeltà verso Dio e sul suo dovere verso gli uomini, rispose ancora: “Mio buon amico, capisco che tu cerchi sinceramente la saggezza e che ami onestamente la verità; sono dunque disposto ad esporti il mio punto di vista sulla soluzione dei tuoi problemi concernenti le responsabilità della ricchezza. Lo faccio perché tu hai chiesto il mio consiglio, e dandoti questo parere io non mi riferisco alla ricchezza di nessun altro uomo ricco; offro questo consiglio solo a te e per la tua condotta personale. Se tu desideri onestamente considerare la tua ricchezza come un deposito fiduciario, se vuoi realmente divenire un saggio ed efficace gerente della tua ricchezza accumulata, allora ti consiglierei di fare la seguente analisi delle fonti dei tuoi beni: domandati, e fa del tuo meglio per trovare la risposta onesta, da dove proviene questa ricchezza? E per aiutarti nell’analisi delle fonti della tua grande fortuna, ti suggerirei di tenere a mente i seguenti dieci differenti metodi per accumulare ricchezze materiali:
(1462.4) 132:5.3 “1. Ricchezza ereditata — ricchezze provenienti da genitori e da altri antenati.
(1462.5) 132:5.4 “2. Ricchezza scoperta — ricchezze derivate da risorse non sfruttate della madre terra.
(1462.6) 132:5.5 “3. Ricchezza commerciale — ricchezze ottenute come equo profitto nello scambio e nel baratto di beni materiali.
(1462.7) 132:5.6 “4. Ricchezza disonesta — ricchezze derivate dallo sfruttamento iniquo o dall’asservimento dei propri simili.
(1463.1) 132:5.7 “5. Ricchezza da profitto — reddito derivato dalle possibilità di equo e giusto rendimento del capitale investito.
(1463.2) 132:5.8 “6. Ricchezza dovuta al genio — ricchezze provenienti da compensi delle doti creative ed inventive della mente umana.
(1463.3) 132:5.9 “7. Ricchezza accidentale — ricchezze derivate dalla generosità dei propri simili o aventi origine dalle circostanze della vita.
(1463.4) 132:5.10 “8. Ricchezza rubata — ricchezze ottenute con ingiustizia, disonestà, furto o frode.
(1463.5) 132:5.11 “9. Fondi in deposito fiduciario — ricchezza posta nelle tue mani dai tuoi simili per un qualche uso specifico, presente o futuro.
(1463.6) 132:5.12 “10. Ricchezza guadagnata — ricchezze derivate direttamente dal tuo lavoro personale, l’equa e giusta remunerazione dei tuoi sforzi quotidiani della mente e del corpo.
(1463.7) 132:5.13 “E così, amico mio, se vuoi essere un fedele e giusto gerente della tua grande fortuna, davanti a Dio e al servizio degli uomini, devi dividere approssimativamente la tua ricchezza in queste dieci grandi categorie, e poi procedere ad amministrare ogni porzione conformemente all’interpretazione saggia ed onesta delle leggi di giustizia, di equità, di lealtà e di vera efficacia. Tuttavia, il Dio del cielo non ti condannerà se talvolta ti sbaglierai, in situazioni dubbie, a favore della considerazione misericordiosa e disinteressata per i bisogni delle vittime sofferenti delle circostanze sfortunate della vita mortale. Quando sei in onesto dubbio circa l’equità e la giustizia di certe situazioni materiali, che le tue decisioni favoriscano coloro che sono nel bisogno, favoriscano coloro che soffrono la sfortuna di privazioni immeritate.”
(1463.8) 132:5.14 Dopo aver discusso queste materie per parecchie ore, ed in risposta alla richiesta dell’uomo ricco di ulteriori e più dettagliate istruzioni, Gesù ampliò i suoi consigli dicendo in sostanza: “Mentre ti offro nuovi suggerimenti circa il tuo comportamento nei confronti della ricchezza, ti raccomando di ricevere il mio consiglio come dato soltanto a te e per la tua condotta personale. Io parlo solo per me stesso ed a te come ad un amico che m’interroga. Ti supplico di non diventare un suggeritore del modo in cui altri uomini ricchi dovranno considerare la loro ricchezza. Io ti consiglierei:
(1463.9) 132:5.15 “1. Come gerente di una ricchezza ereditata dovresti considerare le sue fonti. Tu sei moralmente obbligato a rappresentare la generazione passata nella trasmissione onesta di una ricchezza legittima alle generazioni successive dopo averne dedotto un’equa percentuale a beneficio della generazione presente. Ma non sei obbligato a perpetuare una disonestà o un’ingiustizia implicate nell’accumulo iniquo di una ricchezza da parte dei tuoi antenati. Ciascuna parte della tua ricchezza ereditata che si riveli proveniente da frodi o da ingiustizie, puoi rimborsarla conformemente alle tue convinzioni di giustizia, di generosità e di riparazione. Il resto della tua ricchezza legittimamente ereditata puoi usarlo con equità e trasmetterlo senza timore come amministratore fiduciario di una generazione a favore della seguente. Una saggia discriminazione ed un sano giudizio dovrebbero dettare le tue decisioni circa il lascito di ricchezze ai tuoi successori.
(1463.10) 132:5.16 “2. Ogni persona che gode di una ricchezza proveniente da scoperte dovrebbe ricordarsi che ogni individuo può vivere sulla terra solo per un breve periodo e dovrebbe, perciò, prendere adeguate disposizioni per la ripartizione di queste scoperte in modo che siano di utilità al maggior numero possibile di suoi simili. Mentre lo scopritore non dovrebbe vedersi rifiutare ogni ricompensa per gli sforzi della scoperta, non dovrebbe pretendere egoisticamente di arrogarsi tutti i vantaggi ed i benefici derivanti dalla scoperta di risorse accumulate dalla natura.
(1464.1) 132:5.17 “3. Fintantoché gli uomini scelgono di condurre gli affari del mondo per mezzo del commercio e dello scambio, hanno il diritto ad un equo e legittimo profitto. Ogni commerciante merita una remunerazione per i suoi servizi; il mercante ha diritto alla sua ricompensa. L’equità del commercio ed il trattamento onesto accordati ai propri simili negli affari organizzati del mondo creano molti differenti tipi di ricchezza da profitto, e tutte queste fonti di ricchezza devono essere giudicate secondo i più alti principi di giustizia, di onestà e di equità. Il commerciante onesto non deve esitare a trarre lo stesso profitto che accorderebbe di buon grado ad un suo simile in una transazione analoga. Mentre questo tipo di ricchezza non è identico al reddito da lavoro individuale quando i rapporti d’affari sono condotti su larga scala, allo stesso tempo tale ricchezza accumulata onestamente conferisce al suo possessore un diritto considerevole di avere voce propria nella successiva distribuzione.
(1464.2) 132:5.18 “4. Nessun mortale che conosce Dio e che cerca di fare la volontà divina può abbassarsi ad esercitare delle oppressioni per mezzo della ricchezza. Nessun uomo nobile si sforzerà di accumulare delle ricchezze e di ammassare una potenza finanziaria per mezzo della schiavitù o dello sfruttamento iniquo dei suoi fratelli nella carne. Le ricchezze sono una maledizione morale ed uno stigma spirituale quando sono derivate dal sudore dell’uomo mortale oppresso. Ogni fortuna di tal genere dovrebbe essere restituita a coloro che sono stati in tal modo derubati o ai loro figli e ai figli dei loro figli. Una civiltà durevole non può essere costruita sulla pratica consistente nel defraudare il lavoratore del suo salario.
(1464.3) 132:5.19 “5. La ricchezza onesta ha diritto ad un interesse. Fino a quando gli uomini prenderanno a prestito e presteranno può essere riscosso un interesse equo purché il capitale prestato sia una ricchezza legittima. Pulisci il tuo capitale prima di pretendere degli interessi. Non divenire meschino e avido al punto da abbassarti a praticare l’usura. Non permettere mai a te stesso di essere così egoista da impiegare il potere del denaro per acquisire un vantaggio ingiusto sui tuoi simili che si dibattono nelle difficoltà. Non cedere alla tentazione di esigere degli interessi da usuraio da un tuo fratello in difficoltà finanziarie.
(1464.4) 132:5.20 “6. Se ti capita di ottenere una ricchezza da colpi di genio, se le tue ricchezze sono derivate dalla ricompensa delle tue doti inventive, non reclamare una porzione ingiusta di questa ricompensa. Il genio è debitore di qualcosa tanto ai suoi antenati che alla sua progenie; allo stesso tempo egli è in obbligo verso la razza, la nazione e le circostanze delle sue scoperte inventive; dovrebbe anche ricordare che è stato come uomo tra gli uomini che ha messo a punto ed effettuato le sue invenzioni. Sarebbe egualmente ingiusto privare il genio di ogni suo incremento di ricchezza. E sarà sempre impossibile per gli uomini stabilire delle leggi e dei regolamenti equamente applicabili a tutti questi problemi di giusta distribuzione della ricchezza. Tu devi in primo luogo riconoscere gli uomini come tuoi fratelli, e se desideri onestamente trattarli come vorresti essere trattato tu, i precetti ordinari di giustizia, di onestà e di equità ti guideranno nella soluzione giusta ed imparziale di tutti i problemi ricorrenti delle remunerazioni economiche e della giustizia sociale.
(1464.5) 132:5.21 “7. Salvo che per i compensi giusti e legittimi guadagnati nell’amministrazione dei propri beni, nessun uomo dovrebbe avanzare delle pretese personali sulla ricchezza che il tempo e l’occasione possono aver messo nelle sue mani. Le ricchezze accidentali dovrebbero essere considerate un po’ come un deposito fiduciario da spendere a beneficio del proprio gruppo sociale o economico. I possessori di tale ricchezza dovrebbero avere la voce maggiore nella determinazione della saggia ed efficace distribuzione di queste risorse non guadagnate. Gli uomini civilizzati cesseranno un giorno di considerare tutto quello che controllano come loro proprietà personale e privata.
(1465.1) 132:5.22 “8. Se una parte della tua fortuna è stata intenzionalmente derivata da frode, se qualcosa della tua ricchezza è stata accumulata con pratiche disoneste o metodi iniqui, se le tue ricchezze sono il prodotto di comportamenti ingiusti con i tuoi simili, affrettati a restituire tutti questi guadagni malamente acquisiti ai loro legittimi proprietari. Fa piena ammenda e depura così la tua fortuna da tutte le ricchezze disoneste.
(1465.2) 132:5.23 “9. La gestione della ricchezza da parte di una persona per conto di altri è una responsabilità solenne e sacra. Non rischiare e non mettere in pericolo questo deposito fiduciario. Prendi per te di ogni deposito solo quello che tutti gli uomini onesti dedurrebbero.
(1465.3) 132:5.24 “10. Quella parte della tua fortuna che rappresenta i guadagni dei tuoi sforzi mentali e fisici — se il tuo lavoro è stato fatto con lealtà ed equità — è veramente tua. Nessuno può contestare il tuo diritto di possedere e di utilizzare questa ricchezza come ritieni opportuno, posto che l’esercizio di questo diritto non rechi danno ai tuoi simili.”
(1465.4) 132:5.25 Quando Gesù ebbe finito di consigliarlo, questo ricco Romano si alzò dal suo divano ed augurando la buona notte a Gesù gli fece questa promessa: “Mio buon amico, percepisco che sei un uomo di grande saggezza e bontà, e domani comincerò ad amministrare tutti i miei beni conformemente al tuo consiglio.”
(1465.5) 132:6.1 Qui a Roma avvenne anche quel toccante episodio in cui il Creatore di un universo trascorse alcune ore per restituire un figlio perduto a sua madre in ansia. Questo fanciullo si era smarrito lontano da casa e Gesù lo trovò che piangeva disperato. Egli e Ganid si stavano recando in biblioteca, ma si occuparono di ricondurre a casa il ragazzo. Ganid non si dimenticò mai il commento di Gesù: “Sai, Ganid, la maggior parte degli esseri umani assomiglia a questo ragazzo smarrito. Essi spendono molto del loro tempo a piangere nel timore e a soffrire nella tristezza quando, in realtà, si trovano a pochissima distanza dalla salvezza e dalla sicurezza, proprio come questo ragazzo era soltanto poco lontano da casa. Tutti coloro che conoscono la via della verità e godono della certezza di conoscere Dio dovrebbero considerare un privilegio, e non un dovere, offrire consiglio ai loro simili nei loro sforzi per trovare le soddisfazioni della vita. Non abbiamo noi provato una gioia suprema nel restituire il ragazzo a sua madre? Allo stesso modo coloro che conducono gli uomini a Dio sperimentano la soddisfazione suprema di servire l’umanità.” Ed a partire da quel giorno e per il resto della sua vita naturale Ganid fu continuamente alla ricerca di figli perduti da ricondurre alle loro case.
(1465.6) 132:6.2 Ci fu la vedova con cinque figli il cui marito era stato accidentalmente ucciso. Gesù raccontò a Ganid che anche lui aveva perso suo padre in un incidente, ed essi andarono molte volte a confortare questa madre ed i suoi figli, mentre Ganid chiese del denaro a suo padre per fornire loro viveri e vestiario. Essi non cessarono i loro sforzi prima di aver trovato un impiego per il primogenito in modo che potesse contribuire al mantenimento della famiglia.
(1465.7) 132:6.3 Quella sera, mentre ascoltava il racconto di queste esperienze, Gonod disse benevolmente a Gesù: “Io mi propongo di fare di mio figlio uno studioso o un uomo d’affari ed ora tu cominci a farne un filosofo o un filantropo.” E Gesù rispose sorridendo: “Forse faremo di lui tutti e quattro; egli potrà allora godere di una quadrupla soddisfazione nella vita perché il suo orecchio destinato a riconoscere la melodia umana sarà capace di discernere quattro toni invece di uno.” Allora Gonod disse: “Percepisco che sei veramente un filosofo. Devi scrivere un libro per le generazioni future.” E Gesù rispose: “Non un libro — la mia missione è di vivere una vita in questa generazione e per tutte le generazioni. Io — ”ma si fermò, dicendo a Ganid: “Figlio mio, è ora di ritirarci.”
(1466.1) 132:7.1 Gesù, Gonod e Ganid fecero cinque viaggi partendo da Roma verso punti interessanti del territorio circostante. Nella loro visita ai laghi dell’Italia del nord, Gesù ebbe un lungo colloquio con Ganid sull’impossibilità d’istruire un uomo su Dio se l’uomo non desidera conoscere Dio. Essi avevano incontrato casualmente un pagano ottuso mentre viaggiavano verso i laghi, e Ganid fu sorpreso dal fatto che Gesù non seguì il suo metodo abituale di coinvolgere l’uomo in una conversazione che avesse portato naturalmente a discutere di questioni spirituali. Quando Ganid chiese al suo precettore perché dimostrasse così poco interesse verso questo pagano, Gesù rispose:
(1466.2) 132:7.2 Ganid, l’uomo non aveva fame di verità. Egli non era insoddisfatto di se stesso. Non era pronto a chiedere aiuto e gli occhi della sua mente non erano aperti per ricevere luce per l’anima. Quest’uomo non era maturo per il raccolto della salvezza; gli deve essere concesso più tempo perché le prove e le difficoltà della vita lo preparino a ricevere la saggezza ed una conoscenza superiore. Oppure, se potessimo portarlo a vivere con noi, potremmo mostrargli con il nostro modo di vivere il Padre che è nei cieli, e sarebbe perciò talmente attratto dal nostro vivere come figli di Dio da essere costretto ad informarsi su nostro Padre. Non si può rivelare Dio a coloro che non lo cercano; non si possono condurre delle anime reticenti alle gioie della salvezza. L’uomo deve divenire assetato di verità a seguito delle esperienze della vita, o deve desiderare di conoscere Dio in conseguenza del contatto con la vita di coloro che conoscono il Padre divino prima che un altro essere umano possa agire come intermediario per condurre un tale mortale al Padre celeste. Se noi conosciamo Dio, la nostra vera occupazione sulla terra consiste nel vivere in modo da permettere al Padre di rivelarsi nella nostra vita, e così tutte le persone che cercano Dio vedranno il Padre e chiederanno il nostro aiuto per saperne di più sul Dio che trova in questo modo espressione nella nostra vita.”
(1466.3) 132:7.3 Fu in montagna, nel corso della loro visita in Svizzera, che Gesù ebbe con il padre ed il figlio una conversazione di un’intera giornata sul Buddismo. Ganid aveva posto molte volte a Gesù delle domande dirette su Budda, ma aveva sempre ricevuto delle risposte più o meno evasive. Quel giorno, in presenza del figlio, il padre pose a Gesù una domanda diretta su Budda e ricevette una risposta diretta. Gonod disse: “Vorrei realmente sapere che cosa pensi di Budda.” E Gesù rispose:
(1466.4) 132:7.4 “Il vostro Budda fu molto meglio del vostro Buddismo. Budda fu un grande uomo ed anche un profeta per il suo popolo, ma fu un profeta orfano; voglio dire con ciò che ben presto egli perse di vista suo Padre spirituale, il Padre celeste. La sua esperienza fu tragica. Egli cercò di vivere e d’insegnare come un messaggero di Dio, ma senza Dio. Budda diresse la sua nave di salvezza verso il porto sicuro, verso l’entrata del porto di salvezza dei mortali, e là, a causa di carte di navigazione sbagliate, la bella nave si arenò. Là è rimasta per numerose generazioni, immobile e quasi irrimediabilmente incagliata. E su questa nave sono rimasti molti dei vostri compatrioti per tutti questi anni. Essi vivono a brevissima distanza dalle acque sicure del porto, ma rifiutano di entrarvi perché la nobile imbarcazione del buon Budda ha avuto la sfortuna di arenarsi appena fuori del porto. Ed i popoli buddisti non entreranno mai in questa rada a meno di abbandonare la nave filosofica del loro profeta e di cogliere il suo nobile spirito. Se il vostro popolo fosse rimasto fedele allo spirito di Budda, voi sareste entrati da molto tempo nel vostro porto della tranquillità dello spirito, del riposo dell’anima e della certezza della salvezza.
(1467.1) 132:7.5 “Vedi Gonod, Budda ha conosciuto Dio in spirito, ma non è riuscito a scoprirlo chiaramente nella mente; gli Ebrei hanno scoperto Dio nella mente, ma hanno mancato in larga misura di conoscerlo in spirito. Oggi i Buddisti si dibattono in una filosofia senza Dio, mentre il mio popolo è miseramente schiavo del timore di un Dio senza una filosofia salvifica di vita e di libertà. Voi avete una filosofia senza un Dio; gli Ebrei hanno un Dio, ma sono largamente privi di una filosofia di vita a lui connessa. Non avendo una visione di Dio come spirito e come Padre, Budda non è riuscito a portare nel suo insegnamento l’energia morale e la potenza di guida spirituale che una religione deve possedere se deve cambiare una razza ed elevare una nazione.”
(1467.2) 132:7.6 Allora Ganid esclamò: “Maestro, istituiamo tu ed io una nuova religione che sia abbastanza buona per l’India ed abbastanza grande per Roma, e forse potremo proporla agli Ebrei al posto di Yahweh.” E Gesù rispose: “Ganid, le religioni non si fanno. Le religioni degli uomini si sviluppano nel corso di lunghi periodi, mentre le rivelazioni di Dio sfolgorano sulla terra nella vita degli uomini che rivelano Dio ai loro simili.” Ma essi non compresero il significato di queste parole profetiche.
(1467.3) 132:7.7 Quella notte, dopo che si furono coricati, Ganid non riuscì a dormire. Egli parlò a lungo con suo padre e alla fine disse: “Sai, padre, talvolta penso che Joshua sia un profeta.” E suo padre rispose soltanto con tono assonnato: “Figlio mio, ce ne sono altri — .”
(1467.4) 132:7.8 A partire da questo giorno e per il resto della sua vita naturale Ganid continuò ad elaborare una religione propria. Egli era potentemente stimolato nella sua mente dalla larghezza di vedute, dall’equità e dalla tolleranza di Gesù. In tutte le loro discussioni di filosofia e di religione questo giovane non provò mai sentimenti di rancore o reazioni di antagonismo.
(1467.5) 132:7.9 Quale scena, per le intelligenze celesti, contemplare questo spettacolo del ragazzo indiano che propone al Creatore di un universo d’istituire insieme una nuova religione! E benché il giovane non lo sapesse, essi stavano istituendo proprio in quel momento una religione nuova ed eterna — questa nuova via di salvezza, la rivelazione di Dio all’uomo tramite Gesù ed in Gesù. Quello che il ragazzo desiderava maggiormente fare inconsciamente lo stava facendo davvero. Ed è stato, ed è, sempre così. Quello che l’immaginazione umana illuminata e riflessiva, spiritualmente istruita e spontaneamente e disinteressatamente guidata, desidera fare ed essere, diviene proporzionalmente creativo in rapporto al grado di consacrazione del mortale a compiere divinamente la volontà del Padre. Quando l’uomo si associa a Dio, grandi cose possono accadere, ed accadono.
(1468.1) 133:0.1 PREPARANDOSI a lasciare Roma, Gesù non salutò nessuno dei suoi amici. Lo Scriba di Damasco apparve a Roma senza annuncio e scomparve allo stesso modo. Ci volle un anno intero prima che coloro che lo conobbero e lo amarono rinunciassero a sperare di vederlo ancora. Prima della fine del secondo anno piccoli gruppi di coloro che l’avevano conosciuto si riunirono spinti dal loro comune interesse per i suoi insegnamenti e dal loro mutuo ricordo dei bei momenti trascorsi con lui. E questi piccoli gruppi di Stoici, di Cinici e di seguaci dei culti dei misteri continuarono a tenere queste riunioni sporadiche ed ufficiose fino a quando apparvero a Roma i primi predicatori della religione cristiana.
(1468.2) 133:0.2 Gonod e Ganid avevano acquistato così tante cose ad Alessandria e a Roma che inviarono tutti i loro bagagli in anticipo a Taranto con un convoglio di animali da soma, mentre i tre viaggiatori attraversarono senza fretta l’Italia a piedi percorrendo la grande Via Appia. Nel corso di questo viaggio essi incontrarono ogni sorta di esseri umani. Molti nobili cittadini romani e coloni greci vivevano lungo questa strada, ma già la progenie di un gran numero di schiavi di livello inferiore cominciava a fare la sua apparizione.
(1468.3) 133:0.3 Un giorno, mentre sostavano per il pranzo circa a metà strada da Taranto, Ganid pose a Gesù una domanda diretta su che cosa pensasse del sistema di caste dell’India. Gesù disse: “Benché gli esseri umani differiscano per molti aspetti l’uno dall’altro, davanti a Dio e nel mondo spirituale tutti i mortali si trovano in una posizione d’uguaglianza. Ci sono soltanto due gruppi di mortali agli occhi di Dio: quelli che desiderano fare la sua volontà e quelli che non lo desiderano. Quando l’universo osserva un mondo abitato, discerne similmente due grandi classi: quelli che conoscono Dio e quelli che non lo conoscono. Quelli che non possono conoscere Dio sono annoverati tra gli animali di ciascun dato regno. L’umanità può giustamente essere suddivisa in numerose classi secondo le differenti qualifiche, perché può essere considerata dal punto di vista fisico, mentale, sociale, professionale o morale, ma queste differenti classi di mortali, quando appaiono davanti al tribunale di Dio, si trovano su un piano d’uguaglianza; Dio non fa veramente eccezione di persone. Sebbene non si possa evitare il riconoscimento di differenti capacità e dotazioni umane nel campo intellettuale, sociale e morale, non bisognerebbe fare tali distinzioni nella fratellanza spirituale degli uomini quando sono riuniti per l’adorazione in presenza di Dio.”
(1468.4) 133:1.1 Un incidente molto interessante accadde un pomeriggio ai bordi della strada mentre si stavano avvicinando a Taranto. Essi videro un giovane rozzo e prepotente che aggrediva un ragazzo più piccolo. Gesù si affrettò ad aiutare il giovane assalito, e quando l’ebbe liberato, tenne saldamente fermo l’aggressore fino a quando il piccolo fu scappato. Appena Gesù lasciò il giovane prepotente, Ganid si scagliò su di lui e cominciò a percuoterlo energicamente, e con grande sorpresa di Ganid, Gesù intervenne prontamente. Dopo che ebbe frenato Ganid e permesso al ragazzo spaventato di fuggire, il giovane, appena riprese fiato, gridò tutto agitato: “Non riesco a capirti Maestro. Se la misericordia richiede che tu liberi il ragazzo più piccolo, la giustizia non richiede la punizione del giovane più grande e colpevole?” In risposta, Gesù disse:
(1469.1) 133:1.2 “Ganid, è vero, tu non capisci. Il ministero della misericordia è sempre opera dell’individuo, mentre la punizione della giustizia è funzione dei gruppi amministrativi della società, del governo o dell’universo. In quanto individuo sono tenuto a mostrare misericordia; io dovevo andare in aiuto del ragazzo assalito, ed in tutta coerenza posso usare la forza sufficiente per bloccare l’aggressore. E questo è esattamente ciò che ho fatto. Ho liberato il ragazzo assalito; qui finiva il ministero di misericordia. Poi ho trattenuto con forza l’aggressore abbastanza a lungo da consentire alla parte più debole della contesa di fuggire, dopodiché mi sono ritirato dalla faccenda. Io non mi sono messo a giudicare l’aggressore, valutando così i suoi motivi — a definire tutto quello che aveva a che fare con l’attacco al suo simile — e poi ad incaricarmi d’infliggere la punizione che la mia mente poteva indicare come giusta riparazione per la sua cattiva azione. Ganid, la misericordia può essere prodiga, ma la giustizia è precisa. Non puoi discernere che non esistono due persone in grado di mettersi d’accordo sulla punizione che soddisferebbe le esigenze della giustizia? Una imporrebbe quaranta colpi di frusta, un’altra venti, mentre un’altra ancora raccomanderebbe la reclusione come giusta punizione. Non vedi che su questo mondo è meglio che tali responsabilità ricadano sulla collettività o che siano amministrate da rappresentanti scelti dalla collettività? Nell’universo il giudizio è riservato a coloro che conoscono pienamente gli antecedenti di tutti i misfatti come pure le loro motivazioni. In una società civilizzata ed in un universo organizzato, l’amministrazione della giustizia presuppone la pronuncia di una sentenza giusta conseguente ad un giudizio equo, e tali prerogative sono assegnate ai gruppi giudiziari dei mondi ed agli amministratori onniscienti degli universi superiori di tutta la creazione.”
(1469.2) 133:1.3 Essi parlarono per giorni su questo problema di come manifestare la misericordia ed amministrare la giustizia. E Ganid comprese, almeno in una certa misura, perché Gesù non volle impegnarsi in uno scontro personale. Ma Ganid fece un’ultima domanda per la quale non ricevette mai una risposta del tutto soddisfacente; e quella domanda era: “Ma, Maestro, se una creatura più forte ed irritabile ti attaccasse e minacciasse di ucciderti, che cosa faresti? Non faresti alcun sforzo per difenderti?” Sebbene Gesù non potesse rispondere in maniera completa e soddisfacente alla domanda del giovane, in quanto non voleva rivelargli che lui (Gesù) stava vivendo sulla terra per dare l’esempio dell’amore del Padre del Paradiso ad un universo che l’osservava, disse tuttavia questo:
(1469.3) 133:1.4 “Ganid, comprendo bene come alcuni di questi problemi ti lascino perplesso e mi sforzerò di rispondere alla tua domanda. In primo luogo, in ogni attacco portato alla mia persona io determinerei se l’aggressore è o no un figlio di Dio — mio fratello nella carne — e se stimassi che questa creatura non possiede un giudizio morale ed una ragione spirituale, mi difenderei senza esitazione fino al limite della mia forza di resistenza, senza preoccuparmi delle conseguenze per l’aggressore. Ma non attaccherei così un mio simile con status di filiazione, anche in caso di legittima difesa. In altre parole, non lo punirei in anticipo e senza giudizio per avermi aggredito. Cercherei in tutti i modi possibili di prevenirlo e di dissuaderlo dal compiere tale attacco e di mitigare questo nel caso non riuscissi ad impedirlo. Ganid, io ho una fiducia assoluta nella sorveglianza di mio Padre che è nei cieli; io sono consacrato a fare la volontà di mio Padre che è nei cieli. Non credo che mi possa capitare un danno reale; non credo che l’opera della mia vita possa realmente essere messa in pericolo da un qualunque mio nemico che desideri colpirmi, e certamente non dobbiamo temere alcuna violenza da parte dei nostri amici. Io sono assolutamente convinto che l’universo intero è ben disposto nei miei confronti — e continuo a credere a questa verità onnipotente con una fiducia sincera malgrado tutte le apparenze contrarie.”
(1470.1) 133:1.5 Ma Ganid non fu interamente soddisfatto. Essi discussero molte volte su questi argomenti, e Gesù raccontò alcune delle sue esperienze d’infanzia ed anche di Giacobbe, il figlio del tagliapietre. Sentendo come Giacobbe si era eretto a difensore di Gesù, Ganid disse: “Oh, comincio a capire! Innanzitutto molto di rado un essere umano normale desidererebbe attaccare una persona mite come te, ed anche se qualcuno fosse così avventato da farlo è quasi certo che vi sarebbe vicino qualche altro che si precipiterebbe in tuo aiuto, come tu stesso vai sempre in soccorso di ogni persona che vedi in difficoltà. Nel mio cuore, Maestro, io sono d’accordo con te, ma nella mia testa penso ancora che se fossi stato Giacobbe avrei provato piacere a punire quegli individui violenti che pretendevano di attaccarti semplicemente perché credevano che non ti saresti difeso. Io immagino che tu sia abbastanza sicuro nel tuo viaggio attraverso la vita perché passi molto del tuo tempo ad aiutare gli altri ed a soccorrere i tuoi simili in difficoltà — ebbene, è molto probabile che ci sarà sempre qualcuno pronto a difenderti.” E Gesù rispose: “Questa prova non è ancora arrivata, Ganid, e quando verrà ci conformeremo alla volontà del Padre.” Questo fu quasi tutto quello che il giovane riuscì a tirare fuori dal suo precettore su questo difficile argomento dell’autodifesa e della non resistenza. In un’altra occasione egli ottenne da Gesù l’opinione che la società organizzata aveva ogni diritto d’impiegare la forza nell’esecuzione dei suoi giusti mandati.
(1470.2) 133:2.1 Mentre si attardavano al punto di attracco, aspettando che il battello scaricasse il proprio carico, i tre viaggiatori notarono un uomo che maltrattava sua moglie. Com’era sua abitudine, Gesù intervenne in aiuto della persona soggetta all’attacco. Egli avanzò dietro al marito adirato, e battendogli gentilmente sulla spalla gli disse: “Amico mio, posso parlare con te in privato per un momento?” L’uomo in collera rimase sconcertato da un simile approccio e, dopo un momento d’imbarazzante esitazione, balbettò — “eh — perché — sì, che cosa vuoi da me?” Dopo che Gesù l’ebbe condotto in disparte, disse: “Amico mio, percepisco che deve esserti accaduto qualcosa di terribile; io desidero vivamente che tu mi racconti che cosa è potuto accadere ad un uomo forte come te per portarlo ad aggredire sua moglie, la madre dei suoi figli, e proprio qui davanti agli occhi di tutti. Sono certo che devi supporre di avere qualche buona ragione per questo attacco. Che cosa ha fatto tua moglie per meritare un simile trattamento da parte di suo marito? Guardandoti credo di discernere sul tuo viso l’amore per la giustizia se non il desiderio di mostrare misericordia. Mi azzardo a dire che, se tu mi avessi trovato ai bordi della strada, attaccato dai predoni, ti saresti precipitato senza esitazione in mio soccorso. Oso affermare che tu hai compiuto molti di questi atti di coraggio nel corso della tua vita. Ora, amico mio, dimmi di che cosa si tratta? Tua moglie ha fatto qualcosa di male, oppure hai scioccamente perso la testa e l’hai insensatamente aggredita?” Non fu tanto ciò che disse Gesù che toccò il cuore di quest’uomo, quanto lo sguardo benevolo ed il sorriso cordiale con cui si rivolse a lui a conclusione delle sue osservazioni. L’uomo disse: “Percepisco che sei un sacerdote dei Cinici e ti sono riconoscente per avermi frenato. Mia moglie non ha fatto granché di male; è una buona moglie, ma mi irrita il modo in cui mi critica in pubblico, ed io perdo le staffe. Sono dispiaciuto per la mia mancanza di autocontrollo e prometto di cercare di tener fede all’impegno preso con uno dei tuoi fratelli che mi aveva insegnato la via migliore molti anni fa. Te lo prometto.”
(1471.1) 133:2.2 Ed allora, dicendogli addio, Gesù disse: “Fratello mio, ricorda sempre che l’uomo non ha alcuna autorità legittima sulla donna, a meno che la donna non gli abbia spontaneamente e volontariamente dato tale autorità. Tua moglie si è impegnata a vivere con te, ad aiutarti a combattere le battaglie della vita e ad assumere la parte maggiore del fardello consistente nel mettere al mondo e nell’allevare i tuoi figli; ed a compenso di questo servizio speciale è semplicemente equo che essa riceva da te quella protezione speciale che l’uomo può dare alla moglie quale compagna che deve portare, mettere al mondo e nutrire i figli. Le cure affettuose e la considerazione che un uomo è disposto a concedere a sua moglie ed ai suoi figli indicano la misura in cui quell’uomo ha raggiunto i livelli superiori dell’autocoscienza creativa e spirituale. Non sai che gli uomini e le donne sono i partner di Dio per il fatto che cooperano alla creazione degli esseri che crescono fino a possedere il potenziale di anime immortali? Il Padre che è nei cieli tratta lo Spirito Madre dei figli dell’universo come un uguale a se stesso. È essere simile a Dio condividere la tua vita, e tutto ciò che vi si riferisce, in termini uguali con la madre e compagna che condivide così pienamente con te questa esperienza divina di riprodurre voi stessi nella vita dei vostri figli. Se solo puoi amare i tuoi figli come Dio ama te, amerai ed avrai cara tua moglie come il Padre nei cieli onora ed esalta lo Spirito Infinito, la madre di tutti i figli spirituali di un vasto universo.”
(1471.2) 133:2.3 Appena saliti a bordo del battello, essi si volsero a guardare la scena della coppia che, con le lacrime agli occhi, si teneva silenziosamente abbracciata. Avendo udito l’ultima parte del messaggio di Gesù all’uomo, Gonod passò tutta la giornata a meditare sull’argomento e risolse di riorganizzare la sua famiglia al suo ritorno in India.
(1471.3) 133:2.4 Il viaggio verso Nicopoli fu piacevole ma lento perché il vento non era favorevole. I tre trascorsero molte ore a raccontare le loro esperienze a Roma e a ricordare tutto ciò che era loro accaduto dopo il primo incontro a Gerusalemme. Ganid era permeato dello spirito di ministero personale. Egli cominciò ad esercitarlo sul cambusiere, ma al secondo giorno, quando entrò nelle acque profonde della religione, chiese a Joshua di aiutarlo a trarsi d’impaccio.
(1471.4) 133:2.5 Essi trascorsero parecchi giorni a Nicopoli, la città fondata da Augusto una cinquantina di anni prima come “città della vittoria” per commemorare la battaglia di Azio, essendo questo il luogo dove egli si era accampato con il suo esercito prima della battaglia. Essi alloggiarono nella casa di un certo Geremia, un proselito greco della fede ebraica che avevano incontrato a bordo. L’apostolo Paolo passò tutto l’inverno con il figlio di Geremia in questa stessa casa nel corso del suo terzo viaggio missionario. Da Nicopoli essi fecero vela sullo stesso battello per Corinto, capitale della provincia romana di Acaia.
(1471.5) 133:3.1 Dal momento del loro arrivo a Corinto, Ganid cominciò ad interessarsi molto della religione ebraica. Non vi fu niente di strano, quindi, che un giorno, passando davanti alla sinagoga e vedendo la gente entrarvi, chiedesse a Gesù di condurlo alla funzione. Quel giorno essi ascoltarono un dotto rabbino parlare sul “Destino d’Israele”, e dopo il servizio incontrarono un certo Crispo, il principale dirigente di questa sinagoga. Essi tornarono molte volte ad assistere ai servizi della sinagoga, ma soprattutto per incontrare Crispo. Ganid si affezionò molto a Crispo, a sua moglie e alla loro famiglia di cinque figli. Egli si divertì molto ad osservare come un Ebreo conduceva la sua vita di famiglia.
(1472.1) 133:3.2 Mentre Ganid studiava la vita di famiglia, Gesù insegnava a Crispo le vie migliori della vita religiosa. Gesù ebbe più di venti incontri con questo Ebreo lungimirante. E non ci si deve sorprendere che, anni più tardi, quando Paolo ebbe predicato in questa stessa sinagoga, e dopo che gli Ebrei ebbero respinto il suo messaggio e votato la proibizione a proseguire le sue predicazioni nella sinagoga, e dopo che egli si fu allora rivolto ai Gentili, questo Crispo, con tutta la sua famiglia, abbia abbracciato la nuova religione e sia divenuto uno dei principali sostegni della Chiesa cristiana che Paolo organizzò successivamente a Corinto.
(1472.2) 133:3.3 Durante i diciotto mesi in cui Paolo predicò a Corinto, dove fu raggiunto più tardi da Sila e da Timoteo, incontrò molte altre persone che erano state istruite dal “precettore ebreo del figlio di un mercante indiano”.
(1472.3) 133:3.4 A Corinto essi incontrarono gente di tutte le razze provenienti da tre continenti. Dopo Alessandria e Roma, questa era la città più cosmopolita dell’impero mediterraneo. C’erano molte cose che attiravano l’attenzione in questa città, e Ganid non si stancò mai di visitare la cittadella che si ergeva a quasi seicento metri sul livello del mare. Egli passò anche gran parte del suo tempo libero nella sinagoga ed in casa di Crispo. Egli fu dapprima colpito, poi affascinato, dalla condizione della donna nella famiglia ebrea; ciò fu una rivelazione per questo giovane Indiano.
(1472.4) 133:3.5 Gesù e Ganid furono spesso ospiti di un’altra famiglia ebrea, quella di Giusto, un mercante devoto, che viveva in una casa contigua alla sinagoga. E molte volte, successivamente, quando l’apostolo Paolo soggiornò in questa casa, sentì raccontare di queste visite del giovane Indiano e del suo precettore ebreo, mentre Paolo e Giusto si chiedevano che cosa fosse avvenuto di questo saggio e brillante insegnante ebreo.
(1472.5) 133:3.6 Mentre erano a Roma, Ganid aveva notato che Gesù rifiutava di accompagnarli ai bagni pubblici. Il giovane tentò più volte in seguito d’indurre Gesù ad esprimersi maggiormente riguardo alle relazioni tra i sessi. Anche se rispondeva alle domande del ragazzo, egli non sembrava mai disposto a discutere a fondo questi argomenti. Una sera, mentre passeggiavano alla periferia di Corinto vicino al luogo in cui il muro della cittadella scendeva fino al mare, essi furono avvicinati da due donne di strada. Ganid era giustamente imbevuto dell’idea che Gesù fosse un uomo di alti ideali ed aborrisse tutto ciò che riguardava l’impurità o sapeva di male; di conseguenza egli si rivolse in modo brusco a queste donne invitandole rudemente ad andarsene. Quando Gesù vide ciò, disse a Ganid: “Tu hai buone intenzioni, ma non dovresti permetterti di parlare in questo modo ai figli di Dio, anche se si tratta di suoi figli sviati. Chi siamo noi per giudicare queste donne? Conosci tu forse tutte le circostanze che le hanno portate a ricorrere a simili metodi per procurarsi da vivere? Resta qui con me mentre parliamo di queste cose.” Le prostitute furono stupite da ciò che egli disse, anche più di quanto lo fu Ganid.
(1472.6) 133:3.7 Mentre erano là al chiaro di luna, Gesù proseguì a dire: “In ogni mente umana vive uno spirito divino, dono del Padre che è nei cieli. Questo spirito buono si sforza sempre di condurci a Dio, di aiutarci a trovare Dio ed a conoscere Dio; ma nei mortali vi sono anche molte tendenze fisiche naturali che il Creatore ha posto in loro per servire al benessere dell’individuo e della razza. Ora, molto spesso, gli uomini e le donne si confondono nei loro sforzi per comprendere se stessi e per affrontare le molteplici difficoltà incontrate per guadagnarsi da vivere in un mondo così largamente dominato dall’egoismo e dal peccato. Io percepisco, Ganid, che nessuna di queste donne è volontariamente depravata. Posso dire dai loro volti che esse hanno patito molti dispiaceri; hanno molto sofferto sotto i colpi di un destino apparentemente crudele; esse non hanno scelto intenzionalmente questo tipo di vita; in uno scoraggiamento che rasentava la disperazione hanno ceduto alla pressione del momento ed hanno accettato questo modo disgustoso di guadagnarsi da vivere come modo migliore per trarsi fuori da una situazione che sembrava loro disperata. Ganid, certe persone sono realmente perverse nel loro cuore; scelgono deliberatamente di fare delle cose spregevoli. Ma dimmi, guardando ora questi visi inondati di lacrime, vedi qualcosa di cattivo o di malvagio?” Mentre Gesù aspettava la sua risposta, la voce di Ganid si soffocò balbettando: “No, Maestro, non vedo niente. E mi scuso per la mia scortesia verso di loro — imploro il loro perdono.” Allora Gesù disse: “Ed io ti dico da parte loro che esse ti hanno perdonato, come dico da parte di mio Padre che è nei cieli che egli ha perdonato loro. Ora venite tutti con me a casa di un amico dove riposeremo e faremo dei piani per una nuova e migliore vita futura.” Fino a questo momento le donne stupefatte non avevano detto una parola; esse si guardarono l’un l’altra e seguirono silenziosamente gli uomini che facevano strada.
(1473.1) 133:3.8 Immaginate la sorpresa della moglie di Giusto quando, a quest’ora tarda, Gesù apparve con Ganid e queste due straniere dicendo: “Ci perdonerai se arriviamo a quest’ora, ma Ganid ed io desideriamo mangiare un boccone e vorremmo spartirlo con queste nostre nuove amiche che hanno pure bisogno di nutrimento; ed oltre a ciò siamo venuti da te con l’idea che sarai interessata a discutere con noi il modo migliore di aiutare queste donne ad avviarsi ad una nuova professione. Esse possono raccontarti la loro storia, ma suppongo che abbiano avuto molte difficoltà, e la loro presenza stessa nella tua casa testimonia quanto seriamente esse desiderino conoscere gente per bene e quanto volentieri accetteranno l’opportunità di mostrare al mondo intero — ed anche agli angeli del cielo — quali brave e nobili donne possono diventare.”
(1473.2) 133:3.9 Quando Marta, la moglie di Giusto, ebbe servito il cibo sulla tavola, Gesù, prendendo inaspettatamente congedo da loro, disse: “È tardi, e poiché il padre del giovane ci starà aspettando, vogliate scusarci se vi lasciamo qui insieme — tre donne — le figlie dilette dell’Altissimo. Io pregherò per la vostra condotta spirituale mentre voi farete dei piani per una vita nuova e migliore sulla terra e per la vita eterna nel grande aldilà.”
(1473.3) 133:3.10 Quindi Gesù e Ganid si congedarono dalle donne. Fino ad allora le due prostitute non avevano detto nulla; anche Ganid era rimasto muto. E per qualche istante fu la stessa cosa per Marta, ma essa fu ben presto all’altezza della situazione e fece per queste straniere tutto ciò che Gesù aveva sperato facesse. La più anziana delle due donne morì poco tempo dopo con vive speranze di sopravvivenza eterna e la più giovane lavorò nella sede degli affari di Giusto e divenne più tardi membro vitalizio della prima Chiesa cristiana a Corinto.
(1473.4) 133:3.11 Nella casa di Crispo, Gesù e Ganid incontrarono parecchie volte un certo Gaio, che divenne successivamente un fedele aiutante di Paolo. Durante questi due mesi trascorsi a Corinto essi ebbero conversazioni amichevoli con decine d’individui degni d’interesse, e come risultato di tutti questi contatti apparentemente casuali più della metà delle persone contattate in tal modo divennero membri della successiva comunità cristiana.
(1473.5) 133:3.12 Quando Paolo venne per la prima volta a Corinto non aveva intenzione di restarvi a lungo. Ma egli non sapeva a qual punto il precettore ebreo aveva preparato la via per il suo lavoro. E scoprì inoltre quale grande interesse era già stato suscitato da Aquila e Priscilla. Aquila era uno dei Cinici con i quali Gesù era entrato in contatto a Roma. Essi erano degli Ebrei rifugiati provenienti da Roma, ed abbracciarono subito gli insegnamenti di Paolo, che visse e lavorò con loro, perché essi erano anche fabbricanti di tende. Fu a ragione di queste circostanze che Paolo prolungò il suo soggiorno a Corinto.
(1474.1) 133:4.1 Gesù e Ganid ebbero molte altre esperienze interessanti a Corinto. Essi ebbero delle conversazioni intime con un gran numero di persone che approfittarono grandemente delle istruzioni ricevute da Gesù.
(1474.2) 133:4.2 Al mugnaio egli insegnò a macinare i grani della verità nel mulino dell’esperienza vivente, in modo da rendere le cose difficili della vita divina facilmente accettabili anche dai propri simili mortali deboli e fragili. Disse Gesù: “Dà il latte della verità a coloro che sono bambini nella percezione spirituale. Nel tuo ministero vivente ed amorevole servi il nutrimento spirituale sotto forma attraente e adatta alla capacità di ricezione da parte di ciascuno di coloro che t’interrogano.”
(1474.3) 133:4.3 Al centurione romano egli disse: “Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Il servizio sincero a Dio ed il servizio leale a Cesare non sono in contrasto a meno che Cesare non abbia la pretesa di arrogare a se stesso l’omaggio che può essere rivendicato solo dalla Deità. La fedeltà a Dio, se arriverai a conoscerlo, ti renderà tanto più leale e fedele nella tua devozione ad un imperatore degno.”
(1474.4) 133:4.4 Al capo sincero del culto mitraico disse: “Fai bene a cercare una religione di salvezza eterna, ma sbagli andando in cerca di questa verità gloriosa tra i misteri creati dagli uomini e tra le filosofie umane. Non sai che il mistero della salvezza eterna risiede nella tua stessa anima? Non sai che il Dio del cielo ha inviato il suo spirito a vivere dentro di te, e che questo spirito condurrà tutti i mortali che amano la verità e che servono Dio fuori da questa vita ed attraverso i portali della morte fino alle altezze eterne della luce dove Dio aspetta di ricevere i suoi figli? E non dimenticare mai che voi che conoscete Dio siete figli di Dio se aspirate veramente ad essere simili a lui.”
(1474.5) 133:4.5 Al maestro epicureo disse: “Fai bene a scegliere il meglio e ad apprezzare ciò che è buono, ma sei saggio quando ometti di discernere le grandi cose della vita mortale che sono incorporate nei regni spirituali, derivate dalla realizzazione della presenza di Dio nel cuore umano? La grande cosa in tutta l’esperienza umana è la realizzazione della conoscenza del Dio, il cui spirito vive dentro di te e cerca di farti avanzare nel lungo e quasi interminabile viaggio per raggiungere la presenza personale del nostro Padre comune, il Dio di tutta la creazione, il Signore degli universi.”
(1474.6) 133:4.6 All’impresario e costruttore greco disse: “Amico mio, come costruisci gli edifici materiali degli uomini, sviluppa un carattere spirituale a somiglianza dello spirito divino che è dentro la tua anima. Non lasciare che la tua riuscita come costruttore temporale superi il tuo risultato come figlio spirituale del regno dei cieli. Mentre costruisci le dimore del tempo per gli altri, non dimenticare di assicurarti il diritto alle dimore dell’eternità per te stesso. Ricorda sempre, esiste una città le cui fondamenta sono la rettitudine e la verità ed il cui costruttore e creatore è Dio.”
(1474.7) 133:4.7 Al giudice romano disse: “Mentre giudichi gli uomini, ricordati che comparirai anche tu un giorno in giudizio davanti al tribunale dei Sovrani di un universo. Giudica con giustizia, ed anche con misericordia, proprio come tu un giorno implorerai considerazione misericordiosa da parte dell’Arbitro Supremo. Giudica come vorresti essere giudicato in circostanze simili, guidato dallo spirito della legge quanto dalla sua lettera. Ed allo stesso modo che tu accordi giustizia dominata dall’equità e alla luce dei bisogni di coloro che sono condotti davanti a te, così avrai diritto di aspettarti una giustizia temperata dalla misericordia quando ti troverai un giorno davanti al Giudice di tutta la terra.”
(1475.1) 133:4.8 Alla padrona della locanda greca disse: “Offri la tua ospitalità come una persona che riceve i figli dell’Altissimo. Eleva l’impegno gravoso del tuo lavoro quotidiano ai livelli superiori di un’arte raffinata con la consapevolezza crescente che servi Dio servendo le persone nelle quali egli risiede per mezzo del suo spirito che è sceso a vivere nel cuore degli uomini, cercando così di trasformare la loro mente e di condurre la loro anima alla conoscenza del Padre Paradisiaco di tutti questi doni conferiti dallo spirito divino.”
(1475.2) 133:4.9 Gesù ebbe numerosi incontri con un mercante cinese. Nel congedarsi da lui, gli fece le seguenti raccomandazioni: “Adora soltanto Dio, che è il tuo vero antenato spirituale. Ricordati che lo spirito del Padre vive sempre dentro di te ed orienta sempre la tua anima verso il cielo. Se segui inconsciamente le direttive di questo spirito immortale, sei certo di proseguire sulla via elevata di trovare Dio. E quando raggiungerai il Padre che è nei cieli, sarà perché cercandolo sei divenuto sempre più simile a lui. Dunque addio Chang, ma solo per qualche tempo, perché c’incontreremo nuovamente nei mondi della luce, dove il Padre delle anime spirituali ha preparato molti luoghi di sosta deliziosi per coloro che si dirigono verso il Paradiso.”
(1475.3) 133:4.10 Al viaggiatore proveniente dalla Britannia disse: “Fratello mio, percepisco che sei alla ricerca della verità ed affermo che lo spirito del Padre di ogni verità forse risiede dentro di te. Hai mai sinceramente tentato di parlare allo spirito della tua anima? Una tale cosa è in verità difficile ed è raro che dia coscienza di successo; ma ogni tentativo onesto della mente materiale di comunicare con il suo spirito interiore porta a successo certo, nonostante che la maggior parte di tutte queste magnifiche esperienze umane debba rimanere a lungo come registrazioni supercoscienti nelle anime di questi mortali che conoscono Dio.”
(1475.4) 133:4.11 Al ragazzo scappato da casa Gesù disse: “Ricordati che ci sono due cose dalle quali non puoi fuggire — Dio e te stesso. Ovunque tu vada, porti con te te stesso e lo spirito del Padre celeste che vive nel tuo cuore. Figlio mio, smetti di tentare d’ingannare te stesso; attieniti alla pratica coraggiosa di affrontare i fatti della vita; appoggiati saldamente sull’assicurazione della tua filiazione con Dio e sulla certezza della vita eterna, come ti ho insegnato. D’ora in poi proponiti di essere un vero uomo, un uomo determinato ad affrontare con coraggio ed intelligenza la vita.”
(1475.5) 133:4.12 Al criminale condannato disse all’ultimo momento: “Fratello mio, sei caduto in rovina. Hai perduto la tua strada; ti sei impigliato nelle maglie del crimine. Da quanto mi hai detto, so che non avevi progettato di fare la cosa che sta per costarti la vita temporale. Ma hai commesso questo male ed i tuoi simili ti hanno giudicato colpevole; hanno deciso che devi morire. Né tu né io possiamo negare allo Stato questo diritto di difendersi nel modo che sceglie. Sembra che non vi sia modo di sfuggire umanamente alla punizione del tuo misfatto. I tuoi simili devono giudicarti per quello che hai fatto, ma c’è un Giudice al quale puoi appellarti per essere perdonato e che giudicherà secondo i tuoi reali motivi e le tue migliori intenzioni. Non devi temere il giudizio di Dio se il tuo pentimento è autentico e la tua fede sincera. Il fatto che il tuo errore comporti la pena di morte imposta dagli uomini non pregiudica la possibilità che la tua anima ottenga giustizia e goda di misericordia davanti ai tribunali celesti.”
(1476.1) 133:4.13 Gesù ebbe molte conversazioni personali con un gran numero di anime affamate, troppo numerose per trovare posto in questa esposizione. I tre viaggiatori apprezzarono molto il loro soggiorno a Corinto. A parte Atene, che era più rinomata come centro educativo, Corinto era la più importante città della Grecia in quest’epoca dell’Impero Romano, e la loro sosta di due mesi in questo centro commerciale fiorente offrì l’opportunità a tutti e tre di acquisire un’esperienza molto preziosa. Il loro soggiorno in questa città fu una delle tappe più interessanti sulla via del ritorno da Roma.
(1476.2) 133:4.14 Gonod aveva molti interessi a Corinto, ma alla fine i suoi affari furono conclusi ed essi si prepararono a salpare per Atene. Viaggiarono su un piccolo battello che si poteva trasportare per via di terra da uno dei porti di Corinto all’altro, su una distanza di sedici chilometri.
(1476.3) 133:5.1 Essi arrivarono in breve tempo all’antico centro della scienza e del sapere greci e Ganid era elettrizzato al pensiero di trovarsi ad Atene, di essere in Grecia, il centro culturale dell’antico impero di Alessandro, che aveva esteso le sue frontiere fino al suo stesso paese dell’India. C’erano pochi affari da trattare, così Gonod passò la maggior parte del suo tempo con Gesù e Ganid, visitando i numerosi luoghi d’interesse ed ascoltando le interessanti discussioni tra il ragazzo ed il suo versatile maestro.
(1476.4) 133:5.2 Una grande università fioriva ancora ad Atene ed il trio fece delle visite frequenti alle sue aule d’insegnamento. Gesù e Ganid avevano già analizzato a fondo gli insegnamenti di Platone quando avevano assistito alle lezioni nel museo di Alessandria. Tutti e tre ammirarono l’arte della Grecia, i cui esempi si potevano ancora trovare sparsi qua e là nella città.
(1476.5) 133:5.3 Il padre ed il figlio apprezzarono molto la discussione sulla scienza che Gesù ebbe una sera nella loro locanda con un filosofo greco. Dopo che questo pedante ebbe parlato per quasi tre ore ed ebbe terminato il suo discorso, Gesù, in termini di pensiero moderni, disse:
(1476.6) 133:5.4 Gli scienziati potranno misurare un giorno l’energia, o le manifestazioni della forza, della gravitazione, della luce e dell’elettricità, ma questi stessi scienziati non potranno mai (scientificamente) dire che cosa sono questi fenomeni universali. La scienza si occupa delle attività fisico-energetiche, la religione si occupa dei valori eterni. La vera filosofia ha origine dalla saggezza che fa del suo meglio per mettere in correlazione queste osservazioni quantitative e qualitative. Esiste sempre il pericolo che lo scienziato puramente fisico possa essere vittima dell’orgoglio matematico e dell’egoismo statistico, per non dire della cecità spirituale.
(1476.7) 133:5.5 La logica è valida nel mondo materiale e la matematica è attendibile quando si limita alla sua applicazione alle cose fisiche; ma non si devono considerare come interamente affidabili od infallibili quando le si applica ai problemi della vita. La vita abbraccia fenomeni che non sono interamente materiali. L’aritmetica dice che, se un uomo può tosare una pecora in dieci minuti, dieci uomini possono farlo in un minuto. Questo calcolo è esatto, però ciò non è vero, perché i dieci uomini non riuscirebbero a farlo; essi s’intralcerebbero l’uno con l’altro al punto che il lavoro sarebbe considerevolmente rallentato.
(1477.1) 133:5.6 La matematica asserisce che, se una persona rappresenta una certa unità di valore intellettuale e morale, dieci persone rappresenterebbero dieci volte questo valore. Ma trattando della personalità umana sarebbe più vicino al vero dire che una tale associazione di personalità è una somma uguale al quadrato del numero di personalità che figurano nell’equazione piuttosto che la loro semplice somma aritmetica. Un gruppo sociale di esseri umani operante in coordinata armonia rappresenta una forza molto più grande della semplice somma dei suoi componenti.
(1477.2) 133:5.7 La quantità può essere identificata come un fatto, divenendo così un’uniformità scientifica. La qualità, essendo una questione d’interpretazione mentale, rappresenta una stima di valori e deve quindi rimanere un’esperienza dell’individuo. Quando la scienza e la religione diverranno meno dogmatiche e più tolleranti della critica, allora la filosofia comincerà a raggiungere l’unità nella comprensione intelligente dell’universo.
(1477.3) 133:5.8 C’è unità nell’universo cosmico solo se si arrivano a discernere le manifestazioni nella realtà. L’universo reale è amichevole verso ogni figlio del Dio eterno. Il vero problema è: come può la mente finita dell’uomo giungere ad un’unità di pensiero logica, vera e concordante? Questo stato mentale di conoscenza dell’universo si può ottenere solo concependo che il fatto quantitativo ed il valore qualitativo hanno una causa comune nel Padre del Paradiso. Una tale concezione della realtà offre una visione più ampia sull’unità intenzionale dei fenomeni universali; essa rivela anche uno scopo spirituale di realizzazione progressiva della personalità. E questo è un concetto di unità che può percepire il quadro immutabile di un universo vivente di relazioni impersonali in continuo cambiamento e di rapporti personali in continua evoluzione.
(1477.4) 133:5.9 La materia, lo spirito e lo stato intermedio tra di loro sono tre livelli correlati ed interassociati della vera unità dell’universo reale. Per quanto divergenti possano apparire i fenomeni universali dei fatti e dei valori, essi sono, dopotutto, unificati nel Supremo.
(1477.5) 133:5.10 La realtà dell’esistenza materiale riguarda l’energia non riconosciuta come pure la materia visibile. Quando le energie dell’universo sono frenate al punto da raggiungere il grado richiesto di movimento, allora, in condizioni favorevoli, queste stesse energie diventano massa. E non dimenticate, la mente, che è l’unica che può percepire la presenza di realtà apparenti, è essa stessa reale. La causa fondamentale di questo universo di energia-massa, di mente e di spirito è eterna — essa esiste e consiste nella natura e nelle reazioni del Padre Universale e dei suoi coordinati assoluti.
(1477.6) 133:5.11 Essi rimasero tutti più che sbalorditi dalle parole di Gesù, e quando il filosofo greco si congedò da loro, disse: “Finalmente i miei occhi hanno visto un Ebreo che pensa a qualcos’altro oltre che alla superiorità razziale e parla di qualcos’altro oltre che di religione.” Ed essi si ritirarono per la notte.
(1477.7) 133:5.12 Il soggiorno ad Atene fu piacevole e proficuo, ma non particolarmente fecondo per i contatti umani. Troppi Ateniesi di quel tempo erano intellettualmente orgogliosi della loro antica reputazione o mentalmente stupidi ed ignoranti, essendo essi la discendenza degli schiavi inferiori di quelle epoche anteriori in cui c’era gloria in Grecia e saggezza nelle menti dei suoi abitanti. Nondimeno si potevano ancora trovare molte menti acute tra i cittadini di Atene.
(1477.8) 133:6.1 Lasciando Atene, i viaggiatori passarono per la Troade per andare ad Efeso, capitale della provincia romana dell’Asia. Essi andarono molte volte al famoso tempio di Artemide degli Efesini, a circa tre chilometri dalla città. Artemide era la più celebre dea di tutta l’Asia Minore ed una perpetuazione dell’ancora più lontana dea madre dell’antica Anatolia. Il rozzo idolo esposto nell’enorme tempio dedicato al suo culto si riteneva fosse caduto dal cielo. Non tutta la precedente educazione di Ganid sul rispetto delle immagini e dei simboli della divinità era stata sradicata, ed egli credette di fare bene acquistando un piccolo reliquiario d’argento in onore di questa dea della fertilità dell’Asia Minore. Quella sera essi parlarono molto a lungo sull’adorazione di oggetti fatti da mani d’uomo.
(1478.1) 133:6.2 Il terzo giorno della loro sosta essi camminarono lungo il fiume per osservare il dragaggio dell’imbocco del porto. A mezzogiorno parlarono con un giovane Fenicio che soffriva di nostalgia ed era molto demoralizzato; ma soprattutto era invidioso di un giovane che era stato promosso sopra di lui. Gesù gli rivolse delle parole d’incoraggiamento e citò l’antico proverbio ebreo: “Le qualità di un uomo gli aprono una strada e lo portano davanti a grandi uomini.”
(1478.2) 133:6.3 Tra tutte le grandi città che visitarono in questo giro del Mediterraneo, è qui che svolsero la minor opera a favore del successivo lavoro dei missionari cristiani. Il Cristianesimo prese il suo avvio ad Efeso in larga misura grazie agli sforzi di Paolo, che vi risiedette per più di due anni, fabbricando tende per guadagnarsi da vivere e tenendo ogni sera delle conferenze sulla religione e sulla filosofia nella principale sala di riunioni della scuola di Tiranno.
(1478.3) 133:6.4 C’era un pensatore progressista associato a questa scuola locale di filosofia e Gesù ebbe con lui numerosi incontri proficui. Nel corso di questi colloqui Gesù aveva ripetutamente impiegato la parola “anima”. Questo Greco erudito alla fine gli chiese che cosa intendesse per “anima”, ed egli rispose:
(1478.4) 133:6.5 “L’anima è la parte dell’uomo che riflette il suo io, che discerne la verità e che percepisce lo spirito; essa eleva per sempre l’essere umano al di sopra del livello del mondo animale. L’autocoscienza, in se stessa e per se stessa, non è l’anima. L’autocoscienza morale è la vera autorealizzazione umana e costituisce il fondamento dell’anima umana, e l’anima è quella parte dell’uomo che rappresenta il valore potenziale della sopravvivenza dell’esperienza umana. La scelta morale ed il compimento spirituale, la capacità di conoscere Dio e l’impulso ad essere simile a lui, sono le caratteristiche dell’anima. L’anima dell’uomo non può esistere senza pensiero morale e senza attività spirituale. Un’anima stagnante è un’anima morente. Ma l’anima dell’uomo è distinta dallo spirito divino che dimora dentro la sua mente. Lo spirito divino arriva simultaneamente alla prima attività morale della mente umana, e quella è l’occasione della nascita dell’anima.
(1478.5) 133:6.6 “La salvezza o la perdita di un’anima dipendono dal fatto che la coscienza morale raggiunga o meno lo status di sopravvivenza per mezzo dell’alleanza eterna con lo spirito immortale associato di cui è dotata. La salvezza è la spiritualizzazione dell’autorealizzazione della coscienza morale, che acquisisce così un valore di sopravvivenza. Tutte le forme di conflitti psichici consistono nella mancanza di armonia tra l’autocoscienza morale o spirituale e l’autocoscienza puramente intellettuale.
(1478.6) 133:6.7 “L’anima umana, quando è matura, nobilitata e spiritualizzata, si avvicina allo status celeste, nel senso che è vicina ad essere un’entità intermedia tra il materiale e lo spirituale, tra l’io materiale e lo spirito divino. L’anima in evoluzione di un essere umano è difficile da descrivere ed ancor più difficile da dimostrare, perché non la si può scoprire né con metodi d’investigazione materiale né con prove spirituali. La scienza materiale non può dimostrare l’esistenza di un’anima, né lo può una pura prova spirituale. Nonostante il fallimento sia della scienza materiale che dei criteri spirituali di scoprire l’esistenza dell’anima umana, ogni mortale moralmente cosciente conosce l’esistenza della sua anima come esperienza personale reale ed effettiva.”
(1479.1) 133:7.1 Poco dopo i viaggiatori fecero vela per Cipro, fermandosi a Rodi. Essi godettero del lungo viaggio per mare ed arrivarono alla loro destinazione sull’isola molto riposati nel corpo e ristorati nello spirito.
(1479.2) 133:7.2 Essi avevano progettato di godere di un periodo di vero riposo e di ricreazione nel corso di questa visita a Cipro, poiché il loro giro del Mediterraneo stava per finire. Sbarcarono a Pafos e cominciarono subito ad accumulare provviste per un soggiorno di alcune settimane sulle montagne vicine. Il terzo giorno dopo il loro arrivo essi partirono per la montagna con i loro animali da soma ben carichi.
(1479.3) 133:7.3 Per due settimane i tre si divertirono molto, e poi, senza alcun segnale premonitore, il giovane Ganid cadde d’improvviso gravemente ammalato. Egli soffrì per due settimane di una forte febbre, andando spesso in delirio; Gesù e Gonod furono molto occupati ad assistere il ragazzo ammalato. Gesù curò abilmente e teneramente il ragazzo ed il padre fu stupito dalla gentilezza e dalla capacità manifestate in tutte le sue cure al giovane ammalato. Essi erano lontani dalle abitazioni ed il ragazzo era troppo grave per essere trasportato; così si prepararono ad assisterlo meglio che poterono per farlo tornare in buona salute lì in montagna.
(1479.4) 133:7.4 Durante le tre settimane di convalescenza di Ganid, Gesù gli raccontò molte cose interessanti sulla natura ed i suoi diversi aspetti. E come si divertirono girovagando sulle montagne, con Ganid che faceva domande, Gesù che rispondeva, ed il padre meravigliato da tutto questo.
(1479.5) 133:7.5 Nel corso dell’ultima settimana del loro soggiorno in montagna Gesù e Ganid ebbero una lunga conversazione sulle funzioni della mente umana. Dopo parecchie ore di discussione il ragazzo pose questa domanda: “Ma, Maestro, che cosa intendi quando dici che l’uomo sperimenta una forma di autocoscienza più elevata di quella degli animali superiori?” E trasposto in linguaggio moderno, Gesù rispose:
(1479.6) 133:7.6 Figlio mio, ti ho già parlato molto della mente dell’uomo e dello spirito divino che vive in essa, ma ora consentimi di porre in evidenza il fatto che l’autocoscienza è una realtà. Quando un animale prende coscienza di sé, diviene un uomo primitivo. Tale conseguimento risulta da una coordinazione di funzioni tra l’energia impersonale e la mente che concepisce lo spirito, ed è questo fenomeno che giustifica la concessione di un punto focale assoluto per la personalità umana, lo spirito del Padre che è nei cieli.
(1479.7) 133:7.7 Le idee non sono semplicemente una registrazione di sensazioni; le idee sono delle sensazioni più le interpretazioni riflesse dell’io personale; e l’io è più che la somma delle proprie sensazioni. In un’individualità in evoluzione cominciano a manifestarsi i sintomi di un approccio all’unità, e questa unità è derivata dalla presenza interiore di una parte dell’unità assoluta che attiva spiritualmente una tale mente autocosciente di origine animale.
(1479.8) 133:7.8 Nessun semplice animale può essere autocosciente nel tempo. Gli animali possiedono una coordinazione fisiologica di sensazioni, di riconoscimenti associati e della memoria corrispondente, ma nessuno di loro sperimenta un riconoscimento di sensazioni avente un significato o mostra un’associazione intenzionale di queste esperienze fisiche congiunte, quali sono manifestate nelle conclusioni delle interpretazioni umane intelligenti e riflessive. E questo fatto dell’esistenza autocosciente, associato alla realtà della sua esperienza spirituale susseguente, fa dell’uomo un figlio potenziale dell’universo e lascia prevedere il raggiungimento finale dell’Unità Suprema dell’universo.
(1480.1) 133:7.9 L’io umano non è soltanto la somma dei suoi stati di coscienza successivi. Senza il funzionamento efficace di un selezionatore ed associatore della coscienza non esisterebbe un’unità sufficiente per giustificare la designazione di un’individualità. Una tale mente non unificata potrebbe difficilmente raggiungere livelli di coscienza di status umano. Se le associazioni della coscienza fossero semplicemente un accidente, le menti di tutti gli uomini presenterebbero allora delle associazioni incontrollate e caotiche di certe fasi di alienazione mentale.
(1480.2) 133:7.10 Una mente umana basata esclusivamente sulla coscienza di sensazioni fisiche non potrebbe mai raggiungere livelli spirituali; questa sorta di mente materiale mancherebbe totalmente del senso dei valori morali e sarebbe priva del senso direttivo della guida spirituale, che è così essenziale per raggiungere l’unità armoniosa della personalità nel tempo e che è inseparabile dalla sopravvivenza della personalità nell’eternità.
(1480.3) 133:7.11 La mente umana comincia subito a manifestare qualità che sono sovrammateriali; l’intelletto umano veramente riflessivo non è interamente vincolato dai limiti del tempo. Il fatto che gli individui differiscano talmente negli atti della loro vita, non indica soltanto i diversi doni ereditari e le differenti influenze dell’ambiente, ma anche il grado di unificazione con lo spirito interiore del Padre che è stato raggiunto dall’io, la misura dell’identificazione dell’uno con l’altro.
(1480.4) 133:7.12 La mente umana non sopporta bene il conflitto di una duplice alleanza. È un impegno severo per l’anima subire l’esperienza di uno sforzo per servire sia il bene che il male. La mente supremamente felice ed efficacemente unificata è quella interamente consacrata a fare la volontà del Padre che è nei cieli. I conflitti non risolti distruggono l’unità e possono sfociare nel disordine mentale. Ma il carattere di sopravvivenza di un’anima non è favorito dalla tendenza ad assicurarsi la pace mentale ad ogni costo, dall’abbandono di nobili aspirazioni e dalla compromissione d’ideali spirituali; questa pace si raggiunge piuttosto affermando risolutamente il trionfo di ciò che vero, e questa vittoria si ottiene trionfando sul male con la potente forza del bene.
(1480.5) 133:7.13 Il giorno seguente essi partirono per Salamina, da dove s’imbarcarono per Antiochia sulla costa siriana.
(1480.6) 133:8.1 Antiochia era la capitale della provincia romana della Siria, e qui il governo imperiale aveva la sua residenza. Antiochia aveva mezzo milione di abitanti; era la terza città dell’impero per dimensione e la prima per depravazione e flagrante immoralità. Gonod aveva degli affari considerevoli da trattare, così Gesù e Ganid rimasero molto da soli. Essi visitarono tutto in questa città poliglotta, eccetto il boschetto di Dafne. Gonod e Ganid visitarono questo noto tempio di vergogna, ma Gesù rifiutò di accompagnarli. Queste scene non erano così scabrose per gli Indiani, ma erano ripugnanti per un Ebreo idealista.
(1480.7) 133:8.2 Gesù diveniva più calmo e riflessivo a mano a mano che si avvicinava alla Palestina e alla fine del loro viaggio. Egli s’incontrò con poca gente ad Antiochia; andò raramente per la città. Dopo molte domande sul perché il suo precettore manifestava così poco interesse per Antiochia, Ganid alla fine indusse Gesù a dire: “Questa città non è lontana dalla Palestina; forse vi ritornerò un giorno.”
(1481.1) 133:8.3 Ganid fece un’esperienza molto interessante ad Antiochia. Questo giovane si era dimostrato un allievo capace ad aveva già cominciato a fare pratico uso di alcuni insegnamenti di Gesù. C’era un Indiano impegnato negli affari di suo padre ad Antiochia che era divenuto antipatico e scontroso al punto che era stato previsto il suo licenziamento. Quando Ganid lo seppe, si recò nella sede degli affari di suo padre ed ebbe una lunga conversazione con il suo compatriota. Quest’uomo aveva la sensazione di essere stato assegnato ad un incarico che non gli confaceva. Ganid gli parlò del Padre che è nei cieli ed ampliò sotto molti aspetti le sue vedute sulla religione. Ma di tutto quello che Ganid disse, fu la citazione di un proverbio ebreo che fece maggiormente del bene, e quelle parole di saggezza erano: “Qualunque cosa la tua mano trovi da fare, falla con tutta la tua forza.”
(1481.2) 133:8.4 Dopo aver preparato i loro bagagli per la carovana di cammelli, essi proseguirono in giù verso Sidone e poi da là in su verso Damasco, e dopo tre giorni erano pronti per la lunga tappa attraverso le sabbie del deserto.
(1481.3) 133:9.1 Il viaggio con la carovana attraverso il deserto non era un’esperienza nuova per questi grandi viaggiatori. Dopo che Ganid ebbe visto il suo precettore che aiutava a caricare i loro venti cammelli ed osservato che si offriva volontario per guidare il loro stesso animale, esclamò: “Maestro, c’è qualcosa che tu non sappia fare?” Gesù si limitò a sorridere dicendo: “Il maestro non è certamente senza onore agli occhi del suo diligente allievo.” E così partirono per l’antica città di Ur.
(1481.4) 133:9.2 Gesù era molto interessato alla storia antica di Ur, luogo di nascita di Abramo, ed era anche affascinato dalle rovine e dalle tradizioni di Susa, al punto che Gonod e Ganid prolungarono di tre settimane la loro sosta in questi luoghi al fine di consentire più tempo a Gesù per condurre le sue ricerche e per avere anche migliori opportunità di persuaderlo a tornare in India con loro.
(1481.5) 133:9.3 Fu ad Ur che Ganid ebbe un lungo colloquio con Gesù sulla differenza tra la conoscenza, la saggezza e la verità. E fu grandemente affascinato da quanto disse il saggio Ebreo: “La saggezza è la cosa principale; dunque acquisisci saggezza. Con tutta la tua ricerca della conoscenza, acquisisci comprensione. Esalta la saggezza ed essa ti farà avanzare. Essa ti condurrà agli onori se tu soltanto la praticherai.”
(1481.6) 133:9.4 Giunse alla fine il giorno della separazione. Essi furono tutti coraggiosi, specialmente il ragazzo, ma fu una prova dura. Essi avevano le lacrime agli occhi, ma coraggio nel cuore. Congedandosi dal suo precettore, Ganid disse: “Addio, Maestro, ma non per sempre. Quando ritornerò a Damasco ti cercherò. Ti voglio bene, perché credo che il Padre che è nei cieli debba essere un po’ simile a te; so almeno che tu assomigli molto a ciò che mi hai detto di lui. Mi ricorderò il tuo insegnamento, ma soprattutto non dimenticherò mai te.” Il padre disse: “Addio ad un grande maestro, ad uno che ci ha resi migliori e ci ha aiutati a conoscere Dio.” E Gesù rispose: “La pace sia su di voi, e possa la benedizione del Padre che è nei cieli abitare sempre con voi.” E Gesù restò sulla riva a guardare la piccola barca che li conduceva al loro battello all’ancora. Il Maestro lasciò così i suoi amici indiani a Charax per non rivederli mai più in questo mondo. Nemmeno loro, in questo mondo, seppero mai che l’uomo apparso più tardi come Gesù di Nazaret era lo stesso amico che stavano per lasciare — Joshua, il loro maestro.
(1481.7) 133:9.5 In India, Ganid crebbe e divenne un uomo influente, un degno successore del suo eminente padre, e diffuse molte delle nobili verità che aveva appreso da Gesù, il suo adorato maestro. Più tardi nella vita, quando Ganid intese parlare dello strano maestro della Palestina che terminò la sua carriera su una croce, benché riconoscesse la similarità tra il vangelo di questo Figlio dell’Uomo e gli insegnamenti del suo precettore ebreo, non pensò mai che questi due fossero effettivamente la stessa persona.
(1482.1) 133:9.6 Così ebbe fine quel capitolo della vita del Figlio dell’Uomo che si potrebbe intitolare: La missione di Joshua il maestro.
(1483.1) 134:0.1 DURANTE il suo viaggio attorno al Mediterraneo, Gesù aveva studiato attentamente la gente incontrata ed i paesi attraversati, ed in quest’epoca giunse alla sua decisione finale concernente il resto della sua vita sulla terra. Egli aveva pienamente considerato ed oramai definitivamente approvato il piano che prevedeva la sua nascita da genitori ebrei in Palestina, e tornò dunque deliberatamente in Galilea per aspettare l’inizio della sua opera come insegnante pubblico della verità. Egli si mise a fare dei piani per una carriera pubblica nella terra del popolo di suo padre Giuseppe, e fece questo di sua libera volontà.
(1483.2) 134:0.2 Gesù aveva costatato per esperienza personale ed umana che in tutto il mondo romano la Palestina era il luogo migliore per sviluppare gli ultimi capitoli, e per svolgere le scene finali, della sua vita terrena. Per la prima volta egli fu pienamente soddisfatto del programma di manifestare apertamente la sua vera natura e di rivelare la sua divina identità tra gli Ebrei ed i Gentili della sua Palestina natale. Egli decise definitivamente di terminare la sua vita sulla terra e di completare la sua carriera d’esistenza mortale nello stesso paese in cui aveva iniziato l’esperienza umana come un bambino inerme. La sua carriera su Urantia era cominciata tra gli Ebrei in Palestina ed egli scelse di terminare la sua vita in Palestina e tra gli Ebrei.
(1483.3) 134:1.1 Dopo essersi congedato da Gonod e Ganid a Charax (nel dicembre dell’anno 23 d.C.), Gesù ritornò per la via di Ur in Babilonia, dove si unì ad una carovana del deserto che stava andando a Damasco. Da Damasco egli andò a Nazaret, fermandosi solo alcune ore a Cafarnao, dove sostò per far visita alla famiglia di Zebedeo. Qui incontrò suo fratello Giacomo, che era venuto qualche tempo prima a lavorare al suo posto nel cantiere navale di Zebedeo. Dopo aver parlato con Giacomo e Giuda (che pure si trovava casualmente a Cafarnao) e dopo aver trasferito a suo fratello Giacomo la piccola casa che Giovanni Zebedeo era riuscito ad acquistare, Gesù andò a Nazaret.
(1483.4) 134:1.2 Alla fine del suo viaggio nel Mediterraneo, Gesù aveva ricevuto denaro sufficiente per far fronte al suo mantenimento quasi fino all’inizio del suo ministero pubblico. Ma all’infuori di Zebedeo a Cafarnao e delle persone che incontrò nel corso di questo giro straordinario, nessuno seppe mai che egli aveva fatto questo viaggio. La sua famiglia credette sempre che egli avesse trascorso questo tempo a studiare ad Alessandria. Gesù non confermò mai queste credenze né smentì mai apertamente questo equivoco.
(1483.5) 134:1.3 Durante il suo soggiorno di alcune settimane a Nazaret, Gesù fece visita alla sua famiglia ed ai suoi amici, passò qualche tempo al laboratorio di riparazioni con suo fratello Giuseppe, ma dedicò la maggior parte della sua attenzione a Maria e a Rut. Rut aveva allora quasi quindici anni e questa era la prima opportunità per Gesù di parlare a lungo con lei da quando era divenuta giovane donna.
(1484.1) 134:1.4 Da qualche tempo Simone e Giuda desideravano sposarsi, ma sarebbe loro dispiaciuto farlo senza il consenso di Gesù; di conseguenza avevano ritardato questo avvenimento sperando nel ritorno del loro fratello maggiore. Sebbene tutti loro considerassero Giacomo come il capo della famiglia per la maggior parte delle questioni, quando decisero di sposarsi volevano la benedizione di Gesù. Così Simone e Giuda si sposarono con un duplice matrimonio all’inizio di marzo di quest’anno, 24 d.C. Tutti i figli adulti erano ora sposati; solo Rut, la più giovane, rimaneva in casa con Maria.
(1484.2) 134:1.5 Gesù s’incontrò con i singoli membri della sua famiglia in modo del tutto normale e naturale, ma quando furono tutti riuniti egli ebbe così poco da dire che lo rimarcarono tra di loro. In special modo Maria era sconcertata da questa insolita particolare condotta del suo figlio primogenito.
(1484.3) 134:1.6 Nel momento in cui Gesù si stava preparando a lasciare Nazaret, il conducente di una grossa carovana che era di passaggio per la città si ammalò gravemente, e Gesù, essendo un poliglotta, si offrì di rimpiazzarlo. Poiché questo viaggio comportava la sua assenza per un anno e giacché tutti i suoi fratelli erano sposati e sua madre viveva sola in casa con Rut, Gesù fece una riunione di famiglia nella quale propose che sua madre e Rut andassero a vivere a Cafarnao nella casa che aveva recentemente ceduto a Giacomo. Di conseguenza, pochi giorni dopo che Gesù fu partito con la carovana, Maria e Rut andarono ad abitare a Cafarnao, dove vissero per il resto della vita di Maria nella casa fornita da Gesù. Giuseppe e la sua famiglia andarono ad abitare nella vecchia casa di Nazaret.
(1484.4) 134:1.7 Questo fu uno degli anni più straordinari nell’esperienza interiore del Figlio dell’Uomo; egli fece grandi progressi nella realizzazione di un’armonia funzionale tra la sua mente umana ed il suo Aggiustatore interiore. L’Aggiustatore era stato attivamente impegnato a riorganizzare i pensieri di Gesù ed a preparare la sua mente in vista dei grandi avvenimenti che si sarebbero prodotti nell’allora non lontano futuro. La personalità di Gesù si stava preparando ad un grande cambiamento di atteggiamento nei riguardi del mondo. Questo fu il periodo intermedio, lo stadio di transizione di quell’essere che cominciò la vita come Dio apparendo come uomo, e che si stava preparando ora a completare la sua carriera terrena come uomo che appariva come Dio.
(1484.5) 134:2.1 Era il primo aprile dell’anno 24 d.C. quando Gesù lasciò Nazaret per il viaggio con la carovana verso la regione del Mar Caspio. La carovana alla quale Gesù si era unito come conduttore stava andando da Gerusalemme, per la via di Damasco ed il Lago di Urmia, attraverso l’Assiria, la Media e la Partia, fino alla regione sudorientale del Mar Caspio. Passò un anno intero prima che egli tornasse da questo viaggio.
(1484.6) 134:2.2 Per Gesù questo viaggio con la carovana fu un’altra avventura di esplorazione e di ministero personale. Egli ebbe un’esperienza interessante con i membri della sua carovana — passeggeri, custodi e conducenti di cammelli. Decine di uomini, di donne e di bambini, residenti lungo la via seguita dalla carovana, vissero una vita più ricca a seguito del loro contatto con Gesù, per loro lo straordinario conduttore di una normale carovana. Non tutti quelli che beneficiarono in queste occasioni del suo ministero personale ne trassero profitto, ma la grande maggioranza di coloro che lo incontrarono e che parlarono con lui furono resi migliori per il resto della loro vita terrena.
(1484.7) 134:2.3 Tra tutti i suoi viaggi nel mondo, questo del Mar Caspio fu quello che condusse Gesù più vicino all’Oriente e gli permise di acquisire una comprensione migliore dei popoli dell’Estremo Oriente. Egli stabilì contatti diretti e personali con ciascuna delle razze sopravviventi di Urantia, salvo quella rossa. Trasse uguale piacere dal suo ministero personale verso ciascuna di queste differenti razze e di questi popoli misti, e tutti furono ricettivi alla verità vivente che portava loro. Sia gli Europei dell’Estremo Occidente che gli Asiatici dell’Estremo Oriente prestarono attenzione alle sue parole di speranza e di vita eterna, e furono influenzati in uguale misura dalla vita di servizio amorevole e di ministero spirituale che egli visse tra di loro con tanta grazia.
(1485.1) 134:2.4 Il viaggio della carovana riuscì sotto tutti i punti di vista. Questo fu uno degli episodi più interessanti nella vita umana di Gesù, perché egli operò durante quest’anno con funzioni esecutive, essendo responsabile dei beni materiali affidatigli e della salvaguardia dei viaggiatori che facevano parte della carovana. Ed egli adempì i suoi molteplici doveri con fedeltà, efficienza e saggezza estreme.
(1485.2) 134:2.5 Al ritorno dalla regione del Caspio, Gesù lasciò la direzione della carovana al Lago di Urmia, dove si fermò per poco più di due settimane. Egli ritornò come passeggero con un’altra carovana a Damasco, dove i proprietari dei cammelli gli chiesero di restare al loro servizio. Declinando questa offerta, egli proseguì il suo viaggio con il convoglio della carovana fino a Cafarnao, dove arrivò il primo aprile dell’anno 25 d.C. Egli non considerava più Nazaret come sua residenza. Cafarnao era divenuta la residenza di Gesù, di Giacomo, di Maria e di Rut. Ma Gesù non visse mai più con la sua famiglia; quando si trovava a Cafarnao abitava presso gli Zebedei.
(1485.3) 134:3.1 Sul cammino verso il Mar Caspio, Gesù si era fermato per alcuni giorni di riposo e di ricupero nell’antica città persiana di Urmia, sulla riva occidentale del Lago di Urmia. Sulla maggiore di un gruppo di isole situato a poca distanza dalla riva, in prossimità di Urmia, si trovava una grande costruzione — un anfiteatro per conferenze — dedicato allo “spirito della religione”. Questa struttura era veramente un tempio della filosofia delle religioni.
(1485.4) 134:3.2 Questo tempio della religione era stato costruito da un ricco mercante cittadino di Urmia e dai suoi tre figli. Quest’uomo era Cymboyton e contava fra i suoi antenati persone di provenienza molto diversa.
(1485.5) 134:3.3 Le conferenze e le discussioni in questa scuola di religione iniziavano alle 10, ogni mattino della settimana. Le sessioni del pomeriggio iniziavano alle 15 ed i dibattiti della sera si aprivano alle 20. Cymboyton o uno dei suoi tre figli presiedevano sempre queste sessioni d’insegnamento, di discussione e di dibattito. Il fondatore di questa scuola straordinaria di religione visse e morì senza avere mai rivelato le sue credenze religiose personali.
(1485.6) 134:3.4 In più occasioni Gesù partecipò a queste discussioni, e prima che partisse da Urmia, Cymboyton convenne con Gesù che si sarebbe fermato con loro per due settimane nel suo viaggio di ritorno e avrebbe tenuto ventiquattro conferenze su “La fratellanza degli uomini”, e avrebbe condotto dodici sessioni serali di domande, discussioni e dibattiti sulle sue conferenze in particolare e sulla fratellanza degli uomini in generale.
(1485.7) 134:3.5 In conformità a questo accordo, Gesù si fermò nel suo viaggio di ritorno e tenne queste conferenze. Questo fu il più sistematico e formale di tutti gli insegnamenti del Maestro su Urantia. Mai prima o dopo egli disse così tanto su un argomento di quanto contenuto in queste conferenze e discussioni sulla fratellanza degli uomini. In realtà queste conferenze erano sul “Regno di Dio” ed i “Regni degli uomini”.
(1486.1) 134:3.6 Nella facoltà di questo tempio di filosofia religiosa erano rappresentati più di trenta religioni e culti religiosi. Questi insegnanti erano scelti, mantenuti e pienamente accreditati dai loro rispettivi gruppi religiosi. In quel momento c’erano circa settantacinque insegnanti nella facoltà, e vivevano in casette che ospitavano ciascuna una dozzina di persone. Ad ogni nuova luna questi gruppi erano cambiati per sorteggio. L’intolleranza, lo spirito polemico od ogni altra tendenza ad interferire nel buon andamento della comunità provocavano il pronto e sbrigativo allontanamento dell’insegnante colpevole. Egli sarebbe stato mandato via senza tante cerimonie ed il suo sostituto in attesa sarebbe stato immediatamente messo al suo posto.
(1486.2) 134:3.7 Questi insegnanti delle varie religioni facevano un grande sforzo per dimostrare quanto fossero simili le loro religioni in ciò che concerneva gli elementi fondamentali di questa vita e di quella futura. C’era tuttavia una regola che si doveva accettare per ottenere un posto in questa facoltà — ogni insegnante doveva rappresentare una religione che riconosceva Dio — un qualche tipo di Deità suprema. C’erano cinque insegnanti indipendenti nella facoltà che non rappresentavano alcuna religione organizzata, e fu come insegnante indipendente che Gesù apparve innanzi a loro.
(1486.3) 134:3.8 [Allorché noi, gli intermedi, preparammo per la prima volta il sommario degli insegnamenti di Gesù ad Urmia, sorse una disputa tra il serafino delle chiese ed il serafino del progresso sull’opportunità d’includere questi insegnamenti nella Rivelazione di Urantia. Le condizioni nel ventesimo secolo che prevalgono, sia nelle religioni che nei governi umani, sono così differenti da quelle prevalenti al tempo di Gesù che era veramente difficile adattare gli insegnamenti del Maestro ad Urmia ai problemi del regno di Dio e dei regni degli uomini quali queste funzioni del mondo esistono nel ventesimo secolo. Noi non fummo mai capaci di formulare un’esposizione degli insegnamenti del Maestro che fosse accettabile da entrambi i gruppi di questi serafini del governo planetario. Alla fine il Melchizedek presidente della commissione di rivelazione nominò una commissione di tre intermedi del nostro ordine per presentare il nostro punto di vista sugli insegnamenti del Maestro ad Urmia adattati alle condizioni religiose e politiche del ventesimo secolo su Urantia. Di conseguenza, noi tre intermedi secondari effettuammo questo adattamento degli insegnamenti di Gesù, riesponendo le sue dichiarazioni nel modo in cui le applicheremmo alle condizioni attuali del mondo; e presentiamo ora queste esposizioni quali sono dopo essere state rivedute dal Melchizedek presidente della commissione di rivelazione.]
(1486.4) 134:4.1 La fratellanza degli uomini è fondata sulla paternità di Dio. La famiglia di Dio deriva dall’amore di Dio — Dio è amore. Dio il Padre ama divinamente i suoi figli, li ama tutti.
(1486.5) 134:4.2 Il regno dei cieli, il governo divino, è fondato sul fatto della sovranità divina — Dio è spirito. Poiché Dio è spirito, questo regno è spirituale. Il regno dei cieli non è né materiale né puramente intellettuale; è una relazione spirituale tra Dio e l’uomo.
(1486.6) 134:4.3 Se religioni differenti riconoscono la sovranità spirituale di Dio il Padre, allora tutte queste religioni staranno in pace. Solo quando una religione pretende di essere in qualche modo superiore a tutte le altre e di possedere un’autorità esclusiva sulle altre religioni, tale religione avrà l’ardire di essere intollerante verso le altre religioni od oserà perseguitare i credenti delle altre religioni.
(1487.1) 134:4.4 La pace religiosa — la fratellanza — non potrà mai esistere senza che tutte le religioni siano disposte a spogliarsi completamente di ogni autorità ecclesiastica e ad abbandonare totalmente ogni concetto di sovranità spirituale. Dio solo è spirito sovrano.
(1487.2) 134:4.5 Non ci può essere uguaglianza tra le religioni (libertà religiosa) senza guerre di religione fino a che tutte le religioni non consentono di trasferire la sovranità religiosa ad un livello superumano, a Dio stesso.
(1487.3) 134:4.6 Il regno dei cieli nel cuore degli uomini creerà l’unità religiosa (non necessariamente l’uniformità) perché ciascun gruppo religioso composto da tali credenti religiosi sarà privo di ogni nozione di autorità ecclesiastica — di sovranità religiosa.
(1487.4) 134:4.7 Dio è spirito, e Dio dona un frammento del suo essere spirituale perché dimori nel cuore dell’uomo. Spiritualmente tutti gli uomini sono uguali. Il regno dei cieli è privo di caste, di classi, di livelli sociali e di gruppi economici. Voi siete tutti fratelli.
(1487.5) 134:4.8 Ma quando si perde di vista la sovranità spirituale di Dio il Padre, qualche religione comincerà ad affermare la sua superiorità sulle altre religioni; ed allora, invece di pace sulla terra e buona volontà tra gli uomini, cominceranno i dissensi, le recriminazioni e persino le guerre di religione, o almeno le guerre tra persone religiose.
(1487.6) 134:4.9 Gli esseri dotati di libero arbitrio che si considerano uguali, a meno di non riconoscersi mutualmente sottomessi ad una qualche supersovranità, ad una qualche autorità superiore a loro, presto o tardi saranno tentati di mettere alla prova la loro abilità di acquisire potere ed autorità sulle altre persone e sugli altri gruppi. Il concetto di uguaglianza porta la pace solo se è riconosciuta reciprocamente l’influenza del supercontrollo di una supersovranità.
(1487.7) 134:4.10 Gli uomini religiosi di Urmia vivevano insieme in relativa pace e tranquillità perché avevano totalmente rinunciato a tutte le loro nozioni di sovranità religiosa. Spiritualmente essi credevano tutti in un Dio sovrano; socialmente, la totale ed incontestabile autorità risiedeva nel capo che li presiedeva — Cymboyton. Essi sapevano bene che cosa sarebbe accaduto ad un insegnante che avesse preteso di spadroneggiare sui suoi colleghi. Non ci può essere pace religiosa durevole su Urantia fino a che tutti i gruppi religiosi non rinunciano spontaneamente ai loro concetti di favore divino, di popolo eletto e di sovranità religiosa. Solo quando Dio il Padre diviene supremo gli uomini diverranno fratelli nella religione e vivranno insieme in pace religiosa sulla terra.
(1487.8) 134:5.1 [Anche se l’insegnamento del Maestro concernente la sovranità di Dio è una verità — complicata soltanto dall’apparizione successiva della religione su di lui tra le religioni del mondo — le sue esposizioni concernenti la sovranità politica sono immensamente complicate dall’evoluzione politica della vita delle nazioni durante gli ultimi millenovecento anni e più. All’epoca di Gesù c’erano soltanto due grandi potenze mondiali — l’Impero Romano in Occidente e l’Impero di Han in Oriente — e questi erano largamente separati dal regno dei Parti e da altri paesi intermedi delle regioni del Caspio e del Turkestan. Nella presentazione che segue ci siamo perciò scostati molto di più dalla sostanza degli insegnamenti del Maestro ad Urmia concernenti la sovranità politica, tentando nello stesso tempo di descrivere l’importanza di questi insegnamenti quali sono applicabili allo stadio particolarmente critico dell’evoluzione della sovranità politica nel ventesimo secolo dopo Cristo.]
(1487.9) 134:5.2 La guerra su Urantia non avrà mai fine fintantoché le nazioni resteranno attaccate alle nozioni illusorie di una sovranità nazionale illimitata. Vi sono soltanto due livelli di sovranità relativa su un mondo abitato: il libero arbitrio spirituale del singolo mortale e la sovranità collettiva dell’umanità come insieme. Tra il livello del singolo essere umano ed il livello dell’umanità come insieme, tutti i gruppi e tutte le associazioni sono relativi, transitori ed hanno valore solo nella misura in cui accrescono la felicità, il benessere ed il progresso degli individui e del grande insieme planetario — dell’uomo e dell’umanità.
(1488.1) 134:5.3 Gli insegnanti religiosi devono ricordarsi sempre che la sovranità spirituale di Dio prevale su tutte le fedeltà spirituali interposte ed intermedie. I governanti civili impareranno un giorno che gli Altissimi governano nei regni degli uomini.
(1488.2) 134:5.4 Questo governo degli Altissimi nei regni degli uomini non è a speciale beneficio di un gruppo particolarmente favorito di mortali. Non esiste nessun “popolo eletto”. Il governo degli Altissimi, supercontrollori dell’evoluzione politica, è un governo destinato a promuovere il bene più grande per il maggior numero di tutti gli uomini e per la durata più lunga di tempo.
(1488.3) 134:5.5 La sovranità è potere e cresce per mezzo dell’organizzazione. Questa crescita dell’organizzazione del potere politico è buona ed auspicabile, perché tende ad includere settori sempre più vasti dell’intera umanità. Ma questa stessa crescita delle organizzazioni politiche crea un problema ad ogni stadio intermedio tra l’organizzazione iniziale e naturale del potere politico — la famiglia — ed il coronamento finale della crescita politica — il governo di tutta l’umanità, per mezzo di tutta l’umanità e per tutta l’umanità.
(1488.4) 134:5.6 Partendo dal potere dei genitori nel gruppo familiare, la sovranità politica si evolve per organizzazione a mano a mano che le famiglie si estendono in clan consanguinei, che si uniscono per diverse ragioni in unità tribali — in raggruppamenti politici superconsanguinei. In seguito, grazie agli scambi, al commercio e alla conquista, le tribù si unificano in una nazione e le nazioni stesse si unificano talvolta in un impero.
(1488.5) 134:5.7 A mano a mano che la sovranità passa da piccoli gruppi a gruppi più grandi, le guerre si fanno più rare. Cioè le guerre minori tra piccole nazioni diminuiscono, ma il potenziale per le grandi guerre si accresce via via che le nazioni che esercitano la sovranità divengono sempre più grandi. Ben presto, quando il mondo intero sarà stato esplorato ed occupato, quando le nazioni saranno poche, forti e potenti, quando queste grandi e presunte nazioni sovrane confineranno tra di loro, quando soltanto gli oceani le separeranno, allora sarà pronto il quadro per guerre più grandi, per conflitti mondiali. Le cosiddette nazioni sovrane non possono stare a contatto senza generare conflitti e provocare guerre.
(1488.6) 134:5.8 La difficoltà nell’evoluzione della sovranità politica, dalla famiglia fino all’umanità intera, risiede nell’inerzia-resistenza incontrata su tutti i livelli intermedi. All’occasione le famiglie hanno sfidato il clan, e dal canto loro i clan e le tribù hanno spesso rifiutato di sottomettersi alla sovranità dello Stato territoriale. Ogni nuova e progredita evoluzione della sovranità politica è (ed è sempre stata) intralciata ed impedita dagli “stadi d’incastellatura” degli sviluppi anteriori dell’organizzazione politica. E questo è vero perché le fedeltà umane, una volta mobilitate, sono difficili da modificare. La stessa fedeltà che rende possibile l’evoluzione della tribù, rende difficile l’evoluzione della supertribù — lo Stato territoriale. E la stessa fedeltà (il patriottismo) che rende possibile l’evoluzione dello Stato territoriale, complica immensamente lo sviluppo evoluzionario del governo di tutta l’umanità.
(1488.7) 134:5.9 La sovranità politica è creata grazie all’abbandono dell’autodeterminismo, prima da parte dell’individuo all’interno della famiglia e poi da parte delle famiglie e dei clan nei confronti della tribù e dei gruppi più grandi. Questo trasferimento progressivo dell’autodeterminazione dalle organizzazioni politiche più piccole a quelle sempre più grandi è generalmente proseguito senza tregua in Oriente dall’instaurazione delle dinastie Ming e Mogul. In Occidente esso è prevalso per più di mille anni sino alla fine della Guerra Mondiale, quando un malaugurato movimento retrogrado invertì temporaneamente questa normale tendenza ristabilendo la sovranità politica abbattuta di numerosi piccoli gruppi in Europa.
(1489.1) 134:5.10 Urantia non godrà di una pace durevole fino a che le cosiddette nazioni sovrane non rimetteranno intelligentemente e pienamente i loro poteri sovrani nelle mani della fraternità degli uomini — il governo dell’umanità. L’internazionalismo — le Leghe delle Nazioni — non può mai portare una pace permanente all’umanità. Le confederazioni mondiali di nazioni impediranno efficacemente le guerre minori e controlleranno in modo accettabile le nazioni più piccole, ma non riusciranno ad impedire le guerre mondiali né a controllare i tre, quattro o cinque governi più potenti. Di fronte a conflitti reali, una di queste potenze mondiali si ritirerà dalla Lega e dichiarerà guerra. Non si può impedire alle nazioni di fare guerra finché restano contaminate dal virus illusorio della sovranità nazionale. L’internazionalismo è un passo nella direzione giusta. Una forza di polizia internazionale impedirà molte guerre minori, ma non sarà efficace per impedire le guerre maggiori, i conflitti tra i grandi governi militari della terra.
(1489.2) 134:5.11 A mano a mano che il numero delle nazioni veramente sovrane (delle grandi potenze) decresce, l’opportunità ed il bisogno di un governo dell’umanità aumentano. Quando vi sono soltanto poche potenze realmente sovrane (grandi), esse devono impegnarsi in una lotta mortale per la supremazia nazionale (imperiale), oppure, abbandonando volontariamente certe prerogative di sovranità, devono creare il nucleo essenziale di un potere supernazionale che servirà come inizio della reale sovranità di tutta l’umanità.
(1489.3) 134:5.12 Non vi sarà pace su Urantia fino a che ogni nazione cosiddetta sovrana non abbandonerà il suo potere di fare la guerra nelle mani di un governo rappresentativo di tutta l’umanità. La sovranità politica è innata nei popoli del mondo. Quando tutti i popoli di Urantia creeranno un governo mondiale, avranno il diritto e il potere di rendere questo governo SOVRANO. E quando una tale potenza mondiale rappresentativa o democratica controllerà le forze terrestri, aeree e navali del mondo, la pace sulla terra e la buona volontà tra gli uomini potranno prevalere — ma non prima di allora.
(1489.4) 134:5.13 Citiamo un esempio significativo del diciannovesimo e del ventesimo secolo: i quarantotto Stati dell’Unione Federale Americana hanno goduto a lungo della pace. Non hanno più guerre tra di loro. Essi hanno ceduto la loro sovranità al governo federale, e attraverso l’arbitrato della guerra hanno rinunciato ad ogni rivendicazione dell’inganno dell’autodeterminazione. Sebbene ogni Stato regoli i propri affari interni, non si occupa di affari esteri, di tariffe, d’immigrazione, di questioni militari, del commercio tra Stati. Né i singoli Stati si occupano di questioni di cittadinanza. I quarantotto Stati soffrono per le rovine della guerra solo quando la sovranità del governo federale è in qualche modo messa in pericolo.
(1489.5) 134:5.14 Questi quarantotto Stati, avendo abbandonato le sofisticherie gemelle della sovranità e dell’autodeterminazione, godono di pace e di tranquillità tra di loro. Allo stesso modo le nazioni di Urantia cominceranno a godere della pace quando abbandoneranno spontaneamente le loro rispettive sovranità nelle mani di un governo globale — la sovranità della fratellanza degli uomini. In queste condizioni mondiali le piccole nazioni saranno potenti quanto le grandi, allo stesso modo che il piccolo Stato del Rhode Island ha i suoi due senatori nel Congresso Americano esattamente come il popoloso Stato di New York o il vasto Stato del Texas.
(1490.1) 134:5.15 La sovranità limitata (di Stato) di questi quarantotto Stati fu creata dagli uomini e per gli uomini. La sovranità superstatale (nazionale) dell’Unione Federale Americana fu creata dai primi tredici di questi Stati a loro stesso beneficio ed a beneficio degli uomini. Un giorno la sovranità supernazionale del governo planetario dell’umanità sarà creata in modo simile dalle nazioni a loro proprio beneficio ed a beneficio di tutti gli uomini.
(1490.2) 134:5.16 I cittadini non nascono per il beneficio dei governi; i governi sono organizzazioni create e stabilite a beneficio degli uomini. L’evoluzione della sovranità politica avrà fine solo con l’apparizione del governo della sovranità di tutti gli uomini. Tutte le altre sovranità hanno valori relativi, significato intermedio e status subordinato.
(1490.3) 134:5.17 Con il progresso scientifico le guerre diverranno sempre più devastanti, fino a divenire quasi un suicidio razziale. Quante guerre mondiali bisognerà combattere e quante leghe di nazioni dovranno fallire prima che gli uomini siano disposti ad istituire il governo dell’umanità e a cominciare a godere delle benedizioni di una pace permanente ed a prosperare nella tranquillità della buona volontà — la buona volontà mondiale — tra gli uomini?
(1490.4) 134:6.1 Se un uomo aspira alla libertà — alla vera libertà — deve ricordarsi che tutti gli altri uomini anelano alla stessa libertà. Dei gruppi di tali mortali che amano la vera libertà non possono vivere insieme in pace senza sottomettersi a leggi, regole e regolamenti che garantiscano ad ogni persona lo stesso grado di libertà, salvaguardando allo stesso tempo un uguale grado di libertà per tutti i loro simili mortali. Se un uomo vuole essere assolutamente libero, allora un altro deve diventare uno schiavo assoluto. E la natura relativa della libertà è vera nel campo sociale, economico e politico. La libertà è il dono della civiltà reso possibile dall’applicazione della LEGGE.
(1490.5) 134:6.2 La religione rende spiritualmente possibile realizzare la fratellanza degli uomini, ma è necessario un governo dell’umanità per regolare i problemi sociali, economici e politici associati a questa meta di felicità e di efficienza umane.
(1490.6) 134:6.3 Ci saranno guerre e rumori di guerra — una nazione insorgerà contro un’altra nazione — fintantoché la sovranità politica del mondo sarà divisa ed ingiustamente detenuta da un gruppo di Stati nazionali. L’Inghilterra, la Scozia ed il Galles furono sempre in lotta l’uno contro l’altro fino a quando non abbandonarono le loro rispettive sovranità, affidandole al Regno Unito.
(1490.7) 134:6.4 Un’altra guerra mondiale insegnerà alle cosiddette nazioni sovrane a formare una sorta di federazione, creando così il meccanismo per prevenire le piccole guerre, le guerre tra le nazioni minori. Ma le guerre mondiali continueranno fino alla creazione del governo dell’umanità. La sovranità globale impedirà le guerre globali — nient’altro può farlo.
(1490.8) 134:6.5 I quarantotto Stati americani liberi vivono insieme in pace. Ci sono tra i cittadini di questi quarantotto Stati i rappresentanti delle varie nazionalità e razze che vivono nelle nazioni sempre in guerra dell’Europa. Questi Americani rappresentano quasi tutte le religioni e le sette religiose ed i culti dell’intero vasto mondo, e tuttavia qui nell’America del Nord essi vivono insieme in pace. E tutto ciò è reso possibile perché questi quarantotto Stati hanno rinunciato alla loro sovranità ed hanno abbandonato ogni nozione dei pretesi diritti all’autodeterminazione.
(1490.9) 134:6.6 Non è una questione di armamento o di disarmo. Nemmeno la questione di coscrizione o di servizio militare volontario c’entra in questi problemi di mantenimento della pace mondiale. Se si togliessero alle nazioni potenti tutte le forme di armamento meccanico moderno e tutti i tipi di esplosivi, esse si batterebbero con pugni, pietre e bastoni fintantoché rimanessero attaccate alle loro illusioni sul diritto divino alla sovranità nazionale.
(1491.1) 134:6.7 La guerra non è una grande e terribile malattia dell’uomo; la guerra è un sintomo, un risultato. La vera malattia è il virus della sovranità nazionale.
(1491.2) 134:6.8 Le nazioni di Urantia non hanno posseduto una sovranità reale; esse non hanno mai avuto una sovranità che le proteggesse dalle rovine e dalle devastazioni delle guerre mondiali. Nella creazione del governo globale dell’umanità le nazioni non dovranno abbandonare la loro sovranità, ma creare effettivamente una sovranità mondiale, reale, sincera e duratura che sarà da allora pienamente capace di proteggerle da tutte le guerre. Gli affari locali saranno trattati dai governi locali, gli affari nazionali dai governi nazionali, gli affari internazionali saranno amministrati dal governo globale.
(1491.3) 134:6.9 La pace mondiale non può essere mantenuta da trattati, dalla diplomazia, da politiche estere, da alleanze, da equilibri di potere, né da ogni altro tipo di espediente che faccia dei giochi di prestigio con le sovranità del nazionalismo. La legge mondiale deve venire all’esistenza e deve essere applicata da un governo mondiale — la sovranità di tutta l’umanità.
(1491.4) 134:6.10 L’individuo godrà di molta più libertà sotto un governo mondiale. Oggi i cittadini delle grandi potenze sono tassati, regolamentati e controllati in maniera quasi oppressiva, e gran parte di queste interferenze attuali nelle libertà individuali scomparirà quando i governi nazionali saranno disposti ad affidare la loro sovranità in materia di affari internazionali alle mani di un governo globale.
(1491.5) 134:6.11 Sotto un governo globale i gruppi nazionali avranno realmente occasione di realizzare e di godere le libertà personali di una democrazia autentica. L’inganno dell’autodeterminazione avrà termine. Con una regolamentazione globale delle monete e degli scambi commerciali verrà la nuova era di pace nel mondo intero. Potrà evolversi in breve tempo un linguaggio globale e ci sarà almeno qualche speranza di avere un giorno una religione globale — o delle religioni con una visione globale.
(1491.6) 134:6.12 La sicurezza collettiva non assicurerà mai la pace fino a che la collettività non ingloberà tutta l’umanità.
(1491.7) 134:6.13 La sovranità politica del governo rappresentativo dell’umanità porterà una pace durevole sulla terra, e la fraternità spirituale degli uomini assicurerà per sempre la buona volontà fra tutti gli uomini. Non esiste altro modo per mezzo del quale la pace sulla terra e la buona volontà tra gli uomini possano essere realizzate.
(1491.8) 134:6.14 Dopo la morte di Cymboyton i suoi figli incontrarono grandi difficoltà per mantenere la pace tra il corpo insegnante. Le ripercussioni degli insegnamenti di Gesù sarebbero state molto più grandi se i successivi istruttori cristiani, che si unirono al corpo insegnante di Urmia, avessero dato prova di maggiore saggezza ed avessero esercitato maggiore tolleranza.
(1491.9) 134:6.15 Il figlio primogenito di Cymboyton aveva chiamato in aiuto Abner da Filadelfia, ma la scelta degli insegnanti da parte di Abner fu molto infelice, nel senso che si dimostrarono inflessibili ed intransigenti. Questi insegnanti cercarono di rendere la loro religione dominante sulle altre credenze. Essi non sospettarono mai che le conferenze del conduttore di carovane cui ci si riferiva così spesso fossero state tenute da Gesù stesso.
(1491.10) 134:6.16 Quando la confusione si accrebbe in seno alla facoltà, i tre fratelli ritirarono il loro appoggio finanziario, e dopo cinque anni la scuola chiuse. Fu riaperta più tardi come tempio mitraico e fu infine incendiata in occasione di una delle loro celebrazioni orgiastiche.
(1492.1) 134:7.1 Quando Gesù ritornò dal viaggio nel Mar Caspio, sapeva che i suoi giri per il mondo erano quasi terminati. Fece soltanto un altro viaggio fuori della Palestina, e fu per andare in Siria. Dopo un breve soggiorno a Cafarnao, egli andò a Nazaret, dove si fermò alcuni giorni per fare delle visite. A metà aprile lasciò Nazaret per Tiro. Da là si diresse verso nord, fermandosi alcuni giorni a Sidone, ma la sua destinazione era Antiochia.
(1492.2) 134:7.2 Questo è l’anno del vagabondare solitario di Gesù attraverso la Palestina e la Siria. Nel corso di quest’anno di peregrinazioni egli fu conosciuto con nomi diversi nelle differenti parti del paese: il carpentiere di Nazaret, il costruttore di battelli di Cafarnao, lo Scriba di Damasco ed il maestro di Alessandria.
(1492.3) 134:7.3 Ad Antiochia il Figlio dell’Uomo visse per più di due mesi, lavorando, osservando, studiando, facendo visite, assistendo, ed imparando nel frattempo come vivono gli uomini, come pensano, come si sentono e come reagiscono all’ambiente dell’esistenza umana. Per tre settimane di questo periodo egli lavorò come fabbricante di tende. Rimase ad Antiochia più a lungo che in qualunque altro posto che visitò in questo viaggio. Dieci anni più tardi, quando l’apostolo Paolo predicò ad Antiochia e sentì i suoi seguaci parlare delle dottrine dello Scriba di Damasco, non sospettò affatto che i suoi allievi avessero sentito la voce ed ascoltato gli insegnamenti del Maestro stesso.
(1492.4) 134:7.4 Da Antiochia Gesù scese a sud lungo la costa fino a Cesarea, dove si fermò per alcune settimane, proseguendo poi lungo la costa fino a Giaffa. Da Giaffa si diresse verso l’interno, passando per Jamnia, Asdod e Gaza. Da Gaza egli prese la pista interna verso Bersabea, dove si fermò una settimana.
(1492.5) 134:7.5 Gesù partì poi per il suo ultimo giro, come persona privata, attraverso il cuore della Palestina, andando da Bersabea nel sud fino a Dan nel nord. Nel corso di questo viaggio verso nord si fermò ad Hebron, a Betlemme (dove vide il suo luogo di nascita), a Gerusalemme (non visitò Betania), a Beerot, Lebona, Sicar, Sichem, Samaria, Geba, En-Gannim, Endor e Madon. Attraversando Magdala e Cafarnao proseguì verso nord, e passando ad est delle Acque di Merom si recò per Karata a Dan, o Cesarea di Filippo.
(1492.6) 134:7.6 L’Aggiustatore di Pensiero interiore indusse ora Gesù ad abbandonare i luoghi abitati dagli uomini e a recarsi sul Monte Hermon per terminare l’opera di controllo della sua mente umana e per completare il compito di consacrarsi totalmente al resto del lavoro della sua vita sulla terra.
(1492.7) 134:7.7 Questa fu una delle epoche eccezionali e straordinarie nella vita terrena del Maestro su Urantia. Un’altra esperienza molto simile fu quella per la quale egli passò da solo sulle colline vicino a Pella subito dopo il suo battesimo. Questo periodo d’isolamento sul Monte Hermon segnò la fine della sua carriera puramente umana, cioè la conclusione tecnica del suo conferimento mortale, mentre l’isolamento successivo segnò l’inizio della fase più divina del conferimento. E Gesù visse da solo con Dio per sei settimane sulle pendici del Monte Hermon.
(1492.8) 134:8.1 Dopo aver trascorso qualche tempo in prossimità di Cesarea di Filippo, Gesù preparò delle provviste, e dopo essersi procurato una bestia da soma ed un ragazzo di nome Tiglat, procedette lungo la strada di Damasco fino ad un villaggio allora conosciuto come Bet Jenn sulle colline pedemontane del Monte Hermon. Qui, verso la metà di agosto dell’anno 25 d.C., egli stabilì il suo campo base, e lasciate le sue provviste in custodia a Tiglat ascese le pendici disabitate della montagna. In questo primo giorno, Tiglat accompagnò Gesù sulla montagna fino ad un punto situato a circa duemila metri sul livello del mare, dove essi costruirono una nicchia di pietra nella quale Tiglat doveva depositare il cibo due volte alla settimana.
(1493.1) 134:8.2 Il primo giorno, dopo aver lasciato Tiglat, Gesù aveva asceso la montagna solo per un breve tratto e poi si fermò a pregare. Tra le altre cose egli chiese a suo Padre di mandare il serafino guardiano ad “accompagnare Tiglat”. Chiese che gli fosse permesso di salire da solo verso la sua ultima lotta con le realtà dell’esistenza mortale; e la sua richiesta fu accolta. Egli affrontò la grande prova accompagnato soltanto dal suo Aggiustatore interiore per guidarlo e sostenerlo.
(1493.2) 134:8.3 Gesù mangiò frugalmente mentre era in montagna; si astenne da ogni cibo soltanto un giorno o due di seguito. Gli esseri superumani che lo affrontarono su questa montagna e con i quali lottò in spirito e che egli vinse in potenza erano reali. Essi erano i suoi nemici implacabili del sistema di Satania; non erano fantasmi dell’immaginazione usciti dalle fantasticherie intellettuali di un mortale debole ed affamato, incapace di distinguere la realtà dalle visioni di una mente alterata.
(1493.3) 134:8.4 Gesù passò le ultime tre settimane di agosto e le prime tre settimane di settembre sul Monte Hermon. Durante queste settimane egli portò a termine il compito mortale di completare i cerchi di comprensione mentale e di controllo della personalità. In questo periodo di comunione con suo Padre celeste, l’Aggiustatore interiore completò anch’esso i servizi assegnatili. Lo scopo umano di questa creatura terrena fu allora raggiunto. Restava da completare soltanto la fase finale di armonizzazione della sua mente con l’Aggiustatore.
(1493.4) 134:8.5 Dopo più di cinque settimane di comunione ininterrotta con suo Padre del Paradiso, Gesù divenne assolutamente sicuro della sua natura e certo del suo trionfo sui livelli materiali di manifestazione della personalità nel tempo-spazio. Egli credette pienamente nella supremazia della sua natura divina sulla sua natura umana, e non esitò ad affermarla.
(1493.5) 134:8.6 Verso la fine del suo soggiorno in montagna Gesù chiese a suo Padre l’autorizzazione ad avere un incontro con i suoi nemici di Satania in qualità di Figlio dell’Uomo, come Joshua ben Joseph. Questa richiesta fu accolta. Durante l’ultima settimana sul Monte Hermon la grande tentazione, la prova dell’universo, ebbe luogo. Satana (che rappresentava Lucifero) ed il Principe Planetario ribelle, Caligastia, erano presenti presso Gesù e gli furono resi pienamente visibili. E questa “tentazione”, questa prova finale di fedeltà umana di fronte alle esposizioni fallaci delle personalità ribelli, non ebbe niente a che vedere con cibo, pinnacoli di templi o atti di presunzione. Non ebbe niente a che vedere con i regni di questo mondo, ma con la sovranità di un potente e glorioso universo. Il simbolismo dei vostri scritti era destinato ai tempi arretrati della mentalità infantile del mondo. E le generazioni successive dovrebbero comprendere che il Figlio dell’Uomo sostenne una grande lotta durante quel fatidico giorno sul Monte Hermon.
(1493.6) 134:8.7 Alle numerose proposte e controproposte degli emissari di Lucifero, Gesù diede una sola risposta: “Possa la volontà di mio Padre del Paradiso prevalere, e quanto a te, figlio mio ribelle, possano gli Antichi dei Giorni giudicarti divinamente. Io sono il tuo Creatore-padre; io non posso giudicarti in modo giusto, e tu hai già respinto la mia misericordia. Io ti rimetto al giudizio dei Giudici di un universo più grande.”
(1494.1) 134:8.8 A tutti i compromessi e gli espedienti suggeriti da Lucifero, a tutte le capziose proposte circa il conferimento come incarnazione, Gesù si limitò a rispondere: “Sia fatta la volontà di mio Padre del Paradiso.” E quando la difficile ordalia fu terminata, il serafino custode distaccato ritornò a fianco di Gesù e gli portò assistenza.
(1494.2) 134:8.9 In un pomeriggio di fine estate, in mezzo agli alberi e nel silenzio della natura, Micael di Nebadon conquistò la sovranità indiscussa del suo universo. In quel giorno egli completò il compito assegnato ai Figli Creatori di vivere pienamente la vita incarnata nelle sembianze della carne mortale sui mondi evoluzionari del tempo e dello spazio. L’annuncio all’universo di questa impresa importantissima non fu fatto fino al giorno del suo battesimo, alcuni mesi più tardi, ma tutto avvenne in realtà quel giorno sulla montagna. Quando Gesù discese dal suo soggiorno sul Monte Hermon, la ribellione di Lucifero in Satania e la secessione di Caligastia su Urantia erano praticamente regolate. Gesù aveva pagato l’ultimo prezzo richiestogli per ottenere la sovranità del suo universo, che regola da se stessa lo status di tutti i ribelli e determina che ogni futura sollevazione di tal genere (se mai capitasse) potrà essere trattata sommariamente ed efficacemente. Di conseguenza, si può vedere che la cosiddetta “grande tentazione” di Gesù ebbe luogo qualche tempo prima del suo battesimo e non immediatamente dopo quell’avvenimento.
(1494.3) 134:8.10 Alla fine di questo soggiorno sulla montagna, mentre Gesù scendeva, incontrò Tiglat che saliva al posto convenuto con il cibo. Rimandandolo indietro, egli disse solamente: “Il periodo di riposo è finito; devo ritornare agli affari di mio Padre.” Egli era un uomo silenzioso e molto diverso mentre facevano il viaggio di ritorno verso Dan, dove si congedò dal ragazzo facendogli dono dell’asino. Poi si diresse verso sud per la stessa strada per la quale era venuto, e andò a Cafarnao.
(1494.4) 134:9.1 Si era ora prossimi alla fine dell’estate, quasi all’epoca del giorno di riparazione e della festa dei Tabernacoli. Gesù tenne una riunione di famiglia a Cafarnao durante il sabato, ed il giorno successivo partì per Gerusalemme con Giovanni, il figlio di Zebedeo, passando ad est del lago e per Gerasa e scendendo la valle del Giordano. Mentre per strada s’intratteneva con il suo compagno, Giovanni notò un grande cambiamento in Gesù.
(1494.5) 134:9.2 Gesù e Giovanni si fermarono per la notte a Betania presso Lazzaro e le sue sorelle, e partirono presto il mattino dopo per Gerusalemme. Essi trascorsero quasi tre settimane nella città e nei suoi dintorni, o almeno lo fece Giovanni. Per molti giorni Giovanni andò da solo a Gerusalemme, mentre Gesù camminava sulle colline vicine e s’immergeva in lunghi periodi di comunione spirituale con suo Padre nei cieli.
(1494.6) 134:9.3 Tutti e due assistettero ai servizi solenni del giorno di riparazione. Giovanni fu molto colpito dalle cerimonie di questo giorno cruciale del rituale religioso ebraico, ma Gesù rimase uno spettatore pensieroso e silenzioso. Per il Figlio dell’Uomo questo spettacolo era pietoso e patetico. Egli considerò tutto ciò come una falsa rappresentazione del carattere e degli attributi di suo Padre celeste. Reputò gli avvenimenti di questo giorno una parodia dei fatti della giustizia divina e delle verità della misericordia infinita. Egli bruciava dal desiderio di proclamare la verità reale riguardo al carattere amorevole e alla condotta misericordiosa di suo Padre nell’universo, ma il suo fedele Monitore lo avvertì che la sua ora non era ancora giunta. Ma quella sera a Betania Gesù si lasciò sfuggire numerose osservazioni che turbarono grandemente Giovanni; e Giovanni non comprese mai pienamente il significato reale di ciò che disse Gesù nel corso del loro colloquio di quella sera.
(1495.1) 134:9.4 Gesù programmò di rimanere per tutta la settimana della festa dei Tabernacoli con Giovanni. Questa festa era la vacanza annuale di tutta la Palestina; era il periodo delle ferie ebraiche. Anche se Gesù non partecipò alla festosità di circostanza, era evidente che provava piacere e soddisfazione nel vedere lo spensierato e gioioso abbandono dei giovani e dei vecchi.
(1495.2) 134:9.5 A metà della settimana di celebrazione e prima che le festività fossero terminate, Gesù si congedò da Giovanni dicendo che desiderava ritirarsi sulle colline dove poteva comunicare meglio con suo Padre del Paradiso. Giovanni avrebbe voluto andare con lui, ma Gesù insisté perché rimanesse per tutta la durata delle festività dicendo: “Non ti è richiesto di portare il fardello del Figlio dell’Uomo; solo la sentinella deve vegliare mentre la città dorme in pace.” Gesù non ritornò a Gerusalemme. Dopo quasi un’intera settimana passata da solo sulle colline vicino a Betania, partì per Cafarnao. Sulla via del ritorno egli passò un giorno e una notte da solo sulle pendici del Monte Gelboe, vicino al luogo in cui il Re Saul si era suicidato; e quando arrivò a Cafarnao sembrava più sereno di quando aveva lasciato Giovanni a Gerusalemme.
(1495.3) 134:9.6 Il mattino successivo Gesù andò al baule contenente i suoi effetti personali, che era rimasto nel laboratorio di Zebedeo, indossò il suo grembiule e si presentò al lavoro dicendo: “È necessario che mi tenga occupato mentre aspetto la mia ora.” E lavorò parecchi mesi, fino al gennaio dell’anno successivo, nel cantiere navale a fianco di suo fratello Giacomo. Dopo questo periodo di lavoro con Gesù, indipendentemente dai dubbi che vennero ad offuscare la comprensione di Giacomo circa l’opera della vita del Figlio dell’Uomo, egli non abbandonò mai più realmente e completamente la sua fede nella missione di Gesù.
(1495.4) 134:9.7 Durante questo periodo finale di lavoro al cantiere navale, Gesù passò la maggior parte del suo tempo alla finitura interna di alcuni grandi battelli. Egli metteva grande impegno in tutto il suo lavoro manuale e sembrava provare la soddisfazione del compimento umano quando aveva terminato una buona parte di lavoro. Sebbene spendesse poco tempo nei dettagli, egli era un operaio meticoloso quando si trattava delle cose essenziali di un dato lavoro.
(1495.5) 134:9.8 Mentre il tempo passava, giunsero a Cafarnao delle voci su un certo Giovanni che predicava battezzando dei penitenti nel Giordano; e Giovanni predicava: “Il regno dei cieli è vicino; pentitevi e battezzatevi.” Gesù sentì di queste voci mentre Giovanni risaliva lentamente la valle del Giordano dal guado del fiume più vicino a Gerusalemme. Ma Gesù continuò a lavorare, costruendo battelli, fino a che Giovanni ebbe risalito il fiume giungendo ad una località vicina a Pella nel mese di gennaio dell’anno successivo, 26 d.C. Allora Gesù depose i suoi arnesi dicendo: “La mia ora è giunta”, e si presentò ben presto a Giovanni per essere battezzato.
(1495.6) 134:9.9 Ma un grande cambiamento si era operato in Gesù. Furono poche le persone che avevano goduto delle sue visite e del suo ministero mentre percorreva il paese in lungo e in largo che riconobbero in seguito nell’istruttore pubblico la stessa persona che avevano conosciuto ed amato come individuo privato negli anni precedenti. E c’era una ragione al fatto che i suoi beneficiari di un tempo non lo riconoscevano nel suo ruolo successivo d’istruttore pubblico ed autorevole. Questa trasformazione di mente e di spirito era proseguita per lunghi anni e si era completata durante il memorabile soggiorno sul Monte Hermon.
(1496.1) 135:0.1 GIOVANNI il Battista nacque il 25 marzo dell’anno 7 a.C., conformemente alla promessa che Gabriele aveva fatto ad Elisabetta nel giugno dell’anno precedente. Per cinque mesi Elisabetta tenne segreta la visitazione di Gabriele; e quando ne parlò a suo marito, Zaccaria, questi fu molto turbato e credette pienamente al suo racconto solo dopo aver fatto uno strano sogno circa sei settimane prima della nascita di Giovanni. Eccetto la visita di Gabriele ad Elisabetta ed il sogno di Zaccaria, non ci fu niente di eccezionale o di soprannaturale connesso con la nascita di Giovanni il Battista.
(1496.2) 135:0.2 All’ottavo giorno Giovanni fu circonciso secondo il costume ebraico. Egli crebbe come un bambino normale, giorno dopo giorno e anno dopo anno, nel piccolo villaggio conosciuto in quel tempo come la Città di Giuda, situato a circa sette chilometri ad ovest di Gerusalemme.
(1496.3) 135:0.3 L’avvenimento più memorabile della prima infanzia di Giovanni fu la visita, che fece in compagnia dei suoi genitori, a Gesù e alla famiglia di Nazaret. Questa visita avvenne nel mese di giugno dell’anno 1 a. C., quando egli aveva poco più di sei anni.
(1496.4) 135:0.4 Dopo il loro ritorno da Nazaret i genitori di Giovanni cominciarono l’educazione sistematica del ragazzo. Non c’era una scuola di sinagoga in questo piccolo villaggio; tuttavia, essendo un sacerdote, Zaccaria era abbastanza istruito ed Elisabetta era molto più colta della media delle donne della Giudea; anch’essa apparteneva al clero, essendo una discendente delle “figlie di Aaron”. Poiché Giovanni era figlio unico, essi dedicarono molto tempo alla sua educazione mentale e spirituale. Zaccaria aveva soltanto dei brevi periodi di servizio al tempio di Gerusalemme, cosicché passava molto del suo tempo ad istruire suo figlio.
(1496.5) 135:0.5 Zaccaria ed Elisabetta possedevano una piccola fattoria dove allevavano pecore. Essi avevano appena di che vivere in questa proprietà, ma Zaccaria riceveva un’indennità regolare dai fondi del tempio destinati al clero.
(1496.6) 135:1.1 Giovanni non aveva una scuola dalla quale poter uscire diplomato all’età di quattordici anni, ma i suoi genitori avevano scelto quest’anno come quello appropriato affinché pronunciasse il voto formale di Nazireo. Di conseguenza, Zaccaria ed Elisabetta condussero il loro figlio ad Engaddi, presso il Mar Morto. Questa era la sede meridionale della fratellanza nazirea, e là il ragazzo fu debitamente e solennemente ammesso a quest’ordine per tutta la vita. Dopo queste cerimonie e dopo aver fatto voto di astenersi da ogni bevanda inebriante, di lasciarsi crescere i capelli e di evitare di toccare i morti, la famiglia si recò a Gerusalemme dove, davanti al tempio, Giovanni completò le offerte previste da parte di coloro che pronunciavano i voti di Nazireo.
(1496.7) 135:1.2 Giovanni pronunciò gli stessi voti per tutta la vita che erano stati pronunciati dai suoi illustri predecessori, Sansone ed il profeta Samuele. Un Nazireo a vita era considerato una personalità santificata e sacra. Gli Ebrei portavano ad un Nazireo quasi lo stesso rispetto e la stessa venerazione accordati ad un gran sacerdote; e ciò non era strano perché i Nazirei consacrati a vita erano le sole persone, oltre ai gran sacerdoti, cui fosse permesso di entrare nel santo dei santi del tempio.
(1497.1) 135:1.3 Giovanni ritornò da Gerusalemme per badare alle pecore di suo padre e crescere fino a diventare un uomo vigoroso dotato di un nobile carattere.
(1497.2) 135:1.4 A sedici anni Giovanni, a seguito delle letture su Elia, rimase molto impressionato dal profeta del Monte Carmelo e decise di adottare la sua foggia nel vestire. Da quel giorno Giovanni portò sempre un indumento di pelo con una cintura di cuoio. A sedici anni egli era alto più di un metro e ottanta ed era quasi del tutto sviluppato. Con i suoi capelli fluenti ed il modo particolare di vestire egli era veramente un giovane pittoresco. Ed i suoi genitori si aspettavano grandi cose da questo loro unico figlio, un figlio della promessa ed un Nazireo per la vita.
(1497.3) 135:2.1 Dopo una malattia di alcuni mesi Zaccaria morì nel luglio dell’anno 12 d.C., quando Giovanni aveva appena compiuto diciotto anni. Questo fu un momento di grande imbarazzo per Giovanni, perché il voto di Nazireo proibiva il contatto con i morti, anche della propria famiglia. Sebbene Giovanni si fosse sforzato di conformarsi alle restrizioni del suo voto concernenti la contaminazione dai morti, dubitò di essere stato pienamente ubbidiente alle esigenze dell’ordine nazireo; perciò, dopo la sepoltura di suo padre, egli andò a Gerusalemme dove, nell’angolo nazireo del cortile delle donne, offrì i sacrifici richiesti per la sua purificazione.
(1497.4) 135:2.2 In settembre di quest’anno Elisabetta e Giovanni fecero un viaggio a Nazaret per far visita a Maria e a Gesù. Giovanni aveva quasi deciso d’iniziare l’opera della sua vita, ma fu esortato, non solo dalle parole di Gesù ma anche dal suo esempio, a ritornare a casa per prendersi cura di sua madre e per aspettare la “venuta dell’ora del Padre”. Dopo aver salutato Gesù e Maria al termine di questa piacevole visita, Giovanni non rivide più Gesù fino all’evento del suo battesimo nel Giordano.
(1497.5) 135:2.3 Giovanni ed Elisabetta ritornarono a casa loro e cominciarono a fare dei piani per il futuro. Poiché Giovanni rifiutava di accettare il sussidio del clero dovutogli dai fondi del tempio, in capo a due anni essi avevano quasi perso la loro casa; decisero così di dirigersi verso sud con il loro gregge di pecore. Di conseguenza, l’estate in cui Giovanni compì vent’anni vide il loro trasferimento ad Hebron. Nel cosiddetto “deserto della Giudea” Giovanni custodì le sue pecore lungo un torrente tributario di un corso d’acqua più grande che si gettava nel Mar Morto ad Engaddi. La colonia di Engaddi comprendeva non soltanto Nazirei consacrati a vita o per un periodo determinato, ma numerosi altri pastori ascetici che si riunivano in questa regione con i loro greggi e fraternizzavano con la comunità nazirea. Essi si mantenevano con l’allevamento delle pecore e grazie ai doni che Ebrei ricchi facevano all’ordine.
(1497.6) 135:2.4 Con il passare del tempo Giovanni ritornò meno spesso ad Hebron, mentre fece visite più frequenti ad Engaddi. Egli era così completamente differente dalla maggioranza dei Nazirei che trovava molto difficile fraternizzare pienamente con la comunità. Ma era molto affezionato ad Abner, guida e capo riconosciuto della colonia di Engaddi.
(1497.7) 135:3.1 Lungo la valle di questo piccolo torrente Giovanni costruì non meno di una dozzina di ripari in pietra e di recinti per la notte, costituiti da pietre accatastate da dove poteva sorvegliare e proteggere il suo gregge di pecore e di capre. La vita di Giovanni come pastore gli lasciava molto tempo per pensare. Egli parlava molto con Ezda, un ragazzo orfano di Bet-zur, che egli aveva in un certo senso adottato e che custodiva il gregge quando egli andava ad Hebron per far visita a sua madre e per vendere delle pecore, ed anche quando si recava ad Engaddi per i servizi del sabato. Giovanni ed il ragazzo vivevano molto semplicemente, nutrendosi di carne di pecora, di latte di capra, di miele selvatico e di locuste commestibili di quella regione. Questo, che era il loro normale regime alimentare, era completato da provviste portate di tanto in tanto da Hebron e da Engaddi.
(1498.1) 135:3.2 Elisabetta teneva Giovanni informato degli affari della Palestina e del mondo, ed egli era sempre più profondamente convinto che si stesse rapidamente avvicinando il momento in cui il vecchio ordine di cose sarebbe finito; che egli sarebbe divenuto l’araldo dell’approssimarsi di una nuova era, “il regno dei cieli”. Questo rozzo pastore aveva una grande predilezione per gli scritti del profeta Daniele. Egli aveva letto migliaia di volte la descrizione di Daniele della grande immagine che Zaccaria gli aveva detto rappresentare la storia dei potenti regni del mondo, cominciando con la Babilonia, poi la Persia, la Grecia ed infine Roma. Giovanni percepiva che Roma era già composta di popoli e razze talmente poliglotte che non avrebbe mai potuto diventare un impero fortemente cementato e fermamente consolidato. Egli pensava che Roma fosse già allora divisa in Siria, Egitto, Palestina ed altre province; e poi lesse ancora che “al tempo di questi re il Dio del cielo stabilirà un regno che non sarà mai distrutto. E questo regno non sarà lasciato ad altro popolo ma farà a pezzi e consumerà tutti questi regni e sussisterà per sempre”. “E gli fu dato dominio e gloria ed un regno perché tutti i popoli, nazioni e lingue lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non finirà, ed il suo regno non sarà mai distrutto.” “Ed il regno e il dominio e la grandezza del regno sotto il cielo intero saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno è un regno eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli obbediranno.”
(1498.2) 135:3.3 Giovanni non fu mai capace di elevarsi completamente al di sopra della confusione prodotta da quanto aveva ascoltato dai suoi genitori su Gesù e dai brani che aveva letto nelle Scritture. In Daniele lesse: “Ho avuto delle visioni notturne, ed ho visto uno simile al Figlio dell’Uomo venire sulle nubi del cielo, e gli veniva dato il dominio e la gloria ed un regno.” Ma queste parole del profeta non collimavano con quello che i suoi genitori gli avevano insegnato. Nemmeno il suo colloquio con Gesù in occasione della sua visita all’età di diciotto anni corrispondeva con queste affermazioni delle Scritture. Nonostante questa confusione, durante tutto il periodo delle sue perplessità sua madre lo assicurò che il suo lontano cugino, Gesù di Nazaret, era il vero Messia, che era venuto per sedere sul trono di Davide e che lui (Giovanni) sarebbe divenuto il suo preannunciatore ed il suo principale sostegno.
(1498.3) 135:3.4 A motivo di tutto ciò che aveva sentito dire del vizio e della perversità di Roma e della dissolutezza ed aridità morale dell’Impero, e da quanto seppe sulle cattive azioni di Erode Antipa e dei governatori della Giudea, Giovanni era incline a credere che la fine dell’era fosse imminente. Sembrava a questo rude e nobile figlio della natura che il mondo fosse maturo per la fine dell’era dell’uomo e per l’aurora dell’era nuova e divina — il regno dei cieli. Nel cuore di Giovanni cresceva la sensazione che egli sarebbe stato l’ultimo dei vecchi profeti ed il primo dei nuovi. Ed egli vibrava tutto sotto l’impulso crescente di andare a proclamare a tutti gli uomini: “Pentitevi! Mettetevi in regola con Dio! Siate pronti per la fine; preparatevi per l’apparizione dell’ordine nuovo ed eterno delle cose terrene, il regno dei cieli.”
(1499.1) 135:4.1 Il 17 agosto dell’anno 22 d.C., quando Giovanni aveva ventotto anni, sua madre morì improvvisamente. Gli amici di Elisabetta, conoscendo le restrizioni naziree circa il contatto con i morti, anche della propria famiglia, presero tutte le disposizioni per la sepoltura di Elisabetta prima di mandare a cercare Giovanni. Quando ricevette la notizia della morte di sua madre, egli ordinò ad Ezda di portare il suo gregge ad Engaddi e partì per Hebron.
(1499.2) 135:4.2 Al suo ritorno ad Engaddi dopo il funerale di sua madre, egli fece dono del suo gregge alla confraternita e si staccò dal mondo esteriore per un periodo di digiuno e di preghiera. Giovanni conosceva soltanto gli antichi metodi di approccio alla divinità; conosceva soltanto la storia di persone quali Elia, Samuele e Daniele. Elia rappresentava il suo ideale di profeta. Elia era stato il primo degli insegnanti d’Israele ad essere considerato un profeta e Giovanni credeva sinceramente che egli sarebbe stato l’ultimo di questa lunga ed illustre serie di messaggeri del cielo.
(1499.3) 135:4.3 Per due anni e mezzo Giovanni visse ad Engaddi e persuase la maggior parte della confraternita che “la fine dell’era era vicina”; che “il regno dei cieli era sul punto di apparire”. E tutto il suo insegnamento iniziale era basato sull’idea e sul concetto ebraici correnti del Messia promesso alla nazione ebrea per liberarla dalla dominazione dei suoi governatori Gentili.
(1499.4) 135:4.4 Per tutto questo periodo Giovanni lesse molto gli scritti sacri che trovò nella sede di Engaddi dei Nazirei. Egli fu particolarmente impressionato da Isaia e da Malachia, l’ultimo dei profeti fino a quel tempo. Lesse e rilesse gli ultimi cinque capitoli di Isaia e credette a queste profezie. Poi lesse in Malachia: “Ecco, vi manderò Elia il profeta prima della venuta del grande e terribile giorno del Signore; ed egli volgerà il cuore dei padri verso i figli ed il cuore dei figli verso i loro padri, per timore che io venga a colpire la terra con una maledizione.” E fu soltanto questa promessa di Malachia che Elia sarebbe tornato che trattenne Giovanni dall’andare a predicare sul regno imminente e ad esortare i suoi compatrioti ebrei a fuggire l’ira futura. Giovanni era maturo per la proclamazione del messaggio del regno futuro, ma questa attesa della venuta di Elia lo trattenne per più di due anni. Egli sapeva di non essere Elia. Che cosa voleva dire Malachia? La sua profezia era letterale o simbolica? Come poteva egli conoscere la verità? Alla fine osò pensare che, dal momento che il primo dei profeti si chiamava Elia, così l’ultimo poteva essere conosciuto in fin dei conti con lo stesso nome. Tuttavia egli aveva dei dubbi, dubbi sufficienti ad impedirgli di chiamare se stesso Elia.
(1499.5) 135:4.5 Fu l’influenza di Elia che indusse Giovanni ad adottare i suoi metodi di attacco diretto e brusco contro i peccati ed i vizi dei suoi contemporanei. Egli cercò di vestirsi come Elia e si sforzò di parlare come Elia; in tutti i suoi aspetti esteriori assomigliava al profeta di un tempo. Egli era proprio un vigoroso e pittoresco figlio della natura, proprio un intrepido e audace predicatore di rettitudine. Giovanni non era ignorante; conosceva bene gli scritti sacri ebrei, ma era poco colto. Egli aveva delle idee chiare, era un potente oratore ed un ardente accusatore. Non era un esempio per la sua epoca, ma era un eloquente censore.
(1499.6) 135:4.6 Alla fine egli escogitò il metodo per proclamare la nuova era, il regno di Dio; decise che sarebbe divenuto l’araldo del Messia. Spazzò via tutti i dubbi e partì da Engaddi un giorno di marzo dell’anno 25 d.C. per iniziare la sua breve ma brillante carriera di predicatore pubblico.
(1500.1) 135:5.1 Per comprendere il messaggio di Giovanni bisogna tenere conto della condizione del popolo ebreo al momento in cui egli apparve sulla scena d’azione. Per quasi cento anni tutto Israele affrontava un dilemma; gli Ebrei erano imbarazzati a spiegare la loro continua sottomissione ai governatori Gentili. Mosè non aveva insegnato che la rettitudine era sempre ricompensata con la prosperità ed il potere? Non erano essi il popolo eletto di Dio? Perché il trono di Davide era abbandonato e vacante? Alla luce delle dottrine di Mosè e dei precetti dei profeti gli Ebrei trovavano difficile spiegare la lunga continuità della loro desolazione nazionale.
(1500.2) 135:5.2 Circa cento anni prima dell’epoca di Gesù e di Giovanni sorse in Palestina una nuova scuola d’insegnanti religiosi, gli apocalittici. Questi nuovi insegnanti elaborarono un sistema di credenza che spiegava le sofferenze e l’umiliazione degli Ebrei con il motivo che stavano pagando le conseguenze dei peccati della nazione. Essi ritornavano sulle ben note ragioni destinate a spiegare le loro cattività precedenti a Babilonia e altrove. Ma, così insegnavano gli apocalittici, Israele avrebbe ripreso coraggio; i tempi della sua afflizione erano quasi passati; la punizione del popolo eletto di Dio stava per finire; la pazienza di Dio verso gli stranieri Gentili era quasi esaurita. La fine della sovranità romana era sinonimo della fine dell’era e, in un certo senso, della fine del mondo. Questi nuovi insegnanti si appoggiavano fortemente sulle predizioni di Daniele ed insegnavano con persistenza che la creazione stava per arrivare al suo stadio finale; i regni di questo mondo stavano per divenire il regno di Dio. Per le menti ebree di quel tempo questo era il senso della frase — il regno dei cieli — che ricorreva negli insegnamenti di Giovanni e di Gesù. Per gli Ebrei della Palestina la frase “regno dei cieli” aveva solo un significato: uno Stato assolutamente retto nel quale Dio (il Messia) avrebbe governato le nazioni della terra con la stessa perfezione di potere con cui governava in cielo — “Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo.”
(1500.3) 135:5.3 Al tempo di Giovanni tutti gli Ebrei si chiedevano con ansietà: “Quando verrà il regno?” Essi avevano la sensazione generale che la fine del governo delle nazioni gentili fosse prossima. Era presente in tutti gli Ebrei una viva speranza ed un’ardente aspettativa che la realizzazione del desiderio delle ere si sarebbe verificata durante la vita di quella generazione.
(1500.4) 135:5.4 Anche se gli Ebrei differivano grandemente nelle loro valutazioni sulla natura del regno futuro, credevano tutti in modo simile che l’avvenimento fosse imminente, vicinissimo, addirittura in corso. Molti di coloro che leggevano l’Antico Testamento erano letteralmente in attesa di un nuovo re in Palestina per una nazione ebrea rigenerata, liberata dai suoi nemici e presieduta dal successore del Re Davide, il Messia, che sarebbe stato immediatamente riconosciuto come il giusto e legittimo sovrano del mondo intero. Un altro gruppo di devoti Ebrei, meno numeroso, aveva una visione assai differente di questo regno di Dio. Essi insegnavano che il regno futuro non era di questo mondo, che il mondo si stava avvicinando ad una fine certa e che “un nuovo cielo ed una nuova terra” avrebbero annunciato l’instaurazione del regno di Dio; che questo regno sarebbe stato un dominio eterno, che il peccato sarebbe finito e che i cittadini del nuovo regno sarebbero divenuti immortali nel godimento di questa felicità eterna.
(1500.5) 135:5.5 Tutti erano d’accordo che un’epurazione radicale o un castigo purificante avrebbero necessariamente preceduto l’instaurazione del nuovo regno sulla terra. Coloro che si attenevano alla lettera insegnavano che sarebbe scoppiata una guerra mondiale che avrebbe distrutto tutti i non credenti, mentre i fedeli avrebbero riportato una vittoria universale ed eterna. Gli spiritisti insegnavano che il regno sarebbe stato inaugurato dal grande giudizio di Dio che avrebbe relegato i malvagi al loro verdetto ben meritato di condanna e di distruzione finale, elevando allo stesso tempo i santi credenti del popolo eletto ad alti posti d’onore e d’autorità presso il Figlio dell’Uomo, il quale avrebbe regnato sulle nazioni redente nel nome di Dio. Quest’ultimo gruppo credeva anche che molti devoti Gentili avrebbero potuto essere ammessi alla comunità del nuovo regno.
(1501.1) 135:5.6 Certi Ebrei erano dell’opinione che Dio avrebbe potuto instaurare questo nuovo regno per intervento diretto e divino, ma la grande maggioranza credeva che egli avrebbe interposto un intermediario rappresentativo, il Messia. Questo era il solo significato possibile che il termine Messia poteva avere nella mente degli Ebrei della generazione di Giovanni e di Gesù. Messia non poteva assolutamente essere un termine attribuito ad uno che si fosse limitato ad insegnare la volontà di Dio o a proclamare la necessità di una vita retta. A tutte queste persone sante gli Ebrei davano il titolo di profeta. Il Messia doveva essere più che un profeta; il Messia doveva portare all’instaurazione del nuovo regno, il regno di Dio. Nessuno che avesse fallito in questa impresa avrebbe potuto essere il Messia nel senso tradizionale ebraico.
(1501.2) 135:5.7 Chi sarebbe stato questo Messia? Di nuovo gli insegnanti ebrei avevano opinioni diverse. Gli anziani aderivano alla dottrina del figlio di Davide. I nuovi insegnavano che, poiché il nuovo regno era un regno celeste, il nuovo sovrano avrebbe potuto anche essere una personalità divina che era rimasta seduta a lungo in cielo alla destra di Dio. E per quanto strano potesse sembrare, coloro che concepivano in tal modo il sovrano del nuovo regno non lo consideravano un Messia umano, un semplice uomo, ma “il Figlio dell’Uomo” — un Figlio di Dio — un Principe celeste tenuto a lungo in attesa per assumere così la sovranità sulla terra resa nuova. Questo era lo scenario religioso del mondo ebraico quando Giovanni entrò in scena proclamando: “Pentitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”
(1501.3) 135:5.8 Diventa chiaro, quindi, che l’annuncio di Giovanni del regno futuro non aveva meno di una mezza dozzina di significati differenti nella mente di coloro che ascoltavano la sua appassionata predicazione. Ma indipendentemente dal significato che essi attribuivano alle espressioni impiegate da Giovanni, ognuno di questi vari gruppi in attesa del regno degli Ebrei era incuriosito dalle proclamazioni di questo predicatore di rettitudine e di pentimento, sincero, entusiasta e sbrigativo, che esortava così solennemente i suoi ascoltatori a “fuggire dalla collera futura”.
(1501.4) 135:6.1 All’inizio del mese di marzo dell’anno 25 d.C., Giovanni fece il giro della costa occidentale del Mar Morto e risalì il fiume Giordano fino all’altezza di Gerico, l’antico guado attraverso il quale Giosuè ed i figli d’Israele erano passati quando entrarono per la prima volta nella terra promessa. Ed attraversato il fiume fino all’altra sponda, si stabilì vicino all’accesso del guado e cominciò a predicare alla gente che attraversava il fiume in un senso o nell’altro. Questo era il più frequentato di tutti i punti di attraversamento del Giordano.
(1501.5) 135:6.2 Era evidente a tutti coloro che ascoltavano Giovanni che egli era più che un predicatore. La grande maggioranza di coloro che ascoltavano questo strano uomo venuto dal deserto della Giudea ripartiva credendo di aver ascoltato la voce di un profeta. Non c’è da meravigliarsi che le anime di questi Ebrei frustrati e pieni di speranza fossero profondamente scosse da un tale fenomeno. In tutta la storia ebraica mai i figli devoti di Abramo avevano tanto desiderato la “consolazione d’Israele” né atteso più ardentemente “la restaurazione del regno”. Mai in tutta la storia ebraica il messaggio di Giovanni, “il regno dei cieli è vicino”, avrebbe potuto esercitare un richiamo così profondo ed universale come nel preciso momento in cui egli apparve così misteriosamente sulla sponda di questo guado meridionale del Giordano.
(1502.1) 135:6.3 Egli proveniva dai pastori, come Amos. Era vestito come l’Elia di un tempo ed urlava le sue ammonizioni e lanciava i suoi avvertimenti nello “spirito e potere di Elia”. Non c’è da sorprendersi che questo stravagante predicatore abbia creato uno scompiglio enorme in tutta la Palestina via via che i viaggiatori portavano in giro le notizie della sua predicazione lungo il Giordano.
(1502.2) 135:6.4 C’era anche un’altra e nuova caratteristica nel lavoro di questo predicatore nazireo: egli battezzava ognuno dei suoi credenti nel Giordano “per la remissione dei peccati”. Sebbene il battesimo non fosse una cerimonia nuova tra gli Ebrei, essi non l’avevano mai visto praticato come faceva ora Giovanni. C’era stata a lungo la pratica di battezzare così i proseliti Gentili per ammetterli alla comunità del cortile esterno del tempio, ma non era mai stato chiesto agli Ebrei stessi di sottoporsi al battesimo di pentimento. Trascorsero soltanto quindici mesi tra il momento in cui Giovanni cominciò a predicare e a battezzare ed il suo arresto ed imprigionamento su istigazione di Erode Antipa, ma in questo breve lasso di tempo egli battezzò ben più di centomila penitenti.
(1502.3) 135:6.5 Giovanni predicò per quattro mesi al guado di Betania prima di partire verso nord risalendo il Giordano. Decine di migliaia di ascoltatori, alcuni curiosi ma molti sinceri e seri, vennero ad ascoltarlo da tutte le parti della Giudea, della Perea e della Samaria. Alcuni vennero anche dalla Galilea.
(1502.4) 135:6.6 In maggio di quest’anno, mentre egli si trovava ancora al guado di Betania, i sacerdoti e i Leviti mandarono una delegazione per chiedere a Giovanni se sostenesse di essere il Messia ed in virtù di quale autorità predicasse. Giovanni rispose a questi inquisitori dicendo: “Andate a dire ai vostri padroni che avete ascoltato ‘la voce di uno che grida nel deserto’, come annunciò il profeta, dicendo: ‘preparate la via del Signore, spianate una strada maestra per il nostro Dio. Ogni valle sarà colmata ed ogni montagna ed ogni collina sarà livellata; i terreni irregolari diverranno piani, mentre i luoghi accidentati diverranno vallate uniformi; e tutta l’umanità vedrà la salvezza di Dio.’ ”
(1502.5) 135:6.7 Giovanni era un predicatore eroico ma privo di tatto. Un giorno in cui stava predicando e battezzando sulla riva occidentale del Giordano, un gruppo di Farisei ed un certo numero di Sadducei si fecero avanti e si presentarono per essere battezzati. Prima di farli scendere nell’acqua, Giovanni, rivolgendosi a loro collettivamente, disse: “Chi vi ha consigliato di fuggire dalla collera futura come vipere davanti al fuoco? Io vi battezzerò, ma vi avverto che dovrete produrre frutti degni di un sincero pentimento se volete ricevere la remissione dei vostri peccati. Non venitemi a dire che Abramo è vostro padre. Io dichiaro che da queste dodici pietre qui davanti a voi Dio è capace di far sorgere dei degni figli di Abramo. Già ora la scure è posta sulle radici stesse degli alberi. Ogni albero che non porta frutti buoni è destinato ad essere tagliato e gettato nel fuoco.” (Le dodici pietre alle quali egli faceva allusione erano le celebri pietre commemorative erette da Giosuè a ricordo del passaggio delle “dodici tribù” per questo stesso posto quando entrarono per la prima volta nella terra promessa.)
(1502.6) 135:6.8 Giovanni teneva delle lezioni per i suoi discepoli, nel corso delle quali li istruiva sui dettagli della loro nuova vita e si sforzava di rispondere alle loro numerose domande. Egli consigliava agli istruttori d’insegnare nello spirito quanto nella lettera della legge. Egli insegnava al ricco di nutrire il povero; agli esattori d’imposte diceva: “Non estorcete più di quanto vi è dovuto.” Ai soldati diceva: “Non fate violenza e non pretendete niente indebitamente — accontentatevi del vostro soldo.” Mentre consigliava a tutti: “Preparatevi per la fine dell’era — il regno dei cieli è vicino.”
(1503.1) 135:7.1 Giovanni aveva ancora le idee confuse sul regno futuro e sul suo re. Più predicava e più era confuso, ma questa incertezza intellettuale circa la natura del regno futuro non sminuì mai minimamente la sua convinzione sulla certezza dell’avvento immediato del regno. Giovanni poteva essere confuso nella mente, ma mai nello spirito. Egli non aveva alcun dubbio sulla venuta del regno, ma era lontano dall’essere certo che Gesù sarebbe stato o meno il sovrano di questo regno. Fintantoché Giovanni si atteneva all’idea della restaurazione del trono di Davide, gli insegnamenti dei suoi genitori che Gesù, nato nella Città di Davide, sarebbe stato il liberatore a lungo atteso, sembravano coerenti. Ma nei momenti in cui propendeva maggiormente verso la dottrina di un regno spirituale e della fine dell’era temporale sulla terra, egli era molto dubbioso sul ruolo che Gesù avrebbe svolto in tali avvenimenti. Talvolta dubitava di tutto, ma non a lungo. Egli desiderava realmente poter parlare di tutto ciò con suo cugino, ma questo era contrario all’accordo stabilito tra di loro.
(1503.2) 135:7.2 Mentre Giovanni si dirigeva verso nord, pensò molto a Gesù. Egli si fermò in più di una dozzina di posti risalendo il Giordano. Fu ad Adam che egli fece per la prima volta allusione ad “un altro che verrà dopo di me” in risposta ad una domanda precisa che gli avevano posto i suoi discepoli: “Sei tu il Messia?” Ed egli proseguì dicendo: “Verrà uno dopo di me che è più grande di me, davanti al quale non sono degno di chinarmi a sciogliere i lacci dei suoi sandali. Io vi battezzo con l’acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo. Ha la pala nella sua mano per pulire a fondo la sua aia; egli riporrà il grano nel suo granaio, ma distruggerà la pula con il fuoco del giudizio.”
(1503.3) 135:7.3 In risposta alle domande dei suoi discepoli Giovanni continuò ad ampliare i suoi insegnamenti, aggiungendo giorno dopo giorno maggiori indicazioni utili ed incoraggianti rispetto al suo messaggio iniziale ed enigmatico: “Pentitevi e siate battezzati.” In quel tempo delle folle arrivavano dalla Galilea e dalla Decapoli. Decine di credenti sinceri si fermavano giorno dopo giorno con il loro adorato maestro.
(1503.4) 135:8.1 Nel dicembre dell’anno 25 d.C., quando Giovanni raggiunse i dintorni di Pella risalendo il Giordano, la sua fama si era estesa in tutta la Palestina e la sua opera era divenuta il principale soggetto di conversazione in tutte le città vicine al lago di Galilea. Gesù aveva parlato favorevolmente del messaggio di Giovanni e ciò aveva indotto numerosi abitanti di Cafarnao ad unirsi al culto di pentimento e di battesimo di Giovanni. Giacomo e Giovanni, i figli pescatori di Zebedeo, erano scesi al guado in dicembre, poco dopo che Giovanni si era fermato a predicare vicino a Pella, e si erano presentati per essere battezzati. Essi andavano a trovare Giovanni una volta alla settimana e riportavano a Gesù resoconti recenti e diretti dell’opera dell’evangelista.
(1503.5) 135:8.2 I fratelli di Gesù, Giacomo e Giuda, avevano parlato di andare da Giovanni per essere battezzati; ed ora che Giuda era venuto a Cafarnao per le funzioni del sabato, lui e Giacomo, dopo che ebbero ascoltato il discorso di Gesù nella sinagoga, decisero di chiedergli consiglio circa i loro piani. Ciò avvenne sabato sera 12 gennaio dell’anno 26 d.C. Gesù chiese loro di rimandare la discussione al giorno seguente, in cui avrebbe dato loro la sua risposta. Egli dormì molto poco quella notte, rimanendo in stretta comunione con il Padre celeste. Si era accordato per mangiare a mezzogiorno con i suoi fratelli e dare loro il proprio parere sul battesimo da parte di Giovanni. Quella domenica mattina Gesù stava lavorando come al solito al cantiere navale. Giacomo e Giuda erano arrivati con il pranzo e lo stavano aspettando nel magazzino del legname, perché non era ancora giunta l’ora della pausa di mezzogiorno e sapevano che Gesù era molto preciso in queste cose.
(1504.1) 135:8.3 Poco prima della sosta di mezzogiorno, Gesù depose i suoi attrezzi, si tolse il grembiule da lavoro ed annunciò semplicemente ai tre operai che lavoravano nella stanza con lui: “La mia ora è venuta.” Egli andò dai suoi fratelli Giacomo e Giuda, ripetendo: “La mia ora è venuta — andiamo da Giovanni.” Ed essi partirono immediatamente per Pella, mangiando il loro pasto durante il viaggio. Questo avvenne domenica 13 gennaio. Essi si fermarono per la notte nella valle del Giordano ed arrivarono sul luogo in cui Giovani battezzava verso mezzogiorno del giorno seguente.
(1504.2) 135:8.4 Giovanni aveva appena incominciato a battezzare i candidati della giornata. Decine di penitenti stavano in fila aspettando il loro turno quando Gesù ed i suoi due fratelli presero posto in questa fila di uomini e di donne sinceri che erano divenuti credenti nella predicazione di Giovanni sul regno futuro. Giovanni si era informato su Gesù presso i figli di Zebedeo. Egli aveva saputo dei commenti di Gesù sulla sua predicazione e giorno dopo giorno si aspettava di vederlo arrivare sul posto, ma non pensava di salutarlo nella fila dei candidati al battesimo.
(1504.3) 135:8.5 Essendo assorbito dai dettagli per battezzare rapidamente un così gran numero di convertiti, Giovanni non alzò gli occhi per guardare Gesù fino a quando il Figlio dell’Uomo non fu in sua diretta presenza. Quando Giovanni riconobbe Gesù, le cerimonie furono interrotte per un momento mentre egli salutava suo cugino nella carne e gli chiedeva: “Ma perché scendi nell’acqua per salutarmi? E Gesù rispose: “Per sottopormi al tuo battesimo.” Giovanni replicò: “Ma sono io che ho bisogno di essere battezzato da te. Perché vieni da me?” E Gesù sussurrò a Giovanni: “Abbi pazienza con me adesso, perché occorre che diamo questo esempio ai miei fratelli che sono qui con me e perché la gente possa sapere che la mia ora è venuta.”
(1504.4) 135:8.6 C’era un tono deciso ed autoritario nella voce di Gesù. Giovanni tremava per l’emozione mentre si preparava a battezzare Gesù di Nazaret nel Giordano a mezzogiorno di lunedì 14 gennaio dell’anno 26 d.C. Così Giovanni battezzò Gesù ed i suoi due fratelli Giacomo e Giuda. E quando Giovanni ebbe battezzato questi tre, congedò gli altri in attesa, annunciando che avrebbe ripreso a battezzare a mezzogiorno del giorno seguente. Mentre la gente se ne stava andando, i quattro uomini ancora nell’acqua udirono un suono strano, e subito comparve per qualche istante un’apparizione immediatamente sopra la testa di Gesù e udirono una voce che diceva: “Questo è il mio figlio prediletto nel quale io sono molto soddisfatto.” Un grande cambiamento si produsse sul volto di Gesù, e uscendo dall’acqua in silenzio egli si congedò da loro e si diresse verso le colline poste ad est. E nessuno rivide Gesù per quaranta giorni.
(1504.5) 135:8.7 Giovanni accompagnò Gesù per un tratto sufficiente a raccontargli la storia della visita di Gabriele a sua madre prima della nascita di entrambi, così come l’aveva ascoltata molte volte dalle labbra di sua madre. Egli lasciò che Gesù proseguisse la sua strada dopo avergli detto: “Ora so con certezza che tu sei il Liberatore.” Ma Gesù non rispose.
(1505.1) 135:9.1 Quando Giovanni ritornò dai suoi discepoli (ne aveva ora venticinque o trenta che stavano sempre con lui), li trovò in accesa discussione su quanto era appena accaduto in connessione con il battesimo di Gesù. Essi rimasero tutti ancora più stupiti quando Giovanni raccontò loro la storia della visitazione di Gabriele a Maria prima della nascita di Gesù, ed anche che Gesù non gli aveva detto una parola dopo che gliene aveva parlato. Non pioveva quella sera e questo gruppo di trenta o più persone discusse a lungo nella notte stellata. Essi si chiedevano dove fosse andato Gesù e quando lo avrebbero rivisto.
(1505.2) 135:9.2 Dopo l’esperienza di questo giorno la predicazione di Giovanni assunse toni nuovi e sicuri della proclamazione concernente il futuro regno e l’atteso Messia. Questi quaranta giorni di attesa, aspettando il ritorno di Gesù, furono un periodo di tensione; ma Giovanni continuava a predicare con grande potenza, ed i suoi discepoli cominciarono in quel tempo a predicare alle folle straripanti che si ammassavano attorno a Giovanni sulle rive del Giordano.
(1505.3) 135:9.3 Nel corso di questi quaranta giorni di attesa si diffusero molte dicerie nel paese ed anche a Tiberiade e Gerusalemme. Migliaia di persone venivano a vedere la nuova attrazione all’accampamento di Giovanni, il preteso Messia, ma Gesù non fu visto. Quando i discepoli di Giovanni affermavano che lo strano uomo di Dio se ne era andato sulle colline, molti dubitavano dell’intera storia.
(1505.4) 135:9.4 Circa tre settimane dopo che Gesù li aveva lasciati, arrivò sulla scena a Pella una nuova delegazione di sacerdoti e di Farisei di Gerusalemme. Essi chiesero direttamente a Giovanni se egli fosse Elia o il profeta promesso da Mosè; e quando Giovanni disse: “Non lo sono”, essi ebbero l’ardire di chiedere: “Sei tu il Messia? E Giovanni rispose: “Non lo sono.” Allora questi uomini venuti da Gerusalemme dissero: “Se tu non sei Elia, né il profeta, né il Messia, allora perché battezzi la gente e crei tutto questo trambusto?” E Giovani replicò: “Spetta a coloro che mi hanno ascoltato ed hanno ricevuto il mio battesimo dire chi sono, ma io vi dichiaro che, mentre io battezzo con acqua, è stato fra di noi uno che ritornerà per battezzarvi con lo Spirito Santo.”
(1505.5) 135:9.5 Questi quaranta giorni furono un periodo difficile per Giovanni e i suoi discepoli. Quale doveva essere la relazione tra Giovanni e Gesù? Sorsero cento questioni da discutere. La politica e le ambizioni egoiste cominciarono a fare la loro apparizione. Sorsero delle discussioni accanite attorno alle varie idee e concezioni del Messia. Sarebbe egli divenuto un capo militare e un re come Davide? Avrebbe sconfitto le armate romane come Giosuè aveva fatto con i Cananei? O sarebbe venuto ad instaurare un regno spirituale? Giovanni propendeva piuttosto, con la minoranza, che Gesù fosse venuto ad instaurare il regno dei cieli, sebbene non fosse del tutto chiaro nella sua mente che cosa doveva comportare questa missione dell’instaurazione del regno dei cieli.
(1505.6) 135:9.6 Questi furono giorni intensi nell’esperienza di Giovanni ed egli pregò per il ritorno di Gesù. Alcuni discepoli di Giovanni organizzarono dei gruppi di esploratori per andare alla ricerca di Gesù, ma Giovanni lo proibì dicendo: “I nostri tempi sono nelle mani del Dio del cielo; egli guiderà il suo Figlio eletto.”
(1505.7) 135:9.7 Fu al mattino presto di sabato 23 febbraio che i compagni di Giovanni, mentre prendevano il loro pasto del mattino, guardarono verso nord e scorsero Gesù che veniva verso di loro. Mentre egli si avvicinava, Giovanni salì sopra una grande roccia e alzando la sua risonante voce disse: “Guardate il Figlio di Dio, il liberatore del mondo! Questi è colui del quale ho detto: ‘Dopo di me verrà uno che mi sarà preferito perché esisteva prima di me.’ Per questo motivo sono uscito dal deserto a predicare il pentimento e a battezzare con acqua, proclamando che il regno dei cieli è vicino. Ora viene uno che vi battezzerà con lo Spirito Santo. Io ho visto lo spirito divino discendere su quest’uomo ed ho udito la voce di Dio dichiarare: ‘Questo è il mio figlio prediletto nel quale io sono molto soddisfatto.’ ”
(1506.1) 135:9.8 Gesù li invitò a ritornare al loro cibo mentre egli si sedette a mangiare con Giovanni, poiché i suoi fratelli Giacomo e Giuda erano tornati a Cafarnao.
(1506.2) 135:9.9 La mattina presto del giorno seguente egli si congedò da Giovanni e dai suoi discepoli e ripartì per la Galilea. Non disse loro nulla di quando lo avrebbero rivisto. Alle domande di Giovanni sulla propria predicazione e missione Gesù disse soltanto: “Mio Padre ti guiderà ora ed in futuro come ha fatto nel passato.” E questi due grandi uomini si separarono quel mattino sulle rive del Giordano per non rivedersi mai più nella carne.
(1506.3) 135:10.1 Poiché Gesù era andato a nord in Galilea, Giovanni si sentì spinto a ritornare sui suoi passi verso sud. Di conseguenza, domenica mattina 3 marzo, Giovanni ed il resto dei suoi discepoli iniziarono il loro viaggio verso sud. Circa un quarto dei seguaci più vicini a Giovanni erano partiti nel frattempo per la Galilea in cerca di Gesù. C’era la tristezza della confusione in Giovanni. Egli non predicò più come faceva prima di battezzare Gesù. Sentiva in certo qual modo che la responsabilità del regno futuro non era più sulle sue spalle. Egli aveva l’impressione che la sua opera fosse quasi finita; era sconsolato e solo. Ma predicava, battezzava e proseguiva il suo cammino verso sud.
(1506.4) 135:10.2 Giovanni si fermò parecchie settimane vicino al villaggio di Adam, e fu qui che lanciò il suo memorabile attacco contro Erode Antipa che aveva preso illegalmente la moglie di un altro uomo. Nel giugno di quest’anno (26 d.C.) Giovanni era tornato al guado di Betania sul Giordano, dove aveva iniziato la sua predicazione sul regno futuro più di un anno prima. Nelle settimane che seguirono il battesimo di Gesù, il carattere della predicazione di Giovanni era gradatamente cambiato nella proclamazione della misericordia per la gente comune, mentre denunciava con rinnovata veemenza i capi politici e religiosi corrotti.
(1506.5) 135:10.3 Erode Antipa, nel cui territorio Giovanni stava predicando, si allarmò per timore che costui ed i suoi discepoli suscitassero una ribellione. Erode era anche risentito per le critiche pubbliche di Giovanni sui suoi affari familiari. In considerazione di tutto ciò Erode decise di mettere Giovanni in prigione. Di conseguenza, nelle prime ore del mattino del 12 giugno, prima dell’arrivo delle moltitudini per ascoltare la predicazione ed assistere al battesimo, gli agenti di Erode posero Giovanni in stato d’arresto. Poiché le settimane passavano ed egli non veniva rilasciato, i suoi discepoli si sparsero per tutta la Palestina; molti di loro andarono in Galilea per unirsi ai seguaci di Gesù.
(1506.6) 135:11.1 Giovanni fece un’esperienza solitaria ed un po’ amara in prigione. Pochi dei suoi discepoli furono autorizzati a fargli visita. Egli desiderava ardentemente vedere Gesù, ma dovette accontentarsi di sentir parlare del suo lavoro tramite quelli che tra i suoi discepoli erano divenuti credenti nel Figlio dell’Uomo. Egli fu spesso tentato di dubitare di Gesù e della sua missione divina. Se Gesù era il Messia, perché non faceva nulla per liberarlo da questa intollerabile prigionia? Per più di un anno e mezzo questo rude uomo di Dio abituato all’aria aperta languì in quell’orribile prigione. E questa esperienza fu una grande prova della sua fede in Gesù e della sua fedeltà verso di lui. In verità tutta questa esperienza fu una grande prova della fede di Giovanni anche in Dio. Molte volte egli fu tentato di dubitare anche dell’autenticità della sua stessa missione ed esperienza.
(1507.1) 135:11.2 Dopo che ebbe trascorso in prigione parecchi mesi, un gruppo di suoi discepoli venne a trovarlo e, dopo avergli riferito sulle attività pubbliche di Gesù, disse: “Così vedi, Maestro, che colui che era con te nel corso superiore del Giordano prospera e riceve tutti coloro che vengono da lui. Egli banchetta anche con i Pubblicani ed i peccatori. Tu hai reso una coraggiosa testimonianza verso di lui e tuttavia egli non fa nulla per ottenere la tua liberazione.” Ma Giovanni rispose ai suoi amici: “Quest’uomo non può fare nulla senza che ciò gli sia stato dato da suo Padre che è nei cieli. Vi ricordate bene quello che ho detto: ‘Io non sono il Messia, ma sono uno mandato avanti per preparare la via a lui.’ E questo ho fatto. Colui che ha la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo che sta nelle vicinanze e lo ascolta gode grandemente nell’udire la voce dello sposo. Questa mia gioia dunque è appagata. Egli deve crescere ed io diminuire. Io sono di questa terra ed ho proclamato il mio messaggio. Gesù di Nazaret è venuto sulla terra dal cielo ed è al di sopra di noi tutti. Il Figlio dell’Uomo è disceso da Dio, ed egli vi proclamerà la parola di Dio. Perché il Padre che è nei cieli non dona lo spirito secondo misura al proprio Figlio. Il Padre ama suo Figlio e rimetterà presto ogni cosa nelle mani di questo Figlio. Chiunque crede nel Figlio ha la vita eterna. E queste parole che pronuncio sono vere e perenni.”
(1507.2) 135:11.3 Questi discepoli rimasero talmente stupefatti dalle affermazioni di Giovanni che partirono in silenzio. Anche Giovanni era molto scosso perché percepiva di avere pronunciato una profezia. Egli non dubitò mai più della missione e della divinità di Gesù. Ma fu una dolorosa delusione per Giovanni che Gesù non gli mandasse nemmeno un messaggio, che non venisse a trovarlo e che non esercitasse alcuno dei suoi grandi poteri per farlo uscire di prigione. Ma Gesù sapeva tutto ciò. Egli nutriva grande affetto per Giovanni, ma rendendosi ora conto della sua natura divina e conoscendo pienamente i grandi avvenimenti che si preparavano per Giovanni quando sarebbe partito da questo mondo, e sapendo anche che l’opera terrena di Giovanni era finita, si astenne dall’interferire nello svolgimento naturale della carriera del grande predicatore-profeta.
(1507.3) 135:11.4 Questa lunga attesa in prigione era umanamente intollerabile. Appena pochi giorni prima della sua morte Giovanni mandò nuovamente da Gesù dei messaggeri di fiducia per chiedergli: “La mia opera è conclusa? Perché languisco in prigione? Sei tu veramente il Messia o dobbiamo cercarne un altro?” E quando questi due discepoli diedero questo messaggio a Gesù, il Figlio dell’Uomo rispose: “Ritornate da Giovanni e ditegli che non l’ho dimenticato, ma che sopporti anche questo, perché è bene che compiamo tutto ciò che prevede la rettitudine. Dite a Giovanni ciò che avete visto e udito — che la buona novella è predicata ai poveri — ed infine dite al diletto araldo della mia missione terrena che egli sarà abbondantemente benedetto nell’era futura se non avrà occasione di dubitare e di esitare su di me.” Questo fu l’ultimo messaggio che Giovanni ricevette da Gesù. Questo messaggio lo confortò grandemente e contribuì molto a rendere più ferma la sua fede e a prepararlo alla tragica fine della sua vita nella carne che seguì così da vicino a questa memorabile circostanza.
(1508.1) 135:12.1 Poiché Giovanni operava nella Perea meridionale al momento dell’arresto, fu condotto immediatamente nella prigione della fortezza di Macheronte, dove rimase incarcerato fino alla sua esecuzione. Erode governava sia la Perea che la Galilea e manteneva allora delle residenze in Perea sia a Giuliade che a Macheronte. In Galilea la sua residenza ufficiale era stata trasferita da Sefforis alla nuova capitale Tiberiade.
(1508.2) 135:12.2 Erode aveva paura di rilasciare Giovanni per timore che istigasse una ribellione. Egli aveva paura di metterlo a morte per timore che la moltitudine si sollevasse nella capitale, perché migliaia di Pereani credevano che Giovanni fosse un uomo santo, un profeta. Per questo Erode teneva il predicatore nazireo in prigione, non sapendo che cosa fare di lui. Giovanni era comparso parecchie volte davanti ad Erode, ma non aveva mai voluto accettare né di lasciare i domini di Erode né di astenersi da ogni attività pubblica se fosse stato rilasciato. E questa nuova agitazione in costante crescita concernente Gesù di Nazaret, consigliava Erode che non era il momento di lasciare libero Giovanni. Inoltre Giovanni era anche vittima dell’odio implacabile e profondo da parte di Erodiade, la moglie illegittima di Erode.
(1508.3) 135:12.3 In numerose occasioni Erode parlò con Giovanni del regno dei cieli, e sebbene talvolta fosse seriamente colpito dal suo messaggio, aveva paura di farlo uscire di prigione.
(1508.4) 135:12.4 Poiché molte costruzioni erano ancora in corso a Tiberiade, Erode passava gran parte del suo tempo nelle sue residenze della Perea, ed aveva una predilezione per la fortezza di Macheronte. Ci vollero parecchi anni prima che tutti gli edifici pubblici e la residenza ufficiale di Tiberiade fossero completamente ultimati.
(1508.5) 135:12.5 Per la celebrazione del suo compleanno Erode diede una grande festa al palazzo di Macheronte per i suoi ufficiali di grado più elevato e per altre importanti personalità facenti parte dei consigli del governo della Galilea e della Perea. Poiché Erodiade non era riuscita ad ottenere la morte di Giovanni mediante appello diretto ad Erode, si diede ora da fare allo scopo di ottenere la morte di Giovanni con un astuto piano.
(1508.6) 135:12.6 Nel corso dei festeggiamenti e degli intrattenimenti della sera, Erodiade presentò sua figlia perché danzasse davanti ai convitati. Erode rimase molto affascinato dalla rappresentazione della giovane e chiamatala davanti a lui disse: “Sei incantevole. Sono molto soddisfatto di te. Chiedimi in questo mio anniversario qualunque cosa desideri ed io te la darò, fosse anche la metà del mio regno.” Ed Erode faceva tutto ciò mentre era sotto l’influenza delle sue numerose libagioni. La giovane si trasse in disparte per sentire da sua madre che cosa dovesse chiedere ad Erode. Erodiade le disse: “Va da Erode e chiedi la testa di Giovanni il Battista.” E la giovane ritornò alla tavola del banchetto e disse ad Erode: “Ti chiedo di darmi subito la testa di Giovanni il Battista su un piatto.”
(1508.7) 135:12.7 Erode fu riempito di timore e di tristezza, ma a causa del suo giuramento e di tutti coloro che sedevano a mangiare con lui, non volle rifiutare la richiesta. Ed Erode Antipa mandò un soldato con l’ordine di portare la testa di Giovanni. Fu così che Giovanni fu decapitato quella notte nella prigione; il soldato portò la testa del profeta su un piatto e la presentò alla giovane nel retro della sala del banchetto. E la fanciulla diede il piatto a sua madre. Quando i discepoli di Giovanni ebbero notizia del fatto, si recarono alla prigione a chiedere il corpo di Giovanni, e dopo averlo deposto in una tomba andarono a riferire a Gesù.
(1509.1) 136:0.1 GESÙ cominciò la sua opera pubblica al culmine dell’interesse popolare per la predicazione di Giovanni e nel momento in cui il popolo ebreo della Palestina era in ansiosa attesa dell’apparizione del Messia. C’era un grande contrasto tra Giovanni e Gesù. Giovanni agiva con ardore ed impeto, mentre Gesù operava con calma e letizia; soltanto poche volte in tutta la sua vita egli manifestò fretta. Gesù era una confortante consolazione per il mondo ed alquanto un esempio; Giovanni non era di conforto o d’esempio. Egli predicava il regno dei cieli, ma non partecipava della sua felicità. Anche se Gesù parlò di Giovanni come del più grande profeta del vecchio ordine, disse anche che il più piccolo di coloro che vedevano la grande luce della nuova via ed entravano così nel regno dei cieli era in verità più grande di Giovanni.
(1509.2) 136:0.2 Quando Giovanni predicava il regno futuro, il motivo dominante del suo messaggio era: Pentitevi! Fuggite la collera imminente. Quando Gesù cominciò a predicare, conservò l’esortazione al pentimento, ma questo messaggio era sempre seguito dal vangelo, la buona novella della gioia e della libertà del nuovo regno.
(1509.3) 136:1.1 Gli Ebrei avevano molte opinioni sul liberatore atteso, e ciascuna di queste differenti scuole d’insegnamento messianico era in grado di citare dei passaggi nelle Scritture ebraiche a sostegno delle proprie affermazioni. In linea generale gli Ebrei consideravano che la loro storia nazionale cominciasse con Abramo e culminasse nel Messia e nella nuova era del regno di Dio. Inizialmente essi avevano immaginato questo liberatore come “il servitore del Signore”, poi come “il Figlio dell’Uomo”, mentre più tardi alcuni erano anche giunti a qualificare il Messia come il “Figlio di Dio”. Ma che fosse chiamato il “seme di Abramo” o “il figlio di Davide”, tutti erano del parere che dovesse essere il Messia, “l’unto del Signore”. In tal modo il concetto si evolvé dal “servitore del Signore” al “figlio di Davide”, al “Figlio dell’Uomo” e al “Figlio di Dio”.
(1509.4) 136:1.2 Al tempo di Giovanni e di Gesù gli Ebrei più istruiti avevano sviluppato un’idea del Messia futuro come di un Israelita rappresentativo e perfezionato, che riuniva in se stesso come “servitore del Signore” la triplice funzione di profeta, di sacerdote e di re.
(1509.5) 136:1.3 Gli Ebrei credevano sinceramente che, come Mosè aveva liberato i loro padri dalla schiavitù egiziana con prodigi miracolosi, così l’atteso Messia avrebbe liberato il popolo ebreo dalla dominazione romana con miracoli di potere ancora più grandi e con meraviglie di trionfo razziale. I rabbini avevano messo insieme quasi cinquecento passaggi delle Scritture che, nonostante le loro evidenti contraddizioni, essi affermavano essere profetiche del Messia futuro. Ed in mezzo a tutti questi dettagli di tempo, di tecnica e di funzione, essi persero quasi completamente di vista la personalità del Messia promesso. Essi si aspettavano la restaurazione della gloria nazionale ebrea — l’esaltazione temporale d’Israele — piuttosto che la salvezza del mondo. È quindi evidente che Gesù di Nazaret non avrebbe mai potuto soddisfare questo materialistico concetto messianico della mente ebraica. Molte delle loro pretese predizioni messianiche, se essi avessero guardato queste espressioni profetiche sotto una luce diversa, avrebbero preparato in modo del tutto naturale la loro mente a riconoscere Gesù come il terminatore di un’era e l’iniziatore di una nuova e migliore dispensazione di misericordia e di salvezza per tutte le nazioni.
(1510.1) 136:1.4 Gli Ebrei erano stati portati a credere nella dottrina della Shekinah. Ma questo presunto simbolo della Presenza Divina non era visibile nel tempio. Essi credevano che la venuta del Messia ne avrebbe effettuato la restaurazione. Essi avevano delle idee confuse sul peccato razziale e sulla supposta natura malvagia dell’uomo. Alcuni insegnavano che il peccato di Adamo aveva maledetto la razza umana e che il Messia avrebbe rimosso questa maledizione e ristabilito gli uomini nel favore divino. Altri insegnavano che Dio, nel creare l’uomo, aveva posto in questo essere sia la natura buona sia quella cattiva; che quando osservò il funzionamento di questa combinazione egli fu assai deluso, e che “si pentì di aver creato l’uomo in questo modo”. Coloro che insegnavano ciò credevano che il Messia sarebbe venuto per redimere gli uomini da questa innata cattiva natura.
(1510.2) 136:1.5 La maggioranza degli Ebrei credeva che essi avrebbero continuato a languire sotto la sovranità romana a causa dei loro peccati nazionali e della tiepidezza dei proseliti Gentili. La nazione ebraica non era sinceramente pentita; per questo il Messia tardava a venire. Si parlava molto di pentimento; da ciò il potente ed immediato appello della predicazione di Giovanni: “Pentitevi e siate battezzati, perché il regno dei cieli è vicino.” Ed il regno dei cieli poteva significare soltanto una cosa per un Ebreo devoto: la venuta del Messia.
(1510.3) 136:1.6 C’era una caratteristica nel conferimento di Micael che era totalmente estranea alla concezione ebraica del Messia, ed era l’unione delle due nature, quella umana e quella divina. Gli Ebrei avevano variamente concepito il Messia come umano perfezionato, come superumano ed anche come divino, ma non avevano mai intrattenuto il concetto dell’unione dell’umano e del divino. Questo fu il grande intoppo dei primi discepoli di Gesù. Essi afferravano il concetto umano del Messia quale figlio di Davide, come era stato presentato dagli antichi profeti; quale Figlio dell’Uomo, l’idea superumana di Daniele e di alcuni dei profeti successivi; ed anche quale Figlio di Dio, come descritto dall’autore del Libro di Enoch e da certi suoi contemporanei. Ma non avevano mai intrattenuto per un solo istante il vero concetto dell’unione in una sola personalità terrena delle due nature, quella umana e quella divina. L’incarnazione del Creatore sotto forma di creatura non era stata rivelata prima. Essa fu rivelata soltanto in Gesù; il mondo non conosceva nulla di queste cose fino a quando il Figlio Creatore non si fece carne ed abitò tra i mortali del regno.
(1510.4) 136:2.1 Gesù fu battezzato nel momento culminante della predicazione di Giovanni, quando la Palestina era infiammata dall’aspettativa del suo messaggio — “il regno di Dio è vicino” — quando tutto il mondo ebraico era impegnato in un serio e solenne autoesame. Il sentimento ebraico della solidarietà razziale era molto profondo. Gli Ebrei non soltanto credevano che i peccati del padre potessero affliggere i suoi figli, ma credevano anche fermamente che il peccato di un individuo potesse maledire la nazione. Di conseguenza, non tutti quelli che si sottoponevano al battesimo di Giovanni si consideravano colpevoli dei peccati specifici denunciati da Giovanni. Numerose anime pie furono battezzate da Giovanni per il bene d’Israele; esse temevano che un peccato d’ignoranza da parte loro potesse ritardare la venuta del Messia. Esse si sentivano di appartenere ad una nazione colpevole e maledetta dal peccato, e si presentavano per il battesimo al fine di manifestare con questo atto i frutti di una penitenza razziale. È quindi evidente che Gesù non ricevette in alcun senso il battesimo di Giovanni come un rito di pentimento o per la remissione dei peccati. Accettando il battesimo dalle mani di Giovanni, Gesù seguiva soltanto l’esempio di molti Israeliti devoti.
(1511.1) 136:2.2 Quando Gesù di Nazaret scese nel Giordano per essere battezzato era un mortale del regno che aveva raggiunto la sommità dell’ascensione evoluzionaria umana per quanto concerneva la conquista della mente e l’autoidentificazione con lo spirito. Quel giorno egli stava nel Giordano come un uomo perfezionato dei mondi evoluzionari del tempo e dello spazio. Una perfetta sincronia ed una piena comunicazione si erano stabilite tra la mente mortale di Gesù e l’Aggiustatore spirituale interiore, il dono divino di suo Padre del Paradiso. E proprio un simile Aggiustatore abita tutti gli esseri normali viventi su Urantia dopo l’ascensione di Micael alla sovranità del suo universo, eccetto che l’Aggiustatore di Gesù era stato preparato in precedenza per questa missione speciale abitando in modo analogo un altro superumano incarnato nelle sembianze della carne mortale, Machiventa Melchizedek.
(1511.2) 136:2.3 Ordinariamente, quando un mortale del regno raggiunge questi alti livelli di perfezione della personalità, si producono quei fenomeni preliminari di elevazione spirituale che terminano nella fusione definitiva dell’anima maturata del mortale con il suo divino Aggiustatore associato. Un tale cambiamento avrebbe dovuto apparentemente verificarsi nell’esperienza della personalità di Gesù di Nazaret in quel giorno stesso in cui scese nel Giordano con i suoi due fratelli per essere battezzato da Giovanni. Questa cerimonia era l’atto finale della sua vita puramente umana su Urantia, e molti osservatori superumani si aspettavano di essere testimoni della fusione dell’Aggiustatore con la mente che abitava, ma erano tutti destinati a rimanere delusi. Avvenne qualcosa di nuovo e di ancora più grande. Mentre Giovanni imponeva le mani su Gesù per battezzarlo, l’Aggiustatore interiore si congedò definitivamente dall’anima umana perfezionata di Joshua ben Joseph. Ed in pochi istanti questa entità divina ritornò da Divinington quale Aggiustatore Personalizzato e capo dei membri del suo ordine in tutto l’universo locale di Nebadon. Gesù osservò così il proprio spirito divino anteriore ridiscendere su di lui in forma personalizzata. Egli udì allora questo stesso spirito originario del Paradiso parlare, dicendo: “Questo è il mio Figlio prediletto nel quale io sono molto soddisfatto.” E Giovanni, con i due fratelli di Gesù, udirono anch’essi queste parole. I discepoli di Giovanni, che si trovavano ai bordi dell’acqua, non udirono queste parole né videro l’apparizione dell’Aggiustatore Personalizzato. Solo gli occhi di Gesù videro l’Aggiustatore Personalizzato.
(1511.3) 136:2.4 Quando l’Aggiustatore Personalizzato ritornato ed ora elevato ebbe parlato in questo modo, tutto fu silenzio. E mentre i quattro erano ancora nell’acqua, Gesù, levando gli occhi verso il vicino Aggiustatore, pregò: “Padre mio che regni nel cielo, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno! Sia fatta la tua volontà sulla terra, come avviene in cielo.” Quando egli ebbe pregato, i “cieli si aprirono” ed il Figlio dell’Uomo vide, presentata dall’Aggiustatore ora Personalizzato, l’immagine di se stesso come Figlio di Dio qual era prima di venire sulla terra nelle sembianze della carne mortale e quale sarebbe stato quando la sua vita incarnata fosse terminata. Questa visione celeste fu vista solo da Gesù.
(1512.1) 136:2.5 Fu la voce dell’Aggiustatore Personalizzato che Giovanni e Gesù udirono parlare in nome del Padre Universale, perché l’Aggiustatore proviene dal Padre del Paradiso ed è come lui. Durante il resto della vita terrena di Gesù questo Aggiustatore Personalizzato fu associato a lui in tutte le sue opere; Gesù rimase in costante comunione con questo eminente Aggiustatore.
(1512.2) 136:2.6 Quando fu battezzato Gesù non si pentì di alcuna cattiva azione; non fece nessuna confessione di peccato. Il suo fu il battesimo di consacrazione al compimento della volontà del Padre celeste. Al momento del suo battesimo egli udì l’inconfondibile appello di suo Padre, l’invito finale ad occuparsi degli affari di suo Padre, e andò in ritiro solitario per quaranta giorni per meditare su questi molteplici problemi. Ritirandosi così per un certo tempo dal contatto personale attivo con i suoi associati terreni, Gesù, qual era e quale viveva su Urantia, stava seguendo la stessa procedura in vigore sui mondi morontiali ogniqualvolta un mortale ascendente si fonde con la presenza interiore del Padre Universale.
(1512.3) 136:2.7 Questo giorno del battesimo segnò la fine della vita puramente umana di Gesù. Il Figlio divino ha trovato suo Padre, il Padre Universale ha trovato suo Figlio incarnato, ed essi parlano l’uno con l’altro.
(1512.4) 136:2.8 (Gesù aveva quasi trentun anni e mezzo quando fu battezzato. Benché Luca dica che Gesù fu battezzato nel quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare, che sarebbe l’anno 29 d.C., poiché Augusto morì nell’anno 14 d.C., bisogna tenere presente che Tiberio fu coimperatore con Augusto per due anni e mezzo prima della morte di Augusto, ed aveva avuto delle monete coniate in suo onore in ottobre dell’anno 11 d.C. Il quindicesimo anno del suo regno effettivo fu dunque questo stesso anno 26 d.C., quello del battesimo di Gesù. E questo fu anche l’anno in cui Ponzio Pilato cominciò il suo incarico come governatore della Giudea.)
(1512.5) 136:3.1 Gesù aveva subito la grande tentazione durante il suo conferimento come mortale prima del suo battesimo, quando era stato bagnato dalle rugiade del Monte Hermon per sei settimane. Là, sul Monte Hermon, come mortale del regno e senza aiuto, aveva incontrato e vinto il pretendente di Urantia, Caligastia, il principe di questo mondo. In quel memorabile giorno negli annali dell’universo Gesù di Nazaret era divenuto il Principe Planetario di Urantia. E questo Principe di Urantia, che doveva di lì a poco essere proclamato Sovrano supremo di Nebadon, si ritirava ora per quaranta giorni per formulare i piani e determinare la tecnica di proclamazione del nuovo regno di Dio nel cuore degli uomini.
(1512.6) 136:3.2 Dopo il suo battesimo egli cominciò i quaranta giorni di adattamento di se stesso alle mutate relazioni con il mondo e l’universo conseguenti alla personalizzazione del suo Aggiustatore. Durante questo isolamento sulle colline della Perea egli determinò la linea di condotta da seguire ed i metodi da impiegare nella nuova e mutata fase della vita terrena che stava per inaugurare.
(1512.7) 136:3.3 Gesù non andò in ritiro allo scopo di digiunare e di affliggere la sua anima. Egli non era un asceta e veniva per distruggere definitivamente tutte queste nozioni concernenti l’approccio a Dio. Le sue ragioni per cercare questa solitudine erano del tutto differenti da quelle che avevano mosso Mosè ed Elia, e lo stesso Giovanni il Battista. Gesù era allora pienamente autocosciente della sua relazione con l’universo che egli aveva creato ed anche con l’universo degli universi, su cui esercitava la supervisione il Padre del Paradiso, suo Padre celeste. Egli ora si ricordava interamente la sua missione di conferimento e le istruzioni date da suo fratello maggiore Emanuele prima di cominciare la sua incarnazione su Urantia. Egli comprendeva ormai chiaramente e totalmente tutte queste vaste relazioni e desiderava starsene lontano per un periodo di tranquilla meditazione, in modo da poter elaborare i piani e decidere le procedure per la prosecuzione della sua opera pubblica a favore di questo mondo e di tutti gli altri mondi del suo universo locale.
(1513.1) 136:3.4 Mentre errava sulle colline alla ricerca di un riparo conveniente, Gesù incontrò il capo esecutivo del suo universo, Gabriele, il Radioso Astro del Mattino di Nebadon. Gabriele ristabilì ora la comunicazione personale con il Figlio Creatore dell’universo; essi s’incontravano direttamente per la prima volta dopo che Micael si era congedato dai suoi associati su Salvington quando partì per Edentia per prepararsi ad iniziare il conferimento su Urantia. Per ordine di Emanuele e con l’autorizzazione degli Antichi dei Giorni di Uversa, Gabriele diede ora a Gesù delle informazioni indicanti che la sua esperienza di conferimento su Urantia era praticamente terminata per quanto concerneva l’acquisizione della sovranità perfezionata del suo universo e la fine della ribellione di Lucifero. La prima fu acquisita il giorno del suo battesimo, quando la personalizzazione del suo Aggiustatore dimostrò la perfezione ed il completamento del suo conferimento nelle sembianze della carne mortale, e la seconda divenne un fatto storico il giorno in cui Gesù scese dal Monte Hermon per raggiungere Tiglat, il ragazzo che l’aspettava. Gesù fu ora informato dalle più alte autorità dell’universo locale e del superuniverso che la sua opera di conferimento era terminata per quanto concerneva il suo status personale in relazione alla sovranità e alla ribellione. Egli aveva già ricevuto questa assicurazione diretta dal Paradiso nella visione battesimale e nel fenomeno della personalizzazione del suo Aggiustatore di Pensiero interiore.
(1513.2) 136:3.5 Mentre Gesù si attardava in montagna parlando con Gabriele, il Padre della Costellazione di Edentia apparve in persona a Gesù e a Gabriele, dicendo: “La carriera è completata. La sovranità del Micael n. 611.121 sul suo universo di Nebadon riposa completata alla destra del Padre Universale. Io ti porto la liberazione dal conferimento da parte di Emanuele, il tuo fratello-garante per l’incarnazione su Urantia. Tu sei libero ora o in qualsiasi altro momento, nella maniera che tu stesso sceglierai, di terminare il tuo conferimento d’incarnazione, di salire alla destra di tuo Padre, di ricevere la tua sovranità e di assumere il ben meritato governo incondizionato di tutto Nebadon. Con l’autorizzazione degli Antichi dei Giorni, io testifico anche il completamento delle formalità del superuniverso concernenti la cessazione di ogni peccato di ribellione nel tuo universo ed il conferimento a te della piena ed illimitata autorità per occuparti di ogni possibile analoga sollevazione in futuro. Tecnicamente la tua opera su Urantia e nella carne della creatura mortale è finita. La tua linea di condotta d’ora in poi dipende dalla tua scelta.”
(1513.3) 136:3.6 Quando l’Altissimo Padre di Edentia si fu congedato, Gesù s’intrattenne a lungo con Gabriele sul benessere dell’universo e, inviando i suoi saluti ad Emanuele, diede la sua assicurazione che nel lavoro che stava per incominciare su Urantia si sarebbe ricordato sempre dei consigli che aveva ricevuto in connessione con le raccomandazioni fattegli su Salvington precedentemente al suo conferimento.
(1514.1) 136:3.7 Durante questi quaranta giorni d’isolamento, Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, si erano posti alla ricerca di Gesù. Molte volte essi giunsero vicini al suo luogo di ricovero, ma non lo trovarono mai.
(1514.2) 136:4.1 Giorno dopo giorno, sulle colline, Gesù formulò i piani per il resto del suo conferimento su Urantia. Egli decise in primo luogo di non insegnare contemporaneamente a Giovanni. Progettò di restare relativamente in disparte fino a che l’opera di Giovanni avesse raggiunto il suo scopo, oppure fino a quando Giovanni fosse stato improvvisamente interrotto dall’incarcerazione. Gesù sapeva bene che la predicazione di Giovanni, intrepida e priva di tatto, avrebbe suscitato ben presto i timori e l’inimicizia dei capi civili. Vista la situazione precaria di Giovanni, Gesù cominciò a preparare in modo definito il suo programma d’intervento pubblico a favore del suo popolo e del mondo, a favore di ogni mondo abitato in tutto il suo vasto universo. Il conferimento come mortale di Micael avvenne su Urantia ma per tutti i mondi di Nebadon.
(1514.3) 136:4.2 La prima cosa che fece Gesù dopo aver concepito il piano generale di coordinamento del suo programma con il movimento di Giovanni, fu di ripassare nella sua mente le istruzioni di Emanuele. Egli rifletté con cura sui consigli dategli circa i suoi metodi di lavoro ed il non lasciare scritti permanenti sul pianeta. Gesù non scrisse mai più su qualcosa, eccetto che sulla sabbia. Nella sua visita successiva a Nazaret, con grande dispiacere di suo fratello Giuseppe, Gesù distrusse tutti i suoi scritti che erano conservati sulle tavolette nel laboratorio di carpenteria, o che erano appese sulle pareti della vecchia casa. Gesù rifletté bene sul consiglio di Emanuele riguardante il suo comportamento in materia economica, sociale e politica verso il mondo che avrebbe trovato.
(1514.4) 136:4.3 Gesù non digiunò durante questi quaranta giorni d’isolamento. Il periodo più lungo in cui si astenne dal cibo furono i suoi primi due giorni sulle colline, quando era così immerso nelle sue riflessioni che dimenticò totalmente di mangiare. Ma il terzo giorno andò in cerca di cibo. Né fu tentato durante questo periodo da qualche spirito cattivo o da personalità ribelli stazionate su questo mondo o provenienti da qualsiasi altro mondo.
(1514.5) 136:4.4 Questi quaranta giorni furono l’occasione del confronto finale tra la mente umana e quella divina, o piuttosto il primo reale funzionamento di queste due menti oramai divenute una. I risultati di questo importantissimo periodo di meditazione dimostrarono definitivamente che la mente divina aveva trionfalmente e spiritualmente dominato il suo intelletto umano. La mente dell’uomo era divenuta oramai la mente di Dio, e sebbene l’identità della sua mente umana fosse sempre presente, questa mente umana spiritualizzata diceva sempre: “Sia fatta non la mia volontà ma la tua.”
(1514.6) 136:4.5 Gli avvenimenti di questo periodo memorabile non furono le visioni fantastiche di una mente indebolita dalla fame e stanca, né furono i simbolismi confusi e puerili che successivamente furono riportati come le “tentazioni di Gesù nel deserto”. Questo fu piuttosto un periodo di riflessione sulla movimentata e variegata carriera di conferimento su Urantia e sull’attenta messa a punto di quei piani per il ministero successivo che sarebbero stati i più utili per questo mondo, contribuendo anche a migliorare un po’ tutte le altre sfere isolate a causa della ribellione. Gesù rifletté sull’intero tratto della vita umana su Urantia, dai tempi di Andon e Fonta, passando per il fallimento di Adamo e fino al ministero del Melchizedek di Salem.
(1514.7) 136:4.6 Gabriele aveva ricordato a Gesù che c’erano due modi in cui poteva manifestarsi al mondo nel caso scegliesse di trattenersi su Urantia ancora per qualche tempo. Ed aveva chiarito a Gesù che la sua scelta in questa materia non avrebbe avuto niente a che fare con la sovranità sul suo universo o con la fine della ribellione di Lucifero. Questi due modi di svolgere il suo ministero nel mondo erano:
(1515.1) 136:4.7 1. La sua via — la via che poteva sembrargli più gradita e più proficua dal punto di vista dei bisogni immediati di questo mondo e dell’edificazione immediata del suo universo.
(1515.2) 136:4.8 2. La via del Padre — l’esemplificazione di un ideale a lunga scadenza della vita delle creature, visualizzato dalle alte personalità dell’amministrazione paradisiaca dell’universo degli universi.
(1515.3) 136:4.9 In tal modo fu chiarito a Gesù che c’erano due maniere in cui poteva disporre il resto della sua vita terrena. Ciascuna di queste maniere aveva degli argomenti a suo favore se considerata alla luce della situazione immediata. Il Figlio dell’Uomo vedeva chiaramente che la sua scelta tra questi due metodi di condotta non avrebbe avuto niente a che fare con l’attribuzione della sovranità sul suo universo; quella era una questione già regolata e suggellata negli archivi dell’universo degli universi ed aspettava soltanto la sua richiesta personale. Ma fu indicato a Gesù che suo fratello paradisiaco, Emanuele, avrebbe provato una grande soddisfazione se egli, Gesù, avesse stimato opportuno terminare la sua carriera terrena d’incarnazione come l’aveva nobilmente cominciata, restando sempre sottomesso alla volontà del Padre. Il terzo giorno del suo isolamento Gesù si ripromise di ritornare nel mondo per completare la sua carriera terrena e, in ogni situazione implicante due soluzioni, egli avrebbe scelto sempre la volontà del Padre. Ed egli visse il resto della sua vita terrena rimanendo sempre fedele a quella risoluzione. Anche sino all’amara fine egli subordinò invariabilmente la sua volontà sovrana a quella di suo Padre celeste.
(1515.4) 136:4.10 I quaranta giorni nella solitudine della montagna non furono un periodo di grande tentazione, ma piuttosto il periodo delle grandi decisioni del Maestro. Durante questi giorni di comunione solitaria con se stesso e con la presenza immediata di suo Padre — l’Aggiustatore Personalizzato (egli non aveva più un custode serafico personale) — pervenne, una ad una, alle grandi decisioni che dovevano controllare la sua linea di condotta e guidarlo per il resto della sua carriera terrena. In seguito la tradizione di una grande tentazione fu collegata a questo periodo d’isolamento a causa della confusione dovuta ai racconti frammentari delle lotte sul Monte Hermon, ed inoltre perché era usanza che tutti i grandi profeti e capi umani iniziassero la loro carriera pubblica sottoponendosi a questi supposti periodi di digiuno e di preghiera. Era sempre stata abitudine di Gesù, quando doveva affrontare delle decisioni nuove o gravi, ritirarsi per comunicare con il suo spirito e per cercare così di conoscere la volontà di Dio.
(1515.5) 136:4.11 In tutti questi progetti per il resto della sua vita terrena, Gesù era sempre lacerato nel suo cuore umano tra due opposte linee di condotta:
(1515.6) 136:4.12 1. Egli provava un forte desiderio di portare il suo popolo — e tutto il mondo — a credere in lui e ad accettare il suo nuovo regno spirituale. Ed egli conosceva bene le loro idee concernenti il Messia atteso.
(1515.7) 136:4.13 2. Vivere ed agire nel modo che egli sapeva che suo Padre avrebbe approvato, condurre la sua opera a favore di altri mondi bisognosi e continuare, nell’instaurazione del regno, a rivelare il Padre e a manifestare il suo divino carattere d’amore.
(1515.8) 136:4.14 Durante questi giorni memorabili Gesù visse in una vecchia caverna rocciosa, un ricovero nel fianco delle colline vicino ad un villaggio un tempo chiamato Bet-Adis. Egli beveva da una piccola sorgente che sgorgava dal fianco della collina vicino a questo riparo roccioso.
(1516.1) 136:5.1 Il terzo giorno dopo l’inizio di questo incontro tra lui ed il suo Aggiustatore Personalizzato, fu presentata a Gesù la visione delle schiere celesti riunite di Nebadon, inviate dai loro comandanti per essere a disposizione del loro amato Sovrano. Questo potente schieramento era formato da dodici legioni di serafini e da quantità proporzionali di ogni ordine d’intelligenze dell’universo. E la prima grande decisione di Gesù in isolamento concerneva se utilizzare o meno queste potenti personalità in connessione con il programma successivo della sua opera pubblica su Urantia.
(1516.2) 136:5.2 Gesù decise che non avrebbe utilizzato una sola personalità di questo vasto assembramento fino a che non fosse divenuto evidente che questa era la volontà del Padre. Nonostante questa decisione di ordine generale, questa vasta armata rimase con lui per il resto della sua vita terrena, sempre pronta ad obbedire alla minima espressione di volontà del suo Sovrano. Sebbene Gesù non vedesse costantemente con i suoi occhi umani queste personalità che lo accompagnavano, il suo Aggiustatore Personalizzato associato le vedeva costantemente e poteva comunicare con loro, con tutte loro.
(1516.3) 136:5.3 Prima di tornare giù dal suo ritiro di quaranta giorni sulle colline, Gesù affidò il comando diretto di queste schiere di personalità dell’universo che lo assistevano al suo Aggiustatore recentemente Personalizzato, e per più di quattro anni del tempo di Urantia queste personalità selezionate da ogni categoria delle intelligenze dell’universo operarono con obbedienza e rispetto sotto la saggia guida di questo eminente ed esperto Monitore del Mistero Personalizzato. Assumendo il comando di questa potente assemblea, l’Aggiustatore, essendo un tempo parte ed essenza del Padre del Paradiso, assicurò Gesù che in nessun caso questi agenti superumani sarebbero stati autorizzati a servire o a manifestarsi in connessione con la sua carriera terrena, o a favore di questa, a meno che non si rivelasse che il Padre voleva questo intervento. Così, con un’unica grande decisione, Gesù si privò volontariamente di ogni cooperazione superumana in tutte le questioni concernenti il resto della sua carriera mortale, a meno che il Padre non scegliesse per proprio conto di partecipare a qualche atto od episodio delle attività terrene del Figlio.
(1516.4) 136:5.4 Accettando questo comando delle schiere dell’universo in servizio di assistenza a Cristo Micael, l’Aggiustatore Personalizzato si diede grande pena di precisare a Gesù che, mentre questa assemblea di creature dell’universo poteva essere limitata nelle sue attività nello spazio per autorità delegata del suo Creatore, tali limitazioni non avrebbero operato in rapporto alle sue funzioni nel tempo. E questa limitazione proveniva dal fatto che gli Aggiustatori sono esseri indipendenti dal tempo una volta che sono personalizzati. Di conseguenza Gesù fu avvertito che, mentre il controllo da parte dell’Aggiustatore delle intelligenze viventi poste sotto il suo comando sarebbe stato completo e perfetto per tutto ciò che concerneva lo spazio, tali precise limitazioni non si potevano imporre in rapporto al tempo. L’Aggiustatore disse: “Come hai comandato, vieterò l’impiego di questa schiera d’intelligenze universali che ti assiste d’intervenire in qualunque modo in connessione con la tua carriera terrena, salvo nei casi in cui il Padre del Paradiso mi ordina di lasciare agire questi agenti affinché sia compiuta la sua volontà divina, quale tu avrai scelto, ed in quelle circostanze in cui puoi impegnarti in una scelta o in un atto della tua volontà divina-umana che implichino soltanto delle deroghe all’ordine terreno naturale per quanto concerne il tempo. In tutti questi eventi io non posso fare niente, e le tue creature qui riunite in perfezione ed unità di potere sono similmente impotenti. Se le tue nature congiunte provassero un giorno tali desideri, queste manifestazioni della tua scelta saranno immediatamente eseguite. Il tuo desiderio in tutte queste materie costituirà l’abbreviazione del tempo e la cosa progettata è esistente. Sotto il mio comando ciò costituisce il maggior limite possibile che possa essere imposto alla tua sovranità potenziale. Nella mia autocoscienza il tempo non esiste e perciò io non posso limitare le tue creature in nulla di quanto vi si rapporta.”
(1517.1) 136:5.5 Gesù fu così informato delle conseguenze della sua decisione di continuare a vivere come un uomo tra gli uomini. Con una sola decisione egli aveva escluso tutte le schiere universali delle varie intelligenze che lo assistevano dalla partecipazione al suo ministero pubblico successivo, salvo che nelle questioni concernenti solamente il tempo. È dunque evidente che ogni possibile manifestazione soprannaturale o supposta superumana che accompagnava il ministero di Gesù concerneva esclusivamente l’eliminazione del tempo, a meno che il Padre celeste non avesse specificamente ordinato altrimenti. Nessun miracolo, nessun ministero di misericordia o nessun altro possibile avvenimento sopravvenuto in connessione con la rimanente attività terrena di Gesù avrebbe potuto avere la natura o il carattere di un atto trascendente le leggi naturali stabilite e normalmente operanti negli affari degli uomini quali vivono su Urantia, eccetto che in tale questione espressamente citata del tempo. Nessun limite, beninteso, poteva essere posto alle manifestazioni della “volontà del Padre”. L’eliminazione del tempo in connessione con il desiderio espresso di questo Sovrano potenziale di un universo poteva essere evitata solo dall’azione diretta ed esplicita della volontà di questo Dio-uomo volta a fare in modo che il tempo, legato all’atto o all’avvenimento in questione, non dovesse essere abbreviato o eliminato. Al fine d’impedire la comparsa di apparenti miracoli legati al tempo, era necessario che Gesù fosse costantemente cosciente del tempo. Ogni interruzione di coscienza del tempo da parte sua, in connessione con l’espressione di un desiderio definito, equivaleva all’attuazione della cosa concepita nella mente di questo Figlio Creatore, e ciò senza l’intervento del tempo.
(1517.2) 136:5.6 Grazie al controllo di supervisione del suo Aggiustatore Personalizzato associato era possibile per Micael limitare perfettamente le sue attività terrene personali in rapporto allo spazio, ma non era possibile al Figlio dell’Uomo limitare in tal modo il suo nuovo status terrestre come Sovrano potenziale di Nebadon riguardo al tempo. Questo era lo status attuale di Gesù di Nazaret quando iniziò il suo ministero pubblico su Urantia.
(1517.3) 136:6.1 Avendo stabilito la sua linea di condotta concernente tutte le personalità di tutte le classi delle sue intelligenze create, per quanto questa poteva essere determinata in considerazione del potenziale inerente al suo nuovo status di divinità, Gesù rivolse ora le sue attenzioni su se stesso. Che cosa avrebbe fatto egli, ora creatore pienamente autocosciente di tutte le cose e di tutti gli esseri esistenti in questo universo, di queste prerogative di creatore nelle situazioni ricorrenti della vita che avrebbe incontrato immediatamente quando fosse ritornato in Galilea per riprendere la sua opera tra gli uomini? In effetti, e precisamente mentre si trovava su questi monti da solo, questo problema si era già presentato in tutta la sua evidenza con la necessità di procurarsi del cibo. Al terzo giorno delle sue meditazioni solitarie il suo corpo umano ebbe fame. Doveva egli andare in cerca di cibo come avrebbe fatto un uomo qualunque, o doveva semplicemente esercitare i suoi poteri creativi normali e produrre un cibo corporale adeguato e bell’e pronto? Questa grande decisione del Maestro vi è stata descritta come una tentazione — come una sfida lanciata da supposti nemici affinché “comandi che queste pietre si tramutino in pani”.
(1518.1) 136:6.2 Gesù stabilì così una nuova e coerente linea di condotta per il resto della sua opera terrena. Per quanto concerneva le sue necessità personali ed in generale anche le sue relazioni con altre personalità, egli ora scelse deliberatamente di proseguire la via di una normale esistenza terrena; decise definitivamente in senso contrario ad una linea di condotta che trascendesse, violasse od oltraggiasse le leggi naturali da lui stesso stabilite. Ma non poteva ripromettersi, come era già stato avvertito dal suo Aggiustatore Personalizzato, che queste leggi naturali non potessero, in certe circostanze concepibili, essere grandemente accelerate. In generale, Gesù decise che l’opera della sua vita sarebbe stata organizzata e proseguita conformemente alle leggi della natura ed in armonia con l’organizzazione sociale esistente. Il Maestro scelse così un programma di vita che fosse l’equivalente di una decisione contro i miracoli ed i prodigi. Di nuovo egli decise a favore della “volontà del Padre”; di nuovo lasciò ogni cosa nelle mani di suo Padre del Paradiso.
(1518.2) 136:6.3 La natura umana di Gesù imponeva che il primo dovere fosse quello di preservare se stesso; che è il comportamento normale dell’uomo naturale sui mondi del tempo e dello spazio, ed è quindi una reazione legittima di un mortale di Urantia. Ma Gesù non si occupava soltanto di questo mondo e delle sue creature; egli stava vivendo una vita destinata ad istruire e ad ispirare le molteplici creature di un immenso universo.
(1518.3) 136:6.4 Prima della sua illuminazione battesimale egli aveva vissuto in perfetta sottomissione alla volontà e al governo di suo Padre celeste. Egli decise energicamente di continuare proprio in questa implicita dipendenza umana dalla volontà del Padre. Decise di seguire una condotta innaturale — decise di non cercare l’autopreservazione. Egli scelse di proseguire la politica consistente nel rifiutare di difendere se stesso. Formulò le sue conclusioni con le parole delle Scritture familiari alla sua mente umana: “L’uomo non vivrà di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” Giungendo a questa conclusione circa l’appetito della sua natura fisica espresso nel desiderio di cibo, il Figlio dell’Uomo fece la sua ultima dichiarazione concernente tutti gli altri bisogni della carne e gli impulsi naturali della natura umana.
(1518.4) 136:6.5 Egli avrebbe potuto forse usare il suo potere superumano a favore di altri, ma mai per se stesso. E proseguì questa politica con persistenza sino alla fine stessa, quando con scherno fu detto di lui: “Ha salvato gli altri, ma non può salvare se stesso” — perché egli non voleva.
(1518.5) 136:6.6 Gli Ebrei erano in attesa di un Messia che avesse compiuto dei prodigi ancora più grandi di Mosè, che si riteneva avesse fatto scaturire l’acqua dalla roccia in un luogo arido ed avesse nutrito i loro antenati nel deserto con la manna. Gesù conosceva il genere di Messia atteso dai suoi compatrioti, ed egli disponeva di tutti i poteri e le prerogative per essere all’altezza delle loro più ardenti aspettative, ma decise in senso contrario a questo magnifico programma di potere e di gloria. Gesù considerava questo fatto di attendersi dei miracoli come un ritorno ai tempi antichi della magia ignorante e delle pratiche degradate degli stregoni selvaggi. Forse, per la salvezza delle sue creature, egli avrebbe potuto accelerare la legge naturale, ma trascendere le sue stesse leggi a beneficio di se stesso o per incutere timore ai suoi simili, questo non l’avrebbe fatto. E la decisione del Maestro fu definitiva.
(1518.6) 136:6.7 Gesù era dispiaciuto per il suo popolo; egli comprendeva pienamente come essi fossero stati portati a sperare nella venuta del Messia, il tempo in cui “la terra produrrà i suoi frutti dieci volte mille ed in cui su ogni vigna vi saranno mille tralci, ed ogni tralcio produrrà mille grappoli ed ogni grappolo produrrà mille acini, ed ogni acino produrrà un gallone di vino”. Gli Ebrei credevano che il Messia avrebbe inaugurato un’era di abbondanza miracolosa. Gli Ebrei erano stati a lungo nutriti con tradizioni di miracoli e con leggende di prodigi.
(1519.1) 136:6.8 Egli non era un Messia che veniva a moltiplicare il pane ed il vino. Non veniva a provvedere soltanto ai bisogni temporali; veniva a rivelare suo Padre celeste ai suoi figli terreni, mentre cercava di portare i suoi figli terreni ad unirsi a lui in uno sforzo sincero per vivere secondo la volontà del Padre che è nei cieli.
(1519.2) 136:6.9 In questa decisione Gesù di Nazaret illustrò agli osservatori di un universo la follia ed il peccato di prostituire talenti divini e capacità donate da Dio ad ambizioni personali o al profitto e alla glorificazione puramente egoistici. Questo fu il peccato di Lucifero e di Caligastia.
(1519.3) 136:6.10 Questa grande decisione di Gesù dimostra drammaticamente la verità che i piaceri dei sensi e la soddisfazione egoista, da soli e da se stessi, non sono capaci di portare la felicità agli esseri umani in evoluzione. Vi sono dei valori superiori nell’esistenza mortale — la padronanza intellettuale e la realizzazione spirituale — che trascendono di molto la necessaria soddisfazione degli appetiti e dei bisogni puramente fisici dell’uomo. I doni naturali del talento e della capacità dell’uomo dovrebbero essere principalmente consacrati a sviluppare e a nobilitare i suoi poteri superiori della mente e dello spirito.
(1519.4) 136:6.11 Gesù rivelò così alle creature del suo universo la tecnica della nuova e migliore via, i superiori valori morali della vita e le più profonde soddisfazioni spirituali dell’esistenza umana evoluzionaria sui mondi dello spazio.
(1519.5) 136:7.1 Dopo aver preso le sue decisioni sulle questioni del cibo e dell’assistenza fisica per i bisogni del suo corpo materiale, la cura della sua salute e quella dei suoi associati, restavano ancora altri problemi da risolvere. Quale sarebbe stato il suo comportamento di fronte ad un pericolo personale? Egli decise di esercitare una sorveglianza normale sulla sua sicurezza umana e di adottare delle precauzioni ragionevoli per evitare la fine prematura della sua carriera nella carne, ma di astenersi da ogni intervento superumano quando fosse giunta la crisi della sua vita nella carne. Mentre formulava questa decisione, Gesù era seduto all’ombra di un albero posto su una sporgenza rocciosa a strapiombo su un precipizio proprio davanti a lui. Egli si rese perfettamente conto che poteva gettarsi nel vuoto e che non gli sarebbe accaduto nulla di male se avesse annullato la sua prima grande decisione di non invocare l’intervento delle sue intelligenze celesti nella prosecuzione dell’opera della sua vita su Urantia, e se avesse abrogato la seconda decisione concernente il suo comportamento riguardo alla preservazione di se stesso.
(1519.6) 136:7.2 Gesù sapeva che i suoi compatrioti aspettavano un Messia che trascendesse la legge naturale. Gli era stato insegnato bene il passaggio delle Scritture che dice: “Non ti capiterà alcun male, nessuna calamità si avvicinerà alla tua dimora, perché egli ti affiderà ai suoi angeli affinché ti custodiscano in tutte le tue vie. Essi ti sosterranno con le loro mani per timore che tu urti il tuo piede contro una pietra.” Questa sorta di presunzione, questa sfida alle leggi di gravità di suo Padre, sarebbero state giustificate allo scopo di proteggere se stesso da un male possibile o forse di guadagnare la fiducia del suo popolo male istruito e confuso? Ma questa linea di condotta, per quanto soddisfacente per gli Ebrei che cercavano dei segni, non sarebbe stata una rivelazione di suo Padre, ma una discutibile manipolazione delle leggi stabilite dell’universo degli universi.
(1519.7) 136:7.3 Comprendendo tutto ciò e sapendo che il Maestro rifiutava di operare a dispetto delle leggi della natura da lui stabilite per quanto concerneva la sua condotta personale, voi sapete con certezza che egli non camminò mai sull’acqua né fece mai nulla che oltraggiasse il suo ordine materiale di amministrazione del mondo. Beninteso, bisogna sempre tenere a mente che non era stato ancora trovato alcun modo di liberarlo completamente dalla mancanza di controllo sul fattore tempo in connessione con le questioni affidate alla giurisdizione dell’Aggiustatore Personalizzato.
(1520.1) 136:7.4 Per tutta la sua vita terrena Gesù restò costantemente fedele a questa decisione. Sia quando i Farisei lo provocarono di dare un segno, sia quando quelli che lo osservavano al Calvario lo sfidarono a scendere dalla croce, egli mantenne fermamente la decisione presa in questo momento sul fianco della collina.
(1520.2) 136:8.1 Il grande problema successivo che questo Dio-uomo affrontò e risolse subito conformemente alla volontà del Padre celeste, concerneva la questione di sapere se qualcuno dei suoi poteri superumani dovesse o meno essere impiegato per attirare l’attenzione ed ottenere l’adesione dei suoi contemporanei. Doveva egli in una qualche misura prestare i suoi poteri universali all’appagamento del desiderio ardente degli Ebrei per lo spettacolare ed il meraviglioso? Egli decise che non l’avrebbe fatto. Stabilì una linea di condotta che eliminava tutte queste pratiche come metodo per portare la sua missione a conoscenza degli uomini. E fu coerente con questa grande decisione. Anche quando permise la manifestazione di numerose somministrazioni di misericordia comportanti un accorciamento del tempo, egli raccomandò quasi invariabilmente ai beneficiari del suo ministero curativo di non raccontare a nessuno i benefici che avevano ricevuto. E respinse sempre la sfida provocante dei suoi nemici che chiedevano “mostraci un segno” quale prova e dimostrazione della sua divinità.
(1520.3) 136:8.2 Gesù prevedeva molto saggiamente che il compimento di miracoli e l’esecuzione di prodigi avrebbe suscitato soltanto una devozione esteriore per avere intimidito la mente materiale; queste dimostrazioni non avrebbero rivelato Dio né avrebbero salvato gli uomini. Egli rifiutò di divenire un semplice operatore di prodigi. Risolse di occuparsi di un unico compito — l’instaurazione del regno dei cieli.
(1520.4) 136:8.3 Durante questo importante dialogo di Gesù con se stesso, era presente l’elemento umano di obiezione e di quasi dubbio, perché Gesù era uomo quanto Dio. Era evidente che egli non sarebbe mai stato accettato dagli Ebrei come il Messia se non avesse compiuto dei prodigi. Inoltre, se avesse consentito di fare una sola cosa non naturale, la mente umana avrebbe saputo con certezza che ciò avveniva in sottomissione ad una mente veramente divina. Per la mente divina sarebbe stato compatibile con “la volontà del Padre” fare questa concessione alla natura dubbiosa della mente umana? Gesù decise che non lo sarebbe stato e citò la presenza dell’Aggiustatore Personalizzato come prova sufficiente della divinità associata all’umanità.
(1520.5) 136:8.4 Gesù aveva viaggiato molto; ricordava Roma, Alessandria e Damasco. Egli conosceva i metodi del mondo — il modo in cui la gente raggiungeva i loro fini in politica e nel commercio mediante il compromesso e la diplomazia. Avrebbe egli utilizzato questa conoscenza nel proseguimento della sua missione sulla terra? No! Egli decise in modo simile contro ogni compromesso con la saggezza del mondo e con l’influenza delle ricchezze nell’instaurazione del regno. Scelse di nuovo di dipendere esclusivamente dalla volontà del Padre.
(1520.6) 136:8.5 Gesù era pienamente cosciente delle scorciatoie aperte ad uno dei suoi poteri. Conosceva numerosi metodi con cui l’attenzione della nazione e del mondo intero poteva essere immediatamente focalizzata su se stesso. Presto sarebbe stata celebrata la Pasqua a Gerusalemme; la città sarebbe stata colma di visitatori. Egli avrebbe potuto salire sul pinnacolo del tempio e camminare nell’aria davanti alla moltitudine sbalordita; quello sarebbe stato il genere di Messia che gli Ebrei stavano aspettando. Ma li avrebbe successivamente delusi perché egli non era venuto per ristabilire il trono di Davide. E conosceva la futilità del metodo di Caligastia di tentare di anticipare la maniera naturale, lenta e sicura di compiere il disegno divino. Di nuovo il Figlio dell’Uomo s’inchinò con obbedienza alla via del Padre, alla volontà del Padre.
(1521.1) 136:8.6 Gesù scelse di stabilire il regno dei cieli nel cuore degli uomini con metodi naturali, ordinari, difficili e duri, cioè con i procedimenti che i suoi figli terreni avrebbero dovuto seguire successivamente nella loro opera per ampliare ed estendere questo regno dei cieli. Perché il Figlio dell’Uomo sapeva bene che sarebbe stato “attraverso molte tribolazioni che numerosi figli di tutte le ere sarebbero entrati nel regno”. Gesù stava passando ora per la grande prova degli uomini civilizzati consistente nel detenere il potere e rifiutare fermamente di servirsene per scopi puramente egoistici o personali.
(1521.2) 136:8.7 Nella vostra considerazione della vita e dell’esperienza del Figlio dell’Uomo, bisognerebbe sempre tenere a mente che il Figlio di Dio era incarnato nella mente di un essere umano del primo secolo, non nella mente di un mortale del ventesimo secolo o di un altro secolo. Con questo intendiamo comunicare l’idea che le doti umane di Gesù erano di acquisizione naturale. Egli era il prodotto dei fattori ereditari ed ambientali del suo tempo, accresciuti dall’influenza della sua istruzione e della sua educazione. La sua umanità era autentica, naturale, interamente derivata e nutrita dagli antecedenti dello status intellettuale di allora e dalle condizioni sociali ed economiche di quell’epoca e di quella generazione. Anche se nell’esperienza di questo Dio-uomo c’era sempre la possibilità che la mente divina trascendesse l’intelletto umano, nondimeno, nelle circostanze in cui la sua mente umana ha operato, si è manifestata come avrebbe fatto una vera mente mortale nelle condizioni dell’ambiente umano di quel tempo.
(1521.3) 136:8.8 Gesù mostrò a tutti i mondi del suo vasto universo la follia di creare delle situazioni artificiali allo scopo di esibire un’autorità arbitraria o d’indulgere ad un potere eccezionale allo scopo di elevare dei valori morali o di accelerare il progresso spirituale. Gesù decise che non avrebbe fatto della sua missione sulla terra una ripetizione della delusione del regno dei Maccabei. Egli rifiutò di prostituire i suoi attributi divini allo scopo di acquisire una popolarità immeritata o di guadagnare prestigio politico. Non volle approvare la trasmutazione d’energia divina e creativa in potere nazionale o in prestigio internazionale. Gesù di Nazaret rifiutò il compromesso con il male ed ancor più l’accordo con il peccato. Il Maestro pose trionfalmente la fedeltà alla volontà di suo Padre al di sopra di ogni altra considerazione terrena e temporale.
(1521.4) 136:9.1 Avendo regolato tali questioni di condotta concernenti le sue relazioni personali con la legge naturale ed il potere spirituale, egli volse la sua attenzione alla scelta dei metodi da impiegare nella proclamazione e nell’instaurazione del regno di Dio. Giovanni aveva già cominciato quest’opera; come poteva egli continuare il messaggio? Come sarebbe subentrato alla missione di Giovanni? Come avrebbe organizzato i suoi fedeli per uno sforzo efficace ed una cooperazione intelligente? Gesù stava pervenendo ora alla decisione finale che gli avrebbe impedito di considerarsi ancora come il Messia degli Ebrei, almeno il Messia qual era concepito dal popolo di quel tempo.
(1522.1) 136:9.2 Gli Ebrei immaginavano un liberatore che sarebbe venuto con potere miracoloso ad abbattere i nemici d’Israele e a stabilire gli Ebrei, liberati dalla miseria e dall’oppressione, come governatori del mondo. Gesù sapeva che questa speranza non sarebbe mai stata realizzata. Egli sapeva che il regno dei cieli concerneva la vittoria sul male nel cuore degli uomini e che era puramente una materia d’ordine spirituale. Egli meditò sull’opportunità d’inaugurare il regno spirituale con una brillante ed abbagliante dimostrazione di potere — e questa condotta sarebbe stata ammissibile ed interamente conforme alla giurisdizione di Micael — ma egli decise completamente contro un tale piano. Non voleva compromessi con le tecniche rivoluzionarie di Caligastia. Egli aveva potenzialmente conquistato il mondo sottomettendosi alla volontà del Padre, e si propose di terminare la sua opera come l’aveva cominciata, e come Figlio dell’Uomo.
(1522.2) 136:9.3 Voi non potete immaginare che cosa sarebbe successo su Urantia se questo Dio-uomo, ora in possesso potenziale di ogni potere in cielo e sulla terra, avesse deciso un giorno di dispiegare lo stendardo della sovranità, di schierare in ordine di battaglia i suoi reparti operanti prodigi! Ma egli non voleva compromessi. Non voleva servire il male lasciando supporre che l’adorazione di Dio fosse presumibilmente derivata da tutto ciò. Egli voleva attenersi alla volontà del Padre. Voleva proclamare ad un universo che l’osservava: “Voi adorerete il Signore Dio vostro e servirete soltanto lui.”
(1522.3) 136:9.4 Via via che passavano i giorni Gesù percepiva con sempre maggiore chiarezza quale tipo di rivelatore di verità sarebbe divenuto. Egli capiva che la via di Dio non sarebbe stata una via facile. Cominciava a rendersi conto che la coppa della sua restante esperienza umana poteva essere amara, ma decise di berla.
(1522.4) 136:9.5 Anche la sua mente umana sta dicendo addio al trono di Davide. Passo dopo passo questa mente umana segue il sentiero della mente divina. La mente umana pone ancora delle domande, ma accetta invariabilmente le risposte divine come regola finale in questa esistenza congiunta in cui vivere come un uomo nel mondo sottomettendosi costantemente senza riserve al compimento della volontà eterna e divina del Padre.
(1522.5) 136:9.6 Roma era padrona del mondo occidentale. Il Figlio dell’Uomo, ora in solitudine a prendere queste decisioni memorabili, con le schiere celesti ai suoi ordini, rappresentava l’ultima possibilità per gli Ebrei di giungere a dominare il mondo. Ma questo Ebreo di nascita, che possedeva una saggezza ed un potere così prodigiosi, rifiutò d’impiegare le sue doti universali sia per l’esaltazione di se stesso sia per l’insediamento sul trono del suo popolo. Egli vedeva, per così dire, “i regni di questo mondo” ed aveva il potere d’impadronirsene. Gli Altissimi di Edentia avevano rimesso tutti questi poteri nelle sue mani, ma egli non li voleva. I regni della terra erano misere cose per interessare il Creatore e Sovrano di un universo. Egli aveva un solo obiettivo, l’ulteriore rivelazione di Dio agli uomini, l’instaurazione del regno, il dominio del Padre celeste nel cuore degli uomini.
(1522.6) 136:9.7 L’idea di battaglia, di lotta e di massacro ripugnava a Gesù; egli non voleva nulla di tutto ciò. Voleva apparire sulla terra come il Principe della Pace per rivelare un Dio d’amore. Prima del suo battesimo egli aveva rifiutato ancora l’offerta degli Zeloti di guidarli alla ribellione contro gli oppressori romani. Ed ora egli prese la sua decisione finale riferentesi a quelle Scritture che sua madre gli aveva insegnato, quali: “Il Signore mi ha detto: ‘Tu sei mio Figlio; in questo giorno ti ho generato. Chiedimelo, ed io ti darò gli infedeli per tua eredità e le regioni estreme della terra per tuo possesso. Tu li spezzerai con una sbarra di ferro; li farai a pezzi come un recipiente da vasaio.’”
(1522.7) 136:9.8 Gesù di Nazaret giunse alla conclusione che queste citazioni non si riferivano a lui. Alla fine, ed una volta per tutte, la mente umana del Figlio dell’Uomo fece piazza pulita di tutte queste difficoltà e contraddizioni messianiche — Scritture ebraiche, educazione dei genitori, insegnamento del cazan, aspettative degli Ebrei ed ambiziosi desideri umani; una volta per sempre decise la sua linea di condotta. Egli sarebbe tornato in Galilea ed avrebbe cominciato tranquillamente la proclamazione del regno ed avrebbe confidato in suo Padre (l’Aggiustatore Personalizzato) per l’elaborazione dei dettagli quotidiani d’esecuzione.
(1523.1) 136:9.9 Con queste decisioni Gesù diede un degno esempio ad ogni persona su ogni mondo di un vasto universo quando rifiutò di usare prove materiali per risolvere problemi spirituali, quando rifiutò di sfidare presuntuosamente le leggi naturali. E diede un esempio ispirante di lealtà universale e di nobiltà morale quando rifiutò d’impadronirsi del potere temporale come preludio alla gloria spirituale.
(1523.2) 136:9.10 Se il Figlio dell’Uomo aveva dei dubbi sulla sua missione e sulla natura della stessa quando andò sulle colline dopo il suo battesimo, non ne aveva alcuno quando tornò dai suoi compagni dopo i quaranta giorni di solitudine e di decisioni.
(1523.3) 136:9.11 Gesù aveva formulato un programma per l’instaurazione del regno del Padre. Egli non avrebbe provveduto alle soddisfazioni fisiche del popolo. Non avrebbe distribuito pane alle folle come aveva recentemente visto fare a Roma. Non avrebbe attirato l’attenzione su se stesso compiendo dei prodigi, anche se gli Ebrei stavano aspettando proprio quel genere di liberatore. Né avrebbe cercato di far accettare il suo messaggio spirituale con uno sfoggio di autorità politica o di potere temporale.
(1523.4) 136:9.12 Respingendo questi metodi per magnificare il regno futuro agli occhi degli Ebrei in attesa, Gesù era certo che questi stessi Ebrei avrebbero certamente e definitivamente respinto tutte le sue pretese di autorità e di divinità. Sapendo tutto ciò, Gesù cercò a lungo d’impedire ai suoi primi discepoli di alludere a lui come al Messia.
(1523.5) 136:9.13 Durante tutto il suo ministero pubblico egli fu posto di fronte alla necessità di affrontare tre situazioni costantemente ricorrenti: la richiesta di essere nutriti, l’insistenza per vedere dei miracoli e la richiesta finale di permettere ai suoi seguaci di farlo re. Ma Gesù non si scostò mai dalle decisioni che aveva preso durante questi giorni d’isolamento sulle colline della Perea.
(1523.6) 136:10.1 L’ultimo giorno di questo memorabile isolamento, prima di scendere dalla montagna per raggiungere Giovanni e i suoi discepoli, il Figlio dell’Uomo prese la sua ultima decisione. E comunicò questa decisione al suo Aggiustatore Personalizzato con queste parole: “Ed in tutte le altre questioni, come in queste la cui decisione è ora definita, m’impegno con te ad essere sottomesso alla volontà di mio Padre.” E dopo aver parlato così egli scese dalla montagna. Ed il suo viso risplendeva della gloria della vittoria spirituale e del compimento morale.
(1524.1) 137:0.1 SABATO mattina 23 febbraio dell’anno 26 d.C., di buon’ora, Gesù discese dalle colline per raggiungere i compagni di Giovanni accampati a Pella. Per tutto quel giorno Gesù si mescolò alla folla. Egli curò un ragazzo che si era ferito cadendo e si recò nel vicino villaggio di Pella per consegnare il giovane in salvo nelle mani dei suoi genitori.
(1524.2) 137:1.1 Durante questo sabato due dei principali discepoli di Giovanni passarono molto tempo con Gesù. Tra tutti i seguaci di Giovanni, uno di nome Andrea fu il più profondamente impressionato da Gesù; lo accompagnò nel tragitto fino a Pella con il ragazzo ferito. Sulla via del ritorno al luogo in cui stava Giovanni egli pose a Gesù numerose domande, e poco prima di giungere a destinazione, i due si fermarono per un breve colloquio, durante il quale Andrea disse: “Ti ho osservato fin da quando sei venuto a Cafarnao e credo che tu sia il nuovo Maestro; e sebbene io non comprenda tutto il tuo insegnamento, sono pienamente intenzionato a seguirti; vorrei sedermi ai tuoi piedi ed apprendere tutta la verità sul nuovo regno.” E Gesù, con profonda fiducia, accolse cordialmente Andrea come primo dei suoi apostoli, quel gruppo di dodici che dovevano lavorare con lui all’instaurazione del nuovo regno di Dio nel cuore degli uomini.
(1524.3) 137:1.2 Andrea era un osservatore silenzioso dell’opera di Giovanni ed un sincero credente nella stessa, ed aveva un fratello molto capace ed entusiasta di nome Simone che era uno dei più eminenti discepoli di Giovanni. Non sarebbe sbagliato affermare che Simone era uno dei principali sostenitori di Giovanni.
(1524.4) 137:1.3 Subito dopo il ritorno di Gesù ed Andrea al campo, Andrea cercò suo fratello Simone, e presolo da parte lo informò che era personalmente convinto che Gesù fosse il grande Maestro e che lui si era impegnato ad essere suo discepolo. Egli proseguì dicendo che Gesù aveva accettato la sua offerta di servizio e suggerì che anche lui (Simone) andasse da Gesù e si offrisse come compagno nel servizio del nuovo regno. Simone disse: “Da quando quest’uomo è venuto a lavorare nel laboratorio di Zebedeo ho sempre pensato che fosse mandato da Dio, ma che cosa facciamo con Giovanni? Dobbiamo abbandonarlo? È questa la cosa giusta da fare?” Essi decisero allora di andare immediatamente a consultare Giovanni. Giovanni fu rattristato all’idea di perdere due dei suoi più abili consiglieri e più promettenti discepoli, ma rispose coraggiosamente alle loro domande dicendo: “Questo è soltanto l’inizio; il mio lavoro presto finirà e diverremo tutti suoi discepoli.” Allora Andrea fece segno a Gesù di venire in disparte e gli annunciò che suo fratello desiderava entrare a far parte anche lui del servizio del nuovo regno. Ed accogliendo Simone come suo secondo apostolo Gesù disse: “Simone, il tuo entusiasmo è lodevole, ma è pericoloso per il lavoro del regno. Ti consiglio di divenire più attento nel tuo modo di parlare. Vorrei cambiare il tuo nome in Pietro.”
(1525.1) 137:1.4 I genitori del ragazzo ferito, che vivevano a Pella, avevano chiesto a Gesù di passare la notte con loro, di considerare la loro casa come la sua casa, ed egli aveva accettato. Prima di lasciare Andrea e suo fratello, Gesù disse: “Domani mattina presto andremo in Galilea.”
(1525.2) 137:1.5 Dopo che Gesù fu ritornato a Pella per la notte, e mentre Andrea e Simone discutevano ancora sulla natura del loro servizio nell’instaurazione del regno futuro, Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, arrivarono sulla scena, essendo appena rientrati dalla loro lunga e vana ricerca di Gesù sulle colline. Quando essi ascoltarono Simon Pietro raccontare come lui e suo fratello Andrea erano divenuti i primi consiglieri accolti nel nuovo regno e che sarebbero partiti il giorno seguente con il loro nuovo Maestro per la Galilea, Giacomo e Giovanni rimasero addolorati. Essi avevano conosciuto Gesù da un po’ di tempo e lo amavano. Lo avevano cercato per molti giorni sulle colline ed ora tornavano per apprendere che altri erano stati scelti prima di loro. Essi chiesero dov’era andato Gesù e si affrettarono a raggiungerlo.
(1525.3) 137:1.6 Gesù dormiva quando arrivarono alla sua dimora, ma essi lo svegliarono dicendo: “Com’è che mentre noi che abbiamo vissuto così a lungo con te e ti stavamo cercando sulle colline tu hai preferito altri a noi ed hai scelto Andrea e Simone come tuoi primi associati nel nuovo regno?” Gesù rispose loro: “Mettetevi il cuore in pace e chiedetevi: ‘Chi vi ha ordinato di cercare il Figlio dell’Uomo mentre s’interessava degli affari di suo Padre?’ ” Dopo che essi gli ebbero raccontato i dettagli della loro lunga ricerca sulle colline, Gesù disse ancora loro: “Dovreste imparare a cercare il segreto del nuovo regno nel vostro cuore e non sulle colline. Quello che cercavate era già presente nella vostra anima. Voi siete veramente miei fratelli — non avevate bisogno di essere accolti da me — voi facevate già parte del regno, e dovreste essere di buon umore, preparandovi anche voi a venire con noi domani in Galilea.” Giovanni si azzardò allora a chiedere: “Ma, Maestro, Giacomo ed io saremo associati a te nel nuovo regno allo stesso titolo di Andrea e Simone?” E Gesù, ponendo una mano sulla spalla di ciascuno di loro, disse: “Fratelli miei, voi eravate già con me nello spirito del regno ancora prima che questi altri avessero chiesto di essere accolti. Voi, fratelli miei, non avete bisogno di fare richiesta per entrare nel regno; voi siete stati con me nel regno fin dall’inizio. Davanti agli uomini altri possono avere la precedenza su di voi, ma nel mio cuore vi consideravo nei consigli del regno ancora prima che pensaste di rivolgermi questa richiesta. E avreste potuto anche essere primi davanti agli uomini se non vi foste assentati per impegnarvi nel compito bene intenzionato, ma deciso da voi, di cercare uno che non si era perso. Nel regno futuro non occupatevi di quelle cose che accrescono la vostra ansietà, ma preoccupatevi sempre piuttosto di fare solo la volontà del Padre che è nei cieli.”
(1525.4) 137:1.7 Giacomo e Giovanni accettarono di buon grado il rimprovero; essi non furono mai più invidiosi di Andrea e Simone. E si prepararono a partire con i loro due apostoli associati per la Galilea il mattino successivo. A partire da quel giorno il termine apostolo fu impiegato per distinguere la famiglia scelta dei consiglieri di Gesù dalla vasta moltitudine di discepoli credenti che lo seguì successivamente.
(1525.5) 137:1.8 Quella sera tardi Giacomo, Giovanni, Andrea e Simone ebbero un incontro con Giovanni il Battista, e con le lacrime agli occhi ma con voce ferma il valente profeta giudeo lasciò che due dei suoi più validi discepoli divenissero gli apostoli del Principe galileo del regno futuro.
(1526.1) 137:2.1 Domenica mattina 24 febbraio dell’anno 26 d.C., Gesù si congedò da Giovanni il Battista presso il fiume vicino a Pella e non lo rivide mai più nella carne.
(1526.2) 137:2.2 Quel giorno, mentre Gesù ed i suoi quattro discepoli-apostoli partivano per la Galilea, c’era un gran tumulto nel campo dei seguaci di Giovanni. Stava per avvenire la prima grande divisione. Il giorno prima Giovanni aveva detto esplicitamente ad Andrea e ad Ezra che Gesù era il Liberatore. Andrea decise di seguire Gesù, ma Ezra respinse il carpentiere di Nazaret dalle maniere gentili, dicendo ai suoi compagni: “Il profeta Daniele dichiara che il Figlio dell’Uomo verrà sulle nuvole del cielo, in potenza e in grande gloria. Questo carpentiere galileo, questo costruttore di battelli di Cafarnao, non può essere il Liberatore. Può un tale dono di Dio uscire da Nazaret? Questo Gesù è un parente di Giovanni e per eccesso di benevolenza il nostro maestro è stato ingannato. Stiamo lontani da questo falso Messia.” Quando Giovanni rimproverò Ezra per queste affermazioni, egli si allontanò con numerosi discepoli e andò verso sud. Questo gruppo continuò a battezzare in nome di Giovanni e fondò infine una setta di coloro che credevano in Giovanni ma rifiutavano di accettare Gesù. Un residuo di questo gruppo esiste ancora oggi in Mesopotamia.
(1526.3) 137:2.3 Mentre sorgevano questi problemi tra i seguaci di Giovanni, Gesù ed i suoi quattro discepoli-apostoli erano ben avanti nel loro viaggio verso la Galilea. Prima di attraversare il Giordano per andare a Nazaret passando per Nain, Gesù, guardando avanti sulla strada, vide venire verso di loro un certo Filippo di Betsaida con un amico. Gesù aveva conosciuto Filippo precedentemente, e questi era pure ben conosciuto da tutti e quattro i nuovi apostoli. Egli era in cammino con il suo amico Natanaele per andare da Giovanni a Pella allo scopo di saperne di più sull’annunciato avvento del regno di Dio, e fu felicissimo di salutare Gesù. Filippo era stato un ammiratore di Gesù fin dalla sua prima venuta a Cafarnao. Natanaele invece, che viveva a Cana di Galilea, non conosceva Gesù. Filippo si fece avanti per salutare i suoi amici, mentre Natanaele si riposava all’ombra di un albero a lato della strada.
(1526.4) 137:2.4 Pietro prese Filippo da parte e gli spiegò che loro, cioè lui, Andrea, Giacomo e Giovanni erano tutti divenuti associati di Gesù nel nuovo regno ed esortò vivamente Filippo ad offrirsi volontario al servizio della causa. Filippo si trovò in imbarazzo. Che cosa doveva fare? Qui, senza il minimo preavviso — a margine della strada vicino al Giordano — si vedeva porre per una decisione immediata la più importante domanda di un’intera vita. Egli era oramai in calorosa conversazione con Pietro, Andrea e Giovanni, mentre Gesù stava descrivendo a Giacomo la strada da seguire attraverso la Galilea fino a Cafarnao. Infine Andrea suggerì a Filippo: “Perché non chiedere al Maestro?”
(1526.5) 137:2.5 Filippo si rese subito conto che Gesù era realmente un grande uomo, forse il Messia, e decise di attenersi alla decisione di Gesù in questa materia. Andò diritto da lui e gli chiese: “Maestro, devo andare da Giovanni o unirmi ai miei amici che seguono te?” E Gesù rispose: “Seguimi.” Filippo fu galvanizzato dalla certezza di avere trovato il Liberatore.
(1526.6) 137:2.6 Filippo fece allora cenno al gruppo di rimanere dov’era mentre egli correva a comunicare la notizia della sua decisione al suo amico Natanaele, che era ancora indietro sotto il gelso e rifletteva sulle molte cose che aveva udito su Giovanni il Battista, sul regno futuro e sul Messia atteso. Filippo mise termine a queste riflessioni gridando: “Ho trovato il Liberatore, colui del quale Mosè ed i profeti hanno scritto e che Giovanni ha proclamato.” Natanaele, alzando gli occhi, chiese: “Da dove viene questo maestro?” E Filippo replicò: “È Gesù di Nazaret, il figlio di Giuseppe, il carpentiere, venuto più recentemente ad abitare a Cafarnao.” Allora, un po’ sorpreso, Natanaele chiese: “Può una cosa tanto buona uscire da Nazaret?” Ma Filippo, prendendolo per il braccio, disse: “Vieni a vedere.”
(1527.1) 137:2.7 Filippo condusse Natanaele da Gesù, il quale, guardando con benevolenza in viso il sincero dubbioso, disse: “Ecco un vero Israelita in cui non c’è falsità. Seguimi.” Natanaele, girandosi verso Filippo, disse: “Hai ragione. È veramente un conduttore di uomini. Lo seguirò anch’io, se ne sono degno.” E Gesù fece un cenno affermativo a Natanaele, dicendo di nuovo: “Seguimi.”
(1527.2) 137:2.8 Gesù aveva ora riunito una metà del suo futuro corpo di stretti collaboratori, cinque che lo conoscevano da qualche tempo ed uno straniero, Natanaele. Senza ulteriori indugi essi attraversarono il Giordano e, passando per il villaggio di Nain, giunsero a tarda sera a Nazaret.
(1527.3) 137:2.9 Essi trascorsero tutti la notte da Giuseppe nella casa d’infanzia di Gesù. I compagni di Gesù non compresero molto bene perché il loro maestro da poco scoperto fosse così preoccupato di distruggere completamente ogni traccia dei suoi scritti che esistevano nella casa sotto forma dei Dieci Comandamenti e di altre massime e precetti. Ma questo modo di agire, unito al fatto che essi non lo videro mai più scrivere in seguito — salvo che sulla polvere o sulla sabbia — impressionò profondamente la loro mente.
(1527.4) 137:3.1 Il giorno seguente Gesù mandò i suoi apostoli a Cana, perché erano tutti invitati al matrimonio di una giovane molto in vista di quella città, mentre egli si preparava a fare una rapida visita a sua madre a Cafarnao, fermandosi a Magdala per vedere suo fratello Giuda.
(1527.5) 137:3.2 Prima di lasciare Nazaret, i nuovi associati di Gesù raccontarono a Giuseppe e agli altri membri della famiglia di Gesù i meravigliosi avvenimenti dell’allora recente passato ed espressero apertamente la loro credenza che Gesù fosse il liberatore a lungo atteso. Questi membri della famiglia di Gesù discussero di tutto ciò e Giuseppe disse: “Forse, dopotutto, la mamma aveva ragione — forse il nostro strano fratello è il futuro re.”
(1527.6) 137:3.3 Giuda era presente al battesimo di Gesù e, con suo fratello Giacomo, era divenuto un fermo credente nella missione di Gesù sulla terra. Sebbene Giacomo e Giuda fossero molto perplessi sulla natura della missione del loro fratello, la loro madre aveva riesumato tutte le sue antiche speranze che Gesù fosse il Messia, il figlio di Davide, ed incoraggiava i suoi figli ad avere fede nel loro fratello quale liberatore d’Israele.
(1527.7) 137:3.4 Gesù arrivò a Cafarnao lunedì sera, ma non andò a casa sua, dove vivevano Giacomo e sua madre; andò direttamente a casa di Zebedeo. Tutti i suoi amici di Cafarnao videro un grande e gradevole cambiamento in lui. Ancora una volta egli sembrava relativamente allegro e più simile a com’era durante i primi anni a Nazaret. Negli anni antecedenti al suo battesimo ed ai periodi d’isolamento immediatamente precedenti e seguenti, egli era divenuto sempre più serio e riservato. Ora sembrava a tutti loro del tutto simile a com’era una volta. C’era in lui un certo portamento maestoso ed un aspetto eminente, ma era di nuovo allegro e spensierato.
(1528.1) 137:3.5 Maria fremeva di speranza. Essa credeva che la promessa di Gabriele fosse prossima a realizzarsi. Si aspettava di vedere presto tutta la Palestina sbigottita e sbalordita dalla rivelazione miracolosa di suo figlio quale re soprannaturale degli Ebrei. Ma a tutte le numerose domande che gli posero sua madre, Giacomo, Giuda e Zebedeo, Gesù si limitò a rispondere sorridendo: “È meglio che io resti qui per qualche tempo; devo fare la volontà di mio Padre che è nei cieli.”
(1528.2) 137:3.6 Il giorno dopo, martedì, essi andarono tutti a Cana per il matrimonio di Naomi, che doveva aver luogo il giorno seguente. E nonostante i reiterati avvertimenti di Gesù di non parlare a nessuno di lui “fino a che l’ora del Padre giungerà”, essi insistettero nel diffondere con discrezione la notizia che avevano trovato il Liberatore. Ciascuno di loro aspettava con fiducia che Gesù inaugurasse l’assunzione della sua autorità messianica in occasione del prossimo matrimonio a Cana, e che lo facesse con grande potenza e sublime grandezza. Essi ricordarono ciò che era stato detto sui fenomeni seguiti al suo battesimo e credevano che la sua futura condotta sulla terra sarebbe stata segnata da manifestazioni crescenti di prodigi soprannaturali e di dimostrazioni miracolose. Di conseguenza, tutto il paese si preparò a radunarsi a Cana per il banchetto di nozze di Naomi e di Joab il figlio di Natan.
(1528.3) 137:3.7 Maria non era stata così allegra da anni. Essa si recò a Cana nello stato d’animo di una regina madre che andava ad assistere all’incoronazione di suo figlio. Da quando Gesù aveva compiuto i tredici anni la sua famiglia ed i suoi amici non l’avevano visto così libero da preoccupazioni e felice, così premuroso e comprensivo dei voti e dei desideri dei suoi compagni, così affettuoso in modo toccante. Essi bisbigliavano dunque tra di loro, a piccoli gruppi, chiedendosi che cosa sarebbe accaduto. Che cosa avrebbe fatto prossimamente questo strano personaggio? Come avrebbe inaugurato la gloria del regno futuro? Ed essi erano tutti eccitati all’idea che avrebbero assistito alla rivelazione della forza e della potenza del Dio d’Israele.
(1528.4) 137:4.1 Mercoledì, a mezzogiorno, quasi un migliaio di ospiti erano arrivati a Cana, più di quattro volte il numero invitato al banchetto di nozze. Era costume degli Ebrei celebrare i matrimoni di mercoledì, e gli inviti alle nozze erano stati inviati un mese prima. Nella mattinata e nel primo pomeriggio a Gesù la festa sembrava somigliare più ad un ricevimento pubblico che ad un matrimonio. Ognuno voleva salutare questo Galileo quasi celebre, ed egli era molto cordiale con tutti, giovani e vecchi, Ebrei e Gentili. E tutti si rallegrarono quando Gesù accettò di condurre la processione introduttiva al matrimonio.
(1528.5) 137:4.2 Gesù era ora perfettamente autocosciente della sua esistenza umana, della sua preesistenza divina e dello status delle sue nature umana e divina congiunte o fuse. Con perfetta padronanza egli poteva in ogni momento recitare il ruolo umano od assumere immediatamente le prerogative di personalità della natura divina.
(1528.6) 137:4.3 Mentre la giornata procedeva, Gesù si rendeva sempre più conto che la gente si aspettava di vederlo compiere qualche prodigio; più specificamente egli comprese che la sua famiglia ed i suoi sei discepoli-apostoli si aspettavano che annunciasse in modo adeguato il suo regno futuro con qualche manifestazione impressionante e soprannaturale.
(1529.1) 137:4.4 Nel primo pomeriggio Maria chiamò Giacomo, ed insieme ebbero l’ardire di rivolgersi a Gesù per chiedergli se voleva confidarsi con loro per informarli a che ora e a quale punto delle cerimonie nuziali egli aveva progettato di manifestarsi come “essere soprannaturale”. Non appena essi ebbero parlato di questo argomento a Gesù, videro che avevano suscitato la sua caratteristica indignazione. Egli disse soltanto: “Se mi amate, allora abbiate la compiacenza di aspettare con me mentre servo la volontà di mio Padre che è nei cieli.” Ma l’eloquenza del suo rimprovero stava nell’espressione del suo viso.
(1529.2) 137:4.5 Questa mossa di sua madre fu una grande delusione per il Gesù umano, e fu molto rasserenato dalla sua reazione alla provocante proposta di lei di prestarsi a compiere qualche dimostrazione esteriore della sua divinità. Quella era proprio una delle cose che aveva deciso di non fare nel corso del suo recente isolamento sulle colline. Per alcune ore Maria fu molto depressa. Essa disse a Giacomo: “Non riesco a capirlo; che cosa significa tutto ciò? Non c’è fine alla sua strana condotta?” Giacomo e Giuda cercarono di confortare la loro madre, mentre Gesù si ritirava per un’ora di solitudine. Ma egli ritornò alla riunione ed era di nuovo di buon umore ed allegro.
(1529.3) 137:4.6 Il matrimonio proseguì in un’atmosfera di tranquilla attesa, ma l’intera cerimonia era terminata senza un gesto, senza una parola dell’ospite d’onore. Allora si sussurrò che il carpentiere e costruttore di battelli, annunciato da Giovanni come “il Liberatore”, avrebbe messo le carte in tavola durante i festeggiamenti della sera, forse alla cena di nozze. Ma ogni speranza di una tale dimostrazione fu efficacemente rimossa dalla mente dei suoi sei discepoli-apostoli quando egli li chiamò tutti poco prima della cena di nozze e, con grande serietà, disse: “Non pensate che io sia venuto in questo luogo a compiere qualche prodigio per soddisfare i curiosi o per convincere quelli che dubitano. Siamo qui piuttosto per servire la volontà di nostro Padre che è nei cieli.” Ma quando Maria e gli altri lo videro in consultazione con i suoi associati, furono pienamente persuasi nella loro mente che qualcosa di straordinario stesse per accadere. E tutti si sedettero per godere la cena di nozze e la serata di festosa buona compagnia.
(1529.4) 137:4.7 Il padre dello sposo aveva procurato vino in abbondanza per tutti gli ospiti invitati al banchetto di nozze, ma come poteva sapere che il matrimonio di suo figlio sarebbe divenuto un avvenimento così strettamente legato all’attesa manifestazione di Gesù come liberatore messianico? Egli era felicissimo di avere l’onore di annoverare il celebre Galileo tra i suoi ospiti, ma prima che la cena di nozze fosse finita i servitori gli portarono la sconcertante notizia che il vino scarseggiava. Quando la cena ufficiale fu terminata e gli ospiti stavano passeggiando in giardino, la madre dello sposo confidò a Maria che la provvista di vino era esaurita. E Maria le rispose con fiducia: “Non preoccuparti — parlerò a mio figlio. Egli ci aiuterà.” Ed essa si prese la libertà di parlare in tal modo nonostante il rimprovero ricevuto qualche ora prima.
(1529.5) 137:4.8 Per molti anni Maria si era sempre rivolta a Gesù per essere aiutata in ogni crisi della loro vita di famiglia a Nazaret, cosicché era per lei del tutto naturale pensare a lui in questa circostanza. Ma questa madre ambiziosa aveva anche altre ragioni per fare appello a suo figlio maggiore in questa occasione. Mentre Gesù stava da solo in un angolo del giardino, sua madre si avvicinò a lui e disse: “Figlio mio, essi non hanno più vino.” E Gesù rispose: “Mia buona donna, che cosa ho a che fare io con ciò?” Maria disse: “Credo soltanto che la tua ora sia venuta; non puoi aiutarci?” Gesù replicò: “Di nuovo ti dichiaro che non sono venuto per agire in questo modo. Perché mi disturbi ancora con simili questioni?” Ed allora, sciogliendosi in lacrime, Maria lo supplicò: “Ma, figlio mio, ho promesso loro che ci avresti aiutato; non potresti, per favore, fare qualcosa per me?” Ed allora Gesù disse: “Donna, perché ti permetti di fare tali promesse? Vedi di non farlo ancora. In tutte le cose noi dobbiamo servire la volontà del Padre che è nei cieli.”
(1530.1) 137:4.9 Maria, la madre di Gesù, era annientata; era stordita! Mentre essa stava là immobile davanti a lui, con le lacrime che le scorrevano sul viso, il cuore umano di Gesù fu sopraffatto dalla compassione per la donna che l’aveva generato nella carne, e chinandosi verso di lei, posò teneramente la mano sulla sua testa dicendo: “Su, su, mamma Maria, non affliggerti per le mie parole apparentemente dure; non ti ho detto molte volte che sono venuto soltanto per fare la volontà di mio Padre celeste? Farei molto volentieri quanto mi chiedi se ciò facesse parte della volontà del Padre — ” e Gesù si arrestò all’improvviso, ebbe un’esitazione. Maria sembrò percepire che qualcosa stava per accadere. Balzando in piedi, gettò le braccia al collo di Gesù, lo baciò e si precipitò nelle stanze dei servi dicendo: “Qualunque cosa dica mio figlio, fatela.” Ma Gesù non disse nulla. Si rendeva conto ora di aver già detto — o piuttosto di avere pensato con pieno desiderio — troppo.
(1530.2) 137:4.10 Maria danzava per la gioia. Essa non sapeva come il vino sarebbe stato prodotto, ma credeva fermamente di aver finalmente persuaso suo figlio primogenito ad affermare la sua autorità, ad osare di farsi avanti per rivendicare la sua posizione e mostrare il suo potere messianico. E a causa della presenza e dell’associazione di certe potenze e personalità dell’universo, di cui tutti i presenti erano completamente ignari, essa non sarebbe rimasta delusa. Il vino che Maria desiderava e che Gesù, il Dio-uomo, umanamente e con grande comprensione voleva, stava per comparire.
(1530.3) 137:4.11 C’erano lì vicino sei giare di pietra colme d’acqua, contenenti circa settanta litri ciascuna. Quest’acqua era destinata ad essere usata successivamente nelle cerimonie finali di purificazione della celebrazione del matrimonio. L’agitarsi dei servi attorno a questi enormi recipienti di pietra, sotto la guida attiva di sua madre, attirò l’attenzione di Gesù, e avvicinatosi vide che ne tiravano fuori del vino a brocche piene.
(1530.4) 137:4.12 Gesù si rese gradualmente conto di ciò che era successo. Tra tutte le persone presenti alla festa del matrimonio di Cana, Gesù fu il più sorpreso. Gli altri si aspettavano tutti di vederlo compiere un prodigio, ma ciò era proprio quello che egli non aveva intenzione di fare. Allora il Figlio dell’Uomo si ricordò dell’avvertimento del suo Aggiustatore di Pensiero Personalizzato sulle colline. Si ricordò come l’Aggiustatore l’aveva avvertito che nessuna potenza o personalità poteva privarlo della prerogativa di creatore indipendente dal tempo. In questa occasione, dei trasformatori di potere, degli intermedi e tutte le altre personalità richieste erano riuniti vicino all’acqua ed agli altri elementi necessari, e di fronte al desiderio espresso dal Creatore Sovrano dell’Universo, l’apparizione istantanea del vino era inevitabile. E questo avvenimento era reso doppiamente certo dal fatto che l’Aggiustatore Personalizzato aveva precisato che l’esecuzione del desiderio del Figlio non avrebbe contravvenuto in alcun modo alla volontà del Padre.
(1530.5) 137:4.13 Ma questo non fu in alcun senso un miracolo. Nessuna legge naturale fu modificata, abrogata od anche trascesa. Non si produsse nient’altro che l’abrogazione del tempo in associazione con l’assembramento celeste degli elementi chimici indispensabili per l’elaborazione del vino. A Cana, in questa occasione, gli agenti del Creatore produssero del vino esattamente come essi fanno mediante il processo naturale ordinario, salvo che lo fecero indipendentemente dal tempo e con l’intervento di agenti superumani per riunire nello spazio gli ingredienti chimici necessari.
(1531.1) 137:4.14 Inoltre, era evidente che il compimento di questo cosiddetto miracolo non era contrario alla volontà del Padre del Paradiso, altrimenti non si sarebbe prodotto, poiché Gesù si era già sottomesso in tutto alla volontà del Padre.
(1531.2) 137:4.15 Quando i servi attinsero questo nuovo vino e lo portarono al testimone dello sposo, il “direttore del banchetto”, e quando questi lo ebbe assaggiato, chiamò il novello sposo e disse: “È abitudine servire prima il vino buono e poi, quando gli invitati hanno bevuto molto, portare il frutto inferiore della vite; ma tu hai conservato il vino migliore sino alla fine del banchetto.”
(1531.3) 137:4.16 Maria e i discepoli di Gesù gioirono grandemente per il supposto miracolo che credevano essere stato compiuto da Gesù intenzionalmente, ma Gesù si ritirò in un angolo appartato del giardino e si pose in seria meditazione per alcuni brevi istanti. Egli concluse alla fine che l’episodio oltrepassava nella circostanza il suo controllo personale e che, non essendo contrario alla volontà di suo Padre, era inevitabile. Quando ritornò tra gli invitati, costoro lo guardavano con riverente timore; pensavano tutti che fosse il Messia. Ma Gesù era molto perplesso; sapeva che essi credevano in lui soltanto a causa dello straordinario evento di cui erano stati del tutto casualmente testimoni. Gesù si ritirò di nuovo per qualche momento sulla terrazza della casa per meditare su tutto questo.
(1531.4) 137:4.17 Gesù comprese ora pienamente che avrebbe dovuto stare costantemente in guardia per timore che la sua indulgenza alla compassione e alla pietà non divenisse responsabile di altri episodi di questo genere. Ciononostante si verificarono molti avvenimenti simili prima che il Figlio dell’Uomo si congedasse definitivamente dalla sua vita mortale nella carne.
(1531.5) 137:5.1 Mentre molti degli ospiti rimasero a Cana per tutta la settimana delle festività del matrimonio, Gesù, con i suoi discepoli-apostoli scelti di recente — Giacomo, Giovanni, Andrea, Pietro, Filippo e Natanaele — partì il mattino dopo di buon’ora per Cafarnao senza salutare nessuno. La famiglia di Gesù e tutti i suoi amici di Cana furono molto addolorati per la sua improvvisa partenza, e Giuda, il fratello più giovane di Gesù, partì alla sua ricerca. Gesù ed i suoi apostoli andarono direttamente a casa di Zebedeo a Betsaida. Durante questo tragitto Gesù parlò di molte questioni importanti per il regno futuro con i suoi associati scelti da poco, e raccomandò loro in particolare di non fare menzione della trasformazione dell’acqua in vino. Egli consigliò loro anche di evitare le città di Sefforis e di Tiberiade nel loro futuro lavoro.
(1531.6) 137:5.2 Quella sera, dopo la cena, in questa casa di Zebedeo e di Salomè, fu tenuta una delle più importanti riunioni di tutta la carriera terrena di Gesù. Soltanto i sei apostoli erano presenti a questa riunione; Giuda arrivò nel momento in cui si stavano separando. Questi sei uomini scelti avevano viaggiato con Gesù da Cana a Betsaida camminando, per così dire, per aria. Essi vivevano nell’attesa e fremevano al pensiero di essere stati scelti come stretti associati del Figlio dell’Uomo. Ma quando Gesù iniziò a chiarire loro chi era e quale sarebbe stata la sua missione sulla terra e come ciò poteva forse finire, rimasero storditi. Essi non riuscivano a capire quello che stava dicendo loro. Rimasero ammutoliti; anche Pietro era indicibilmente sconvolto. Solo il molto riflessivo Andrea osò replicare alle raccomandazioni di Gesù. Quando Gesù percepì che essi non comprendevano il suo messaggio, quando vide che le loro idee sul Messia ebreo erano così completamente cristallizzate, li mandò a riposare mentre egli passeggiava e parlava con suo fratello Giuda. Prima di congedarsi da Gesù, Giuda gli disse con molta emozione: “Padre-fratello mio, io non ti ho mai capito. Non so con certezza se tu sei colui che mia madre ci ha insegnato e non comprendo pienamente il regno futuro, ma so che tu sei un potente uomo di Dio. Ho udito la voce al Giordano e credo in te, chiunque tu sia.” E dopo aver detto questo partì per casa sua a Magdala.
(1532.1) 137:5.3 Quella notte Gesù non dormì. Avvolto nelle sue coperte si sedette in riva al lago a pensare, riflettendo fino all’alba del giorno dopo. Nel corso delle lunghe ore di quella notte di meditazione Gesù arrivò a comprendere chiaramente che non sarebbe mai riuscito a portare i suoi discepoli a vederlo sotto una luce diversa da quella del Messia a lungo atteso. Alla fine riconobbe che non c’era altro modo di lanciare il suo messaggio sul regno se non con il compimento della predizione di Giovanni e nella veste di colui che gli Ebrei stavano aspettando. Dopotutto, sebbene egli non fosse il tipo davidico di Messia, rispondeva veramente alle profezie dei più orientati spiritualmente tra gli antichi profeti. Egli non negò mai più completamente di essere il Messia. Decise di lasciare sbrogliare infine questa complicata situazione alla manifestazione della volontà del Padre.
(1532.2) 137:5.4 Il mattino successivo Gesù raggiunse i suoi amici a colazione, ma essi erano un gruppo triste. Egli si trattenne con loro e alla fine del pasto li radunò attorno a lui, dicendo: “È volontà di mio Padre che restiamo qui intorno per un certo tempo. Voi avete sentito Giovanni dire che era venuto a preparare la via per il regno; conviene quindi che aspettiamo la fine della predicazione di Giovanni. Quando il precursore del Figlio dell’Uomo avrà completato la sua opera, noi cominceremo la proclamazione della buona novella del regno.” Egli ordinò ai suoi apostoli di ritornare alle loro reti, mentre egli si preparava ad andare da Zebedeo al cantiere navale, promettendo che li avrebbe rivisti il giorno dopo alla sinagoga, dove avrebbe parlato, e fissando un incontro con loro per il pomeriggio del sabato.
(1532.3) 137:6.1 La prima apparizione in pubblico di Gesù dopo il suo battesimo ebbe luogo nella sinagoga di Cafarnao sabato 2 marzo dell’anno 26 d.C. La sinagoga era gremita. La storia del battesimo nel Giordano era ora accresciuta dalle recenti notizie provenienti da Cana sull’acqua ed il vino. Gesù assegnò dei posti d’onore ai suoi sei apostoli, e seduti con loro c’erano i suoi fratelli di sangue Giacomo e Giuda. Sua madre, ritornata a Cafarnao con Giacomo la sera prima, era anch’essa presente, seduta nel settore della sinagoga riservato alle donne. Tutti gli astanti erano eccitati; si aspettavano di vedere qualche manifestazione straordinaria di potere soprannaturale che fosse una testimonianza appropriata della natura e dell’autorità di colui che avrebbe parlato loro quel giorno. Ma erano destinati a rimanere delusi.
(1532.4) 137:6.2 Quando Gesù si alzò, il capo della sinagoga gli porse il rotolo delle Scritture ed egli lesse dal profeta Isaia: “Così dice il Signore: ‘Il cielo è il mio trono e la terra il mio sgabello. Dov’è la casa che avete costruito per me? E dov’è il luogo della mia dimora? Tutte queste cose le hanno fatte le mie mani’, dice il Signore. ‘Poserò il mio sguardo solo su colui che è povero e che è contrito di spirito, e che trema alle mie parole’. Ascoltate la parola del Signore voi che tremate di paura. ‘I vostri fratelli vi hanno odiato e vi hanno respinto a causa del mio nome’. Ma lasciate che il Signore sia glorificato. Egli vi apparirà nella gioia e tutti gli altri saranno confusi. Una voce proveniente dalla città, una voce proveniente dal tempio, una voce proveniente dal Signore dice: ‘Prima di avere le doglie essa ha partorito; prima che venissero le sofferenze ha dato alla luce un bambino maschio.’ Chi ha mai udito una cosa simile? Si farà produrre la terra in un solo giorno? O può una nazione nascere in un solo istante? Ma così dice il Signore: ‘Ecco, stenderò la pace come un fiume, ed anche la gloria dei Gentili sarà simile ad un torrente che scorre. Come uno che sua madre conforta, così io conforterò voi. E sarete confortati anche in Gerusalemme. E quando vedrete queste cose il vostro cuore gioirà.’ ”
(1533.1) 137:6.3 Quando ebbe terminato questa lettura, Gesù restituì il rotolo al conservatore dello stesso. Prima di sedersi disse semplicemente: “Siate pazienti e vedrete la gloria di Dio; sarà così anche per tutti coloro che resteranno con me e che impareranno in tal modo a fare la volontà di mio Padre che è nei cieli.” La gente ritornò alle proprie case chiedendosi quale fosse il significato di tutto ciò.
(1533.2) 137:6.4 Quel pomeriggio Gesù e i suoi apostoli, con Giacomo e Giuda, salirono su un battello e scesero lungo la riva per un breve tratto e poi gettarono l’ancora mentre egli parlava loro del regno futuro. Ed essi lo capirono di più rispetto alla sera di giovedì.
(1533.3) 137:6.5 Gesù ordinò loro di riprendere i normali impegni di lavoro fino a quando “giunge l’ora del regno”. E per incoraggiarli diede loro l’esempio ritornando regolarmente a lavorare nel cantiere navale. Spiegando loro che dovevano dedicare tre ore ogni sera allo studio e alla preparazione del loro lavoro futuro, Gesù aggiunse: “Resteremo tutti qui intorno fino a quando mio Padre mi ordinerà di chiamarvi. Ciascuno di voi deve tornare ora al suo lavoro abituale proprio come se niente fosse accaduto. Non raccontate nulla di me a nessuno e ricordatevi che il mio regno non verrà con frastuoni ed incantesimi, ma dovrà piuttosto venire attraverso il grande cambiamento che mio Padre avrà operato nel vostro cuore e nel cuore di coloro che saranno chiamati ad unirsi a voi nei consigli del regno. Voi siete ora miei amici; io ho fiducia in voi e vi voglio bene; diverrete presto miei associati personali. Siate pazienti, siate garbati. Siate sempre obbedienti alla volontà del Padre. Preparatevi alla chiamata del regno. Mentre proverete grande gioia nel servizio di mio Padre, preparatevi anche per le difficoltà, perché vi avverto che sarà soltanto attraverso grandi tribolazioni che molti entreranno nel regno. Ma per coloro che avranno trovato il regno, la loro gioia sarà completa e saranno chiamati i beati di tutta la terra. Ma non nutrite false speranze; il mondo esiterà alle mie parole. Anche voi, amici miei, non comprendete pienamente ciò che sto svelando alle vostre menti confuse. Statene certi; noi lavoreremo per una generazione di cercatori di segni. Essi esigeranno il compimento di prodigi come prova che io sono inviato da mio Padre, e saranno lenti a riconoscere nella rivelazione dell’amore di mio Padre le credenziali della mia missione.”
(1533.4) 137:6.6 Quella sera, quando furono tornati a terra e prima di separarsi, Gesù, stando vicino alla riva, pregò: “Padre mio, ti ringrazio per questi piccoli che, nonostante i loro dubbi, già credono. Per amore loro ho messo me stesso da parte per fare la tua volontà. Possano essi ora imparare ad essere uno, come noi siamo uno.”
(1533.5) 137:7.1 Per quattro lunghi mesi — marzo, aprile, maggio e giugno — proseguì questo periodo di attesa. Gesù tenne più di cento lunghe ed intense, seppur vivaci e gioiose, riunioni con questi sei associati e suo fratello Giacomo. A causa di una malattia nella sua famiglia Giuda fu raramente in grado di assistere a queste sedute. Giacomo, il fratello di Gesù, non perse fiducia in lui, ma durante questi mesi di attesa e d’inazione Maria quasi disperò di suo figlio. La sua fede, elevata a grandi altezze a Cana, scese ora a nuovi bassi livelli. Essa poteva soltanto ritornare alla sua esclamazione così spesso ripetuta: “Non riesco a capirlo. Non riesco a comprendere che cosa significhi tutto ciò.” Ma la moglie di Giacomo contribuì molto a sostenere il coraggio di Maria.
(1534.1) 137:7.2 Durante questi quattro mesi i sette credenti, uno dei quali era suo fratello di sangue, fecero maggior conoscenza con Gesù; essi si abituarono all’idea di vivere con questo Dio-uomo. Sebbene lo chiamassero Rabbi, essi stavano imparando a non avere timore di lui. Gesù possedeva quell’ineguagliabile grazia di personalità che gli permetteva di vivere tra di loro senza che fossero intimiditi dalla sua divinità. Essi trovavano veramente facile essere “amici di Dio”, di Dio incarnato nelle sembianze della carne mortale. Questo periodo d’attesa mise a dura prova l’intero gruppo di credenti. Non accadde nulla, assolutamente nulla, di miracoloso. Giorno dopo giorno essi si dedicavano al loro lavoro abituale, mentre sera dopo sera si sedevano ai piedi di Gesù. Ed erano tenuti uniti dalla sua impareggiabile personalità e dalle parole gentili che rivolgeva loro sera dopo sera.
(1534.2) 137:7.3 Questo periodo d’attesa e d’insegnamento fu specialmente duro per Simon Pietro. Egli cercò ripetutamente di persuadere Gesù a lanciarsi nella predicazione del regno in Galilea mentre Giovanni continuava a predicare in Giudea. Ma la risposta di Gesù a Pietro era sempre: “Sii paziente, Simone. Progredisci. Nessuno di noi sarà troppo pronto quando il Padre chiamerà.” E Andrea calmava Pietro di tanto in tanto con i suoi consigli più moderati e filosofici. Andrea era terribilmente impressionato dalla naturalezza umana di Gesù. Egli non si stancava mai di contemplare come una persona che poteva vivere così vicino a Dio poteva avere tanta amicizia e considerazione per degli uomini.
(1534.3) 137:7.4 Durante tutto questo periodo Gesù parlò nella sinagoga soltanto due volte. Verso la fine di queste numerose settimane di attesa i commenti sul suo battesimo e sul vino di Cana avevano cominciato a placarsi. E Gesù vegliò a che non accadessero più apparenti miracoli durante questo periodo. Ma anche mentre vivevano così tranquillamente a Betsaida, le voci delle strane attività di Gesù erano state riportate ad Erode Antipa, che a sua volta mandò delle spie per accertare di che cosa si trattasse. Ma Erode era più preoccupato dalla predicazione di Giovanni. Egli decise di non molestare Gesù, la cui opera proseguì così tranquillamente a Cafarnao.
(1534.4) 137:7.5 In questo tempo di attesa Gesù si sforzò d’insegnare ai suoi associati quale doveva essere il loro atteggiamento verso i vari gruppi religiosi ed i partiti politici della Palestina. Le parole di Gesù erano sempre: “Noi cerchiamo di conquistarli tutti, ma non apparteniamo a nessuno di loro.”
(1534.5) 137:7.6 Gli Scribi ed i rabbini, nel loro insieme, erano chiamati Farisei. Essi stessi si denominavano gli “associati”. Sotto molti aspetti essi rappresentavano il gruppo progressista tra gli Ebrei, avendo adottato numerosi insegnamenti non certamente trovati nelle Scritture ebraiche, quali la credenza nella risurrezione dei morti, una dottrina menzionata soltanto da Daniele, uno degli ultimi profeti.
(1534.6) 137:7.7 Il gruppo dei Sadducei era composto dal clero e da alcuni ricchi Ebrei. Essi non erano così pignoli per i dettagli nell’applicazione della legge. I Farisei e i Sadducei erano in realtà dei partiti religiosi piuttosto che delle sette.
(1534.7) 137:7.8 Gli Esseni erano una vera setta religiosa, che prese origine durante la rivolta dei Maccabei. I loro requisiti erano, sotto certi aspetti, più severi di quelli dei Farisei. Essi avevano adottato numerose credenze e pratiche persiane, vivevano come una confraternita in monasteri, astenendosi dal matrimonio ed avendo tutto in comune. Essi erano specializzati negli insegnamenti concernenti gli angeli.
(1535.1) 137:7.9 Gli Zeloti erano un gruppo di ardenti patrioti ebrei. Essi sostenevano che qualsiasi metodo era giustificato nella lotta per sfuggire alla schiavitù del giogo romano.
(1535.2) 137:7.10 Gli Erodiani erano un partito puramente politico che propugnava l’emancipazione dal governo diretto dei Romani mediante la restaurazione della dinastia di Erode.
(1535.3) 137:7.11 Al centro stesso della Palestina vivevano i Samaritani, con i quali “gli Ebrei non avevano alcun rapporto”, benché avessero molti punti di vista simili agli insegnamenti degli Ebrei.
(1535.4) 137:7.12 Tutti questi partiti e sette, compresa la piccola confraternita nazirea, credevano nella venuta, prima o dopo, del Messia. Essi si aspettavano tutti un liberatore nazionale. Ma Gesù fu molto esplicito nel chiarire che lui ed i suoi discepoli non si sarebbero alleati ad alcuna di queste scuole di pensiero o d’azione. Il Figlio dell’Uomo non doveva essere né un Nazireo né un Esseno.
(1535.5) 137:7.13 Sebbene Gesù avesse ordinato più tardi che gli apostoli andassero, come aveva fatto Giovanni, a predicare il vangelo e ad istruire i credenti, egli poneva l’accento sulla proclamazione della “buona novella del regno dei cieli”. Egli ripeteva instancabilmente ai suoi associati che dovevano “manifestare amore, compassione e simpatia”. Insegnò presto ai suoi seguaci che il regno dei cieli era un’esperienza spirituale concernente l’intronizzazione di Dio nel cuore degli uomini.
(1535.6) 137:7.14 Mentre attendevano in questo modo prima d’imbarcarsi nella loro predicazione pubblica attiva, Gesù ed i suoi sette compagni passarono due sere per settimana alla sinagoga nello studio delle Scritture ebraiche. Anni più tardi, dopo dei periodi d’intenso lavoro pubblico, gli apostoli si ricordarono di questi quattro mesi come tra i più preziosi e proficui di tutta la loro associazione con il Maestro. Gesù insegnò a questi uomini tutto quello che potevano assimilare. Egli non commise l’errore d’istruirli eccessivamente. Non provocò confusione presentando delle verità troppo al di là della loro capacità di comprensione.
(1535.7) 137:8.1 Sabato 22 giugno, poco prima che partissero per il loro primo giro di predicazione e circa dieci giorni dopo l’imprigionamento di Giovanni, Gesù occupò il pulpito della sinagoga per la seconda volta dopo che aveva condotto i suoi apostoli a Cafarnao.
(1535.8) 137:8.2 Qualche giorno prima della predicazione di questo sermone su “Il Regno”, mentre Gesù lavorava al cantiere navale, Pietro portò la notizia dell’arresto di Giovanni. Gesù depose ancora una volta i suoi attrezzi, si tolse il grembiule e disse a Pietro: “L’ora del Padre è giunta. Prepariamoci a proclamare il vangelo del regno.”
(1535.9) 137:8.3 Gesù fece il suo ultimo lavoro al banco di carpentiere questo martedì 18 giugno dell’anno 26 d.C. Pietro si precipitò fuori del laboratorio e a metà del pomeriggio aveva già riunito tutti i suoi compagni, e lasciatili in un boschetto vicino alla riva andò in cerca di Gesù. Ma egli non riuscì a trovarlo, perché il Maestro era andato in un altro boschetto a pregare. Essi non lo videro che a tarda sera quando ritornò a casa di Zebedeo e chiese del cibo. Il giorno dopo egli mandò suo fratello Giacomo a chiedere il privilegio di parlare nella sinagoga il sabato seguente. Ed il capo della sinagoga fu molto contento che Gesù volesse condurre di nuovo il servizio.
(1536.1) 137:8.4 Prima che Gesù predicasse questo memorabile sermone sul regno di Dio, il primo sforzo manifesto della sua carriera pubblica, lesse dalle Scritture questi passaggi: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti, un popolo santo. Yahweh è il nostro giudice, Yahweh è il nostro legislatore, Yahweh è il nostro re; egli ci salverà. Yahweh è il mio re ed il mio Dio. Egli è un grande re che regna su tutta la terra. L’amore e la bontà sono su Israele in questo regno. Benedetta sia la gloria del Signore perché egli è il nostro Re.”
(1536.2) 137:8.5 Quando ebbe finito di leggere, Gesù disse:
(1536.3) 137:8.6 “Io sono venuto a proclamare l’instaurazione del regno del Padre. E questo regno includerà le anime adoratrici degli Ebrei e dei Gentili, dei ricchi e dei poveri, degli uomini liberi e degli schiavi, perché mio Padre non fa eccezione di persone; il suo amore e la sua misericordia sono su tutti.
(1536.4) 137:8.7 “Il Padre che è nei cieli manda il suo spirito ad abitare la mente degli uomini, e quando io avrò terminato la mia opera sulla terra lo Spirito della Verità sarà sparso su tutta l’umanità. E lo spirito di mio Padre e lo Spirito della Verità vi stabiliranno nel regno futuro di comprensione spirituale e di rettitudine divina. Il mio regno non è di questo mondo. Il Figlio dell’Uomo non condurrà degli eserciti in battaglia per l’instaurazione di un trono di potere o di un regno di gloria terrena. Quando il mio regno sarà venuto, voi conoscerete il Figlio dell’Uomo come il Principe della Pace, come la rivelazione del Padre eterno. I figli di questo mondo lottano per l’instaurazione e l’ampliamento dei regni di questo mondo, ma i miei discepoli entreranno nel regno dei cieli grazie alle loro decisioni morali e alle loro vittorie spirituali; e quando vi entreranno, troveranno gioia, rettitudine e vita eterna.
(1536.5) 137:8.8 “Coloro che cercano in primo luogo di entrare nel regno, sforzandosi così di acquisire una nobiltà di carattere simile a quella di mio Padre, possederanno subito tutto quello di cui hanno bisogno. Ma io vi dico in tutta sincerità: a meno che non cerchiate di entrare nel regno con la fede e la fiducia di un bambino, non vi sarete ammessi in alcun modo.
(1536.6) 137:8.9 “Non lasciatevi ingannare da coloro che vengono a dirvi il regno è qui o il regno è là, perché il regno di mio Padre non concerne cose visibili e materiali. Questo regno è già ora tra di voi, perché dove lo spirito di Dio istruisce e guida l’anima dell’uomo, là è in realtà il regno dei cieli. E questo regno di Dio è rettitudine, pace e gioia nello Spirito Santo.
(1536.7) 137:8.10 “Giovanni vi ha in verità battezzati nel segno del pentimento e per la remissione dei vostri peccati, ma quando entrerete nel regno dei cieli sarete battezzati con lo Spirito Santo.
(1536.8) 137:8.11 “Nel regno di mio Padre non vi saranno né Ebrei né Gentili, ma solo coloro che cercano la perfezione attraverso il servizio, perché io dichiaro che colui che vuol essere grande nel regno di mio Padre deve prima divenire il servitore di tutti. Se siete disposti a servire i vostri simili, sederete con me nel mio regno, come io, servendo nelle sembianze della creatura, sederò presto con mio Padre nel suo regno.
(1536.9) 137:8.12 “Questo nuovo regno è simile ad un seme che cresce nella terra buona di un campo. Esso non ottiene il frutto maturo rapidamente. C’è un intervallo tra l’instaurazione del regno nell’anima dell’uomo ed il momento in cui il regno matura nel frutto completo della rettitudine perpetua e della salvezza eterna.
(1536.10) 137:8.13 “E questo regno che io vi proclamo non è un regno di potenza e di abbondanza. Il regno dei cieli non è questione di cibo e di bevanda, ma piuttosto una vita di rettitudine progressiva e di gioia crescente nel compiere il servizio di mio Padre che è nei cieli. Perché il Padre non ha forse detto dei suoi figli del mondo: ‘È mia volontà che essi siano alla fine perfetti, così come io sono perfetto.’
(1537.1) 137:8.14 “Io sono venuto a predicare la lieta novella del regno. Non sono venuto ad accrescere i pesanti fardelli di coloro che vorrebbero entrare in questo regno. Io proclamo la via nuova e migliore, e coloro che sono capaci di entrare nel regno futuro godranno del riposo divino. E qualunque sia per voi il costo in beni materiali, qualunque sia il prezzo che dovrete pagare per entrare nel regno dei cieli, voi riceverete molto di più in gioia ed in progresso spirituale in questo mondo e la vita eterna nell’era futura.
(1537.2) 137:8.15 “L’entrata nel regno del Padre non dipende né da eserciti in marcia, né dal capovolgimento di regni di questo mondo, né dallo spezzare il giogo della schiavitù. Il regno dei cieli è a portata di mano, e tutti coloro che vi entreranno vi troveranno abbondante libertà e gioiosa salvezza.
(1537.3) 137:8.16 “Questo regno è un dominio eterno. Coloro che entreranno nel regno ascenderanno fino a mio Padre; raggiungeranno certamente la destra della sua gloria in Paradiso. E tutti coloro che entreranno nel regno dei cieli diverranno figli di Dio e nell’era futura ascenderanno fino al Padre. Io non sono venuto a chiamare i pretesi giusti, ma i peccatori e tutti coloro che hanno fame e sete della rettitudine di perfezione divina.
(1537.4) 137:8.17 “Giovanni è venuto a predicare il pentimento per prepararvi al regno; ora io vengo a proclamare la fede, il dono di Dio, come prezzo per entrare nel regno dei cieli. Se solo credete che mio Padre vi ama di un amore infinito, allora siete nel regno di Dio.”
(1537.5) 137:8.18 Dopo aver detto questo egli si sedette. Tutti coloro che l’ascoltarono furono stupiti per le sue parole. I suoi discepoli si meravigliarono. Ma il popolo non era preparato a ricevere la buona novella dalle labbra di questo Dio-uomo. Circa un terzo di quelli che l’ascoltarono credettero al messaggio, sebbene non l’avessero pienamente compreso; circa un terzo si preparò in cuor suo a respingere una tale concezione puramente spirituale del regno atteso, mentre il rimanente terzo non riuscì a cogliere il suo insegnamento, molti credevano veramente che egli “fosse fuori di sé”.
(1538.1) 138:0.1 DOPO la predicazione del sermone su “Il Regno”, Gesù riunì quel pomeriggio i sei apostoli e cominciò ad esporre i suoi piani per visitare le città situate attorno ed in prossimità del Mare di Galilea. I suoi fratelli Giacomo e Giuda si risentirono molto per non essere stati convocati a questa riunione. Fino a questo momento essi si erano considerati come facenti parte della ristretta cerchia di associati di Gesù. Ma Gesù aveva stabilito di non avere parenti prossimi come membri di questo corpo di dirigenti apostolici del regno. Il fatto di non includere Giacomo e Giuda tra i pochi scelti, unitamente alla sua apparente indifferenza verso sua madre dopo l’esperienza di Cana, fu il punto di partenza di un abisso sempre più profondo tra Gesù e la sua famiglia. Questa situazione si protrasse per tutto il suo ministero pubblico — essi furono molto vicini a rinnegarlo — e questi dissapori furono completamente rimossi solo dopo la sua morte e la sua risurrezione. Sua madre oscillava costantemente tra atteggiamenti fluttuanti di fede e di speranza e sentimenti crescenti di delusione, di umiliazione e di disperazione. Soltanto Rut, la più giovane, rimaneva saldamente fedele a suo fratello-padre.
(1538.2) 138:0.2 Fino a dopo la risurrezione l’intera famiglia di Gesù ebbe molto poco a che fare con il suo ministero. Se è vero che un profeta non è senza onore salvo che nel suo paese, non è anche senza comprensivo apprezzamento salvo che nella propria famiglia.
(1538.3) 138:1.1 Il giorno seguente, domenica 23 giugno dell’anno 26 d.C., Gesù impartì ai sei le sue istruzioni finali. Egli ordinò loro di partire a due a due per insegnare la buona novella del regno. Egli proibì loro di battezzare e raccomandò di non predicare in pubblico. Proseguì spiegando che avrebbe permesso loro di predicare in pubblico più avanti, ma che per un certo periodo, per molte ragioni, desiderava che acquisissero esperienza pratica nei rapporti personali con i loro simili. Gesù si proponeva che facessero il loro primo giro esclusivamente come lavoro personale. Sebbene questo annuncio avesse procurato una certa delusione negli apostoli, essi capivano tuttavia, almeno in parte, le ragioni che spingevano Gesù ad iniziare in tal modo la proclamazione del regno, e partirono con buona disposizione e con fiducioso entusiasmo. Egli li mandò a due a due, Giacomo e Giovanni a Keresa, Andrea e Pietro a Cafarnao, mentre Filippo e Natanaele andarono a Tarichea.
(1538.4) 138:1.2 Prima dell’inizio di queste prime due settimane di servizio, Gesù annunciò loro che desiderava ordinare dodici apostoli per continuare il lavoro del regno dopo la sua partenza ed autorizzò ciascuno di loro a scegliere un uomo tra i loro primi convertiti quale candidato a far parte del progettato corpo di apostoli. Giovanni prese la parola per chiedere: “Ma, Maestro, questi sei uomini verranno in mezzo a noi e divideranno ogni cosa equamente con noi che siamo stati con te fin dal Giordano ed abbiamo ascoltato tutto il tuo insegnamento in preparazione di questo nostro primo lavoro per il regno?” E Gesù replicò: “Sì, Giovanni, gli uomini che sceglierete diverranno uno con noi, e voi insegnerete loro tutto ciò che concerne il regno, come io l’ho insegnato a voi.” Dopo aver detto questo Gesù li lasciò.
(1539.1) 138:1.3 I sei non si separarono per iniziare il loro lavoro prima di aver discusso a lungo l’ordine dato da Gesù a ciascuno di loro di scegliere un nuovo apostolo. Alla fine prevalse il parere di Andrea, ed essi partirono per il loro lavoro. Andrea disse in sostanza: “Il Maestro ha ragione; siamo troppo pochi per fare tutto questo lavoro. C’è bisogno di più insegnanti ed il Maestro ha manifestato grande fiducia in noi incaricandoci di scegliere questi sei nuovi apostoli.” Quella mattina, quando si separarono per andare al loro lavoro, c’era un po’ di segreto scoraggiamento nel cuore di ciascuno. Essi sapevano che stavano per lasciare Gesù, ed in aggiunta alla loro paura e alla loro timidezza non era questo il modo in cui avevano immaginato fosse inaugurato il regno dei cieli.
(1539.2) 138:1.4 Era stato convenuto che i sei lavorassero per due settimane, dopodiché dovevano ritornare a casa di Zebedeo per una riunione. Nel frattempo Gesù andò a Nazaret per far visita a Giuseppe, a Simone e ad altri membri della sua famiglia che vivevano da quelle parti. Gesù fece quanto era umanamente possibile, compatibilmente con la sua consacrazione a fare la volontà di suo Padre, per conservare la fiducia e l’affetto della sua famiglia. In questa materia egli fece tutto il suo dovere ed anche di più.
(1539.3) 138:1.5 Mentre gli apostoli erano fuori in questa missione, Gesù pensò molto a Giovanni, allora in prigione. Egli fu molto tentato di utilizzare i suoi poteri potenziali per liberarlo, ma ancora una volta si rassegnò ad “aspettare la volontà del Padre”.
(1539.4) 138:2.1 Questo primo giro di missione dei sei fu pienamente coronato da successo. Essi scoprirono tutti il grande valore del contatto diretto e personale con gli uomini. Ritornarono da Gesù più pienamente convinti che, dopotutto, la religione è puramente e totalmente una questione di esperienza personale. Essi cominciarono a sentire quanta fame aveva il popolo comune di ascoltare parole di conforto religioso e d’incoraggiamento spirituale. Quando si riunirono attorno a Gesù essi volevano parlare tutti contemporaneamente, ma Andrea assunse il comando, e quando li chiamò ad uno ad uno, essi fecero il loro rapporto ufficiale al Maestro e presentarono le loro designazioni per i sei nuovi apostoli.
(1539.5) 138:2.2 Gesù, dopo che ciascuno ebbe presentato il proprio candidato per il nuovo gruppo di apostoli, chiese a tutti gli altri di votare sulla candidatura; così tutti e sei i nuovi apostoli furono ufficialmente accettati da tutti i sei più anziani. Poi Gesù annunciò che sarebbero andati tutti a far visita a questi candidati per comunicare loro la chiamata al servizio.
(1539.6) 138:2.3 I nuovi apostoli scelti erano:
(1539.7) 138:2.4 1. Matteo Levi, l’esattore doganale di Cafarnao, che aveva il suo ufficio ad est della città, vicino ai confini con Batanea. Egli fu scelto da Andrea.
(1539.8) 138:2.5 2. Tommaso Didimo, un pescatore di Tarichea, un tempo carpentiere e tagliapietre a Gadara. Fu scelto da Filippo.
(1539.9) 138:2.6 3. Giacomo Alfeo, un pescatore ed agricoltore di Keresa, fu scelto da Giacomo Zebedeo.
(1539.10) 138:2.7 4. Giuda Alfeo, il fratello gemello di Giacomo Alfeo, anche lui pescatore, fu scelto da Giovanni Zebedeo.
(1540.1) 138:2.8 5. Simone Zelota era un alto ufficiale dell’organizzazione patriottica degli Zeloti, posizione che abbandonò per unirsi agli apostoli di Gesù. Prima di unirsi agli Zeloti, Simone era stato un mercante. Fu scelto da Pietro.
(1540.2) 138:2.9 6. Giuda Iscariota era figlio unico di ricchi genitori ebrei che vivevano a Gerico. Egli si era aggregato a Giovanni il Battista, ed i suoi genitori Sadducei l’avevano diseredato. Era in cerca d’impiego in queste zone quando gli apostoli di Gesù lo incontrarono, e principalmente a causa della sua esperienza finanziaria, Natanaele lo invitò ad unirsi al loro gruppo. Giuda Iscariota era il solo Giudeo tra i dodici apostoli.
(1540.3) 138:2.10 Gesù passò un giorno intero con i sei, rispondendo alle loro domande ed ascoltando i dettagli dei loro resoconti, perché essi avevano numerose esperienze interessanti e proficue da riferire. Essi vedevano ora la saggezza del piano del Maestro di mandarli a lavorare in modo discreto e personale prima di lanciarli nei loro sforzi pubblici più ambiziosi.
(1540.4) 138:3.1 Il giorno seguente Gesù ed i sei andarono a far visita a Matteo, l’esattore doganale. Matteo li stava aspettando; egli aveva sistemato i suoi conti e si era preparato a passare gli affari del suo ufficio a suo fratello. Mentre si avvicinavano al casello doganale, Andrea si portò avanti con Gesù, il quale, guardando in viso Matteo, disse: “Seguimi.” Ed egli si alzò e andò a casa sua con Gesù e gli apostoli.
(1540.5) 138:3.2 Matteo parlò a Gesù del banchetto che aveva predisposto per quella sera, dicendo che desiderava almeno offrire questa cena alla sua famiglia ed ai suoi amici, se Gesù era d’accordo ed accettava di essere l’invitato d’onore. E Gesù con un cenno del capo diede il suo assenso. Pietro prese allora Matteo da parte e gli spiegò che aveva invitato un certo Simone ad unirsi agli apostoli e chiese il suo consenso perché anche Simone fosse invitato a questa festa.
(1540.6) 138:3.3 Dopo aver pranzato a casa di Matteo andarono tutti con Pietro a chiamare Simone lo Zelota, e lo trovarono al suo vecchio posto d’affari, che stava ora per essere diretto da suo nipote. Quando Pietro ebbe condotto Gesù da Simone, il Maestro salutò l’ardente patriota e disse soltanto: “Seguimi.”
(1540.7) 138:3.4 Essi ritornarono tutti a casa di Matteo, dove parlarono molto di politica e di religione fino all’ora del pasto serale. La famiglia di Levi era stata a lungo impegnata in affari e nella raccolta delle imposte; quindi molti degli ospiti invitati a questo banchetto da Matteo sarebbero stati qualificati “Pubblicani e peccatori” dai Farisei.
(1540.8) 138:3.5 In quel tempo, quando un banchetto di ricevimento di questo tipo era offerto ad una personalità importante, era costume che tutte le persone interessate girassero per la sala del banchetto per guardar mangiare gli invitati e per ascoltare le conversazioni e i discorsi degli ospiti d’onore. Di conseguenza, la maggior parte dei Farisei di Cafarnao era presente in questa occasione per osservare la condotta di Gesù in questa insolita riunione sociale.
(1540.9) 138:3.6 Nel corso della cena la gioia dei convitati giunse ad un alto grado di allegria; si divertivano tutti in modo tale che gli spettatori Farisei cominciarono in cuor loro a criticare Gesù per la sua partecipazione ad un avvenimento così frivolo. Più tardi nella sera, al momento dei discorsi, uno dei Farisei più malevoli si spinse sino a criticare la condotta di Gesù con Pietro, dicendo: “Come osi insegnare che quest’uomo è retto quando mangia con Pubblicani e peccatori e presta così la sua presenza a simili scene di spensierato piacere.” Pietro riferì a bassa voce questa critica a Gesù prima che pronunciasse la benedizione di congedo sugli ospiti riuniti. Quando Gesù cominciò a parlare, disse: “Venendo qui stasera per accogliere Matteo e Simone nella nostra comunità, sono felice di costatare la vostra spensieratezza e la vostra cordialità sociale, ma dovreste gioire ancor più perché molti di voi entreranno nel regno futuro dello spirito, in cui godrete più abbondantemente delle buone cose del regno dei cieli. Quanto a voi che mi state criticando in cuor vostro perché sono venuto qua a divertirmi con questi amici, lasciatemi dire che sono venuto a proclamare la gioia ai socialmente oppressi e la libertà spirituale ai prigionieri morali. È necessario che vi ricordi che quelli che sono sani non hanno bisogno di un medico, ma lo hanno piuttosto coloro che sono ammalati? Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.”
(1541.1) 138:3.7 E fu veramente uno spettacolo strano per tutti gli Ebrei vedere un uomo di carattere retto e di nobili sentimenti mescolarsi liberamente e gioiosamente con la gente del popolo, anche con una folla irreligiosa e alla ricerca di piacere di Pubblicani e di reputati peccatori. Simone Zelota desiderava fare un discorso in questa riunione a casa di Matteo, ma Andrea, sapendo che Gesù non voleva che il regno futuro fosse confuso con il movimento degli Zeloti, lo convinse ad astenersi dal fare dei commenti in pubblico.
(1541.2) 138:3.8 Gesù e gli apostoli rimasero quella notte a casa di Matteo, e rientrando a casa la gente non parlava che di una sola cosa: della bontà e della benevolenza di Gesù.
(1541.3) 138:4.1 Il giorno seguente tutti e nove andarono in battello a Keresa per procedere alla chiamata ufficiale dei due apostoli successivi, Giacomo e Giuda, i figli gemelli di Alfeo, i candidati di Giacomo e Giovanni Zebedeo. I gemelli pescatori contavano sulla venuta di Gesù e dei suoi apostoli e li stavano quindi aspettando sulla riva. Giacomo Zebedeo presentò il Maestro ai pescatori di Keresa e Gesù, fissandoli, fece un cenno con il capo e disse: “Seguitemi.”
(1541.4) 138:4.2 Quel pomeriggio, che trascorsero insieme, Gesù li istruì pienamente sulla partecipazione a riunioni festose, concludendo le sue osservazioni dicendo: “Tutti gli uomini sono miei fratelli. Mio Padre celeste non disprezza alcuna creatura da noi creata. Il regno dei cieli è aperto a tutti gli uomini e a tutte le donne. Nessun uomo può chiudere la porta della misericordia in faccia ad un’anima affamata che cerca di entrarvi. Noi sederemo a tavola con tutti coloro che desiderano sentir parlare del regno. Quando nostro Padre celeste guarda giù gli uomini, essi sono tutti simili. Non rifiutate perciò di rompere il pane con un Fariseo o un peccatore, con un Sadduceo o un Pubblicano, con un Romano o un Ebreo, con un ricco o un povero, con un uomo libero o uno schiavo. La porta del regno è spalancata per tutti coloro che desiderano conoscere la verità e trovare Dio.”
(1541.5) 138:4.3 Quella sera, con una semplice cena a casa di Alfeo, i fratelli gemelli furono accolti nella famiglia apostolica. Più tardi nella serata Gesù tenne ai suoi apostoli la loro prima lezione sull’origine, la natura e il destino degli spiriti impuri, ma essi non riuscirono a comprendere il senso di ciò che disse loro. Essi trovavano molto facile amare ed ammirare Gesù, ma molto difficile comprendere molti dei suoi insegnamenti.
(1542.1) 138:4.4 Dopo una notte di riposo tutto il gruppo, ora composto di undici membri, partì in battello per Tarichea.
(1542.2) 138:5.1 Tommaso il pescatore e Giuda il girovago incontrarono Gesù e gli apostoli all’approdo dei battelli da pesca a Tarichea, e Tommaso condusse il gruppo nella sua casa vicina. Filippo presentò ora Tommaso come suo candidato all’apostolato e Natanaele presentò Giuda Iscariota, il Giudeo, per simili onori. Gesù fissò Tommaso e disse: “Tommaso, tu manchi di fede; ciononostante io ti accolgo. Seguimi.” A Giuda Iscariota il Maestro disse: “Giuda, siamo tutti di una stessa carne, ed accogliendoti in mezzo a noi io prego perché tu sia sempre leale verso i tuoi fratelli galilei. Seguimi.”
(1542.3) 138:5.2 Quando si furono rifocillati, Gesù condusse per un certo tempo i dodici in un luogo appartato per pregare con loro e per istruirli sulla natura e sull’opera dello Spirito Santo, ma di nuovo essi non riuscirono in larga misura a comprendere il significato delle meravigliose verità che egli si sforzava d’insegnare loro. Uno afferrava un punto ed uno ne comprendeva un altro, ma nessuno di loro riusciva a cogliere l’insieme del suo insegnamento. Essi commettevano sempre l’errore di cercare di adattare il nuovo vangelo di Gesù alle loro antiche forme di credenza religiosa. Non riuscivano ad afferrare l’idea che Gesù era venuto a proclamare un nuovo vangelo di salvezza ed a stabilire un nuovo modo di trovare Dio; non percepivano che egli era una nuova rivelazione del Padre che è nei cieli.
(1542.4) 138:5.3 Il giorno successivo Gesù lasciò i suoi dodici apostoli completamente soli; egli voleva che si conoscessero e desiderava che fossero soli per discutere su ciò che aveva insegnato loro. Il Maestro ritornò per il pasto della sera, e durante le ore del dopo cena parlò loro del ministero dei serafini, ed alcuni degli apostoli compresero il suo insegnamento. Essi andarono a dormire ed il giorno dopo partirono in battello per Cafarnao.
(1542.5) 138:5.4 Zebedeo e Salomè erano andati ad abitare con il loro figlio Davide, cosicché la loro grande casa poteva essere a disposizione di Gesù e dei suoi dodici apostoli. Gesù vi passò un sabato tranquillo con i suoi messaggeri scelti. Egli delineò con cura i piani per proclamare il regno e spiegò pienamente l’importanza di evitare ogni conflitto con le autorità civili, dicendo: “Se i capi civili dovranno essere rimproverati, lasciate questo compito a me. State attenti a non lanciare accuse contro Cesare o i suoi servitori.” Fu questa stessa sera che Giuda Iscariota prese Gesù da parte per chiedergli perché non si facesse nulla per far uscire Giovanni dalla prigione. E Giuda non fu del tutto soddisfatto dell’atteggiamento di Gesù.
(1542.6) 138:6.1 La settimana successiva fu dedicata ad un programma d’intensa preparazione. Ogni giorno i sei nuovi apostoli furono affidati ai loro rispettivi designatori per un completo ripasso di tutto quello che essi avevano imparato e sperimentato in preparazione del lavoro del regno. Gli apostoli più anziani riesaminavano attentamente, a beneficio dei sei più giovani, gli insegnamenti di Gesù dati fino a quel momento. Alla sera essi si riunivano tutti nel giardino di Zebedeo per essere istruiti da Gesù.
(1542.7) 138:6.2 Fu in questo periodo che Gesù istituì il giorno di libertà di metà settimana per il riposo e la ricreazione. Ed essi proseguirono questo piano di distensione di un giorno alla settimana per tutto il resto della sua vita materiale. Come regola generale essi non esercitavano mai le loro attività regolari il mercoledì. Durante questo giorno di libertà settimanale Gesù di solito si allontanava da loro dicendo: “Figli miei, andate a distrarvi per un giorno. Riposatevi dagli ardui lavori del regno e godete del ristoro derivante dal ritorno alle vostre precedenti occupazioni o dalla scoperta di nuovi tipi di attività ricreativa.” Anche se Gesù, in questo periodo della sua vita terrena, non aveva in effetti bisogno di questo giorno di riposo, si conformava a questo piano perché sapeva che era la cosa migliore per i suoi associati umani. Gesù era l’insegnante — il Maestro; i suoi associati erano i suoi allievi — i discepoli.
(1543.1) 138:6.3 Gesù si sforzò di chiarire ai suoi apostoli la differenza tra i suoi insegnamenti e la sua vita tra di loro, e gli insegnamenti che potevano sorgere successivamente a proposito di lui. Gesù disse: “Il mio regno ed il vangelo che ad esso si rapporta saranno la sostanza del vostro messaggio. Non deviate nella predicazione a proposito di me e a proposito dei miei insegnamenti. Proclamate il vangelo del regno ed illustrate la mia rivelazione del Padre che è nei cieli, ma non deviate su sentieri secondari creando delle leggende e costruendo un culto concernente credenze ed insegnamenti a proposito delle mie credenze e dei miei insegnamenti.” Ma essi di nuovo non capirono perché egli parlasse così, e nessuno osò chiedere perché li istruisse in quel modo.
(1543.2) 138:6.4 In questi primi insegnamenti Gesù cercava di evitare quanto più possibile delle discussioni con i suoi apostoli, eccetto quelle implicanti false concezioni di suo Padre che è nei cieli. In tutte queste materie egli non esitava mai a correggere delle credenze erronee. C’era una sola ragione nella vita postbattesimale di Gesù su Urantia, ed era quella di apportare una rivelazione migliore e più veridica di suo Padre del Paradiso. Egli era il pioniere della nuova e migliore via verso Dio, la via della fede e dell’amore. La sua esortazione agli apostoli era sempre: “Cercate i peccatori; trovate gli scoraggiati e confortate chi è in ansia.”
(1543.3) 138:6.5 Gesù aveva una perfetta padronanza della situazione; egli possedeva un potere illimitato che avrebbe potuto utilizzare per favorire la sua missione, ma era pienamente contento dei mezzi e delle personalità che la maggior parte della gente avrebbe considerato inadeguati e stimato insignificanti. Egli era impegnato in una missione d’immense possibilità spettacolari, ma insisté ad occuparsi degli affari di suo Padre nella maniera più tranquilla e meno spettacolare; evitò con cura ogni sfoggio di potere. Ed ora si proponeva di lavorare tranquillamente con i suoi dodici apostoli, almeno per alcuni mesi, nelle vicinanze del Mare di Galilea.
(1543.4) 138:7.1 Gesù aveva progettato una tranquilla campagna missionaria di cinque mesi di lavoro personale. Egli non disse agli apostoli quanto ciò sarebbe durato; essi lavoravano di settimana in settimana. Ed il mattino presto di questo primo giorno della settimana, proprio quando egli stava per annunciarlo ai suoi dodici apostoli, Simon Pietro, Giacomo Zebedeo e Giuda Iscariota vennero a parlare in privato con lui. Prendendo Gesù da parte, Pietro si spinse a dire: “Maestro, veniamo su richiesta dei nostri compagni per informarci se non sia giunto il momento di entrare nel regno. Proclamerai il regno a Cafarnao, o andremo a Gerusalemme? E quando sapremo, ciascuno di noi, i posti che occuperemo con te nell’instaurazione del regno — ” e Pietro avrebbe continuato a porre altre domande, ma Gesù alzò una mano ammonitrice e lo fermò, ed invitando gli altri apostoli che stavano nelle vicinanze ad unirsi a loro, Gesù disse: “Miei piccoli figli, per quanto tempo vi sopporterò! Non vi ho spiegato che il mio regno non è di questo mondo? Vi ho detto molte volte che non sono venuto per sedermi sul trono di Davide, ed allora perché mi chiedete quale posto ciascuno di voi occuperà nel regno del Padre? Non riuscite a percepire che vi ho chiamati come ambasciatori di un regno spirituale? Non comprendete che presto, molto presto, dovrete rappresentarmi nel mondo e nella proclamazione del regno, come io rappresento ora mio Padre che è nei cieli? È possibile che io vi abbia scelti ed istruiti come messaggeri del regno e che tuttavia voi non comprendiate la natura ed il significato di questo regno futuro di preminenza divina nel cuore degli uomini? Amici miei, ascoltatemi ancora una volta. Bandite dalle vostre menti questa idea che il mio regno sia un governo di potere o un regno di gloria. In verità ogni potere nel cielo e sulla terra saranno presto rimessi nelle mie mani, ma il Padre non vuole che noi usiamo questa dotazione divina per glorificare noi stessi durante quest’era. In un’altra era voi sederete realmente con me in potenza ed in gloria, ma ora conviene che ci sottomettiamo alla volontà del Padre e che andiamo in umile obbedienza ad eseguire i suoi ordini sulla terra.”
(1544.1) 138:7.2 Ancora una volta i suoi associati rimasero sorpresi, sbalorditi. Gesù li mandò a due a due a pregare, chiedendo loro di tornare da lui a mezzogiorno. In questo mattino cruciale ciascuno di loro cercò di trovare Dio, e ciascuno si sforzò di esortare e d’incoraggiare l’altro; e poi essi ritornarono da Gesù come aveva raccomandato loro.
(1544.2) 138:7.3 Gesù allora raccontò loro la venuta di Giovanni, il battesimo nel Giordano, il banchetto di nozze a Cana, la recente scelta dei sei e l’allontanamento da loro dei suoi stessi fratelli nella carne, e li avvertì che il nemico del regno avrebbe cercato di allontanare anche loro. Dopo questo breve ma ardente discorso gli apostoli si alzarono, sotto la guida di Pietro, per dichiarare la loro eterna devozione al loro Maestro e per testimoniare la loro irremovibile fedeltà al regno, secondo l’espressione di Tommaso, “a questo regno futuro, qualunque esso sia ed anche se non lo comprendo pienamente.” Tutti loro credevano in Gesù veramente, anche se non comprendevano interamente il suo insegnamento.
(1544.3) 138:7.4 Gesù chiese allora quanto denaro avessero con loro; chiese anche quali provvedimenti avessero preso per le loro famiglie. Quando fu manifesto che avevano denaro appena sufficiente per mantenersi per due settimane, egli disse: “Non è volontà di mio Padre che cominciamo il nostro lavoro in questo modo. Resteremo qui vicino al mare per due settimane a pescare o a fare qualsiasi lavoro manuale che troveremo. Nel frattempo, sotto la direzione di Andrea, il primo apostolo scelto, vi organizzerete in modo da procurarvi tutto ciò di cui avrete bisogno nel vostro futuro lavoro, sia per il ministero personale attuale che per quando vi ordinerò successivamente per predicare il vangelo ed istruire i credenti.” Essi furono tutti grandemente confortati da queste parole; questo era per loro il primo preciso e chiaro annuncio che Gesù si proponeva d’intraprendere più avanti degli sforzi pubblici più dinamici ed impegnativi.
(1544.4) 138:7.5 Gli apostoli passarono il resto della giornata a perfezionare la loro organizzazione ed a completare la preparazione dei battelli e delle reti per andare a pescare l’indomani, poiché avevano tutti deciso di dedicarsi alla pesca; la maggior parte di loro erano stati pescatori e Gesù stesso era un battelliere ed un pescatore esperto. Molti dei battelli che essi utilizzarono negli anni seguenti erano stati costruiti dalle mani stesse di Gesù. Ed erano dei battelli buoni ed affidabili.
(1544.5) 138:7.6 Gesù ingiunse loro di dedicarsi alla pesca per due settimane, aggiungendo: “E poi partirete per diventare pescatori di uomini.” Essi pescarono divisi in tre gruppi, e Gesù usciva ogni notte con un gruppo differente. E tutti loro godettero molto la compagnia di Gesù! Egli era un buon pescatore, un compagno allegro ed un amico ispirante. Più essi lavoravano con lui, più lo amavano. Un giorno Matteo disse: “Più si capiscono certe persone meno si ammirano, ma con quest’uomo meno comprendo più lo amo.”
(1545.1) 138:7.7 Questo piano consistente nel pescare per due settimane ed uscire per due settimane di lavoro personale a favore del regno fu seguito per più di cinque mesi, sino alla fine di quest’anno 26 d.C., ed anche fino a dopo la cessazione delle persecuzioni speciali che erano state dirette contro i discepoli di Giovanni dopo il suo imprigionamento.
(1545.2) 138:8.1 Dopo aver venduto il pesce catturato nelle due settimane, Giuda Iscariota, scelto per fungere da tesoriere dei dodici, divise i fondi apostolici in sei parti uguali, dopo aver prelevato le somme per il mantenimento delle famiglie a carico. E poi, verso la metà di agosto dell’anno 26 d.C., essi partirono a due a due per le zone di lavoro assegnate da Andrea. Durante le prime due settimane Gesù uscì con Andrea e Pietro, nelle seconde due settimane con Giacomo e Giovanni, e così di seguito con le altre coppie nell’ordine in cui erano state scelte. In questo modo egli potè uscire almeno una volta con ciascuna coppia prima di riunirli per l’inizio del loro ministero pubblico.
(1545.3) 138:8.2 Gesù insegnò loro a predicare il perdono dei peccati grazie alla fede in Dio senza penitenza o sacrificio, e che il Padre che è nei cieli ama tutti i suoi figli con lo stesso amore eterno. Egli ingiunse ai suoi apostoli di astenersi dal discutere su:
(1545.4) 138:8.3 1. Il lavoro e l’imprigionamento di Giovanni il Battista.
(1545.5) 138:8.4 2. La voce udita al momento del battesimo. Gesù disse: “Solo coloro che hanno udito la voce possono farvi allusione. Proclamate soltanto ciò che avete ascoltato da me; non parlate per sentito dire.”
(1545.6) 138:8.5 3. Il cambiamento dell’acqua in vino a Cana. Gesù ordinò loro con fermezza di “non raccontare a nessuno la storia dell’acqua e del vino”.
(1545.7) 138:8.6 Essi passarono dei momenti meravigliosi in questi cinque o sei mesi durante i quali lavorarono come pescatori ogni due settimane alternate, guadagnando in questo modo abbastanza denaro da mantenersi per le due settimane successive di lavoro missionario per il regno.
(1545.8) 138:8.7 La gente del popolo era meravigliata dagli insegnamenti e dal ministero di Gesù e dei suoi apostoli. I rabbini avevano insegnato a lungo agli Ebrei che gli ignoranti non potevano essere né pii né giusti. Ma gli apostoli di Gesù erano pii e giusti, eppure ignoravano allegramente buona parte della cultura dei rabbini e della sapienza del mondo.
(1545.9) 138:8.8 Gesù spiegò ai suoi apostoli la differenza tra il pentimento per mezzo delle cosiddette buone opere insegnato dagli Ebrei ed il cambiamento mentale per mezzo della fede — la nuova nascita — che egli chiedeva come prezzo di ammissione al regno. Egli insegnò ai suoi apostoli che la fede era il solo requisito necessario per entrare nel regno del Padre. Giovanni aveva insegnato loro “il pentimento — a sfuggire la collera futura”. Gesù insegnava che “la fede è la porta aperta per entrare nel presente, perfetto ed eterno amore di Dio”. Gesù non parlava come un profeta, come uno venuto a proclamare la parola di Dio. Egli sembrava parlare di se stesso come uno avente autorità. Gesù cercava di distogliere la loro mente dalla ricerca di miracoli per portarli alla scoperta di un’esperienza reale e personale nella soddisfazione e nell’assicurazione di essere abitati dallo spirito d’amore e dalla grazia salvifica di Dio.
(1545.10) 138:8.9 I discepoli impararono presto che il Maestro aveva un rispetto profondo ed un’attenzione affettuosa per ogni essere umano che incontrava, ed essi furono enormemente colpiti da questa considerazione uniforme ed invariabile che egli accordava così costantemente ad ogni sorta di uomini, di donne e di ragazzi. Egli si fermava nel mezzo di una profonda dissertazione per uscire in strada e dire delle parole d’incoraggiamento ad una passante carica del suo fardello di corpo e d’anima. Interrompeva un’importante riunione con i suoi apostoli per fraternizzare con un ragazzo introdottosi. Niente sembrava mai così importante per Gesù quanto il singolo individuo che si trovava ad essere in sua immediata presenza. Egli era maestro ed insegnante, ma era anche di più — era un amico ed un vicino, un compagno comprensivo.
(1546.1) 138:8.10 Sebbene l’insegnamento pubblico di Gesù consistesse principalmente in parabole ed in brevi discorsi, egli istruiva invariabilmente i suoi apostoli per mezzo di domande e risposte. Egli s’interrompeva sempre per rispondere alle domande sincere durante le sue conferenze pubbliche successive.
(1546.2) 138:8.11 Gli apostoli furono dapprima stupiti dal modo in cui Gesù trattava le donne, ma in seguito vi si abituarono; egli spiegò loro molto chiaramente che nel regno sarebbero stati accordati alle donne diritti uguali a quelli degli uomini.
(1546.3) 138:9.1 Questo periodo un po’ monotono di pesca alternata al lavoro personale si rivelò un’esperienza faticosa per i dodici apostoli, ma essi sopportarono la prova. Con tutti i loro brontolii, i loro dubbi ed i loro malumori passeggeri essi rimasero fedeli al loro voto di devozione e di lealtà verso il Maestro. Fu la loro associazione personale con Gesù durante questi mesi di prova che lo resero talmente caro a loro che tutti (salvo Giuda Iscariota) gli rimasero leali e fedeli anche nelle ore oscure della tribolazione e della crocifissione. Dei veri uomini semplicemente non potevano abbandonare realmente un maestro riverito che aveva vissuto così vicino a loro e che era stato loro così devoto come Gesù. Durante le ore oscure della morte del Maestro, nel cuore di questi apostoli ogni ragione, ogni giudizio ed ogni logica erano messi da parte per riguardo ad una sola straordinaria emozione umana — il sentimento supremo di amicizia e di fedeltà. Questi cinque mesi di lavoro con Gesù portarono ciascuno degli apostoli a considerarlo come il migliore amico che avessero al mondo. E fu questo sentimento umano, e non i suoi magnifici insegnamenti o le sue opere meravigliose, che li mantennero uniti fino a dopo la risurrezione ed alla ripresa della proclamazione del vangelo del regno.
(1546.4) 138:9.2 Non solo questi mesi di tranquillo lavoro furono una grande prova per gli apostoli, una prova che superarono, ma questo periodo d’inattività pubblica fu una grande prova anche per la famiglia di Gesù. Nel momento in cui Gesù si preparò ad intraprendere la sua opera pubblica, tutta la sua famiglia (eccetto Rut) l’aveva praticamente abbandonato. Soltanto in rare occasioni essi tentarono di stabilire un successivo contatto con lui, ed allora fu per persuaderlo a ritornare a casa con loro, perché non erano lontani dal ritenere che egli fosse fuori di sé. Essi semplicemente non riuscivano a penetrare la sua filosofia né a cogliere il suo insegnamento; ciò era troppo per quelli della sua carne e del suo sangue.
(1546.5) 138:9.3 Gli apostoli proseguirono il loro lavoro personale a Cafarnao, Betsaida-Giulia, Corazin, Gerasa, Hippos, Magdala, Cana, Betlemme di Galilea, Jotapata, Rama, Safed, Giscala, Gadara ed Abila. Oltre che in queste città essi lavorarono in molti villaggi come pure nelle campagne. Alla fine di questo periodo i dodici avevano elaborato dei piani abbastanza soddisfacenti per il mantenimento delle loro rispettive famiglie. La maggior parte degli apostoli erano sposati, alcuni avevano parecchi figli, ma essi avevano preso disposizioni tali per il sostegno dei loro familiari che, con un piccolo aiuto dei fondi apostolici, potevano dedicare tutte le loro energie all’opera del Maestro senza doversi preoccupare del benessere finanziario delle loro famiglie.
(1547.1) 138:10.1 Gli apostoli si organizzarono ben presto nella maniera seguente:
(1547.2) 138:10.2 1. Andrea, il primo apostolo scelto, fu nominato presidente e direttore generale dei dodici.
(1547.3) 138:10.3 2. Pietro, Giacomo e Giovanni furono designati compagni personali di Gesù. Essi dovevano occuparsi di lui giorno e notte, provvedere ai suoi bisogni materiali di vario genere ed accompagnarlo nelle notti di veglia in cui pregava ed in cui era in misteriosa comunione con il Padre celeste.
(1547.4) 138:10.4 3. Filippo fu fatto intendente del gruppo. Egli aveva l’incarico di provvedere al cibo e di badare che i visitatori, e talvolta anche le folle di ascoltatori, avessero qualcosa da mangiare.
(1547.5) 138:10.5 4. Natanaele badava ai bisogni delle famiglie dei dodici. Egli riceveva dei resoconti regolari sulle esigenze della famiglia di ciascun apostolo e, facendone richiesta a Giuda, il tesoriere, inviava ogni settimana del denaro a coloro che ne avevano bisogno.
(1547.6) 138:10.6 5. Matteo era il contabile del corpo apostolico. Il suo compito era di badare che il bilancio fosse in pareggio e la cassa piena. Se i fondi di mutuo sostegno non bastavano, e se non ricevevano donazioni sufficienti a mantenere il gruppo, Matteo aveva il potere di ordinare ai dodici di ritornare alle loro reti per un certo tempo. Ma questo non fu mai necessario dopo l’inizio della loro opera pubblica; c’era sempre denaro sufficiente nelle mani del tesoriere per finanziare le loro attività.
(1547.7) 138:10.7 6. Tommaso era l’organizzatore degli itinerari. Gli competeva di provvedere all’alloggiamento e, in linea generale, di scegliere i luoghi per l’insegnamento e la predicazione in modo da assicurare un agevole e spedito programma di spostamenti.
(1547.8) 138:10.8 7. Giacomo e Giuda, i figli gemelli di Alfeo, furono assegnati al controllo delle moltitudini. Era loro compito incaricare un numero sufficiente di assistenti ausiliari per consentire loro di mantenere l’ordine tra le folle durante la predicazione.
(1547.9) 138:10.9 8. Simone Zelota fu incaricato dello svago e del divertimento. Egli organizzava i programmi del mercoledì e cercava anche di procurare qualche ora di distensione e di passatempo ogni giorno.
(1547.10) 138:10.10 9. Giuda Iscariota fu nominato tesoriere. Egli portava la borsa, pagava tutte le spese e teneva i conti. Stabiliva un bilancio preventivo per Matteo settimana per settimana e faceva anche dei rapporti settimanali ad Andrea. Giuda sborsava del denaro su autorizzazione di Andrea.
(1547.11) 138:10.11 I dodici operarono in questo modo dalla loro iniziale organizzazione fino al momento della riorganizzazione resasi necessaria dalla diserzione di Giuda, il traditore. Il Maestro e i suoi discepoli-apostoli continuarono in questa maniera semplice fino a domenica 12 gennaio dell’anno 27 d.C., quando egli li riunì e li ordinò formalmente ambasciatori del regno e predicatori della sua buona novella. E subito dopo essi si prepararono a partire per Gerusalemme e la Giudea per il loro primo giro di predicazione pubblica.
(1548.1) 139:0.1 È UN’eloquente testimonianza del fascino e della rettitudine della vita terrena di Gesù il fatto che, sebbene egli avesse ripetutamente frantumato le speranze dei suoi apostoli e fatto a pezzi tutte le loro ambizioni di esaltazione personale, soltanto uno lo abbandonò.
(1548.2) 139:0.2 Gli apostoli furono istruiti da Gesù sul regno dei cieli e Gesù imparò molto da loro sul regno degli uomini, sulla natura umana che esiste su Urantia e sugli altri mondi evoluzionari del tempo e dello spazio. Questi dodici uomini rappresentavano molti tipi differenti di temperamento umano ed essi non erano stati resi simili dall’istruzione. Molti di questi pescatori galilei avevano una forte ascendenza di sangue gentile a seguito della conversione forzata della popolazione gentile della Galilea avvenuta cento anni prima.
(1548.3) 139:0.3 Non commettete l’errore di considerare gli apostoli completamente ignoranti e privi d’istruzione. Tutti loro, salvo i gemelli Alfeo, si erano diplomati nelle scuole delle sinagoghe ed erano stati completamente istruiti sulle Scritture ebraiche e su gran parte delle conoscenze correnti di quel tempo. Sette si erano diplomati nelle scuole della sinagoga di Cafarnao, e non esistevano scuole ebree migliori in tutta la Galilea.
(1548.4) 139:0.4 Quando i vostri scritti riferiscono di questi messaggeri del regno come degli “ignoranti ed illetterati”, s’intendeva trasmettere l’idea che essi erano dei laici, non istruiti nella scienza dei rabbini e non preparati nei metodi d’interpretazione rabbinica delle Scritture. Essi mancavano della cosiddetta istruzione superiore. In tempi moderni essi sarebbero certamente considerati privi d’istruzione ed in certi circoli sociali anche privi di cultura. Una cosa è certa: essi non avevano tutti completato lo stesso rigido e stereotipato programma di studi. Dopo la loro adolescenza essi avevano fatto delle esperienze diverse per imparare a vivere.
(1548.5) 139:1.1 Andrea, presidente del corpo apostolico del regno, era nato a Cafarnao. Egli era il maggiore di una famiglia di cinque figli — lui, suo fratello Simone e tre sorelle. Suo padre, allora defunto, era stato socio di Zebedeo nell’impresa per l’essicamento del pesce a Betsaida, il porto di pesca di Cafarnao. Quando divenne apostolo Andrea non era sposato, ma abitava con suo fratello sposato, Simon Pietro. Entrambi erano pescatori e soci di Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo.
(1548.6) 139:1.2 Nell’anno 26 d.C., l’anno in cui fu scelto come apostolo, Andrea aveva 33 anni, un anno più di Gesù, ed era il più anziano degli apostoli. Egli discendeva da un’eccellente linea di antenati ed era il più capace dei dodici. Eccetto che nell’oratoria, egli era uguale ai suoi compagni in quasi tutte le capacità immaginabili. Gesù non diede mai ad Andrea un soprannome, un appellativo fraterno. Ma come gli apostoli cominciarono subito a chiamare Gesù Maestro, così designarono anche Andrea con un termine che equivaleva a Capo.
(1549.1) 139:1.3 Andrea era un buon organizzatore, ma un ancor migliore amministratore. Egli era uno della ristretta cerchia di quattro apostoli, ma la sua nomina da parte di Gesù come capo del gruppo apostolico lo obbligava ad occuparsi dei suoi fratelli, mentre gli altri tre beneficiavano di una comunione molto stretta con il Maestro. Sino alla fine Andrea restò il decano del corpo apostolico.
(1549.2) 139:1.4 Sebbene Andrea non fosse un efficace predicatore, era un efficiente lavoratore personale; egli era il missionario pioniere del regno nel senso che, essendo il primo apostolo scelto, condusse immediatamente da Gesù suo fratello Simone, che divenne in seguito uno dei più grandi predicatori del regno. Andrea fu il principale sostenitore della politica di Gesù di utilizzare il programma di lavoro personale come mezzo per preparare i dodici al ruolo di messaggeri del regno.
(1549.3) 139:1.5 Sia che Gesù insegnasse agli apostoli in privato o che predicasse alle folle, Andrea era generalmente al corrente di quanto stava accadendo; era un esecutore intelligente ed un amministratore efficiente. Egli prendeva decisioni rapide su ogni questione portata alla sua attenzione, salvo quando stimava che il problema oltrepassasse il campo della sua autorità, nel qual caso lo sottoponeva direttamente a Gesù.
(1549.4) 139:1.6 Andrea e Pietro erano molto dissimili per carattere e temperamento, ma bisogna ascrivere eternamente a loro credito che essi s’intendevano splendidamente. Andrea non fu mai geloso dell’abilità oratoria di Pietro. È raro vedere un uomo più anziano come Andrea esercitare un’influenza così profonda su un fratello più giovane a capace. Andrea e Pietro non sembravano mai essere minimamente gelosi dei rispettivi talenti o risultati. A tarda sera del giorno di Pentecoste, quando, principalmente a causa dell’energica ed ispirante predicazione di Pietro, duemila anime furono aggregate al regno, Andrea disse a suo fratello: “Io non sarei stato capace di fare questo, ma sono felice di avere un fratello capace di averlo fatto.” Al che Pietro rispose: “Se tu non mi avessi condotto dal Maestro e senza la tua perseveranza a tenermi con lui io non sarei stato qui a fare questo.” Andrea e Pietro erano le eccezioni alla regola, dimostrando che anche dei fratelli possono vivere pacificamente e lavorare efficacemente assieme.
(1549.5) 139:1.7 Dopo la Pentecoste, Pietro divenne famoso, ma il fatto di passare il resto della sua vita ad essere presentato come “il fratello di Simon Pietro” non irritò mai il più anziano Andrea.
(1549.6) 139:1.8 Tra tutti gli apostoli era Andrea il miglior giudice di uomini. Egli sapeva che l’inquietudine stava covando nel cuore di Giuda Iscariota anche quando nessuno degli altri sospettava che qualcosa non andava nel loro tesoriere, ma non parlò a nessuno dei suoi timori. Il grande servizio reso da Andrea al regno fu di consigliare Pietro, Giacomo e Giovanni sulla scelta dei primi missionari che furono inviati a proclamare il vangelo, ed anche di consigliare questi primi dirigenti sull’organizzazione degli affari amministrativi del regno. Andrea aveva il grande dono di scoprire le risorse nascoste e le qualità latenti dei giovani.
(1549.7) 139:1.9 Molto presto dopo l’ascensione di Gesù al cielo, Andrea cominciò a scrivere una raccolta personale di molte delle massime e degli atti del suo defunto Maestro. Dopo la morte di Andrea furono fatte altre copie di questa raccolta privata, che circolarono largamente tra i primi istruttori della Chiesa cristiana. Queste note ufficiose di Andrea furono successivamente corrette, emendate, modificate e fatte oggetto di aggiunte, sino a farne un racconto abbastanza continuo della vita terrena del Maestro. L’ultima di queste poche copie alterate ed emendate fu distrutta dal fuoco ad Alessandria circa cento anni dopo che fu scritto l’originale da parte del primo scelto dei dodici apostoli.
(1550.1) 139:1.10 Andrea era un uomo di visione chiara, di mente logica e di decisione sicura, la cui grande forza di carattere consisteva nella sua stupenda fermezza. Il suo handicap di temperamento era la sua mancanza d’entusiasmo; egli si astenne molte volte dall’incoraggiare i suoi compagni con prudenti elogi. Questa reticenza a lodare i compimenti meritori dei suoi amici proveniva dalla propria avversione per l’adulazione e l’ipocrisia. Andrea era uno di quegli uomini di modesta levatura, perfetti, calmi, fattisi da sé e che raggiungono il successo.
(1550.2) 139:1.11 Ciascuno degli apostoli amava Gesù, ma resta vero che ognuno dei dodici era attratto verso di lui a causa di un certo tratto di personalità che esercitava un’attrazione speciale sul singolo apostolo. Andrea ammirava Gesù a causa della sua costante sincerità, della sua dignità inalterabile. Una volta che gli uomini avevano conosciuto Gesù, sentivano il bisogno di farlo conoscere ai loro amici; essi volevano realmente che tutti lo conoscessero.
(1550.3) 139:1.12 Quando le persecuzioni successive alla fine dispersero gli apostoli fuori di Gerusalemme, Andrea andò in Armenia, in Asia Minore ed in Macedonia, e dopo aver portato molte migliaia di persone al regno fu infine arrestato e crocifisso a Patrasso in Acaia. Ci vollero due giorni interi prima che quest’uomo robusto spirasse sulla croce, e durante queste tragiche ore egli continuò efficacemente a proclamare la buona novella della salvezza del regno dei cieli.
(1550.4) 139:2.1 Quando Simone si unì agli apostoli aveva trent’anni. Era sposato, aveva tre figli e viveva a Betsaida, vicino a Cafarnao. Suo fratello Andrea e la madre di sua moglie vivevano con lui. Pietro e Andrea erano soci nella pesca con i figli di Zebedeo.
(1550.5) 139:2.2 Il Maestro aveva conosciuto Simone qualche tempo prima che Andrea glielo presentasse come secondo apostolo. Quando Gesù diede a Simone il nome di Pietro, lo fece con un sorriso; quello doveva essere una sorta di soprannome. Simone era molto conosciuto da tutti i suoi amici come un compagno eccentrico ed impulsivo. In verità, più tardi Gesù attribuì un valore nuovo e significativo a questo soprannome dato alla leggera.
(1550.6) 139:2.3 Simon Pietro era un uomo impulsivo, un ottimista. Egli era cresciuto permettendosi di dare libero corso a forti sentimenti; era costantemente immerso nelle difficoltà perché persisteva nel parlare senza riflettere. Questa sorta di sventatezza creò anche incessanti fastidi a tutti i suoi amici e compagni, e fu la causa dei numerosi rimproveri amichevoli del suo Maestro. La sola ragione per la quale Pietro non fu posto in maggiori difficoltà a causa del suo parlare irriflessivo fu che imparò assai presto a discutere molti dei suoi piani e progetti con suo fratello Andrea prima di avventurarsi a fare delle proposte pubbliche.
(1550.7) 139:2.4 Pietro era un oratore fluente, eloquente e teatrale. Era anche un capo di uomini naturale ed inspirante, un pensatore rapido ma non un ragionatore profondo. Egli poneva molte domande, più di tutti gli apostoli messi insieme, e sebbene la maggior parte di queste domande fossero buone e pertinenti, molte erano avventate e sciocche. Pietro non aveva una mente profonda, ma conosceva abbastanza bene la sua mente. Era dunque un uomo dalla decisione rapida e dall’azione improvvisa. Mentre gli altri discutevano sorpresi di vedere Gesù sulla riva, Pietro saltò in acqua e nuotò verso la riva per raggiungere il Maestro.
(1551.1) 139:2.5 Il tratto che Pietro ammirava di più in Gesù era la sua superna tenerezza. Pietro non si stancò mai di contemplare la tolleranza di Gesù. Egli non dimenticò mai la lezione riguardo al perdonare i malfattori non soltanto sette volte ma settantasette volte. Meditò a lungo queste impressioni sul carattere indulgente del Maestro durante i giorni oscuri e tristi immediatamente successivi al suo sconsiderato ed involontario rinnegamento di Gesù nel cortile del sommo sacerdote.
(1551.2) 139:2.6 Simon Pietro vacillava penosamente; passava improvvisamente da un estremo all’altro. Prima rifiutò che Gesù gli lavasse i piedi e poi, sentendo la risposta del Maestro, lo pregò di lavargli il corpo intero. Ma, dopotutto, Gesù sapeva che gli errori di Pietro venivano dalla testa e non dal cuore. Egli era una delle più inesplicabili combinazioni di coraggio e di codardia che si siano mai viste sulla terra. La sua grande forza di carattere era la fedeltà, l’amicizia. Pietro amava realmente e sinceramente Gesù. E malgrado questa sublime forza di devozione, egli era così instabile ed incostante da permettere ad una serva di molestarlo fino a rinnegare il suo Signore e Maestro. Pietro poteva sopportare la persecuzione ed ogni altra forma di attacco diretto, ma era indifeso e si ritirava di fronte al ridicolo. Egli era un soldato coraggioso quando doveva tenere testa ad un attacco frontale, ma era un vigliacco che si faceva piccolo per la paura quando era sorpreso da un attacco alle spalle.
(1551.3) 139:2.7 Pietro fu il primo apostolo di Gesù a farsi avanti per difendere l’opera di Filippo tra i Samaritani e di Paolo tra i Gentili; tuttavia, più tardi ad Antiochia, si smentì quando fu affrontato dai Giudaici che lo deridevano, ritirandosi temporaneamente dai Gentili e attirando su di lui l’intrepida denuncia di Paolo.
(1551.4) 139:2.8 Egli fu il primo degli apostoli a riconoscere apertamente l’umanità e la divinità congiunte di Gesù ed il primo — dopo Giuda — a rinnegarlo. Pietro non era particolarmente sognatore, ma non amava scendere dalle nuvole dell’estasi e dell’entusiasmo del compiacimento teatrale al semplice mondo della realtà terrena.
(1551.5) 139:2.9 Seguendo Gesù, letteralmente e figurativamente, egli o era alla testa della processione oppure si trascinava dietro — “seguendo da lontano”. Ma era il più eminente predicatore dei dodici; egli contribuì più di chiunque altro, a parte Paolo, ad instaurare il regno e ad inviare messaggeri dello stesso ai quattro angoli della terra in una sola generazione.
(1551.6) 139:2.10 Dopo i suoi avventati rinnegamenti del Maestro egli ritrovò se stesso, e sotto la guida affettuosa e comprensiva di Andrea ritornò di nuovo alle sue reti da pesca, mentre gli apostoli aspettavano per vedere che cosa sarebbe accaduto dopo la crocifissione. Quando egli fu pienamente certo che Gesù gli aveva perdonato e seppe che era stato riaccolto nel gregge del Maestro, i fuochi del regno bruciarono così vivamente nella sua anima che divenne una grande luce di salvezza per migliaia di persone che erano nelle tenebre.
(1551.7) 139:2.11 Dopo aver lasciato Gerusalemme, e prima che Paolo divenisse lo spirito guida tra le chiese cristiane dei Gentili, Pietro viaggiò molto, visitando tutte le chiese da Babilonia a Corinto. Egli visitò e portò il suo ministero anche a molte delle chiese che erano state fondate da Paolo. Sebbene Pietro e Paolo fossero molto differenti per temperamento ed educazione, ed anche dal punto di vista teologico, lavorarono insieme armoniosamente per l’istituzione delle chiese durante i loro ultimi anni.
(1552.1) 139:2.12 Qualcosa dello stile e dell’insegnamento di Pietro è mostrato nei sermoni parzialmente trascritti da Luca e nel Vangelo di Marco. Il suo stile vigoroso fu meglio palesato nella sua lettera conosciuta come la Prima Epistola di Pietro; almeno questo era vero prima che fosse successivamente alterata da un discepolo di Paolo.
(1552.2) 139:2.13 Ma Pietro persisté nel commettere l’errore di cercare di convincere gli Ebrei che Gesù era, dopotutto, realmente e veramente il Messia ebreo. Fino al giorno della sua morte Simon Pietro continuò a far confusione nella sua mente tra i concetti di Gesù quale Messia degli Ebrei, di Cristo come redentore del mondo e di Figlio dell’Uomo come rivelazione di Dio, il Padre amorevole di tutta l’umanità.
(1552.3) 139:2.14 La moglie di Pietro era una donna molto capace. Per anni essa lavorò utilmente come membro del corpo delle donne, e quando Pietro fu cacciato da Gerusalemme essa lo accompagnò in tutte le sue visite alle chiese ed in tutti i suoi viaggi di missione. Ed il giorno in cui il suo illustre marito abbandonò la sua vita, essa fu gettata in pasto alle bestie feroci nell’arena di Roma.
(1552.4) 139:2.15 È così quest’uomo, Pietro, un intimo di Gesù, un membro della cerchia ristretta, partì da Gerusalemme proclamando la buona novella del regno con potenza e gloria fino a che la pienezza del suo ministero fosse stata completata. Ed egli si considerò oggetto di grande onore quando i suoi catturatori lo informarono che doveva morire com’era morto il suo Maestro — sulla croce. E così Simon Pietro fu crocifisso a Roma.
(1552.5) 139:3.1 Giacomo, il più anziano dei due apostoli figli di Zebedeo, che Gesù soprannominò “i figli del tuono”, aveva trent’anni quando divenne un apostolo. Era sposato, aveva quattro figli e viveva vicino ai suoi genitori a Betsaida, nei dintorni di Cafarnao. Egli era un pescatore ed esercitava il suo mestiere in compagnia di suo fratello più giovane Giovanni ed in società con Andrea e Simone. Giacomo e suo fratello Giovanni avevano il vantaggio di aver conosciuto Gesù da più tempo rispetto agli altri apostoli.
(1552.6) 139:3.2 Questo abile apostolo aveva un temperamento contraddittorio; sembrava possedere realmente due nature, entrambe mosse da forti sentimenti. Egli era particolarmente violento quando la sua indignazione era al culmine. Manifestava un temperamento focoso quando era adeguatamente provocato, e quando la tempesta era passata era sempre solito giustificare e scusare la sua collera con il pretesto che era totalmente una manifestazione di giusta indignazione. Eccettuati questi accessi periodici di collera, la personalità di Giacomo assomigliava molto a quella di Andrea. Egli non aveva né il discernimento né la perspicacia di Andrea verso la natura umana, ma parlava in pubblico molto meglio di lui. Dopo Pietro, e forse Matteo, Giacomo era il migliore oratore pubblico tra i dodici.
(1552.7) 139:3.3 Benché Giacomo non fosse per niente malinconico, poteva essere tranquillo e taciturno un giorno ed un buon conversatore e narratore il giorno successivo. Egli parlava di solito liberamente con Gesù, ma tra i dodici per giorni e giorni era l’uomo silenzioso. La sua unica grande debolezza erano questi periodi d’inspiegabile silenzio.
(1552.8) 139:3.4 La caratteristica preminente della personalità di Giacomo era la sua capacità di vedere tutti i lati di un problema. Tra tutti i dodici fu lui il più vicino a cogliere l’importanza ed il significato reali dell’insegnamento di Gesù. Anche lui fu inizialmente lento a comprendere ciò che voleva dire il Maestro, ma prima della fine della loro formazione aveva acquisito un concetto superiore del messaggio di Gesù. Giacomo era capace di comprendere una vasta parte della natura umana; s’intendeva bene con il versatile Andrea, con l’impetuoso Pietro e con il suo riservato fratello Giovanni.
(1553.1) 139:3.5 Sebbene Giacomo e Giovanni avessero delle difficoltà nel cercare di lavorare insieme, era confortante osservare come andavano d’accordo. Essi non riuscirono altrettanto bene di Andrea e Pietro, ma fecero molto meglio di quanto ordinariamente ci si sarebbe aspettato da due fratelli, specialmente da due fratelli così testardi e risoluti. Ma per quanto strano possa sembrare, questi due figli di Zebedeo erano molto più tolleranti l’uno con l’altro di quanto non lo fossero con gli estranei. Essi nutrivano un grande affetto l’uno per l’altro; erano sempre stati degli allegri compagni di gioco. Erano questi “figli del tuono” che volevano far scendere il fuoco dal cielo per distruggere i Samaritani che osarono mancare di rispetto al loro Maestro. Ma la morte prematura di Giacomo modificò grandemente il carattere impetuoso del suo più giovane fratello Giovanni.
(1553.2) 139:3.6 Il tratto di carattere di Gesù che Giacomo ammirava di più era l’affetto amorevole del Maestro. L’interesse comprensivo di Gesù per il piccolo ed il grande, per il ricco ed il povero, esercitava una grande attrazione su di lui.
(1553.3) 139:3.7 Giacomo Zebedeo era un pensatore ed un organizzatore ben equilibrato. Con Andrea, egli era uno dei membri più posati del gruppo apostolico. Era un individuo energico, ma non aveva mai fretta. Era un eccellente contrappeso per Pietro.
(1553.4) 139:3.8 Egli era modesto e non enfatico, un servitore quotidiano, un lavoratore senza pretese, che non cercò alcuna ricompensa speciale quando ebbe capito qualcosa del significato reale del regno. Ed anche nella storia sulla madre di Giacomo e Giovanni, la quale chiedeva che ai suoi figli fossero assegnati i posti alla destra e alla sinistra di Gesù, bisognerebbe tenere presente che fu la madre che fece questa richiesta. E quando essi dichiararono che erano pronti ad assumere queste responsabilità, bisognerebbe riconoscere che erano al corrente dei pericoli connessi con la pretesa rivolta del Maestro contro il potere romano e che erano disposti anche a pagarne il prezzo. Quando Gesù chiese se erano pronti a bere la coppa, essi risposero di sì. E per quanto riguarda Giacomo ciò fu letteralmente vero — egli bevve la coppa con il Maestro, visto che fu il primo degli apostoli a subire il martirio, essendo stato presto fatto perire di spada da Erode Agrippa. Giacomo fu così il primo dei dodici a sacrificare la sua vita sul nuovo fronte di battaglia del regno. Erode Agrippa temeva Giacomo più di tutti gli altri apostoli. In verità Giacomo era spesso tranquillo e silenzioso, ma era coraggioso e risoluto quando le sue convinzioni erano stimolate e messe in discussione.
(1553.5) 139:3.9 Giacomo visse la sua vita con pienezza, e quando giunse la fine si comportò con tale grazia e forza d’animo che anche il suo accusatore e delatore, che era presente al suo giudizio e alla sua esecuzione, fu così toccato che fuggì precipitosamente dalla scena della morte di Giacomo per unirsi ai discepoli di Gesù.
(1553.6) 139:4.1 Quando divenne apostolo, Giovanni aveva ventiquattro anni ed era il più giovane dei dodici. Egli era celibe e viveva con i suoi genitori a Betsaida; era un pescatore e lavorava con suo fratello Giacomo in società con Andrea e Pietro. Prima e dopo essere divenuto apostolo, Giovanni funzionò da agente personale di Gesù nei rapporti con la famiglia del Maestro, e continuò a reggere questa responsabilità per tutto il tempo in cui Maria, la madre di Gesù, visse.
(1553.7) 139:4.2 Poiché Giovanni era il più giovane dei dodici e così strettamente associato a Gesù nei suoi affari di famiglia, era molto caro al Maestro, ma non sarebbe del tutto esatto dire che era “il discepolo che Gesù amava”. Non si può sospettare una personalità così magnanima come Gesù di essere colpevole di favoritismo, di avere amato uno dei suoi apostoli più degli altri. Il fatto che Giovanni era uno dei tre aiutanti personali di Gesù diede ulteriore verosimiglianza a questa idea errata, senza contare che Giovanni, come suo fratello Giacomo, aveva conosciuto Gesù da più lungo tempo rispetto agli altri.
(1554.1) 139:4.3 Pietro, Giacomo e Giovanni furono assegnati come aiutanti personali a Gesù poco dopo essere divenuti apostoli. Subito dopo la selezione dei dodici e nel momento in cui Gesù incaricò Andrea ad agire come direttore del gruppo, gli disse: “Ed ora desidero che tu designi due o tre dei tuoi compagni per stare con me e rimanere al mio fianco, a confortarmi e badare alle mie necessità quotidiane.” E Andrea pensò fosse la cosa migliore scegliere per questo incarico speciale i successivi tre apostoli scelti per primi. Avrebbe desiderato offrirsi volontario anche lui per questo servizio benedetto, ma il Maestro gli aveva già conferito il suo incarico; così egli ordinò immediatamente che Pietro, Giacomo e Giovanni fossero assegnati a Gesù.
(1554.2) 139:4.4 Giovanni Zebedeo aveva molti tratti di carattere piacevoli, ma uno che non era così piacevole era la sua eccessiva, ma generalmente ben dissimulata, presunzione. La sua lunga associazione con Gesù produsse numerosi ed importanti cambiamenti nel suo carattere. Questa presunzione diminuì considerevolmente, ma quando invecchiò e divenne più o meno infantile, questa autostima riapparve in una certa misura, cosicché, mentre era impegnato a guidare Natan nella redazione del Vangelo che porta ora il suo nome, il vecchio apostolo non esitò a designare ripetutamente se stesso come “il discepolo che Gesù amava”. Per il fatto che Giovanni fu il più vicino ad essere l’amico intimo di Gesù rispetto a qualsiasi altro mortale, che fu il suo rappresentante personale scelto in così tante questioni, non c’è da sorprendersi che sia giunto a considerare se stesso come il “discepolo che Gesù amava” perché sapeva certamente di essere il discepolo sul quale Gesù faceva così spesso affidamento.
(1554.3) 139:4.5 Il tratto più notevole del carattere di Giovanni era la sua affidabilità; egli era pronto e coraggioso, fedele e devoto. La sua più grande debolezza era questa caratteristica presunzione. Egli era il membro più giovane della famiglia di suo padre ed il più giovane del gruppo apostolico. Forse era stato un po’ viziato; probabilmente era stato assecondato un po’ troppo. Ma il Giovanni degli anni successivi era un tipo di persona molto differente dal giovane narcisista e capriccioso che entrò nei ranghi degli apostoli di Gesù all’età di ventiquattro anni.
(1554.4) 139:4.6 I tratti del carattere di Gesù che Giovanni apprezzava di più erano l’amore e l’altruismo del Maestro; questi tratti fecero una tale impressione su di lui che tutta la sua vita successiva fu dominata da un sentimento d’amore e di devozione fraterna. Egli parlò dell’amore e scrisse sull’amore. Questo “figlio del tuono” divenne “l’apostolo dell’amore”. E ad Efeso, quando il vecchio vescovo non riusciva più a stare in piedi sul pulpito per predicare e bisognava portarlo in chiesa su una sedia, e quando al termine del servizio gli chiedevano di dire qualche parola ai credenti, per anni la sua unica espressione fu: “Miei piccoli figli, amatevi gli uni con gli altri.”
(1554.5) 139:4.7 Giovanni era un uomo di poche parole, salvo quando il suo umore era scosso. Egli pensava molto, ma parlava poco. Con l’età il suo umore divenne più mite, egli si controllò meglio, ma non vinse mai la sua avversione a parlare; non superò mai del tutto questa reticenza. Ma egli era dotato di una straordinaria immaginazione creativa.
(1555.1) 139:4.8 C’era un altro lato di Giovanni che non ci si sarebbe aspettato di trovare in questo tipo tranquillo ed introspettivo. Egli era un po’ settario ed eccessivamente intollerante. Sotto questo aspetto lui e Giacomo erano molto simili — tutti e due volevano far scendere il fuoco dal cielo sulle teste degli irriverenti Samaritani. Quando Giovanni incontrava degli stranieri che insegnavano nel nome di Gesù, glielo vietava immediatamente. Ma egli non era il solo dei dodici ad essere contaminato da questa specie di presunzione e senso di superiorità.
(1555.2) 139:4.9 La vita di Giovanni fu straordinariamente influenzata dal fatto di vedere Gesù andare in giro senza un domicilio, perché sapeva quanto fedelmente aveva provveduto ad assistere sua madre e la sua famiglia. Giovanni simpatizzava profondamente con Gesù anche per la mancanza di comprensione nei suoi confronti da parte della sua famiglia, rendendosi conto che essi si stavano gradualmente allontanando da lui. Tutta questa situazione, unitamente al fatto che Gesù sottometteva ogni suo più piccolo desiderio alla volontà del Padre celeste e a motivo della sua vita quotidiana d’implicita fiducia, fecero un’impressione così profonda su Giovanni da provocare dei cambiamenti marcati e permanenti nel suo carattere, cambiamenti che si manifestarono per tutta la sua vita successiva.
(1555.3) 139:4.10 Giovanni aveva un coraggio freddo ed intrepido che pochi altri apostoli possedevano. Egli fu il solo apostolo che seguì costantemente Gesù nella notte del suo arresto e che osò accompagnare il suo Maestro sin nelle fauci stesse della morte. Egli fu presente e vicino a lui fino all’ultima ora terrena e si comportò fedelmente eseguendo il suo incarico nei riguardi della madre di Gesù, e fu pronto a ricevere tali istruzioni addizionali che potevano essere date negli ultimi momenti dell’esistenza mortale del Maestro. Una cosa è certa: Giovanni era del tutto degno di fiducia. Giovanni sedeva solitamente alla destra di Gesù quando i dodici erano a tavola. Egli fu il primo dei dodici a credere realmente e pienamente nella risurrezione, e fu il primo a riconoscere il Maestro quando venne verso di loro sulla spiaggia dopo la sua risurrezione.
(1555.4) 139:4.11 Questo figlio di Zebedeo fu molto strettamente associato a Pietro nelle prime attività del movimento cristiano, divenendo uno dei principali sostegni della chiesa di Gerusalemme. Egli fu il prezioso aiutante di Pietro nel giorno di Pentecoste.
(1555.5) 139:4.12 Parecchi anni dopo il martirio di Giacomo, Giovanni sposò la vedova di suo fratello. Durante gli ultimi venti anni della sua vita fu assistito da un’amorevole nipote.
(1555.6) 139:4.13 Giovanni fu imprigionato parecchie volte e fu esiliato nell’Isola di Patmos per un periodo di quattro anni fino a che un nuovo imperatore prese il potere a Roma. Se Giovanni non fosse stato pieno di tatto ed avveduto, sarebbe stato sicuramente ucciso come lo fu il suo più esplicito fratello Giacomo. Con il passare degli anni, Giovanni, così come Giacomo il fratello del Signore, impararono ad essere saggiamente concilianti quando comparivano davanti ai magistrati civili. Essi scoprirono che una “risposta gentile allontana la collera”. Impararono anche a presentare la Chiesa come una “fraternità spirituale consacrata al servizio sociale dell’umanità” piuttosto che come “il regno dei cieli”. Essi insegnarono il servizio amorevole piuttosto che il potere sovrano — con regno e re.
(1555.7) 139:4.14 Durante il suo temporaneo esilio a Patmos, Giovanni scrisse il Libro dell’Apocalisse, che voi possedete attualmente in forma notevolmente ridotta e deformata. Questo Libro dell’Apocalisse contiene i frammenti residui di una grande rivelazione, molte parti della quale andarono perdute ed altre furono soppresse dopo la loro redazione da parte di Giovanni. Essa è preservata soltanto in forma frammentaria ed alterata.
(1555.8) 139:4.15 Giovanni viaggiò molto, lavorò incessantemente, e dopo essere divenuto vescovo delle chiese d’Asia si stabilì ad Efeso. Egli guidò il suo collaboratore Natan nella redazione del cosiddetto “Vangelo secondo Giovanni” ad Efeso, all’età di 99 anni. Tra tutti i dodici apostoli, Giovanni Zebedeo divenne alla fine il più eminente teologo. Egli morì di morte naturale ad Efeso nell’anno 103 d.C., all’età di 101 anni.
(1556.1) 139:5.1 Filippo fu il quinto apostolo ad essere scelto, e fu chiamato mentre Gesù ed i suoi primi quattro apostoli erano in cammino provenienti dal luogo d’incontro con Giovanni sul Giordano, diretti verso Cana di Galilea. Poiché viveva a Betsaida, Filippo aveva inteso parlare da qualche tempo di Gesù, ma non gli era mai venuta l’idea che Gesù fosse realmente un grande uomo fino a quel giorno nella valle del Giordano quando gli disse: “Seguimi.” Filippo fu anche un po’ influenzato dal fatto che Andrea, Pietro, Giacomo e Giovanni avevano accettato Gesù come il Liberatore.
(1556.2) 139:5.2 Filippo aveva ventisette anni quando si unì agli apostoli; si era sposato recentemente, ma non aveva ancora figli. Il soprannome che gli apostoli gli diedero significava “curiosità”. Filippo aveva sempre bisogno che gli si mostrasse. Egli non sembrava mai vedere molto lontano in una qualunque proposta. Non era necessariamente ottuso, ma mancava d’immaginazione. Questa mancanza d’immaginazione era il grande punto debole del suo carattere. Era un individuo ordinario e materiale.
(1556.3) 139:5.3 Quando gli apostoli si organizzarono per il loro servizio, Filippo fu nominato intendente; egli aveva l’incarico di fare in modo che essi fossero sempre forniti di provviste. Ed egli fu un buon intendente. La sua caratteristica più valida era la sua metodica perfezione; era preciso e ordinato.
(1556.4) 139:5.4 Filippo proveniva da una famiglia di sette figli, tre maschi e quattro femmine. Egli era il secondo dei figli, e dopo la risurrezione battezzò tutta la sua famiglia nel regno. I familiari di Filippo erano dediti alla pesca. Suo padre era un uomo molto capace, un profondo pensatore, ma sua madre proveniva da una famiglia molto mediocre. Filippo non era un uomo dal quale aspettarsi grandi cose, ma era un uomo che sapeva fare piccole cose in modo grande, farle bene ed in modo accettabile. Soltanto poche volte in quattro anni egli non ebbe a disposizione viveri sufficienti per soddisfare i bisogni di tutti. Anche i molti casi d’emergenza che si presentarono nella vita degli apostoli raramente lo trovarono impreparato. Il servizio di viveri della famiglia apostolica fu gestito con intelligenza ed efficienza.
(1556.5) 139:5.5 Il punto forte di Filippo era la sua metodica affidabilità; il punto debole della sua formazione era la sua mancanza totale d’immaginazione, l’assenza della capacità di mettere due e due insieme per ottenere quattro. Egli era calcolatore in astratto, ma non costruttivo nella sua immaginazione. Mancava quasi totalmente di certi tipi d’immaginazione. Era il tipico uomo medio comune e ordinario. C’era un gran numero di uomini e di donne di questo genere tra le folle che venivano ad ascoltare Gesù predicare ed insegnare, ed essi traevano grande conforto dall’osservare uno simile a loro elevato ad una posizione d’onore nei consigli del Maestro. Essi derivavano coraggio dal fatto che uno simile a loro occupasse già una posizione importante negli affari del regno. E Gesù imparò molto sul modo in cui funzionano certe menti umane ascoltando pazientemente le sciocche domande di Filippo e assecondando molte volte le richieste del suo intendente di “fargli vedere”.
(1556.6) 139:5.6 La principale qualità di Gesù che Filippo ammirava costantemente era l’instancabile generosità del Maestro. Filippo non riuscì mai a trovare qualcosa in Gesù che fosse piccola, misera o meschina, ed egli adorava questa continua ed inesauribile generosità.
(1557.1) 139:5.7 C’era poco nella personalità di Filippo che fosse di grande rilievo. Egli fu spesso chiamato “Filippo di Betsaida, la città in cui abitavano Andrea e Pietro”. Era quasi privo di una visione acuta delle cose; era incapace di cogliere le possibilità spettacolari di una data situazione. Egli non era pessimista; era semplicemente prosaico. Mancava anche molto di percezione spirituale. Non esitava ad interrompere Gesù nel mezzo di uno dei suoi discorsi più profondi per porre una domanda manifestamente sciocca. Ma Gesù non lo rimproverava mai per questa stoltezza; era paziente con lui ed aveva riguardo della sua incapacità di cogliere il senso profondo dell’insegnamento. Gesù sapeva bene che se avesse rimproverato una sola volta Filippo perché poneva queste domande noiose, non solo avrebbe offeso quest’anima onesta, ma un tale rimprovero avrebbe ferito Filippo al punto che non si sarebbe mai più sentito libero di porre delle domande. Gesù sapeva che sui suoi mondi dello spazio c’erano miriadi di simili mortali lenti di mente, e voleva incoraggiarli tutti a rivolgersi a lui ed a sentirsi sempre liberi di sottoporgli le loro domande ed i loro problemi. Dopotutto, Gesù era veramente più interessato alle sciocche domande di Filippo che al sermone che stava predicando. Gesù era supremamente interessato agli uomini, ad ogni sorta di uomini.
(1557.2) 139:5.8 L’intendente apostolico non era un buon parlatore in pubblico, ma era un lavoratore personale molto persuasivo e di successo. Egli non si scoraggiava facilmente; era assiduo e molto tenace in tutto ciò che intraprendeva. Possedeva quel grande e raro dono di dire: “Venite.” Quando il suo primo convertito, Natanaele, volle discutere sui meriti e sui demeriti di Gesù di Nazaret, la risposta efficace di Filippo fu: “Vieni a vedere”. Egli non era un predicatore dogmatico che esortava i suoi ascoltatori ad “andare” — a fare questo o a fare quello. Egli affrontava tutte le situazioni via via che si presentavano nel suo lavoro dicendo: “Venite” — “venite con me; vi mostrerò la via.” E quella è sempre la tecnica efficace in tutte le forme e fasi dell’insegnamento. Anche i genitori possono imparare da Filippo il modo migliore di non dire ai loro figli: “andate a fare questo o andate a fare quello”, ma piuttosto: “Venite con noi, vi mostreremo e percorreremo con voi la via migliore.”
(1557.3) 139:5.9 L’incapacità di Filippo di adattarsi ad una nuova situazione fu ben evidenziata quando i Greci vennero da lui a Gerusalemme e dissero: “Signore, noi desideriamo vedere Gesù.” Ora Filippo avrebbe detto ad ogni Ebreo che gli avesse posto questa domanda: “Vieni.” Ma questi uomini erano degli stranieri e Filippo non riusciva a ricordare alcuna istruzione dei suoi superiori riguardante tali materie; così la sola cosa che pensò di fare fu di consultare il capo, Andrea, e poi entrambi accompagnarono i Greci indagatori da Gesù. Similmente, quando egli andò in Samaria a predicare e a battezzare i credenti come era stato incaricato di fare dal suo Maestro, si astenne dall’imporre le mani sui suoi convertiti per significare che avevano ricevuto lo Spirito della Verità. Questo gesto fu eseguito da Pietro e da Giovanni, che vennero poco dopo da Gerusalemme per osservare la sua attività a favore della chiesa madre.
(1557.4) 139:5.10 Filippo proseguì il suo lavoro durante i tragici momenti della morte del Maestro, partecipò alla riorganizzazione dei dodici e fu il primo a partire per conquistare delle anime al regno al di fuori della immediata comunità ebraica, riuscendo molto bene nel suo lavoro presso i Samaritani ed in tutte le sue attività successive a favore del vangelo.
(1557.5) 139:5.11 La moglie di Filippo, che era un membro efficiente del corpo delle donne, si adoperò attivamente con il marito nel suo lavoro di evangelizzazione dopo la loro fuga dalle persecuzioni di Gerusalemme. Sua moglie era una donna intrepida. Essa rimase ai piedi della croce di Filippo incoraggiandolo a proclamare la buona novella anche ai suoi assassini, e quando le forze di Filippo s’indeboli rono, essa cominciò a raccontare la storia della salvezza per mezzo della fede in Gesù e smise soltanto quando gli Ebrei furiosi si gettarono su di lei e la lapidarono a morte. La loro figlia maggiore, Lea, proseguì il loro lavoro e divenne più tardi la celebre profetessa di Gerapoli.
(1558.1) 139:5.12 Filippo, un tempo intendente dei dodici, fu un uomo potente nel regno, conquistando anime ovunque passò, e fu alla fine crocifisso per la sua fede e sepolto a Gerapoli.
(1558.2) 139:6.1 Natanaele, il sesto ed ultimo degli apostoli ad essere scelto dal Maestro stesso, fu condotto da Gesù dal suo amico Filippo. Egli era stato socio di Filippo in parecchie imprese commerciali ed era in viaggio con lui per andare a vedere Giovanni il Battista quando incontrarono Gesù.
(1558.3) 139:6.2 Quando Natanaele si unì agli apostoli aveva venticinque anni ed era quasi il più giovane del gruppo. Egli era l’ultimo di una famiglia di sette figli; era celibe ed era l’unico sostegno dei genitori vecchi ed infermi, con i quali viveva a Cana. I suoi fratelli e sorelle erano sposati o deceduti, e nessuno di loro viveva là. Natanaele e Giuda Iscariota erano i due uomini più istruiti tra i dodici. Natanaele aveva pensato di divenire un mercante.
(1558.4) 139:6.3 Gesù non diede lui stesso un soprannome a Natanaele, ma i dodici cominciarono subito a parlare di lui in termini che significavano onestà, sincerità. Egli era “senza inganno”. E questa era la sua principale virtù; era onesto e sincero. Il punto debole del suo carattere era il suo orgoglio; egli era molto fiero della sua famiglia, della sua città, della sua reputazione e della sua nazione, cosa lodevole se non è spinta all’eccesso. Ma Natanaele era incline ad andare agli estremi con i suoi pregiudizi personali. Aveva tendenza a giudicare gli individui secondo le sue opinioni personali. Anche prima d’incontrare Gesù non era stato lontano dal porre la domanda: “Può uscire qualcosa di buono da Nazaret?” Ma Natanaele non era ostinato, anche se era orgoglioso. Egli fu pronto a ricredersi una volta che ebbe guardato il viso di Gesù.
(1558.5) 139:6.4 Sotto molti aspetti Natanaele era il genio bizzarro dei dodici. Egli era il filosofo ed il sognatore apostolico, ma era un sognatore di un genere molto pratico. Alternava momenti di profonda filosofia a periodi di raro e spassoso umorismo; quando era di umore adatto, egli era probabilmente il miglior narratore di storie dei dodici. Gesù amava molto ascoltare Natanaele discutere sia su cose importanti che frivole. Natanaele prese sempre più seriamente Gesù ed il regno, ma non prese mai seriamente se stesso.
(1558.6) 139:6.5 Tutti gli apostoli amavano e rispettavano Natanaele, ed egli s’intendeva con loro splendidamente, salvo che con Giuda Iscariota. Giuda pensava che Natanaele non prendesse il suo apostolato sufficientemente sul serio ed una volta ebbe la temerarietà di andare segretamente da Gesù e di presentare delle rimostranze contro di lui. Gesù disse: “Giuda, bada bene a quello che fai; non sopravalutare il tuo incarico. Chi di noi è competente a giudicare suo fratello? Non è volontà del Padre che i suoi figli condividano soltanto le cose serie della vita. Permettimi di ripetere che io sono venuto perché i miei fratelli nella carne possano avere gioia, felicità ed una vita più ricca. Va dunque, Giuda, e fa bene ciò che ti è stato affidato e lascia che Natanaele, tuo fratello, renda conto di se stesso a Dio.” Ed il ricordo di questa esperienza, assieme a quello di molte altre esperienze simili, visse a lungo nel cuore autoilluso di Giuda Iscariota.
(1559.1) 139:6.6 Molte volte, quando Gesù era in montagna con Pietro, Giacomo e Giovanni e la situazione diveniva tesa e complicata tra gli apostoli, e quando anche Andrea era nel dubbio su cosa dire ai suoi fratelli sconsolati, Natanaele mitigava la tensione con un po’ di filosofia o con una battuta di spirito, di buonumore.
(1559.2) 139:6.7 Natanaele aveva l’incarico di badare alle famiglie dei dodici. Egli era spesso assente dai consigli apostolici perché, quando sentiva che una malattia o qualcosa fuori dell’ordinario era accaduta ad una delle persone di cui era incaricato, non perdeva tempo a recarsi in quella casa. I dodici vivevano tranquilli sapendo che il benessere delle loro famiglie era al sicuro nelle mani di Natanaele.
(1559.3) 139:6.8 Natanaele riveriva Gesù soprattutto per la sua tolleranza. Egli non si stancò mai di contemplare la larghezza di vedute e la generosa comprensione del Figlio dell’Uomo.
(1559.4) 139:6.9 Il padre di Natanaele (Bartolomeo) morì poco dopo la Pentecoste, dopodiché questo apostolo si recò in Mesopotamia ed in India a proclamare la buona novella del regno e a battezzare i credenti. I suoi fratelli non seppero mai che cosa avvenne del loro filosofo, poeta ed umorista di un tempo. Ma anche lui fu un grande uomo nel regno e fece molto per diffondere gli insegnamenti del suo Maestro, sebbene non abbia partecipato all’organizzazione della Chiesa cristiana successiva. Natanaele morì in India.
(1559.5) 139:7.1 Matteo, il settimo apostolo, fu scelto da Andrea. Matteo apparteneva ad una famiglia di esattori d’imposte, o Pubblicani, ed era lui stesso esattore di dogane a Cafarnao, dove abitava. Egli aveva trentun anni, era sposato ed aveva quattro figli. Era un uomo moderatamente ricco, il solo del corpo apostolico a disporre di qualche risorsa. Era un bravo uomo d’affari, una persona molto socievole, ed era dotato della capacità di farsi degli amici e di comprendersi facilmente con una grande varietà di persone.
(1559.6) 139:7.2 Andrea nominò Matteo rappresentante finanziario degli apostoli. In un certo senso era l’agente fiscale ed il portavoce pubblicitario dell’organizzazione apostolica. Egli era un giudice acuto della natura umana ed un propagandista molto efficiente. La sua è una personalità difficile da descrivere, ma era un discepolo molto convinto ed uno che credeva sempre di più nella missione di Gesù e nella certezza del regno. Gesù non diede mai a Levi un soprannome, ma i suoi compagni apostoli lo chiamavano comunemente il “procacciatore di soldi”.
(1559.7) 139:7.3 La qualità migliore di Levi era la sua devozione sincera alla causa. Il fatto che lui, un Pubblicano, fosse stato accolto da Gesù e dai suoi apostoli fu causa di sconfinata gratitudine da parte dell’esattore d’imposte d’un tempo. Tuttavia ci volle un po’ di tempo agli altri apostoli, specialmente a Simone Zelota ed a Giuda Iscariota, per accettare la presenza del Pubblicano tra di loro. Il punto debole di Matteo era la sua visione ristretta e materialistica della vita. Ma in tutte queste materie fece grandi progressi con il passare dei mesi. Egli, beninteso, dovette essere assente da molte delle sedute d’istruzione più preziose avendo l’incarico di mantenere la cassa ben fornita.
(1559.8) 139:7.4 Era la disposizione al perdono del Maestro che Matteo apprezzava di più. Egli non cessava mai di ripetere che soltanto la fede era necessaria nel compito di trovare Dio. Amava sempre parlare del regno come di “questo compito di trovare Dio”.
(1560.1) 139:7.5 Sebbene Matteo fosse un uomo con un passato, si fece molto onore, e con il trascorrere del tempo i suoi compagni divennero orgogliosi dei risultati del Pubblicano. Egli fu uno degli apostoli che presero molte note su quanto disse Gesù, e queste note furono usate come base per la successiva narrazione di Isadoro di ciò che disse e fece Gesù, che fu conosciuta come il Vangelo secondo Matteo.
(1560.2) 139:7.6 La grande e utile vita di Matteo, l’uomo d’affari ed esattore di dogane di Cafarnao, è servita a condurre migliaia e migliaia di altri uomini d’affari, di funzionari pubblici e di politici, nelle ere successive, ad ascoltare anch’essi la voce seducente del Maestro che diceva: “Seguimi.” Matteo era realmente un abile politico, ma era intensamente fedele a Gesù e supremamente dedito al compito di fare in modo che i messaggeri del regno futuro disponessero di adeguati mezzi finanziari.
(1560.3) 139:7.7 La presenza di Matteo tra i dodici servì a tenere le porte del regno spalancate per una folla di anime scoraggiate e reiette che si erano considerate da lungo tempo escluse dalla consolazione religiosa. Uomini e donne abbattuti e disperati si radunavano per ascoltare Gesù, che non ne respinse mai alcuno.
(1560.4) 139:7.8 Matteo riceveva le offerte spontanee dei discepoli credenti e degli immediati ascoltatori degli insegnamenti del Maestro, ma non sollecitò mai apertamente il contributo delle folle. Egli svolse tutto il suo lavoro finanziario in maniera discreta e personale, e raccolse la maggior parte del denaro tra la classe più agiata di credenti interessati. Diede praticamente tutta la sua modesta fortuna per l’opera del Maestro e dei suoi apostoli, ma essi non seppero mai di questa generosità, eccetto Gesù che era al corrente di tutto. Matteo esitava a contribuire apertamente ai fondi apostolici per timore che Gesù ed i suoi associati potessero considerare il suo denaro contaminato; così fece molte offerte a nome di altri credenti. Durante i primi mesi, quando Matteo si rese conto che la sua presenza in mezzo a loro era più o meno criticata, fu molto tentato di far sapere loro che il suo denaro forniva spesso il loro pane quotidiano, ma non cedette a questa tentazione. Quando la testimonianza dello sdegno per il Pubblicano diveniva manifesta, Levi bruciava dal desiderio di rivelare loro la sua generosità, ma riuscì sempre a conservare il silenzio.
(1560.5) 139:7.9 Quando i fondi della settimana erano insufficienti per le esigenze preventivate, Levi attingeva spesso in maniera consistente alle sue risorse personali. Talvolta, quando era molto interessato all’insegnamento di Gesù, preferiva rimanere ad ascoltare la lezione, anche se sapeva che doveva provvedere personalmente al mancato reperimento dei fondi necessari. Ma Levi desiderava tanto che Gesù sapesse che gran parte del denaro usciva dalla sua tasca! Egli non sapeva affatto che il Maestro era al corrente di tutto. Gli apostoli morirono tutti senza sapere che Matteo era stato il loro benefattore in misura tale che, quando partì per proclamare il vangelo del regno dopo l’inizio delle persecuzioni, era praticamente senza un soldo.
(1560.6) 139:7.10 Quando queste persecuzioni indussero i credenti a lasciare Gerusalemme, Matteo si diresse verso nord, predicando il vangelo del regno e battezzando i credenti. Egli perse i contatti con i suoi vecchi compagni apostolici, ma proseguì, predicando e battezzando, attraverso la Siria, la Cappadocia, la Galazia, la Bitinia e la Tracia. Fu nella Tracia, a Lysimachia, che certi Ebrei non credenti cospirarono con i soldati romani per determinare la sua morte. E questo Pubblicano rigenerato morì trionfante nella fede di una salvezza che aveva appreso con tanta certezza dagli insegnamenti del Maestro durante il suo recente soggiorno sulla terra.
(1561.1) 139:8.1 Tommaso era l’ottavo apostolo e fu scelto da Filippo. In tempi successivi egli fu conosciuto come “Tommaso il dubbioso”, ma i suoi compagni apostoli non lo consideravano affatto un dubitatore cronico. In verità la sua era un tipo di mente logica e scettica, ma egli aveva una forma di lealtà coraggiosa che impediva a coloro che lo conoscevano intimamente di considerarlo uno scettico senza interessi.
(1561.2) 139:8.2 Quando Tommaso si unì agli apostoli aveva 29 anni, era sposato ed aveva quattro figli. Un tempo egli era stato carpentiere e tagliapietre, ma recentemente era divenuto pescatore e risiedeva a Tarichea, situata sulla riva occidentale del Giordano, dove esso esce dal Mare di Galilea, ed era considerato il cittadino più importante di questo piccolo villaggio. Egli aveva poca istruzione, ma possedeva una mente acuta e logica ed era figlio di eccellenti genitori che vivevano a Tiberiade. Tommaso aveva la sola mente veramente analitica tra i dodici; era il vero scienziato del gruppo apostolico.
(1561.3) 139:8.3 La prima parte della vita di famiglia di Tommaso era stata sfortunata; i suoi genitori non erano del tutto contenti della loro vita coniugale, e ciò si ripercosse nell’esperienza di adulto di Tommaso. Egli crebbe con un carattere difficile e litigioso. Anche sua moglie fu molto felice di vederlo unirsi agli apostoli; essa fu sollevata al pensiero che il suo pessimista marito sarebbe stato lontano da casa per la maggior parte del tempo. Tommaso aveva anche una tendenza al sospetto che rendeva molto difficile intendersi pacificamente con lui. Pietro fu inizialmente molto sconcertato da Tommaso, lagnandosi con suo fratello Andrea che Tommaso era “meschino, litigioso e sempre sospettoso”. Ma i suoi compagni più conobbero Tommaso, più lo amarono. Essi scoprirono che era stupendamente onesto e risolutamente leale. Egli era perfettamente sincero e indiscutibilmente veritiero, ma era ipercritico per natura e crescendo era divenuto un vero pessimista. La sua mente analitica era afflitta dal sospetto. Egli stava perdendo rapidamente fede nei suoi simili quando si associò ai dodici ed entrò così in contatto con il carattere nobile di Gesù. Questa associazione con il Maestro cominciò subito a trasformare l’intero carattere di Tommaso e ad effettuare grandi cambiamenti nelle sue reazioni mentali verso i suoi simili.
(1561.4) 139:8.4 La grande forza di Tommaso era la sua stupenda mente analitica, unita al suo indomabile coraggio — una volta che aveva preso le sue decisioni. Il suo grande punto debole era il dubbio sospettoso, che non riuscì mai a vincere completamente in tutta la sua vita nella carne.
(1561.5) 139:8.5 Nell’organizzazione dei dodici Tommaso aveva l’incarico di stabilire ed organizzare gli itinerari, ed era un abile direttore del lavoro e degli spostamenti del corpo apostolico. Egli era un buon esecutore, un eccellente uomo d’affari, ma era condizionato dai suoi molti stati d’animo; un giorno era un uomo ed in quello successivo un altro uomo. Egli era incline a malinconiche meditazioni quando si unì agli apostoli, ma il contatto con Gesù e con gli apostoli lo guarì in larga misura da questa introspezione morbosa.
(1561.6) 139:8.6 Gesù godeva moltissimo della compagnia di Tommaso ed ebbe numerose lunghe conversazioni personali con lui. La sua presenza tra gli apostoli era un grande conforto per tutti gli scettici onesti ed incoraggiò molte menti turbate ad entrare nel regno, anche se non riuscivano a comprendere interamente tutti gli aspetti spirituali e filosofici degli insegnamenti di Gesù. L’ammissione di Tommaso tra i dodici fu una permanente dichiarazione che Gesù amava anche gli onesti dubitatori.
(1562.1) 139:8.7 Gli altri apostoli riverivano Gesù a causa di qualche tratto speciale e preminente della sua ricca personalità, ma Tommaso riveriva il Maestro per il suo carattere stupendamente equilibrato. Tommaso ammirava ed onorava sempre di più un essere così amorevolmente misericordioso eppure così inflessibilmente giusto ed equo; così fermo, ma mai ostinato; così calmo, ma mai indifferente; così premuroso e così compassionevole, ma mai importuno e prepotente; così forte ed allo stesso tempo così gentile; così positivo, ma mai brutale o rude; così dolce, ma mai esitante; così puro ed innocente, ma allo stesso tempo così virile, energico e vigoroso; così veramente coraggioso, ma mai avventato o temerario; così amante della natura, ma così libero da ogni tendenza a riverire la natura; così pieno di umorismo e di allegria, ma così scevro da leggerezza e frivolezza. Era questa incomparabile simmetria di personalità che affascinava tanto Tommaso. Egli probabilmente godeva della più alta comprensione intellettuale e valutazione della personalità di Gesù rispetto a qualunque dei dodici.
(1562.2) 139:8.8 Nei consigli dei dodici Tommaso era sempre prudente, perorando in primo luogo una politica di sicurezza, ma se il suo conservatorismo era respinto o superato, egli era sempre il primo a lanciarsi intrepidamente nell’esecuzione del programma concordato. Moltissime volte egli si oppose a progetti considerati temerari e presuntuosi; egli discuteva fino in fondo, ma quando Andrea metteva la proposta ai voti, e dopo che i dodici avevano scelto di fare quello cui egli si era così strenuamente opposto, Tommaso era il primo a dire: “Andiamo!” Egli era un buon giocatore. Non portava rancore e non era suscettibile. Più e più volte si oppose a che Gesù si esponesse al pericolo, ma quando il Maestro decideva di prendere tali rischi, era sempre Tommaso che radunava gli apostoli con le sue parole coraggiose: “Venite, compagni, andiamo a morire con lui.”
(1562.3) 139:8.9 Sotto certi aspetti Tommaso assomigliava a Filippo; voleva anche lui “che gli si facesse vedere”, ma le sue espressioni esteriori di dubbio erano basate su operazioni intellettuali del tutto differenti. Tommaso era analitico, non semplicemente scettico. Per quanto riguardava il coraggio fisico personale, egli era uno dei più coraggiosi fra i dodici.
(1562.4) 139:8.10 Tommaso passò dei giorni molto brutti; a volte era triste e abbattuto. La perdita della sorella gemella quando aveva nove anni gli aveva procurato molto dispiacere in gioventù ed aveva accresciuto i problemi caratteriali della sua vita successiva. Quando Tommaso era triste, era talvolta Natanaele che lo aiutava a riprendersi, talvolta Pietro, e non di rado uno dei gemelli Alfeo. Quando era maggiormente depresso egli cercava sempre disgraziatamente di evitare di venire a contatto diretto con Gesù. Ma il Maestro era al corrente di tutto ciò ed aveva una comprensiva tenerezza per il suo apostolo quando era così afflitto dalla depressione e tormentato dai dubbi.
(1562.5) 139:8.11 Talvolta Tommaso otteneva da Andrea il permesso di assentarsi da solo per un giorno o due. Ma egli imparò subito che questa condotta non era saggia; si accorse presto che era preferibile, quando era abbattuto, rimanere attaccato al suo lavoro e restare vicino ai suoi compagni. Ma qualunque cosa fosse accaduta nella sua vita emotiva, egli continuava fermamente ad essere un apostolo. Quando giungeva effettivamente il momento di farsi avanti, era sempre Tommaso che diceva: “Andiamo!”
(1562.6) 139:8.12 Tommaso è il più grande esempio di un essere umano che ha dei dubbi, che li affronta e che li vince. Egli aveva una grande mente; non era un critico cavilloso. Era un pensatore logico; era la prova del fuoco per Gesù e per i suoi compagni apostoli. Se Gesù e la sua opera non fossero stati autentici, non si sarebbe potuto trattenere un uomo come Tommaso dall’inizio alla fine. Egli aveva un senso acuto e sicuro dei fatti. Al primo apparire di frode o d’inganno Tommaso li avrebbe abbandonati tutti. Gli scienziati possono non comprendere pienamente tutto su Gesù e sulla sua opera sulla terra, ma ha vissuto e lavorato con il Maestro e con i suoi associati umani un uomo la cui mente era quella di un vero scienziato — Tommaso Didimo — ed egli credeva in Gesù di Nazaret.
(1563.1) 139:8.13 Tommaso attraversò dei momenti difficili durante i giorni del giudizio e della crocifissione. Egli fu per un certo periodo al colmo della disperazione, ma riprese coraggio, rimase unito agli apostoli, ed era presente con loro ad accogliere cordialmente Gesù presso il Mare di Galilea. Per un momento cedette alla sua crisi di dubbio, ma ritrovò alla fine la sua fede ed il suo coraggio. Egli diede saggi consigli agli apostoli dopo la Pentecoste, e quando le persecuzioni dispersero i credenti andò a Cipro, a Creta, sulla costa del Nordafrica ed in Sicilia, predicando la buona novella del regno e battezzando i credenti. E Tommaso continuò a predicare e a battezzare fino a quando fu catturato dagli agenti del governo romano e fu messo a morte a Malta. Proprio alcune settimane prima della sua morte egli aveva cominciato a scrivere la vita e gli insegnamenti di Gesù.
(1563.2) 139:9.1 Giacomo e Giuda, i figli di Alfeo, i pescatori gemelli che abitavano vicino a Keresa, erano il nono e il decimo apostolo e furono scelti da Giacomo e Giovanni Zebedeo. Essi avevano 26 anni ed erano sposati; Giacomo aveva tre figli, Giuda due.
(1563.3) 139:9.2 Non c’è molto da dire su questi due comuni pescatori. Essi amavano il loro Maestro e Gesù amava loro, ma essi non interrompevano mai i suoi discorsi con delle domande. Essi capivano molto poco delle discussioni filosofiche o dei dibattiti teologici dei loro compagni apostoli, ma erano felici di trovarsi incorporati in un tale gruppo di uomini potenti. Questi due uomini erano quasi identici nell’aspetto fisico, per caratteristiche mentali e per grado di percezione spirituale. Quello che si può dire dell’uno si può dire dell’altro.
(1563.4) 139:9.3 Andrea li incaricò di mantenere l’ordine tra le folle. Essi erano i capi accompagnatori durante le ore di predicazione e di fatto i servitori ed i fattorini dei dodici. Aiutavano Filippo per le provviste, portavano il denaro alle famiglie per conto di Natanaele ed erano sempre pronti a dare una mano a ciascuno degli apostoli.
(1563.5) 139:9.4 Le moltitudini della gente comune erano molto incoraggiate nel vedere due persone simili a loro onorate da un posto tra gli apostoli. Grazie alla loro sola ammissione come apostoli, questi mediocri gemelli furono il tramite per portare una quantità di credenti timorosi nel regno. Ed inoltre la gente del popolo accettava più volentieri l’idea di essere condotti e diretti da accompagnatori ufficiali che erano molto simili a loro stessi.
(1563.6) 139:9.5 Giacomo e Giuda, che erano anche chiamati Taddeo e Lebbeo, non avevano né punti forti né punti deboli. I soprannomi dati loro dai discepoli erano benevoli appellativi di mediocrità. Essi erano “i meno importanti di tutti gli apostoli”; essi lo sapevano e ciò li metteva di buonumore.
(1563.7) 139:9.6 Giacomo Alfeo amava particolarmente Gesù a causa della semplicità del Maestro. Questi gemelli non riuscivano a comprendere la mente di Gesù, ma coglievano il legame affettuoso tra loro stessi ed il cuore del loro Maestro. La loro mente non era di ordine elevato; essi potevano anche, con tutto il rispetto, essere definiti stupidi, ma fecero un’esperienza reale nella loro natura spirituale. Essi credevano in Gesù; erano dei figli di Dio e dei cittadini del regno.
(1564.1) 139:9.7 Giuda Alfeo era attratto da Gesù per l’umiltà senza ostentazione del Maestro. Questa umiltà, aggiunta ad una simile dignità personale, esercitava una grande attrattiva su Giuda. Il fatto che Gesù raccomandasse sempre il silenzio sui suoi atti straordinari fece una grande impressione su questo figlio semplice della natura.
(1564.2) 139:9.8 I gemelli erano d’indole buona, degli aiutanti ingenui, e tutti li amavano. Gesù accolse questi giovani uomini che avevano un solo talento in posizioni d’onore nel suo gruppo personale del regno perché ci sono innumerevoli milioni di altre anime simili, semplici e timorose nei mondi dello spazio, che egli desidera accogliere similmente in una comunione attiva e credente con se stesso e con il suo effuso Spirito della Verità. Gesù non disprezzava la limitatezza, ma soltanto il male ed il peccato. Giacomo e Giuda erano limitati, ma erano anche fedeli. Essi erano semplici ed ignoranti, ma erano anche di grande cuore, buoni e generosi.
(1564.3) 139:9.9 E quanto furono fieri di gratitudine questi uomini umili il giorno in cui il Maestro rifiutò di accogliere un certo uomo ricco come evangelista, a meno che non avesse venduto i suoi beni ed aiutato i poveri. Quando la gente udì ciò e vide i gemelli tra i suoi consiglieri, seppe con certezza che Gesù non faceva eccezioni per nessuno. Ma soltanto un’istituzione divina — il regno dei cieli — poteva essere costruita su fondamenta umane così modeste!
(1564.4) 139:9.10 Solo una volta o due in tutta la loro associazione con Gesù i gemelli si azzardarono a porre delle domande in pubblico. Giuda fu una volta spinto a porre una domanda a Gesù dopo che il Maestro aveva parlato di rivelare apertamente se stesso al mondo. Egli si sentiva un po’ deluso dal fatto che non ci sarebbero stati più segreti tra i dodici, e si azzardò a chiedere: “Ma, Maestro, quando ti proclamerai così al mondo, come ci favorirai con delle manifestazioni speciali della tua bontà?”
(1564.5) 139:9.11 I gemelli servirono fedelmente sino alla fine, sino ai giorni oscuri del giudizio, della crocifissione e della disperazione. Essi non persero mai la loro fede sincera in Gesù e (dopo Giovanni) furono i primi a credere nella sua risurrezione. Ma non riuscirono a comprendere l’instaurazione del regno. Poco dopo che il loro Maestro fu crocifisso, essi ritornarono alle loro famiglie e alle loro reti; il loro compito era terminato. Essi non avevano la capacità d’impegnarsi nelle battaglie più complesse del regno. Ma vissero e morirono coscienti di essere stati onorati e benedetti da quattro anni di stretta e personale associazione con un Figlio di Dio, il creatore sovrano di un universo.
(1564.6) 139:11.1 Simone Zelota, l’undicesimo apostolo, fu scelto da Simon Pietro. Egli era un uomo capace, di buona stirpe, e viveva con la sua famiglia a Cafarnao. Aveva ventotto anni quando fu aggregato agli apostoli. Egli era un focoso agitatore ed era anche un uomo che parlava molto senza riflettere. Era stato mercante a Cafarnao prima di rivolgere tutta la sua attenzione all’organizzazione patriottica degli Zeloti.
(1564.7) 139:11.2 Simone Zelota fu incaricato del divertimento e della ricreazione del gruppo apostolico, ed era un organizzatore molto efficiente delle distrazioni e delle attività ricreative dei dodici.
(1564.8) 139:11.3 La forza di Simone era la sua ispirante fedeltà. Quando gli apostoli incontravano un uomo o una donna che si dibattevano nell’indecisione circa la loro entrata nel regno, mandavano a cercare Simone. Di solito bastava soltanto un quarto d’ora a questo entusiasta sostenitore della salvezza per mezzo della fede in Dio per risolvere ogni dubbio e rimuovere ogni indecisione, per vedere una nuova anima nascere “nella libertà della fede e nella gioia della salvezza”.
(1565.1) 139:11.4 La grande debolezza di Simone era la sua mentalità materialista. Egli non poteva trasformarsi rapidamente da Ebreo nazionalista in un internazionalista incline alla spiritualità. Quattro anni furono un tempo troppo breve per operare una tale trasformazione intellettuale ed emotiva, ma Gesù fu sempre paziente con lui.
(1565.2) 139:11.5 La sola qualità di Gesù che Simone ammirava tanto era la calma del Maestro, la sua sicurezza, la sua padronanza, la sua inesplicabile compostezza.
(1565.3) 139:11.6 Benché Simone fosse un fanatico rivoluzionario, un intrepido tizzone ardente di agitazioni, dominò gradualmente la sua natura focosa fino a divenire un potente ed efficace predicatore di “pace in terra e buona volontà tra gli uomini”. Simone brillava nei dibattiti; amava discutere. E quando si doveva affrontare la mentalità legalistica degli Ebrei istruiti o le sofisticherie intellettuali dei Greci, il compito era sempre assegnato a Simone.
(1565.4) 139:11.7 Egli era un ribelle per natura ed un iconoclasta per formazione, ma Gesù lo conquistò ai concetti superiori del regno dei cieli. Egli aveva sempre identificato se stesso con il partito della protesta, ma ora aderiva al partito del progresso, alla progressione illimitata ed eterna dello spirito e della verità. Simone era un uomo di fedeltà ferventi e di ardenti devozioni personali, ed amava profondamente Gesù.
(1565.5) 139:11.8 Gesù non temeva di confrontarsi con uomini d’affari, lavoratori, ottimisti, pessimisti, filosofi, scettici, Pubblicani, politici e patrioti.
(1565.6) 139:11.9 Il Maestro ebbe numerosi colloqui con Simone, ma non riuscì mai a trasformare pienamente in un internazionalista questo ardente nazionalista ebreo. Gesù diceva spesso a Simone che era legittimo desiderare di vedere migliorati l’ordine sociale, economico e politico, ma aggiungeva sempre: “Quello non è affare del regno dei cieli. Noi dobbiamo dedicarci a fare la volontà del Padre. Il nostro compito è di essere gli ambasciatori di un governo spirituale superiore, e non dobbiamo occuparci nell’immediato di nessun’altra cosa che di rappresentare la volontà ed il carattere del Padre divino che sta alla testa del governo di cui noi portiamo le credenziali.” Tutto ciò era difficile da comprendere per Simone, ma gradualmente egli giunse a cogliere qualcosa del significato dell’insegnamento del Maestro.
(1565.7) 139:11.10 Dopo la dispersione causata dalle persecuzioni di Gerusalemme, Simone si ritirò per un certo tempo. Egli era letteralmente annientato. In quanto patriota nazionalista aveva rinunciato alla sua posizione per riguardo agli insegnamenti di Gesù; ora tutto era perduto. Egli era nella disperazione, ma in capo a qualche anno riprese le sue speranze e partì per proclamare il vangelo del regno.
(1565.8) 139:11.11 Egli si recò ad Alessandria e, dopo aver risalito il Nilo, penetrò nel cuore dell’Africa predicando ovunque il vangelo di Gesù e battezzando i credenti. Lavorò così finché divenne vecchio e debole. E morì e fu sepolto nel cuore dell’Africa.
(1565.9) 139:12.1 Giuda Iscariota, il dodicesimo apostolo, fu scelto da Natanaele. Era nato a Keriot, una piccola città della Giudea meridionale. Quando era ancora un ragazzo i suoi genitori si erano trasferiti a Gerico, dove egli visse e fu impiegato nelle diverse imprese commerciali di suo padre fino al momento in cui divenne interessato alla predicazione e all’opera di Giovanni il Battista. I genitori di Giuda erano Sadducei, e quando il loro figlio si unì ai discepoli di Giovanni essi lo rinnegarono.
(1566.1) 139:12.2 Quando Natanaele incontrò Giuda a Tarichea, questi stava cercando un impiego presso un essicatoio di pesce all’estremità inferiore del Mare di Galilea. Egli aveva trent’anni ed era celibe quando si unì agli apostoli. Egli era probabilmente il più istruito dei dodici ed il solo Giudeo nella famiglia apostolica del Maestro. Giuda non aveva alcun tratto saliente di forza personale, sebbene avesse esteriormente molti tratti evidenti di cultura e di maniere educate. Era un buon pensatore, ma non sempre un pensatore veramente onesto. Giuda non capiva in realtà se stesso; non era del tutto sincero verso se stesso.
(1566.2) 139:12.3 Andrea nominò Giuda tesoriere dei dodici, una posizione che egli era eminentemente qualificato ad occupare, e fino al momento in cui tradì il suo Maestro egli adempì le responsabilità del suo incarico onestamente, fedelmente e molto efficientemente.
(1566.3) 139:12.4 Non c’era alcun tratto speciale di Gesù che Giuda ammirasse oltre alla personalità generalmente attraente e squisitamente affascinante del Maestro. Giuda non fu mai capace di elevarsi al di sopra dei suoi pregiudizi di Giudeo verso i suoi compagni galilei. Arrivò anche a criticare nella sua mente molte cose di Gesù. Questo vanitoso Giudeo osava spesso giudicare in cuor suo colui che undici apostoli consideravano l’uomo perfetto, “una persona assolutamente incantevole ed il più eminente tra diecimila”. Egli riteneva veramente che Gesù fosse timido ed avesse un po’ paura di affermare il suo potere e la sua autorità.
(1566.4) 139:12.5 Giuda era un bravo uomo d’affari. Ci voleva tatto, abilità e pazienza, come pure assidua devozione, per dirigere gli affari finanziari di un idealista come Gesù, senza parlare della lotta contro i metodi disordinati nel modo di condurre gli affari di alcuni dei suoi apostoli. Giuda era realmente un grande amministratore, un finanziere previdente e capace. Ed era pignolo nell’organizzazione. Nessuno dei dodici criticò mai Giuda. Per quanto essi potevano vedere, Giuda Iscariota era un tesoriere incomparabile, un uomo istruito, un apostolo leale (benché talvolta critico), ed in ogni senso del termine una grande riuscita. Gli apostoli amavano Giuda; egli era veramente uno di loro. Egli deve aver creduto in Gesù, ma dubitiamo che abbia realmente amato il Maestro con tutto il suo cuore. Il caso di Giuda illustra la veridicità del detto: “C’è una via che sembra giusta ad un uomo, ma la fine di essa è la morte.” È del tutto possibile cadere vittima della pacifica illusione del piacevole adattamento alle vie del peccato e della morte. Siate certi che Giuda fu sempre finanziariamente leale verso il suo Maestro ed i suoi compagni apostoli. Il denaro non avrebbe mai potuto essere il motivo del suo tradimento del Maestro.
(1566.5) 139:12.6 Giuda era il figlio unico di genitori poco saggi. Quando era molto giovane egli fu viziato e vezzeggiato; era un bambino guastato. Crescendo egli si fece delle idee esagerate sulla sua importanza. Non sapeva perdere. Aveva delle idee approssimative e distorte sull’equità; era incline all’odio e al sospetto. Egli era un esperto nell’errata interpretazione delle parole e degli atti dei suoi amici. Per tutta la sua vita Giuda aveva coltivato l’abitudine di vendicarsi contro coloro che immaginava l’avessero trattato male. Il suo senso dei valori e della lealtà era carente.
(1566.6) 139:12.7 Per Gesù, Giuda era un’avventura della fede. Fin dall’inizio il Maestro aveva perfettamente compreso la debolezza di questo apostolo e conosceva bene i pericoli di ammetterlo nella comunità. Ma è nella natura dei Figli di Dio dare ad ogni essere creato una possibilità completa ed uguale di salvezza e di sopravvivenza. Gesù voleva che non solo i mortali di questo mondo, ma anche gli osservatori d’innumerevoli altri mondi sapessero che, quando esistono dubbi sulla sincerità e sulla franchezza di devozione di una creatura verso il regno, è pratica costante dei Giudici degli uomini accogliere pienamente il candidato dubbioso. La porta della vita eterna è spalancata a tutti; “chiunque lo desideri può entrare”; non vi sono restrizioni o riserve eccetto la fede di colui che viene.
(1567.1) 139:12.8 È proprio questa la ragione per cui Gesù permise a Giuda di proseguire fino in fondo, facendo sempre tutto il possibile per trasformare e salvare questo apostolo debole e confuso. Ma quando la luce non è onestamente accolta e messa in pratica, tende a diventare tenebra nell’anima. Giuda crebbe intellettualmente per quanto riguarda gli insegnamenti di Gesù sul regno, ma non progredì nell’acquisizione di un carattere spirituale come fecero gli altri apostoli. Egli non riuscì a fare dei progressi personali soddisfacenti nell’esperienza spirituale.
(1567.2) 139:12.9 Giuda si diede sempre più a covare la propria delusione personale e divenne alla fine una vittima del proprio risentimento. I suoi sentimenti erano stati molte volte offesi ed egli divenne eccessivamente sospettoso dei suoi migliori amici, anche del Maestro. Egli fu presto ossessionato dall’idea di saldare i conti, di fare qualunque cosa per vendicarsi, sì, anche di tradire i suoi compagni ed il suo Maestro.
(1567.3) 139:12.10 Ma queste idee perverse e pericolose non presero forma definitiva fino al giorno in cui una donna riconoscente ruppe un costoso vasetto d’incenso ai piedi di Gesù. Questo sembrò uno spreco per Giuda, e quando la sua protesta pubblica fu così completamente respinta da Gesù là di fronte a tutti, fu troppo per lui. Questo avvenimento mise in moto quanto aveva accumulato di odio, di male, di cattiveria, di pregiudizio, di gelosia e di desiderio di vendetta durante tutta la sua vita, ed egli decise di vendicarsi con chiunque capitasse. Ma egli cristallizzò tutto il male della sua natura sulla sola persona innocente in tutto il sordido dramma della sua vita infelice, soltanto perché Gesù si trovò ad essere l’attore principale dell’episodio che segnò il suo passaggio dal regno progressivo della luce al dominio delle tenebre da lui stesso scelto.
(1567.4) 139:12.11 Molte volte il Maestro, in pubblico ed in privato, aveva avvertito Giuda che stava sbagliando, ma gli avvertimenti divini sono di solito inutili quando sono indirizzati ad una natura umana guastata. Gesù fece tutto il possibile, compatibilmente con il libero arbitrio morale degli uomini, per impedire che Giuda scegliesse di andare per una cattiva strada. La grande prova alla fine arrivò. Il figlio del rancore fallì; egli cedette alle inacidite e sordide direttive di una mente arrogante e vendicativa, risultante da un’esagerata presunzione e rapidamente caduta nella confusione, nella disperazione e nella depravazione.
(1567.5) 139:12.12 Giuda entrò allora nel vile ed infame intrigo volto a tradire il suo Signore e Maestro, e mise rapidamente in atto il suo nefasto progetto. Durante l’esecuzione dei suoi piani di sleale tradimento concepiti nella collera, egli provò dei momenti di rimorso e di vergogna, ed in questi intervalli di lucidità concepì in modo pusillanime, come giustificazione nella propria mente, l’idea che Gesù avrebbe potuto forse esercitare il suo potere e liberarsi all’ultimo momento.
(1567.6) 139:12.13 Quando la sordida ed empia faccenda fu finita, questo mortale rinnegato, che ci pensò poco a vendere il suo amico per trenta monete d’argento per soddisfare il suo forte desiderio di vendetta a lungo nutrito, fuggì precipitosamente e compì l’atto finale del dramma consistente nel fuggire dalle realtà dell’esistenza mortale — il suicidio.
(1567.7) 139:12.14 Gli undici apostoli rimasero inorriditi, storditi. Gesù giudicò il traditore soltanto con pietà. I mondi hanno trovato difficile perdonare Giuda, ed il suo nome è evitato da tutto un immenso universo.
(1568.1) 140:0.1 POCO prima di mezzogiorno di domenica 12 gennaio dell’anno 27 d.C., Gesù riunì gli apostoli per la loro ordinazione come predicatori pubblici del vangelo del regno. I dodici si aspettavano di essere chiamati da un giorno all’altro; così questa mattina non si allontanarono molto dalla riva per pescare. Alcuni di loro erano rimasti vicino alla riva a riparare le reti e ad armeggiare con i loro attrezzi da pesca.
(1568.2) 140:0.2 Quando Gesù scese sulla spiaggia per riunire gli apostoli, chiamò per primi Andrea e Pietro, che stavano pescando vicino alla riva; poi fece segno a Giacomo e a Giovanni, che stavano su un battello poco lontano, chiacchierando con il loro padre Zebedeo e rammendando le reti. Radunò poi a due a due gli altri apostoli, e quando li ebbe riuniti tutti e dodici, partì con loro per la regione montuosa a nord di Cafarnao, dove procedette ad istruirli in preparazione della loro ordinazione ufficiale.
(1568.3) 140:0.3 Per una volta tutti i dodici gli apostoli erano silenziosi; anche Pietro era in stato d’animo di riflessione. Alla fine il momento tanto atteso era giunto! Essi stavano partendo da soli con il Maestro per partecipare ad una qualche sorta di cerimonia solenne di consacrazione personale e di dedicazione collettiva all’opera sacra di rappresentare il loro Maestro nella proclamazione della venuta del regno di suo Padre.
(1568.4) 140:1.1 Prima della cerimonia ufficiale di ordinazione Gesù parlò ai dodici mentre stavano seduti attorno a lui, dicendo: “Fratelli miei, l’ora del regno è giunta. Vi ho condotti qui da soli con me per presentarvi al Padre come ambasciatori del regno. Alcuni di voi mi hanno sentito parlare di questo regno nella sinagoga quando foste radunati per la prima volta. Ciascuno di voi ha appreso di più sul regno del Padre poiché siete stati a lavorare con me nelle città intorno al Mare di Galilea. Ma ora ho qualcosa di più da dirvi su questo regno.
(1568.5) 140:1.2 “Il nuovo regno che mio Padre è sul punto di stabilire nel cuore dei suoi figli terreni sarà un dominio eterno. Non ci sarà fine di questo governo di mio Padre nel cuore di coloro che desiderano fare la sua volontà divina. Io vi dichiaro che mio Padre non è il Dio degli Ebrei o dei Gentili. Molti verranno dall’oriente e dall’occidente a sedere con noi nel regno del Padre, mentre molti dei figli di Abramo rifiuteranno di entrare in questa nuova fratellanza del governo dello spirito del Padre nel cuore dei figli degli uomini.
(1568.6) 140:1.3 “La potenza di questo regno non consisterà né nella forza degli eserciti né nel potere delle ricchezze, ma piuttosto nella gloria dello spirito divino che verrà ad istruire le menti e a dirigere i cuori dei cittadini rinati di questo regno celeste, i figli di Dio. Questa è la fratellanza dell’amore in cui regna la rettitudine, ed il cui grido di battaglia sarà: pace sulla terra e buona volontà a tutti gli uomini. Questo regno che andrete tra poco a proclamare è il desiderio degli uomini buoni di tutte le ere, la speranza di tutta la terra ed il compimento delle sagge promesse di tutti i profeti.
(1569.1) 140:1.4 “Ma per voi, figli miei, e per tutti gli altri che vorranno seguirvi in questo regno, è stabilita una severa prova. Soltanto la fede vi permetterà di oltrepassare le sue porte, ma voi dovrete produrre i frutti dello spirito di mio Padre se vorrete continuare l’ascensione nella vita progressiva della comunità divina. In verità, in verità vi dico, nessuno che dice: ‘Signore, Signore’ entrerà nel regno dei cieli, ma piuttosto colui che fa la volontà di mio Padre che è nei cieli.
(1569.2) 140:1.5 “Il vostro messaggio al mondo sarà: cercate prima il regno di Dio e la sua rettitudine, e quando avrete trovato questi, tutte le altre cose essenziali per la sopravvivenza eterna vi saranno assicurate in aggiunta. Ed ora vorrei chiarirvi che questo regno di mio Padre non verrà con un’esibizione esteriore di potere o con una sconveniente dimostrazione. Non dovete partire quindi per proclamare il regno dicendo: ‘esso è qui’ o ‘esso è là’, perché questo regno di cui predicate è Dio in voi.
(1569.3) 140:1.6 “Chiunque voglia essere grande nel regno di mio Padre dovrà diventare un ministro per tutti; e chiunque voglia essere primo tra voi, che diventi il servitore dei suoi fratelli. Ma una volta che sarete veramente accolti come cittadini nel regno celeste, non sarete più servitori ma figli, figli del Dio vivente. E così questo regno progredirà nel mondo fino a che non avrà travolto tutte le barriere e portato tutti gli uomini a conoscere mio Padre ed a credere nella verità salvifica che io sono venuto a proclamare. Anche ora il regno è a portata di mano, ed alcuni di voi non moriranno senza aver visto il regno di Dio venire con grande potenza.
(1569.4) 140:1.7 “E ciò che i vostri occhi vedono ora, questo piccolo inizio di dodici uomini comuni, si moltiplicherà e crescerà sino a che alla fine tutta la terra sarà ricolma delle lodi di mio Padre. E non sarà tanto per le parole che pronuncerete quanto per la vita che vivrete che gli uomini sapranno che siete stati con me e che siete stati istruiti sulle realtà del regno. Anche se non vorrei porre grevi fardelli sulle vostre menti, sto per caricare le vostre anime della solenne responsabilità di rappresentarmi nel mondo quando presto vi lascerò, come io rappresento ora mio Padre in questa vita che sto vivendo nella carne.” E quando ebbe finito di parlare, egli si alzò in piedi.
(1569.5) 140:2.1 Gesù ordinò ora ai dodici mortali che avevano appena ascoltato la sua dichiarazione sul regno d’inginocchiarsi in cerchio attorno a lui. Poi il Maestro posò le sue mani sulla testa di ciascun apostolo, cominciando da Giuda Iscariota e finendo con Andrea. Dopo averli benedetti, egli stese le sue mani e pregò:
(1569.6) 140:2.2 “Padre mio, conduco ora a te questi uomini, miei messaggeri. Tra i nostri figli sulla terra ho scelto questi dodici per andare a rappresentarmi come io sono venuto a rappresentare te. Amali ed accompagnali come tu hai amato ed accompagnato me. Ed ora, Padre mio, dona a questi uomini la saggezza poiché io pongo tutti gli affari del regno futuro nelle loro mani. E vorrei, se tale è la tua volontà, restare qualche tempo sulla terra per aiutarli nel loro lavoro per il regno. E nuovamente, Padre mio, ti ringrazio per questi uomini e li affido alla tua custodia mentre io vado a completare l’opera che mi hai dato da compiere.”
(1570.1) 140:2.3 Quando Gesù ebbe finito di pregare, gli apostoli rimasero ognuno chinato al proprio posto. Trascorsero parecchi minuti prima che Pietro osasse alzare gli occhi per guardare il Maestro. Ad uno ad uno essi abbracciarono Gesù, ma nessuno disse una parola. Un grande silenzio pervadeva quel luogo, mentre una folla di esseri celesti contemplava dall’alto questa scena sacra e solenne — il Creatore di un universo che poneva gli affari della fratellanza divina degli uomini sotto la direzione di menti umane.
(1570.2) 140:3.1 Poi Gesù parlò e disse: “Ora che siete ambasciatori del regno di mio Padre, siete divenuti con ciò una classe di uomini separati e distinti da tutti gli altri uomini sulla terra. Ora non siete più come uomini tra gli uomini, ma come cittadini illuminati di un altro paese celeste tra le creature ignoranti di questo mondo ottenebrato. Non è sufficiente che viviate come eravate prima di quest’ora, ma d’ora in poi dovete vivere come coloro che hanno gustato le glorie di una vita migliore e che sono stati rinviati sulla terra come ambasciatori del Sovrano di questo mondo nuovo e migliore. Dall’insegnante ci si aspetta di più che dall’allievo; dal padrone si esige di più che dal servitore. Dai cittadini del regno celeste si richiede di più che dai cittadini del regno terrestre. Alcune delle cose che sto per dirvi potranno sembrare difficili, ma voi avete scelto di rappresentarmi nel mondo come io ora rappresento il Padre. E come miei agenti sulla terra voi sarete obbligati a conformarvi a quegli insegnamenti e a quelle pratiche che riflettono i miei ideali di vita mortale sui mondi dello spazio, e di cui io do l’esempio nella mia vita terrena di rivelazione del Padre che è nei cieli.
(1570.3) 140:3.2 “Io vi mando nel mondo a proclamare la libertà ai prigionieri spirituali, la gioia a coloro che sono schiavi della paura, e a guarire gli ammalati secondo la volontà di mio Padre che è nei cieli. Quando troverete figli miei nella disperazione, parlate loro in modo incoraggiante, dicendo:
(1570.4) 140:3.3 “Beati i poveri di spirito, gli umili, perché i tesori del regno dei cieli appartengono a loro.
(1570.5) 140:3.4 “Beati coloro che hanno fame e sete di rettitudine, perché saranno saziati.
(1570.6) 140:3.5 “Beati i mansueti, perché erediteranno la terra.
(1570.7) 140:3.6 “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
(1570.8) 140:3.7 “E dite anche ai miei figli queste altre parole di conforto spirituale e di promessa:
(1570.9) 140:3.8 “Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati coloro che piangono, perché riceveranno lo spirito di letizia.
(1570.10) 140:3.9 “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia.
(1570.11) 140:3.10 “Beati i pacificatori, perché saranno chiamati figli di Dio.
(1570.12) 140:3.11 “Beati i perseguitati a causa della loro rettitudine, perché a loro appartiene il regno dei cieli. Siate felici quando gli uomini v’insulteranno e vi perseguiteranno e diranno falsamente ogni sorta di cattiverie contro di voi. Gioite e siate estremamente felici, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
(1570.13) 140:3.12 “Fratelli miei, quali io vi mando fuori, voi siete il sale della terra, un sale con sapore di salvezza. Ma se questo sale ha perso il suo sapore, con che cosa si salerà? Esso non serve ormai più a nulla se non ad essere gettato via e calpestato dai piedi degli uomini.
(1570.14) 140:3.13 “Voi siete la luce del mondo. Una città situata su una collina non può essere nascosta. Né gli uomini accendono una candela per metterla sotto un moggio, ma su un candeliere; ed essa dona luce a tutti coloro che sono nella casa. Che la vostra luce brilli davanti agli uomini così che possano vedere le vostre buone opere e siano portati a glorificare vostro Padre che è nei cieli.
(1571.1) 140:3.14 “Io vi mando nel mondo per rappresentarmi e per agire come ambasciatori del regno di mio Padre, e mentre andate a proclamare la buona novella, riponete la vostra fiducia nel Padre del quale siete i messaggeri. Non resistete all’ingiustizia con la forza; non ponete la vostra fiducia nel braccio della carne. Se il vostro prossimo vi colpisce sulla guancia destra, porgetegli anche l’altra. Accettate di subire un’ingiustizia piuttosto che ricorrere alla legge tra di voi. Occupatevi con gentilezza e misericordia di tutti coloro che sono nel dolore e nel bisogno.
(1571.2) 140:3.15 “Io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono e pregate per coloro che vi trattano con disprezzo. E qualunque cosa credete che io farei per gli uomini, fatela anche voi per loro.
(1571.3) 140:3.16 “Vostro Padre che è nei cieli fa brillare il sole sui cattivi come pure sui buoni; similmente egli manda la pioggia sui giusti e sugli ingiusti. Voi siete i figli di Dio; più ancora, voi siete ora gli ambasciatori del regno di mio Padre. Siate misericordiosi, come Dio è misericordioso, e nell’eterno futuro del regno voi sarete perfetti come vostro Padre celeste è perfetto.
(1571.4) 140:3.17 “Voi siete incaricati di salvare gli uomini, non di giudicarli. Alla fine della vostra vita terrena vi aspetterete tutti misericordia; vi chiedo dunque che durante la vostra vita mortale mostriate misericordia verso tutti i vostri fratelli nella carne. Non commettete l’errore di tentare di togliere una pagliuzza dall’occhio del vostro fratello mentre c’è una trave nel vostro occhio. Dopo aver prima tolto la trave dal vostro occhio, potrete vederci meglio per togliere la pagliuzza dall’occhio del vostro fratello.
(1571.5) 140:3.18 “Discernete chiaramente la verità, vivete con intrepidezza la vita di rettitudine, e così sarete miei apostoli e gli ambasciatori di mio Padre. Voi avete sentito dire che: ‘Se un cieco guida un cieco cadranno entrambi nel fosso’. Se volete guidare gli altri nel regno dovete camminare voi stessi nella luce chiara della verità vivente. In tutti gli affari del regno io vi esorto a mostrare un giudizio giusto ed una saggezza acuta. Non porgete ciò che è sacro ai cani, né gettate le vostre perle ai porci, affinché essi non calpestino le vostre gemme e non si rivoltino per mordervi.
(1571.6) 140:3.19 “Io vi metto in guardia contro i falsi profeti che verranno da voi vestiti da pecore, mentre dentro di loro sono come lupi voraci. Li conoscerete dai loro frutti. Gli uomini colgono grappoli d’uva dai rovi o fichi dai cardi? Proprio così, ogni buon albero produce buoni frutti, ma l’albero guasto porta frutti cattivi. Un buon albero non può dare frutti cattivi, né un albero cattivo può produrre buoni frutti. Ogni albero che non produce buoni frutti viene subito abbattuto e gettato nel fuoco. Per ottenere l’ingresso nel regno dei cieli questo è ciò che conta. Mio Padre guarda nel cuore degli uomini e giudica secondo i loro desideri interiori e le loro intenzioni sincere.
(1571.7) 140:3.20 “Nel grande giorno del giudizio del regno molti mi diranno: ‘Non abbiamo profetizzato nel tuo nome e compiuto in nome tuo molte opere meravigliose?’ Ma io sarò costretto a dire loro: ‘Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me voi che siete dei falsi insegnanti.’ Ma chiunque ascolta queste istruzioni ed esegue sinceramente il suo incarico di rappresentarmi davanti agli uomini come io ho rappresentato mio Padre davanti a voi, troverà abbondante accesso al mio servizio e al regno del Padre celeste.”
(1571.8) 140:3.21 Mai prima gli apostoli avevano udito Gesù esprimersi in questo modo, perché egli aveva parlato loro come uno in possesso di autorità suprema. Essi scesero dalla montagna al tramonto, ma nessuno di loro pose una sola domanda a Gesù.
(1572.1) 140:4.1 Il cosiddetto “Sermone della Montagna” non è il vangelo di Gesù. Esso contiene numerose istruzioni utili, ma erano le raccomandazioni di Gesù in occasione dell’ordinazione dei dodici apostoli. Era il conferimento dell’incarico personale del Maestro a coloro che stavano per andare a predicare il vangelo e che aspiravano a rappresentarlo nel mondo degli uomini, come lui rappresentava così eloquentemente e perfettamente suo Padre.
(1572.2) 140:4.2 “Voi siete il sale della terra, un sale con un sapore di salvezza. Ma se questo sale ha perso il suo sapore, con che cosa si salerà? Esso non serve ormai più a nulla se non per essere gettato via e calpestato dai piedi degli uomini.”
(1572.3) 140:4.3 Al tempo di Gesù il sale era prezioso. Esso era utilizzato anche come moneta. La parola moderna “salario” deriva da sale. Il sale non solo dà sapore al cibo, ma è anche una sostanza conservante. Esso rende altre cose più saporite e così è utile quando viene usato.
(1572.4) 140:4.4 “Voi siete la luce del mondo. Una città situata su una collina non può essere nascosta. Né gli uomini accendono una candela per metterla sotto un moggio, ma su un candeliere; ed essa dona luce a tutti coloro che sono nella casa. Che la vostra luce brilli davanti agli uomini così che possano vedere le vostre buone opere e siano portati a glorificare vostro Padre che è nei cieli.”
(1572.5) 140:4.5 Sebbene la luce dissipi le tenebre, essa può anche essere così “abbagliante” da confondere e deludere. Noi siamo esortati a far sì che la nostra luce brilli in modo tale che i nostri simili siano guidati in nuovi e santi sentieri di vita migliore. La nostra luce non deve brillare in modo da attirare l’attenzione su di noi. Anche la propria attività può essere utilizzata come un efficace “riflettore” per la diffusione di questa luce di vita.
(1572.6) 140:4.6 I caratteri forti non si formano non facendo il male, ma piuttosto facendo realmente il bene. L’altruismo è l’emblema della grandezza umana. I più alti livelli di autorealizzazione si raggiungono per mezzo dell’adorazione e del servizio. La persona felice ed attiva è motivata, non dalla paura di fare il male, ma dall’amore di fare il bene.
(1572.7) 140:4.7 “Li conoscerete dai loro frutti.” La personalità è fondamentalmente immutabile; ciò che cambia — che cresce — è il carattere morale. L’errore più grande delle religioni moderne è il negativismo. L’albero che non porta frutti viene “abbattuto e gettato nel fuoco”. Il valore morale non può derivare dalla semplice repressione — obbedendo all’ingiunzione “Tu non farai”. La paura e la vergogna sono motivazioni senza valore per la vita religiosa. La religione è valida solo se rivela la paternità di Dio ed esalta la fratellanza degli uomini.
(1572.8) 140:4.8 Un’efficace filosofia di vita è formata dalla combinazione della percezione cosmica e dalla somma delle proprie reazioni emotive all’ambiente sociale ed economico. Ricordatevi: mentre le tendenze ereditarie non possono essere fondamentalmente modificate, le risposte emotive a queste tendenze possono essere cambiate; perciò la natura morale può essere modificata, il carattere può essere migliorato. In un carattere forte le risposte emotive sono integrate e coordinate, e così si produce una personalità unificata. La mancanza di unificazione indebolisce la natura morale e genera infelicità.
(1572.9) 140:4.9 Senza uno scopo meritorio la vita diviene priva d’interesse ed inutile, e ne deriva molta infelicità. Il discorso di Gesù in occasione dell’ordinazione dei dodici costituisce una magistrale filosofia di vita. Gesù esortò i suoi discepoli ad esercitare una fede esperienziale. Egli li avvertì di non contare su un mero assenso intellettuale, sulla credulità e sull’autorità stabilita.
(1573.1) 140:4.10 L’educazione dovrebbe essere una tecnica per apprendere (per scoprire) i migliori metodi per soddisfare le nostre naturali ed innate tendenze, e la felicità è la risultante finale di queste migliori tecniche di soddisfazioni emotive. La felicità dipende poco dall’ambiente, sebbene un ambiente piacevole possa contribuirvi in grande misura.
(1573.2) 140:4.11 Ogni mortale desidera ardentemente essere una persona completa, essere perfetto come il Padre nei cieli è perfetto, e tale compimento è possibile perché in ultima analisi “l’universo è veramente paterno”.
(1573.3) 140:5.1 Dal Sermone sulla Montagna al discorso dell’Ultima Cena, Gesù insegnò ai suoi discepoli a manifestare amore paterno piuttosto che amore fraterno. Amore fraterno significa amare il vostro prossimo come voi stessi, e ciò sarebbe un’applicazione adeguata della “regola d’oro”. Ma l’affetto paterno esige che amiate i vostri simili mortali come Gesù ama voi.
(1573.4) 140:5.2 Gesù ama l’umanità con un duplice affetto. Egli ha vissuto sulla terra sotto una duplice personalità — umana e divina. Come Figlio di Dio egli ama l’uomo con un amore paterno — egli è il Creatore dell’uomo, è suo Padre nell’universo. Come Figlio dell’Uomo, Gesù ama i mortali come un fratello — egli fu veramente un uomo tra gli uomini.
(1573.5) 140:5.3 Gesù non si aspettava dai suoi discepoli che arrivassero ad una manifestazione impossibile d’amore fraterno, ma contava che si sarebbero sforzati di essere simili a Dio — di essere perfetti come il Padre nei cieli è perfetto — che avrebbero potuto cominciare a considerare gli uomini come Dio considera le sue creature, e quindi cominciare ad amare gli uomini come Dio li ama — a manifestare gli inizi di un affetto paterno. Nel corso di queste esortazioni ai dodici apostoli, Gesù cercò di rivelare questo nuovo concetto d’amore paterno quale si rapporta a certi atteggiamenti emotivi connessi con l’attuazione di numerosi aggiustamenti nell’ambiente sociale.
(1573.6) 140:5.4 Il Maestro iniziò questo importantissimo discorso attirando l’attenzione su quattro atteggiamenti di fede come premessa alla successiva descrizione delle quattro reazioni trascendenti e supreme d’amore paterno, in contrasto con le limitazioni del semplice amore fraterno.
(1573.7) 140:5.5 Egli parlò prima di coloro che erano poveri di spirito, che avevano sete di rettitudine, che persistevano nella mansuetudine e che erano puri di cuore. Questi mortali che discernevano lo spirito potevano aspettarsi di raggiungere livelli di divino altruismo tali da essere capaci di tentare il mirabile esercizio dell’affetto paterno, che anche nel dolore essi sarebbero stati capaci di mostrare misericordia, di promuovere la pace, di sopportare le persecuzioni, e nel corso di tutte queste difficili situazioni di amare anche un’umanità poco degna di essere amata con un amore paterno. L’affetto di un padre può raggiungere livelli di devozione che trascendono immensamente l’affetto di un fratello.
(1573.8) 140:5.6 La fede e l’amore di queste beatitudini fortificano il carattere morale e creano la felicità. La paura e la collera indeboliscono il carattere e distruggono la felicità. Questo importante sermone incominciò in chiave di felicità.
(1573.9) 140:5.7 1. “Beati i poveri di spirito — gli umili.” Per un ragazzo la felicità è la soddisfazione di un desiderio di piacere immediato. L’adulto è disposto a seminare semi di rinuncia per raccogliere messi successive di felicità accresciuta. Al tempo di Gesù, e dopo di allora, la felicità è stata troppo spesso associata all’idea di possedere ricchezze. Nel racconto del Fariseo e del Pubblicano che pregavano nel tempio, uno si sentiva ricco di spirito — egocentrico; l’altro si sentiva “povero di spirito” — umile. Uno era presuntuoso, l’altro era disposto ad apprendere e cercava la verità. Il povero di spirito cerca mete di ricchezza spirituale — cerca Dio. E questi cercatori di verità non devono aspettare le loro ricompense in un futuro lontano; sono ricompensati subito. Essi trovano il regno dei cieli nel loro stesso cuore e sperimentano subito tale felicità.
(1574.1) 140:5.8 2. “Beati coloro che hanno fame e sete di rettitudine, perché saranno saziati.” Soltanto coloro che si sentono poveri di spirito avranno sete di rettitudine. Soltanto gli umili cercano la forza divina e desiderano ardentemente il potere spirituale. Ma è molto pericoloso impegnarsi abilmente in un digiuno spirituale per accrescere la propria fame di doni spirituali. Il digiuno fisico diventa pericoloso dopo quattro o cinque giorni; si rischia di perdere ogni desiderio per il cibo. Il digiuno prolungato, sia fisico che spirituale, tende a distruggere la fame.
(1574.2) 140:5.9 La rettitudine esperienziale è un piacere, non un dovere. La rettitudine di Gesù è un amore dinamico — un affetto paterno-fraterno. Non è una rettitudine negativa o del tipo “tu non farai”. Come si potrebbe aver fame di qualcosa di negativo — di qualcosa “da non fare”?
(1574.3) 140:5.10 Non è facile insegnare ad una mente infantile queste prime due beatitudini, ma una mente matura dovrebbe comprendere il loro significato.
(1574.4) 140:5.11 3. “Beati i mansueti, perché erediteranno la terra.” La mansuetudine autentica non ha alcuna relazione con la paura. Essa è piuttosto un atteggiamento dell’uomo che coopera con Dio — “Sia fatta la tua volontà”. Essa abbraccia la pazienza e la tolleranza ed è motivata da una fede incrollabile in un universo amichevole rispettoso delle leggi. Essa domina ogni tentazione di ribellarsi contro il governo divino. Gesù era l’uomo mite ideale di Urantia ed ereditò un vasto universo.
(1574.5) 140:5.12 4. “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.” La purezza spirituale non è una qualità negativa, eccetto che per mancanza di sospetto e di spirito di vendetta. Parlando di purezza Gesù non intendeva occuparsi esclusivamente dei comportamenti sessuali umani. Egli si riferiva più alla fede che gli uomini dovrebbero avere nei loro simili; quella fede che un genitore ha in suo figlio e che gli permette di amare i suoi simili come li amerebbe un padre. Un amore paterno non ha bisogno di carezze e di passar sopra al male, ma è sempre opposto al cinismo. L’amore paterno ha saldezza di propositi e cerca sempre il meglio nell’uomo; è il comportamento di un vero genitore.
(1574.6) 140:5.13 Vedere Dio — per mezzo della fede — significa acquisire la vera percezione spirituale. E la percezione spirituale esalta la guida dell’Aggiustatore, e questi due alla fine vi rendono più coscienti di Dio. E quando conoscete il Padre, siete confermati nell’assicurazione della filiazione divina e potete amare sempre di più ciascuno dei vostri fratelli nella carne, non solo come un fratello — con un amore fraterno — ma anche come un padre — con un affetto paterno.
(1574.7) 140:5.14 È facile insegnare questa esortazione anche ad un bambino. I bambini sono fiduciosi per natura ed i genitori dovrebbero badare che non perdano questa semplice fede. Nei rapporti con i bambini evitate ogni falsità ed astenetevi dal suscitare il sospetto. Aiutateli saggiamente a scegliere i loro eroi ed a scegliere il lavoro della loro vita.
(1574.8) 140:5.15 Gesù continuò poi ad istruire i suoi discepoli sulla realizzazione del principale scopo di tutte le lotte umane — la perfezione — fino alla realizzazione divina. Egli li ammoniva sempre: “Siate perfetti, come vostro Padre nei cieli è perfetto”. Non esortava i dodici ad amare il loro prossimo come essi amavano se stessi. Quello sarebbe stato un compimento meritorio; esso avrebbe denotato la realizzazione di un amore fraterno. Egli raccomandava piuttosto ai suoi apostoli di amare gli uomini come lui li aveva amati — di amare con un affetto sia paterno che fraterno. Ed illustrò ciò citando quattro reazioni supreme d’amore paterno:
(1575.1) 140:5.16 1. “Beati gli afflitti, perché saranno consolati.” Il cosiddetto buon senso o il meglio della logica non suggerirebbero mai che la felicità può derivare dall’afflizione. Ma Gesù non si riferiva all’afflizione esteriore od ostentatoria. Egli alludeva ad un atteggiamento emotivo di sensibilità. È un grande errore insegnare ai ragazzi ed ai giovani che non è virile mostrare tenerezza o testimoniare in altro modo sentimenti emozionali o sofferenze fisiche. La compassione è un attributo meritorio del maschio come pure della femmina. Non è necessario essere insensibili per essere virili. Questo è un modo sbagliato di creare uomini coraggiosi. I grandi uomini del mondo non hanno avuto paura di rattristarsi. Mosè, l’afflitto, era un uomo più grande sia di Sansone che di Golia. Mosè era un capo magnifico, ma era anche un uomo di mansuetudine. Il fatto di essere sensibile e comprensivo verso i bisogni umani crea un’autentica e durevole felicità, e allo stesso tempo questi atteggiamenti benevoli proteggono l’anima dalle influenze distruttive della collera, dell’odio e del sospetto.
(1575.2) 140:5.17 2. “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia.” La misericordia qui denota l’altezza, la profondità e la larghezza dell’amicizia più sincera — l’affettuosa benevolenza. La misericordia può essere talvolta passiva, ma qui è attiva e dinamica — supremo amore paterno. Un genitore amorevole trova poca difficoltà a perdonare suo figlio, anche molte volte. Ed in un ragazzo ben allevato il bisogno di alleviare le sofferenze è naturale. I figli sono per natura buoni e compassionevoli quando sono abbastanza adulti da valutare le reali condizioni.
(1575.3) 140:5.18 3. “Beati i pacificatori, perché saranno chiamati figli di Dio.” Gli ascoltatori di Gesù desideravano ardentemente un liberatore militare, non dei pacificatori. Ma la pace di Gesù non è del genere pacifico e negativo. Di fronte alle prove e alle persecuzioni egli diceva: “Vi lascio la mia pace.” “Che il vostro cuore non sia turbato, né sia impaurito.” Questa è la pace che impedisce conflitti disastrosi. La pace personale integra la personalità. La pace sociale evita la paura, la cupidigia e la collera. La pace politica impedisce gli antagonismi razziali, i sospetti nazionali e la guerra. La pacificazione è la cura della diffidenza e del sospetto.
(1575.4) 140:5.19 È facile insegnare ai bambini ad agire come pacificatori. Essi amano le attività di gruppo; a loro piace giocare insieme. In un’altra occasione il Maestro disse: “Chiunque vuole salvare la sua vita la perderà, ma chiunque accetta di perdere la sua vita la troverà.”
(1575.5) 140:5.20 4. “Beati coloro che sono perseguitati a causa della rettitudine, perché a loro appartiene il regno dei cieli. Siate felici quando gli uomini v’insulteranno e vi perseguiteranno e diranno falsamente ogni sorta di cattiverie contro di voi. Gioite e siate estremamente felici, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.”
(1575.6) 140:5.21 Molto spesso la persecuzione segue la pace. Ma i giovani e gli adulti coraggiosi non fuggono mai la difficoltà o il pericolo. “Non c’è amore più grande per un uomo che dare la propria vita per i suoi amici.” Ed un amore paterno può facilmente fare tutte queste cose — cose che l’amore fraterno non può comportare. Il progresso è sempre stato il risultato finale della persecuzione.
(1575.7) 140:5.22 I ragazzi rispondono sempre alla sfida del coraggio. La gioventù è sempre pronta ad “accettare una sfida”. Ed ogni ragazzo dovrebbe imparare presto a sacrificarsi.
(1575.8) 140:5.23 E così è rivelato che le beatitudini del Sermone della Montagna sono basate sulla fede e sull’amore e non sulla legge — l’etica ed il dovere.
(1575.9) 140:5.24 L’amore paterno si compiace di rendere bene per male — di fare del bene in risposta all’ingiustizia.
(1576.1) 140:6.1 La domenica sera, giungendo alla casa di Zebedeo dalle colline a nord di Cafarnao, Gesù e i dodici presero un pasto frugale. Poi, mentre Gesù andava a passeggiare lungo la spiaggia, i dodici parlarono tra di loro. Dopo una breve conversazione, mentre i gemelli accendevano un piccolo fuoco per dar loro calore e più luce, Andrea uscì alla ricerca di Gesù, e quando lo ebbe trovato, disse: “Maestro, i miei fratelli non riescono a comprendere ciò che hai detto sul regno. Non ci sentiamo in grado d’iniziare questo lavoro prima che tu non ci abbia dato ulteriori istruzioni. Sono venuto a chiederti di unirti a noi nel giardino e di aiutarci a comprendere il significato delle tue parole.” E Gesù andò con Andrea ad incontrare gli apostoli.
(1576.2) 140:6.2 Quando fu entrato nel giardino, egli riunì gli apostoli attorno a lui e parlò loro ancora, dicendo: “Voi trovate difficile ricevere il mio messaggio perché vorreste costruire il nuovo insegnamento direttamente sul vecchio, ma io vi dichiaro che dovete rinascere. Dovete ricominciare da capo come dei bambini ed essere disposti ad avere fiducia nel mio insegnamento e a credere in Dio. Il nuovo vangelo del regno non può essere reso conforme a ciò che esiste. Voi avete idee sbagliate sul Figlio dell’Uomo e sulla sua missione sulla terra. Non commettete l’errore di pensare che io sia venuto per rigettare la legge ed i profeti; io non sono venuto a distruggere ma a completare, ad ampliare e ad illuminare. Non sono venuto a trasgredire la legge, ma piuttosto a scrivere questi nuovi comandamenti sulle tavolette del vostro cuore.
(1576.3) 140:6.3 “Io vi chiedo una rettitudine che superi la rettitudine di coloro che cercano di ottenere il favore del Padre facendo la carità, pregando e digiunando. Se volete entrare nel regno, voi dovete avere una rettitudine che consiste nell’amore, nella misericordia e nella verità — nel desiderio sincero di fare la volontà di mio Padre che è nei cieli.”
(1576.4) 140:6.4 Allora Simon Pietro disse: “Maestro, se hai un nuovo comandamento vorremmo ascoltarlo. Rivelaci la nuova via.” Gesù rispose a Pietro: “Lo avete sentito dire da coloro che insegnano la legge: ‘Tu non ucciderai; perché chiunque ucciderà sarà sottoposto a giudizio.’ Ma io guardo al di là dell’atto per scoprire il movente. Io vi dichiaro che chiunque è in collera con suo fratello è in pericolo di condanna. Colui che nutre odio nel suo cuore e piani di vendetta nella sua mente è in pericolo di giudizio. Voi dovete giudicare i vostri simili dai loro atti; il Padre che è nei cieli giudica secondo le intenzioni.
(1576.5) 140:6.5 “Avete sentito i maestri della legge dire: ‘Tu non commetterai adulterio.’ Ma io vi dico che chiunque guarda una donna con intento di concupirla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Voi potete giudicare gli uomini soltanto dai loro atti, ma mio Padre guarda nel cuore dei suoi figli e li giudica in misericordia secondo le loro intenzioni ed i loro desideri reali.”
(1576.6) 140:6.6 Gesù aveva intenzione di discutere gli altri comandamenti quando Giacomo Zebedeo l’interruppe, chiedendo: “Maestro, che cosa insegneremo al popolo circa il divorzio? Permetteremo ad un uomo di divorziare da sua moglie come Mosè ha ordinato?” E quando Gesù ebbe ascoltato questa domanda, disse: “Io non sono venuto per legiferare, ma per chiarire. Non sono venuto per riformare i regni di questo mondo, ma piuttosto per instaurare il regno dei cieli. Non è volontà del Padre che io ceda alla tentazione d’insegnarvi delle regole di governo, di commercio o di condotta sociale che, mentre potrebbero essere buone per oggi, sarebbero lontane dal convenire alla società di un’altra era. Io sono sulla terra unicamente per confortare la mente, liberare lo spirito e salvare l’anima degli uomini. Dirò tuttavia, riguardo a questa questione del divorzio, che mentre Mosè guardava con favore a queste cose, non era così ai tempi di Adamo e nel Giardino.”
(1577.1) 140:6.7 Dopo che gli apostoli ebbero parlato tra di loro per un breve momento, Gesù proseguì a dire: “Bisogna che riconosciate sempre i due punti di vista di ogni condotta dei mortali — quello umano e quello divino, le vie della carne e la via dello spirito, il giudizio del tempo ed il punto di vista dell’eternità.” E sebbene i dodici non avessero compreso tutto quello che aveva insegnato loro, furono veramente aiutati da questa istruzione.
(1577.2) 140:6.8 Poi Gesù disse: “Ma voi inciamperete sul mio insegnamento perché siete soliti interpretare il mio messaggio alla lettera; siete lenti a discernere lo spirito del mio insegnamento. Dovete anche ricordarvi che siete miei messaggeri; che siete obbligati a vivere la vostra vita come io ho vissuto in spirito la mia. Voi siete i miei rappresentanti personali; ma non cadete nell’errore di aspettarvi che tutti gli uomini vivano come voi in ogni dettaglio. Dovete anche ricordarvi che io ho delle pecore che non fanno parte di questo gregge, e che ho degli obblighi anche verso di loro, nel senso che devo fornire loro il modello di fare la volontà di Dio mentre vivo la vita della natura mortale.”
(1577.3) 140:6.9 Allora Natanaele chiese: “Maestro, non daremo alcun spazio alla giustizia? La legge di Mosè dice: ‘Occhio per occhio e dente per dente.’ Che diremo noi?” E Gesù rispose: “Voi renderete bene per male. I miei messaggeri non devono battersi con gli uomini, ma essere gentili con tutti. La vostra regola non sarà misura per misura. I capi degli uomini possono avere tali leggi, ma non è così nel regno; la misericordia determinerà sempre il vostro giudizio, e l’amore la vostra condotta. E se questi sono precetti severi, potete ancora tornare indietro. Se trovate le esigenze dell’apostolato troppo dure, potete ritornare al sentiero meno rigoroso di discepoli.”
(1577.4) 140:6.10 Dopo avere ascoltato queste sorprendenti parole, gli apostoli si trassero in disparte per qualche momento, ma ritornarono subito, e Pietro disse: “Maestro, vorremmo proseguire con te; nessuno di noi vorrebbe tornare indietro. Siamo tutti pronti a pagare il prezzo supplementare; berremo la coppa. Vorremmo essere apostoli, non soltanto discepoli.”
(1577.5) 140:6.11 Quando Gesù sentì questo, disse: “Siate pronti, allora, ad assumere le vostre responsabilità e a seguirmi. Compite le vostre buone azioni in segreto; quando date un’elemosina, che la mano sinistra non sappia ciò che fa la mano destra. E quando pregate, mettetevi in disparte da soli e non usate vane ripetizioni né frasi senza senso. Ricordatevi sempre che il Padre conosce ciò di cui avete bisogno prima ancora che glielo chiediate. E non datevi al digiuno con aspetto triste per essere visti dagli uomini. In qualità di miei apostoli scelti, ora dediti al servizio del regno, non accumulate per voi stessi tesori sulla terra, ma con il vostro servizio disinteressato accumulate per voi stessi tesori in cielo, perché dove sono i vostri tesori, là sarà anche il vostro cuore.
(1577.6) 140:6.12 “La lampada del corpo è l’occhio; se dunque il vostro occhio è generoso, tutto il vostro corpo sarà pieno di luce. Ma se il vostro occhio è egoista, tutto il vostro corpo sarà pieno di tenebre. Se la luce stessa che è in voi è mutata in tenebre, quanto profonde saranno quelle tenebre!”
(1577.7) 140:6.13 Poi Tommaso chiese a Gesù se essi dovessero “continuare ad avere ogni cosa in comune”. Il Maestro disse: “Sì, fratelli miei, vorrei che noi vivessimo insieme come una sola famiglia comprensiva. Voi siete incaricati di una grande opera ed io desidero ardentemente il vostro servizio indiviso. Voi sapete che è stato detto a giusto titolo: ‘Nessuno può servire due padroni.’ Voi non potete sinceramente adorare Dio e allo stesso tempo servire liberamente la “ricchezza”. Essendo ora arruolati senza riserve nel lavoro del regno, non temete per la vostra vita; ancor meno preoccupatevi di ciò che mangerete e che berrete, e nemmeno del vostro corpo, di quali vestiti indosserete. Voi avete già imparato che buone braccia e cuori ardenti non soffrono la fame. Ed ora, mentre vi preparate a dedicare tutte le vostre energie al lavoro del regno, siate certi che il Padre non si dimenticherà delle vostre necessità. Cercate prima il regno di Dio, e quando ne avrete trovato l’entrata, tutte le cose necessarie vi saranno date in aggiunta. Non siate, quindi, eccessivamente preoccupati per il domani. Ad ogni giorno basta la sua pena.”
(1578.1) 140:6.14 Quando Gesù vide che essi erano disposti a vegliare tutta la notte per porre delle domande, disse loro: “Fratelli miei, voi siete sottomessi alle leggi terrene; è meglio che andiate a riposarvi affinché siate pronti per il lavoro di domani.” Ma il sonno era fuggito dai loro occhi. Pietro si avventurò a chiedere al Maestro di “avere giusto un breve colloquio privato con te. Non che io abbia segreti per i miei fratelli, ma ho lo spirito turbato, e se per caso dovessi ricevere un rimprovero dal mio Maestro lo sopporterei meglio da solo con te.” E Gesù disse: “Vieni con me Pietro” — conducendolo in casa. Quando Pietro ritornò dal colloquio con il suo Maestro molto confortato e grandemente incoraggiato, Giacomo decise di andare a parlare con Gesù. E così di seguito, fino alle prime ore del mattino, gli altri apostoli andarono ad uno ad uno a parlare con il Maestro. Quando si furono tutti incontrati personalmente con lui, eccetto i gemelli che si erano addormentati, Andrea ritornò da Gesù e disse: “Maestro, i gemelli si sono addormentati in giardino vicino al fuoco; devo svegliarli per chiedere se anche loro vogliono parlare con te?” E Gesù sorridendo disse ad Andrea: “Fanno bene — non disturbarli.” Oramai la notte stava finendo; stava sorgendo l’aurora di un nuovo giorno.
(1578.2) 140:7.1 Dopo alcune ore di sonno, quando i dodici si riunirono per una tardiva colazione con Gesù, egli disse: “Ora dovete cominciare il vostro lavoro di predicazione della buona novella e d’istruzione dei credenti. Preparatevi ad andare a Gerusalemme.” Dopo che Gesù ebbe parlato, Tommaso fece appello al suo coraggio per dire: “Maestro, lo so che dovremmo essere pronti a cominciare il lavoro, ma temo che non siamo ancora in grado di compiere questa grande opera. Vorresti consentirci di restare qualche giorno ancora nei paraggi prima d’iniziare il lavoro del regno?” Quando Gesù vide che tutti i suoi apostoli erano presi da questo stesso timore, disse: “Sarà come avete chiesto; resteremo qui fino al giorno successivo al sabato.”
(1578.3) 140:7.2 Per settimane e settimane piccoli gruppi di sinceri cercatori della verità, assieme a spettatori curiosi, erano venuti a Betsaida per vedere Gesù. La sua reputazione si era già diffusa nel paese; gruppi d’indagatori erano venuti da città anche lontane come Tiro, Sidone, Damasco, Cesarea e Gerusalemme. Fino ad allora Gesù aveva accolto queste persone e le aveva istruite sul regno, ma il Maestro affidò ora questo lavoro ai dodici. Andrea sceglieva uno degli apostoli e lo assegnava ad un gruppo di visitatori, e talvolta tutti e dodici erano impegnati in questo modo.
(1578.4) 140:7.3 Per due giorni essi lavorarono, insegnando di giorno e tenendo riunioni private fino a sera tardi. Il terzo giorno Gesù andò a far visita a Zebedeo e a Salomè, e salutò i suoi apostoli dicendo: “Andate a pescare, a cercare un diversivo liberi da preoccupazioni, oppure a trovare le vostre famiglie.” Il giovedì essi ritornarono per altri tre giorni d’insegnamento.
(1578.5) 140:7.4 Durante questa settimana di preparazione Gesù ripeté molte volte ai suoi apostoli i due grandi motivi della sua missione sulla terra dopo il battesimo:
(1578.6) 140:7.5 1. Rivelare il Padre agli uomini.
(1578.7) 140:7.6 2. Portare gli uomini a divenire autocoscienti — a comprendere per fede che sono i figli dell’Altissimo.
(1579.1) 140:7.7 Una settimana di questa esperienza diversificata fece molto per i dodici; alcuni acquisirono anche troppa fiducia in se stessi. Nell’ultimo incontro, la sera dopo il sabato, Pietro e Giacomo vennero da Gesù e gli dissero: “Siamo pronti — andiamo ora a conquistare il regno.” Al che Gesù rispose: “Possa la vostra saggezza eguagliare il vostro zelo ed il vostro coraggio compensare la vostra ignoranza.”
(1579.2) 140:7.8 Sebbene gli apostoli non riuscissero a comprendere molto del suo insegnamento, non mancavano di cogliere il significato della vita di affascinante bellezza che egli viveva con loro.
(1579.3) 140:8.1 Gesù sapeva bene che i suoi apostoli non avevano assimilato pienamente i suoi insegnamenti. Egli decise di dare un’istruzione speciale a Pietro, Giacomo e Giovanni, sperando che essi sarebbero stati capaci di chiarire le idee ai loro compagni. Egli vedeva che, mentre certi aspetti dell’idea di un regno spirituale stavano per essere capiti dai dodici, essi persistevano ostinatamente nel collegare questi nuovi insegnamenti spirituali direttamente alle loro vecchie concezioni letterali e radicate del regno dei cieli come una restaurazione del trono di Davide ed il ristabilimento d’Israele come potenza temporale sulla terra. Di conseguenza, giovedì pomeriggio Gesù si allontanò dalla riva su un battello con Pietro, Giacomo e Giovanni per parlare degli affari del regno. Questo fu un incontro d’insegnamento durato quattro ore, comprendente decine di domande e di risposte, che può essere molto proficuamente inserito nella presente esposizione riordinando il sommario di questo importante pomeriggio così come fu raccontato da Simon Pietro a suo fratello Andrea il mattino seguente:
(1579.4) 140:8.2 1. Fare la volontà del Padre. L’insegnamento di Gesù di confidare nella protezione del Padre celeste non era un fatalismo cieco e passivo. Egli citò questo pomeriggio, approvandolo, un vecchio detto ebreo che diceva: “Chi non vuol lavorare non mangerà.” Egli indicò la sua stessa esperienza come commento sufficiente dei suoi insegnamenti. I suoi precetti sulla fiducia verso il Padre non devono essere giudicati secondo le condizioni sociali o economiche dei tempi moderni né di qualunque altra era. Il suo insegnamento abbraccia i princìpi ideali di una vita vicina a Dio in tutte le ere e su tutti i mondi.
(1579.5) 140:8.3 Gesù chiarì ai tre la differenza tra gli obblighi dell’essere apostoli e dell’essere discepoli. Ed anche allora egli non proibì l’esercizio della prudenza e della previdenza da parte dei dodici. Quello che predicava non era contro la previdenza, ma contro l’ansietà, la preoccupazione. Egli insegnava la sottomissione vigile ed attiva alla volontà di Dio. In risposta a molte delle loro domande sulla frugalità e sul risparmio, egli richiamò semplicemente l’attenzione sulla sua vita di carpentiere, di costruttore di battelli e di pescatore, e sulla sua attenta organizzazione dei dodici. Egli cercò di spiegare che il mondo non deve essere considerato come un nemico; che le circostanze della vita costituiscono un ordinamento divino operante insieme con i figli di Dio.
(1579.6) 140:8.4 Gesù ebbe grande difficoltà a far comprendere loro la sua pratica personale della non resistenza. Egli rifiutava assolutamente di difendersi, e fu evidente agli apostoli che sarebbe stato contento se avessero seguito la sua stessa linea di condotta. Egli insegnò loro a non resistere al male, a non combattere l’ingiustizia o l’offesa, ma non insegnò la tolleranza passiva del male. E chiarì in questo pomeriggio che egli approvava la punizione sociale dei malfattori e dei criminali, e che il governo civile doveva talvolta impiegare la forza per il mantenimento dell’ordine sociale e per l’esecuzione della giustizia.
(1579.7) 140:8.5 Egli non cessò mai di mettere in guardia i suoi discepoli contro la cattiva pratica della rappresaglia; non concedeva attenuanti alla vendetta, all’idea di rendere la pariglia. Egli deplorava chi serbava rancore. Respingeva l’idea di occhio per occhio e dente per dente. Disapprovava l’intero concetto di vendetta privata e personale, lasciando tali questioni al governo civile da un lato ed al giudizio di Dio dall’altro. Spiegò ai tre che i suoi insegnamenti erano rivolti all’individuo, non allo Stato. Egli riassunse le sue istruzioni date fino ad allora riguardo a queste materie nel modo seguente:
(1580.1) 140:8.6 Amate i vostri nemici — ricordatevi i diritti morali della fratellanza umana.
(1580.2) 140:8.7 La futilità del male: un torto non si ripara con la vendetta. Non commettete l’errore di combattere il male con le sue stesse armi.
(1580.3) 140:8.8 Abbiate fede — abbiate fiducia nel trionfo finale della giustizia divina e della bontà eterna.
(1580.4) 140:8.9 2. Comportamento politico. Egli raccomandò ai suoi apostoli di essere prudenti nelle loro osservazioni circa le tese relazioni allora esistenti tra il popolo ebreo ed il governo romano; egli proibì loro di lasciarsi coinvolgere in qualunque modo in questi contrasti. Egli aveva sempre cura di evitare le insidie politiche dei suoi nemici, rispondendo sempre: “Rendete a Cesare le cose che sono di Cesare e a Dio le cose che sono di Dio.” Egli rifiutava di lasciar distogliere la sua attenzione dalla sua missione di stabilire una nuova via di salvezza; non si permetteva di essere coinvolto in nessun’altra cosa. Nella sua vita personale egli era sempre debitamente osservante di tutte le leggi e le regole civili; in tutti i suoi insegnamenti pubblici egli ignorava le questioni civili, sociali ed economiche. Egli disse ai tre apostoli che era interessato solo ai princìpi della vita spirituale interiore e personale dell’uomo.
(1580.5) 140:8.10 Gesù non era quindi un riformatore politico. Egli non veniva a riorganizzare il mondo; anche se l’avesse fatto, ciò sarebbe stato applicabile solo a quel tempo e a quella generazione. Nondimeno egli mostrò agli uomini il modo migliore di vivere, e nessuna generazione è dispensata dal compito di scoprire come adattare meglio la vita di Gesù ai propri problemi. Ma non commettete mai l’errore d’identificare gli insegnamenti di Gesù con qualche teoria politica o economica, con qualche sistema sociale o industriale.
(1580.6) 140:8.11 3. Comportamento sociale. I rabbini ebrei avevano dibattuto a lungo la questione: chi è il mio prossimo? Gesù venne presentando l’idea di una bontà attiva e spontanea, di un amore per i propri simili così sincero che ampliava il concetto di prossimo fino ad includervi il mondo intero, facendo con ciò di tutti gli uomini il proprio prossimo. Ma nonostante tutto, Gesù era interessato soltanto all’individuo, non alla massa. Gesù non era un sociologo, ma lavorò per abbattere tutte le forme d’isolamento egoista. Egli insegnava la pura simpatia, la compassione. Micael di Nebadon è un Figlio dominato dalla misericordia; la compassione è la sua stessa natura.
(1580.7) 140:8.12 Il Maestro non disse che gli uomini non dovevano mai invitare i loro amici a pranzo, ma disse che i suoi discepoli dovevano fare dei banchetti per i poveri e gli sfortunati. Gesù aveva un solido senso della giustizia, ma sempre temperato dalla misericordia. Egli non insegnò ai suoi apostoli che dovevano lasciarsi ingannare da parassiti sociali o da mendicanti di professione. Il momento in cui egli fu più vicino a fare delle dichiarazioni sociologiche fu quello in cui disse: “Non giudicate, per non essere giudicati.”
(1580.8) 140:8.13 Egli spiegò chiaramente che la bontà indiscriminata poteva essere responsabile di molti mali sociali. Il giorno seguente Gesù ordinò con decisione a Giuda che nessun fondo apostolico fosse distribuito come elemosina, salvo che su sua richiesta o su richiesta congiunta di due apostoli. In tutte queste materie Gesù aveva sempre l’abitudine di dire: “Siate prudenti come serpenti, ma inoffensivi come colombe.” Sembrava che in tutte le situazioni sociali il suo scopo fosse d’insegnare la pazienza, la tolleranza ed il perdono.
(1581.1) 140:8.14 La famiglia occupava il centro stesso della filosofia di vita di Gesù — qui e nell’aldilà. Egli basò sulla famiglia i suoi insegnamenti su Dio, mentre cercò di correggere la tendenza ebraica di onorare eccessivamente gli antenati. Esaltò la vita di famiglia come il più alto dovere umano, ma spiegò che le relazioni familiari non dovevano interferire con gli obblighi religiosi. Egli richiamò l’attenzione sul fatto che la famiglia è un’istituzione temporale; che essa non sopravvive alla morte. Gesù non esitò ad abbandonare la sua famiglia quando la famiglia fu in contrasto con la volontà del Padre. Egli insegnò la nuova e più ampia fratellanza degli uomini — i figli di Dio. Al tempo di Gesù le procedure per il divorzio erano permissive in Palestina ed i tutto l’Impero Romano. Egli rifiutò ripetutamente di formulare delle leggi riguardanti il matrimonio ed il divorzio, ma molti dei primi discepoli di Gesù avevano opinioni rigide sul divorzio e non esitarono ad attribuirle a lui. Tutti gli autori del Nuovo Testamento sostenevano queste opinioni più severe ed evolute sul divorzio, eccetto Giovanni Marco.
(1581.2) 140:8.15 4. Comportamento economico. Gesù lavorò, visse e commerciò nel mondo così come lo trovò. Egli non era un riformatore economico, sebbene abbia frequentemente richiamato l’attenzione sull’ingiustizia della distribuzione iniqua delle ricchezze. Ma non offrì alcuna proposta di rimedio. Spiegò ai tre che, mentre i suoi apostoli non dovevano possedere dei beni, egli non predicava contro la ricchezza e la proprietà, ma soltanto contro la loro distribuzione disuguale ed iniqua. Egli riconosceva la necessità di una giustizia sociale e di un’equità industriale, ma non propose regole per il loro conseguimento.
(1581.3) 140:8.16 Egli non insegnò mai ai suoi discepoli di rinunciare ai beni terreni, ma solo ai suoi dodici apostoli. Luca, il medico, era un fermo credente nell’uguaglianza sociale e contribuì molto ad interpretare i detti di Gesù conformemente alle sue credenze personali. Gesù non ordinò mai personalmente ai suoi seguaci di adottare un modo di vita comunitario; egli non si pronunciò in alcun modo riguardo a tali materie.
(1581.4) 140:8.17 Gesù mise in guardia frequentemente i suoi ascoltatori contro la cupidigia, dichiarando che “la felicità di un uomo non consiste nell’abbondanza dei suoi beni materiali”. Egli ripeteva costantemente: “Cosa servirà ad un uomo conquistare il mondo intero e perdere la propria anima?” Egli non lanciò alcun attacco diretto al possesso di beni, ma insisté sul fatto che è eternamente essenziale dare priorità ai valori spirituali. Nei suoi insegnamenti successivi egli cercò di correggere molti punti di vista urantiani errati sulla vita raccontando numerose parabole che espose nel corso del suo ministero pubblico. Gesù non ebbe mai l’intenzione di formulare delle teorie economiche; egli sapeva bene che ogni epoca deve evolvere i propri rimedi alle difficoltà esistenti. E se Gesù fosse sulla terra oggi a vivere la sua vita nella carne, sarebbe una gran delusione per la maggior parte degli uomini e delle donne per bene, per la semplice ragione che non prenderebbe partito nelle odierne dispute politiche, sociali o economiche. Egli resterebbe maestosamente in disparte, insegnandovi a perfezionare la vostra vita spirituale interiore in modo da rendervi infinitamente più competenti a trovare la soluzione dei vostri problemi puramente umani.
(1581.5) 140:8.18 Gesù voleva rendere tutti gli uomini simili a Dio e poi sostenerli con affetto mentre questi figli di Dio risolvevano i loro problemi politici, sociali ed economici. Non era la ricchezza che egli condannava, ma quello che la ricchezza fa alla maggior parte dei suoi adepti. In questo giovedì pomeriggio Gesù disse per la prima volta ai suoi associati che “è più benedetto dare che ricevere”.
(1581.6) 140:8.19 5. Religione personale. Voi, come fecero i suoi apostoli, comprendereste meglio gli insegnamenti di Gesù osservando la sua vita. Egli visse una vita perfetta su Urantia, ed i suoi straordinari insegnamenti possono essere compresi soltanto se quella vita è visualizzata nel suo sfondo immediato. È la sua vita e non le sue lezioni ai dodici od i suoi discorsi alle folle che aiuteranno maggiormente a rivelare il carattere divino e la personalità amorevole del Padre.
(1582.1) 140:8.20 Gesù non attaccò gli insegnamenti dei profeti ebrei e dei moralisti greci. Il Maestro riconosceva le molte cose buone che questi grandi educatori sostenevano, ma egli era disceso sulla terra per insegnare qualcosa di addizionale, “la conformità volontaria della volontà dell’uomo alla volontà di Dio”. Gesù non voleva semplicemente produrre un uomo religioso, un mortale totalmente occupato da sentimenti religiosi e spinto soltanto da impulsi spirituali. Se voi aveste potuto gettare soltanto uno sguardo su di lui, avreste saputo che Gesù era un vero uomo di grande esperienza nelle cose di questo mondo. Gli insegnamenti di Gesù sotto questo aspetto sono stati grossolanamente alterati e molto snaturati lungo tutti i secoli dell’era cristiana; voi avete anche delle idee errate sulla mansuetudine e sull’umiltà del Maestro. Ciò cui aspirava nella sua vita pare essere stato uno splendido rispetto di se stessi. Egli raccomandava agli uomini di umiliare se stessi solo per diventare veramente grandi; quello cui aspirava realmente era una sincera umiltà verso Dio. Egli attribuiva un grande valore alla sincerità — al cuore puro. La fedeltà era una virtù cardinale nella sua valutazione del carattere, mentre il coraggio era l’essenza stessa dei suoi insegnamenti. “Non abbiate timore” era il suo motto, e la paziente tolleranza era il suo ideale della forza di carattere. Gli insegnamenti di Gesù costituiscono una religione di valore, di coraggio e di eroismo. E questo è proprio il motivo per cui egli scelse come suoi rappresentanti personali dodici uomini comuni, la maggioranza dei quali erano dei rudi, virili e forti pescatori.
(1582.2) 140:8.21 Gesù disse poco sui vizi sociali del suo tempo; raramente fece allusione alla delinquenza morale. Egli fu un insegnante positivo della vera virtù. Evitò con cura il metodo negativo d’impartire istruzioni; rifiutò di pubblicizzare il male. Egli non fu nemmeno un riformatore morale. Sapeva bene, e così insegnò ai suoi apostoli, che i bisogni sensuali dell’umanità non vengono soppressi né con rimproveri religiosi né con proibizioni legali. Le sue poche denunce furono soprattutto dirette contro l’orgoglio, la crudeltà, l’oppressione e l’ipocrisia.
(1582.3) 140:8.22 Gesù non criticò violentemente nemmeno i Farisei, come aveva fatto Giovanni. Egli sapeva che molti Scribi e Farisei erano onesti di cuore; capiva la loro assoggettante schiavitù alle tradizioni religiose. Gesù dava grande importanza a “risanare prima l’albero”. Egli fece ben comprendere ai tre che egli dava valore all’intera vita, non soltanto ad alcune virtù particolari.
(1582.4) 140:8.23 La sola cosa che Giovanni acquisì dall’insegnamento di questo giorno fu che l’essenza della religione di Gesù consisteva nell’acquisizione di un carattere compassionevole, unito ad una personalità motivata a fare la volontà del Padre che è nei cieli.
(1582.5) 140:8.24 Pietro colse l’idea che il vangelo che essi stavano per proclamare era realmente un nuovo inizio per l’intera razza umana. Egli trasmise successivamente questa impressione a Paolo, che da essa formulò la sua dottrina di Cristo come “il secondo Adamo”.
(1582.6) 140:8.25 Giacomo colse l’appassionante verità che Gesù desiderava che i suoi figli terreni vivessero come se fossero già cittadini del perfetto regno dei cieli.
(1582.7) 140:8.26 Gesù sapeva che gli uomini erano differenti, e lo insegnò ai suoi apostoli. Egli li esortò costantemente ad astenersi dal tentare di formare discepoli e credenti secondo un modello prestabilito. Egli cercava di permettere ad ogni anima di svilupparsi alla propria maniera, in un individuo perfezionato e separato al cospetto di Dio. In risposta ad una delle numerose domande di Pietro, il Maestro disse: “Io desidero rendere gli uomini liberi in modo che possano ricominciare da capo come dei bambini in una vita nuova e migliore.” Gesù insisteva sempre che la vera bontà deve essere inconsapevole, e che nel fare la carità non si deve permettere alla mano sinistra di sapere ciò che fa la mano destra.
(1583.1) 140:8.27 I tre apostoli rimasero sorpresi questo pomeriggio nel costatare che la religione del loro Maestro non prevedeva alcuna introspezione spirituale. Tutte le religioni prima e dopo l’epoca di Gesù, ed anche il Cristianesimo, prevedono con cura un’introspezione coscienziosa. Ma non è così per la religione di Gesù di Nazaret. La filosofia di vita di Gesù è priva d’introspezione religiosa. Il figlio del carpentiere non insegnò mai la formazione del carattere; insegnò la crescita del carattere, dichiarando che il regno dei cieli è simile ad un granello di senape. Ma Gesù non disse nulla che proibisse l’autoanalisi come prevenzione di un egotismo presuntuoso.
(1583.2) 140:8.28 Il diritto di entrare nel regno è condizionato dalla fede, dalla credenza personale. Il costo per rimanere nell’ascensione progressiva del regno è la perla di grande valore, per possedere la quale un uomo vende tutto ciò che ha.
(1583.3) 140:8.29 L’insegnamento di Gesù è una religione per tutti, non soltanto per i deboli e gli schiavi. La sua religione non si cristallizzò mai (durante il suo tempo) in un credo ed in leggi teologiche; egli non lasciò un rigo scritto dietro di lui. La sua vita ed i suoi insegnamenti furono trasmessi all’universo come un’eredità ispirante ed idealistica adatta al governo spirituale e all’istruzione morale di tutte le ere su tutti i mondi. Ed anche oggi gli insegnamenti di Gesù stanno distanti da tutte le religioni, in quanto tali, sebbene siano la speranza vivente di ciascuna di esse.
(1583.4) 140:8.30 Gesù non insegnò ai suoi apostoli che la religione è la sola occupazione terrena degli uomini; quella era la concezione ebraica di servire Dio. Ma egli insisté che la religione era l’occupazione esclusiva dei dodici. Gesù non insegnò nulla per distogliere i suoi fedeli dalla ricerca di una vera cultura; egli denunciò soltanto le scuole religiose di Gerusalemme prigioniere della tradizione. Egli era liberale, generoso, istruito e tollerante. La pietà autocosciente non trovava posto nella sua retta filosofia di vita.
(1583.5) 140:8.31 Il Maestro non offrì soluzioni per i problemi non religiosi del suo tempo né per alcuna epoca successiva. Gesù desiderava sviluppare la percezione spirituale nelle realtà eterne e stimolare l’iniziativa nell’originalità della vita; si occupò esclusivamente dei bisogni spirituali soggiacenti e permanenti della razza umana. Egli rivelò una bontà uguale a quella di Dio. Esaltò l’amore — la verità, la bellezza e la bontà — come ideale divino e realtà eterna.
(1583.6) 140:8.32 Il Maestro venne per creare nell’uomo un nuovo spirito, una nuova volontà — per rivelare una nuova capacità di conoscere la verità, di provare compassione e di scegliere la bontà — la volontà di essere in armonia con la volontà di Dio, unita all’impulso eterno a divenire perfetti, come il Padre che è nei cieli è perfetto.
(1583.7) 140:9.1 Il sabato seguente Gesù consacrò i suoi apostoli, ritornando alla regione montuosa dove li aveva ordinati. Là, dopo un lungo e molto toccante messaggio personale d’incoraggiamento, egli compì l’atto solenne di consacrazione dei dodici. Questo sabato pomeriggio Gesù riunì gli apostoli attorno a lui sul fianco della collina e li mise nelle mani di suo Padre celeste in preparazione del giorno in cui egli sarebbe stato costretto a lasciarli soli al mondo. Non vi furono nuovi insegnamenti in questa occasione, ma soltanto il ritrovarsi e lo stare insieme.
(1584.1) 140:9.2 Gesù riesaminò molti punti del sermone di ordinazione, fatto in questo stesso luogo, e poi, chiamandoli davanti a lui uno per uno, li incaricò di andare nel mondo come suoi rappresentanti. L’incarico di consacrazione dato dal Maestro fu: “Andate in tutto il mondo a predicare la buona novella del regno. Liberate i prigionieri spirituali, confortate gli oppressi ed assistete gli afflitti. Voi avete ricevuto gratuitamente, date gratuitamente.”
(1584.2) 140:9.3 Gesù raccomandò loro di non portare né denaro né vestiti di ricambio, dicendo: “Il lavoratore è meritevole del suo salario.” Ed infine disse: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come serpenti ed inoffensivi come colombe. Ma state attenti, perché i vostri nemici vi condurranno davanti ai loro consigli e vi criticheranno aspramente nelle loro sinagoghe. Sarete trascinati davanti a governatori e capi perché credete a questo vangelo, e la vostra testimonianza stessa sarà una testimonianza per me davanti a loro. E quando vi condurranno in giudizio non preoccupatevi di ciò che direte, perché lo spirito di mio Padre abita in voi ed in tali momenti parlerà attraverso voi. Alcuni di voi saranno messi a morte, e prima che instauriate il regno sulla terra sarete odiati da molti popoli a causa di questo vangelo; ma non temete, io sarò con voi ed il mio spirito vi precederà nel mondo intero. E la presenza di mio Padre abiterà in voi mentre andrete prima presso gli Ebrei e poi presso i Gentili.”
(1584.3) 140:9.4 E dopo che furono scesi dalla montagna, essi ritornarono alla loro dimora nella casa di Zebedeo.
(1584.4) 140:10.1 Quella sera, mentre insegnava in casa perché era iniziato a piovere, Gesù parlò molto a lungo, cercando d’indicare ai dodici quello che dovevano essere, non quello che dovevano fare. Essi conoscevano soltanto una religione che imponeva di fare certe cose come mezzo per raggiungere la rettitudine — la salvezza. Ma Gesù ripeteva: “Nel regno dovete essere retti per compiere il lavoro.” Molte volte ripeté: “Siate dunque perfetti, come vostro Padre nei cieli è perfetto.” Il Maestro spiegò ripetutamente ai suoi apostoli disorientati che la salvezza che egli era venuto a portare al mondo si sarebbe ottenuta soltanto credendo, per mezzo di una fede semplice e sincera. Gesù disse: “Giovanni ha predicato un battesimo di pentimento, il rincrescimento per il vecchio modo di vivere. Voi andrete a proclamare il battesimo di comunione con Dio. Predicate il pentimento a coloro che hanno bisogno di questo insegnamento, ma a coloro che cercano già sinceramente di entrare nel regno, spalancate le porte ed invitateli ad entrare nella comunità gioiosa dei figli di Dio.” Ma era un compito difficile persuadere questi pescatori galilei che nel regno l’essere retti grazie alla fede deve precedere l’agire rettamente nella vita quotidiana dei mortali della terra.
(1584.5) 140:10.2 Un altro grande ostacolo in questo lavoro d’istruzione dei dodici era la loro tendenza a prendere dei principi altamente idealistici e spirituali di verità religiosa e di trasformarli in regole concrete di condotta personale. Gesù presentava loro il magnifico spirito dell’atteggiamento dell’anima, ma essi insistevano nel tradurre questi insegnamenti in regole di condotta personale. Molte volte, quando erano certi di ricordare bene ciò che il Maestro aveva detto, era quasi certo che dimenticavano ciò che non aveva detto. Ma essi assimilavano lentamente il suo insegnamento perché Gesù era tutto ciò che insegnava. Quello che non riuscirono ad ottenere dalla sua istruzione verbale, lo acquisirono gradualmente vivendo con lui.
(1585.1) 140:10.3 Gli apostoli non capivano che il loro Maestro era impegnato a vivere una vita d’ispirazione spirituale per ciascuna persona di ogni epoca su ogni mondo di un vasto universo. Nonostante ciò che Gesù diceva loro di tanto in tanto, gli apostoli non coglievano l’idea che egli stesse compiendo un’opera su questo mondo ma per tutti gli altri mondi della sua vasta creazione. Gesù visse la sua vita terrena su Urantia non per proporre un esempio personale di vita mortale per gli uomini e le donne di questo mondo, ma piuttosto per creare un ideale spirituale elevato ed ispirante per tutti gli esseri mortali su tutti i mondi.
(1585.2) 140:10.4 La stessa sera Tommaso chiese a Gesù: “Maestro, tu dici che dobbiamo divenire come dei bambini prima di poter guadagnare l’entrata nel regno del Padre, e ci hai anche avvertiti di non lasciarci ingannare da falsi profeti e di non renderci colpevoli di gettare le nostre perle ai porci. Ora, io sono francamente sconcertato. Non riesco a comprendere il tuo insegnamento.” Gesù rispose a Tommaso: “Per quanto tempo vi sopporterò! Voi insistete sempre nel prendere alla lettera tutto quello che insegno. Quando vi ho chiesto di divenire simili a bambini come prezzo per entrare nel regno, non mi riferivo alla facilità di lasciarsi ingannare, alla semplice disponibilità a credere, né alla rapidità di fidarsi di attraenti sconosciuti. Ciò che desideravo ricavaste da questo esempio era la relazione tra padre e figlio. Tu sei il figlio, ed è nel regno di tuo Padre che cerchi di entrare. Tra ogni figlio normale e suo padre c’è quell’affetto naturale che assicura una relazione comprensiva ed amorevole e che esclude per sempre ogni tendenza a mercanteggiare l’amore e la misericordia del Padre. Il vangelo che andrete a predicare riguarda una salvezza derivante dalla realizzazione per fede di questa stessa ed eterna relazione tra figlio e padre.”
(1585.3) 140:10.5 La principale caratteristica dell’insegnamento di Gesù era che la moralità della sua filosofia derivava dalla relazione personale tra l’individuo e Dio — da questa stessa relazione tra figlio e padre. Gesù poneva l’accento sull’individuo, non sulla razza o sulla nazione. Mentre consumavano la cena, Gesù ebbe con Matteo il colloquio in cui spiegò che la moralità di un atto è determinata dal movente dell’individuo. La moralità di Gesù era sempre positiva. La regola d’oro riformulata da Gesù richiede un contatto sociale attivo; l’antica regola negativa poteva essere seguita nell’isolamento. Gesù spogliò la moralità di tutte le regole e cerimonie e la elevò ai livelli maestosi del pensiero spirituale e di una vita veramente retta.
(1585.4) 140:10.6 Questa nuova religione di Gesù non era priva d’implicazioni pratiche, ma qualunque valore pratico, politico, sociale o economico si possa trovare nel suo insegnamento, è il completamento naturale di questa esperienza interiore dell’anima che manifesta i frutti dello spirito nel ministero spontaneo quotidiano di un’autentica esperienza religiosa personale.
(1585.5) 140:10.7 Dopo che Gesù e Matteo ebbero finito di parlare, Simone Zelota chiese: “Ma, Maestro, tutti gli uomini sono figli di Dio?” E Gesù rispose: “Sì, Simone, tutti gli uomini sono figli di Dio, e questa è la buona novella che andrete a proclamare.” Ma gli apostoli non riuscivano a comprendere una tale dottrina; questo era per loro un nuovo, strano e sorprendente annuncio. E fu a causa del suo desiderio d’imprimere questa verità in loro che Gesù insegnò ai suoi discepoli di trattare tutti gli uomini come loro fratelli.
(1585.6) 140:10.8 In risposta ad una domanda posta da Andrea, il Maestro spiegò che la moralità del suo insegnamento era inseparabile dal suo modo religioso di vivere. Egli insegnava la moralità non partendo dalla natura dell’uomo, ma partendo dalla relazione dell’uomo con Dio.
(1585.7) 140:10.9 Giovanni chiese a Gesù: “Maestro, che cos’è il regno dei cieli?” E Gesù rispose: “Il regno dei cieli consiste in questi tre elementi essenziali: primo, il riconoscimento del fatto della sovranità di Dio; secondo, credere nella verità della filiazione con Dio; e terzo, la fede nell’efficacia del desiderio umano supremo di fare la volontà di Dio — di essere simile a Dio. Questa è la buona novella del vangelo: che per mezzo della fede ogni mortale può avere tutti questi elementi essenziali di salvezza.”
(1586.1) 140:10.10 Ed ora che la settimana di attesa era trascorsa, essi si prepararono a partire il giorno seguente per Gerusalemme.
(1587.1) 141:0.1 IL 19 gennaio dell’anno 27 d.C., primo giorno della settimana, Gesù e i dodici apostoli si prepararono a partire dal loro quartier generale di Betsaida. I dodici non sapevano nulla dei piani del loro Maestro, eccetto che sarebbero andati a Gerusalemme per assistere alla festa di Pasqua in aprile, e che era previsto di passare per la valle del Giordano. Essi non partirono dalla casa di Zebedeo prima di mezzogiorno perché le famiglie degli apostoli ed altre dei discepoli erano venute a salutarli e ad augurare loro buona fortuna per il nuovo lavoro che stavano per iniziare.
(1587.2) 141:0.2 Al momento della partenza gli apostoli non videro il Maestro, e Andrea andò a cercarlo. Dopo una breve ricerca egli trovò Gesù seduto in un battello sulla spiaggia che stava piangendo. I dodici avevano visto spesso il loro Maestro in momenti in cui sembrava rattristato, ed erano stati testimoni dei suoi brevi periodi di gravi preoccupazioni mentali, ma nessuno di loro l’aveva mai visto piangere. Andrea rimase un po’ sorpreso nel vedere il Maestro così commosso al momento della loro partenza per Gerusalemme, ed osò avvicinarsi a Gesù e chiedere: “In questo grande giorno, Maestro, nel momento in cui stiamo partendo per Gerusalemme per proclamare il regno del Padre, perché piangi? Chi di noi ti ha offeso?” E Gesù, ritornando con Andrea per unirsi ai dodici, gli rispose: “Nessuno di voi mi ha causato dispiacere. Sono triste soltanto perché nessuno della famiglia di mio padre Giuseppe si è ricordato di venire ad augurarci buon viaggio.” In quel momento Rut era in visita da suo fratello Giuseppe a Nazaret. Gli altri membri della famiglia si erano tenuti in disparte per orgoglio, delusione, incomprensione e meschino rancore a causa dei loro sentimenti offesi.
(1587.3) 141:1.1 Cafarnao non era lontana da Tiberieade e la fama di Gesù aveva cominciato a diffondersi in tutta la Galilea ed anche oltre. Gesù sapeva che Erode avrebbe iniziato subito a prestare attenzione alla sua opera; così pensò fosse meglio dirigersi a sud ed entrare in Giudea con i suoi apostoli. Un gruppo di più di cento credenti desiderava andare con loro, ma Gesù parlò loro e li pregò di non accompagnare il gruppo apostolico nel loro viaggio lungo il Giordano. Anche se essi acconsentirono a rimanere indietro, molti di loro seguirono il Maestro dopo pochi giorni.
(1587.4) 141:1.2 Il primo giorno Gesù e gli apostoli non andarono più lontano di Tarichea, dove si riposarono per la notte. Il giorno successivo essi proseguirono fino ad un punto del Giordano vicino a Pella, dove Giovanni aveva predicato circa un anno prima e dove Gesù aveva ricevuto il battesimo. Qui si fermarono per più di due settimane, insegnando e predicando. Alla fine della prima settimana parecchie centinaia di persone si erano riunite in un accampamento vicino al luogo in cui stavano Gesù e i dodici, ed erano giunte dalla Galilea, dalla Fenicia, dalla Siria, dalla Decapoli, dalla Perea e dalla Giudea.
(1588.1) 141:1.3 Gesù non predicò in pubblico. Andrea divise la folla e designò i predicatori per le assemblee del mattino e del pomeriggio; dopo il pasto della sera Gesù s’intratteneva con i dodici. Egli non insegnava loro nulla di nuovo, ma ripassava il suo insegnamento precedente e rispondeva alle loro numerose domande. In una di queste sere egli raccontò ai dodici qualcosa dei quaranta giorni che aveva trascorso sulle colline vicine a questo luogo.
(1588.2) 141:1.4 Molti di quelli che erano venuti dalla Perea e dalla Giudea erano stati battezzati da Giovanni ed erano interessati a saperne di più sugli insegnamenti di Gesù. Gli apostoli fecero molti progressi nell’istruire i discepoli di Giovanni, poiché essi non disprezzavano in alcun modo la predicazione di Giovanni e non battezzavano in questo periodo i loro nuovi discepoli. Ma fu sempre un ostacolo per i seguaci di Giovanni che Gesù, se era tutto quello che Giovanni aveva annunciato, non avesse fatto nulla per farlo uscire di prigione. I discepoli di Giovanni non capirono mai perché Gesù non impedì la morte crudele del loro amato capo.
(1588.3) 141:1.5 Sera dopo sera Andrea istruiva con cura i suoi compagni apostoli nel delicato e difficile compito di andare d’accordo con i discepoli di Giovanni il Battista. Durante questo primo anno di ministero pubblico di Gesù, più di tre quarti dei suoi discepoli avevano precedentemente seguito Giovanni ed avevano ricevuto il suo battesimo. L’intero anno 27 d.C. fu trascorso per subentrare tranquillamente nell’opera di Giovanni in Perea ed in Giudea.
(1588.4) 141:2.1 La sera prima di partire da Pella, Gesù diede agli apostoli alcune istruzioni supplementari sul nuovo regno. Il Maestro disse: “Vi è stato insegnato di attendere la venuta del regno di Dio, ed ora io vengo ad annunciarvi che questo regno a lungo atteso è a portata di mano, che è anche già qui in mezzo a noi. In ogni regno è necessario che vi sia un re seduto sul suo trono e che emani le leggi del regno. Così voi avete sviluppato un concetto del regno dei cieli come una sovranità glorificata del popolo ebreo su tutti i popoli della terra, con il Messia seduto sul trono di Davide e che da questo luogo di potere miracoloso promulga le leggi di tutto il mondo. Ma, figli miei, voi non vedete con l’occhio della fede e non ascoltate con il discernimento dello spirito. Io dichiaro che il regno dei cieli è la realizzazione ed il riconoscimento del governo di Dio nel cuore degli uomini. È vero, c’è un Re in questo regno, e quel Re è mio Padre e vostro Padre. Noi siamo in verità i suoi leali sudditi, ma a trascendere di gran lunga questo fatto c’è la verità trasformatrice che noi siamo suoi figli. Nella mia vita questa verità deve divenire manifesta a tutti. Nostro Padre siede anche su un trono, ma non su un trono fatto da mani. Il trono dell’Infinito è il luogo di residenza eterna del Padre nel cielo dei cieli; egli riempie tutte le cose e proclama le sue leggi ad universi su universi. Il Padre regna anche nel cuore dei suoi figli sulla terra per mezzo dello spirito che ha inviato a vivere nell’anima degli uomini mortali.
(1588.5) 141:2.2 “Quando voi sarete i sudditi di questo regno, potrete davvero ascoltare la legge del Sovrano dell’Universo; ma se, a causa del vangelo del regno che io sono venuto a proclamare, scoprirete per fede che siete dei figli, allora non vi considererete più creature sottomesse alla legge di un re onnipotente, ma figli privilegiati di un Padre amorevole e divino. In verità, in verità vi dico, quando la volontà del Padre è la vostra legge, non siete nel regno. Ma quando la volontà del Padre diviene veramente la vostra volontà, allora siete in tutta verità nel regno, perché il regno è divenuto con ciò un’esperienza stabilita in voi. Quando la volontà di Dio è la vostra legge, voi siete dei nobili sudditi schiavi; ma quando credete in questo nuovo vangelo di filiazione divina, la volontà di mio Padre diviene la vostra volontà e voi siete elevati all’alta posizione di liberi figli di Dio, di figli affrancati del regno.”
(1589.1) 141:2.3 Alcuni degli apostoli capirono qualcosa di questo insegnamento, ma nessuno di loro comprese il significato pieno di questa importantissima dichiarazione, salvo forse Giacomo Zebedeo. Ma queste parole penetrarono nel loro cuore e sgorgarono per allietare il loro ministero durante gli anni successivi di servizio.
(1589.2) 141:3.1 Il Maestro ed i suoi apostoli rimasero vicino ad Amatus per quasi tre settimane. Gli apostoli continuarono a predicare due volte al giorno alla folla, e Gesù predicò ogni sabato pomeriggio. Divenne impossibile proseguire la ricreazione del mercoledì; così Andrea stabilì che due apostoli si riposassero in ciascuno dei sei giorni della settimana, mentre tutti erano in servizio durante le cerimonie del sabato.
(1589.3) 141:3.2 Pietro, Giacomo e Giovanni facevano la maggior parte della predicazione pubblica. Filippo, Natanaele, Tommaso e Simone facevano gran parte del lavoro personale e dirigevano delle classi per gruppi speciali di ricercatori; i gemelli continuavano la loro supervisione generale di controllo, mentre Andrea, Matteo e Giuda si organizzarono in un comitato di amministrazione generale di tre membri, sebbene ciascuno di questi tre svolgesse anche un considerevole lavoro religioso.
(1589.4) 141:3.3 Andrea era molto occupato nel compito di regolare i malintesi e i dissensi costantemente ricorrenti tra i discepoli di Giovanni ed i più recenti discepoli di Gesù. Situazioni gravi si verificavano ad intervalli di pochi giorni, ma Andrea, con l’aiuto dei suoi compagni apostoli, si adoperava per indurre le parti contendenti a giungere ad un qualche tipo di accomodamento, almeno temporaneamente. Gesù rifiutò di partecipare ad alcuna di queste riunioni; né volle dare alcun consiglio circa l’appropriato aggiustamento di queste controversie. Egli non offrì una sola volta un suggerimento sul modo in cui gli apostoli potevano risolvere questi imbarazzanti problemi. Quando Andrea veniva da Gesù con tali questioni, egli diceva sempre: “Non è saggio per l’ospite partecipare alle dispute di famiglia dei suoi invitati; un genitore saggio non prende mai partito nelle piccole liti dei propri figli.”
(1589.5) 141:3.4 Il Maestro mostrava grande saggezza e manifestava una perfetta imparzialità in tutti i rapporti con i suoi apostoli e con tutti i suoi discepoli. Gesù era veramente un conduttore di uomini; egli esercitava una grande influenza sui suoi simili a causa della combinazione di fascino e di forza della sua personalità. C’era una sottile influenza di comando nella sua vita rude, nomade e senza casa. C’erano un’attrattiva intellettuale ed un potere d’attrazione spirituale nel suo modo autoritario d’insegnare, nella sua logica lucida, nella sua forza di ragionamento, nel suo sagace intuito, nella sua prontezza di mente, nel suo equilibrio incomparabile e nella sua sublime tolleranza. Egli era semplice, virile, onesto ed intrepido. Con tutta questa influenza fisica ed intellettuale manifestata nella presenza del Maestro, c’erano anche tutte quelle bellezze spirituali dell’essere che erano associate alla sua personalità — la pazienza, la tenerezza, la mansuetudine, la dolcezza e l’umiltà.
(1589.6) 141:3.5 Gesù di Nazaret era veramente una personalità forte ed energica; egli era una potenza intellettuale ed una roccaforte spirituale. La sua personalità non solo attirava tra i suoi discepoli delle donne inclini alla spiritualità, ma anche l’istruito ed intellettuale Nicodemo ed il coraggioso soldato romano, il capitano di guardia alla croce, che dopo aver assistito alla morte del Maestro disse: “In verità questo era un Figlio di Dio.” Ed i vigorosi e rudi pescatori galilei lo chiamavano Maestro.
(1590.1) 141:3.6 I ritratti di Gesù sono stati molto infelici. Queste raffigurazioni del Cristo hanno esercitato un’influenza deleteria sui giovani; i mercanti del tempio non sarebbero fuggiti davanti a Gesù se egli fosse stato l’uomo che i vostri artisti generalmente hanno dipinto. Egli era di una virilità austera; era buono, ma naturale. Gesù non posava a mistico mite, amabile, gentile ed affabile. Il suo insegnamento era di un dinamismo galvanizzante. Egli non solo era animato da buone intenzioni, ma andava in giro effettivamente facendo del bene.
(1590.2) 141:3.7 Il Maestro non ha mai detto: “Venite a me voi tutti che siete indolenti e sognatori.” Ma ha detto più volte: “Venite a me voi tutti che faticate e io vi darò riposo — forza spirituale.” Il giogo del Maestro è in verità leggero, ma anche così egli non lo impone mai; ogni individuo deve prendere questo giogo di propria libera volontà.
(1590.3) 141:3.8 Gesù descrisse la conquista per mezzo del sacrificio, il sacrificio dell’orgoglio e dell’egoismo. Mostrando misericordia egli intendeva descrivere la liberazione spirituale da tutti i rancori, le lagnanze, la collera, la sete di potere personale e di vendetta. E quando disse: “Non resistete al male”, spiegò più tardi che non intendeva condonare il peccato o consigliare di fraternizzare con l’iniquità. Intendeva invece insegnare a perdonare, a “non resistere al cattivo trattamento della propria personalità, all’offesa malvagia dei propri sentimenti di dignità personale.”
(1590.4) 141:4.1 Durante il soggiorno ad Amatus, Gesù trascorse molto tempo ad istruire gli apostoli sul nuovo concetto di Dio; più volte egli impresse in loro che Dio è un Padre, non un grande e supremo contabile principalmente occupato a fare il conto delle entrate sul registro dei suoi figli terreni che hanno sbagliato, delle registrazioni del peccato e del male da utilizzare contro di loro quando successivamente li avrebbe giudicati come Giudice imparziale di tutta la creazione. Gli Ebrei avevano da lungo tempo concepito Dio come un sovrano universale, ed anche come Padre della nazione, ma mai prima una grande quantità di uomini mortali aveva concepito Dio come un Padre amorevole dell’individuo.
(1590.5) 141:4.2 In risposta alla domanda di Tommaso: “Chi è questo Dio del regno?” Gesù replicò: “Dio è tuo Padre, e la religione — il mio vangelo — non è niente di più o di meno che il fiducioso riconoscimento della verità che tu sei suo figlio. Ed io sono qui tra di voi nella carne per chiarire entrambe queste idee mediante la mia vita ed i miei insegnamenti.”
(1590.6) 141:4.3 Gesù cercò anche di liberare la mente dei suoi apostoli dall’idea che l’offerta di sacrifici animali fosse un dovere religioso. Ma questi uomini, educati nella religione del sacrificio quotidiano, erano lenti a comprendere ciò che egli voleva dire. Ciononostante, il Maestro non si stancò d’insegnare. Quando non riusciva a raggiungere la mente di tutti gli apostoli con un solo esempio, riformulava il suo messaggio impiegando un altro tipo di parabola allo scopo di illuminarli.
(1590.7) 141:4.4 In questo stesso periodo Gesù cominciò ad istruire più completamente i dodici sulla loro missione “di consolare gli afflitti e di curare gli ammalati”. Il Maestro parlò loro a lungo dell’uomo totale — dell’unione del corpo, della mente e dello spirito per formare il singolo uomo o donna. Gesù espose ai suoi associati le tre forme di afflizione che avrebbero incontrato e continuò spiegando loro come avrebbero dovuto curare tutti coloro che soffrivano delle malattie umane. Egli insegnò loro a riconoscere:
(1591.1) 141:4.5 1. I mali della carne — le afflizioni comunemente considerate come malattie fisiche.
(1591.2) 141:4.6 2. I disturbi della mente — quelle afflizioni non fisiche che furono successivamente considerate come difficoltà e disturbi emotivi e mentali.
(1591.3) 141:4.7 3. La possessione da parte di spiriti cattivi.
(1591.4) 141:4.8 Gesù spiegò ai suoi apostoli in parecchie occasioni la natura, e qualcosa riguardo all’origine, di questi spiriti cattivi, in quel tempo spesso chiamati anche spiriti impuri. Il Maestro conosceva bene la differenza tra la possessione da parte di spiriti cattivi e la demenza, ma gli apostoli la ignoravano. Né era possibile per Gesù, data la loro limitata conoscenza della storia primitiva di Urantia, rendere questa materia pienamente comprensibile. Ma egli disse loro molte volte, alludendo a questi spiriti cattivi: “Essi non molesteranno più gli uomini quando io sarò salito in cielo da mio Padre e dopo che avrò sparso il mio spirito su tutta la carne nel momento in cui il regno verrà in grande potenza ed in gloria spirituale.”
(1591.5) 141:4.9 Di settimana in settimana e di mese in mese, per tutto quest’anno, gli apostoli rivolsero sempre più la loro attenzione al ministero di guarigione degli ammalati.
(1591.6) 141:5.1 Una delle riunioni della sera più importanti ad Amatus fu quella in cui si discusse dell’unità spirituale. Giacomo Zebedeo aveva chiesto: “Maestro, come impareremo ad avere lo stesso punto di vista e a godere così di maggiore armonia tra di noi?” Quando Gesù udì questa domanda fu scosso nel suo spirito a tal punto che replicò: “Giacomo, Giacomo, quando ti ho insegnato che dovreste avere tutti lo stesso punto di vista? Io sono venuto nel mondo a proclamare la libertà spirituale affinché i mortali possano avere la possibilità di vivere delle vite individuali di originalità e di libertà davanti a Dio. Io non desidero che l’armonia sociale e la pace fraterna siano raggiunte con il sacrificio della libera personalità e dell’originalità spirituale. Ciò che vi chiedo, miei apostoli, è l’unità spirituale — e che possiate sperimentarla nella gioia della vostra consacrazione congiunta a fare di tutto cuore la volontà di mio Padre che è nei cieli. Voi non dovete avere lo stesso punto di vista o gli stessi sentimenti, né dovete pensare allo stesso modo per essere spiritualmente simili. L’unità spirituale deriva dalla coscienza che ciascuno di voi è abitato, e sempre più dominato, dal dono spirituale del Padre celeste. La vostra armonia apostolica deve scaturire dal fatto che la speranza spirituale di ciascuno di voi è identica per origine, natura e destino.
(1591.7) 141:5.2 “In questo modo voi potete sperimentare una perfetta unità di propositi spirituali ed una comprensione spirituale derivante dalla mutua coscienza dell’identità di ciascuno degli spiriti del Paradiso. E potrete godere tutti di questa profonda unità spirituale anche di fronte alla estrema diversità delle vostre capacità individuali di pensiero intellettuale, di sentimento innato e di condotta sociale. Le vostre personalità possono avere una ravvivante diversità ed una sensibile differenza, mentre le vostre nature spirituali ed i frutti spirituali dell’adorazione divina e dell’amore fraterno possono essere così unificati che tutti quelli che osservano le vostre vite prenderanno certamente atto di questa identità di spirito ed unità d’anima. Essi riconosceranno che siete stati con me e che avete così imparato, ed in modo accettabile, a fare la volontà del Padre che è nei cieli. Voi potete raggiungere l’unità del servizio di Dio anche mentre svolgete questo servizio secondo la tecnica delle vostre proprie doti originali di mente, di corpo e di anima.
(1592.1) 141:5.3 “La vostra unità spirituale implica due fattori che si armonizzano sempre nella vita dei singoli credenti: primo, voi possedete un motivo comune per una vita di servizio; desiderate tutti fare soprattutto la volontà del Padre che è nei cieli. Secondo, avete tutti uno scopo comune d’esistenza; vi proponete tutti di trovare il Padre che è nei cieli e di provare così all’universo che siete divenuti simili a lui.”
(1592.2) 141:5.4 Gesù ritornò molte volte su questo tema durante l’istruzione dei dodici. Disse loro ripetutamente che non desiderava che coloro che credevano in lui divenissero dogmatizzati e standardizzati in conformità con le interpretazioni religiose pur di uomini dabbene. Egli non cessò mai di mettere in guardia i suoi apostoli contro la formulazione di credo e l’istituzione di tradizioni per guidare e controllare i credenti nel vangelo del regno.
(1592.3) 141:6.1 Verso la fine dell’ultima settimana ad Amatus, Simone Zelota condusse da Gesù un certo Teerma, un Persiano che svolgeva i propri affari a Damasco. Teerma aveva sentito parlare di Gesù ed era venuto a Cafarnao per vederlo, ed avendo appreso che Gesù era partito con i suoi apostoli per Gerusalemme scendendo il Giordano, partì alla sua ricerca. Andrea aveva presentato Teerma a Simone perché lo istruisse. Simone considerava il Persiano un “adoratore del fuoco”, sebbene Teerma si fosse dato gran cura di spiegargli che il fuoco era soltanto il simbolo visibile dell’Essere Puro e Santo. Dopo aver parlato con Gesù, il Persiano manifestò la sua intenzione di rimanere per alcuni giorni ad ascoltare l’insegnamento e la predicazione.
(1592.4) 141:6.2 Quando Simone Zelota e Gesù furono soli, Simone chiese al Maestro: “Come mai non sono riuscito a persuaderlo? Perché ha talmente resistito a me ed ha prestato ascolto prontamente a te?” Gesù rispose: “Simone, Simone, quante volte ti ho raccomandato di astenerti da ogni sforzo per far scaturire qualcosa dal cuore di coloro che cercano la salvezza? Quanto spesso ti ho detto di lavorare soltanto per far penetrare qualcosa in queste anime affamate? Conduci gli uomini nel regno e le grandi verità viventi del regno scacceranno subito ogni serio errore. Quando tu hai presentato ad un mortale la buona novella che Dio è suo Padre, puoi tanto più facilmente persuaderlo che egli è in realtà un figlio di Dio. Ed avendo fatto ciò, hai portato la luce della salvezza ad un essere immerso nelle tenebre. Simone, quando il Figlio dell’Uomo è venuto da voi la prima volta, è venuto a condannare Mosè ed i profeti ed a proclamare un modo nuovo e migliore di vivere? No. Io non sono venuto ad eliminare quello che avete ereditato dai vostri antenati, ma a mostrarvi la visione completa di quello che i vostri padri hanno visto soltanto in parte. Va dunque, Simone ad insegnare e a predicare il regno, e quando avrai condotto nel regno un uomo sano e salvo, allora sarà il momento, se questi verrà da te con delle domande, d’impartirgli istruzioni relative all’avanzamento progressivo dell’anima all’interno del regno divino.”
(1592.5) 141:6.3 Simone fu sconcertato da queste parole, ma fece come Gesù gli aveva raccomandato, e Teerma il Persiano fu annoverato tra coloro che entrarono nel regno.
(1592.6) 141:6.4 Quella sera Gesù parlò agli apostoli sulla nuova vita nel regno. Egli disse in particolare: “Quando entrerete nel regno, nascerete di nuovo. Non potete insegnare le cose profonde dello spirito a coloro che sono solo nati dalla carne; badate prima che gli uomini siano nati dallo spirito prima di cercare d’istruirli nelle vie avanzate dello spirito. Non cominciate a mostrare agli uomini le bellezze del tempio prima di averli fatti entrare nel tempio. Portate gli uomini a Dio e come figli di Dio prima di parlare delle dottrine della paternità di Dio e della filiazione degli uomini. Non lottate con gli uomini — siate sempre pazienti. Non è il vostro regno; voi siete solo degli ambasciatori. Andate semplicemente a proclamare: ecco il regno dei cieli — Dio è vostro Padre e voi siete figli suoi, e questa buona novella, se credete ad essa con tutto il cuore, è la vostra salvezza eterna.”
(1593.1) 141:6.5 Gli apostoli fecero grandi progressi durante il soggiorno ad Amatus, ma furono molto delusi che Gesù non avesse voluto dar loro alcun suggerimento circa i rapporti con i discepoli di Giovanni. Anche sull’importante questione del battesimo, tutto quello che Gesù disse fu: “In verità Giovanni ha battezzato con acqua, ma quando entrerete nel regno dei cieli voi sarete battezzati con lo Spirito.”
(1593.2) 141:7.1 Il 26 febbraio Gesù, i suoi apostoli ed un numeroso gruppo di discepoli scesero lungo il Giordano fino al guado vicino a Betania in Perea, nel luogo in cui Giovanni aveva proclamato per la prima volta il regno futuro. Gesù rimase qui con i suoi apostoli, insegnando e predicando, per quattro settimane prima di ripartire per Gerusalemme.
(1593.3) 141:7.2 Durante la seconda settimana di soggiorno a Betania di là del Giordano, Gesù condusse Pietro, Giacomo e Giovanni sulle colline situate dall’altra parte del fiume a sud di Gerico per tre giorni di riposo. Il Maestro insegnò a questi tre molte verità nuove ed avanzate sul regno dei cieli. Ai fini di questa esposizione abbiamo riordinato e classificato questi insegnamenti come segue:
(1593.4) 141:7.3 Gesù si sforzò di spiegare che desiderava dai suoi discepoli, avendo essi gustato le buone realtà spirituali del regno, che vivessero nel mondo in modo tale che gli uomini, vedendo la loro vita, divenissero coscienti del regno e fossero quindi portati ad informarsi presso i credenti sulle vie del regno. Tutti questi sinceri cercatori di verità sono sempre felici di ascoltare la buona novella del dono della fede che assicura l’ammissione al regno con le sue realtà spirituali divine ed eterne.
(1593.5) 141:7.4 Il Maestro cercò d’imprimere in tutti coloro che insegnavano il vangelo del regno che il loro solo compito era di rivelare Dio al singolo uomo come suo Padre — di portare questo singolo uomo a divenire cosciente della sua filiazione; di presentare poi questo stesso uomo a Dio come suo figlio per fede. Entrambe queste rivelazioni essenziali erano compiute in Gesù. Egli divenne realmente “la via, la verità e la vita”. La religione di Gesù era interamente basata sul modo di vivere la sua vita di conferimento sulla terra. Quando Gesù partì da questo mondo non lasciò dietro di sé né libri, né leggi, né altre forme di organizzazione umana relative alla vita religiosa dell’individuo.
(1593.6) 141:7.5 Gesù spiegò che era venuto a stabilire con gli uomini delle relazioni personali ed eterne che avrebbero avuto per sempre la precedenza su tutte le altre relazioni umane. E sottolineò che questa comunione spirituale intima doveva essere estesa a tutti gli uomini di tutte le ere e di tutte le condizioni sociali presso tutti i popoli. La sola ricompensa che egli offriva ai suoi figli era: in questo mondo — la gioia spirituale e la comunione divina; nell’altro mondo — la vita eterna nel progresso delle realtà spirituali divine del Padre del Paradiso.
(1593.7) 141:7.6 Gesù insisté molto su quelle che egli chiamava le due verità di primaria importanza negli insegnamenti del regno; ed erano: il raggiungimento della salvezza per mezzo della fede, e della sola fede, associata all’insegnamento rivoluzionario del conseguimento della libertà umana mediante il riconoscimento sincero della verità: “Voi conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi.” Gesù era la verità resa manifesta nella carne, ed egli promise d’inviare il suo Spirito della Verità nel cuore di tutti i suoi figli dopo il suo ritorno presso il Padre nei cieli.
(1594.1) 141:7.7 Il Maestro insegnava a questi apostoli gli elementi essenziali della verità per tutta un’epoca sulla terra. Essi ascoltavano spesso i suoi insegnamenti mentre in realtà ciò che egli diceva era destinato ad ispirare e ad edificare altri mondi. Egli offriva l’esempio di un nuovo ed originale piano di vita. Dal punto di vista umano egli era veramente un Ebreo, ma visse la sua vita per tutti i mondi come un mortale del regno.
(1594.2) 141:7.8 Per essere sicuro che suo Padre sarebbe stato riconosciuto nello svolgimento del piano del regno, Gesù spiegò che aveva ignorato di proposito i “grandi della terra”. Egli cominciò il suo lavoro con i poveri, la classe stessa che era stata così negletta dalla maggior parte delle religioni evoluzionarie delle epoche precedenti. Egli non disprezzava nessuno; il suo piano era su scala mondiale, ed anche universale. Era così fermo ed energico in questi proclami che anche Pietro, Giacomo e Giovanni furono tentati di credere che potesse essere uscito di senno.
(1594.3) 141:7.9 Egli cercò di far comprendere con dolcezza a questi apostoli la verità che era venuto a compiere questa missione di conferimento, non per dare un esempio a poche creature della terra, ma per stabilire e mostrare un criterio di vita umana per tutti i popoli su tutti i mondi del suo intero universo. E questo modello si avvicinava alla più alta perfezione, alla bontà suprema stessa del Padre Universale. Ma gli apostoli non riuscivano a comprendere il significato delle sue parole.
(1594.4) 141:7.10 Egli annunciò che era venuto ad agire come insegnante, un insegnante inviato dal cielo per presentare la verità spirituale alla mente materiale. E questo è esattamente ciò che fece; egli era un insegnante, non un predicatore. Dal punto di vista umano Pietro era un predicatore molto più efficace di Gesù. La predicazione di Gesù era così efficace a causa della sua personalità straordinaria, non tanto per l’irresistibile oratoria o il richiamo emotivo. Gesù parlava direttamente all’anima degli uomini. Egli era un maestro dello spirito dell’uomo, ma attraverso la mente. Egli viveva con gli uomini.
(1594.5) 141:7.11 Fu in questa occasione che Gesù comunicò a Pietro, Giacomo e Giovanni che la sua opera sulla terra doveva, sotto certi aspetti, essere limitata dal mandato ricevuto dal suo “associato celeste”, riferendosi alle istruzioni impartitegli prima del conferimento da suo fratello paradisiaco, Emanuele. Egli disse loro che era venuto a fare la volontà di suo Padre ed unicamente la volontà di suo Padre. Essendo quindi motivato da un sincero singolo proposito, non era vivamente preoccupato dal male nel mondo.
(1594.6) 141:7.12 Gli apostoli stavano cominciando a riconoscere l’amicizia spontanea di Gesù. Benché il Maestro fosse di facile approccio, viveva sempre indipendentemente da tutti gli esseri umani e al di sopra di loro. Nemmeno per un istante egli fu dominato da qualche influenza puramente mortale o soggetto al fragile giudizio umano. Egli non prestava alcuna attenzione all’opinione pubblica e le lodi lo lasciavano indifferente. Raramente s’interrompeva per correggere dei malintesi o per dolersi di un travisamento. Egli non chiese mai consiglio a nessuno; non fece mai richieste di preghiere.
(1594.7) 141:7.13 Giacomo era stupito dal modo in cui Gesù sembrava vedere la fine sin dall’inizio. Il Maestro appariva raramente sorpreso. Egli non era mai agitato, offeso o sconcertato. Non si scusò mai con nessuno. Era talvolta rattristato, ma mai scoraggiato.
(1594.8) 141:7.14 Giovanni comprese più chiaramente che, nonostante tutte le sue doti divine, dopotutto egli era un uomo. Gesù viveva come un uomo tra gli uomini, e comprendeva, amava e sapeva come dirigere gli uomini. Nella sua vita personale egli era così umano e tuttavia così perfetto. Ed era sempre disinteressato.
(1595.1) 141:7.15 Benché Pietro, Giacomo e Giovanni non fossero riusciti a comprendere granché di ciò che Gesù disse in questa occasione, le sue parole benevole si fermarono nel loro cuore, e dopo la crocifissione e la risurrezione esse uscirono fuori per arricchire ed allietare grandemente il loro ministero successivo. Nessuna meraviglia che questi apostoli non comprendessero pienamente le parole del Maestro, perché egli stava presentando loro il piano di una nuova era.
(1595.2) 141:8.1 Durante le quattro settimane di soggiorno a Betania al di là del Giordano, Andrea incaricò parecchie volte alla settimana delle coppie di apostoli di andare a Gerico per un giorno o due. Giovanni il Battista aveva molti seguaci a Gerico, e la maggior parte di loro accolse volentieri gli insegnamenti più avanzati di Gesù e dei suoi apostoli. In queste visite a Gerico gli apostoli cominciarono a mettere in atto più specificamente le istruzioni di Gesù per curare gli ammalati; essi entravano in ogni casa della città e cercavano di confortare ogni persona afflitta.
(1595.3) 141:8.2 Gli apostoli svolsero del lavoro pubblico a Gerico, ma i loro sforzi furono principalmente di natura più discreta e personale. Essi fecero allora la scoperta che la buona novella del regno era di molto conforto agli ammalati; che il loro messaggio era salutare per gli afflitti. E fu a Gerico che l’incarico di Gesù ai dodici di predicare la buona novella del regno e di curare gli afflitti fu per la prima volta pienamente eseguito.
(1595.4) 141:8.3 Essi si fermarono a Gerico lungo il cammino per Gerusalemme e furono raggiunti da una delegazione proveniente dalla Mesopotamia che era venuta per conferire con Gesù. Gli apostoli avevano progettato di trascorrere un solo giorno qui, ma quando giunsero questi cercatori di verità dell’Oriente, Gesù passò tre giorni con loro, ed essi tornarono alle loro varie dimore lungo l’Eufrate felici di conoscere le nuove verità del regno dei cieli.
(1595.5) 141:9.1 Lunedì, ultimo giorno di marzo, Gesù e gli apostoli iniziarono il loro viaggio sulle colline per recarsi a Gerusalemme. Lazzaro di Betania era sceso al Giordano due volte per vedere Gesù, ed era stato preso ogni accordo affinché il Maestro ed i suoi apostoli ponessero il loro quartier generale presso Lazzaro e le sue sorelle a Betania per tutto il tempo che desideravano fermarsi a Gerusalemme.
(1595.6) 141:9.2 I discepoli di Giovanni rimasero a Betania al di là del Giordano, insegnando e battezzando le folle, cosicché Gesù era accompagnato soltanto dai dodici quando arrivò a casa di Lazzaro. Qui Gesù e gli apostoli si fermarono per cinque giorni a riposarsi e a ristorarsi prima di andare a Gerusalemme per la Pasqua. Fu un grande avvenimento nella vita di Marta e Maria avere il Maestro ed i suoi apostoli nella casa del loro fratello, dove esse potevano provvedere alle loro necessità.
(1595.7) 141:9.3 Domenica mattina 6 aprile Gesù e gli apostoli scesero a Gerusalemme; e questa era la prima volta che il Maestro e i dodici si trovavano là insieme.
(1596.1) 142:0.1 DURANTE il mese d’aprile Gesù e gli apostoli lavorarono a Gerusalemme, uscendo dalla città tutte le sere per passare la notte a Betania. Gesù passava una o due notti per settimana a Gerusalemme a casa di Flavio, un Ebreo greco, dove molti eminenti Ebrei venivano in segreto a consultarlo.
(1596.2) 142:0.2 Nel corso del primo giorno a Gerusalemme, Gesù fece una breve visita al suo vecchio amico, Anna, un tempo sommo sacerdote e parente di Salomè, moglie di Zebedeo. Anna aveva sentito parlare di Gesù e dei suoi insegnamenti, e quando Gesù si presentò a casa del sommo sacerdote, fu ricevuto con molte riserve. Quando Gesù percepì la freddezza di Anna, si congedò immediatamente, dicendo mentre andava via: “La paura è la principale schiavitù dell’uomo e l’orgoglio la sua gran debolezza; ingannerai te stesso rendendoti schiavo di questi due distruttori della gioia e della libertà?” Ma Anna non rispose nulla. Il Maestro non rivide più Anna fino al momento in cui sedette con suo genero per giudicare il Figlio dell’Uomo.
(1596.3) 142:1.1 Per tutto questo mese Gesù o uno degli apostoli insegnarono quotidianamente nel tempio. Quando le folle della Pasqua erano troppo numerose per avere accesso all’insegnamento nel tempio, gli apostoli conducevano molti gruppi d’insegnamento fuori della cinta sacra. Il tema principale del loro messaggio era:
(1596.4) 142:1.2 1. Il regno dei cieli è a portata di mano.
(1596.5) 142:1.3 2. Avendo fede nella paternità di Dio voi potete entrare nel regno dei cieli, divenendo così figli di Dio.
(1596.6) 142:1.4 3. L’amore è la regola di vita nel regno — la devozione suprema a Dio, amando nel contempo il vostro prossimo come voi stessi.
(1596.7) 142:1.5 4. L’obbedienza alla volontà del Padre, che produce i frutti dello spirito nella propria vita personale, è la legge del regno.
(1596.8) 142:1.6 Le moltitudini che venivano a celebrare la Pasqua ascoltavano questo insegnamento di Gesù, e centinaia di loro si rallegravano della buona novella. I capi civili e religiosi degli Ebrei cominciarono a preoccuparsi seriamente di Gesù e dei suoi apostoli e discussero tra di loro la condotta da tenere nei loro confronti.
(1596.9) 142:1.7 In aggiunta al loro insegnamento nel tempio e nei pressi dello stesso, gli apostoli ed altri credenti erano impegnati a svolgere molto lavoro personale tra le folle della Pasqua. Questi uomini e donne interessati portarono la notizia del messaggio di Gesù da questa celebrazione della Pasqua fino alle parti più lontane dell’Impero Romano ed anche in Oriente. Questo fu l’inizio della diffusione del vangelo del regno nel mondo esterno. L’opera di Gesù non era più limitata alla Palestina.
(1597.1) 142:2.1 C’era a Gerusalemme ad assistere alle festività della Pasqua un certo Giacobbe, un ricco commerciante ebreo di Creta, che venne da Andrea a chiedere di vedere Gesù in privato. Andrea combinò questo incontro segreto con Gesù a casa di Flavio per la sera del giorno successivo. Quest’uomo non riusciva a comprendere gli insegnamenti del Maestro e veniva perché desiderava informarsi più completamente sul regno di Dio. Giacobbe disse a Gesù: “Ma, Rabbi, Mosè e gli antichi profeti ci dicono che Yahweh è un Dio geloso, un Dio di grande collera e d’ira crudele. I profeti dicono che odia i peccatori e si vendica di coloro che non obbediscono alla sua legge. Tu ed i tuoi discepoli c’insegnate che Dio è un Padre compassionevole e buono che ama talmente tutti gli uomini da volerli accogliere in questo nuovo regno dei cieli, che tu proclami essere così vicino.”
(1597.2) 142:2.2 Quando Giacobbe ebbe finito di parlare, Gesù rispose: “Giacobbe, tu hai esposto bene gli insegnamenti degli antichi profeti, che istruirono i figli della loro generazione conformemente alla luce del loro tempo. Nostro Padre in Paradiso è immutabile. Ma il concetto della sua natura s’è ampliato ed accresciuto dai giorni di Mosè, attraverso i tempi di Amos e fino alla generazione del profeta Isaia. Ora io sono venuto nella carne per rivelare il Padre in una nuova gloria e per manifestare il suo amore e la sua misericordia a tutti gli uomini su tutti i mondi. Via via che il vangelo di questo regno si diffonderà nel mondo con il suo messaggio d’incoraggiamento e di buona volontà a tutti gli uomini, si stabiliranno maggiori e migliori relazioni tra le famiglie di tutte le nazioni. Con il passare del tempo, i padri ed i loro figli si ameranno di più gli uni con gli altri e saranno così portati ad una migliore comprensione dell’amore del Padre che è nei cieli per i suoi figli sulla terra. Ricordati, Giacobbe, che un padre buono e sincero non solo ama la sua famiglia come un tutto — come una famiglia — ma ama anche veramente e cura affettuosamente ogni singolo membro.”
(1597.3) 142:2.3 Dopo una prolungata discussione sul carattere del Padre celeste, Gesù si fermò per dire: “Tu, Giacobbe, essendo padre di una numerosa famiglia, conosci bene la verità delle mie parole.” E Giacobbe disse: “Ma, Maestro, chi ti ha detto che ero il padre di sei figli? Come hai saputo questo sul mio conto?” Ed il Maestro replicò: “Basti dire che il Padre ed il Figlio conoscono ogni cosa, perché in verità essi vedono tutto. Amando i tuoi figli come un padre terreno, tu devi ora accettare come una realtà l’amore del Padre celeste per te — non solo per tutti i figli di Abramo, ma per te, per la tua anima individuale.”
(1597.4) 142:2.4 Poi Gesù proseguì a dire: “Quando i tuoi figli sono molto giovani ed immaturi, e devi punirli, essi possono pensare che il loro padre è adirato e pieno di collera risentita. La loro immaturità non permette loro di penetrare al di là della punizione per discernere l’affetto previdente e correttivo del padre. Ma quando questi stessi figli diventano uomini e donne, non sarebbe insensato da parte loro rimanere attaccati a queste antiche e false nozioni sul loro padre? In quanto uomini e donne essi possono ora discernere l’amore del loro padre in tutte queste punizioni di un tempo. E con il passare dei secoli l’umanità non dovrebbe giungere a comprendere meglio la vera natura ed il carattere amorevole del Padre che è nei cieli? Quale profitto trai dall’illuminazione spirituale delle generazioni successive se persisti a vedere Dio come lo videro Mosè ed i profeti? Io ti dico, Giacobbe, che alla brillante luce di quest’ora tu dovresti vedere il Padre come nessuno dei tuoi predecessori l’ha mai visto. E vedendolo così, dovresti rallegrarti di entrare nel regno dove regna un Padre così misericordioso, e dovresti fare in modo che la sua volontà d’amore domini d’ora in poi la tua vita.”
(1598.1) 142:2.5 E Giacobbe rispose: “Rabbi, io credo; desidero che tu mi conduca nel regno del Padre.”
(1598.2) 142:3.1 I dodici apostoli, la maggior parte dei quali aveva ascoltato questa analisi del carattere di Dio, quella sera posero a Gesù numerose domande sul Padre che è nei cieli. Le risposte del Maestro a queste domande possono essere meglio presentate dal seguente riassunto in termini moderni:
(1598.3) 142:3.2 Gesù rimproverò dolcemente i dodici, dicendo in sostanza: non conoscete le tradizioni d’Israele relative alla crescita dell’idea di Yahweh, ed ignorate l’insegnamento delle Scritture concernenti la dottrina di Dio? E poi il Maestro procedette ad istruire gli apostoli sull’evoluzione del concetto di Deità lungo tutto il corso dello sviluppo del popolo ebreo. Egli richiamò l’attenzione sulle seguenti fasi della crescita dell’idea di Dio:
(1598.4) 142:3.3 1. Yahweh — il dio dei clan del Sinai. Questo era il concetto primitivo della Deità che Mosè elevò al livello superiore del Signore Dio d’Israele. Il Padre che è nei cieli non manca mai di accettare l’adorazione sincera dei suoi figli terreni, indipendentemente da quanto grossolano sia il loro concetto della Deità o con quale nome essi simbolizzino la sua natura divina.
(1598.5) 142:3.4 2. L’Altissimo. Questo concetto del Padre celeste fu proclamato da Melchizedek ad Abramo e fu portato lontano da Salem da coloro che credettero successivamente a questa idea ampliata e sviluppata della Deità. Abramo e suo fratello lasciarono Ur a causa dell’istituzione dell’adorazione del sole, e divennero credenti nell’insegnamento di Melchizedek di El Elyon — l’Altissimo Dio. Il loro era un concetto composito di Dio, consistente in un miscuglio di loro antiche idee mesopotamiche e della dottrina dell’Altissimo.
(1598.6) 142:3.5 3. El Shaddai. In quest’epoca remota molti Ebrei adoravano El Shaddai, il concetto egiziano del Dio del cielo, che essi avevano imparato a conoscere durante la loro prigionia nella regione del Nilo. Molto tempo dopo l’epoca di Melchizedek questi tre concetti di Dio si fusero insieme per formare la dottrina della Deità creatrice, il Signore Dio d’Israele.
(1598.7) 142:3.6 4. Elohim. Dai tempi di Adamo l’insegnamento della Trinità del Paradiso è persistito. Non ricordate come le Scritture comincino con l’affermazione che “All’inizio gli Dei crearono i cieli e la terra”? Ciò indica che quando quel passaggio fu redatto, il concetto della Trinità di tre Dei in uno aveva trovato posto nella religione dei nostri antenati.
(1598.8) 142:3.7 5. Il Supremo Yahweh. Ai tempi di Isaia queste credenze su Dio si erano allargate nel concetto di un Creatore Universale che era ad un tempo onnipotente ed infinitamente misericordioso. E questo concetto di Dio in evoluzione ed in ampliamento soppiantò praticamente ogni idea precedente della Deità nella religione dei nostri padri.
(1598.9) 142:3.8 6. Il Padre che è nei cieli. Ed ora noi conosciamo Dio come nostro Padre che è nei cieli. Il nostro insegnamento fornisce una religione in cui il credente è un figlio di Dio. Questa è la buona novella del vangelo del regno dei cieli. Coesistenti con il Padre vi sono il Figlio e lo Spirito, e la rivelazione della natura e del ministero di queste Deità del Paradiso continuerà ad ampliarsi e a risplendere nel corso delle ere senza fine della progressione spirituale eterna dei figli ascendenti di Dio. In ogni tempo e durante tutte le ere l’adorazione sincera di ogni essere umano — per quanto concerne il progresso spirituale individuale — è riconosciuta dallo spirito interiore come un omaggio reso al Padre che è nei cieli.
(1599.1) 142:3.9 Mai prima gli apostoli erano stati così scossi come lo furono nell’ascoltare questa esposizione della crescita del concetto di Dio nella mente degli Ebrei delle generazioni precedenti; essi erano troppo sconvolti per porre delle domande. Mentre stavano seduti in silenzio davanti a Gesù, il Maestro proseguì a dire: “Ed avreste conosciuto queste verità se aveste letto le Scritture. Non avete letto in Samuele dov’è detto: ‘E la collera del Signore si accese contro Israele, al punto che egli spinse Davide contro di loro dicendo: va a numerare Israele e Giuda’? E ciò non era strano perché al tempo di Samuele i figli di Abramo credevano veramente che Yahweh creasse sia il bene che il male. Ma quando uno scrittore successivo narrò questi avvenimenti dopo l’ampliamento del concetto ebraico della natura di Dio, non osò attribuire il male a Yahweh, perciò disse: ‘E Satana si elevò contro Israele ed incitò Davide a numerare Israele’. Non riuscite a discernere che questi passaggi delle Scritture mostrano chiaramente come il concetto della natura di Dio continuò a crescere di generazione in generazione?
(1599.2) 142:3.10 “Voi avreste anche dovuto discernere la crescita della comprensione della legge divina in perfetta armonia con questi concetti in ampliamento della divinità. Quando i figli d’Israele uscirono dall’Egitto in una data anteriore alla rivelazione ampliata di Yahweh, avevano dieci comandamenti che servirono come loro legge fino al tempo in cui si accamparono davanti al Sinai. E questi dieci comandamenti erano:
(1599.3) 142:3.11 “1. Non adorerete nessun altro dio, perché il Signore è un Dio geloso.
(1599.4) 142:3.12 “2. Non farete statue fuse di dei.
(1599.5) 142:3.13 “3. Non dimenticherete di osservare la festa del pane azzimo.
(1599.6) 142:3.14 “4. Di tutti i maschi degli uomini o del bestiame, i primogeniti sono miei, dice il Signore.
(1599.7) 142:3.15 “5. Per sei giorni potete lavorare, ma il settimo giorno vi riposerete.
(1599.8) 142:3.16 “6. Non mancherete di osservare la festa dei primi frutti e la festa del raccolto alla fine dell’anno.
(1599.9) 142:3.17 “7. Non offrirete il sangue di nessun sacrificio con pane lievitato.
(1599.10) 142:3.18 “8. Il sacrificio della festa di Pasqua non sarà lasciato sul posto fino al mattino.
(1599.11) 142:3.19 “9. Le primizie dei primi frutti della terra le porterete alla casa del Signore vostro Dio.
(1599.12) 142:3.20 “10. Non farete bollire un capretto nel latte di sua madre.
(1599.13) 142:3.21 “E poi, in mezzo ai lampi e ai tuoni del Sinai, Mosè diede loro i nuovi dieci comandamenti, che ammetterete tutti essere espressioni più degne di accompagnare l’ampliamento dei concetti della Deità di Yahweh. E non avete mai notato la doppia registrazione di questi comandamenti nelle Scritture, dove nel primo caso la liberazione dall’Egitto è data come ragione per osservare il sabato, mentre nella registrazione successiva le credenze religiose in evoluzione dei nostri antenati richiesero che ciò fosse cambiato nel riconoscimento del fatto della creazione come motivo per osservare il sabato?
(1599.14) 142:3.22 “E poi vi ricorderete che ancora una volta — al tempo spiritualmente molto più illuminato di Isaia — questi dieci comandamenti negativi furono cambiati nella grande e positiva legge dell’amore, l’ingiunzione di amare Dio sopra ogni cosa ed il vostro prossimo come voi stessi. Ed è questa legge suprema d’amore per Dio e per gli uomini che vi proclamo anch’io come costituente il dovere totale degli uomini.”
(1600.1) 142:3.23 E quando ebbe finito di parlare, nessuno gli pose una domanda. Essi andarono a dormire, ciascuno per proprio conto.
(1600.2) 142:4.1 Flavio, l’Ebreo greco, era un proselito dell’entrata, non essendo stato né circonciso né battezzato; e poiché egli era un grande amante della bellezza nell’arte e nella scultura, la casa che occupava quando soggiornava a Gerusalemme era un edificio bellissimo. Questa casa era squisitamente adorna di tesori senza prezzo che aveva acquistato qua e là nei suoi viaggi per il mondo. Quando pensò per la prima volta d’invitare Gesù a casa sua, egli temé che il Maestro potesse offendersi alla vista di queste cosiddette immagini. Ma Flavio rimase gradevolmente sorpreso quando Gesù entrò in casa, ed invece di rimproverarlo per il possesso di questi supposti oggetti idolatri sparsi per la casa, manifestò grande interesse per l’intera collezione e pose molte domande di apprezzamento su ogni oggetto mentre Flavio lo accompagnava di stanza in stanza, mostrandogli tutte le sue statue favorite.
(1600.3) 142:4.2 Il Maestro vide che il suo ospite era sconcertato dal suo atteggiamento favorevole verso l’arte; perciò, quando ebbero finito di visitare l’intera collezione, Gesù disse: “Poiché tu apprezzi la bellezza delle cose create da mio Padre e foggiate dalle mani d’artista dell’uomo, perché ti aspetteresti di essere rimproverato? Per il fatto che Mosè ha cercato un tempo di combattere l’idolatria e l’adorazione di falsi dei, perché tutti gli uomini dovrebbero condannare la riproduzione della grazia e della bellezza? Io ti dico, Flavio, che i figli di Mosè lo hanno frainteso, ed ora trasformano in falsi dei le sue stesse proibizioni di fare statue ed immagini delle cose che sono nei cieli e sulla terra. Ma anche se Mosè ha insegnato tali proibizioni alle menti ottenebrate di quel tempo, che cosa ha a che fare ciò con il nostro tempo nel quale il Padre celeste è rivelato come Sovrano Spirituale universale al di sopra di tutto? Flavio, io dichiaro che nel regno futuro non s’insegnerà più ‘non adorate questo e non adorate quello’; non ci si occuperà più di ordini di astenersi da questo e di badare a non fare quello, ma piuttosto ci si occuperà di un solo dovere supremo. E questo dovere degli uomini è espresso in due grandi privilegi: l’adorazione sincera del Creatore infinito, il Padre del Paradiso, ed il servizio amorevole reso ai propri simili. Se tu ami il tuo prossimo come te stesso, sai realmente di essere un figlio di Dio.
(1600.4) 142:4.3 “In un’epoca in cui mio Padre non era ben compreso, Mosè era giustificato nei suoi tentativi di opporsi all’idolatria, ma nell’era futura il Padre sarà stato rivelato nella vita del Figlio; e questa nuova rivelazione di Dio renderà per sempre inutile confondere il Padre Creatore con idoli di pietra o statue d’oro e d’argento. Oramai gli uomini intelligenti possono godere dei tesori dell’arte senza confondere questo apprezzamento materiale della bellezza con l’adorazione ed il servizio del Padre del Paradiso, il Dio di tutte le cose e di tutti gli esseri.”
(1600.5) 142:4.4 Flavio credette a tutto ciò che Gesù gli insegnò. Il giorno successivo egli andò a Betania al di là del Giordano e fu battezzato dai discepoli di Giovanni. Ed egli fece questo perché gli apostoli di Gesù non battezzavano ancora i credenti. Quando Flavio ritornò a Gerusalemme diede una grande festa per Gesù ed invitò sessanta dei suoi amici. E molti di questi invitati divennero anch’essi credenti nel messaggio del regno futuro.
(1601.1) 142:5.1 Uno dei grandi sermoni che Gesù predicò nel tempio durante questa settimana di Pasqua fu in risposta ad una domanda posta da uno dei suoi ascoltatori, un uomo proveniente da Damasco. Quest’uomo chiese a Gesù: “Ma, Rabbi, come sapremo con certezza che tu sei mandato da Dio e che possiamo veramente entrare in questo regno che tu ed i tuoi discepoli proclamate essere a portata di mano?” E Gesù rispose:
(1601.2) 142:5.2 “Quanto al mio messaggio e all’insegnamento dei miei discepoli, voi dovreste giudicarli dai loro frutti. Se noi vi proclamiamo le verità dello spirito, lo spirito testimonierà nel vostro cuore che il nostro messaggio è autentico. Quanto al regno e alla vostra certezza di essere accettati dal Padre celeste, permettetemi di chiedere quale padre tra di voi che sia un padre degno e comprensivo lascerebbe suo figlio nell’ansia o nel dubbio riguardo al suo status nella famiglia o alla sua certezza negli affetti del cuore di suo padre? Voi padri terreni provate piacere a torturare i vostri figli con l’incertezza circa la persistenza dell’amore verso di loro nel vostro cuore umano? Nemmeno vostro Padre celeste lascia i suoi figli nati dallo spirito per mezzo della fede nell’incertezza del dubbio sulla loro posizione nel regno. Se voi accettate Dio come vostro Padre, allora certamente ed in verità siete figli di Dio. E se siete figli, allora siete certi della posizione e della condizione di tutto ciò che concerne la filiazione divina ed eterna. Se credete alla mie parole, credete per ciò stesso in Colui che mi ha mandato, e credendo in tal modo nel Padre avete reso certo il vostro status nella cittadinanza celeste. Se fate la volontà del Padre che è nei cieli non mancherete mai di raggiungere la vita eterna di progresso nel regno divino.
(1601.3) 142:5.3 “Lo Spirito Supremo testimonierà con il vostro spirito che voi siete veramente figli di Dio. E se siete figli di Dio, allora siete nati dallo spirito di Dio; e chiunque è nato dallo spirito ha in se stesso il potere di vincere tutti i dubbi; e questa è la vittoria che trionfa su tutte le incertezze, la vostra fede stessa.
(1601.4) 142:5.4 “Disse il profeta Isaia, parlando di questi tempi: ‘Quando lo spirito sarà sparso su di noi dall’alto, allora l’opera di rettitudine diventerà pace, tranquillità e certezza per sempre.’ E per tutti coloro che credono veramente a questo vangelo, io diverrò la garanzia del loro accoglimento nella misericordia eterna e nella vita perpetua del regno di mio Padre. Voi, allora, che ascoltate questo messaggio e che credete a questo vangelo del regno siete figli di Dio ed avete la vita eterna; e la prova per tutto il mondo che siete nati dallo spirito è che vi amate sinceramente gli uni con gli altri.”
(1601.5) 142:5.5 La folla di ascoltatori rimase molte ore con Gesù, ponendogli delle domande ed ascoltando con attenzione le sue risposte incoraggianti. Anche gli apostoli furono stimolati dall’insegnamento di Gesù a predicare il vangelo del regno con più forza e sicurezza. Questa esperienza a Gerusalemme fu una grande ispirazione per i dodici. Era il loro primo contatto con folle così enormi, ed impararono molte valide lezioni che furono di grande aiuto nel loro lavoro successivo.
(1601.6) 142:6.1 Una sera a casa di Flavio venne a trovare Gesù un certo Nicodemo, un ricco ed anziano membro del Sinedrio ebreo. Egli aveva sentito parlare molto degli insegnamenti di questo Galileo, e così un pomeriggio andò ad ascoltarlo mentre insegnava nei cortili del tempio. Egli avrebbe voluto andare spesso ad ascoltare Gesù che insegnava, ma temeva di essere visto dalla gente che assisteva al suo insegnamento, poiché i capi degli Ebrei erano già talmente in disaccordo con Gesù che nessun membro del Sinedrio avrebbe voluto essere identificato apertamente in alcun modo con lui. Di conseguenza, Nicodemo aveva preso accordi con Andrea per vedere Gesù in privato e dopo l’imbrunire di questa sera stessa. Pietro, Giacomo e Giovanni erano nel giardino di Flavio quando cominciò l’incontro, ma più tardi essi entrarono tutti in casa dove la conversazione proseguì.
(1602.1) 142:6.2 Ricevendo Nicodemo, Gesù non mostrò particolare deferenza; parlando con lui non vi fu né compromesso né tentativo inopportuno di persuasione. Il Maestro non tentò minimamente di respingere il suo visitatore segreto, né fu sarcastico. In tutti i suoi rapporti con il distinto ospite, Gesù fu calmo, serio e solenne. Nicodemo non era un delegato ufficiale del Sinedrio; egli veniva a far visita a Gesù essenzialmente a causa del suo personale e sincero interesse nell’insegnamento del Maestro.
(1602.2) 142:6.3 Dopo essere stato presentato da Flavio, Nicodemo disse: “Rabbi, noi sappiamo che tu sei un istruttore inviato da Dio, perché nessun semplice uomo potrebbe insegnare in questo modo se Dio non fosse con lui. Ed io desidero conoscere di più sui tuoi insegnamenti circa il regno futuro.”
(1602.3) 142:6.4 Gesù rispose a Nicodemo: “In verità, in verità ti dico, Nicodemo, a meno che un uomo non nasca dall’alto, non può vedere il regno di Dio.” Allora Nicodemo rispose: “Ma come può un uomo nascere di nuovo quando è vecchio? Egli non può entrare una seconda volta nel grembo di sua madre per nascere.”
(1602.4) 142:6.5 Gesù disse: “Nondimeno io ti dichiaro, a meno che un uomo non nasca dallo spirito, non può entrare nel regno di Dio. Ciò che è nato dalla carne è carne, e ciò che è nato dallo spirito è spirito. Ma non ti dovresti meravigliare che io dica che si deve nascere dall’alto. Quando il vento soffia si ode lo stormire delle foglie, ma non si vede il vento — né da dove viene né dove va — ed è così per chiunque è nato dallo spirito. Con gli occhi della carne si possono vedere le manifestazioni dello spirito, ma non si può discernere effettivamente lo spirito.”
(1602.5) 142:6.6 Nicodemo rispose: “Ma io non capisco — come può avvenire questo?” Gesù disse: “È possibile che tu sia un insegnante in Israele e che ignori tutto ciò? Diviene dunque dovere di coloro che conoscono le realtà dello spirito rivelare queste cose a coloro che discernono soltanto le manifestazioni del mondo materiale. Ma tu ci crederai se ti parliamo delle verità celesti? Hai il coraggio, Nicodemo, di credere in uno che è disceso dal cielo, il Figlio dell’Uomo stesso?”
(1602.6) 142:6.7 E Nicodemo disse: “Ma come posso cominciare a comprendere questo spirito che deve ricrearmi in preparazione dell’entrata nel regno? Gesù rispose: “Lo spirito del Padre che è nei cieli abita già in te. Se accetterai di essere guidato da questo spirito dell’alto, comincerai molto presto a vedere con gli occhi dello spirito, e poi grazie alla libera scelta del governo dello spirito nascerai dallo spirito, poiché il solo scopo della tua vita sarà di fare la volontà di tuo Padre che è nei cieli. E trovandoti così nato dallo spirito e felicemente nel regno di Dio, comincerai a produrre nella tua vita quotidiana gli abbondanti frutti dello spirito.”
(1602.7) 142:6.8 Nicodemo era veramente sincero. Egli fu profondamente colpito, ma ripartì disorientato. Nicodemo era completo quanto al proprio sviluppo, al controllo di se stesso, ed anche quanto ad alte qualità morali. Egli era raffinato, egocentrico ed altruista; ma non sapeva come sottomettere la sua volontà alla volontà del Padre divino, come un bambino accetta di sottomettersi al governo e alla guida di un padre terreno saggio e amorevole, divenendo così in realtà un figlio di Dio, un erede progressivo del regno eterno.
(1603.1) 142:6.9 Ma Nicodemo raccolse abbastanza fede da impossessarsi del regno. Egli protestò debolmente quando i suoi colleghi del Sinedrio cercarono di condannare Gesù senza ascoltarlo; e con Giuseppe d’Arimatea confessò più tardi coraggiosamente la sua fede e reclamò il corpo di Gesù, proprio quando la maggior parte dei discepoli erano fuggiti terrorizzati dalla scena della sofferenza e della morte finale del loro Maestro.
(1603.2) 142:7.1 Dopo l’intenso periodo d’insegnamento e di lavoro personale della settimana di Pasqua a Gerusalemme, Gesù trascorse il mercoledì seguente a Betania con i suoi apostoli per riposarsi. Quel pomeriggio Tommaso pose una domanda che provocò una lunga ed istruttiva risposta. Disse Tommaso: “Maestro, il giorno in cui siamo stati scelti come ambasciatori del regno ci hai detto molte cose, ci hai istruiti sul nostro modo personale di vivere, ma che cosa insegneremo noi alle folle? Come dovranno vivere queste persone dopo che il regno si sarà maggiormente manifestato? I tuoi discepoli avranno propri schiavi? I tuoi credenti cercheranno la povertà e fuggiranno la giustizia? La misericordia sarà la sola a prevalere in modo che non avremo più né leggi né tribunali?” Gesù e i dodici trascorsero tutto il pomeriggio e tutta quella sera, dopo la cena, a discutere le domande di Tommaso. Ai fini di questa esposizione, presentiamo il seguente riassunto delle istruzioni del Maestro:
(1603.3) 142:7.2 Gesù cercò in primo luogo di spiegare ai suoi apostoli che egli stava vivendo sulla terra una vita unica nella carne, e che essi, i dodici, erano stati chiamati a partecipare a questa esperienza di conferimento del Figlio dell’Uomo; ed in tale qualità di collaboratori anch’essi dovevano condividere molte delle restrizioni e degli obblighi speciali dell’intera esperienza del conferimento. Vi fu un velato accenno al fatto che il Figlio dell’Uomo era la sola persona mai vissuta sulla terra che poteva simultaneamente vedere nel cuore stesso di Dio e nelle profondità dell’anima umana.
(1603.4) 142:7.3 Gesù spiegò molto chiaramente che il regno dei cieli era un’esperienza evoluzionaria, che cominciava qui sulla terra e progrediva attraverso tappe di vita successive fino al Paradiso. Nel corso della sera egli affermò in modo preciso che ad un certo stadio futuro dello sviluppo del regno egli sarebbe ritornato su questo mondo in potenza spirituale e gloria divina.
(1603.5) 142:7.4 Egli chiarì poi che “l’idea del regno” non era il modo migliore per illustrare la relazione dell’uomo con Dio; che egli impiegava queste figure retoriche perché il popolo ebreo era in attesa del regno e perché Giovanni aveva predicato in termini del regno futuro. Gesù disse: “Le persone di un’altra epoca comprenderanno meglio il vangelo del regno quando sarà presentato in termini che esprimono le relazioni di famiglia — quando l’uomo comprenderà la religione come l’insegnamento della paternità di Dio e della fratellanza dell’uomo, la filiazione con Dio.” Poi il Maestro parlò abbastanza a lungo della famiglia terrena come di un’illustrazione della famiglia celeste, ripetendo le due leggi fondamentali della vita: il primo comandamento d’amore per il padre, il capo della famiglia, ed il secondo comandamento d’amore reciproco tra i figli, amare tuo fratello come te stesso. E spiegò poi che questa qualità d’affetto fraterno si sarebbe invariabilmente manifestata nel servizio sociale amorevole e disinteressato.
(1603.6) 142:7.5 Seguì poi la memorabile discussione sulle caratteristiche fondamentali della vita di famiglia e sulla loro applicazione alle relazioni esistenti tra Dio e l’uomo. Gesù affermò che una vera famiglia si fonda sui sette fatti seguenti:
(1604.1) 142:7.6 1. La realtà dell’esistenza. Le relazioni naturali ed i fenomeni di somiglianza fisica sono legati alla famiglia: i figli ereditano certi tratti dei genitori. I figli hanno origine dai genitori; l’esistenza della personalità dipende dall’atto del genitore. La relazione tra padre e figlio è inerente a tutta la natura e pervade tutte le esistenze viventi.
(1604.2) 142:7.7 2. Sicurezza e diletto. I veri padri provano grande piacere nel provvedere ai bisogni dei loro figli. Molti padri non si accontentano di fornire il semplice necessario ai loro figli, ma amano anche provvedere ai loro piaceri.
(1604.3) 142:7.8 3. Istruzione ed apprendistato. I padri saggi fanno dei piani accurati per l’istruzione e l’adeguato apprendistato dei loro figli e delle loro figlie. Da giovani essi vengono preparati alle responsabilità più grandi della vita successiva.
(1604.4) 142:7.9 4. Disciplina e limitazioni. I padri previdenti provvedono anche per la disciplina, il governo, la correzione e talvolta per le limitazioni necessarie alla loro giovane ed immatura discendenza.
(1604.5) 142:7.10 5. Cameratismo e lealtà. Il padre affettuoso intrattiene rapporti intimi ed amorevoli con i suoi figli. Il suo orecchio è sempre aperto alle loro richieste; egli è sempre pronto a condividere le loro sofferenze e ad aiutarli nelle loro difficoltà. Il padre è supremamente interessato al benessere progressivo della sua progenie.
(1604.6) 142:7.11 6. Amore e misericordia. Un padre compassionevole perdona generosamente; i padri non nutrono idee di vendetta contro i loro figli. I padri non sono simili né a dei giudici, né a dei nemici, né a dei creditori. Le vere famiglie sono costruite sulla tolleranza, la pazienza ed il perdono.
(1604.7) 142:7.12 7. Disposizioni per il futuro. I padri temporali amano lasciare un’eredità ai loro figli. La famiglia continua da una generazione all’altra. La morte mette fine ad una generazione soltanto per segnare l’inizio di un’altra. La morte pone termine ad una vita individuale, ma non necessariamente alla famiglia.
(1604.8) 142:7.13 Per ore il Maestro discusse l’applicazione di questi aspetti della vita familiare alle relazioni dell’uomo, il figlio terreno, con Dio, il Padre del Paradiso. E questa fu la sua conclusione: “Io conosco alla perfezione l’intera relazione di un figlio con il Padre, perché ho raggiunto ora tutto quello che voi dovrete conseguire circa la filiazione nell’eterno futuro. Il Figlio dell’Uomo è pronto ad ascendere alla destra del Padre, cosicché in me la via ora aperta è ancora più spaziosa perché tutti voi vediate Dio e, prima che abbiate terminato la gloriosa progressione, diveniate perfetti, come vostro Padre nei cieli è perfetto.”
(1604.9) 142:7.14 Quando gli apostoli udirono queste sorprendenti parole, si ricordarono le dichiarazioni che Giovanni fece al momento del battesimo di Gesù, e conservarono così un ricordo molto vivo di questa esperienza in connessione con la loro predicazione ed il loro insegnamento dopo la morte e la risurrezione del Maestro.
(1604.10) 142:7.15 Gesù è un Figlio divino, uno che è nella piena fiducia del Padre Universale. Egli era stato con il Padre e lo aveva compreso pienamente. Ora aveva vissuto la sua vita terrena con piena soddisfazione del Padre, e questa incarnazione nella carne gli aveva permesso di comprendere pienamente l’uomo. Gesù era la perfezione dell’uomo; egli aveva raggiunto proprio quella perfezione che tutti i veri credenti sono destinati a raggiungere in lui e per mezzo di lui. Gesù rivelò un Dio di perfezione all’uomo e presentò con se stesso il figlio perfezionato dei regni a Dio.
(1605.1) 142:7.16 Sebbene Gesù avesse parlato per parecchie ore, Tommaso non era ancora soddisfatto, perché disse: “Ma, Maestro, noi non troviamo che il Padre che è nei cieli ci tratti sempre con bontà e misericordia. Molte volte noi soffriamo terribilmente sulla terra, e non sempre le nostre preghiere sono esaudite. In che cosa non riusciamo a comprendere il significato del tuo insegnamento?”
(1605.2) 142:7.17 Gesù replicò: “Tommaso, Tommaso, quanto tempo ci vorrà prima che tu acquisisca la capacità di ascoltare con l’orecchio dello spirito? Quanto tempo passerà prima che tu capisca che questo regno è un regno spirituale e che mio Padre è anch’esso un essere spirituale? Non comprendi che vi sto istruendo come dei figli spirituali nella famiglia spirituale dei cieli, il cui padre che è a capo è uno spirito infinito ed eterno? Non mi permetterai di utilizzare la famiglia terrena come illustrazione delle relazioni divine senza applicare così alla lettera il mio insegnamento agli affari materiali? Non riesci a separare nella tua mente le realtà spirituali del regno dai problemi materiali, sociali, economici e politici di quest’epoca? Quando parlo il linguaggio dello spirito perché insisti a tradurre il mio proposito nel linguaggio della carne, semplicemente perché mi permetto d’impiegare comparazioni fisiche e correnti per fornire degli esempi? Figli miei, vi supplico di cessare di applicare l’insegnamento del regno dello spirito ai meschini affari di schiavitù, di povertà, di case e di terre, ed ai problemi materiali di equità e di giustizia umane. Queste materie temporali riguardano gli uomini di questo mondo, e benché in qualche modo riguardino tutti gli uomini, voi siete stati chiamati a rappresentarmi nel mondo come io rappresento mio Padre. Voi siete gli ambasciatori spirituali di un regno spirituale, i rappresentanti speciali del Padre spirituale. In questo momento dovrebbe già essermi possibile istruirvi come uomini maturi del regno dello spirito. Dovrò sempre rivolgermi a voi soltanto come a dei bambini? Non crescerete mai in percezione spirituale? Ciononostante io vi amo e vi sopporterò, anche fino al termine della nostra associazione nella carne. Ed anche allora il mio spirito vi precederà nel mondo intero.”
(1605.3) 142:8.1 Alla fine di aprile l’opposizione contro Gesù tra i Farisei ed i Sadducei era divenuta così accentuata che il Maestro ed i suoi apostoli decisero di lasciare Gerusalemme per qualche tempo e di andare verso sud a lavorare a Betlemme e ad Hebron. Tutto il mese di maggio fu impiegato nello svolgimento del lavoro personale in queste città e tra gli abitanti dei villaggi circostanti. Nessuna predicazione pubblica fu fatta durante questo giro, solo delle visite di casa in casa. Una parte di questo tempo, mentre gli apostoli insegnavano il vangelo e curavano gli ammalati, Gesù ed Abner la passarono ad Engaddi, a visitare la colonia nazirea. Giovanni il Battista era partito da questo posto e Abner era stato capo di questo gruppo. Molti membri della confraternita nazirea divennero credenti in Gesù, ma la maggior parte di questi uomini ascetici ed eccentrici rifiutò di accettarlo come un maestro inviato dal cielo perché non insegnava né il digiuno né altre forme di astinenza.
(1605.4) 142:8.2 Gli abitanti di questa regione non sapevano che Gesù era nato a Betlemme. Essi supponevano sempre, come la maggior parte dei suoi discepoli, che il Maestro fosse nato a Nazaret, ma i dodici apostoli conoscevano i fatti.
(1605.5) 142:8.3 Questo soggiorno nel sud della Giudea fu un periodo di lavoro fruttifero e riposante; molte anime furono aggiunte al regno. Ai primi di giugno l’agitazione contro Gesù si era talmente calmata a Gerusalemme che il Maestro e gli apostoli vi ritornarono per istruire e confortare i credenti.
(1606.1) 142:8.4 Sebbene Gesù e gli apostoli avessero passato tutto il mese di giugno a Gerusalemme o nelle vicinanze, non insegnarono pubblicamente durante questo periodo. Essi vissero per la maggior parte del tempo sotto delle tende, che piantavano in un parco ombreggiato, o giardino, conosciuto in quel tempo con il nome di Getsemani. Questo parco era situato sulla pendice occidentale del Monte degli Olivi, non lontano dal torrente Cedron. Essi trascorrevano generalmente i sabati di fine settimana con Lazzaro e le sue sorelle a Betania. Gesù entrò soltanto poche volte all’interno delle mura di Gerusalemme, ma un gran numero di cercatori interessati andarono al Getsemani per intrattenersi con lui. Un venerdì sera Nicodemo ed un certo Giuseppe d’Arimatea si avventurarono a rendere visita a Gesù, ma tornarono indietro per la paura dopo essere arrivati davanti all’entrata della tenda del Maestro. E, certamente, essi non percepirono che Gesù conosceva tutto quello che facevano.
(1606.2) 142:8.5 Quando i dirigenti ebrei seppero che Gesù era ritornato a Gerusalemme, si prepararono ad arrestarlo; ma quando notarono che egli non faceva delle predicazioni pubbliche, conclusero che era stato spaventato dalla loro reazione precedente e decisero di lasciarlo proseguire il suo insegnamento in questa forma privata senza più molestarlo. E gli affari continuarono così tranquillamente fino agli ultimi giorni di giugno, quando un certo Simone, un membro del Sinedrio, abbracciò pubblicamente gli insegnamenti di Gesù dopo averlo annunciato ai capi degli Ebrei. Immediatamente sorse una nuova agitazione per arrestare Gesù, e divenne così forte che il Maestro decise di ritirarsi nelle città della Samaria e della Decapoli.
(1607.1) 143:0.1 ALLA fine di giugno dell’anno 27 d.C., a causa della crescente opposizione dei capi religiosi ebrei, Gesù e i dodici partirono da Gerusalemme dopo aver inviato le loro tende ed i loro pochi effetti personali perché fossero custoditi a casa di Lazzaro a Betania. Andando verso nord in Samaria essi si fermarono il sabato a Betel. Qui predicarono per parecchi giorni alla gente che veniva da Gofna e da Efraim. Un gruppo di cittadini di Arimatea e di Tamna venne ad invitare Gesù a visitare i loro villaggi. Il Maestro ed i suoi apostoli trascorsero più di due settimane ad istruire gli Ebrei ed i Samaritani di questa regione, molti dei quali provenivano da luoghi molto lontani come Antipatride per ascoltare la buona novella del regno.
(1607.2) 143:0.2 La popolazione della Samaria meridionale ascoltò Gesù con gioia, e gli apostoli, ad eccezione di Giuda Iscariota, riuscirono a vincere gran parte dei loro pregiudizi verso i Samaritani. Era molto difficile per Giuda amare questi Samaritani. L’ultima settimana di luglio Gesù ed i suoi associati si prepararono a partire per le nuove città greche di Fasaelide e di Archelaide vicine al Giordano.
(1607.3) 143:1.1 Nella prima metà del mese d’agosto il gruppo apostolico stabilì il suo quartier generale nelle città greche di Archelaide e di Fasaelide, dove essi fecero la loro prima esperienza predicando a delle assemblee composte quasi esclusivamente da Gentili — Greci, Romani e Siriani — poiché pochi Ebrei abitavano in queste due città greche. Nei contatti con questi cittadini romani, gli apostoli incontrarono nuove difficoltà nella proclamazione del messaggio del regno futuro, e s’imbatterono in nuove obiezioni agli insegnamenti di Gesù. In una delle numerose riunioni della sera con i suoi apostoli, Gesù ascoltò attentamente queste obiezioni al vangelo del regno via via che i dodici riferivano le loro esperienze con i soggetti del loro lavoro personale.
(1607.4) 143:1.2 Una domanda posta da Filippo era tipica delle loro difficoltà. Disse Filippo: “Maestro, questi Greci e Romani prendono alla leggera il nostro messaggio, affermando che questi insegnamenti sono adatti soltanto ai deboli e agli schiavi. Essi asseriscono che la religione dei pagani è superiore al nostro insegnamento perché ispira l’acquisizione di un carattere forte, robusto e grintoso. Essi affermano che noi vorremmo convertire tutti gli uomini in deboli esemplari di passivi non oppositori che scomparirebbero subito dalla faccia della terra. Essi ti amano, Maestro, ed ammettono francamente che il tuo insegnamento è celeste ed ideale, ma rifiutano di prenderci sul serio. Essi affermano che la tua religione non è per questo mondo; che gli uomini non possono vivere secondo il tuo insegnamento. Ed ora, Maestro, che cosa diremo a questi Gentili?”
(1607.5) 143:1.3 Dopo che Gesù ebbe ascoltato obiezioni simili al vangelo del regno presentate da Tommaso, Natanaele, Simone Zelota e Matteo, disse ai dodici:
(1608.1) 143:1.4 “Io sono venuto in questo mondo per fare la volontà di mio Padre e per rivelare il suo carattere amorevole a tutta l’umanità. Questa, fratelli miei, è la mia missione. E solo questa cosa farò senza preoccuparmi del travisamento dei miei insegnamenti da parte degli Ebrei e dei Gentili di questo tempo o di un’altra generazione. Ma voi non dovreste lasciarvi sfuggire il fatto che anche l’amore divino ha le sue severe discipline. L’amore di un padre per suo figlio obbliga spesso il padre a frenare gli atti insensati della sua avventata discendenza. Il figlio non sempre comprende i motivi saggi ed affettuosi della restrittiva disciplina del padre. Ma io vi dichiaro che mio Padre in Paradiso governa un universo di universi con l’irresistibile potere del suo amore. L’amore è la più grande di tutte le realtà spirituali. La verità è una rivelazione liberatrice, ma l’amore è la relazione suprema. E qualunque grave errore commettano i vostri simili nell’amministrazione attuale del mondo, in un’epoca futura il vangelo che io vi proclamo governerà questo stesso mondo. Lo scopo ultimo del progresso umano è il riverente riconoscimento della paternità di Dio e la materializzazione amorevole della fratellanza degli uomini.
(1608.2) 143:1.5 “Ma chi vi ha detto che il mio vangelo era destinato solo agli schiavi e ai deboli? Voi, miei apostoli scelti, assomigliate a dei deboli? Giovanni aveva l’aspetto di un debole? Notate che io sia schiavo della paura? È vero, i poveri e gli oppressi di questa generazione hanno il vangelo predicato per loro. Le religioni di questo mondo hanno dimenticato i poveri, ma mio Padre non fa eccezione di persone. Inoltre i poveri di questo tempo sono i primi a prestare attenzione all’invito al pentimento e all’accettazione della filiazione. Il vangelo del regno deve essere predicato a tutti gli uomini — Ebrei e Gentili, Greci e Romani, ricchi e poveri, liberi e schiavi — ed egualmente ai giovani e ai vecchi, ai maschi e alle femmine.
(1608.3) 143:1.6 “Perché mio Padre è un Dio d’amore e si compiace di praticare la misericordia, non imbevetevi dell’idea che il servizio del regno sia di una facilità monotona. L’ascensione al Paradiso è l’avventura suprema di tutti i tempi, la dura conquista dell’eternità. Il servizio del regno sulla terra farà appello a tutta la coraggiosa virilità che voi ed i vostri collaboratori potrete radunare. Molti di voi saranno messi a morte per la vostra fedeltà al vangelo di questo regno. È facile morire sul fronte di una battaglia fisica, quando il vostro coraggio è rafforzato dalla presenza dei vostri compagni di battaglia, ma ci vuole una forma più elevata e profonda di coraggio e di devozione umani per donare la propria vita, serenamente e tutti soli, per l’amore di una verità custodita nel vostro cuore mortale.
(1608.4) 143:1.7 “Oggi i non credenti possono rimproverarvi di predicare un vangelo di non resistenza e di vivere delle vite di non violenza, ma voi siete i primi volontari di una lunga lista di credenti sinceri nel vangelo di questo regno che stupiranno tutta l’umanità con la loro eroica devozione a questi insegnamenti. Nessun esercito del mondo ha mai mostrato più coraggio e audacia di quelli che saranno mostrati da voi e dai vostri leali successori andando per tutto il mondo a proclamare la buona novella — la paternità di Dio e la fratellanza degli uomini. Il coraggio della carne è la forma più bassa di audacia. L’audacia mentale è un tipo più elevato di coraggio umano, ma il coraggio più elevato e supremo è la fedeltà inflessibile alle illuminate convinzioni delle profonde realtà spirituali. Un tale coraggio costituisce l’eroismo degli uomini che conoscono Dio. E voi siete tutti degli uomini che conoscono Dio; voi siete in verità gli associati personali del Figlio dell’Uomo.”
(1608.5) 143:1.8 Questo non fu tutto ciò che Gesù disse in quell’occasione, ma è l’introduzione del suo discorso; ed egli proseguì dilungandosi nell’amplificazione e nell’illustrazione di questa dichiarazione. Questo fu uno dei più appassionati discorsi che Gesù abbia mai rivolto ai dodici. Il Maestro parlava raramente ai suoi apostoli con evidente forte sentimento, ma questa fu una di quelle rare occasioni in cui egli parlò con manifesta gravità, accompagnata da una marcata emozione.
(1609.1) 143:1.9 Il risultato sulla predicazione pubblica e sul ministero personale degli apostoli fu immediato; da quello stesso giorno il loro messaggio prese un nuovo tono di coraggiosa padronanza. I dodici continuarono ad acquisire lo spirito di dinamicità positiva del nuovo vangelo del regno. Da questo giorno in poi essi non si occuparono più tanto della predicazione delle virtù negative e delle ingiunzioni passive del poliedrico insegnamento del loro Maestro.
(1609.2) 143:2.1 Il Maestro era un esemplare perfezionato dell’umana padronanza di sé. Quando fu insultato, non insultò; quando soffrì, non profferì alcuna minaccia contro i suoi tormentatori; quando fu accusato dai suoi nemici, si rimise semplicemente al giusto giudizio del Padre che è nei cieli.
(1609.3) 143:2.2 In una delle riunioni serali, Andrea chiese a Gesù: “Maestro, dobbiamo praticare la rinuncia a sé come Giovanni ci ha insegnato, o dobbiamo sforzarci di ottenere la padronanza di sé come tu insegni? In che cosa il tuo insegnamento differisce da quello di Giovanni?” Gesù rispose: “Giovanni in verità vi ha insegnato la via della rettitudine in conformità all’illuminazione e alle leggi dei suoi padri, e quella era la religione dell’esame di coscienza e della rinuncia a sé. Ma io vengo con un nuovo messaggio di dimenticanza di se stessi e di padronanza di se stessi. Io vi mostro la via della vita come mi è stata rivelata da mio Padre che è nei cieli.
(1609.4) 143:2.3 “In verità, in verità vi dico, chi governa il proprio io è più grande di colui che conquista una città. La padronanza di sé è la misura della natura morale di un uomo e l’indice del suo sviluppo spirituale. Nell’antico ordine voi digiunavate e pregavate; come nuove creature della rinascita dello spirito vi viene insegnato di credere e di gioire. Nel regno del Padre voi diverrete delle creature nuove; le vecchie cose devono scomparire; ecco, io vi mostro come ogni cosa deve diventare nuova. E per mezzo del vostro amore reciproco voi convincerete il mondo che siete passati dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita eterna.
(1609.5) 143:2.4 “Con il vecchio metodo voi cercate di sopprimere, di obbedire e di conformarvi alle regole della vita; con il nuovo metodo siete prima trasformati dallo Spirito della Verità e con ciò fortificati nella profondità della vostra anima dal costante rinnovamento spirituale della vostra mente, e così siete dotati del potere di compiere con certezza e gioia la benevola, accettabile e perfetta volontà di Dio. Non dimenticate — è la vostra fede personale nelle promesse estremamente grandi e preziose di Dio che vi assicura che diverrete partecipi della natura divina. Così, per mezzo della vostra fede e della trasformazione dello spirito, voi divenite realmente i templi di Dio, ed il suo spirito abita effettivamente in voi. Se, dunque, lo spirito abita in voi, non siete più schiavi della carne, ma liberi ed emancipati figli dello spirito. La nuova legge dello spirito vi dota della libertà dovuta alla padronanza di sé al posto della vecchia legge della paura dell’essere schiavi di sé e della schiavitù della rinuncia a sé.
(1609.6) 143:2.5 “Molte volte, quando avete agito male, avete pensato di attribuire la responsabilità dei vostri atti all’influenza del maligno, mentre in realtà vi siete lasciati sviare dalle vostre stesse tendenze naturali. Il profeta Geremia non vi ha detto molto tempo fa che il cuore umano è più ingannevole d’ogni cosa e talvolta anche disperatamente perverso? Come vi è facile ingannare voi stessi e cadere così in sciocchi timori, in vari desideri smodati, in piaceri schiavizzanti, nella malignità, nell’invidia ed anche nell’odio vendicativo!
(1610.1) 143:2.6 “La salvezza avviene con la rigenerazione dello spirito e non con le azioni ipocrite della carne. Voi siete giustificati dalla fede ed ammessi alla comunione dalla grazia, non dalla paura e dalla rinuncia a sé della carne, sebbene i figli del Padre che sono nati dallo spirito siano costantemente padroni di sé e di tutto ciò che concerne i desideri della carne. Quando voi sapete che siete salvati dalla fede, siete realmente in pace con Dio. E tutti coloro che seguono la via di questa pace celeste sono destinati ad essere santificati nel servizio eterno dei figli in continua progressione del Dio eterno. D’ora in avanti non è più un dovere, ma piuttosto un vostro alto privilegio purificarvi da tutti i mali della mente e del corpo mentre cercate la perfezione nell’amore di Dio.
(1610.2) 143:2.7 “La vostra filiazione è basata sulla fede e voi dovete rimanere insensibili alla paura. La vostra gioia è nata dalla fiducia nella parola divina e non sarete quindi portati a dubitare della realtà dell’amore e della misericordia del Padre. È la bontà stessa di Dio che conduce gli uomini ad un pentimento sincero ed autentico. Il segreto della padronanza di sé è legato alla vostra fede nello spirito che vi abita e che opera sempre con amore. Anche questa fede salvifica non l’avete da voi stessi; anch’essa è un dono di Dio. E se voi siete i figli di questa fede vivente, non siete più gli schiavi del vostro io, ma piuttosto i padroni trionfanti di voi stessi, gli emancipati figli di Dio.
(1610.3) 143:2.8 “Se dunque, figli miei, siete nati dallo spirito, siete liberati per sempre dalla schiavitù autocosciente di una vita di rinuncia di sé e di controllo dei desideri della carne, e siete trasferiti nel regno gioioso dello spirito, dal quale producete spontaneamente i frutti nella vostra vita quotidiana. Ed i frutti dello spirito sono l’essenza del tipo più elevato di piacevole e nobilitante autocontrollo, persino il più alto grado di realizzazione mortale terrena — la vera padronanza di sé.”
(1610.4) 143:3.1 In questo periodo uno stato di grande tensione nervosa ed emotiva si sviluppò tra gli apostoli ed i loro immediati discepoli associati. Essi non erano abituati a vivere e a lavorare insieme. Incontravano crescenti difficoltà nel mantenere relazioni armoniose con i discepoli di Giovanni. Il contatto con i Gentili e i Samaritani era una grande prova per questi Ebrei. In aggiunta a tutto ciò, le recenti affermazioni di Gesù avevano accresciuto lo stato di confusione nella loro mente. Andrea era quasi fuori di sé; non sapeva più che cosa fare, e così andò dal Maestro con i suoi problemi e le sue perplessità. Quando Gesù ebbe ascoltato il capo apostolico esporre le sue difficoltà, disse: “Andrea, tu non puoi distogliere gli uomini dalle loro perplessità quando raggiungono un tale stato di coinvolgimento e quando sono implicate così tante persone con forti sentimenti. Io non posso fare quello che mi chiedi — non m’intrometterò in queste difficoltà sociali personali — ma mi unirò a voi per godere di un periodo di tre giorni di riposo e di distensione. Vai dai tuoi fratelli e annuncia loro che verrete tutti con me sul Monte Sartaba, dove desidero riposare per un giorno o due.
(1610.5) 143:3.2 “Ora dovresti andare da ciascuno dei tuoi undici fratelli e parlare con loro privatamente, dicendo: ‘Il Maestro desidera che andiamo da soli con lui per un periodo di riposo e di distensione. Poiché abbiamo tutti sperimentato recentemente molte contrarietà di spirito e tensioni mentali, suggerisco che non sia fatta alcuna menzione delle nostre prove e difficoltà durante questa vacanza. Posso contare sulla tua collaborazione in questa faccenda?’ Avvicina in questo modo privatamente e personalmente ciascuno dei tuoi fratelli.” E Andrea fece come il Maestro gli aveva ordinato.
(1611.1) 143:3.3 Questo fu un meraviglioso avvenimento nell’esperienza di ciascuno di loro; essi non dimenticarono mai il giorno in cui salirono in montagna. Per l’intero tragitto non fu detta una parola sulle loro difficoltà. Dopo aver raggiunto la sommità della montagna, Gesù li fece sedere attorno a sé e disse: “Fratelli miei, dovete imparare tutti il valore del riposo e l’efficacia della distensione. Dovete comprendere che il modo migliore di risolvere certi problemi ingarbugliati è quello di lasciarli da parte per qualche tempo. Poi, quando tornerete rinfrancati dal vostro riposo o dalla vostra adorazione, sarete in grado di affrontare le vostre difficoltà con una mente più chiara ed una mano più ferma, per non dire con un cuore più risoluto. Inoltre, molte volte il vostro problema ha assunto proporzioni minori mentre riposavate la vostra mente ed il vostro corpo.”
(1611.2) 143:3.4 Il giorno successivo Gesù assegnò a ciascuno dei dodici un tema di discussione. L’intero giorno fu dedicato ai ricordi ed a conversazioni su argomenti estranei alle loro attività religiose. Essi furono momentaneamente stupiti quando Gesù dimenticò anche di rendere grazie — verbalmente — quando spezzò il pane per il loro pasto di mezzogiorno. Questa era la prima volta che lo vedevano omettere tale formalità.
(1611.3) 143:3.5 Mentre salivano la montagna, la testa di Andrea era piena di problemi. Giovanni era smisuratamente perplesso nel suo cuore. Giacomo era terribilmente turbato nella sua anima. Matteo era molto preoccupato per i fondi a causa del loro soggiorno tra i Gentili. Pietro era stressato ed era stato recentemente più lunatico del solito. Giuda soffriva di un periodico attacco di suscettibilità e di egoismo. Simone era insolitamente sconvolto dai suoi sforzi per conciliare il suo patriottismo con l’amore della fratellanza umana. Filippo era sempre più sconcertato per il modo in cui stavano andando le cose. Natanaele era stato meno di buonumore dopo che erano venuti in contatto con le popolazioni Gentili, e Tommaso stava attraversando un periodo di profonda depressione. Soltanto i gemelli erano normali ed impassibili. Tutti loro erano estremamente perplessi sul modo d’intendersi pacificamente con i discepoli di Giovanni.
(1611.4) 143:3.6 Il terzo giorno, quando partirono per scendere dalla montagna e ritornare al loro campo, un grande cambiamento si era prodotto in loro. Essi avevano fatto l’importante scoperta che molte perplessità umane in realtà non esistono, che molte pressanti difficoltà sono creazioni di un timore esagerato ed il risultato di un’apprensione eccessiva. Avevano imparato che tutte queste perplessità si trattano meglio se vengono trascurate; andandosene essi avevano lasciato che questi problemi si risolvessero da soli.
(1611.5) 143:3.7 Il ritorno da questa vacanza segnò l’inizio di un periodo di relazioni considerevolmente migliorate con i discepoli di Giovanni. Molti dei dodici si misero realmente a ridere quando notarono il cambiamento mentale di ciascuno ed osservarono l’assenza dell’irritabilità nervosa che era derivata come risultato della lontananza di tre giorni dai doveri quotidiani della vita. C’è sempre il rischio che la monotonia dei contatti umani moltiplichi grandemente le perplessità ed accresca le difficoltà.
(1611.6) 143:3.8 Nelle due città greche di Archelaide e di Fasaelide non molti Gentili credettero al vangelo, ma i dodici apostoli acquisirono un’esperienza preziosa in questo loro primo esteso lavoro con popolazioni esclusivamente pagane. Un lunedì mattina, verso la metà del mese, Gesù disse ad Andrea: “Entriamo in Samaria.” Ed essi partirono immediatamente per la città di Sicar, vicino al pozzo di Giacobbe.
(1612.1) 143:4.1 Per più di seicento anni gli Ebrei della Giudea, e più tardi anche quelli della Galilea, erano stati in cattivi rapporti con i Samaritani. Questo sentimento di avversione tra gli Ebrei ed i Samaritani sorse in questo modo. Circa settecento anni avanti Cristo, Sargon, re dell’Assiria, represse una rivolta nella Palestina centrale, condusse in cattività più di venticinquemila Ebrei del nord del regno d’Israele e mise al loro posto un numero quasi uguale di discendenti dei Cutiti, dei Sefarviti e degli Hamatiti. Più tardi, Assurbanipal inviò ancora altri coloni ad abitare in Samaria.
(1612.2) 143:4.2 L’inimicizia religiosa tra gli Ebrei ed i Samaritani datava dal ritorno dei primi dalla cattività in Babilonia, quando i Samaritani tentarono d’impedire la ricostruzione di Gerusalemme. Più tardi essi offesero gli Ebrei prestando amichevole assistenza alle armate di Alessandro. In risposta alla loro amicizia Alessandro concesse ai Samaritani il permesso di costruire un tempio sul Monte Garizim, dove essi adorarono Yahweh ed i loro dei tribali, ed offrirono sacrifici molto simili a quelli dei servizi del tempio a Gerusalemme. Essi proseguirono questo culto almeno fino all’epoca dei Maccabei, quando Giovanni Ircano distrusse il loro tempio sul Monte Garizim. L’apostolo Filippo, nella sua opera a favore dei Samaritani dopo la morte di Gesù, tenne molte riunioni sul luogo di questo antico tempio samaritano.
(1612.3) 143:4.3 Gli antagonismi tra gli Ebrei ed i Samaritani erano classici e storici; dai tempi di Alessandro essi avevano avuto sempre meno rapporti tra di loro. I dodici apostoli non erano contrari a predicare nelle città greche ed in altre città Gentili della Decapoli e della Siria, ma fu una prova severa della loro fedeltà verso il Maestro quando egli disse: “Entriamo in Samaria.” Ma nell’anno e più che erano stati con Gesù, essi avevano sviluppato una forma di fedeltà personale che trascendeva anche la loro fede nei suoi insegnamenti ed i loro pregiudizi verso i Samaritani.
(1612.4) 143:5.1 Quando il Maestro e i dodici arrivarono al pozzo di Giacobbe, Gesù, essendo stanco per il viaggio, si fermò vicino al pozzo mentre Filippo conduceva gli apostoli con lui perché lo aiutassero a portare i viveri e le tende da Sicar, poiché si proponevano di rimanere per qualche tempo nelle vicinanze. Pietro e i figli di Zebedeo avrebbero voluto restare con Gesù, ma egli li invitò ad andare con i loro fratelli, dicendo: “ Non temete per me; questi Samaritani saranno amichevoli; soltanto i nostri fratelli, gli Ebrei, cercano di farci del male.” Ed erano quasi le sei di questa sera d’estate quando Gesù si sedette vicino al pozzo per aspettare il ritorno degli apostoli.
(1612.5) 143:5.2 L’acqua del pozzo di Giacobbe era meno salina di quella dei pozzi di Sicar ed era quindi molto apprezzata per bere. Gesù aveva sete, ma non c’era alcun mezzo per prendere l’acqua dal pozzo. Così, quando una donna di Sicar giunse con la sua brocca per l’acqua e si preparò ad attingere dal pozzo, Gesù le disse: “Dammi da bere.” Questa donna della Samaria sapeva che Gesù era un Ebreo dal sua aspetto e dal suo abbigliamento, e suppose che fosse un Ebreo della Galilea dal suo accento. Il suo nome era Nalda ed era una creatura avvenente. Essa fu molto sorpresa dal fatto che un Ebreo parlasse così con lei presso il pozzo e le chiedesse dell’acqua, perché non si stimava decoroso in quei tempi per un uomo di rispetto parlare ad una donna in pubblico, ed ancor meno per un Ebreo conversare con un Samaritano. Perciò Nalda chiese a Gesù: “Come mai tu, un Ebreo, chiedi da bere a me, una donna Samaritana?” Gesù rispose: “In verità io ti ho chiesto da bere, ma se tu potessi soltanto comprendere, chiederesti tu a me un sorso dell’acqua vivente.” Allora Nalda disse: “Ma, Signore, tu non hai niente per attingere, ed il pozzo è profondo; da dove trarresti dunque quest’acqua vivente? Sei tu più grande di nostro padre Giacobbe che ci diede questo pozzo dove bevve egli stesso ed i suoi figli ed anche il suo bestiame?”
(1613.1) 143:5.3 Gesù replicò: “Chiunque beve di quest’acqua avrà sete di nuovo, ma chiunque beve dell’acqua dello spirito vivente non avrà mai più sete. E quest’acqua vivente diverrà in lui una sorgente di ristoro che zampillerà fino alla vita eterna.” Nalda disse allora: “Dammi di quest’acqua affinché io non abbia sete e non venga più qui continuamente ad attingere. Inoltre, tutto ciò che una donna samaritana potrebbe ricevere da un Ebreo così degno di fede sarebbe un piacere.”
(1613.2) 143:5.4 Nalda non sapeva come interpretare la compiacenza di Gesù a parlare con lei. Essa vedeva sul viso del Maestro l’espressione di un uomo retto e santo, ma scambiò la cordialità per ordinaria familiarità ed interpretò falsamente il suo simbolismo come un modo di farle delle proposte. Ed essendo una donna di scarsa moralità, essa era intenzionata a farsi apertamente avanti quando Gesù, guardandola diritto negli occhi, con voce imperativa disse: “Donna, va a cercare tuo marito e conducilo qui.” Quest’ordine riportò Nalda in sé. Essa si accorse di avere giudicato male la bontà del Maestro; capì di aver frainteso il suo modo di parlare. Ebbe timore; cominciò a capire di trovarsi in presenza di una persona straordinaria e cercando nella sua mente una qualche risposta appropriata, in gran confusione disse: “Ma, Signore, non posso chiamare mio marito, perché io non ho marito.” Allora Gesù disse: “Tu hai detto il vero, perché, mentre hai avuto un tempo un marito, l’uomo con cui vivi ora non è tuo marito. Sarebbe meglio che tu smettessi di prendere alla leggera le mie parole e che cercassi l’acqua vivente che ti ho offerto oggi.”
(1613.3) 143:5.5 In questo momento Nalda rinsavì, ed il suo io migliore fu risvegliato. Essa non era una donna immorale interamente per scelta. Era stata brutalmente ed ingiustamente scacciata da suo marito ed in estremo bisogno aveva acconsentito a vivere con un Greco come sua moglie, ma senza matrimonio. Nalda ora si vergognava grandemente di aver parlato così stoltamente a Gesù, e molto pentita si rivolse al Maestro, dicendo: “Mio Signore, mi pento per il modo in cui ti ho parlato, perché percepisco che tu sei un sant’uomo o forse un profeta.” Ed essa era sul punto di chiedere un aiuto diretto e personale al Maestro quando fece quello che molti hanno fatto prima e dopo di lei — eluse la questione della salvezza personale per orientarsi a discutere di teologia e di filosofia. Essa indirizzò rapidamente la conversazione dai propri bisogni alla controversia teologica. Indicando il Monte Garizim, essa proseguì a dire: “I nostri padri adoravano su questa montagna, eppure tu dici che il luogo in cui gli uomini dovrebbero adorare è a Gerusalemme; qual è, dunque, il luogo giusto per adorare Dio?”
(1613.4) 143:5.6 Gesù percepì il tentativo dell’anima della donna di evitare un contatto diretto e indagatore con il suo Creatore, ma vide anche che era presente nella sua anima un desiderio di conoscere il modo migliore di vivere. Dopotutto c’era nel cuore di Nalda una vera sete d’acqua vivente. Perciò egli la trattò con pazienza, dicendo: “Donna, lascia che ti dica che verrà presto il giorno in cui tu non adorerai il Padre né su questa montagna né a Gerusalemme. Ora tu adori ciò che non conosci, una mescolanza della religione di molti dèi pagani e della filosofia dei Gentili. Gli Ebrei almeno sanno chi adorano; essi hanno rimosso ogni confusione concentrando la loro adorazione su un solo Dio, Yahweh. Tu dovresti credermi quando dico che verrà presto l’ora — anzi è già venuta — in cui tutti gli adoratori sinceri adoreranno il Padre in spirito e in verità, perché sono proprio questi adoratori che il Padre cerca. Dio è spirito, e coloro che l’adorano devono adorarlo in spirito ed in verità. La tua salvezza non deriva dal sapere come o dove gli altri dovrebbero adorare, ma ricevendo nel tuo cuore quest’acqua vivente che ti sto offrendo proprio ora.”
(1614.1) 143:5.7 Ma Nalda si sforzò ancora di più di eludere la discussione dell’imbarazzante problema della sua vita personale sulla terra e dello status della sua anima davanti a Dio. Ancora una volta essa fece ricorso a questioni generali sulla religione, dicendo: “Sì, lo so Signore, che Giovanni ha predicato sulla venuta del Convertitore, di colui che sarà chiamato il Liberatore e che, alla sua venuta, ci annuncerà tutte le cose” — e Gesù, interrompendo Nalda, disse con impressionante sicurezza: “Io che ti parlo sono costui.”
(1614.2) 143:5.8 Questa era la prima dichiarazione diretta, positiva ed aperta della sua natura e della sua filiazione divina che Gesù avesse fatto sulla terra. E fu fatta ad una donna, ad una donna Samaritana, e ad una donna di dubbia reputazione agli occhi degli uomini fino a questo momento, ma una donna che l’occhio divino vedeva essere stata più vittima del peccato che peccatrice per suo stesso desiderio, e che ora era un’anima umana che desiderava la salvezza, che la desiderava sinceramente e di tutto cuore, e ciò era sufficiente.
(1614.3) 143:5.9 Mentre Nalda stava per esprimere il suo ardente desiderio personale per cose migliori ed un modo di vivere più nobile, proprio nel momento in cui si preparava ad esporre il desiderio sincero del suo cuore, i dodici apostoli ritornarono da Sicar, e arrivando su questa scena in cui Gesù parlava così intimamente con questa donna — questa donna Samaritana e sola — rimasero più che stupiti. Essi deposero rapidamente le loro provviste e si allontanarono, poiché nessuno osava rimproverarlo, mentre Gesù diceva a Nalda: “Donna, va per la tua strada; Dio ti ha perdonata. D’ora in avanti vivrai una vita nuova. Tu hai ricevuto l’acqua vivente, ed una nuova gioia scaturirà dalla tua anima e diverrai una figlia dell’Altissimo.” E la donna, percependo la disapprovazione degli apostoli, abbandonò la sua brocca e fuggì verso la città.
(1614.4) 143:5.10 Entrando in città essa proclamava ad ognuno che incontrava: “Vai al pozzo di Giacobbe e vacci presto, perché vi troverai un uomo che mi ha detto tutto ciò che ho fatto nella mia vita. Che sia il Convertitore?” E prima del calare del sole una grande folla si era riunita al pozzo di Giacobbe per ascoltare Gesù. Ed il Maestro parlò loro ancora dell’acqua di vita, il dono dello spirito interiore.
(1614.5) 143:5.11 Gli apostoli non cessarono mai di essere stupiti dalla compiacenza di Gesù a parlare con le donne, con donne di dubbia reputazione, anche con donne immorali. Fu molto difficile per Gesù insegnare ai suoi apostoli che le donne, anche le cosiddette donne immorali, hanno un’anima che può scegliere Dio per Padre, divenendo così figlie di Dio e candidate alla vita eterna. Anche diciannove secoli più tardi molte persone mostrano la stessa ritrosia a capire gli insegnamenti del Maestro. Anche la religione cristiana è stata persistentemente costruita attorno al fatto della morte di Cristo invece che attorno alla verità della sua vita. Il mondo dovrebbe occuparsi di più della sua vita felice e rivelatrice di Dio piuttosto che della sua tragica e penosa morte.
(1614.6) 143:5.12 Il giorno successivo Nalda raccontò tutta questa storia all’apostolo Giovanni, ma egli non la rivelò mai per intero agli altri apostoli, e Gesù non parlò di ciò in dettaglio ai dodici.
(1615.1) 143:5.13 Nalda raccontò a Giovanni che Gesù le aveva detto “tutto quello che aveva fatto”. Giovanni desiderò molte volte interrogare Gesù sul suo incontro con Nalda, ma non lo fece mai. Gesù le aveva detto soltanto una cosa riguardo a lei, ma il suo sguardo nei suoi occhi ed il modo in cui l’aveva trattata avevano fatto scorrere in un istante davanti alla sua mente una revisione panoramica di tutta la sua vita accidentata in modo tale che essa associò tutta questa autorivelazione della sua vita passata allo sguardo e alle parole del Maestro. Gesù non le aveva mai detto che essa aveva avuto cinque mariti. Essa aveva vissuto con quattro uomini differenti dopo che suo marito l’aveva cacciata via, e questo fatto, con tutto il suo passato, venne così vividamente alla sua mente nel momento in cui percepì che Gesù era un uomo di Dio, che essa ripeté successivamente a Giovanni che Gesù le aveva realmente detto tutto su di lei.
(1615.2) 143:6.1 La sera in cui Nalda condusse fuori la folla da Sicar per vedere Gesù, i dodici erano appena tornati con le provviste e supplicarono Gesù di mangiare con loro invece di parlare alla gente, perché essi non avevano mangiato nulla tutto il giorno ed erano affamati. Ma Gesù sapeva che l’oscurità sarebbe sopraggiunta presto; così insisté nella sua determinazione di parlare alla gente prima di congedarla. Quando Andrea tentò di persuaderlo a mangiare un boccone prima di parlare alla folla, Gesù disse: “Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete.” Quando gli apostoli udirono ciò, dissero tra di loro: “Qualcuno gli ha portato qualcosa da mangiare? Forse la donna gli ha dato del cibo assieme all’acqua?” Quando Gesù li udì parlare tra di loro, prima di parlare alla moltitudine si trasse in disparte e disse ai dodici: “Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere il Suo lavoro. Voi non dovreste più continuare a dire che manca ancora tanto tempo al raccolto. Guardate questa gente che esce da una città Samaritana per ascoltarci; io vi dico che i campi sono già pronti per il raccolto. Colui che miete riceve il salario e raccoglie questo frutto per la vita eterna; di conseguenza i seminatori ed i mietitori si rallegrano insieme. Perché in ciò risiede la verità del detto: ‘Uno semina ed un altro raccoglie.’ Io vi mando ora per raccogliere quello su cui non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi state per beneficiare del loro lavoro.” Egli diceva questo riferendosi alla predicazione di Giovanni il Battista.
(1615.3) 143:6.2 Gesù e gli apostoli andarono a Sicar e predicarono per due giorni prima di stabilire il loro campo sul Monte Garizim. E molti abitanti di Sicar credettero al vangelo e chiesero di essere battezzati, ma gli apostoli di Gesù non battezzavano ancora.
(1615.4) 143:6.3 La prima notte di accampamento sul Monte Garizim gli apostoli si aspettavano che Gesù li rimproverasse per il loro comportamento verso la donna al pozzo di Giacobbe, ma egli non fece alcun accenno alla questione. Invece egli fece loro il memorabile discorso su “Le realtà che sono centrali nel regno di Dio”. In ogni religione è molto facile lasciare che dei valori divengano sproporzionati e permettere a dei fatti di occupare il posto della verità nella sua teologia. Il fatto della croce è divenuto il centro stesso del Cristianesimo successivo; ma esso non è la verità centrale della religione che può essere derivata dalla vita e dagli insegnamenti di Gesù di Nazaret.
(1615.5) 143:6.4 Il tema dell’insegnamento di Gesù sul Monte Garizim fu che egli desiderava che tutti gli uomini vedessero Dio come un Padre-amico, come lui (Gesù) è un fratello-amico. Moltissime volte egli inculcò in loro che l’amore è la relazione più grande nel mondo — nell’universo — come la verità è la più grande proclamazione dell’osservazione di queste relazioni divine.
(1616.1) 143:6.5 Gesù si rivelò così pienamente ai Samaritani perché poteva farlo in sicurezza e perché sapeva che non sarebbe tornato di nuovo a visitare il cuore della Samaria per predicare il vangelo del regno.
(1616.2) 143:6.6 Gesù e i dodici rimasero accampati sul Monte Garizim sino alla fine di agosto. Essi predicavano la buona novella del regno — la paternità di Dio — ai Samaritani nelle città di giorno e passavano la notte al campo. Il lavoro che Gesù e i dodici fecero in queste città della Samaria condusse numerose anime al regno e contribuì molto a preparare la via all’opera meravigliosa di Filippo in queste regioni dopo la morte e la risurrezione di Gesù, successivamente alla dispersione degli apostoli sino ai confini della terra a seguito della crudele persecuzione dei credenti a Gerusalemme.
(1616.3) 143:7.1 Alle riunioni della sera sul Monte Garizim, Gesù insegnò molte grandi verità, ed in particolare pose l’accento sulle seguenti:
(1616.4) 143:7.2 La vera religione è l’atto di un’anima individuale nelle sue autocoscienti relazioni con il Creatore; la religione organizzata è il tentativo dell’uomo di socializzare l’adorazione delle singole persone religiose.
(1616.5) 143:7.3 L’adorazione — la contemplazione dello spirituale — deve essere alternata con il servizio, con il contatto con la realtà materiale. Il lavoro dovrebbe essere alternato con il divertimento; la religione dovrebbe essere bilanciata dall’umorismo. La filosofia profonda dovrebbe essere alleggerita dalla poesia ritmica. Lo sforzo per vivere — la tensione della personalità nel tempo — dovrebbe essere allentato dalla quiete dell’adorazione. I sentimenti d’insicurezza originati dalla paura dell’isolamento della personalità nell’universo dovrebbero avere per antidoto la contemplazione per fede del Padre ed il tentativo di realizzazione del Supremo.
(1616.6) 143:7.4 La preghiera è destinata a far sì che l’uomo pensi di meno ma comprenda di più; essa non è destinata ad accrescere la conoscenza, ma piuttosto ad ampliare la percezione.
(1616.7) 143:7.5 L’adorazione ha per scopo di anticipare la futura vita migliore e di riflettere poi questi nuovi significati spirituali sulla vita attuale. La preghiera è un sostegno spirituale, ma l’adorazione è divinamente creativa.
(1616.8) 143:7.6 L’adorazione è la tecnica di rivolgersi all’Uno per ricevere l’ispirazione per servire la moltitudine. L’adorazione è il metro che misura il grado di distacco dell’anima dall’universo materiale ed il suo attaccamento simultaneo e sicuro alle realtà spirituali di tutta la creazione.
(1616.9) 143:7.7 La preghiera è la reminiscenza di sé — il pensare sublime; l’adorazione è la dimenticanza di sé — il pensare superiore. L’adorazione è l’attenzione senza sforzo, il vero ed ideale riposo dell’anima, una forma di riposante esercizio spirituale.
(1616.10) 143:7.8 L’adorazione è l’atto di una parte che s’identifica con il Tutto; il finito con l’Infinito; il figlio con il Padre; il tempo nell’atto di mettersi al passo con l’eternità. L’adorazione è l’atto di comunione personale del figlio con il divino Padre, l’adozione di comportamenti rinfrescanti, creativi, fraterni e romantici da parte dell’anima-spirito dell’uomo.
(1616.11) 143:7.9 Anche se gli apostoli compresero soltanto una piccola parte dei suoi insegnamenti al campo, altri mondi li compresero, ed altre generazioni sulla terra li comprenderanno.
(1617.1) 144:0.1 SETTEBRE ed ottobre furono trascorsi in ritiro in un accampamento isolato sulle pendici del Monte Gelboe. Gesù vi passò il mese di settembre da solo con gli apostoli, insegnando loro ed istruendoli nelle verità del regno.
(1617.2) 144:0.2 C’erano molte ragioni perché Gesù ed i suoi apostoli rimanessero appartati in questo momento ai confini tra la Samaria e la Decapoli. I capi religiosi di Gerusalemme erano molto ostili. Erode Antipa teneva Giovanni in prigione, temendo sia di liberarlo sia di giustiziarlo, mentre continuava a sospettare che Giovanni e Gesù fossero in qualche modo associati. Queste condizioni rendevano imprudente il progetto di una campagna attiva sia in Giudea che in Galilea. C’era una terza ragione: la tensione lentamente crescente tra i capi dei discepoli di Giovanni e gli apostoli di Gesù, tensione che si aggravava con l’aumentare del numero dei credenti.
(1617.3) 144:0.3 Gesù sapeva che il tempo del lavoro preliminare d’insegnamento e di predicazione era quasi terminato, che la prossima mossa concerneva l’inizio dello sforzo pieno e finale della sua vita sulla terra; e non desiderava che l’avvio di questa impresa fosse in alcun modo rischioso o imbarazzante per Giovanni il Battista. Per questo Gesù aveva deciso di trascorrere qualche tempo in ritiro a rivedere il suo insegnamento con gli apostoli e poi di lavorare tranquillamente nelle città della Decapoli fino a che Giovanni fosse stato o giustiziato o rilasciato per unirsi a loro in uno sforzo unificato.
(1617.4) 144:1.1 Con il passare del tempo i dodici divenivano sempre più devoti a Gesù e si dedicavano in modo crescente al lavoro del regno. La loro devozione era soprattutto una questione di fedeltà personale. Essi non capivano il suo insegnamento complesso; non comprendevano completamente né la natura di Gesù né il significato del suo conferimento sulla terra.
(1617.5) 144:1.2 Gesù spiegò chiaramente ai suoi apostoli che erano in ritiro per tre ragioni:
(1617.6) 144:1.3 1. Per confermare la loro comprensione del vangelo del regno e la loro fede in esso.
(1617.7) 144:1.4 2. Per permettere all’opposizione della loro opera sia in Giudea che in Galilea di calmarsi.
(1617.8) 144:1.5 3. Per attendere la decisione sulla sorte di Giovanni il Battista.
(1617.9) 144:1.6 Mentre si trattenevano sul Monte Gelboe, Gesù raccontò ai dodici molte cose sulla sua giovinezza e sulle sue esperienze sul Monte Hermon; egli rivelò anche una parte di quanto era successo sulle colline durante i quaranta giorni immediatamente successivi al suo battesimo. E ordinò immediatamente loro di non raccontare a nessuno di queste esperienze fino a che egli non fosse tornato al Padre.
(1618.1) 144:1.7 Durante queste settimane di settembre essi si riposarono, ebbero degli incontri, raccontarono le loro esperienze dopo che Gesù li aveva chiamati al servizio, e s’impegnarono in un serio sforzo per coordinare ciò che il Maestro aveva insegnato loro fino ad allora. In un certo senso essi avevano tutti la sensazione che questa sarebbe stata la loro ultima occasione per un riposo prolungato. Comprendevano che il loro prossimo sforzo pubblico sia in Giudea che in Galilea avrebbe segnato l’inizio della proclamazione finale del regno futuro, ma non avevano alcuna idea precisa su che cosa sarebbe stato il regno quando fosse venuto. Giovanni e Andrea pensavano che il regno fosse già venuto; Pietro e Giacomo credevano che dovesse ancora venire; Natanaele e Tommaso confessavano francamente di essere perplessi; Matteo, Filippo e Simone Zelota erano incerti e confusi; i gemelli ignoravano beatamente la controversia; e Giuda Iscariota stava zitto, non si esprimeva.
(1618.2) 144:1.8 Per gran parte di questo tempo Gesù rimase da solo sulla montagna vicina al campo. Occasionalmente egli conduceva con sé Pietro, Giacomo o Giovanni, ma più spesso si allontanava per pregare o per mettersi in comunione da solo. Dopo il battesimo di Gesù e i quaranta giorni sulle colline della Perea, non è del tutto esatto parlare di questi periodi di comunione con suo Padre come di periodi di preghiera, né è coerente parlare di Gesù in adorazione, ma è del tutto corretto alludere a questi periodi come a periodi di comunione personale con suo Padre.
(1618.3) 144:1.9 Il tema centrale delle discussioni durante tutto il mese di settembre fu la preghiera e l’adorazione. Dopo aver discusso sull’adorazione per parecchi giorni, Gesù pronunciò alla fine il suo memorabile discorso sulla preghiera in risposta alla domanda di Tommaso: “Maestro, insegnaci come pregare.”
(1618.4) 144:1.10 Giovanni aveva insegnato ai suoi discepoli una preghiera, una preghiera per la salvezza nel regno futuro. Sebbene Gesù non avesse mai proibito ai suoi discepoli di servirsi della forma di preghiera di Giovanni, gli apostoli percepirono molto presto che il loro Maestro non approvava interamente la pratica di pronunciare delle preghiere fisse e ufficiali. Tuttavia i credenti chiedevano continuamente di essere istruiti sul modo di pregare. I dodici desideravano ardentemente conoscere quale forma di supplica Gesù avrebbe approvato. E fu principalmente a causa del bisogno di una semplice supplica per la gente comune che Gesù acconsentì allora, in risposta alla richiesta di Tommaso, d’insegnare loro una forma suggestiva di preghiera. Gesù tenne questa lezione un pomeriggio della terza settimana del loro soggiorno sul Monte Gelboe.
(1618.5) 144:2.1 “Giovanni vi ha insegnato in verità una forma semplice di preghiera: ‘O Padre, purificaci dal peccato, mostraci la tua gloria, rivelaci il tuo amore e fa che il tuo spirito santifichi il nostro cuore per sempre. Amen!’ Egli ha insegnato questa preghiera perché poteste avere qualcosa da insegnare alla moltitudine. Egli non intendeva che usaste questa supplica fissa e ufficiale come espressione delle vostre anime in preghiera.
(1618.6) 144:2.2 “La preghiera è interamente un’espressione personale e spontanea dell’atteggiamento dell’anima verso lo spirito; la preghiera dovrebbe essere la comunione della filiazione e l’espressione della fratellanza. La preghiera, quando è dettata dallo spirito, porta al progresso spirituale cooperativo. La preghiera ideale è una forma di comunione spirituale che conduce all’adorazione intelligente. Il vero pregare è l’atteggiamento sincero di uno slancio verso il cielo per raggiungere i vostri ideali.
(1619.1) 144:2.3 “La preghiera è il respiro dell’anima e dovrebbe indurvi a perseverare nei vostri tentativi di conoscere meglio la volontà del Padre. Se qualcuno di voi ha un vicino e va da lui a mezzanotte e dice: ‘Amico, prestami tre pani, perché un mio amico in viaggio è venuto a trovarmi e non ho nulla da offrirgli’; e se il vostro vicino risponde: ‘Non disturbarmi, perché la porta ora è chiusa ed i bambini ed io siamo a letto; perciò non posso alzarmi per darti del pane’, voi insisterete spiegando che il vostro amico ha fame e che non avete del cibo da offrirgli. Io vi dico, anche se il vostro vicino non si alzerà per darvi del pane perché è vostro amico, a causa della vostra insistenza si alzerà e vi darà i pani che vi servono. Se dunque l’insistenza conquista il favore stesso dell’uomo mortale, quanto più la vostra persistenza nello spirito otterrà per voi il pane di vita dalle mani benevole del Padre che è nei cieli. Vi dico nuovamente: chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque domanda riceve; colui che cerca trova; e a colui che bussa sarà aperta la porta ella salvezza.
(1619.2) 144:2.4 “Quale di voi che è padre, se suo figlio chiede insensatamente, esiterebbe a dare secondo la saggezza di genitore piuttosto che nei termini della richiesta sbagliata del figlio? Se il bambino ha bisogno di un pane, gli darete una pietra semplicemente perché ve l’ha stoltamente chiesta? Se vostro figlio ha bisogno di un pesce, gli darete un serpente d’acqua soltanto perché è finito nella rete con il pesce ed il figlio vi chiede scioccamente il serpente? Se voi dunque che siete mortali e finiti sapete come rispondere alla preghiera e come dare cose buone ed appropriate ai vostri figli, quanto più vostro Padre celeste donerà lo spirito e molte benedizioni addizionali a coloro che si rivolgono a lui? Gli uomini dovrebbero sempre pregare e non scoraggiarsi.
(1619.3) 144:2.5 “Lasciate che vi racconti la storia di un certo giudice che viveva in una città corrotta. Questo giudice non temeva Dio né aveva rispetto per gli uomini. Ora c’era in quella città una vedova bisognosa che andava continuamente da questo giudice ingiusto, dicendo: ‘Proteggimi dal mio avversario.’ Per qualche tempo egli non volle prestarle attenzione, ma presto disse a se stesso: ‘Benché io non tema Dio né abbia considerazione per gli uomini, per il fatto stesso che questa vedova non cessa di disturbarmi la difenderò affinché non mi tormenti con le sue continue visite.’ Vi racconto queste storie per incoraggiarvi a persistere nella preghiera e non per annunciarvi che le vostre suppliche modificheranno il Padre celeste giusto e retto. La vostra persistenza, tuttavia, non è volta a guadagnare il favore di Dio, ma a cambiare il vostro atteggiamento terreno e ad accrescere la capacità della vostra anima a ricevere lo spirito.
(1619.4) 144:2.6 “Ma quando pregate voi esercitate così poca fede. Una fede autentica rimuoverà montagne di difficoltà materiali che potrebbero sbarrare il sentiero dell’espansione dell’anima e del progresso spirituale.”
(1619.5) 144:3.1 Ma gli apostoli non erano ancora soddisfatti; essi desideravano che Gesù desse loro un modello di preghiera da poter insegnare ai nuovi discepoli. Dopo aver ascoltato questo discorso sulla preghiera, Giacomo Zebedeo disse: “Molto bene, Maestro, ma noi non desideriamo tanto una forma di preghiera per noi stessi, quanto per i nuovi credenti che ci supplicano così spesso: ‘Insegnateci come rivolgere delle preghiere bene accette al Padre che è nei cieli.’ ”
(1619.6) 144:3.2 Quando Giacomo ebbe finito di parlare, Gesù disse: “Se dunque desiderate ancora una tale preghiera, vi presenterò quella che ho insegnato ai miei fratelli e alle mie sorelle a Nazaret.”
(1620.1) 144:3.3 Padre nostro che sei nei cieli,
(1620.2) 144:3.4 Sia santificato il tuo nome.
(1620.3) 144:3.5 Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà
(1620.4) 144:3.6 Sulla terra come lo è in cielo.
(1620.5) 144:3.7 Dacci oggi il nostro pane per domani;
(1620.6) 144:3.8 Ristora le nostre anime con l’acqua di vita.
(1620.7) 144:3.9 E rimetti a ciascuno di noi i nostri debiti
(1620.8) 144:3.10 Come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori.
(1620.9) 144:3.11 Salvaci nella tentazione, liberaci dal male,
(1620.10) 144:3.12 E rendici sempre più perfetti come te stesso.
(1620.11) 144:3.13 Non è strano che gli apostoli desiderassero che Gesù insegnasse loro una preghiera modello per i credenti. Giovanni il Battista aveva insegnato molte preghiere ai suoi discepoli; tutti i grandi insegnanti avevano formulato delle preghiere per i loro allievi. Gli insegnanti religiosi degli Ebrei avevano venticinque o trenta preghiere fisse che recitavano nelle sinagoghe e anche agli angoli delle strade. Gesù era particolarmente contrario alla preghiera in pubblico. Fino ad allora i dodici l’avevano sentito pregare solo poche volte. Lo vedevano trascorrere notti intere in preghiera o in adorazione, ed erano molto curiosi di conoscere il genere o la forma delle sue suppliche. Essi non sapevano proprio che cosa rispondere alle moltitudini quando chiedevano che s’insegnasse loro a pregare come Giovanni aveva insegnato ai suoi discepoli.
(1620.12) 144:3.14 Gesù insegnò ai dodici a pregare sempre in segreto; ad andarsene da soli in mezzo ai tranquilli paesaggi della natura o ad andare nelle loro stanze e chiudere le porte quando s’impegnavano a pregare.
(1620.13) 144:3.15 Dopo la morte di Gesù e la sua ascensione al Padre, si stabilì la consuetudine da parte di molti credenti di terminare la cosiddetta preghiera del Signore con l’aggiunta di — : “Nel nome del Signore Gesù Cristo.” Più tardi ancora, due righe andarono perdute nella trascrizione e fu aggiunta a questa preghiera una frase supplementare che diceva: “Perché a te appartengono il regno, il potere e la gloria, per l’eternità.”
(1620.14) 144:3.16 Gesù diede agli apostoli la preghiera in forma collettiva come essi la recitavano nella casa di Nazaret. Egli non insegnò mai una preghiera personale ufficiale, ma solo delle suppliche collettive, familiari o sociali. E non lo fece mai spontaneamente.
(1620.15) 144:3.17 Gesù insegnò che la preghiera efficace doveva essere:
(1620.16) 144:3.18 1. Disinteressata — non soltanto per se stessi.
(1620.17) 144:3.19 2. Credente — conforme alla fede.
(1620.18) 144:3.20 3. Sincera — onesta di cuore.
(1620.19) 144:3.21 4. Intelligente — conforme alla luce.
(1620.20) 144:3.22 5. Fiduciosa — in sottomissione alla volontà infinitamente saggia del Padre.
(1620.21) 144:3.23 Quando Gesù passava intere notti sulla montagna a pregare, era principalmente per i suoi discepoli, ed in particolare per i dodici. Il Maestro pregava molto poco per se stesso, sebbene si dedicasse molto all’adorazione, la cui natura era una comunione comprensiva con suo Padre del Paradiso.
(1620.22) 144:4.1 Per giorni dopo il discorso sulla preghiera gli apostoli continuarono a porre al Maestro delle domande concernenti questa pratica di culto molto importante. Le istruzioni date da Gesù agli apostoli durante questi giorni sulla preghiera e l’adorazione possono essere riassunte e riformulate in linguaggio moderno come segue:
(1621.1) 144:4.2 La ripetizione assidua ed intensa di una supplica, quando questa preghiera è l’espressione sincera di un figlio di Dio ed è formulata con fede, per quanto possa essere malaccorta o non suscettibile di una risposta diretta, non manca mai di accrescere la capacità dell’anima alla ricettività spirituale.
(1621.2) 144:4.3 In tutte le vostre preghiere, ricordate che la filiazione è un dono. Nessun figlio deve preoccuparsi di acquisire lo status di figlio o di figlia. Il figlio terreno viene all’esistenza per volontà dei suoi genitori. Allo stesso modo il figlio di Dio perviene alla grazia e alla nuova vita dello spirito per volontà del Padre che è nei cieli. Bisogna perciò che il regno dei cieli — la filiazione divina — sia ricevuto come farebbe un bambino. Si acquisisce la rettitudine — lo sviluppo progressivo del carattere — ma si riceve la filiazione per mezzo della grazia e mediante la fede.
(1621.3) 144:4.4 La preghiera elevò Gesù alla supercomunione della sua anima con i Capi Supremi dell’universo degli universi. La preghiera eleverà i mortali della terra alla comunione della vera adorazione. La capacità spirituale dell’anima alla ricettività determina la quantità di benedizioni celesti di cui ci si può appropriare personalmente e che possono essere comprese coscientemente come una risposta alla preghiera.
(1621.4) 144:4.5 La preghiera e l’adorazione ad essa associata è una tecnica di distacco dalla vita quotidiana ordinaria, dallo svolgimento monotono dell’esistenza materiale. È un modo per avvicinarsi all’autorealizzazione spiritualizzata e all’individualità di compimento intellettuale e religioso.
(1621.5) 144:4.6 La preghiera è un antidoto contro l’introspezione nociva. Quanto meno la preghiera, quale il Maestro l’ha insegnata, è così un benefico ministero per l’anima. Gesù impiegò con persistenza l’influenza benefica della preghiera per i propri simili. Il Maestro pregava di solito al plurale, non al singolare. Soltanto nelle grandi crisi della sua vita terrena Gesù pregò per se stesso.
(1621.6) 144:4.7 La preghiera è il respiro della vita spirituale in mezzo alla civiltà materiale delle razze dell’umanità. L’adorazione è la salvezza per le generazioni di mortali che cercano il piacere.
(1621.7) 144:4.8 Come la preghiera può essere paragonata alla ricarica delle batterie spirituali dell’anima, così l’adorazione può essere paragonata all’atto di sintonizzare l’anima per captare le trasmissioni universali dello spirito infinito del Padre Universale.
(1621.8) 144:4.9 La preghiera è lo sguardo sincero e pieno di desiderio del figlio verso suo Padre spirituale; è un processo psicologico consistente nel cambiare la volontà umana in volontà divina. La preghiera è parte del piano divino per mutare ciò che è in ciò che dovrebbe essere.
(1621.9) 144:4.10 Una delle ragioni per le quali Pietro, Giacomo e Giovanni, che accompagnavano così spesso Gesù nelle sue lunghe veglie notturne, non udirono mai Gesù pregare, fu perché il loro Maestro esprimeva molto raramente le sue preghiere in linguaggio parlato. Praticamente tutte le preghiere di Gesù erano fatte nel suo spirito e nel suo cuore — in silenzio.
(1621.10) 144:4.11 Tra tutti gli apostoli, furono Pietro e Giacomo i più vicini a comprendere l’insegnamento del Maestro sulla preghiera e sull’adorazione.
(1621.11) 144:5.1 Di tanto in tanto, durante il resto del suo soggiorno sulla terra, Gesù richiamò l’attenzione degli apostoli su parecchie altre forme di preghiera, ma lo fece solo per illustrare altre questioni, ed ingiunse che queste “preghiere in parabole” non fossero insegnate alle folle. Molte di esse provenivano da altri pianeti abitati, ma Gesù non rivelò questo fatto ai dodici. Tra queste preghiere c’erano le seguenti:
(1622.1) 144:5.2 Padre nostro nel quale consistono i regni dell’universo,
(1622.2) 144:5.3 Sia esaltato il tuo nome ed il tuo gloriosissimo carattere.
(1622.3) 144:5.4 La tua presenza ci avvolge e la tua gloria è manifestata
(1622.4) 144:5.5 Imperfettamente attraverso di noi, come si mostra in perfezione nell’alto.
(1622.5) 144:5.6 Dacci in questo giorno le forze vivificanti della luce,
(1622.6) 144:5.7 E non lasciarci deviare nei cattivi sentieri della nostra immaginazione,
(1622.7) 144:5.8 Perché a te appartengono la gloriosa presenza interiore, il potere eterno,
(1622.8) 144:5.9 E a noi il dono eterno dell’amore infinito di tuo Figlio.
(1622.9) 144:5.10 Così sia, in verità eterna.
(1622.10) 144:5.11 Nostro Genitore creatore, che sei al centro dell’universo,
(1622.11) 144:5.12 Effondi su di noi la tua natura e donaci il tuo carattere.
(1622.12) 144:5.13 Fa di noi dei figli e figlie tuoi mediante la grazia
(1622.13) 144:5.14 E glorifica il tuo nome con il nostro compimento eterno.
(1622.14) 144:5.15 Donaci il tuo spirito aggiustatore e controllore perché viva ed abiti in noi
(1622.15) 144:5.16 Affinché possiamo fare la tua volontà su questa sfera come gli angeli ese- guono i tuoi ordini nella luce.
(1622.16) 144:5.17 Sostienici in questo giorno nel nostro progresso lungo il sentiero della verità.
(1622.17) 144:5.18 Liberaci dall’inerzia, dal male e da ogni trasgressione peccaminosa.
(1622.18) 144:5.19 Sii paziente con noi, come noi mostriamo benevolenza affettuosa verso il nostro prossimo.
(1622.19) 144:5.20 Spandi lo spirito della tua misericordia nel nostro cuore di creature.
(1622.20) 144:5.21 Guidaci con la tua stessa mano, passo dopo passo, nel dedalo incerto della vita,
(1622.21) 144:5.22 E quando verrà la nostra fine, ricevi nel tuo seno i nostri spiriti fedeli.
(1622.22) 144:5.23 Così sia; sia fatta la tua volontà, non i nostri desideri.
(1622.23) 144:5.24 Padre nostro celeste perfetto e giusto,
(1622.24) 144:5.25 Guida e dirigi in questo giorno il nostro cammino.
(1622.25) 144:5.26 Santifica i nostri passi e coordina i nostri pensieri.
(1622.26) 144:5.27 Guidaci sempre nelle vie del progresso eterno.
(1622.27) 144:5.28 Riempici di saggezza fino alla pienezza del potere
(1622.28) 144:5.29 E vivificaci con la tua energia infinita.
(1622.29) 144:5.30 Ispiraci con la coscienza divina
(1622.30) 144:5.31 Della presenza e del governo delle schiere serafiche.
(1622.31) 144:5.32 Guidaci sempre più in alto nel sentiero della luce;
(1622.32) 144:5.33 Giustificaci pienamente nel giorno del grande giudizio.
(1622.33) 144:5.34 Rendici simili a te nella gloria eterna
(1622.34) 144:5.35 Ed accoglici nel tuo servizio perpetuo nell’alto.
(1622.35) 144:5.36 Padre nostro che sei nel mistero,
(1622.36) 144:5.37 Rivelaci il tuo santo carattere.
(1622.37) 144:5.38 Dona ai tuoi figli terreni in questo giorno
(1622.38) 144:5.39 Di vedere la via, la luce e la verità.
(1622.39) 144:5.40 Mostraci il sentiero del progresso eterno
(1622.40) 144:5.41 E donaci la volontà di camminare in esso.
(1622.41) 144:5.42 Stabilisci in noi la tua sovranità divina
(1622.42) 144:5.43 Ed effondi così su di noi il pieno autocontrollo.
(1622.43) 144:5.44 Non lasciarci deviare in sentieri di tenebre e di morte;
(1622.44) 144:5.45 Guidaci perpetuamente presso le acque della vita.
(1622.45) 144:5.46 Ascolta queste nostre preghiere per interesse a te stesso;
(1622.46) 144:5.47 Sii soddisfatto di renderci sempre più simili a te.
(1623.1) 144:5.48 Ed infine, per amore del Figlio divino,
(1623.2) 144:5.49 Accoglici tra le braccia eterne.
(1623.3) 144:5.50 Ed anche così; sia fatta non la nostra, ma la tua volontà.
(1623.4) 144:5.51 Gloriosi Padre e Madre, congiunti in un unico genitore,
(1623.5) 144:5.52 Noi vorremmo essere fedeli alla tua natura divina.
(1623.6) 144:5.53 Che la tua persona riviva in noi e attraverso noi
(1623.7) 144:5.54 Con il dono e l’effusione del tuo spirito divino,
(1623.8) 144:5.55 Riproducendoti così imperfettamente in questa sfera
(1623.9) 144:5.56 Come ti mostri in perfezione e maestà nell’alto.
(1623.10) 144:5.57 Donaci giorno dopo giorno il tuo dolce ministero di fratellanza
(1623.11) 144:5.58 E guidaci momento dopo momento nel sentiero del servizio amorevole.
(1623.12) 144:5.59 Sii sempre ed immancabilmente paziente con noi
(1623.13) 144:5.60 Come noi manifestiamo la tua pazienza verso i nostri figli.
(1623.14) 144:5.61 Donaci la saggezza divina che compie bene tutte le cose
(1623.15) 144:5.62 E l’amore infinito che è benevolo verso ogni creatura.
(1623.16) 144:5.63 Effondi su di noi la tua pazienza e la tua benevolenza affettuosa
(1623.17) 144:5.64 Affinché la nostra carità possa avvolgere i deboli del regno.
(1623.18) 144:5.65 E quando la nostra carriera sarà finita, fa di essa un onore per il tuo nome,
(1623.19) 144:5.66 Un piacere per il tuo spirito di bontà e una soddisfazione per coloro che assistono la nostra anima.
(1623.20) 144:5.67 O Padre nostro amorevole, che il bene eterno dei tuoi figli mortali Non sia quello che desideriamo noi ma quello che desideri tu.
(1623.21) 144:5.68 Così sia.
(1623.22) 144:5.69 Nostra fedelissima Sorgente e Centro onnipotente,
(1623.23) 144:5.70 Riverito e santo sia il nome del tuo Figlio pieno di grazia.
(1623.24) 144:5.71 I tuoi doni generosi e le tue benedizioni sono discesi su di noi,
(1623.25) 144:5.72 Consentendoci così di compiere la tua volontà e di eseguire i tuoi comandamenti.
(1623.26) 144:5.73 Donaci momento dopo momento il sostegno dell’albero della vita;
(1623.27) 144:5.74 Rinfrescaci giorno dopo giorno con le acque viventi di questo fiume.
(1623.28) 144:5.75 Guidaci passo dopo passo fuori delle tenebre e nella luce divina.
(1623.29) 144:5.76 Rinnova la nostra mente con le trasformazioni dello spirito interiore,
(1623.30) 144:5.77 E quando la fine mortale verrà infine su di noi,
(1623.31) 144:5.78 Accoglici presso di te e mandaci nell’eternità.
(1623.32) 144:5.79 Incoronaci con i diademi celesti del servizio fecondo,
(1623.33) 144:5.80 E noi glorificheremo il Padre, il Figlio e la Santa Influenza.
(1623.34) 144:5.81 Così sia, in tutto un universo senza fine.
(1623.35) 144:5.82 Padre nostro che abiti nei luoghi segreti dell’universo,
(1623.36) 144:5.83 Onorato sia il tuo nome, riverita sia la tua misericordia e rispettato sia il tuo giudizio.
(1623.37) 144:5.84 Che il sole della rettitudine brilli su di noi di giorno,
(1623.38) 144:5.85 Mentre ti supplichiamo di guidare i nostri passi incerti nel buio della notte.
(1623.39) 144:5.86 Conducici per mano nelle vie da te scelte
(1623.40) 144:5.87 E non abbandonarci quando il sentiero è arduo e l’ora è oscura.
(1623.41) 144:5.88 Non dimenticarci come noi così spesso dimentichiamo e trascuriamo te.
(1623.42) 144:5.89 Ma sii misericordioso e amaci come noi desideriamo amare te.
(1623.43) 144:5.90 Guardaci dall’alto con bontà e perdonaci con misericordia
(1623.44) 144:5.91 Come noi perdoniamo in giustizia coloro che ci affliggono e ci offendono.
(1624.1) 144:5.92 Possano l’amore, la devozione ed il conferimento del Figlio maestoso
(1624.2) 144:5.93 Procurarci la vita eterna con la tua misericordia ed il tuo amore senza fine.
(1624.3) 144:5.94 Possa il Dio degli universi effondere su di noi la pienezza del suo spirito;
(1624.4) 144:5.95 Donaci la grazia di piegarci alle direttive di questo spirito.
(1624.5) 144:5.96 Con il ministero amorevole delle devote schiere serafiche
(1624.6) 144:5.97 Possa il Figlio guidarci e condurci sino alla fine dell’era.
(1624.7) 144:5.98 Rendici sempre più simili a te stesso
(1624.8) 144:5.99 E alla nostra fine accoglici nell’abbraccio eterno in Paradiso.
(1624.9) 144:5.100 Così sia, nel nome del Figlio di conferimento
(1624.10) 144:5.101 E per l’onore e la gloria del Padre Supremo.
(1624.11) 144:5.102 Benché gli apostoli non fossero liberi di presentare queste lezioni sulla preghiera nei loro insegnamenti pubblici, approfittarono molto di tutte queste rivelazioni nelle loro esperienze religiose personali. Gesù utilizzò questi ed altri modelli di preghiera come esempi in connessione con l’istruzione intima dei dodici, ed è stato accordato un permesso specifico per trascrivere questi sette esemplari di preghiera in questa esposizione.
(1624.12) 144:6.1 Verso il primo di ottobre, Filippo ed alcuni dei suoi compagni apostoli si trovavano in un villaggio vicino per acquistare dei viveri, quando incontrarono alcuni apostoli di Giovanni il Battista. Questo incontro fortuito sulla piazza del mercato ebbe come risultato un convegno di circa tre settimane al campo di Gelboe tra gli apostoli di Gesù e gli apostoli di Giovanni, perché Giovanni, seguendo il precedente di Gesù, aveva recentemente nominato apostoli dodici dei suoi capi. Giovanni aveva fatto ciò in risposta alla sollecitazione di Abner, il capo dei suoi fedeli sostenitori. Gesù fu presente al campo di Gelboe per tutta la prima settimana di questa riunione congiunta, ma si assentò durante le ultime due settimane.
(1624.13) 144:6.2 All’inizio della seconda settimana di questo mese, Abner aveva riunito tutti i suoi associati al campo di Gelboe ed era pronto ad incontrare gli apostoli di Gesù. Per tre settimane questi ventiquattro uomini si riunirono tre volte al giorno e per sei giorni la settimana. La prima settimana Gesù si unì a loro durante le sessioni del mattino, del pomeriggio e della sera. Essi volevano che il Maestro rimanesse con loro e presiedesse le loro deliberazioni congiunte, ma egli rifiutò fermamente di partecipare alle loro discussioni; acconsentì tuttavia di parlare loro in tre occasioni. Questi discorsi di Gesù ai ventiquattro furono sulla comprensione, sulla cooperazione e sulla tolleranza.
(1624.14) 144:6.3 Andrea e Abner si alternarono alla presidenza di queste riunioni congiunte dei due gruppi apostolici. Questi uomini avevano molte controversie da discutere e numerosi problemi da risolvere. Moltissime volte essi vollero sottoporre i loro problemi a Gesù, solo per sentirlo dire: “Io mi occupo soltanto dei vostri problemi personali e puramente religiosi. Io sono il rappresentante del Padre nei confronti dell’individuo, non del gruppo. Se siete in difficoltà personale nelle vostre relazioni con Dio, venite da me ed io vi ascolterò e vi consiglierò nella soluzione del vostro problema. Ma se intraprendete la coordinazione d’interpretazioni umane divergenti relative a questioni religiose e alla socializzazione della religione, dovete risolvere tutti questi problemi mediante vostre decisioni. Tuttavia io sono sempre disponibile e interessato, e quando arriverete alle vostre conclusioni su tali questioni di valore non spirituale, purché siate tutti d’accordo, allora vi garantisco fin d’ora la mia piena approvazione e la mia sincera collaborazione. Ed ora, affinché vi sentiate liberi nelle vostre deliberazioni, vi lascio per due settimane. Non preoccupatevi per me, perché ritornerò da voi. Io mi occuperò degli affari di mio Padre, perché noi abbiamo altri regni oltre a questo.”
(1625.1) 144:6.4 Dopo aver detto questo Gesù scese lungo il fianco della montagna ed essi non lo videro più per due settimane intere. Ed essi non seppero mai dov’era andato né quello che fece durante questi giorni. Ci volle del tempo prima che i ventiquattro potessero mettersi d’impegno nello studio serio dei loro problemi, tanto erano sconcertati per l’assenza del Maestro. Tuttavia, in capo ad una settimana si ritrovarono nel pieno delle loro discussioni senza poter ricorrere all’aiuto di Gesù.
(1625.2) 144:6.5 Il primo punto sul quale il gruppo si accordò fu l’adozione della preghiera che Gesù aveva così recentemente insegnato loro. Fu votato all’unanimità di accettare questa preghiera come quella che doveva essere insegnata ai credenti da entrambi i gruppi di apostoli.
(1625.3) 144:6.6 Essi decisero poi che per tutto il tempo in cui Giovanni fosse vissuto, sia in prigione sia fuori, i due gruppi di dodici apostoli avrebbero proseguito il loro lavoro e avrebbero tenuto delle riunioni congiunte di una settimana ogni tre mesi in luoghi da convenirsi di volta in volta.
(1625.4) 144:6.7 Ma il loro problema più serio era la questione del battesimo. Le loro difficoltà erano tutte maggiormente aggravate dal fatto che Gesù aveva rifiutato di fare una qualunque dichiarazione sull’argomento. Alla fine convennero che, fintantoché Giovanni viveva o fino a che essi non avessero modificato congiuntamente questa decisione, solo gli apostoli di Giovanni avrebbero battezzato i credenti, e solo gli apostoli di Gesù avrebbero istruito in tutto i nuovi discepoli. Di conseguenza, da quel momento e fino a dopo la morte di Giovanni, due apostoli di Giovanni accompagnarono Gesù e i suoi apostoli per battezzare i credenti, perché il consiglio congiunto aveva votato unanimemente che il battesimo sarebbe divenuto il passo iniziale dell’alleanza esterna con gli affari del regno.
(1625.5) 144:6.8 Fu poi convenuto che, in caso di morte di Giovanni, gli apostoli di Giovanni si sarebbero presentati a Gesù e si sarebbero sottomessi alla sua direzione, e che allora essi non avrebbero più battezzato senza essere autorizzati da Gesù o dai suoi apostoli.
(1625.6) 144:6.9 E votarono poi che, in caso di morte di Giovanni, gli apostoli di Gesù avrebbero cominciato a battezzare con l’acqua come simbolo del battesimo dello Spirito divino. Se il pentimento dovesse o meno essere connesso con la predicazione del battesimo fu lasciato alla scelta di ciascuno; non fu presa alcuna decisione vincolante per il gruppo. Gli apostoli di Giovanni predicavano: “Pentitevi e siate battezzati.” Gli apostoli di Gesù proclamavano: “Credete e siate battezzati.”
(1625.7) 144:6.10 Questa è la storia del primo tentativo dei discepoli di Gesù di coordinare degli sforzi divergenti, di comporre delle divergenze d’opinione, di organizzare delle attività di gruppo, di legiferare su delle osservanze esteriori e di rendere sociali delle pratiche religiose personali.
(1625.8) 144:6.11 Furono prese in considerazione molte altre questioni minori e furono concordate unanimemente le loro soluzioni. Questi ventiquattro uomini ebbero un’esperienza veramente rimarchevole durante queste due settimane in cui dovettero affrontare dei problemi e superare delle difficoltà senza Gesù. Essi impararono ad avere opinioni diverse, a discutere, a lottare, a pregare e a transigere, pur rispettando il punto di vista dell’interlocutore e mantenendo almeno un certo grado di tolleranza per le sue opinioni sincere.
(1625.9) 144:6.12 Nel pomeriggio della loro discussione finale su questioni finanziarie, Gesù ritornò, udì le loro deliberazioni, ascoltò le loro decisioni e disse: “Queste, dunque, sono le vostre conclusioni, ed io aiuterò ciascuno di voi a mettere in pratica lo spirito delle vostre decisioni congiunte.”
(1626.1) 144:6.13 Due mesi e mezzo più tardi Giovanni fu giustiziato, e per tutto questo tempo gli apostoli di Giovanni rimasero con Gesù e i dodici. Essi lavorarono tutti insieme e battezzarono i credenti in questo periodo di lavoro nelle città della Decapoli. Il campo di Gelboe fu tolto il 2 novembre dell’anno 27 d.C.
(1626.2) 144:7.1 Durante i mesi di novembre e di dicembre Gesù e i ventiquattro lavorarono tranquillamente nelle città greche della Decapoli, principalmente a Scitopoli, Gerasa, Abila e Gadara. Questa fu realmente la fine del periodo preliminare di subentro all’opera e all’organizzazione di Giovanni. La religione socializzata di una nuova rivelazione deve sempre pagare il prezzo del compromesso con le forme e gli usi stabiliti della religione precedente che essa cerca di salvare. Il battesimo fu il prezzo che i discepoli di Gesù pagarono per portare con loro, quale gruppo religioso socializzato, i discepoli di Giovanni il Battista. I discepoli di Giovanni, unendosi ai discepoli di Gesù, rinunciarono a quasi tutto, eccetto che al battesimo con l’acqua.
(1626.3) 144:7.2 Gesù insegnò poco in pubblico nel corso di questa missione nelle città della Decapoli. Egli passò molto tempo ad istruire i ventiquattro e tenne numerose riunioni speciali con i dodici apostoli di Giovanni. Col tempo essi compresero meglio perché Gesù non andò a trovare Giovanni in prigione e perché non fece alcuno sforzo per ottenere la sua liberazione. Ma essi non riuscirono mai a comprendere perché Gesù non compisse delle opere miracolose, perché rifiutasse di manifestare dei segni esteriori della sua autorità divina. Prima di venire al campo di Gelboe essi avevano creduto in Gesù soprattutto a causa della testimonianza di Giovanni, ma presto cominciarono a credere in conseguenza del loro stesso contatto con il Maestro e con i suoi insegnamenti.
(1626.4) 144:7.3 Durante questi due mesi il gruppo lavorò la maggior parte del tempo per coppie, un apostolo di Gesù usciva con un apostolo di Giovanni. L’apostolo di Giovanni battezzava, l’apostolo di Gesù istruiva, mentre entrambi predicavano il vangelo del regno come lo comprendevano. Ed essi conquistarono molte anime tra questi Gentili e questi Ebrei apostati.
(1626.5) 144:7.4 Abner, il capo degli apostoli di Giovanni, divenne un devoto credente in Gesù e fu nominato più tardi capo di un gruppo di settanta istruttori incaricati dal Maestro di predicare il vangelo.
(1626.6) 144:8.1 Alla fine di dicembre essi andarono tutti vicino al Giordano, in prossimità di Pella, dove ricominciarono ad insegnare e a predicare. Sia gli Ebrei che i Gentili venivano in questo campo per ascoltare il vangelo. Fu mentre Gesù insegnava alla folla in un pomeriggio che alcuni amici intimi di Giovanni portarono al Maestro l’ultimo messaggio che avrebbe ricevuto dal Battista.
(1626.7) 144:8.2 Giovanni era ora in prigione da un anno e mezzo, e per quasi tutto questo tempo Gesù aveva lavorato molto discretamente; non c’era dunque da meravigliarsi che Giovanni fosse indotto ad informarsi sul regno. Gli amici di Giovanni interruppero l’insegnamento di Gesù dicendogli: “Giovanni il Battista ci ha mandato a chiederti — sei tu veramente il Liberatore o dobbiamo cercarne un altro?”
(1626.8) 144:8.3 Gesù si fermò per dire agli amici di Giovanni: “Ritornate a dire a Giovanni che non è dimenticato. Raccontategli quello che avete visto e udito, che la buona novella è predicata ai poveri.” E dopo che Gesù ebbe parlato ancora ai messaggeri di Giovanni, si girò di nuovo verso la folla e disse: “Non crediate che Giovanni dubiti del vangelo del regno. Egli s’informa soltanto per rassicurare i suoi disce poli che sono anche miei discepoli. Giovanni non è un debole. Permettete che chieda a voi che avete ascoltato Giovanni predicare prima che Erode lo mettesse in prigione: che cosa avete visto in Giovanni — una canna scossa dal vento? Un uomo dall’umore bizzarro ed abbigliato con vestiti morbidi? Di norma coloro che sono vestiti sontuosamente e vivono nel lusso sono nelle corti dei re e nelle dimore dei ricchi. Ma che cosa avete visto guardando Giovanni? Un profeta? Sì, vi dico, e molto più che un profeta. È stato scritto di Giovanni: ‘Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te; egli preparerà la via davanti a te.’
(1627.1) 144:8.4 “In verità, in verità vi dico, tra coloro che sono nati da donna non ne è cresciuto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia, anche il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui perché è nato dallo spirito e sa che è divenuto un figlio di Dio.”
(1627.2) 144:8.5 Molti di quelli che ascoltarono Gesù quel giorno si sottoposero al battesimo di Giovanni, proclamando così pubblicamente la loro entrata nel regno. E gli apostoli di Giovanni da quel giorno rimasero strettamente legati a Gesù. Questa circostanza segnò l’unione effettiva dei discepoli di Giovanni con quelli di Gesù.
(1627.3) 144:8.6 Dopo che i messaggeri ebbero conversato con Abner, partirono per Macheronte per raccontare tutto ciò a Giovanni. Egli fu grandemente confortato e la sua fede fu fortificata dalle parole di Gesù e dal messaggio di Abner.
(1627.4) 144:8.7 In questo pomeriggio Gesù continuò ad insegnare, dicendo: “Ma a che cosa paragonerò questa generazione? Molti di voi non riceveranno né il messaggio di Giovanni né il mio insegnamento. Voi assomigliate a dei bambini che giocano nella piazza del mercato, che chiamano i loro compagni e dicono: ‘Abbiamo suonato il flauto per voi e non avete danzato; abbiamo gemuto e non vi siete addolorati.’ La stessa cosa e per certuni di voi. Giovanni è venuto né mangiando né bevendo, ed hanno detto che era un demone. Il Figlio dell’Uomo viene mangiando e bevendo, e queste stesse persone dicono: ‘Guardate, è un ingordo e un bevitore di vino, un amico dei Pubblicani e dei peccatori!’ In verità, la saggezza è giustificata dai suoi figli.
(1627.5) 144:8.8 “Sembra che il Padre celeste abbia nascosto alcune di queste verità ai saggi e ai superbi, mentre le ha rivelate ai bambini. Ma il Padre fa bene tutte le cose; il Padre si rivela all’universo con metodi di propria scelta. Venite dunque, voi tutti che penate e portate pesanti fardelli, e troverete riposo per la vostra anima. Prendete su di voi il giogo divino e sperimenterete la pace di Dio che oltrepassa ogni comprensione.”
(1627.6) 144:9.1 Giovanni il Battista fu giustiziato per ordine di Erode Antipa la sera del 10 gennaio dell’anno 28 d.C. Il giorno seguente alcuni discepoli di Giovanni che erano andati a Macheronte seppero della sua esecuzione e andarono da Erode a chiederne il corpo, che posero in una tomba. Più tardi lo inumarono a Sebaste, il villaggio in cui abitava Abner. Il giorno seguente, 12 gennaio, essi andarono a nord verso il campo degli apostoli di Giovanni e di Gesù vicino a Pella e raccontarono a Gesù della morte di Giovanni. Quando Gesù ebbe ascoltato il loro rapporto, congedò la folla e, radunati tutti i ventiquattro, disse: “Giovanni è morto. Erode lo ha fatto decapitare. Questa sera tenete consiglio congiunto e sistemate di conseguenza i vostri affari. Non aspetteremo più a lungo. È giunta l’ora di proclamare il regno apertamente e con potenza. Domani andremo in Galilea.”
(1627.7) 144:9.2 Come stabilito, il mattino presto del 13 gennaio dell’anno 28 d.C. Gesù e gli apostoli, accompagnati da circa venticinque discepoli, si misero in cammino per Cafarnao ed alloggiarono quella notte nella casa di Zebedeo.
(1628.1) 145:0.1 GESÙ e gli apostoli arrivarono a Cafarnao la sera di martedì 13 gennaio. Come d’abitudine essi installarono il loro quartier generale nella casa di Zebedeo a Betsaida. Ora che Giovanni il Battista era stato messo a morte, Gesù si preparò a lanciarsi apertamente nel primo giro di predicazione pubblica in Galilea. La notizia che Gesù era tornato si sparse rapidamente in tutta la città, e l’indomani mattina presto Maria, la madre di Gesù, si affrettò a partire per Nazaret per far visita a suo figlio Giuseppe.
(1628.2) 145:0.2 Gesù passò mercoledì, giovedì e venerdì a casa di Zebedeo ad istruire i suoi apostoli in preparazione al loro primo ampio giro di predicazione pubblica. Egli ricevette ed istruì, singolarmente e a gruppi, anche molti cercatori sinceri. Tramite Andrea egli prese accordi per parlare nella sinagoga il giorno del sabato seguente.
(1628.3) 145:0.3 Venerdì sera tardi Rut, la sorella più giovane di Gesù, gli fece segretamente visita. Essi passarono quasi un’ora assieme su un battello ancorato a breve distanza dalla riva. Nessun essere umano, salvo Giovanni Zebedeo, seppe mai di questa visita, e gli fu raccomandato di non parlarne a nessuno. Rut fu il solo membro della famiglia di Gesù che credette costantemente e fermamente nella divinità della sua missione terrena fin dalla sua iniziale presa di coscienza spirituale e per tutto il suo movimentato ministero, la sua morte, la sua risurrezione e la sua ascensione. Ed infine essa passò nei mondi dell’aldilà senza aver mai dubitato del carattere soprannaturale della missione nella carne di suo fratello-padre. Per quanto concerne la sua famiglia terrena, la piccola Rut fu la principale consolazione di Gesù durante le crudeli prove del suo giudizio, del suo rifiuto e della sua crocifissione.
(1628.4) 145:1.1 Il venerdì mattina di questa stessa settimana, mentre Gesù stava insegnando sulla riva, la gente lo spinse così vicino al bordo dell’acqua che egli fece segno a dei pescatori che stavano su un battello vicino di venire in suo soccorso. Salito sul battello, egli continuò ad istruire la folla riunita per più di due ore. Questo battello si chiamava “Simone”; era il vecchio battello da pesca di Simon Pietro ed era stato costruito da Gesù stesso. In questo particolare mattino il battello era utilizzato da Davide Zebedeo e da due suoi associati, che stavano tornando verso la vicina costa dopo una notte di pesca infruttuosa sul lago. Essi stavano pulendo e rammendando le loro reti quando Gesù chiese loro di venire in suo aiuto.
(1628.5) 145:1.2 Dopo che Gesù ebbe finito d’istruire la folla, disse a Davide: “Poiché hai perso tempo per venire in mio aiuto, permettimi ora di lavorare con te. Andiamo a pescare; dirigiti verso i fondali che sono laggiù e getta le tue reti per una retata.” Ma Simone, uno degli assistenti di Davide, rispose: “Maestro, è inutile. Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; tuttavia, poiché lo chiedi tu, usciremo e getteremo le reti.” E Simone acconsentì a seguire le direttive di Gesù perché il suo padrone, Davide, gli aveva fatto un cenno. Quando furono giunti nel luogo indicato da Gesù, essi gettarono giù le loro reti e presero una tale quantità di pesce da temere che le reti si lacerassero, cosicché fecero segno ai loro compagni sulla riva di venire in loro aiuto. Quando ebbero riempito completamente tre battelli di pesce, quasi al punto da farli affondare, Simone si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Allontanati da me, Maestro, perché sono un peccatore.” Simone e tutti coloro che avevano partecipato a questo episodio furono stupefatti da questa retata di pesce. Da quel giorno Davide Zebedeo, questo Simone ed i loro compagni abbandonarono le loro reti e seguirono Gesù.
(1629.1) 145:1.3 Ma questa non fu in alcun senso una retata di pesce miracolosa. Gesù era un profondo studioso della natura; era un pescatore esperto e conosceva le abitudini dei pesci nel Mare di Galilea. In questa occasione egli aveva semplicemente indirizzato questi uomini verso il luogo in cui i pesci si trovavano solitamente a quell’ora del giorno. Ma i discepoli di Gesù considerarono sempre questo avvenimento un miracolo.
(1629.2) 145:2.1 Il sabato seguente, al servizio del pomeriggio nella sinagoga, Gesù predicò il suo sermone su “La volontà del Padre che è nei cieli”. Il mattino Simon Pietro aveva predicato su “Il Regno”. Nella riunione del giovedì sera alla sinagoga Andrea aveva insegnato prendendo per argomento: “La nuova via”. In questo particolare periodo credevano più persone in Gesù a Cafarnao che in ogni altra città della terra.
(1629.3) 145:2.2 Mentre Gesù insegnava nella sinagoga questo sabato pomeriggio, secondo il costume egli prese il suo primo testo dalla Legge, leggendo dal Libro dell’Esodo: “E tu servirai il Signore, Dio tuo, ed egli benedirà il tuo pane e la tua acqua, ed ogni malattia sarà allontanata da te.” Egli scelse il secondo testo dai Profeti, leggendo da Isaia: “Sorgi e risplendi, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore si è levata su di te. L’oscurità può coprire la terra e fitte tenebre coprire il popolo, ma lo spirito del Signore si leverà su di te e la gloria divina sarà vista in te. Anche i Gentili verranno verso questa luce e molte grandi menti si abbandoneranno allo splendore di questa luce.”
(1629.4) 145:2.3 Questo sermone fu uno sforzo da parte di Gesù di chiarire il fatto che la religione è un’esperienza personale. Tra le altre cose il Maestro disse:
(1629.5) 145:2.4 “Voi sapete bene che, se un padre dal cuore tenero ama la sua famiglia come un tutto, la considera come un gruppo a causa del suo forte affetto per ciascun singolo membro di quella famiglia. Voi dovete cessare di accostarvi al Padre che è nei cieli come figli d’Israele, ma dovete farlo come figli di Dio. In quanto gruppo voi siete in verità i figli d’Israele, ma come individui, ciascuno di voi è un figlio di Dio. Io sono venuto, non a rivelare il Padre ai figli d’Israele, ma piuttosto a portare questa conoscenza di Dio e la rivelazione del suo amore e della sua misericordia al singolo credente come un’esperienza personale autentica. I profeti vi hanno tutti insegnato che Yahweh si prende cura del suo popolo, che Dio ama Israele. Ma io sono venuto tra di voi a proclamare una verità più grande, una verità che anche molti degli ultimi profeti avevano compreso, la verità che Dio vi ama — ciascuno di voi — in quanto individui. Durante tutte queste generazioni voi avete avuto una religione nazionale o razziale; ora io sono venuto a donarvi una religione personale.
(1630.1) 145:2.5 “Ma anche questa non è un’idea nuova. Molti di voi, inclini allo spirito, hanno conosciuto questa verità, poiché alcuni profeti ve l’hanno insegnata. Non avete letto nelle Scritture dove il profeta Geremia dice: ‘In quei giorni non si dirà più: i padri hanno mangiato dell’uva acerba e i denti dei figli sono irritati. Ogni uomo morirà per la propria iniquità; ogni uomo che mangia dell’uva acerba avrà i denti irritati. Ecco, verranno giorni in cui io farò una nuova alleanza con il mio popolo, non secondo l’alleanza che ho concluso con i loro padri quando li ho fatti uscire dalla terra d’Egitto, ma secondo la nuova via. Scriverò anche la mia legge nel loro cuore. Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. In quel giorno essi non diranno, ciascuno al suo vicino, conosci il Signore? No! Perché essi mi conosceranno tutti personalmente, dal più umile al più grande’.
(1630.2) 145:2.6 “Non avete letto queste promesse? Non credete alle Scritture? Non comprendete che le parole del profeta sono compiute in ciò che vedete in questo stesso giorno? E Geremia non vi ha esortato a fare della religione un affare del cuore, a legarvi a Dio come individui? Non vi ha detto il profeta che il Dio del cielo sonderà i vostri singoli cuori? E non siete stati avvertiti che il cuore umano naturale è più fallace di qualunque cosa e spesso disperatamente perverso?
(1630.3) 145:2.7 “Non avete letto anche dove Ezechiele ha insegnato ai vostri padri che la religione deve diventare una realtà nella vostra esperienza individuale? Non utilizzerete più il proverbio che dice: ‘I padri hanno mangiato dell’uva acerba e i denti dei figli si sono irritati’. ‘Per il fatto che io vivo’, dice il Signore Dio ‘ecco, tutte le anime sono mie; come l’anima del padre, così anche l’anima del figlio. Solo l’anima che pecca morirà.’ E poi Ezechiele previde anche questo tempo in cui egli parlò in nome di Dio, dicendo: ‘Vi darò anche un cuore nuovo, e porrò in voi un nuovo spirito.’
(1630.4) 145:2.8 “Voi non dovreste più temere che Dio punisca una nazione per il peccato di un individuo; né il Padre che è nei cieli punirà uno dei suoi figli credenti per i peccati di una nazione, anche se il singolo membro di una famiglia debba spesso soffrire le conseguenze materiali degli errori familiari e delle colpe collettive. Non capite che la speranza di una nazione migliore — o di un mondo migliore — è legata al progresso e all’illuminazione dell’individuo?”
(1630.5) 145:2.9 Poi il Maestro spiegò che il Padre celeste, dopo che gli uomini discernono questa libertà spirituale, vuole che i suoi figli terreni inizino quell’ascensione eterna della carriera del Paradiso che consiste nella risposta cosciente della creatura all’incitamento divino dello spirito interiore a trovare il Creatore, a conoscere Dio e a cercare di divenire simile a lui.
(1630.6) 145:2.10 Gli apostoli furono grandemente aiutati da questo sermone. Tutti loro compresero più pienamente che il vangelo del regno è un messaggio destinato all’individuo, non alla nazione.
(1630.7) 145:2.11 Benché gli abitanti di Cafarnao fossero abituati all’insegnamento di Gesù, rimasero stupiti dal suo sermone di questo giorno di sabato. Egli insegnò, in verità, come uno avente autorità e non come gli Scribi.
(1630.8) 145:2.12 Proprio nel momento in cui Gesù finiva di parlare, un giovane della congregazione che era stato molto scosso dalle sue parole fu assalito da un violento attacco epilettico e mandava alte grida. Alla fine della crisi, ancora riprendendo coscienza, egli parlò in stato di sogno, dicendo: “Che cosa abbiamo a che fare con te, Gesù di Nazaret? Tu sei il santo di Dio; sei venuto per distruggerci?” Gesù pregò la gente di fare silenzio e, prendendo il giovane per la mano, disse: “Esci da questo stato” — ed egli si risvegliò immediatamente.
(1631.1) 145:2.13 Questo giovane non era posseduto da uno spirito impuro o da un demone; era vittima di una comune epilessia. Ma gli era stato insegnato che la sua afflizione era dovuta alla possessione da parte di uno spirito maligno. Egli credeva a questo insegnamento e si comportava di conseguenza in tutto ciò che pensava o diceva sulla sua malattia. Tutta la gente credeva che questi fenomeni fossero causati direttamente dalla presenza di spiriti impuri. Essi credettero quindi che Gesù avesse cacciato un demone da quest’uomo. Ma Gesù in quel momento non guarì la sua epilessia. Solo più tardi in quello stesso giorno, dopo il tramonto, quest’uomo fu realmente guarito. Molto tempo dopo il giorno di Pentecoste l’apostolo Giovanni, che fu l’ultimo a scrivere gli atti di Gesù, evitò ogni riferimento a questi cosiddetti atti di “cacciata di demoni”, e lo fece in ragione del fatto che tali casi di possessione da demoni non si verificarono più dopo la Pentecoste.
(1631.2) 145:2.14 A seguito di questo banale incidente, si diffuse rapidamente in tutta Cafarnao la notizia che Gesù aveva cacciato un demone da un uomo e l’aveva miracolosamente guarito nella sinagoga al termine del suo sermone del pomeriggio. Il sabato era il momento propizio per la diffusione rapida ed efficace di una notizia così sensazionale. Questa storia fu anche portata in tutti i più piccoli insediamenti attorno a Cafarnao, e molte persone vi credettero.
(1631.3) 145:2.15 La cucina e le faccende domestiche nella grande casa di Zebedeo, dove Gesù e i dodici avevano stabilito il loro quartier generale, erano fatte per la maggior parte dalla moglie di Simon Pietro e dalla madre di costei. La casa di Pietro era vicina a quella di Zebedeo e Gesù ed i suoi amici vi si fermarono tornando dalla sinagoga perché la suocera di Pietro soffriva da molti giorni di brividi e febbre. Ora successe che, quasi nel momento in cui Gesù era curvo su questa donna ammalata, tenendole la mano, accarezzandole la fronte e dicendole parole di conforto e d’incoraggiamento, la febbre la lasciò. Gesù non aveva ancora avuto il tempo di spiegare ai suoi apostoli che nessun miracolo si era prodotto alla sinagoga; e con questo avvenimento così recente e vivo nella loro mente, e ricordando l’acqua e il vino di Cana, essi presero questa coincidenza per un altro miracolo, e molti di loro si precipitarono fuori a diffondere la notizia in tutta la città.
(1631.4) 145:2.16 Amata, la suocera di Pietro, soffriva di febbre malarica. Essa non fu miracolosamente guarita da Gesù in quel momento. Solo alcune ore più tardi, dopo il tramonto, avvenne la sua guarigione in connessione con lo straordinario avvenimento che si produsse nel cortile antistante la casa di Zebedeo.
(1631.5) 145:2.17 E questi casi sono tipici del modo in cui una generazione alla ricerca di prodigi ed un popolo incline ai miracoli presero immancabilmente tutte queste coincidenze come pretesto per proclamare che un nuovo miracolo era stato compiuto da Gesù.
(1631.6) 145:3.1 Nel momento in cui Gesù ed i suoi apostoli si accingevano a consumare il pasto serale alla fine di questo movimentato giorno di sabato, tutta Cafarnao e i suoi dintorni erano eccitati per questi pretesi miracoli di guarigione; e tutte le persone ammalate o sofferenti si prepararono ad andare da Gesù o a farvisi trasportare dai loro amici non appena il sole fosse tramontato. Secondo gli insegnamenti ebrei era persino proibito andare in cerca di salute nelle ore consacrate del sabato.
(1632.1) 145:3.2 Dunque, non appena il sole calò sotto l’orizzonte, centinaia di uomini, di donne e di bambini sofferenti cominciarono a dirigersi verso la casa di Zebedeo a Betsaida. Un uomo partì con sua figlia paralizzata non appena il sole calò dietro la casa del suo vicino.
(1632.2) 145:3.3 Tutti gli avvenimenti del giorno avevano preparato il quadro per questa straordinaria scena del tramonto. Anche il testo che Gesù aveva utilizzato per il suo sermone del pomeriggio aveva lasciato intendere che la malattia doveva essere bandita; ed egli aveva parlato con potenza ed autorità senza precedenti! Il suo messaggio era così irresistibile! Senza aver fatto appello all’autorità umana, egli aveva parlato direttamente alla coscienza e all’anima degli uomini. Sebbene non fosse ricorso né alla logica, né a cavilli legali, né ad abili argomenti, egli aveva fatto un appello potente, diretto, chiaro e personale al cuore dei suoi ascoltatori.
(1632.3) 145:3.4 Quel sabato fu un grande giorno nella vita terrena di Gesù ed anche nella vita di un universo. A tutti gli intenti e propositi di questo universo locale, la piccola città ebrea di Cafarnao fu la vera capitale di Nebadon. Il gruppetto di Ebrei nella sinagoga di Cafarnao non rappresentava i soli esseri che ascoltarono l’importante dichiarazione di chiusura del sermone di Gesù: “L’odio è l’ombra della paura; la vendetta è la maschera della viltà.” I suoi ascoltatori non poterono mai dimenticare le sue parole benedette, che proclamavano: “L’uomo è il figlio di Dio, non un figlio del demonio.”
(1632.4) 145:3.5 Subito dopo il tramonto, mentre Gesù e gli apostoli si attardavano ancora alla tavola della cena, la moglie di Pietro udì delle voci nel cortile antistante la casa e, andata alla porta, vide che si stava radunando un gran numero di ammalati, e che la strada proveniente da Cafarnao era affollata da coloro che venivano a cercare la guarigione dalle mani di Gesù. Vedendo questo spettacolo, essa andò immediatamente ad informare suo marito, che lo disse a Gesù.
(1632.5) 145:3.6 Quando il Maestro uscì sulla porta d’entrata della casa di Zebedeo, i suoi occhi incontrarono uno schieramento di umanità inferma e sofferente. Egli vide quasi mille esseri umani ammalati ed afflitti; questo almeno era il numero di persone riunite davanti a lui. Non tutti i presenti erano ammalati; alcuni erano venuti ad assistere i loro cari in questo tentativo di ottenere la guarigione.
(1632.6) 145:3.7 La vista di questi mortali afflitti, uomini, donne e bambini, sofferenti in larga parte in conseguenza degli errori e delle trasgressioni dei suoi stessi Figli incaricati dell’amministrazione dell’universo, toccò in modo particolare il cuore umano di Gesù e sfidò la misericordia divina di questo benevolente Figlio Creatore. Ma Gesù sapeva bene che non avrebbe mai potuto costruire un movimento spirituale durevole sulle fondamenta di prodigi puramente materiali. La sua costante linea di condotta era stata quella di astenersi dal far valere le sue prerogative di creatore. Dopo Cana, niente di soprannaturale o di miracoloso aveva accompagnato il suo insegnamento; tuttavia, questa moltitudine afflitta toccò il suo cuore compassionevole e fece potentemente appello al suo affetto comprensivo.
(1632.7) 145:3.8 Dal cortile antistante una voce gridò: “Maestro, pronuncia la parola, ristabilisci la nostra salute, guarisci le nostre malattie e salva le nostre anime.” Appena queste parole furono state pronunciate un vasto seguito di serafini, di controllori fisici, di Portatori di Vita e d’intermedi, che accompagnavano sempre questo Creatore incarnato di un universo, si prepararono ad agire con potere creativo se il loro Sovrano avesse dato il segnale. Questo fu uno di quei momenti nella carriera terrena di Gesù in cui la saggezza divina e la compassione umana erano talmente concatenate nel giudizio del Figlio dell’Uomo che egli cercò rifugio nell’appello alla volontà di suo Padre.
(1632.8) 145:3.9 Quando Pietro implorò il Maestro di dare ascolto alle loro invocazioni di aiuto, Gesù, posando lo sguardo sulla moltitudine di ammalati, rispose: “Io sono venuto nel mondo per rivelare il Padre e per instaurare il suo regno. Ho vissuto fino a quest’ora la mia vita per questo scopo. Se, tuttavia, fosse volontà di Colui che mi ha mandato, e se ciò non fosse incompatibile con la mia consacrazione alla proclamazione del vangelo del regno dei cieli, desidererei vedere i miei figli risanati — e — ” ma le successive parole di Gesù si persero nel tumulto.
(1633.1) 145:3.10 Gesù aveva trasferito la responsabilità di questa decisione di guarire al dominio di suo Padre. Evidentemente la volontà del Padre non interpose alcuna obiezione, perché le parole del Maestro erano appena state pronunciate quando l’assemblea delle personalità celesti in servizio sotto il comando dell’Aggiustatore di Pensiero Personalizzato di Gesù fu potentemente mobilitata. Il vasto assembramento discese in mezzo a questa folla eterogenea di mortali sofferenti ed in pochi istanti 683 uomini, donne e bambini furono guariti, furono perfettamente risanati da tutte le loro malattie fisiche e dagli altri disturbi organici. Una scena simile non si era mai vista sulla terra prima di quel giorno, né dopo di allora. E per quelli di noi che erano presenti ad osservare questa ondata creativa di guarigione fu veramente uno spettacolo emozionante.
(1633.2) 145:3.11 Ma tra tutti gli esseri che rimasero stupefatti da questa improvvisa ed inattesa esplosione di guarigione soprannaturale, Gesù fu il più sorpreso. Nel momento in cui le sue simpatie ed i suoi interessi umani erano focalizzati sulla scena di sofferenza e di afflizione che si stendeva davanti a lui, egli aveva dimenticato di tenere presenti nella sua mente umana gli avvertimenti del suo Aggiustatore Personalizzato circa l’impossibilità di limitare l’elemento tempo delle prerogative creatrici di Figlio Creatore in certe condizioni ed in certe circostanze. Gesù desiderava vedere questi mortali sofferenti risanati se la volontà di suo Padre non fosse stata con ciò violata. L’Aggiustatore Personalizzato di Gesù decise istantaneamente che un tale atto di energia creativa compiuto in quel momento non avrebbe trasgredito la volontà del Padre del Paradiso, e con questa decisione — tenuto conto della precedente espressione del desiderio di guarigione di Gesù — l’atto creativo fu. Quello che un Figlio Creatore desidera e che suo Padre vuole È. In tutta la vita terrena successiva di Gesù non si verificò più una tale guarigione fisica in massa di mortali.
(1633.3) 145:3.12 Come ci si poteva aspettare, la fama di questa guarigione al tramonto a Betsaida di Cafarnao si diffuse in tutta la Galilea e la Giudea e nelle regioni più lontane. Ancora una volta i timori di Erode si risvegliarono, ed egli mandò degli osservatori affinché gli riferissero sull’opera e sugli insegnamenti di Gesù e verificassero se egli era il precedente carpentiere di Nazaret oppure Giovanni il Battista risuscitato dalla morte.
(1633.4) 145:3.13 Principalmente a causa di questa involontaria dimostrazione di guarigione fisica, da allora in avanti e per tutto il resto della sua carriera terrena Gesù divenne medico quanto predicatore. È vero, egli continuò il suo insegnamento, ma il suo lavoro personale consisteva soprattutto nel curare gli ammalati e gli afflitti, mentre i suoi apostoli si occupavano di predicare in pubblico e di battezzare i credenti.
(1633.5) 145:3.14 Ma la maggior parte di coloro che godettero della guarigione fisica soprannaturale o creativa in questa dimostrazione di energia divina al tramonto del sole non trassero un beneficio spirituale permanente da questa straordinaria manifestazione di misericordia. Un piccolo numero di loro fu veramente edificato da questo ministero fisico, ma il regno spirituale non progredì nel cuore degli uomini a causa di questa stupefacente eruzione di guarigione creativa indipendente dal tempo.
(1633.6) 145:3.15 Le guarigioni miracolose che accompagnarono di tanto in tanto la missione di Gesù sulla terra non facevano parte del suo piano di proclamazione del regno. Esse furono incidentalmente inerenti alla presenza sulla terra di un essere divino con prerogative creatrici quasi illimitate, in associazione con una combinazione senza precedenti di misericordia divina e di compassione umana. Ma questi cosiddetti miracoli valsero a Gesù molti fastidi, nel senso che gli procurarono una pubblicità che alimentava pregiudizi e gli produssero una notorietà non desiderata.
(1634.1) 145:4.1 Per tutta la sera seguente a questa grande esplosione di guarigione, la folla felice e festante invase la casa di Zebedeo, e gli apostoli di Gesù furono al più alto grado di entusiasmo emotivo. Dal punto di vista umano questo fu probabilmente il più gran giorno di tutti i grandi giorni della loro associazione con Gesù. Mai prima né dopo le loro speranze si elevarono a tali altezze di fiduciosa aspettativa. Gesù aveva detto loro soltanto alcuni giorni prima, e quando erano ancora entro i confini della Samaria, che era giunta l’ora in cui il regno doveva essere proclamato in potenza, ed ora i loro occhi avevano visto quello che supponevano essere il compimento di quella promessa. Essi erano eccitati dalla visione di ciò che sarebbe accaduto se questa stupefacente manifestazione di potere curativo fosse stata soltanto l’inizio. I restanti dubbi sulla divinità di Gesù furono banditi. Essi erano letteralmente inebriati dall’estasi del loro stupefacente incantesimo.
(1634.2) 145:4.2 Ma quando cercarono Gesù, essi non riuscirono a trovarlo. Il Maestro era molto turbato da quanto era avvenuto. Questi uomini, donne e bambini che erano stati guariti da diverse malattie si attardarono a lungo nella serata, sperando nel ritorno di Gesù per poterlo ringraziare. Gli apostoli non riuscivano a comprendere la condotta del Maestro, vedendo che passavano le ore ed egli restava in isolamento; la loro gioia sarebbe stata completa e perfetta senza il persistere della sua assenza. Quando Gesù ritornò in mezzo a loro era tardi e praticamente tutti i beneficiari dell’episodio di guarigione erano rientrati alle loro case. Gesù rifiutò le felicitazioni e l’adorazione dei dodici e degli altri rimasti per salutarlo, dicendo soltanto: “Non rallegratevi del fatto che mio Padre abbia il potere di guarire il corpo, ma piuttosto che abbia la potenza di salvare l’anima. Andiamo a riposarci, perché domani dobbiamo occuparci degli affari del Padre.”
(1634.3) 145:4.3 Di nuovo delusi, perplessi e rattristati i dodici uomini andarono a riposare; pochi di loro, salvo i gemelli, dormirono molto quella notte. Appena il Maestro faceva qualcosa per incoraggiare l’anima e per rallegrare il cuore dei suoi apostoli, egli sembrava immediatamente frantumare le loro speranze e demolire completamente le fondamenta del loro coraggio e del loro entusiasmo. Mentre questi pescatori disorientati si guardavano negli occhi gli uni con gli altri, non avevano che un solo pensiero: “Non riusciamo a comprenderlo. Che cosa significa tutto ciò?”
(1634.4) 145:5.1 Neppure Gesù dormì molto quel sabato notte. Egli si rese conto che il mondo era pieno di afflizioni fisiche e sommerso di difficoltà materiali, e meditò sul grande pericolo di essere costretto a dedicare così tanto del suo tempo alle cure degli ammalati e degli afflitti, al punto che la sua missione d’instaurare il regno spirituale nel cuore degli uomini sarebbe stata ostacolata dal ministero delle cose fisiche o almeno subordinata ad esso. A causa di questi pensieri e di altri similari che occuparono la mente mortale di Gesù durante la notte, egli si alzò quella domenica mattina molto prima dell’alba e si recò da solo in uno dei suoi luoghi preferiti per entrare in comunione con il Padre. Il tema della preghiera di Gesù di questa mattina presto fu la saggezza ed il giudizio che egli non poteva permettere alla sua sensibilità umana, unita alla sua misericordia divina, d’influenzarlo in presenza di sofferenze mortali al punto che tutto il suo tempo fosse occupato nel ministero fisico a detrimento di quello spirituale. Sebbene non desiderasse evitare totalmente di curare gli ammalati, egli sapeva che doveva anche compiere l’opera più importante dell’insegnamento spirituale e dell’educazione religiosa.
(1635.1) 145:5.2 Gesù andava a pregare così spesso sulle colline perché non c’erano locali privati adatti alle sue devozioni personali.
(1635.2) 145:5.3 Pietro non riuscì a dormire quella notte; così molto presto, poco dopo che Gesù era uscito per pregare, egli svegliò Giacomo e Giovanni e tutti e tre andarono in cerca del loro Maestro. Dopo più di un’ora di ricerche essi trovarono Gesù e lo supplicarono di dir loro la ragione della sua strana condotta. Essi desideravano sapere perché sembrasse essere turbato dalla potente effusione dello spirito della guarigione, quando tutte le persone erano piene di gioia ed i suoi apostoli talmente contenti.
(1635.3) 145:5.4 Per più di quattro ore Gesù si sforzò di spiegare a questi tre apostoli che cosa era accaduto. Egli insegnò loro ciò che era successo ed espose i pericoli di tali manifestazioni. Gesù confidò loro la ragione per cui era venuto a pregare. Cercò di spiegare ai suoi associati personali le vere ragioni per le quali il regno del Padre non poteva essere costruito sui prodigi e sulle guarigioni fisiche. Ma essi non riuscirono a comprendere il suo insegnamento.
(1635.4) 145:5.5 Nel frattempo, la domenica mattina presto, altre folle di anime afflitte e numerosi curiosi cominciarono a riunirsi presso la casa di Zebedeo. Essi chiedevano a gran voce di vedere Gesù. Andrea e gli apostoli erano così disorientati che, mentre Simone Zelota parlava all’assemblea, Andrea e parecchi dei suoi associati andarono alla ricerca di Gesù. Quando Andrea ebbe trovato Gesù in compagnia dei tre, disse: “Maestro, perché ci lasci soli con la folla? Vedi, tutti ti cercano; mai prima tante persone hanno cercato il tuo insegnamento. Anche ora la casa è circondata da gente venuta da vicino e da lontano a causa delle tue potenti opere. Non vuoi tornare con noi per portare loro il tuo ministero?”
(1635.5) 145:5.6 Quando Gesù udì questo, rispose: “Andrea, non ho insegnato a te e a questi altri che la mia missione sulla terra è la rivelazione del Padre, e che il mio messaggio è la proclamazione del regno dei cieli? Perché allora vuoi che mi distolga dal mio lavoro per accontentare dei curiosi e soddisfare coloro che cercano dei segni e dei prodigi? Non siamo stati fra questa gente per tutti questi mesi, e si sono affollati per ascoltare la buona novella del regno? Perché sono venuti ora ad assediarci? Non è a causa della guarigione del loro corpo fisico piuttosto che per aver accolto la verità spirituale per la salvezza della loro anima? Quando gli uomini sono attratti a noi a causa di manifestazioni straordinarie, molti di loro non vengono a cercare la verità e la salvezza, ma piuttosto la guarigione delle loro afflizioni fisiche e la sicura liberazione dalle loro difficoltà materiali.
(1635.6) 145:5.7 In tutto questo tempo io sono stato a Cafarnao, e tanto nella sinagoga che in riva al mare ho proclamato la buona novella del regno a tutti coloro che avevano orecchie per ascoltare e cuore per ricevere la verità. Non è volontà di mio Padre che io ritorni con voi per soddisfare questi curiosi e per occuparmi del ministero delle cose fisiche con esclusione di quelle spirituali. Io vi ho ordinati per predicare il vangelo e per curare gli ammalati, ma io non devo lasciarmi assorbire dalle guarigioni lasciando da parte il mio insegnamento. No, Andrea, io non tornerò con voi. Andate a dire alla gente di credere a ciò che abbiamo insegnato loro e di rallegrarsi nella libertà dei figli di Dio. E preparatevi per la nostra partenza per le altre città della Galilea, dove è già stata preparata la via per la predicazione della buona novella del regno. È per questo scopo che io sono venuto dal Padre. Andate, dunque, e preparatevi per la nostra immediata partenza mentre io aspetto qui il vostro ritorno.”
(1636.1) 145:5.8 Dopo che Gesù ebbe parlato, Andrea e i suoi compagni apostoli ritornarono tristemente alla casa di Zebedeo, congedarono la folla riunita e si prepararono in fretta per il viaggio come Gesù aveva ordinato. Così, nel pomeriggio di domenica 18 gennaio dell’anno 28 d.C., Gesù e gli apostoli partirono per il loro primo giro veramente pubblico ed aperto di predicazione nelle città della Galilea. Nel corso di questo primo giro essi predicarono il vangelo del regno in molte città, ma non andarono a Nazaret.
(1636.2) 145:5.9 Quella domenica pomeriggio, poco dopo che Gesù ed i suoi apostoli furono partiti per Rimmon, i suoi fratelli Giacomo e Giuda vennero a trovarlo alla casa di Zebedeo. A metà circa di quel giorno Giuda aveva cercato suo fratello Giacomo ed insisté con lui per andare da Gesù. Ma quando Giacomo acconsentì ad andare con Giuda, Gesù era già partito.
(1636.3) 145:5.10 Gli apostoli erano restii a lasciare il grande interesse che era stato suscitato a Cafarnao. Pietro calcolò che non meno di mille credenti avrebbero potuto essere battezzati nel regno. Gesù li ascoltò pazientemente, ma rifiutò di ritornare. Il silenzio regnò per un certo tempo, e poi Tommaso si rivolse ai suoi compagni apostoli dicendo: “Andiamo! Il Maestro ha parlato. Poco importa se non possiamo comprendere pienamente i misteri del regno dei cieli; di una cosa siamo certi: noi seguiamo un maestro che non cerca gloria per se stesso.” E di malavoglia essi andarono a predicare la buona novella nelle città della Galilea.
(1637.1) 146:0.1 IL PRIMO giro di predicazione pubblica in Galilea cominciò domenica 18 gennaio dell’anno 28 d.C., e proseguì per circa due mesi, terminando con il ritorno a Cafarnao il 17 marzo. In questo giro Gesù e i dodici apostoli, assistiti dai precedenti apostoli di Giovanni, predicarono il vangelo e battezzarono i credenti a Rimmon, Jotapata, Rama, Zabulon, Iron, Giscala, Corazin, Madon, Cana, Nain ed Endor. In queste città essi dimorarono ed insegnarono, mentre in molte altre città più piccole proclamarono il vangelo del regno al loro passaggio.
(1637.2) 146:0.2 Questa era la prima volta che Gesù permetteva ai suoi associati di predicare senza restrizioni. Nel corso di questo giro egli li mise in guardia soltanto in tre occasioni; raccomandò loro di restare lontani da Nazaret e di essere discreti al loro passaggio da Cafarnao e da Tiberiade. Fu fonte di grande soddisfazione per gli apostoli sentire che erano finalmente liberi di predicare e d’insegnare senza restrizioni, ed essi si lanciarono nel lavoro di predicare il vangelo, di curare gli ammalati e di battezzare i credenti con grande serietà e gioia.
(1637.3) 146:1.1 La piccola città di Rimmon era stata un tempo dedita all’adorazione di un dio babilonese dell’aria, Ramman. Molti dei primitivi insegnamenti babilonesi e di quelli successivi degli zoroastriani erano ancora inclusi nelle credenze dei Rimmoniti. Perciò Gesù ed i ventiquattro dedicarono molto del loro tempo al compito di spiegare la differenza tra queste vecchie credenze ed il nuovo vangelo del regno. Pietro predicò qui uno dei grandi sermoni della sua iniziale carriera su “Aaron ed il vitello d’oro”.
(1637.4) 146:1.2 Anche se molti cittadini di Rimmon divennero credenti negli insegnamenti di Gesù, causarono molte difficoltà ai loro correligionari negli anni successivi. È difficile convertire degli adoratori della natura alla piena comunione dell’adorazione di un ideale spirituale nel breve spazio di una sola vita.
(1637.5) 146:1.3 Molte delle migliori idee babilonesi e persiane sulla luce e sulle tenebre, sul bene e sul male, sul tempo e sull’eternità, furono incorporate più tardi nelle dottrine del cosiddetto Cristianesimo, e la loro inclusione rese gli insegnamenti cristiani più immediatamente accettabili dai popoli del Vicino Oriente. Allo stesso modo, l’inclusione di molte delle teorie di Platone sullo spirito ideale o sugli archetipi invisibili di tutte le cose visibili e materiali, quali Filone successivamente adattò alla teologia ebraica, rese gli insegnamenti cristiani di Paolo più facili all’accettazione da parte dei Greci occidentali.
(1637.6) 146:1.4 Fu a Rimmon che Todano ascoltò per la prima volta il vangelo del regno, ed egli portò più tardi questo messaggio in Mesopotamia ed ancora più lontano. Egli fu tra i primi a predicare la buona novella a coloro che abitavano al di là dell’Eufrate.
(1638.1) 146:2.1 Anche se la popolazione di Jotapata ascoltò volentieri Gesù e i suoi apostoli e molti accettarono il vangelo del regno, fu il discorso di Gesù ai ventiquattro la seconda sera del loro soggiorno in questa piccola città che distinse la missione a Jotapata. Natanaele aveva idee confuse sugli insegnamenti del Maestro circa la preghiera, il ringraziamento e l’adorazione, ed in risposta alla sua domanda Gesù parlò molto a lungo per spiegare meglio il suo insegnamento. Riassunto in linguaggio moderno, questo discorso può essere presentato come ponente l’accento sui seguenti punti:
(1638.2) 146:2.2 1. La cosciente e persistente considerazione per l’iniquità nel cuore dell’uomo distrugge gradualmente la connessione dell’anima umana che prega con i circuiti spirituali di comunicazione tra l’uomo ed il suo Creatore. Naturalmente Dio ascolta la supplica di suo figlio, ma quando il cuore umano ospita deliberatamente e con persistenza i concetti dell’iniquità, ne consegue la perdita graduale della comunione personale tra il figlio terreno e suo Padre celeste.
(1638.3) 146:2.3 2. La preghiera che è incompatibile con le leggi conosciute e stabilite di Dio è in abominio alle Deità del Paradiso. Se l’uomo non vuole ascoltare gli Dei che parlano alla loro creazione attraverso le leggi dello spirito, della mente e della materia, l’atto stesso di un simile deliberato e cosciente disprezzo da parte della creatura distoglie le personalità spirituali dal prestare ascolto alle richieste personali di questi mortali inosservanti delle leggi e disobbedienti. Gesù citò ai suoi apostoli dal profeta Zaccaria: “Ma essi rifiutarono di ascoltare e voltarono le spalle e si tapparono le orecchie per non sentire. Sì, essi resero i loro cuori duri come pietra per non udire la mia legge e le parole che ho inviato a mezzo del mio spirito tramite i profeti; per questo i risultati dei loro cattivi pensieri ricadono con grande collera sulle loro teste colpevoli. Ed avvenne che gridavano per chiedere misericordia, ma non c’era orecchio aperto ad ascoltare.” Poi Gesù citò il proverbio del saggio che diceva: “Per colui che distoglie il suo orecchio dall’ascolto della legge divina, anche la sua preghiera sarà un abominio.”
(1638.4) 146:2.4 3. Aprendo il terminale umano del canale di comunicazione tra Dio e l’uomo, i mortali rendono immediatamente disponibile il flusso costante del ministero divino verso le creature dei mondi. Quando l’uomo ascolta lo spirito di Dio che parla nel cuore umano, in tale esperienza è insito il fatto che Dio ascolta simultaneamente la preghiera di quell’uomo. Anche il perdono del peccato opera in questa stessa infallibile maniera. Il Padre che è nei cieli vi ha perdonato ancora prima che voi abbiate pensato di chiederglielo, ma questo perdono non è utilizzabile nella vostra esperienza religiosa personale fino a quando voi non perdonate il vostro prossimo. Il perdono di Dio di fatto non è condizionato dal perdono ai vostri simili, ma in esperienza è esattamente condizionato così. E questo fatto del sincronismo tra il perdono divino e quello umano era così riconosciuto ed incluso nella preghiera che Gesù insegnò agli apostoli.
(1638.5) 146:2.5 4. Esiste una legge fondamentale di giustizia nell’universo che la misericordia non può insidiare. Le glorie disinteressate del Paradiso non possono essere ricevute da una creatura completamente egoista dei regni del tempo e dello spazio. Neppure l’amore infinito di Dio può imporre la salvezza della sopravvivenza eterna ad una creatura mortale che non sceglie di sopravvivere. La misericordia dispone di una grande ampiezza di conferimento, ma, dopotutto, ci sono dei mandati di giustizia che anche l’amore congiunto alla misericordia non può effettivamente abrogare. Gesù citò ancora dalle Scritture ebraiche: “Vi ho chiamati e voi avete rifiutato di ascoltare; ho teso la mia mano, ma nessuno l’ha presa in considerazione. Avete disprezzato tutti i miei consigli ed avete respinto i miei rimproveri, e a causa di questo comportamento ribelle diviene inevitabile che mi chiamerete e non riceverete risposta. Avendo rifiutato la via della vita, potrete diligentemente cercarmi nei momenti di sofferenza, ma non mi troverete.”
(1639.1) 146:2.6 5. Coloro che vorrebbero ricevere misericordia devono mostrare misericordia; non giudicate per non essere giudicati. Con lo stesso spirito con cui giudicate gli altri anche voi sarete giudicati. La misericordia non abroga interamente l’equità universale. Alla fine si avvererà che “Chiunque chiude le sue orecchie al grido del povero, anche lui un giorno griderà aiuto e nessuno lo ascolterà.” La sincerità di una qualunque preghiera è la certezza di essere ascoltata; la saggezza spirituale e la compatibilità universale di una richiesta determinano il momento, il modo e il grado della risposta. Un padre accorto non risponde alla lettera alle preghiere sciocche dei suoi figli ignoranti ed inesperti, benché i figli possano derivare molto piacere e reale soddisfazione nell’anima dal fare tali assurde richieste.
(1639.2) 146:2.7 6. Quando sarete divenuti interamente dediti a fare la volontà del Padre che è nei cieli, la risposta a tutte le vostre richieste sarà pronta, perché le vostre preghiere saranno pienamente conformi alla volontà del Padre, e la volontà del Padre è sempre manifesta in tutto il suo vasto universo. Quello che un vero figlio desidera e che il Padre infinito vuole, È. Una tale preghiera non può restare senza risposta, e nessun’altra sorta di richiesta può essere in alcun modo pienamente esaudita.
(1639.3) 146:2.8 7. Il grido del giusto è l’atto di fede del figlio di Dio che apre la porta del deposito del Padre della bontà, della verità e della misericordia, e questi bei doni sono stati a lungo in attesa dell’approccio e dell’appropriazione personale da parte dei figli. La preghiera non cambia l’atteggiamento divino verso l’uomo, ma cambia l’atteggiamento dell’uomo verso il Padre immutabile. È il motivo della preghiera che gli dà il diritto di accesso all’orecchio divino, non lo status sociale, economico o religioso esteriore di colui che prega.
(1639.4) 146:2.9 8. La preghiera non può essere impiegata per eludere le dilazioni del tempo o per trascendere gli ostacoli dello spazio. La preghiera non è una tecnica per fare più grandi se stessi o per ottenere vantaggi ingiusti sui propri simili. Un’anima totalmente egoista è incapace di pregare nel vero senso della parola. Gesù disse: “Che la vostra delizia suprema sia nel carattere di Dio, ed egli esaudirà sicuramente i desideri sinceri del vostro cuore.” “Rimettete le vostre vie al Signore; affidatevi a lui, ed egli agirà.” “Perché il Signore ascolta il grido dell’indigente e presterà attenzione alla preghiera del bisognoso.”
(1639.5) 146:2.10 9. “Io sono venuto dal Padre; se dunque foste mai in dubbio su ciò che bisognerebbe chiedere al Padre, chiedetelo in nome mio, ed io presenterò la vostra supplica secondo i vostri bisogni e desideri reali ed in conformità alla volontà di mio Padre.” Guardatevi dal grande pericolo di divenire egocentrici nelle vostre preghiere. Evitate di pregare molto per voi stessi; pregate più per il progresso spirituale dei vostri fratelli. Evitate le preghiere materialistiche; pregate nello spirito e per l’abbondanza dei doni dello spirito.
(1639.6) 146:2.11 10. Quando pregate per gli ammalati e gli afflitti, non aspettatevi che le vostre suppliche rimpiazzino le cure amorevoli ed intelligenti per le necessità di questi afflitti. Pregate per il benessere delle vostre famiglie, dei vostri amici e dei vostri simili, ma pregate in special modo per coloro che vi maledicono, e fate delle petizioni amorevoli per coloro che vi perseguitano. “Ma quando pregare, non lo dirò. Soltanto lo spirito che dimora in voi può incitarvi a formulare quelle richieste che sono espressive della vostra relazione interiore con il Padre degli spiriti.”
(1640.1) 146:2.12 11. Molti ricorrono alla preghiera solo quando sono in difficoltà. Una tale pratica è sciocca e sbagliata. È vero, fate bene a pregare quando siete tormentati, ma dovreste anche ricordarvi di parlare come un figlio a vostro Padre anche quando tutto va bene per la vostra anima. Che le vostre suppliche reali siano sempre fatte in segreto. Che gli uomini non ascoltino le vostre preghiere personali. Le preghiere di ringraziamento sono adatte per gruppi di adoratori, ma la preghiera dell’anima è una questione personale. C’è una sola forma di preghiera che è appropriata per tutti i figli di Dio, ed è: “Ciononostante, sia fatta la tua volontà.”
(1640.2) 146:2.13 12. Tutti i credenti in questo vangelo dovrebbero pregare sinceramente per l’estensione del regno dei cieli. Tra tutte le preghiere delle Scritture ebraiche egli commentò con maggiore approvazione la supplica del Salmista: “Crea in me un cuore puro, o Dio, e rinnova in me uno spirito retto. Purificami dai peccati segreti e trattieni il tuo servo da ogni trasgressione presuntuosa.” Gesù commentò a lungo la relazione tra la preghiera ed il parlare stolto e offensivo, citando: “Metti una guardia alla mia bocca, o Signore; veglia sulla porta delle mie labbra.” “La lingua umana”, disse Gesù, “è un organo che pochi uomini sanno domare, ma lo spirito interiore può trasformare questo membro indisciplinato in un’amabile voce di tolleranza ed in un ispirante ministero di misericordia.”
(1640.3) 146:2.14 13. Gesù insegnò che la preghiera per la guida divina sul sentiero della vita terrena veniva per importanza dopo la richiesta di conoscere la volontà del Padre. In realtà ciò significa che si prega per ottenere la saggezza divina. Gesù non insegnò mai che la conoscenza umana e un’abilità speciale si potrebbero ottenere per mezzo della preghiera. Ma insegnò che la preghiera è un fattore nell’espansione della propria capacità di ricevere la presenza dello spirito divino. Quando Gesù insegnava ai suoi associati a pregare nello spirito ed in verità, spiegava che si riferiva al pregare sinceramente ed in conformità alla propria illuminazione, al pregare con tutto il cuore ed intelligentemente, seriamente e con perseveranza.
(1640.4) 146:2.15 14. Gesù mise in guardia i suoi discepoli dal ritenere che le loro preghiere potessero essere rese più efficaci da ripetizioni elaborate, da una fraseologia eloquente, da digiuni, da penitenze o da sacrifici. Ma esortò i suoi seguaci ad impiegare la preghiera come mezzo per elevarsi attraverso il ringraziamento alla vera adorazione. Gesù deplorava di trovare così poco spirito di ringraziamento nelle preghiere e nel culto dei suoi discepoli. Egli citò dalle Scritture in questa occasione, dicendo: “È una buona cosa rendere grazie al Signore e cantare lodi al nome dell’Altissimo, riconoscere la sua benevolenza affettuosa ogni mattina e la sua fedeltà ogni sera, perché Dio mi ha reso felice con la sua opera. In tutte le cose io renderò grazie secondo la volontà di Dio.”
(1640.5) 146:2.16 15. E poi Gesù disse: “Non preoccupatevi costantemente dei vostri bisogni ordinari. Non siate in apprensione riguardo ai problemi della vostra esistenza terrena, ma in tutte queste cose, con la preghiera e la supplica, con lo spirito di sincero ringraziamento, esponete le vostre necessità al Padre che è nei cieli.” Poi citò dalle Scritture: “Loderò il nome di Dio con un canto e lo magnificherò con il ringraziamento. E ciò piacerà di più al Signore del sacrificio di un bue o di un toro con corna e zoccoli.”
(1641.1) 146:2.17 16. Gesù insegnò ai suoi discepoli che, dopo aver fatto le loro preghiere al Padre, dovevano restare per qualche tempo in raccoglimento silenzioso per dare allo spirito interiore la migliore opportunità di parlare all’anima in ascolto. Lo spirito del Padre parla meglio all’uomo quando la mente umana è in atteggiamento di sincera adorazione. Noi adoriamo Dio con l’aiuto dello spirito interiore del Padre e grazie all’illuminazione della mente umana per mezzo del ministero della verità. L’adorazione, insegnò Gesù, rende un individuo sempre più simile all’essere che è adorato. L’adorazione è un’esperienza trasformatrice mediante la quale il finito si avvicina gradualmente all’Infinito e raggiunge alla fine la sua presenza.
(1641.2) 146:2.18 Gesù espose ai suoi apostoli molte altre verità sulla comunione dell’uomo con Dio, ma pochi di loro riuscirono a comprendere pienamente il suo insegnamento.
(1641.3) 146:3.1 A Rama Gesù ebbe la memorabile discussione con il vecchio filosofo greco che insegnava che la scienza e la filosofia erano sufficienti a soddisfare i bisogni dell’esperienza umana. Gesù ascoltò con pazienza e simpatia questo istruttore greco, riconoscendo la verità di molte cose che diceva, ma rilevando, quando ebbe finito, che aveva dimenticato nella sua analisi dell’esistenza umana di spiegare “da dove, perché e verso dove”, e aggiunse: “Dove tu finisci, noi cominciamo. La religione è una rivelazione all’anima umana che si occupa di realtà spirituali che la mente da sola non potrebbe mai scoprire o penetrare pienamente. Gli sforzi intellettuali possono rivelare i fatti della vita, ma il vangelo del regno svela le verità dell’essere. Tu hai discusso le ombre materiali della verità; vuoi ora ascoltarmi mentre ti parlo delle realtà eterne e spirituali che proiettano queste ombre temporali transitorie dei fatti materiali dell’esistenza mortale?” Per più di un’ora Gesù insegnò a questo Greco le verità salvifiche del vangelo del regno. Il vecchio filosofo fu sensibile alla maniera di approccio del Maestro, ed essendo sinceramente onesto di cuore, credette prontamente a questo vangelo di salvezza.
(1641.4) 146:3.2 Gli apostoli furono un po’ sconcertati per il modo franco con cui Gesù aveva assentito a numerose affermazioni del Greco, ma più tardi Gesù disse loro in privato: “Figli miei, non meravigliatevi che io sia stato tollerante della filosofia del Greco. Una certezza interiore vera ed autentica non teme per nulla un’analisi esteriore, né la verità risente di una critica onesta. Non dovreste mai dimenticare che l’intolleranza è la maschera che copre il mantenimento di dubbi segreti sulla veridicità della propria credenza. Nessuno è mai disturbato dall’atteggiamento del suo vicino se ha perfetta fiducia nella verità di ciò che crede con tutto il cuore. Il coraggio è la fiducia della completa onestà circa quelle cose che uno professa di credere. Gli uomini sinceri non temono l’esame critico delle loro convinzioni profonde e dei loro nobili ideali.”
(1641.5) 146:3.3 La seconda sera a Rama, Tommaso pose a Gesù questa domanda: “Maestro, come può un nuovo credente nel tuo insegnamento conoscere veramente, essere realmente certo, della verità di questo vangelo del regno?”
(1641.6) 146:3.4 E Gesù disse a Tommaso: “La certezza che tu sei entrato nella famiglia del regno del Padre, e che sopravviverai eternamente con i figli del regno, è interamente una questione di esperienza personale — di fede nella parola di verità. La certezza spirituale è l’equivalente della tua esperienza religiosa personale delle realtà eterne della verità divina, ed è altrimenti uguale alla tua comprensione intelligente delle realtà della verità, aumentata dalla tua fede spirituale e diminuita dei tuoi onesti dubbi.
(1642.1) 146:3.5 “Il Figlio è dotato per natura della vita del Padre. Essendo stati dotati dello spirito vivente del Padre, voi siete perciò figli di Dio. Voi sopravvivete alla vostra vita nel mondo materiale della carne perché siete identificati con lo spirito vivente del Padre, il dono della vita eterna. Molti, in verità, avevano questa vita prima che io venissi dal Padre, e molti altri hanno ricevuto questo spirito perché hanno creduto alla mia parola; ma io dichiaro che quando ritornerò al Padre, egli manderà il suo spirito nel cuore di tutti gli uomini.
(1642.2) 146:3.6 “Anche se voi non potete osservare lo spirito divino all’opera nella vostra mente, c’è un metodo pratico per scoprire il grado al quale voi avete ceduto il controllo dei poteri della vostra anima all’insegnamento e alle direttive di questo spirito interiore del Padre celeste, ed è il grado del vostro amore per i vostri simili. Questo spirito del Padre partecipa dell’amore del Padre, e quando domina l’uomo, esso conduce infallibilmente nella direzione dell’adorazione divina e della considerazione amorevole per i propri simili. All’inizio voi credete di essere figli di Dio perché il mio insegnamento vi ha resi più coscienti delle direttive interiori della presenza in voi di nostro Padre. Ma tra poco lo Spirito della Verità sarà sparso su tutta la carne e vivrà tra gli uomini ed istruirà tutti gli uomini, come io ora vivo tra voi e vi dico le parole della verità. E questo Spirito della Verità, parlando per i doni spirituali della vostra anima, vi aiuterà a sapere che siete figli di Dio. Egli testimonierà infallibilmente con la presenza interiore del Padre, il vostro spirito, che dimorerà allora in tutti gli uomini come ora dimora in alcuni, dicendovi che siete in realtà i figli di Dio.
(1642.3) 146:3.7 “Ogni figlio terreno che segue le direttive di questo spirito conoscerà alla fine la volontà di Dio, e colui che si abbandona alla volontà di mio Padre vivrà per sempre. La via che porta dalla vita terrena allo stato eterno non vi è stata spiegata, ma c’è una via che è sempre esistita, ed io sono venuto a rendere quella via nuova e vivente. Colui che entra nel regno ha già la vita eterna — non perirà mai. Ma voi comprenderete meglio molte di queste cose quando io sarò tornato dal Padre e voi sarete capaci di esaminare retrospettivamente le vostre esperienze attuali.”
(1642.4) 146:3.8 Tutti coloro che ascoltarono queste parole benedette furono grandemente incoraggiati. Gli insegnamenti ebrei erano stati confusi ed incerti riguardo alla sopravvivenza dei giusti, ed era di sollievo ed ispirante per i discepoli di Gesù udire queste parole molto precise e positive di assicurazione sulla sopravvivenza eterna di tutti i credenti sinceri.
(1642.5) 146:3.9 Gli apostoli continuarono a predicare e a battezzare i credenti, conservando la pratica di andare a far visita di casa in casa, confortando i depressi e curando gli ammalati e gli afflitti. L’organizzazione apostolica fu ingrandita nel senso che ogni apostolo di Gesù aveva ora per associato un apostolo di Giovanni. Abner era l’associato di Andrea; e questo piano prevalse fino a quando essi scesero a Gerusalemme per la Pasqua successiva.
(1642.6) 146:3.10 L’istruzione speciale data da Gesù durante il loro soggiorno a Zabulon aveva riguardato principalmente ulteriori discussioni sugli obblighi reciproci del regno, e comprendeva un insegnamento destinato a chiarire le differenze tra l’esperienza religiosa personale e le relazioni amichevoli risultanti dagli obblighi religiosi sociali. Questa fu una delle poche volte in cui il Maestro discusse gli aspetti sociali della religione. Durante tutta la sua vita terrena Gesù diede ai suoi discepoli pochissime istruzioni riguardo alla socializzazione della religione.
(1643.1) 146:3.11 A Zabulon la popolazione era di razza mista, né Ebrei né Gentili, e pochi di loro credettero realmente in Gesù, nonostante avessero inteso parlare della guarigione dei malati a Cafarnao.
(1643.2) 146:4.1 Ad Iron, come in molte città della Galilea e della Giudea, anche le più piccole, c’era una sinagoga, e durante i primi tempi del ministero di Gesù fu sua abitudine parlare in queste sinagoghe nel giorno di sabato. Talvolta egli parlava nel servizio del mattino, e Pietro o uno degli altri apostoli predicava il pomeriggio. Gesù e gli apostoli insegnavano e predicavano spesso anche nelle assemblee serali dei giorni feriali nella sinagoga. Benché i capi religiosi divenissero sempre più antagonistici verso Gesù a Gerusalemme, non esercitavano alcun controllo diretto sulle sinagoghe fuori di quella città. Fu solo in seguito nel ministero pubblico di Gesù che essi riuscirono a creare un tale diffuso sentimento di opposizione contro di lui da provocare la chiusura quasi universale delle sinagoghe al suo insegnamento. In questo periodo tutte le sinagoghe della Galilea e della Giudea gli erano aperte.
(1643.3) 146:4.2 Iron era luogo di estese miniere per quel tempo, e poiché Gesù non aveva mai condiviso la vita del minatore, mentre soggiornava ad Iron passò la maggior parte del suo tempo nelle miniere. Mentre gli apostoli visitavano le case e predicavano nelle pubbliche piazze, Gesù lavorava nelle miniere con questi lavoratori del sottosuolo. La fama di Gesù come guaritore si era diffusa anche in questo villaggio remoto, e numerosi ammalati ed afflitti cercavano aiuto dalle sue mani, e molti trassero grande beneficio dal suo ministero di guarigione. Ma in nessuno di questi casi il Maestro compì un cosiddetto miracolo di guarigione, salvo in quello del lebbroso.
(1643.4) 146:4.3 Nel tardo pomeriggio del terzo giorno ad Iron, mentre Gesù ritornava dalle miniere, si trovò a passare per una stradicciola secondaria andando al suo alloggio. Mentre si avvicinava al misero tugurio di un lebbroso, l’ammalato, che aveva sentito parlare della sua fama di guaritore, osò accostarglisi mentre passava davanti alla sua porta, dicendogli inginocchiato davanti a lui: “Signore, se solo tu lo volessi, potresti purificarmi. Ho udito il messaggio dei tuoi insegnanti ed entrerei nel regno se potessi essere purificato.” Il lebbroso parlava in questo modo perché tra gli Ebrei era proibito ai lebbrosi anche di frequentare la sinagoga o d’impegnarsi in altro modo nel culto pubblico. Quest’uomo credeva realmente di non poter essere accolto nel regno futuro se non avesse ottenuto la guarigione dalla sua lebbra. Quando Gesù lo vide nella sua afflizione e udì le sue parole di fede tenace, il suo cuore umano fu toccato e la mente divina fu mossa dalla compassione. Mentre Gesù lo guardava, l’uomo si prostrò davanti a lui in adorazione. Allora il Maestro stese la sua mano e, toccandolo, disse: “Lo voglio — sii purificato.” E immediatamente egli fu guarito; la lebbra aveva cessato di affliggerlo.
(1643.5) 146:4.4 Dopo che Gesù ebbe rialzato l’uomo in piedi, gli ordinò: “Bada di non raccontare a nessuno della tua guarigione, ma vai piuttosto in pace ai tuoi affari, mostrandoti ai sacerdoti e offrendo i sacrifici comandati da Mosè a testimonianza della tua purificazione.” Ma quest’uomo non fece come Gesù gli aveva ordinato. Cominciò invece a girare per tutta la cittadina dicendo che Gesù aveva guarito la sua lebbra, e poiché era conosciuto in tutto il villaggio, la gente poteva vedere chiaramente che era stato purificato dalla sua malattia. Egli non andò dai sacerdoti come Gesù gli aveva prescritto. Come risultato della sua diffusione della notizia che Gesù l’aveva guarito, il Maestro fu pressato dagli ammalati al punto che fu obbligato ad alzarsi presto il giorno dopo e a lasciare il villaggio. Anche se Gesù non entrò di nuovo in città, rimase due giorni in periferia, vicino alle miniere, continuando ad istruire i minatori credenti sul vangelo del regno.
(1644.1) 146:4.5 Questa guarigione del lebbroso era il primo cosiddetto miracolo che Gesù aveva compiuto intenzionalmente e deliberatamente fino ad allora. E questo era un caso di reale lebbra.
(1644.2) 146:4.6 Da Iron essi andarono a Giscala, dove passarono due giorni a proclamare il vangelo, e poi partirono per Corazin, dove trascorsero quasi una settimana predicando la buona novella; ma non riuscirono a conquistare molti credenti al regno a Corazin. In nessun posto in cui Gesù aveva insegnato, aveva incontrato un rifiuto così generale del suo messaggio. Il soggiorno a Corazin fu molto deprimente per la maggior parte degli apostoli, e Andrea ed Abner ebbero molta difficoltà a sostenere il coraggio dei loro compagni. Poi, attraversando tranquillamente Cafarnao, essi andarono al villaggio di Madon, dove riuscirono un po’ meglio. Nella mente della maggior parte degli apostoli prevaleva l’idea che il loro insuccesso nelle città recentemente visitate fosse dovuto all’insistenza di Gesù che si astenessero, nel loro insegnamento e nella loro predicazione, dal riferirsi a lui come un guaritore. Quanto desideravano che purificasse un altro lebbroso o manifestasse in altro modo il suo potere per attirare l’attenzione del popolo! Ma il Maestro restò insensibile alle loro pressanti sollecitazioni.
(1644.3) 146:5.1 Il gruppo apostolico fu molto incoraggiato quando Gesù annunciò: “Domani andremo a Cana.” Essi sapevano che a Cana avrebbero incontrato un uditorio amichevole, perché Gesù era ben conosciuto là. Essi stavano operando bene nel loro lavoro di portare gente nel regno quando, il terzo giorno, arrivò a Cana un cittadino eminente di Cafarnao, Tito, che era un parziale credente ed il cui figlio era molto gravemente ammalato. Egli aveva sentito che Gesù era a Cana, così si affrettò ad andarlo a trovare. I credenti di Cafarnao pensavano che Gesù potesse guarire qualsiasi malattia.
(1644.4) 146:5.2 Quando questo nobiluomo ebbe trovato Gesù a Cana, lo supplicò di partire in fretta per Cafarnao e di guarire suo figlio malato. Mentre gli apostoli erano in ansiosa attesa, Gesù, guardando il padre del ragazzo malato, disse: “Per quanto tempo vi sopporterò? Il potere di Dio è in mezzo a voi, ma se non vedete dei segni e non scorgete dei prodigi rifiutate di credere.” Ma il nobiluomo supplicò Gesù, dicendo: “Mio Signore, io credo, ma vieni prima che mio figlio muoia, perché quando l’ho lasciato era già in punto di morte.” E dopo aver chinato la testa per un istante in silenziosa meditazione, Gesù improvvisamente disse: “Ritorna a casa tua; tuo figlio vivrà.” Tito credette alle parole di Gesù e si affrettò a ritornare a Cafarnao. E mentre stava tornando, i suoi servi uscirono incontro a lui, dicendo: “Rallegrati, perché tuo figlio è migliorato — vive.” Allora Tito chiese loro a quale ora il ragazzo aveva cominciato a migliorare, e quando i servi risposero “ieri verso la settima ora la febbre l’ha lasciato”, il padre si ricordò che era circa quell’ora quando Gesù aveva detto: “Tuo figlio vivrà.” E Tito da allora credette con tutto il cuore, ed anche tutta la sua famiglia credette. Questo figlio divenne un potente ministro del regno e più tardi sacrificò la sua vita con coloro che morirono a Roma. Sebbene tutto il casato di Tito, i loro amici ed anche gli apostoli abbiano considerato questo episodio un miracolo, non lo fu. Almeno questo non fu un miracolo di guarigione di una malattia fisica. Fu semplicemente un caso di precognizione concernente il corso della legge naturale, il genere di conoscenza al quale Gesù fece frequentemente ricorso dopo il suo battesimo.
(1645.1) 146:5.3 Di nuovo Gesù fu costretto ad allontanarsi in fretta da Cana a causa dell’eccessivo interesse sollevato dal secondo episodio di tal genere connesso con il suo ministero in questo villaggio. Gli abitanti della città si ricordavano dell’acqua e del vino, ed ora che si supponeva egli avesse guarito il figlio del nobiluomo a così grande distanza, essi vennero da lui non soltanto conducendo gli ammalati e gli afflitti, ma inviando anche dei messaggeri per chiedergli di guarire dei sofferenti a distanza. E quando Gesù vide che tutto il paese era in agitazione, disse: “Andiamo a Nain.”
(1645.2) 146:6.1 Questa gente credeva nei segni; era una generazione che cercava prodigi. In questo periodo gli abitanti della Galilea centrale e meridionale guardavano a Gesù e al suo ministero personale aspettandosi dei miracoli. Decine, centinaia di persone oneste sofferenti di disturbi puramente nervosi ed afflitti da turbe emotive venivano alla presenza di Gesù e poi tornavano a casa dai loro amici annunciando che Gesù li aveva guariti. E queste persone ignoranti e credule consideravano tali casi di guarigione mentale come delle guarigioni fisiche, delle cure miracolose.
(1645.3) 146:6.2 Quando Gesù cercò di lasciare Cana per andare a Nain, una grande moltitudine di credenti e molti curiosi lo seguirono. Essi volevano vedere dei miracoli e dei prodigi, e non sarebbero stati delusi. Mentre Gesù e i suoi apostoli si avvicinavano alla porta della città, incrociarono un corteo funebre che si recava al vicino cimitero, portando il figlio unico di una madre vedova di Nain. Questa donna era molto rispettata, e metà del villaggio seguiva i portatori della bara di questo ragazzo ritenuto morto. Quando il corteo funebre arrivò all’altezza di Gesù e dei suoi discepoli, la vedova ed i suoi amici riconobbero il Maestro e lo supplicarono di ricondurre in vita il figlio. La loro aspettativa di un miracolo era suscitata al punto da ritenere che Gesù potesse guarire qualunque malattia umana; e perché un simile guaritore non avrebbe potuto anche risuscitare il morto? Gesù, importunato in questo modo, si fece avanti e sollevato il coperchio della bara esaminò il ragazzo. Scoperto che il giovane non era realmente morto, percepì la tragedia che la sua presenza poteva evitare; così, rivolgendosi alla madre, disse: “Non piangere. Tuo figlio non è morto; dorme. Egli ti sarà restituito.” Poi, prendendo il giovane per la mano, disse: “Svegliati e alzati.” Ed il giovane che si riteneva fosse morto si mise subito a sedere e cominciò a parlare, e Gesù li rimandò alle loro case.
(1645.4) 146:6.3 Gesù cercò di calmare la folla e tentò vanamente di spiegare che il ragazzo non era realmente morto, che lui non l’aveva riportato dalla tomba, ma fu inutile. La folla che lo seguiva e tutto il villaggio di Nain erano eccitati al più alto grado di frenesia emotiva. Molti erano presi da paura, altri da panico, mentre altri ancora si mettevano a pregare e a piangere sui loro peccati. E fu possibile disperdere la folla rumoreggiante solo molto dopo il calare della notte. Beninteso, nonostante l’affermazione di Gesù che il ragazzo non era morto, ognuno insisteva che era stato operato un miracolo e che il morto era stato risuscitato. Sebbene Gesù avesse detto loro che il ragazzo era semplicemente in un sonno profondo, essi spiegarono che questo era il suo modo di parlare, richiamarono l’attenzione sul fatto che egli tentava sempre con grande modestia di dissimulare i suoi miracoli.
(1646.1) 146:6.4 Così si sparse in tutta la Galilea e nella Giudea la notizia che Gesù aveva risuscitato dai morti il figlio della vedova, e molti di coloro che udirono questo racconto vi credettero. Gesù non riuscì mai a far pienamente comprendere nemmeno ai suoi apostoli che il figlio della vedova non era realmente morto quando egli lo invitò a svegliarsi e ad alzarsi. Ma li convinse a sufficienza per tenere l’episodio fuori da tutti gli scritti successivi, salvo in quello di Luca, che racconta l’episodio così come gli era stato riportato. E Gesù fu di nuovo talmente assediato come guaritore che partì il mattino seguente di buon’ora per Endor.
(1646.2) 146:7.1 Ad Endor Gesù sfuggì per alcuni giorni ai clamori delle folle che cercavano la guarigione fisica. Durante il loro soggiorno in questo luogo, il Maestro raccontò, per istruire gli apostoli, la storia di Re Saul e della fattucchiera di Endor. Gesù espose chiaramente ai suoi apostoli che gli intermedi traviati e ribelli, che avevano spesse volte personificato i supposti spiriti dei morti, sarebbero stati presto messi sotto controllo in modo che non avrebbero più potuto compiere queste cose strane. Egli disse ai suoi discepoli che dopo il suo ritorno al Padre, e dopo che essi avessero sparso il loro spirito su tutta la carne, questi esseri semispirituali — i cosiddetti spiriti impuri — non avrebbero più potuto possedere i mortali deboli di mente e malvagi.
(1646.3) 146:7.2 Gesù spiegò inoltre ai suoi apostoli che gli spiriti di esseri umani trapassati non ritornano nel mondo della loro origine per comunicare con i loro simili viventi. Soltanto dopo il passaggio di un’era dispensazionale sarebbe possibile allo spirito in evoluzione dell’uomo mortale ritornare sulla terra, ed anche allora in casi eccezionali e come parte dell’amministrazione spirituale del pianeta.
(1646.4) 146:7.3 Dopo due giorni di riposo, Gesù disse ai suoi apostoli: “Domani mattina ritorniamo a Cafarnao per restarci ed insegnare mentre la zona si calma. A casa nostra, nel frattempo, si saranno parzialmente rimessi da questa sorta di eccitazione.”
(1647.1) 147:0.1 GESÙ e gli apostoli arrivarono a Cafarnao mercoledì 17 marzo e trascorsero due settimane nel loro quartier generale di Betsaida prima di partire per Gerusalemme. Durante queste due settimane gli apostoli istruirono il popolo in riva al mare, mentre Gesù passò molto tempo da solo sulle colline ad occuparsi degli affari di suo Padre. Durante questo periodo Gesù, accompagnato da Giacomo e Giovanni Zebedeo, fece due viaggi segreti a Tiberiade, dove incontrarono i credenti e li istruirono sul vangelo del regno.
(1647.2) 147:0.2 Molti membri della casa di Erode credevano in Gesù e assistettero a queste riunioni. Fu l’influenza di questi credenti della famiglia ufficiale di Erode che contribuì a diminuire l’inimicizia di questo capo verso Gesù. Questi credenti di Tiberiade avevano chiaramente spiegato ad Erode che il “regno” che Gesù proclamava era di natura spirituale e non un’impresa politica. Erode era incline a credere a questi membri della sua casa e non si lasciò quindi allarmare indebitamente dalla diffusione delle notizie concernenti l’insegnamento e le guarigioni di Gesù. Egli non aveva obiezioni contro l’attività di Gesù come guaritore od istruttore religioso. Nonostante l’atteggiamento favorevole di molti consiglieri di Erode, ed anche dello stesso Erode, c’era un certo gruppo di suoi subordinati che erano talmente influenzati dai capi religiosi di Gerusalemme da restare nemici accaniti e minacciosi di Gesù e degli apostoli, e più tardi essi fecero molto per intralciare le loro attività pubbliche. Il maggior pericolo per Gesù risiedeva nei capi religiosi di Gerusalemme e non in Erode. E fu proprio per questa ragione che Gesù e gli apostoli passarono tanto tempo e fecero la maggior parte della loro predicazione pubblica in Galilea, piuttosto che a Gerusalemme e in Giudea.
(1647.3) 147:1.1 Il giorno prima di prepararsi per andare a Gerusalemme per la festa della Pasqua, Mangus, un centurione, o capitano, della guardia romana di stanza a Cafarnao, venne dai capi della sinagoga dicendo: “Il mio fedele attendente è ammalato ed in punto di morte. Vorreste quindi andare da Gesù da parte mia e supplicarlo di guarire il mio servo?” Il capitano romano agì così perché credeva che i dirigenti ebrei avrebbero avuto più influenza su Gesù. I più anziani andarono perciò a trovare Gesù e il loro portavoce disse: “Maestro, ti chiediamo di recarti subito a Cafarnao e di salvare il servo favorito del centurione romano, il quale è meritevole della tua attenzione perché ama la nostra nazione e ci ha anche costruito la sinagoga stessa in cui tu hai molte volte parlato.”
(1647.4) 147:1.2 Dopo averli ascoltati, Gesù disse: “Verrò con voi.” E mentre andava con loro verso la casa del centurione, e prima che fossero entrati nel suo cortile, il soldato romano mandò i suoi amici a dare il benvenuto a Gesù, con l’incarico di dirgli: “Signore, non disturbarti ad entrare nella mia casa, perché io non sono degno che tu venga sotto il mio tetto. Né stimo me stesso degno di venire da te; per questo ho mandato gli anziani del tuo stesso popolo. Ma so che tu puoi pronunciare la parola nel luogo in cui ti trovi ed il mio servo sarà guarito. Poiché sono anch’io agli ordini di altri ed ho dei soldati sotto di me, e dico ad uno di andare ed egli va; ad un altro di venire ed egli viene, ed ai miei servi di fare questo o di fare quello, ed essi lo fanno.”
(1648.1) 147:1.3 Quando Gesù udì queste parole, si voltò e disse ai suoi apostoli e a quelli che stavano con loro: “Sono meravigliato dalla fede di questo Gentile. In verità, in verità vi dico, non ho trovato una fede così grande, no, nemmeno in Israele.” Gesù, girando le spalle alla casa, disse: “Andiamocene.” Gli amici del centurione entrarono in casa e raccontarono a Mangus quello che Gesù aveva detto. E da quel momento il servo cominciò a migliorare e fu alla fine restituito alla sua salute normale e alle sue occupazioni.
(1648.2) 147:1.4 Noi non abbiamo mai saputo esattamente che cosa accadde in questa occasione. Questo è semplicemente il racconto, e se degli esseri invisibili somministrarono o meno la guarigione al servo del centurione non fu rivelato a coloro che accompagnavano Gesù. Noi conosciamo solamente il fatto che il servo fu completamente ristabilito.
(1648.3) 147:2.1 Il mattino presto di martedì 30 marzo, Gesù ed il gruppo apostolico si misero in viaggio per Gerusalemme per assistere alla Pasqua, andando per la strada della valle del Giordano. Essi arrivarono venerdì pomeriggio 2 aprile e stabilirono il loro quartier generale, come d’abitudine, a Betania. Passando per Gerico, si fermarono per riposare mentre Giuda depositava una parte dei loro fondi comuni nella banca di un amico della sua famiglia. Questa era la prima volta che Giuda aveva portato del denaro in eccedenza, e questo deposito rimase intatto fino a quando non passarono di nuovo per Gerico nel corso dell’ultimo e memorabile viaggio verso Gerusalemme poco prima del giudizio e della morte di Gesù.
(1648.4) 147:2.2 Il gruppo fece un viaggio tranquillo fino a Gerusalemme, ma appena essi si furono stabiliti a Betania cominciarono a radunarsi da vicino e da lontano coloro che cercavano la guarigione per i loro corpi, il conforto per le loro menti turbate e la salvezza per le loro anime, cosicché Gesù aveva poco tempo per riposarsi. Essi piantarono dunque delle tende a Getsemani, ed il Maestro andava e veniva tra Betania e Getsemani per evitare le folle che lo assediavano costantemente. Il gruppo apostolico passò quasi tre settimane a Gerusalemme, ma Gesù ingiunse loro di non predicare in pubblico, di limitarsi soltanto all’insegnamento privato e al lavoro personale.
(1648.5) 147:2.3 Essi celebrarono tranquillamente la Pasqua a Betania. E questa fu la prima volta che Gesù e tutti i dodici parteciparono alla festività di Pasqua senza spargimento di sangue. Gli apostoli di Giovanni non mangiarono la Pasqua con Gesù ed i suoi apostoli; essi celebrarono la festa con Abner e con molti dei primi credenti alla predicazione di Giovanni. Questa era la seconda Pasqua che Gesù celebrava con i suoi apostoli a Gerusalemme.
(1648.6) 147:2.4 Quando Gesù e i dodici ripartirono per Cafarnao, gli apostoli di Giovanni non ritornarono con loro. Essi rimasero a Gerusalemme e nei dintorni sotto la direzione di Abner, lavorando tranquillamente per l’estensione del regno, mentre Gesù e i dodici ritornarono a lavorare in Galilea. I ventiquattro non furono più di nuovo tutti insieme fino a poco prima dell’ordinazione e dell’invio dei settanta evangelisti. Ma i due gruppi collaboravano, e nonostante le loro divergenze d’opinione, prevaleva il migliore dei rapporti.
(1649.1) 147:3.1 Il pomeriggio del secondo sabato a Gerusalemme, mentre il Maestro e gli apostoli stavano partecipando ai servizi del tempio, Giovanni disse a Gesù: “Vieni con me, vorrei mostrarti qualcosa.” Giovanni fece uscire Gesù da una delle porte di Gerusalemme e lo condusse ad una piscina chiamata Betesda. Attorno a questa piscina c’era una struttura di cinque portici sotto i quali stava un gran numero di ammalati in cerca di guarigione. Questa era una sorgente calda le cui acque rossastre ribollivano ad intervalli irregolari a causa dell’accumulo di gas nelle caverne rocciose sottostanti la piscina. Questo ribollio periodico delle acque calde era considerato da molti dovuto ad influenze soprannaturali, ed era credenza popolare che la prima persona che entrava nell’acqua dopo una tale perturbazione sarebbe stata guarita da qualunque infermità avesse.
(1649.2) 147:3.2 Gli apostoli erano un po’ inquieti per le restrizioni imposte da Gesù, e Giovanni, il più giovane dei dodici, era particolarmente irritato per queste limitazioni. Egli aveva condotto Gesù alla piscina pensando che la vista degli ammalati riuniti avrebbe fatto un tale appello alla compassione del Maestro da spingerlo a compiere una guarigione miracolosa, e così tutta Gerusalemme sarebbe rimasta stupefatta e portata subito a credere nel vangelo del regno. Giovanni disse a Gesù: “Maestro, guarda tutti questi sofferenti; non c’è niente che possiamo fare per loro?” E Gesù replicò: “Giovanni, perché tenti di allontanarmi dalla via che ho scelto? Perché persisti nel desiderio di sostituire il compimento di prodigi e la guarigione degli ammalati alla proclamazione del vangelo della verità eterna? Figlio mio, non posso fare quello che desideri, ma raduna piuttosto questi ammalati ed afflitti affinché io possa rivolgere loro delle parole d’incoraggiamento e di consolazione eterna.”
(1649.3) 147:3.3 Parlando a quelli che si erano riuniti, Gesù disse: “Molti di voi sono qui ammalati ed afflitti a causa dei vostri molti anni di vita sbagliata. Alcuni soffrono degli accidenti del tempo, altri per gli errori dei loro antenati, mentre alcuni di voi lottano sotto gli impedimenti delle condizioni imperfette della vostra esistenza temporale. Ma mio Padre lavora, ed anch’io vorrei lavorare, per migliorare la vostra condizione terrena e più specialmente per assicurare il vostro stato eterno. Nessuno di noi può fare molto per cambiare le difficoltà della vita, a meno di scoprire che il Padre celeste vuole così. Dopotutto siamo tutti tenuti a fare la volontà dell’Eterno. Se voi poteste essere tutti guariti dalle vostre afflizioni fisiche, sareste certamente meravigliati, ma è ancora più importante che siate purificati da tutte le malattie spirituali e che vi troviate guariti da tutte le infermità morali. Voi siete tutti figli di Dio; siete i figli del Padre celeste. I vincoli del tempo possono sembrare affliggervi, ma il Dio dell’eternità vi ama. E quando verrà il momento del giudizio, non temete, troverete tutti non solo giustizia, ma abbondanza di misericordia. In verità, in verità vi dico: colui che ascolta il vangelo del regno e crede a questo insegnamento della filiazione con Dio ha la vita eterna; tali credenti passano già dal giudizio e dalla morte alla luce e alla vita. E sta giungendo l’ora in cui anche coloro che sono nelle tombe udranno la voce della risurrezione.”
(1649.4) 147:3.4 Molti di quelli che l’ascoltarono credettero al vangelo del regno. Alcuni degli afflitti furono talmente ispirati e spiritualmente rivivificati che andarono in giro proclamando di essere stati guariti anche dai loro mali fisici.
(1649.5) 147:3.5 Un uomo che era stato per molti anni depresso e gravemente afflitto da disturbi mentali, si rallegrò alle parole di Gesù e raccolto il suo letto rientrò a casa sua, sebbene fosse il giorno di sabato. Quest’uomo afflitto aveva atteso tutti questi anni che qualcuno l’aiutasse. Era talmente vittima del sentimento della propria impotenza che non aveva avuto una sola volta l’idea di aiutarsi da solo, cosa che si rivelò essere la sola che doveva fare per rimettersi — raccogliere il suo letto e andarsene.
(1650.1) 147:3.6 Gesù disse allora a Giovanni: “Partiamo da qui prima che i capi dei sacerdoti e gli Scribi ci sorprendano e si offendano perché abbiamo rivolto delle parole di vita a questi afflitti.” Essi ritornarono al tempio per unirsi ai loro compagni, e partirono subito tutti per passare la notte a Betania. Ma Giovanni non raccontò mai agli altri apostoli di questa visita che aveva fatto con Gesù alla piscina di Betesda questo sabato pomeriggio.
(1650.2) 147:4.1 La sera di questo stesso giorno di sabato, a Betania, mentre Gesù, i dodici ed un gruppo di credenti erano riuniti attorno al fuoco nel giardino di Lazzaro, Natanaele pose a Gesù questa domanda: “Maestro, benché tu ci abbia insegnato la versione positiva dell’antica regola di vita, ordinandoci che dovremmo fare agli altri ciò che vogliamo loro facciano a noi, non capisco pienamente come possiamo attenerci sempre a tale ingiunzione. Permettimi d’illustrare il mio assunto citando l’esempio di un uomo sensuale che guarda maliziosamente la sua futura compagna di peccato. Come possiamo insegnare a quest’uomo malintenzionato che dovrebbe fare agli altri ciò che vorrebbe essi facessero a lui?”
(1650.3) 147:4.2 Quando Gesù udì la domanda di Natanaele, si alzò immediatamente in piedi e, puntando il dito sull’apostolo, disse: “Natanaele, Natanaele! Quale sorta di pensieri conservi nel tuo cuore? Non ricevi i miei insegnamenti come uno che è nato dallo spirito? Non sentite la verità come uomini di saggezza e di comprensione spirituale? Quando vi ho esortato a fare agli altri ciò che vorreste loro facessero a voi, io parlavo a uomini di alti ideali, non a gente che sarebbe stata tentata di distorcere il mio insegnamento in una licenza per incoraggiare cattive azioni.”
(1650.4) 147:4.3 Dopo che il Maestro ebbe parlato, Natanaele si alzò e disse: “Ma, Maestro, non dovresti pensare che io approvi una tale interpretazione del tuo insegnamento. Ho posto la domanda perché supponevo che molti di tali uomini potevano giudicare erroneamente in questo modo la tua raccomandazione, e speravo che ci avresti dato ulteriori istruzioni su queste materie.” E quando Natanaele si fu seduto, Gesù proseguì: “So bene, Natanaele, che la tua mente non approva una tale idea del male, ma sono deluso dal fatto che voi tutti mancate così spesso di presentare un’interpretazione genuinamente spirituale dei miei usuali insegnamenti, istruzione che vi deve essere data in linguaggio umano e nel modo in cui devono parlare gli uomini. Consentitemi ora d’istruirvi sui differenti livelli di significato connessi con l’interpretazione di questa regola di vita, con questa esortazione a ‘fare agli altri ciò che desiderate gli altri facciano a voi’:
(1650.5) 147:4.4 1. Il livello della carne. Questa interpretazione puramente egoista e sensuale sarebbe ben esemplificata dall’ipotesi della tua domanda.
(1650.6) 147:4.5 2. Il livello dei sentimenti. Questo piano è un livello più alto di quello della carne ed implica che la simpatia e la pietà elevino la propria interpretazione di questa regola di vita.
(1650.7) 147:4.6 3. Il livello della mente. Ora entrano in azione il ragionamento della mente e l’intelligenza dell’esperienza. Un buon giudizio detta che una simile regola di vita dovrebbe essere interpretata in armonia con l’idealismo più elevato espresso nella nobiltà di un profondo rispetto di sé.
(1651.1) 147:4.7 4. Il livello dell’amore fraterno. Ancora più in alto si scopre il livello della devozione disinteressata al benessere dei propri simili. Su questo piano più elevato di servizio sociale sincero scaturito dalla coscienza della paternità di Dio e dal conseguente riconoscimento della fratellanza degli uomini, si scopre un’interpretazione nuova e molto più bella di questa regola di vita fondamentale.
(1651.2) 147:4.8 5. Il livello morale. Poi, quando raggiungete i veri livelli filosofici dell’interpretazione, quando avete una reale comprensione di ciò che è bene e male delle cose, quando percepite ciò che è eternamente giusto delle relazioni umane, voi comincerete a guardare questo problema dell’interpretazione come immaginereste che una terza persona di mente elevata, idealista, saggia ed imparziale considererebbe ed interpreterebbe una simile esortazione applicata ai vostri problemi personali di adattamento alle vostre situazioni di vita.
(1651.3) 147:4.9 6. Il livello spirituale. Per ultimo, ma il più alto di tutti, raggiungiamo il livello di percezione dello spirito e d’interpretazione spirituale, che ci spinge a riconoscere in questa regola di vita il comandamento divino di trattare tutti gli uomini come concepiamo che Dio li tratterebbe. Questo è l’ideale universale delle relazioni umane. E questo è il vostro atteggiamento verso tutti questi problemi quando il vostro desiderio supremo è di fare sempre la volontà del Padre. Io vorrei, pertanto, che voi faceste a tutti gli uomini ciò che sapete io farei per loro in simili circostanze.”
(1651.4) 147:4.10 Gesù non aveva detto niente agli apostoli fino ad allora che li avesse maggiormente stupiti. Essi continuarono a discutere a lungo le parole del Maestro dopo che egli si fu ritirato. Mentre Natanaele fu lento a riprendersi dalla sua supposizione che Gesù non avesse capito lo spirito della sua domanda, gli altri furono più che riconoscenti al loro compagno apostolo filosofo per aver avuto il coraggio di porre una tale domanda che stimolava alla riflessione.
(1651.5) 147:5.1 Benché Simone non fosse un membro del Sinedrio ebreo, era un Fariseo influente di Gerusalemme. Egli era un tiepido credente, e benché potesse essere severamente criticato per questo, osò invitare Gesù ed i suoi associati personali, Pietro, Giacomo e Giovanni, per un pasto sociale a casa sua. Simone aveva osservato a lungo il Maestro ed era molto impressionato dai suoi insegnamenti e ancor più dalla sua personalità.
(1651.6) 147:5.2 I ricchi Farisei praticavano l’elemosina e non rifuggivano la pubblicità sulla loro filantropia. Essi annunciavano talvolta anche a suon di tromba quando avevano intenzione di fare la carità ad un mendicante. Era costume di questi Farisei, quando offrivano un banchetto per degli ospiti di riguardo, di lasciare aperte le porte della casa in modo che anche i mendicanti della strada potessero entrare e, stando in piedi lungo le pareti della sala dietro i divani dei commensali, essere in buona posizione per ricevere dei pezzi di cibo che potevano essere gettati loro dai convitati.
(1651.7) 147:5.3 In questa particolare occasione nella casa di Simone, tra coloro che erano venuti dalla strada, c’era una donna di scarsa reputazione che aveva recentemente iniziato a credere nella buona novella del vangelo del regno. Questa donna era ben conosciuta in tutta Gerusalemme come la precedente tenutaria di uno dei cosiddetti bordelli di lusso situati proprio vicino al cortile dei Gentili nel tempio. Accettando gli insegnamenti di Gesù, essa aveva chiuso il suo nefando luogo d’affari ed aveva indotto la maggior parte delle donne a lei associate ad accettare il vangelo e a cambiare il loro modo di vivere. Malgrado ciò, essa era ancora molto disprezzata dai Farisei ed era obbligata a portare i suoi capelli sciolti — il segno distintivo della prostituzione. Questa donna anonima aveva portato con sé una grande bottiglia di unguento profumato per unzioni e, postasi dietro a Gesù, come egli si sedette per mangiare, cominciò ad ungere i suoi piedi mentre li bagnava anche con le sue lacrime di gratitudine e li asciugava con i suoi capelli. E quando ebbe terminato questa unzione, essa continuò a piangere e a baciare i suoi piedi.
(1652.1) 147:5.4 Quando Simone vide tutto ciò, disse a se stesso: “Quest’uomo, se fosse un profeta, avrebbe percepito chi e qual genere di donna è questa che lo tocca, che è una nota peccatrice.” E Gesù, sapendo ciò che stava passando per la mente di Simone, parlò ad alta voce dicendo: “Simone, c’è qualcosa che vorrei dirti.” Simone rispose: “Maestro, dilla.” Allora Gesù disse: “Un ricco prestatore di denaro aveva due debitori. Uno gli doveva cinquecento denari e l’altro cinquanta. Ora, poiché nessuno di loro aveva di che pagarlo, egli rimise il debito ad entrambi. Quale di loro pensi, Simone, che lo amerà di più?” Simone rispose: “Suppongo quello al quale ha condonato di più.” E Gesù disse: “Tu hai giudicato bene”, ed indicando la donna, continuò: “Simone, guarda bene questa donna. Io sono entrato nella tua casa come ospite invitato, e tuttavia tu non mi hai dato dell’acqua per i miei piedi. Questa donna riconoscente ha lavato i miei piedi con le lacrime e li ha asciugati con i capelli della sua testa. Tu non mi hai dato il bacio di benvenuto, ma questa donna, da quando è entrata, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu hai dimenticato di ungere con olio la mia testa, ma essa ha unto i miei piedi con unguenti preziosi. Che cosa significa tutto ciò? Semplicemente che i suoi molti peccati le sono stati perdonati, e ciò l’ha portata ad amare molto. Ma coloro che hanno ricevuto poco perdono non amano talvolta che poco.” E volgendosi verso la donna, egli la prese per mano e fattala alzare, disse: “Tu ti sei veramente pentita dei tuoi peccati ed essi sono perdonati. Non lasciarti scoraggiare dall’atteggiamento sconsiderato e scortese dei tuoi simili; va per la tua strada nella gioia e nella libertà del regno dei cieli.”
(1652.2) 147:5.5 Quando Simone ed i suoi amici che sedevano al banchetto con lui udirono queste parole furono ancora più stupiti e cominciarono a bisbigliare tra di loro: “Chi è quest’uomo che osa anche perdonare i peccati?” E quando Gesù li udì mormorare così, si girò per congedare la donna dicendo: “Donna, va in pace; la tua fede ti ha salvata.”
(1652.3) 147:5.6 Quando Gesù si alzò con i suoi amici per congedarsi, si girò verso Simone e disse: “Conosco il tuo cuore, Simone, come sei lacerato tra la fede e il dubbio, come sei sconvolto dalla paura e turbato dall’orgoglio; ma prego per te affinché tu possa abbandonarti alla luce e possa sperimentare nella tua condizione di vita le potenti trasformazioni della mente e dello spirito comparabili ai prodigiosi cambiamenti che il vangelo del regno ha già operato nel cuore della vostra ospite non invitata né benvenuta. Io dichiaro a tutti voi che il Padre ha aperto le porte del regno celeste a tutti coloro che hanno la fede per entrarvi, e nessun uomo o associazione di uomini può chiudere quelle porte nemmeno all’anima più umile o al più flagrante supposto peccatore sulla terra, se cercano sinceramente di entrarvi.” Poi Gesù, con Pietro, Giacomo e Giovanni si congedarono dal loro ospite e andarono a raggiungere gli altri apostoli al campo nel giardino di Getsemani. è
(1653.1) 147:5.7 Quella stessa sera Gesù fece agli apostoli il memorabile discorso sul valore relativo dello status nei riguardi di Dio e del progresso nell’ascensione eterna al Paradiso. Gesù disse: “Figli miei, se esiste una connessione vera e vivente tra il figlio ed il Padre, il figlio è certo di progredire continuamente verso gli ideali del Padre. È vero, il figlio può inizialmente fare un lento progresso, ma il progresso non è meno certo. La cosa importante non è la rapidità del vostro progresso, ma piuttosto la sua certezza. La vostra realizzazione effettiva non è così importante come il fatto che la direzione del vostro progresso è verso Dio. Ciò che state divenendo giorno per giorno è infinitamente più importante di ciò che siete oggi.
(1653.2) 147:5.8 Quella donna convertita che alcuni di voi hanno visto oggi a casa di Simone, vive attualmente ad un livello che è molto inferiore a quello di Simone e dei suoi associati bene intenzionati. Ma mentre questi Farisei sono occupati nel falso progresso dell’illusione di praticare ingannevoli sequenze di servizi cerimoniali privi di significato, questa donna è partita risolutamente alla lunga e movimentata ricerca di Dio, ed il suo sentiero verso il cielo non è bloccato né dall’orgoglio spirituale né dall’autocompiacimento morale. Umanamente parlando, questa donna è molto più lontana da Dio di Simone, ma la sua anima è in progressivo movimento; essa è in viaggio verso una meta eterna. Sono presenti in quella donna enormi possibilità spirituali per il futuro. Alcuni di voi possono non trovarsi attualmente ad elevati livelli di anima e di spirito, ma voi state facendo progressi quotidiani sulla via vivente aperta, per mezzo della fede, verso Dio. Vi sono enormi possibilità in ciascuno di voi per il futuro. È molto meglio avere una piccola fede, ma vivente e crescente, che possedere un grande intelletto con i suoi pesi morti di sapienza terrena e d’incredulità spirituale.”
(1653.3) 147:5.9 Ma Gesù mise seriamente in guardia i suoi apostoli contro la stoltezza del figlio di Dio che abusa dell’amore del Padre. Egli dichiarò che il Padre celeste non è un padre negligente, distaccato od insensatamente indulgente, sempre pronto a scusare il peccato e a perdonare l’avventatezza. Egli avvertì i suoi ascoltatori di non applicare erroneamente i suoi esempi di padre e di figlio in modo da far apparire Dio simile a certi genitori troppo indulgenti ed incauti, che cospirano con la stoltezza terrena a fare da contorno alla rovina morale dei loro figli sconsiderati, e che contribuiscono così certamente e direttamente alla delinquenza e all’iniziale depravazione della loro stessa progenie. Gesù disse: “Mio Padre non perdona con indulgenza quegli atti e quelle pratiche dei suoi figli che sono autodistruttive e suicide di ogni crescita morale e di ogni progresso spirituale. Tali pratiche colpevoli sono un abominio agli occhi di Dio.”
(1653.4) 147:5.10 Gesù partecipò a molti altri incontri e banchetti semiprivati con grandi ed umili, con ricchi e poveri di Gerusalemme prima che lui ed i suoi apostoli partissero infine per Cafarnao. E molti, in verità, divennero credenti nel vangelo del regno e furono successivamente battezzati da Abner e dai suoi associati che rimasero indietro per sostenere gli interessi del regno a Gerusalemme e nei dintorni.
(1653.5) 147:6.1 L’ultima settimana di aprile, Gesù e i dodici partirono dal loro quartier generale di Betania vicino a Gerusalemme e cominciarono il loro viaggio di ritorno a Cafarnao per la via di Gerico e del Giordano.
(1654.1) 147:6.2 I sommi sacerdoti ed i capi religiosi degli Ebrei tennero numerose riunioni segrete per decidere che cosa fare con Gesù. Essi erano tutti d’accordo che qualcosa bisognasse fare per porre fine al suo insegnamento, ma non riuscivano ad accordarsi sul metodo. Essi avevano sperato che le autorità civili disponessero di lui come Erode aveva messo fine a Giovanni, ma scoprirono che Gesù stava portando avanti il suo lavoro in maniera tale che i funzionari romani non erano molto allarmati dalla sua predicazione. Di conseguenza, in una riunione che fu tenuta il giorno prima della partenza di Gesù per Cafarnao, fu deciso di farlo arrestare sotto un’imputazione religiosa e di farlo giudicare dal Sinedrio. Una commissione di sei spie segrete fu dunque incaricata di seguire Gesù, di osservare le sue parole ed i suoi atti, e quando esse avessero accumulato prove sufficienti di violazione della legge e di bestemmia, di ritornare a Gerusalemme con il loro rapporto. Questi sei Ebrei raggiunsero il gruppo apostolico di circa trenta persone a Gerico e, con il pretesto che desideravano divenire discepoli, si unirono alla famiglia dei seguaci di Gesù, rimanendo con il gruppo fino al momento dell’inizio del secondo giro di predicazione in Galilea, quando tre di loro tornarono a Gerusalemme per sottoporre il loro rapporto ai sommi sacerdoti e al Sinedrio.
(1654.2) 147:6.3 Pietro predicò alla folla riunita al guado del Giordano ed il mattino seguente essi risalirono il fiume verso Amatus. Essi volevano andare direttamente a Cafarnao, ma si riunì qui una moltitudine tale che rimasero per tre giorni a predicare, ad insegnare e a battezzare. Ripartirono verso casa soltanto il mattino presto di sabato, primo giorno di maggio. Le spie di Gerusalemme erano certe di poter formulare ora la loro prima accusa contro Gesù — quella di aver violato il sabato — perché ritenevano che iniziasse il suo viaggio nel giorno di sabato. Ma erano destinati a rimanere delusi perché, poco prima della loro partenza, Gesù chiamò Andrea in sua presenza e davanti a loro gli ordinò di avanzare per una distanza di meno di mille metri, misura legale di viaggio ebraica per il giorno del sabato.
(1654.3) 147:6.4 Tuttavia le spie non dovettero aspettare a lungo per avere l’occasione di accusare Gesù ed i suoi associati di violare il sabato. Mentre il gruppo passava lungo la strada stretta, il grano ondeggiante che stava proprio allora maturando era a portata di mano da entrambi i lati, e alcuni apostoli, essendo affamati, colsero il grano maturo e lo mangiarono. Era usanza che i viaggiatori prendessero del grano passando lungo la strada e perciò nessuna idea di cattiva azione fu collegata a tale condotta. Ma le spie presero ciò come pretesto per attaccare Gesù. Quando videro Andrea sfregare il grano nella mano, andarono da lui e dissero: “Non sai che è illegale raccogliere e sfregare il grano nel giorno di sabato?” E Andrea rispose: “Ma noi abbiamo fame e ne sfreghiamo soltanto quanto basta per il nostro bisogno; da quando è diventato peccato mangiare del grano nel giorno di sabato?” Ma i Farisei risposero: “ Non c’è niente di male a mangiarne, ma tu violi la legge raccogliendo e sfregando il grano tra le tue mani; il tuo Maestro non approverebbe certamente tali atti.” Allora Andrea disse: “Ma se non è male mangiare il grano, certamente lo sfregarlo tra le mani non rappresenta maggior lavoro della masticazione del grano, che è permessa; per quale ragione cavillare su simili inezie?” Quando Andrea li tacciò di cavillatori, essi s’indignarono e correndo verso Gesù, che camminava dietro parlando con Matteo, protestarono dicendo: “Guarda, Maestro, i tuoi apostoli fanno ciò che è illegale nel giorno di sabato; colgono, sfregano e mangiano il grano. Siamo sicuri che ordinerai loro di smettere.” Allora Gesù disse agli accusatori: “Voi siete davvero zelanti per la legge, e fate bene a ricordare che il giorno di sabato si deve mantenere sacro; ma non avete mai letto nelle Scritture che un giorno in cui Davide aveva fame, lui e quelli che erano con lui entrarono nella casa di Dio e mangiarono del pane in esposizione che non era lecito mangiare a nessuno salvo che ai sacerdoti? E che Davide diede di questo pane anche a coloro che erano con lui. E non avete letto nella nostra legge che è lecito fare molte cose indispensabili nel giorno di sabato? E non vedrò voi prima della fine del giorno mangiare ciò che avete portato per le necessità di questo giorno? Miei buoni uomini, fate bene ad essere zelanti per il sabato, ma fareste meglio a badare alla salute e al benessere dei vostri simili. Io dichiaro che il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Se voi siete qui con noi per sorvegliare le mie parole, allora proclamerò apertamente che il Figlio dell’Uomo è signore anche del sabato.”
(1655.1) 147:6.5 I Farisei furono stupiti e confusi dalle sue parole di discernimento e di saggezza. Per il resto del giorno essi stettero da soli e non osarono più porre domande.
(1655.2) 147:6.6 L’antagonismo di Gesù per le tradizioni ebraiche e per i cerimoniali servili era sempre positivo. Esso consisté in ciò che egli fece ed in ciò che affermò. Il Maestro spendeva poco tempo in critiche negative. Egli insegnava che coloro che conoscono Dio possono godere della libertà di vivere senza ingannare se stessi con le licenze del peccato. Gesù disse agli apostoli: “Amici miei, se siete illuminati dalla verità e sapete realmente ciò che state facendo, siete benedetti; ma se non conoscete la via divina, allora siete infelici e già violate la legge.”
(1655.3) 147:7.1 Era circa mezzogiorno di lunedì 3 maggio quando Gesù e i dodici arrivarono in battello a Betsaida provenendo da Tarichea. Essi viaggiarono in battello per sfuggire a coloro che li seguivano. Ma dal giorno successivo gli altri, incluse le spie ufficiali di Gerusalemme, avevano ritrovato Gesù.
(1655.4) 147:7.2 Martedì sera Gesù stava conducendo una delle sue abituali classi con domande e risposte quando il capo delle sei spie gli disse: “Parlavo oggi con uno dei discepoli di Giovanni che è qui ad assistere al tuo insegnamento, e non riuscivamo a capire perché tu non comandi mai ai tuoi discepoli di digiunare e di pregare come digiuniamo noi Farisei e come Giovanni ordinava ai suoi discepoli.” E Gesù, riferendosi ad una affermazione di Giovanni, rispose all’interrogante: “I ragazzi d’onore digiunano mentre lo sposo è con loro? Finché lo sposo rimane con loro, essi non possono digiunare. Ma sta arrivando il momento in cui lo sposo sarà portato via, ed allora senza dubbio i ragazzi d’onore digiuneranno e pregheranno. Pregare è naturale per i figli della luce, ma digiunare non fa parte del vangelo del regno dei cieli. Ricordate che un buon sarto non cuce un pezzo di stoffa nuova e non ristretta su un abito vecchio, per timore che, quando sarà bagnato, si restringa e produca uno strappo peggiore. Né gli uomini mettono il vino nuovo in botti vecchie, per timore che il vino nuovo faccia scoppiare le botti così che il vino e le botti non vadano perduti. L’uomo saggio mette il vino nuovo nelle botti nuove. I miei discepoli mostrano quindi saggezza non incorporando molto del vecchio ordine nel nuovo insegnamento del vangelo del regno. Voi che avete perduto il vostro istruttore potete essere giustificati se digiunate per un certo tempo. Il digiuno può essere una parte appropriata della legge di Mosè, ma nel regno futuro i figli di Dio faranno l’esperienza della libertà dalla paura e gioiranno nello spirito divino.” Quando udirono queste parole i discepoli di Giovanni furono confortati, mentre i Farisei furono ancor più confusi.
(1656.1) 147:7.3 Poi il Maestro mise in guardia i suoi ascoltatori contro l’idea che tutti i vecchi insegnamenti dovessero essere interamente rimpiazzati da nuove dottrine. Disse Gesù: “Ciò che è vecchio ed anche vero deve restare. Similmente ciò che è nuovo ma falso deve essere respinto. Ma ciò che è nuovo e vero, abbiate la fede ed il coraggio di accettarlo. Ricordatevi che sta scritto: ‘Non abbandonare un vecchio amico, perché il nuovo non è paragonabile a lui. Com’è il vino nuovo, così è un nuovo amico; se diventa vecchio lo berrai con gioia.’ ”
(1656.2) 147:8.1 Quella sera, molto dopo che gli abituali ascoltatori si furono ritirati, Gesù continuò ad insegnare ai suoi apostoli. Egli cominciò questa istruzione speciale citando dal profeta Isaia:
(1656.3) 147:8.2 “‘Perché avete digiunato? Per quale ragione affliggete la vostra anima intanto che continuate a trovare piacere nell’oppressione e provate diletto nell’ingiustizia? Ecco, voi digiunate allo scopo di contestare e discutere e di colpire con il pugno dell’astio. Ma non digiunerete in questo modo per far sentire la vostra voce nell’alto.
(1656.4) 147:8.3 “‘È questo il digiuno che ho scelto — un giorno perché un uomo affligga la sua anima? È il piegare la testa come una canna, il trascinare vestiti di sacco e con il capo cosparso di cenere? Oserete chiamare questo un giorno valido ed accettabile agli occhi del Signore? Non è questo il digiuno che sceglierei: rompere le catene dell’iniquità, sciogliere i nodi dei pesanti fardelli, ridare libertà agli oppressi e spezzare tutti i gioghi? Non è lo spartire il mio pane con l’affamato ed il condurre coloro che sono senza tetto e i poveri nella mia casa? E quando vedrò della gente nuda, la vestirò.
(1656.5) 147:8.4 “‘Allora la tua luce scaturirà come l’aurora e la tua salute si manifesterà immediatamente. La tua rettitudine ti precederà e la gloria del Signore sarà la tua retroguardia. Allora farai appello al Signore, ed egli risponderà; griderai, ed egli dirà — Eccomi. Ed egli farà tutto ciò se ti asterrai dall’oppressione, dalla condanna e dalla vanità. Il Padre desidera piuttosto che tu offra il tuo cuore agli affamati e che soccorra le anime afflitte; allora la tua luce risplenderà nell’oscurità ed anche le tue tenebre saranno come il mezzogiorno. Allora il Signore ti guiderà continuamente, soddisfacendo la tua anima e rinnovando il tuo vigore. Tu diverrai simile ad un giardino annaffiato, simile ad una sorgente le cui acque non si esauriscono mai. E coloro che fanno queste cose ristabiliranno le glorie passate; erigeranno le fondamenta di molte generazioni; saranno chiamati i ricostruttori delle mura abbattute, i ripristinatori dei sentieri sicuri in cui stare.’ ”
(1656.6) 147:8.5 Poi, a lungo nella notte, Gesù espose ai suoi apostoli la verità che era la loro fede a renderli sicuri nel regno del presente e del futuro, e non la loro afflizione dell’anima né il digiuno del corpo. Egli esortò gli apostoli a vivere almeno all’altezza delle idee del profeta di un tempo ed espresse la speranza che essi avrebbero progredito anche molto oltre gli ideali d’Isaia e degli antichi profeti. Le sue ultime parole quella notte furono: “Crescete in grazia per mezzo di quella fede vivente che coglie il fatto che siete i figli di Dio e che riconosce allo stesso tempo ogni uomo come un fratello.”
(1656.7) 147:8.6 Erano passate le due del mattino quando Gesù smise di parlare e ciascuno andò al suo posto per dormire.
(1657.1) 148:0.1 DAL 3 maggio al 3 ottobre dell’anno 28 d.C., Gesù ed il gruppo apostolico risiedettero nella casa di Zebedeo a Betsaida. Per tutto questo periodo di cinque mesi della stagione secca fu mantenuto un enorme accampamento in riva al Mare di Galilea, vicino alla residenza di Zebedeo, che era stata notevolmente ingrandita per alloggiare la crescente famiglia di Gesù. Questo accampamento in riva al mare, occupato da una popolazione in continuo cambiamento di cercatori della verità, di candidati alla guarigione e di appassionati della curiosità, contava da cinquecento a millecinquecento persone. Questa città di tende era sotto la supervisione generale di Davide Zebedeo, assistito dai gemelli Alfeo. L’accampamento era un modello d’ordine e d’igiene come pure di buona amministrazione generale. I differenti tipi di ammalati erano separati ed erano sotto la supervisione di un medico credente, un Siriano di nome Elman.
(1657.2) 148:0.2 Durante tutto questo periodo gli apostoli andarono a pescare almeno un giorno alla settimana, vendendo il loro pesce a Davide per il consumo del campo in riva al mare. Il denaro che ricevevano veniva consegnato al tesoriere del gruppo. I dodici avevano il permesso di passare una settimana al mese con le loro famiglie o con i loro amici.
(1657.3) 148:0.3 Mentre Andrea continuava a mantenere la responsabilità generale delle attività apostoliche, Pietro aveva a suo totale carico la scuola degli evangelisti. Tutti gli apostoli facevano la loro parte nell’insegnare ai gruppi di evangelisti ogni mattina, e sia gli insegnanti che gli allievi istruivano il popolo al pomeriggio. Dopo il pasto della sera, cinque sere per settimana, gli apostoli conducevano delle classi con domande per gli evangelisti. Una volta alla settimana Gesù presiedeva quest’ora di domande, rispondendo alle domande rimaste in sospeso dalle sessioni precedenti.
(1657.4) 148:0.4 In cinque mesi parecchie migliaia d’individui passarono per questo accampamento. Erano spesso presenti delle persone interessate provenienti da ogni parte dell’Impero Romano e dai paesi ad est dell’Eufrate. Questo fu il più lungo periodo stabile e bene organizzato dell’insegnamento del Maestro. La famiglia immediata di Gesù trascorse la maggior parte di questo tempo a Nazaret o a Cana.
(1657.5) 148:0.5 L’accampamento non era condotto come una comunità con interessi comuni, com’era la famiglia apostolica. Davide Zebedeo gestiva questa grande città di tende in modo da farne un’impresa autosufficiente, benché nessuno fosse mai stato respinto. Questo campo in continuo cambiamento era un fattore indispensabile della scuola di formazione degli evangelisti di Pietro.
(1657.6) 148:1.1 Pietro, Giacomo e Andrea formavano il comitato incaricato da Gesù per l’ammissione dei candidati alla scuola di evangelisti. Tutte le razze e nazionalità del mondo romano e dell’Oriente, fino alla lontana India, erano rappresentate tra gli studenti di questa nuova scuola di profeti. Questa scuola era condotta sul piano dell’apprendimento e dell’azione. Quello che gli studenti imparavano il mattino lo insegnavano all’assemblea in riva al mare il pomeriggio. Dopo la cena essi discutevano liberamente quanto appreso il mattino e l’insegnamento del pomeriggio.
(1658.1) 148:1.2 Ognuno dei maestri apostolici insegnava il proprio punto di vista sul vangelo del regno. Essi non si sforzavano d’insegnare tutti allo stesso modo; non c’era una formulazione standardizzata o dogmatica di dottrine teologiche. Sebbene insegnassero tutti la stessa verità, ogni apostolo presentava la propria interpretazione personale dell’insegnamento del Maestro. Gesù approvava questa presentazione diversificata dell’esperienza personale nelle cose del regno, armonizzando e coordinando immancabilmente questi numerosi e divergenti punti di vista del vangelo nella sua riunione settimanale con domande. Malgrado questo alto grado di libertà personale in materia d’insegnamento, Simon Pietro tendeva a dominare la teologia della scuola di evangelisti. Dopo Pietro, era Giacomo Zebedeo che esercitava la maggior influenza personale.
(1658.2) 148:1.3 I cento e più evangelisti istruiti durante questi cinque mesi in riva al mare rappresentavano il contingente dal quale (eccetto Abner e gli apostoli di Giovanni) furono tratti i successivi settanta insegnanti e predicatori del vangelo. La scuola di evangelisti non aveva ogni cosa in comune alla stessa stregua dei dodici.
(1658.3) 148:1.4 Questi evangelisti, sebbene insegnassero e predicassero il vangelo, non battezzarono i credenti fino a quando non furono più tardi ordinati ed incaricati da Gesù come i settanta messaggeri del regno. Solo sette del gran numero di persone guarite al tramonto in questo luogo si trovavano tra questi studenti evangelisti. Il figlio del nobiluomo di Cafarnao fu uno di quelli preparati per l’evangelizzazione nella scuola di Pietro.
(1658.4) 148:2.1 In connessione con l’accampamento in riva al mare, Elman, il medico siriano, con l’assistenza di un corpo di venticinque giovani donne e dodici uomini, organizzò e diresse per quattro mesi quello che si potrebbe considerare come il primo ospedale del regno. In questa infermeria, situata poco a sud della principale città di tende, essi curarono gli ammalati secondo tutti i metodi materiali conosciuti, come pure con le pratiche spirituali della preghiera e l’incoraggiamento della fede. Gesù visitava gli ammalati di questo accampamento almeno tre volte alla settimana e prendeva contatto personale con ogni sofferente. Per quanto ne sappiamo, nessun cosiddetto miracolo di guarigione soprannaturale si produsse tra le mille persone malate e sofferenti che uscirono da questa infermeria migliorate o guarite. Tuttavia, la grande maggioranza di questi individui beneficati non cessò di proclamare che Gesù li aveva guariti.
(1658.5) 148:2.2 Molte delle cure effettuate da Gesù in connessione con il suo ministero a favore dei pazienti di Elman, in verità, assomigliavano a dei miracoli, ma noi siamo stati informati che erano solamente trasformazioni della mente e dello spirito come se ne possono produrre nell’esperienza di persone in aspettativa e dominate dalla fede, che si trovano sotto l’influenza diretta ed ispirante di una personalità forte, positiva e benevola il cui ministero bandisce la paura e distrugge l’ansietà.
(1658.6) 148:2.3 Elman ed i suoi associati si sforzarono d’insegnare a questi ammalati la verità riguardo alla “possessione da parte di spiriti cattivi”, ma ebbero scarso successo. La credenza che le malattie fisiche e i disturbi mentali potessero essere causati dalla presenza di un cosiddetto spirito impuro nella mente o nel corpo della persona afflitta era quasi universale.
(1659.1) 148:2.4 In tutti i suoi contatti con gli ammalati e gli afflitti, quando si veniva alla tecnica del trattamento o alla rivelazione delle cause sconosciute della malattia, Gesù teneva conto delle istruzioni che suo fratello paradisiaco Emanuele gli aveva dato prima d’imbarcarsi nell’avventura dell’incarnazione su Urantia. Nonostante ciò, quelli che curavano gli ammalati impararono molte lezioni utili osservando la maniera in cui Gesù ispirava la fede e la fiducia agli ammalati e ai sofferenti.
(1659.2) 148:2.5 L’accampamento si sciolse poco tempo prima della stagione dei raffreddamenti e delle febbri.
(1659.3) 148:3.1 Per tutto questo periodo Gesù condusse i servizi pubblici all’accampamento meno di una dozzina di volte, e parlò soltanto una volta nella sinagoga di Cafarnao, il secondo sabato prima della loro partenza con gli evangelisti appena preparati per il loro secondo giro di predicazione pubblica in Galilea.
(1659.4) 148:3.2 Dopo il suo battesimo il Maestro non era mai stato così da solo come durante questo periodo di formazione degli evangelisti all’accampamento di Betsaida. Tutte le volte che un apostolo si avventurava a chiedere a Gesù perché si assentasse così spesso da loro, egli rispondeva invariabilmente che si occupava “degli affari del Padre”.
(1659.5) 148:3.3 Durante questi periodi di assenza Gesù era accompagnato soltanto da due apostoli. Egli aveva liberato temporaneamente Pietro, Giacomo e Giovanni dal loro incarico di suoi compagni personali perché potessero partecipare anche loro al lavoro di formazione dei nuovi candidati evangelisti, il cui numero superava il centinaio. Quando il Maestro desiderava andare sulle colline per occuparsi degli affari del Padre, chiamava ad accompagnarlo due qualunque degli apostoli che erano liberi. In questo modo ognuno dei dodici ebbe l’opportunità di essere in stretta associazione ed in intimo contatto con Gesù.
(1659.6) 148:3.4 Non è stato rivelato in funzione di questa esposizione, ma noi siamo stati portati a dedurre che il Maestro fosse in collegamento diretto ed esecutivo con numerosi dei suoi principali amministratori degli affari dell’universo durante molti di questi periodi di solitudine sulle colline. Fin dall’epoca del suo battesimo questo Sovrano incarnato del nostro universo era divenuto sempre più coscientemente attivo nella direzione di certe fasi dell’amministrazione universale. E noi siamo sempre stati dell’opinione che, in qualche modo non rivelato ai suoi associati immediati, durante queste settimane di minor partecipazione negli affari terreni, egli fosse impegnato nella direzione delle alte intelligenze spirituali che erano incaricate della conduzione di un vasto universo, e che il Gesù umano scelse di designare tali attività da parte sua come “occuparsi degli affari di suo Padre”.
(1659.7) 148:3.5 Molte volte, quando Gesù era solo per delle ore, e quando due dei suoi apostoli erano vicino a lui, osservarono che i suoi lineamenti subivano rapidi e molteplici cambiamenti, anche se non lo udirono pronunciare alcuna parola. Né osservarono alcuna manifestazione visibile di esseri celesti che potessero essere stati in comunicazione con il loro Maestro, come qualcuno di loro ebbe l’opportunità di vedere in un’occasione successiva.
(1659.8) 148:4.1 Gesù aveva l’abitudine di tenere due sere per settimana degli incontri speciali, con individui che desideravano parlare con lui, in un angolo appartato e riparato del giardino di Zebedeo. In una di queste conversazioni private della sera, Tommaso pose al Maestro questa domanda: “Perché è necessario che gli uomini siano nati dallo spirito per entrare nel regno? La rinascita è necessaria per sfuggire al controllo del maligno? Maestro, che cos’è il male?” Dopo che Gesù ebbe ascoltato queste domande, disse a Tommaso:
(1660.1) 148:4.2 “Non commettere l’errore di confondere il male con il maligno, che sarebbe più esatto chiamare l’iniquo. Colui che tu chiami il maligno è il figlio dell’amore di sé, l’alto amministratore che si ribellò deliberatamente contro il governo di mio Padre e dei suoi Figli leali. Ma io ho già vinto questi ribelli colpevoli. Chiarisci nella tua mente questi differenti atteggiamenti verso il Padre ed il suo universo. Non dimenticare mai queste leggi che regolano i rapporti con la volontà del Padre:
(1660.2) 148:4.3 “Il male è la trasgressione incosciente o involontaria della legge divina, della volontà del Padre. Il male è anche la misura dell’imperfetta obbedienza alla volontà del Padre.
(1660.3) 148:4.4 “Il peccato è la trasgressione cosciente, conosciuta e deliberata della legge divina, della volontà del Padre. Il peccato è la misura della cattiva volontà ad essere divinamente condotti e spiritualmente diretti.
(1660.4) 148:4.5 “L’iniquità è la trasgressione volontaria, determinata e persistente della legge divina, della volontà del Padre. L’iniquità è la misura del rifiuto continuo del piano amorevole del Padre per la sopravvivenza della personalità e del ministero misericordioso di salvezza del Figlio.
(1660.5) 148:4.6 “Per natura, prima della rinascita dallo spirito, l’uomo mortale è soggetto alle cattive tendenze innate, ma queste imperfezioni naturali di condotta non sono né peccato né iniquità. L’uomo mortale sta ora iniziando la sua lunga ascensione verso la perfezione del Padre in Paradiso. Essere imperfetto o parziale nelle doti naturali non è un peccato. L’uomo è veramente soggetto al male, ma non è in alcun senso il figlio del maligno, a meno che non abbia intenzionalmente e deliberatamente scelto il sentiero del peccato e la vita dell’iniquità. Il male è insito nell’ordine naturale di questo mondo, ma il peccato è un atteggiamento di ribellione cosciente che è stato portato in questo mondo da coloro che caddero dalla luce dello spirito nelle tenebre profonde.
(1660.6) 148:4.7 “Tu, Tommaso, sei confuso dalle dottrine dei Greci e dagli errori dei Persiani. Tu non comprendi le relazioni tra il male ed il peccato perché consideri che l’umanità abbia avuto inizio sulla terra con un Adamo perfetto, poi rapidamente degenerato a causa del peccato, fino al deplorevole stato attuale dell’uomo. Ma perché rifiuti di comprendere il significato della storia che rivela come Caino, il figlio di Adamo, andò nel paese di Nod e là si scelse una moglie? E perché rifiuti d’interpretare il significato della storia che descrive i figli di Dio che trovano moglie tra le figlie degli uomini?
(1660.7) 148:4.8 “È vero, gli uomini sono per natura cattivi, ma non necessariamente peccatori. La nuova nascita — il battesimo dello spirito — è essenziale per essere liberati dal male e necessaria per entrare nel regno dei cieli, ma niente di ciò infirma il fatto che l’uomo è figlio di Dio. Né questa presenza innata del male potenziale significa che l’uomo è in qualche maniera misteriosa separato dal Padre che è nei cieli, cosicché, quale estraneo, straniero o figliastro, debba cercare in qualche modo di farsi adottare legalmente dal Padre. Tutte queste nozioni sono nate, in primo luogo, dalla vostra cattiva comprensione del Padre e, in secondo luogo, dalla vostra ignoranza dell’origine, della natura e del destino dell’uomo.
(1660.8) 148:4.9 “I Greci ed altri vi hanno insegnato che l’uomo scende continuamente dalla perfezione divina verso l’oblio o la distruzione; io sono venuto a mostrare che l’uomo, entrando nel regno, si eleva certamente e sicuramente verso Dio e la perfezione divina. Ogni essere che in una qualunque maniera viene meno agli ideali divini e spirituali della volontà eterna del Padre è potenzialmente cattivo, ma tali esseri non sono in alcun senso peccatori, e tanto meno iniqui.
(1661.1) 148:4.10 “Tommaso, non hai letto a tale proposito nelle Scritture dov’è scritto: ‘Voi siete i figli del Signore vostro Dio.’ ‘Io sarò suo Padre ed egli sarà mio figlio.’ ‘L’ho scelto per essere mio figlio — io sarò suo Padre.’ ‘Conduci i miei figli da lontano e le mie figlie dai confini della terra; anche chiunque è chiamato a mio nome, perché li ho creati per la mia gloria.’ ‘Voi siete i figli del Dio vivente.’ ‘Coloro che hanno lo spirito di Dio sono in verità i figli di Dio.’ Mentre c’è una parte materiale del padre umano nel figlio naturale, c’è una parte spirituale del Padre celeste in ogni figlio per fede del regno.”
(1661.2) 148:4.11 Gesù disse a Tommaso tutte queste cose e molte altre ancora, e l’apostolo ne comprese una buona parte, anche se Gesù gli raccomandò di “non parlare agli altri di queste materie prima che io sia ritornato al Padre”. E Tommaso non fece menzione di questo colloquio fino a dopo che il Maestro fu partito da questo mondo.
(1661.3) 148:5.1 In un altro di questi colloqui privati nel giardino, Natanaele chiese a Gesù: “Maestro, benché io cominci a capire perché tu rifiuti di guarire indiscriminatamente, fatico ancora a comprendere perché il Padre amorevole che è nei cieli permette che un così gran numero di suoi figli terreni soffrano di tante afflizioni.” Il Maestro rispose a Natanaele dicendo:
(1661.4) 148:5.2 “Natanaele, tu e molti altri siete così perplessi perché non comprendete come l’ordine naturale di questo mondo sia stato molte volte sconvolto dalle avventure peccaminose di certi traditori ribelli alla volontà del Padre. Io sono venuto per cominciare a rimettere queste cose in ordine. Ma ci vorranno molte ere per rimettere questa parte dell’universo sul sentiero precedente e liberare così i figli degli uomini dai fardelli supplementari del peccato e della ribellione. La presenza del male, da sola, è una prova sufficiente per l’ascensione dell’uomo — il peccato non è essenziale alla sopravvivenza.
(1661.5) 148:5.3 “Ma, figlio mio, dovresti sapere che il Padre non affligge di proposito i suoi figli. L’uomo attira su di sé delle afflizioni inutili in conseguenza del suo persistente rifiuto a camminare nelle vie migliori della volontà divina. L’afflizione è potenziale nel male, ma gran parte di essa è stata prodotta dal peccato e dall’iniquità. Su questo mondo sono accaduti molti avvenimenti insoliti, e non è strano che tutti gli uomini dotati di discernimento siano perplessi davanti alle scene di sofferenza e di afflizione di cui sono testimoni. Ma di una cosa potete essere certi: il Padre non manda l’afflizione come punizione arbitraria di cattive azioni. Le imperfezioni e gli ostacoli del male sono insiti nel male stesso; le punizioni del peccato sono inevitabili; le conseguenze distruttrici dell’iniquità sono inesorabili. L’uomo non dovrebbe biasimare Dio per quelle afflizioni che sono il risultato naturale della vita che egli sceglie di vivere; né l’uomo dovrebbe lamentarsi di quelle esperienze che sono parte della vita qual è vissuta su questo mondo. È volontà del Padre che l’uomo mortale lavori con persistenza e costanza al miglioramento della sua condizione sulla terra. Un’applicazione intelligente dovrebbe permettere all’uomo di trionfare su gran parte delle sue miserie terrene.
(1662.1) 148:5.4 “Natanaele, la nostra missione è di aiutare gli uomini a risolvere i loro problemi spirituali e di stimolare in tal modo la loro mente così che essi siano meglio preparati ed ispirati per risolvere i loro numerosi problemi materiali. Io conosco la vostra confusione dopo aver letto le Scritture. Troppo spesso è prevalsa la tendenza ad attribuire a Dio la responsabilità di tutto ciò che gli ignoranti non riescono a comprendere. Il Padre non è personalmente responsabile di tutto ciò che voi non riuscite a comprendere. Non dubitate dell’amore del Padre semplicemente perché una legge giusta e saggia dei suoi ordinamenti vi affligge in quanto avete involontariamente o deliberatamente trasgredito un tale decreto divino.
(1662.2) 148:5.5 “Tuttavia, Natanaele, c’è molto nelle Scritture che ti avrebbe istruito se solo tu avessi letto con discernimento. Non ti ricordi che è scritto: ‘Figlio mio, non disprezzare il castigo del Signore; non abbatterti per la sua correzione, perché il Signore corregge colui che ama, come il padre corregge il figlio in cui si compiace.’ ‘Il Signore non affligge volentieri.’ ‘Prima di essere afflitto mi ero sbagliato, ma ora osservo la legge. L’afflizione è stata un bene per me, perché così ho potuto conoscere gli statuti divini.’ ‘Conosco i vostri dispiaceri. Il Dio eterno è il vostro rifugio e vi sostiene con le sue braccia eterne.’ ‘Il Signore è un rifugio anche per gli oppressi, un porto di quiete nei momenti di difficoltà.’ ‘Il Signore lo fortificherà sul letto dell’afflizione; il Signore non dimenticherà gli ammalati.’ ‘Come un padre mostra compassione per i suoi figli, così il Signore ha compassione per coloro che lo temono. Egli conosce il vostro corpo; si ricorda che siete polvere.’ ‘Egli guarisce i cuori spezzati e medica le loro ferite.’ ‘Egli è la speranza del povero, la forza dell’indigente nella sua miseria, un rifugio contro la tempesta, un’ombra che protegge dal calore soffocante.’ ‘Egli dona potere al debole e rafforza coloro che non dispongono di alcun potere.’ ‘Egli non spezzerà una canna sbattuta dal vento e non spegnerà lo stoppino che fuma.’ ‘Quando attraverserete le acque dell’afflizione io sarò con voi, e quando i fiumi dell’avversità vi sommergeranno, non vi abbandonerò.’ ‘Egli mi ha mandato per curare i cuori spezzati, per proclamare la libertà ai prigionieri e per confortare tutti coloro che sono in lutto.’ ‘C’è correzione nella sofferenza; l’afflizione non scaturisce dalla polvere.’ ”
(1662.3) 148:6.1 Fu questa stessa sera a Betsaida che anche Giovanni chiese a Gesù perché un così gran numero di persone apparentemente innocenti soffrono di tante malattie e subiscono tante afflizioni. Rispondendo alle domande di Giovanni, tra molte altre cose, il Maestro disse:
(1662.4) 148:6.2 “Figlio mio, tu non comprendi il significato dell’avversità né la missione della sofferenza. Non hai letto quel capolavoro della letteratura semitica — la storia nelle Scritture delle afflizioni di Giobbe? Non ti ricordi come questa meravigliosa parabola comincia con il racconto della prosperità materiale del servo del Signore? Ti ricordi bene che Giobbe era benedetto con figli, ricchezze, dignità, posizione, salute e con tutte le altre cose alle quali gli uomini attribuiscono valore in questa vita temporale. Secondo gli insegnamenti tradizionalmente rispettati dei figli di Abramo questa prosperità materiale era una prova indiscutibile del favore divino. Ma tali possessi materiali e tale prosperità temporale non indicano il favore di Dio. Mio Padre che è nei cieli ama il povero quanto il ricco; non fa eccezione di persone.
(1663.1) 148:6.3 “Benché la trasgressione della legge divina sia seguita presto o tardi dal raccolto della punizione, sebbene gli uomini debbano certamente raccogliere alla fine ciò che hanno seminato, nondimeno dovresti sapere che la sofferenza umana non è sempre una punizione per dei peccati precedenti. Giobbe ed i suoi amici non trovarono la risposta giusta alle loro perplessità. Con l’illuminazione di cui tu godi ora non attribuiresti affatto a Satana o a Dio i ruoli che essi svolgono in questa parabola straordinaria. Anche se Giobbe non trovò, attraverso la sofferenza, la soluzione dei suoi problemi intellettuali o la soluzione delle sue difficoltà filosofiche, ottenne grandi vittorie; anche davanti al crollo delle sue difese teologiche egli si elevò a quelle altezze spirituali in cui poté sinceramente dire: ‘Detesto me stesso.’ Allora gli fu accordata la salvezza di una visione di Dio. Dunque, anche attraverso delle sofferenze mal comprese, Giobbe si elevò al piano superumano di comprensione morale e di percezione spirituale. Quando il servo sofferente ottenne una visione di Dio, ne seguì una pace dell’anima al di là di ogni umana comprensione.
(1663.2) 148:6.4 “Il primo degli amici di Giobbe, Elifaz, esortò il sofferente a mostrare nelle sue afflizioni la stessa forza d’animo che egli aveva raccomandato agli altri all’epoca della sua prosperità. Disse questo falso consolatore: ‘Abbi fiducia nella tua religione, Giobbe; ricordati che sono i cattivi e non i giusti che soffrono. Tu devi meritare questa punizione, perché altrimenti non ne saresti afflitto. Sai bene che nessun uomo può essere giusto agli occhi di Dio. Tu sai che i malvagi in realtà non prosperano mai. In ogni caso l’uomo sembra predestinato alle difficoltà, e forse il Signore ti castiga soltanto per il tuo bene.’ Naturalmente il povero Giobbe non trasse molto conforto da questa interpretazione del problema della sofferenza umana.
(1663.3) 148:6.5 “Ma il consiglio del suo secondo amico, Bildad, fu ancora più deprimente, nonostante la sua esattezza dal punto di vista della teologia allora accettata. Disse Bildad: ‘Dio non può essere ingiusto. I tuoi figli devono essere stati dei peccatori poiché sono morti; tu devi essere in errore, altrimenti non saresti così afflitto. E se tu sei realmente giusto, Dio ti libererà certamente dalle tue afflizioni. Dovresti imparare dalla storia dei rapporti di Dio con l’uomo che l’Onnipotente distrugge soltanto i malvagi.’
(1663.4) 148:6.6 “E poi ti ricordi come Giobbe rispose ai suoi amici dicendo: ‘So bene che Dio non ascolta il mio grido di aiuto. Come può Dio essere giusto e allo stesso tempo disconoscere così completamente la mia innocenza? Sto imparando che non posso trarre alcuna soddisfazione da un appello all’Onnipotente. Non riuscite a discernere che Dio tollera la persecuzione del buono da parte del cattivo? E poiché l’uomo è così debole, quale possibilità ha di trovare considerazione dalle mani di un Dio onnipotente? Dio mi ha fatto quale sono, e quando si rivolge così contro di me, io sono senza difese. Perché Dio mi ha creato soltanto perché io soffra in questa miserabile maniera?’
(1663.5) 148:6.7 “Chi può criticare il comportamento di Giobbe visto il consiglio dei suoi amici e le idee errate su Dio che occupavano la sua stessa mente? Non vedi che Giobbe desiderava ardentemente un Dio umano, che bramava comunicare con un Essere divino che conosce lo stato mortale dell’uomo e comprende che il giusto deve spesso soffrire nell’innocenza come parte di questa prima vita della lunga ascensione al Paradiso? Per questo il Figlio dell’Uomo è venuto dal Padre a vivere una tale vita nella carne che gli consentirà di confortare e di soccorrere tutti coloro che devono d’ora in poi essere chiamati a sopportare le afflizioni di Giobbe.
(1663.6) 148:6.8 “Il terzo amico di Giobbe, Zofar, gli rivolse poi delle parole ancora meno consolanti quando disse: ‘Sei stolto a pretendere di essere giusto, visto che sei afflitto in questo modo. Ma ammetto che è impossibile comprendere le vie di Dio. Forse c’è un disegno segreto in tutte le tue miserie.’ E dopo che ebbe ascoltato tutti e tre i suoi amici, Giobbe chiamò direttamente Dio in aiuto, adducendo il fatto che ‘l’uomo, nato da donna, ha pochi giorni da vivere ed è pieno di problemi.’
(1664.1) 148:6.9 “Poi cominciò il secondo incontro con i suoi amici. Elifaz divenne più severo, accusatore e sarcastico. Bildad s’indignò per il rimprovero di Giobbe ai suoi amici. Zofar ripeté i suoi consigli melanconici. Giobbe da questo momento si sentì disgustato dei suoi amici e fece di nuovo appello a Dio; e questa volta fece appello ad un Dio giusto invece che al Dio d’ingiustizia incorporato nella filosofia dei suoi amici ed incluso nel suo stesso atteggiamento religioso. Poi Giobbe si rifugiò nella consolazione di una vita futura in cui le iniquità dell’esistenza mortale possono essere più giustamente rettificate. Non ricevendo aiuto dagli uomini, Giobbe si rivolge a Dio. Poi segue la grande lotta nel suo cuore tra la fede e il dubbio. Finalmente, il sofferente umano comincia a vedere la luce della vita; la sua anima torturata si eleva a nuove altezze di speranza e di coraggio; egli può continuare a soffrire ed anche morire, ma la sua anima illuminata manda ora il grido di trionfo: ‘Il mio Difensore esiste!’
(1664.2) 148:6.10 “Giobbe aveva completamente ragione quando mise in dubbio la dottrina secondo la quale Dio affligge i figli per punire i loro genitori. Giobbe era sempre pronto ad ammettere che Dio è giusto, ma egli desiderava ardentemente una qualche rivelazione del carattere personale dell’Eterno che soddisfacesse la sua anima. E quella è la nostra missione sulla terra. I mortali sofferenti non si vedranno più negare la consolazione di conoscere l’amore di Dio e di comprendere la misericordia del Padre che è nei cieli. Mentre Dio che parlava dal turbine era un concetto maestoso per l’epoca in cui fu espresso, tu hai già imparato che il Padre non rivela in questo modo se stesso, ma che parla piuttosto nel cuore umano con sommessa, flebile voce, dicendo: ‘Questa è la via, seguila.’ Non comprendi che Dio dimora in te, che è divenuto ciò che tu sei per fare di te ciò che egli è!”
(1664.3) 148:6.11 Poi Gesù fece questa dichiarazione finale: “Il Padre che è nei cieli non affligge volontariamente i figli degli uomini. L’uomo soffre in primo luogo per gli accidenti del tempo e per le imperfezioni del male di un’esistenza fisica immatura. Poi soffre per le inesorabili conseguenze del peccato — la trasgressione delle leggi della vita e della luce. Ed infine l’uomo raccoglie la messe della sua stessa persistenza iniqua nella ribellione contro la giusta sovranità del cielo sulla terra. Ma le miserie dell’uomo non sono una punizione personale del giudizio divino. L’uomo può, e potrà, fare molto per diminuire le sue sofferenze temporali. Ma una volta per tutte lìberati dalla superstizione che Dio affligge l’uomo per ordine del maligno. Studia il Libro di Giobbe proprio per scoprire quante false idee su Dio possono intrattenere onestamente anche degli uomini buoni; e poi nota come il Giobbe dolorosamente provato trovò il Dio di consolazione e di salvezza malgrado questi insegnamenti erronei. Alla fine la sua fede perforò le nubi della sofferenza per discernere la luce della vita effusa dal Padre come misericordia curativa e rettitudine eterna.”
(1664.4) 148:6.12 Giovanni meditò queste parole nel suo cuore per molti giorni. Tutta la sua vita successiva fu notevolmente cambiata a seguito di questa conversazione con il Maestro nel giardino, e più tardi egli fece molto per indurre gli altri apostoli a cambiare il loro punto di vista sull’origine, la natura e lo scopo delle afflizioni umane ordinarie. Ma Giovanni non parlò mai di questo incontro fino a dopo che il Maestro fu partito.
(1664.5) 148:7.1 Il secondo sabato prima della partenza degli apostoli e del nuovo corpo di evangelisti per il secondo giro di predicazione in Galilea, Gesù parlò nella sinagoga di Cafarnao su “Le gioie del retto vivere”. Quando Gesù ebbe finito di parlare, un numeroso gruppo di storpi, zoppi, ammalati ed afflitti lo circondò per cercare la guarigione. In questo gruppo c’erano anche gli apostoli, molti dei nuovi evangelisti e le spie farisee venute da Gerusalemme. Ovunque Gesù andasse (eccetto quando andava sulle colline per occuparsi degli affari del Padre) le sei spie di Gerusalemme lo seguivano incessantemente.
(1665.1) 148:7.2 Mentre Gesù parlava al popolo, il capo delle spie farisee incitò un uomo con una mano avvizzita ad avvicinarsi a lui per chiedere se fosse lecito essere guariti nel giorno di sabato o se egli dovesse cercare aiuto un altro giorno. Quando Gesù vide l’uomo, ascoltò le sue parole e percepì che era stato mandato dai Farisei, disse: “Vieni avanti mentre ti pongo una domanda. Se tu avessi una pecora e questa cadesse in un burrone nel giorno di sabato, scenderesti giù, la afferreresti e la trarresti fuori? È lecito fare queste cose nel giorno di sabato?” E l’uomo rispose: “Sì, Maestro, sarebbe lecito fare questa buona azione nel giorno di sabato”. Allora Gesù disse, parlando a tutti loro: “Io so perché avete mandato quest’uomo in mia presenza. Voi vorreste trovare un motivo per incolparmi tentandomi di mostrare misericordia nel giorno di sabato. Tacitamente voi eravate tutti d’accordo che era lecito trarre la malcapitata pecora dal burrone, anche nel giorno di sabato, ed io vi chiamo tutti a testimoni che è lecito mostrare amorevole benevolenza nel giorno di sabato non soltanto verso gli animali ma anche verso gli uomini. Quanto più valore ha un uomo di una pecora! Io proclamo che è lecito fare del bene agli uomini nel giorno di sabato.” E mentre tutti loro stavano davanti a lui in silenzio, Gesù, rivolgendosi all’uomo con la mano avvizzita, disse: “Sta qui al mio fianco che tutti possano vederti. Ora, affinché tu possa sapere che è volontà di mio Padre che si faccia del bene nel giorno di sabato, se hai fede per essere guarito, ti chiedo di stendere la tua mano.”
(1665.2) 148:7.3 E mentre quest’uomo stendeva la sua mano avvizzita, essa fu risanata. La gente voleva rivoltarsi contro i Farisei, ma Gesù li pregò di restare calmi, dicendo: “Io vi ho detto che è lecito fare del bene di sabato, di salvare una vita, ma non vi ho insegnato a fare del male e a cedere al desiderio di uccidere.” I Farisei adirati se ne andarono via, e benché fosse il giorno di sabato, si recarono in fretta a Tiberiade per consigliarsi con Erode, facendo tutto quanto era in loro potere per risvegliare il suo pregiudizio al fine di assicurarsi l’alleanza degli Erodiani contro Gesù. Ma Erode rifiutò di prendere dei provvedimenti contro Gesù e li consigliò di portare le loro lamentele a Gerusalemme.
(1665.3) 148:7.4 Questo è il primo caso di un miracolo compiuto da Gesù in risposta alla sfida dei suoi nemici. Ed il Maestro compì questo cosiddetto miracolo, non per dimostrare il suo potere di guarire, ma per protestare efficacemente contro il fare del riposo religioso del sabato una vera schiavitù di restrizioni prive di senso per tutta l’umanità. Quest’uomo ritornò al suo lavoro di tagliapietre e si rivelò uno di coloro la cui guarigione fu seguita da una vita di ringraziamento e di rettitudine.
(1665.4) 148:8.1 Durante l’ultima settimana del soggiorno a Betsaida, le spie di Gerusalemme divennero molto divise sul loro atteggiamento verso Gesù ed i suoi insegnamenti. Tre di questi Farisei erano enormemente impressionati da ciò che avevano visto e udito. Nel frattempo, a Gerusalemme, un giovane ed influente membro del Sinedrio, di nome Abramo, abbracciò pubblicamente gli insegnamenti di Gesù e fu battezzato nella piscina di Siloe da Abner. Tutta Gerusalemme fu scossa di questo avvenimento, e dei messaggeri furono immediatamente inviati a Betsaida per richiamare le spie farisee.
(1666.1) 148:8.2 Il filosofo greco che era stato conquistato al regno nel precedente giro della Galilea ritornò con alcuni ricchi Ebrei di Alessandria, ed invitarono ancora una volta Gesù a recarsi nella loro città per istituire una scuola mista di filosofia e di religione ed un ospedale per gli ammalati. Ma Gesù declinò cortesemente l’invito.
(1666.2) 148:8.3 In quel tempo arrivò all’accampamento di Betsaida un profeta estatico di Bagdad, un certo Kirmet. Questo preteso profeta aveva delle visioni particolari quando era in trance e faceva dei sogni fantastici quando il suo sonno era disturbato. Egli creò un considerevole turbamento nel campo, e Simone Zelota era dell’avviso di trattare piuttosto duramente il simulatore autoilluso, ma Gesù intervenne per lasciargli piena libertà d’azione per alcuni giorni. Tutti quelli che ascoltarono la sua predicazione riconobbero subito che il suo insegnamento non era valido a confronto con il vangelo del regno. Egli tornò ben presto a Bagdad, conducendo con lui soltanto una mezza dozzina di anime instabili e stravaganti. Ma prima che Gesù intercedesse a favore del profeta di Bagdad, Davide Zebedeo, assistito da un comitato formatosi spontaneamente, aveva portato Kirmet fuori sul lago e, dopo averlo immerso ripetutamente nell’acqua, lo avevano consigliato di andarsene al più presto — di organizzare e costruire un proprio campo.
(1666.3) 148:8.4 In questo stesso giorno, Bet-Marion, una donna fenicia, divenne così fanatica che perse la testa e, dopo essere quasi annegata tentando di camminare sull’acqua, fu mandata via dai suoi amici.
(1666.4) 148:8.5 Il nuovo convertito di Gerusalemme, Abramo il Fariseo, donò tutti i suoi beni terreni al tesoro apostolico, e questo apporto contribuì molto a rendere possibile l’immediato invio in missione dei cento evangelisti recentemente istruiti. Andrea aveva già annunciato la chiusura del campo, e ciascuno si preparò o a rientrare a casa propria o a seguire gli evangelisti in Galilea.
(1666.5) 148:9.1 Il venerdì pomeriggio 1° ottobre, mentre Gesù teneva la sua ultima riunione con gli apostoli, gli evangelisti e gli altri responsabili dell’accampamento in corso di smantellamento, e con i sei Farisei di Gerusalemme seduti in prima fila di questa assemblea nella spaziosa ed ingrandita sala posta nella parte anteriore della casa di Zebedeo, avvenne uno dei più strani e straordinari episodi di tutta la vita terrena di Gesù. Il Maestro in questo momento stava parlando in piedi in questa ampia sala, che era stata costruita per ospitare queste riunioni durante la stagione delle piogge. La casa era completamente circondata da un gran numero di persone che tendevano l’orecchio per afferrare qualche parte del discorso di Gesù.
(1666.6) 148:9.2 Mentre la casa era così affollata di gente e completamente circondata da ascoltatori ferventi, un uomo da lungo tempo afflitto da paralisi fu portato da Cafarnao su un lettino dai suoi amici. Questo paralitico aveva sentito dire che Gesù stava per lasciare Betsaida, e dopo aver parlato con Aaron il tagliapietre, che era stato recentemente guarito, decise di farsi portare in presenza di Gesù per cercare la guarigione. I suoi amici tentarono di entrare nella casa di Zebedeo sia per la porta anteriore che per la porta posteriore, ma c’era troppa gente ammassata. Tuttavia il paralitico rifiutò di accettare la sconfitta. Egli incaricò i suoi amici di procurarsi delle scale con le quali salirono sul tetto della sala in cui Gesù stava parlando, e dopo aver tolto le tegole, calarono audacemente l’uomo ammalato sul suo letto con delle corde fino a che l’afflitto non fu sul pavimento proprio davanti al Maestro. Quando Gesù vide quello che avevano fatto, cessò di parlare, mentre quelli che erano con lui nella sala si meravigliarono per la perseveranza del malato e dei suoi amici. Disse il paralitico: “Maestro, non vorrei disturbare il tuo insegnamento, ma sono determinato ad essere guarito. Io non sono come coloro che ricevettero la guarigione e dimenticarono immediatamente il tuo insegnamento. Io vorrei essere guarito per servire nel tuo regno dei cieli.” Ora, benché l’infermità di quest’uomo fosse stata causata dalla sua vita dissoluta, Gesù, vedendo la sua fede, disse al paralitico: “Figlio, non temere; i tuoi peccati sono perdonati. La tua fede ti salverà.”
(1667.1) 148:9.3 Quando i Farisei di Gerusalemme, con gli altri Scribi e legisti seduti con loro, udirono questa dichiarazione di Gesù, cominciarono a dirsi: “Come osa quest’uomo parlare così? Non capisce che queste parole sono blasfeme? Chi può perdonare il peccato se non Dio?” Gesù, percependo nel suo spirito che essi ragionavano così nella loro mente e tra di loro, parlò loro dicendo: “Perché ragionate così nel vostro cuore? Chi siete voi per giudicarmi? Qual è la differenza se dico a questo paralitico i tuoi peccati sono perdonati, o alzati, prendi il tuo letto e cammina? Ma affinché voi che siete testimoni di tutto ciò possiate sapere definitivamente che il Figlio dell’Uomo ha autorità e potere sulla terra per perdonare i peccati, io dirò a quest’uomo afflitto: alzati, prendi il tuo letto e va a casa tua.” E quando Gesù ebbe parlato così, il paralitico si alzò, e mentre gli astanti gli aprivano un varco, egli uscì davanti a tutti loro. E coloro che videro queste cose furono stupefatti. Pietro congedò l’assemblea, mentre molti pregavano e glorificavano Dio, confessando che non avevano mai visto prima avvenimenti così straordinari.
(1667.2) 148:9.4 Fu in questo momento che i messaggeri del Sinedrio arrivarono per dire alle sei spie di ritornare a Gerusalemme. Quando udirono questo messaggio, essi ebbero un acceso dibattito tra di loro; e dopo aver terminato le loro discussioni, il capo e due dei suoi compagni ritornarono con i messaggeri a Gerusalemme, mentre tre delle spie farisee confessarono la loro fede in Gesù e, andando immediatamente al lago, furono battezzati da Pietro ed ammessi dagli apostoli nella comunità quali figli del regno.
(1668.1) 149:0.1 IL SECONDO giro di predicazione pubblica in Galilea cominciò domenica 3 ottobre dell’anno 28 d.C. e continuò per quasi tre mesi, terminando il 30 di dicembre. Parteciparono a questo sforzo Gesù ed i suoi dodici apostoli, assistiti dal corpo recentemente reclutato di 117 evangelisti e da numerose altre persone interessate. In questo giro essi visitarono Gadara, Tolemaide, Jafia, Dabaritta, Meghiddo, Izreel, Scitopoli, Tarichea, Hippos, Gamala, Betsaida-Gulia e molte altre città e villaggi.
(1668.2) 149:0.2 Prima di partire questa domenica mattina, Andrea e Pietro chiesero a Gesù di definire gli incarichi dei nuovi evangelisti, ma il Maestro rifiutò dicendo che non era sua competenza fare cose che altri potevano eseguire in modo accettabile. Dopo debita discussione fu deciso che avrebbe stabilito i loro incarichi Giacomo Zebedeo. A conclusione delle osservazioni di Giacomo, Gesù disse agli evangelisti: “Andate ora a svolgere il lavoro di cui siete stati incaricati, e più avanti, quando vi sarete dimostrati competenti e fedeli, vi ordinerò per predicare il vangelo del regno.”
(1668.3) 149:0.3 In questo giro soltanto Giacomo e Giovanni viaggiarono con Gesù. Pietro e gli altri apostoli condussero con loro una dozzina di evangelisti ciascuno, e mantennero uno stretto contatto con costoro mentre proseguivano la loro opera di predicazione e d’insegnamento. Appena dei credenti erano pronti ad entrare nel regno, gli apostoli amministravano il battesimo. Gesù ed i suoi due compagni viaggiarono molto durante questi tre mesi, visitando spesso due città in un solo giorno per osservare il lavoro degli evangelisti e per incoraggiarli nei loro sforzi per l’instaurazione del regno. Tutto questo secondo giro di predicazione fu principalmente uno sforzo per far acquisire esperienza pratica al corpo dei 117 evangelisti recentemente istruiti.
(1668.4) 149:0.4 Per tutto questo periodo e successivamente, fino al momento della partenza finale di Gesù e dei dodici per Gerusalemme, Davide Zebedeo mantenne un quartier generale permanente per l’opera del regno nella casa di suo padre a Betsaida. Questa fu la sede centrale del lavoro di Gesù sulla terra, e la stazione di ricambio per il servizio di messaggeri che Davide gestiva tra coloro che lavoravano nelle varie parti della Palestina e delle regioni adiacenti. Egli fece tutto questo di propria iniziativa, ma con l’approvazione di Andrea. Davide impiegava da quaranta a cinquanta messaggeri in questo settore d’informazioni sul lavoro del regno, che si ampliava e si estendeva rapidamente. Mentre era impegnato in questo modo, egli si guadagnava parzialmente da vivere dedicando un po’ del suo tempo al vecchio lavoro di pescatore.
(1668.5) 149:1.1 Nel momento in cui il campo di Betsaida fu tolto, la fama di Gesù, specialmente come guaritore, si era sparsa in tutte le parti della Palestina, in tutta la Siria e nelle regioni circostanti. Per settimane dopo che avevano lasciato Betsaida, gli ammalati continuarono ad arrivare, e quando non trovavano il Maestro, sapendo da Davide dove si trovava, partivano alla sua ricerca. In questo giro Gesù non compì deliberatamente alcun cosiddetto miracolo di guarigione. Ciononostante, decine di persone sofferenti riacquistarono salute e felicità grazie al potere ricostituente della fede intensa che li spingeva a cercare la guarigione.
(1669.1) 149:1.2 All’epoca di questa missione cominciò ad apparire — e continuò per tutto il resto della vita terrena di Gesù — una particolare ed inspiegabile serie di fenomeni di guarigione. Nel corso di questo giro di tre mesi più di cento uomini, donne e bambini della Giudea, dell’Idumea, della Galilea, della Siria, di Tiro, di Sidone e delle regioni al di là del Giordano, beneficiarono di questa inconsapevole guarigione da parte di Gesù e, tornando alle loro case, contribuirono ad accrescere la fama di Gesù. Ed essi fecero questo malgrado che Gesù, ogni volta che osservava uno di questi casi di guarigione spontanea, ordinasse direttamente al beneficiario di “non parlarne a nessuno”.
(1669.2) 149:1.3 Non ci è mai stato rivelato che cosa avvenne esattamente in questi casi di guarigione spontanea od incosciente. Il Maestro non spiegò mai ai suoi apostoli come si fossero prodotte queste guarigioni, limitandosi a dire in parecchie occasioni: “Percepisco che del potere è uscito da me.” In un’occasione egli rimarcò, dopo essere stato toccato da un ragazzo ammalato: “Percepisco che della vita è uscita da me.”
(1669.3) 149:1.4 In mancanza d’indicazioni dirette da parte del Maestro sulla natura di questi casi di guarigione spontanea, sarebbe presuntuoso da parte nostra tentare di spiegare come furono compiuti, ma ci è stato permesso esprimere la nostra opinione su tutti questi fenomeni di guarigione. Noi crediamo che molti di questi apparenti miracoli di guarigione, quali si produssero nel corso del ministero terreno di Gesù, furono il risultato della coesistenza delle tre seguenti autorevoli, potenti ed associate influenze:
(1669.4) 149:1.5 1. La presenza di una fede forte, dominante e vivente nel cuore dell’essere umano che cercava persistentemente di essere guarito, unitamente al fatto che tale guarigione era desiderata per i suoi benefici spirituali piuttosto che per un ristabilimento puramente fisico.
(1669.5) 149:1.6 2. L’esistenza, concomitante con questa fede umana, della grande comprensione e compassione dell’incarnato e dominato dalla misericordia Figlio di Dio Creatore, che possedeva realmente nella sua persona dei poteri e delle prerogative di guarigione creativa quasi illimitati e indipendenti dal tempo.
(1669.6) 149:1.7 3. Insieme con la fede della creatura e la vita del Creatore, si dovrebbe anche notare che questo Dio-uomo era l’espressione personificata della volontà del Padre. Se nel contatto tra il bisogno umano ed il potere divino di soddisfarla il Padre non voleva diversamente, i due divenivano uno, e la guarigione si produceva inconsciamente nel Gesù umano, ma era immediatamente riconosciuta dalla sua natura divina. La spiegazione, dunque, di molti di questi casi di guarigione deve essere trovata in una grande legge che noi conosciamo da lungo tempo, e cioè: ciò che il Figlio Creatore desidera ed anche il Padre eterno vuole, È.
(1669.7) 149:1.8 È quindi nostra opinione che nella personale presenza di Gesù certe forme di profonda fede umana obbligavano letteralmente e veramente la manifestazione della guarigione per mezzo di certe forze e personalità creative dell’universo che erano in quel tempo così intimamente associate al Figlio dell’Uomo. È quindi un fatto documentato che Gesù consentì frequentemente a degli uomini sofferenti di guarire se stessi in sua presenza con la loro potente fede personale.
(1670.1) 149:1.9 Molti altri cercarono la guarigione per scopi puramente egoistici. Una ricca vedova di Tiro, accompagnata dal suo seguito, venne per essere guarita dalle sue infermità, che erano numerose. E seguendo Gesù per quasi tutta la Galilea, essa continuò ad offrirgli sempre più denaro, come se il potere di Dio fosse qualcosa che poteva essere acquistato dal miglior offerente. Ma essa non s’interessò mai al vangelo del regno; era solo la guarigione dai suoi disturbi fisici che cercava.
(1670.2) 149:2.1 Gesù comprendeva la mente degli uomini. Egli conosceva quello che c’era nel cuore dell’uomo, e se i suoi insegnamenti fossero stati trasmessi come li presentava, con per solo commento l’interpretazione ispirata offerta dalla sua vita terrena, tutte le nazioni e tutte le religioni del mondo avrebbero rapidamente abbracciato il vangelo del regno. Gli sforzi fatti a fin di bene dai primi discepoli di Gesù per riformulare i suoi insegnamenti in modo da renderli più accettabili a certe nazioni, razze e religioni, ebbero per solo risultato di rendere tali insegnamenti meno accettabili a tutte le altre nazioni, razze e religioni.
(1670.3) 149:2.2 L’apostolo Paolo, nei suoi sforzi per portare gli insegnamenti di Gesù all’attenzione favorevole di certi gruppi del suo tempo, scrisse numerose lettere d’istruzione e di raccomandazione. Altri insegnanti del vangelo di Gesù fecero altrettanto, ma nessuno di loro pensò che alcuni di questi scritti sarebbero stati successivamente riuniti da coloro che li avrebbero presentati come l’espressione degli insegnamenti di Gesù. E così, benché il cosiddetto Cristianesimo contenga maggiori elementi del vangelo del Maestro rispetto a qualsiasi altra religione, contiene anche molte cose che Gesù non insegnò. A parte l’incorporazione di molti insegnamenti dei misteri persiani e di molti elementi della filosofia greca nel Cristianesimo primitivo, furono commessi due grandi errori:
(1670.4) 149:2.3 1. Lo sforzo di collegare l’insegnamento del vangelo direttamente alla teologia ebraica, com’è illustrato dalle dottrine cristiane dell’espiazione — l’insegnamento che Gesù era il Figlio sacrificato che avrebbe soddisfatto la giustizia severa del Padre e placato la collera divina. Questi insegnamenti ebbero origine dal lodevole tentativo di rendere il vangelo del regno più accettabile agli Ebrei non credenti. Mentre questi sforzi fallirono per quanto concerne l’adesione degli Ebrei, non mancarono di confondere ed alienare molte anime oneste di tutte le generazioni successive.
(1670.5) 149:2.4 2. Il secondo grande errore dei primi discepoli del Maestro, un errore che tutte le generazioni successive hanno persistito nel perpetuare, fu di organizzare l’insegnamento cristiano così completamente riguardo alla persona di Gesù. Questa eccessiva enfasi della personalità di Gesù nella teologia del Cristianesimo ha contribuito ad oscurare i suoi insegnamenti, e tutto ciò ha reso sempre più difficile per gli Ebrei, i Maomettani, gli Indù ed i membri delle altre religioni orientali di accettare gli insegnamenti di Gesù. Noi non vorremmo sminuire la posizione della persona di Gesù in una religione che può portare il suo nome, ma vorremmo non permettere a tale considerazione di eclissare la sua vita ispirata o di soppiantare il suo messaggio di salvezza: la paternità di Dio e la fratellanza degli uomini.
(1670.6) 149:2.5 Gli insegnanti della religione di Gesù dovrebbero avvicinare le altre religioni riconoscendo le verità che hanno in comune (molte delle quali provengono direttamente o indirettamente dal messaggio di Gesù), astenendosi dal porre tanta enfasi sulle differenze.
(1671.1) 149:2.6 Anche se in quel particolare momento la fama di Gesù era principalmente dovuta alla sua reputazione di guaritore, non è detto che dovesse essere sempre così. Via via che il tempo passava egli era sempre più cercato per il suo aiuto spirituale. Tuttavia erano le cure fisiche che esercitavano l’attrattiva più diretta ed immediata sulla gente comune. Gesù era sempre più cercato dalle vittime della schiavitù morale e dei disturbi mentali, ed egli insegnava loro invariabilmente la via della liberazione. Dei padri cercavano i suoi consigli riguardo alla direzione dei loro figli, e delle madri venivano per essere aiutate nella guida delle loro figlie. Coloro che stavano nelle tenebre venivano da lui, ed egli rivelava loro la luce della vita. Il suo orecchio era sempre aperto alle afflizioni dell’umanità ed egli aiutava sempre coloro che cercavano il suo ministero.
(1671.2) 149:2.7 Quando il Creatore stesso era sulla terra, incarnato nelle sembianze della carne mortale, era inevitabile che accadessero delle cose straordinarie. Ma voi non dovreste mai accostarvi a Gesù attraverso questi cosiddetti avvenimenti miracolosi. Imparate ad accostarvi ai miracoli attraverso Gesù, ma non commettete l’errore di accostarvi a Gesù attraverso i miracoli. Questa raccomandazione è legittima, nonostante che Gesù di Nazaret sia l’unico fondatore di una religione ad aver compiuto degli atti soprannaturali sulla terra.
(1671.3) 149:2.8 L’aspetto più sorprendente e rivoluzionario della missione terrena di Micael fu il suo atteggiamento verso le donne. In un’epoca ed in una generazione in cui era sconveniente per un uomo salutare in pubblico anche la propria moglie, Gesù osò utilizzare le donne come insegnanti del vangelo in connessione con il suo terzo giro di predicazione in Galilea. Ed egli ebbe il coraggio supremo di fare questo di fronte all’insegnamento rabbinico che proclamava che era “meglio che le parole della legge fossero bruciate piuttosto che concederle alle donne”.
(1671.4) 149:2.9 In una sola generazione Gesù fece uscire le donne dall’oblio irrispettoso e dai lavori servili di secoli. Ed è una cosa vergognosa per la religione che si permise di assumere il nome di Gesù non avere avuto il coraggio morale di seguire questo nobile esempio nel suo atteggiamento successivo verso le donne.
(1671.5) 149:2.10 Quando Gesù si mescolava alla gente, essi lo trovavano completamente libero dalle superstizioni di quel tempo. Egli era libero da pregiudizi religiosi; non era mai intollerante. Non aveva niente nel suo cuore che somigliasse ad un antagonismo sociale. Mentre aderiva a ciò che c’era di buono nella religione dei suoi padri, non esitava a trascurare le tradizioni di superstizione e di schiavitù create dall’uomo. Egli osò insegnare che le catastrofi naturali, gli accidenti del tempo ed altri avvenimenti calamitosi non sono né punizioni del giudizio divino né decreti misteriosi della Provvidenza. Egli condannò la devozione servile a cerimoniali privi di senso e denunciò la fallacia del culto materialistico. Proclamò coraggiosamente la libertà spirituale degli uomini ed osò insegnare che i mortali incarnati sono in fatto ed in verità figli del Dio vivente.
(1671.6) 149:2.11 Gesù trascese tutti gli insegnamenti dei suoi antenati quando sostituì audacemente cuori puri a mani pulite come indice della vera religione. Egli pose la realtà al posto della tradizione e spazzò via ogni pretesa di vanità e d’ipocrisia. E tuttavia questo intrepido uomo di Dio non diede corso a critiche distruttive né manifestò un totale disprezzo per le usanze religiose, sociali, economiche e politiche del suo tempo. Egli non era un rivoluzionario militante; era un evoluzionista progressista. S’impegnò nella distruzione di ciò che c’era solo quando contemporaneamente offrì ai suoi simili la cosa superiore che doveva esserci.
(1672.1) 149:2.12 Gesù ottenne l’obbedienza dei suoi discepoli senza esigerla. Soltanto tre uomini che ricevettero il suo appello personale rifiutarono di accettare l’invito a divenire suoi discepoli. Egli esercitava un potere d’attrazione particolare sugli uomini, ma non era dittatoriale. Raccomandava la fiducia, e nessuno si risentì mai di ricevere un ordine da lui. Egli assumeva un’autorità assoluta sui suoi discepoli, ma nessuno fece mai obiezioni. Permetteva ai suoi discepoli di chiamarlo Maestro.
(1672.2) 149:2.13 Il Maestro era ammirato da tutti coloro che incontrava, eccetto che da coloro che avevano pregiudizi religiosi molto radicati o da coloro che credevano di discernere dei pericoli politici nei suoi insegnamenti. Gli uomini rimanevano stupiti dall’originalità e dall’autorevolezza del suo insegnamento. Essi si meravigliavano della sua pazienza verso i ritardati e gli importuni che lo interrogavano. Egli ispirava speranza e fiducia nel cuore di tutti coloro che beneficiavano del suo ministero. Solo coloro che non l’avevano mai incontrato lo temevano, ed era odiato solo da coloro che lo consideravano come il campione di una verità destinata a distruggere il male e l’errore che essi avevano deciso di mantenere nel loro cuore ad ogni costo.
(1672.3) 149:2.14 Sia sugli amici che sui nemici egli esercitava una forte e particolarmente affascinante influenza. Folle di persone lo seguivano per settimane solo per ascoltare le sue parole gentili ed osservare la sua vita semplice. Uomini e donne devoti amavano Gesù di un affetto quasi sovrumano. E più lo conoscevano più lo amavano. E tutto ciò è ancora vero; anche oggi ed in tutte le ere future, più un uomo conoscerà questo Dio-uomo, più lo amerà e lo seguirà.
(1672.4) 149:3.1 Nonostante l’accoglienza favorevole di Gesù e dei suoi insegnamenti da parte del popolo comune, i capi religiosi di Gerusalemme erano sempre più allarmati ed ostili. I Farisei avevano formulato una teologia sistematica e dogmatica. Gesù era un maestro che insegnava secondo i bisogni del momento; non era un insegnante sistematico. Gesù insegnava non tanto attingendo dalla legge quanto dalla vita, dalle parabole. (E quando impiegava una parabola per illustrare il suo messaggio, si proponeva di utilizzare un solo aspetto della storia a tale scopo. Molte idee errate riguardo agli insegnamenti di Gesù possono risultare dal tentativo di trasformare le sue parabole in allegorie.)
(1672.5) 149:3.2 I capi religiosi di Gerusalemme divennero furibondi a seguito della recente conversione del giovane Abramo e della diserzione delle tre spie che erano state battezzate da Pietro, e che ora erano andate con gli evangelisti nel secondo giro di predicazione in Galilea. I dirigenti ebrei erano sempre più accecati dal timore e dal pregiudizio, mentre il loro cuore era indurito dal continuo rifiuto delle attraenti verità del vangelo del regno. Quando gli uomini si chiudono al richiamo dello spirito che risiede in loro, c’è poco da fare per modificare il loro atteggiamento.
(1672.6) 149:3.3 Quando Gesù incontrò per la prima volta gli evangelisti al campo di Betsaida, concludendo la sua allocuzione, disse: “Dovreste ricordarvi che nel corpo e nella mente — emotivamente — gli uomini reagiscono in modo individuale. La sola cosa uniforme degli uomini è lo spirito interiore. Anche se gli spiriti divini possono variare un po’ per natura e per ampiezza della loro esperienza, essi reagiscono uniformemente a tutti gli appelli spirituali. Soltanto grazie a questo spirito, ed appellandosi a lui, l’umanità potrà raggiungere l’unità e la fratellanza.” Ma molti capi degli Ebrei avevano chiuso la porta del loro cuore all’appello spirituale del vangelo. Da questo giorno in poi essi non cessarono di fare piani e di complottare per la distruzione del Maestro. Essi erano convinti che Gesù dovesse essere arrestato, condannato e giustiziato come trasgressore religioso, violatore degli insegnamenti cardinali della sacra legge degli Ebrei.
(1673.1) 149:4.1 Gesù fece pochissimo lavoro pubblico in questo giro di predicazione, ma condusse molte classi serali per i credenti nella maggior parte delle città e dei villaggi in cui ebbe l’occasione di soggiornare con Giacomo e Giovanni. In una di queste sessioni serali uno dei giovani evangelisti pose a Gesù una domanda sulla collera, ed in risposta il Maestro disse tra le altre cose:
(1673.2) 149:4.2 “La collera è una manifestazione materiale che rappresenta, in senso generale, la misura in cui la natura spirituale non è riuscita ad acquisire il controllo delle nature intellettuale e fisica congiunte. La collera indica la vostra mancanza d’amore fraterno tollerante, oltre che la vostra mancanza di rispetto di sé e di autocontrollo. La collera debilita la salute, avvilisce la mente ed ostacola l’istruttore spirituale dell’anima dell’uomo. Non avete letto nelle Scritture che ‘l’ira uccide l’uomo sciocco’ e che quell’uomo ‘dilania se stesso nella sua collera’? Che ‘colui che è lento all’ira possiede una grande comprensione’, mentre ‘colui che è di temperamento irascibile esalta la follia’? Voi sapete tutti che ‘una risposta gentile allontana l’ira’ e che ‘delle parole dure fomentano la collera’. ‘Il discernimento tiene lontana la collera’, mentre ‘colui che non ha alcun controllo di se stesso è simile ad una città senza difese e senza mura’. ‘L’ira è crudele e la collera è oltraggiosa.’ ‘Gli uomini adirati fomentano le liti, mentre i furiosi moltiplicano le loro trasgressioni.’ ‘Non siate di spirito irascibile, perché la collera sta nel seno degli sciocchi.’ ” Prima di terminare di parlare Gesù disse ancora: “Che il vostro cuore sia dominato dall’amore, così che la vostra guida spirituale abbia poca difficoltà a liberarvi dalla tendenza a lasciar via libera a quegli accessi di collera animale che sono incompatibili con lo status di filiazione divina.”
(1673.3) 149:4.3 In questa stessa occasione il Maestro parlò al gruppo sulla desiderabilità di possedere un carattere ben equilibrato. Egli riconobbe che era necessario per la maggior parte degli uomini dedicarsi ad imparare un qualche mestiere, ma deplorò ogni tendenza ad una specializzazione eccessiva, ad attività della vita che portano alla ristrettezza mentale e che sono limitative. Egli richiamò l’attenzione sul fatto che ogni virtù, se portata agli estremi, può divenire un vizio. Gesù predicò sempre la temperanza ed insegnò la coerenza — l’adattamento appropriato ai problemi della vita. Egli fece rilevare che un eccesso di compassione e di pietà può degenerare in una grave instabilità emotiva; che l’entusiasmo può portare al fanatismo. Egli analizzò il carattere di uno dei loro vecchi associati la cui immaginazione l’aveva coinvolto in imprese visionarie ed irrealizzabili. Allo stesso tempo li mise in guardia contro i pericoli della monotonia di una mediocrità troppo conservatrice.
(1673.4) 149:4.4 Poi Gesù parlò dei pericoli del coraggio e della fede, del modo in cui essi conducono talvolta delle anime avventate alla temerarietà e alla presunzione. Egli mostrò anche come la prudenza e la discrezione, quando sono spinte troppo lontano, portano alla codardia e all’insuccesso. Esortò i suoi ascoltatori a sforzarsi di essere originali, pur evitando ogni tendenza all’eccentricità. Egli si dichiarò a favore della compassione senza sentimentalismo, della pietà senza ipocrisia. Insegnò un rispetto libero dalla paura e dalla superstizione.
(1674.1) 149:4.5 Non fu tanto quello che Gesù insegnò sul carattere equilibrato che impressionò i suoi associati quanto il fatto che la sua stessa vita era un’esemplificazione eloquente del suo insegnamento. Egli visse in mezzo a tensioni e tempeste, ma non vacillò mai. I suoi nemici gli tesero continuamente dei tranelli, ma non lo intrappolarono mai. I saggi e gli eruditi si sforzarono di coglierlo in fallo, ma egli non incespicò. Essi cercarono di coinvolgerlo in discussioni, ma le sue risposte erano sempre illuminanti, piene di dignità e definitive. Quando veniva interrotto nei suoi discorsi con molteplici domande, le sue risposte erano sempre significative e conclusive. Egli non fece mai ricorso a tattiche ignobili per far fronte alla continua pressione dei suoi nemici, che non esitavano ad impiegare ogni sorta di metodi falsi, sleali e disonesti per attaccarlo.
(1674.2) 149:4.6 Pur essendo vero che molti uomini e donne devono applicarsi assiduamente ad una qualche attività definita per la loro sussistenza, è tuttavia totalmente desiderabile che gli esseri umani coltivino un’ampia gamma di conoscenze culturali sulla vita, così com’è vissuta sulla terra. Le persone veramente istruite non sono soddisfatte di rimanere nell’ignoranza sulla vita e sugli atti dei loro simili.
(1674.3) 149:5.1 Mentre Gesù era in visita al gruppo di evangelisti che lavorava sotto la supervisione di Simone Zelota, nel corso della loro conferenza della sera Simone chiese al Maestro: “Perché certe persone sono talmente più felici e contente di altre? La contentezza è una questione di esperienza religiosa?” Tra le altre cose, Gesù disse in risposta alla domanda di Simone:
(1674.4) 149:5.2 “Simone, certe persone sono per natura più felici di altre. Molto, moltissimo, dipende dalla compiacenza dell’uomo a lasciarsi condurre e dirigere dallo spirito del Padre che vive in lui. Non hai letto nelle Scritture le parole del saggio: ‘Lo spirito dell’uomo è la candela del Signore che scruta ogni sua parte interiore?’ Ed anche che tali mortali guidati dallo spirito dicono: ‘Le linee sono cadute su di me in luoghi piacevoli; sì, ho un’abbondante eredità.’ ‘Quel poco che possiede un uomo retto vale più delle ricchezze di molti malvagi’, perché ‘un uomo buono sarà soddisfatto per se stesso’. ‘Un cuore felice fa un volto contento ed è una festa continua. È meglio poco con il rispetto del Signore che un grande tesoro accompagnato da preoccupazioni. È meglio un pasto di legumi con amore che un bue grasso accompagnato da odio. Meglio poco con rettitudine che grandi guadagni senza onestà.’ ‘Un cuore felice fa bene come una medicina.’ ‘È meglio una manciata di grano con tranquillità che una sovrabbondanza di beni con dolore e vessazione dello spirito.’
(1674.5) 149:5.3 “Molti dispiaceri dell’uomo sono originati dalla delusione delle sue ambizioni e dall’offesa del suo orgoglio. Benché gli uomini abbiano il dovere di condurre nel modo migliore la loro vita sulla terra, dopo essersi impegnati sinceramente in questo senso, dovrebbero accettare serenamente la loro sorte ed esercitare l’ingegno per trarre il meglio da quanto è capitato nelle loro mani. Troppe difficoltà dell’uomo hanno origine dalla profonda paura del suo stesso cuore naturale. ‘Il malvagio scappa quando nessuno lo insegue.’ ‘Il malvagio è simile ad un mare agitato, perché non riposa, ma le sue acque gettano a riva fango e sporcizia; non c’è pace, dice Dio, per il malvagio.’
(1674.6) 149:5.4 “Non cercate, dunque, una pace falsa e gioie temporanee, ma piuttosto la sicurezza della fede e la certezza della filiazione divina, che danno quiete, contentezza e gioia suprema nello spirito.”
(1675.1) 149:5.5 Gesù non considerava questo mondo una “valle di lacrime”. Lo considerava piuttosto la sfera natale degli spiriti eterni ed immortali destinati a salire in Paradiso, la “valle della creazione delle anime”.
(1675.2) 149:6.1 Fu a Gamala, durante la conferenza della sera, che Filippo disse a Gesù: “Maestro, perché le Scritture ci ordinano di ‘temere il Signore’, mentre tu vorresti che ci rivolgessimo al Padre che è nei cieli senza paura? Come possiamo conciliare questi insegnamenti?” E Gesù replicò a Filippo dicendo:
(1675.3) 149:6.2 “Figli miei, non sono sorpreso che mi poniate tali domande. All’inizio era solo per mezzo della paura che l’uomo poteva imparare il rispetto, ma io sono venuto a rivelare l’amore del Padre affinché voi siate portati ad adorare l’Eterno attratti dal riconoscimento affettuoso di un figlio e dal contraccambio dell’amore profondo e perfetto del Padre. Io vorrei liberarvi dalla schiavitù di sottomettervi con timore servile al servizio fastidioso di un Re-Dio geloso e collerico. Io vorrei istruirvi sulla relazione Padre-figlio tra Dio e l’uomo, in modo che siate portati gioiosamente a quella libera, sublime e celeste adorazione di un Dio-Padre affettuoso, giusto e misericordioso.
(1675.4) 149:6.3 “Il ‘timore del Signore’ ha avuto differenti significati nelle ere successive, cominciando dalla paura, attraverso l’angoscia ed il terrore, fino al timore reverenziale e al rispetto. E partendo dal rispetto vorrei ora elevarvi, passando attraverso il riconoscimento, la realizzazione e l’apprezzamento, all’amore. Quando l’uomo riconosce soltanto le opere di Dio, è portato a temere il Supremo; ma quando l’uomo comincia a comprendere e a sperimentare la personalità ed il carattere del Dio vivente, è portato ad amare sempre di più un simile Padre buono e perfetto, universale ed eterno. Ed è proprio questo cambiamento della relazione tra l’uomo e Dio che costituisce la missione del Figlio dell’Uomo sulla terra.
(1675.5) 149:6.4 “I figli intelligenti non temono per il loro padre allo scopo di ricevere dei bei doni da lui; ma avendo già ricevuto l’abbondanza di buone cose donate dai dettami dell’affetto del padre per i suoi figli e le sue figlie, questi figli benamati sono portati ad amare il loro padre in riconoscimento ed apprezzamento di risposta a tale generosa beneficenza. La bontà di Dio porta al pentimento; la benevolenza di Dio porta al servizio; la misericordia di Dio porta alla salvezza; mentre l’amore di Dio porta all’adorazione intelligente e spontanea.
(1675.6) 149:6.5 “I vostri antenati temevano Dio perché era potente e misterioso. Voi lo adorerete perché è magnifico in amore, generoso in misericordia e glorioso in verità. La potenza di Dio genera timore nel cuore dell’uomo, ma la nobiltà e la rettitudine della sua personalità generano rispetto, amore e spontanea adorazione. Un figlio rispettoso ed affettuoso non ha paura né timore nemmeno di un padre potente e nobile. Io sono venuto al mondo per porre l’amore al posto della paura, la gioia al posto del dispiacere, la fiducia al posto del timore, il servizio amorevole e l’adorazione comprensiva al posto della schiavitù servile e delle cerimonie prive di senso. Ma è ancora vero per coloro che sono nelle tenebre che ‘il timore del Signore è l’inizio della saggezza’. Ma quando la luce è venuta più pienamente, i figli di Dio sono portati a lodare l’Infinito per quello che è piuttosto che a temerlo per quello che fa.
(1675.7) 149:6.6 “Quando i figli sono giovani e spensierati devono necessariamente essere esortati ad onorare i loro genitori; ma quando crescono e cominciano ad apprezzare di più i benefici del ministero e della protezione dei genitori, sono portati, mediante un rispetto comprensivo ed un affetto crescente, a quel livello di esperienza in cui amano effettivamente i loro genitori per quello che sono, più che per quello che hanno fatto. Il padre ama naturalmente suo figlio, ma il figlio deve sviluppare il suo amore per il padre cominciando dalla paura di ciò che il padre può fare, attraverso il timore reverenziale, il terrore, la dipendenza ed il rispetto, fino alla considerazione comprensiva ed affettuosa dell’amore.
(1676.1) 149:6.7 “Vi è stato insegnato che dovreste ‘temere Dio ed osservare i suoi comandamenti perché questo è tutto il dovere dell’uomo’. Ma io sono venuto a darvi un comandamento nuovo e superiore. Io vorrei insegnarvi ‘ad amare Dio e ad imparare a fare la sua volontà, perché questo è il più grande privilegio dei figli di Dio liberati’. Ai vostri padri è stato insegnato di ‘temere Dio — il Re Onnipotente’. Io v’insegno: ‘Amate Dio — il Padre infinitamente misericordioso’.
(1676.2) 149:6.8 “Nel regno dei cieli, che io sono venuto a proclamare, non c’è un re elevato e potente; questo regno è una famiglia divina. Il centro e capo universalmente riconosciuto e adorato senza riserve di questa immensa fraternità di esseri intelligenti è mio Padre e vostro Padre. Io sono suo Figlio, ed anche voi siete suoi figli. È dunque eternamente vero che voi ed io siamo fratelli nello stato celeste, e ciò ancor più da quando siamo divenuti fratelli nella carne della vita terrena. Cessate, quindi, di temere Dio come un re o di servirlo come un padrone; imparate a rispettarlo come il Creatore; onoratelo come il Padre della vostra giovinezza spirituale; amatelo come un difensore misericordioso; ed infine adoratelo come il Padre amorevole ed infinitamente saggio della vostra realizzazione e del vostro apprezzamento spirituali più maturi.
(1676.3) 149:6.9 “Dai vostri concetti errati del Padre che è nei cieli nascono le vostre idee sbagliate dell’umiltà ed ha origine gran parte della vostra ipocrisia. L’uomo può essere un verme della terra per natura ed origine, ma quando viene abitato dallo spirito di mio Padre, quell’uomo diviene divino nel suo destino. Lo spirito conferito da mio Padre ritornerà sicuramente alla sua fonte divina e al livello universale d’origine, e l’anima umana dell’uomo mortale che sarà divenuto il figlio rinato di questo spirito interiore si eleverà certamente con lo spirito divino alla presenza stessa del Padre eterno.
(1676.4) 149:6.10 “Certo, l’umiltà si conviene all’uomo mortale che riceve tutti questi doni dal Padre celeste, sebbene vi sia una dignità divina connessa a tutti questi candidati per fede all’ascensione eterna del regno dei cieli. Le pratiche servili e prive di senso di un’umiltà falsa ed ostentativa sono incompatibili con l’apprezzamento della fonte della vostra salvezza ed il riconoscimento del destino delle vostre anime nate dallo spirito. L’umiltà davanti a Dio è del tutto appropriata nel profondo del vostro cuore; la mitezza davanti agli uomini è lodevole; ma l’ipocrisia di un’umiltà autocosciente e che sollecita l’attenzione è infantile e indegna dei figli illuminati del regno.
(1676.5) 149:6.11 “Voi fate bene ad essere umili davanti a Dio ed equilibrati davanti agli uomini, ma fate che la vostra modestia sia di origine spirituale e non l’esibizione illusoria di un autocosciente senso di superiorità ipocrita. Il profeta parlò saggiamente quando disse: ‘Camminate umilmente con Dio’, perché, sebbene il Padre che è nei cieli sia l’Infinito e l’Eterno, dimora anche in ‘colui che ha la mente contrita ed uno spirito umile’. Mio Padre disdegna l’orgoglio, detesta l’ipocrisia ed aborrisce l’iniquità. Ed è stato per porre in risalto il valore della sincerità e della perfetta fiducia nel sostegno amorevole e nella guida fedele del Padre celeste che io ho così spesso fatto allusione ai bambini per illustrare l’atteggiamento della mente e la reazione dello spirito che sono così essenziali per l’entrata dell’uomo mortale nelle realtà spirituali del regno dei cieli.
(1677.1) 149:6.12 “Il profeta Geremia ha descritto bene molti mortali quando disse: ‘Voi siete vicini a Dio con la bocca, ma lontani da lui nel cuore.’ E non avete anche letto quel terribile avvertimento del profeta che disse: ‘I suoi sacerdoti insegnano per una ricompensa ed i suoi profeti predicono per denaro. Allo stesso tempo essi professano pietà e proclamano che il Signore è con loro’. Non siete stati bene avvisati contro coloro che ‘parlano di pace ai loro vicini mentre la malizia è nel loro cuore’, contro coloro che ‘adulano con le labbra mentre il loro cuore fa il doppiogioco’? Tra tutti i dispiaceri di un uomo fiducioso, nessuno è così terribile quanto quello di essere ‘ferito nella casa di un amico fidato.’ ”
(1677.2) 149:7.1 Dopo aver consultato Simon Pietro ed aver ricevuto l’approvazione di Gesù, Andrea aveva incaricato Davide a Betsaida di mandare dei messaggeri ai vari gruppi di predicatori con istruzioni di terminare il loro giro e di ritornare a Betsaida giovedì 30 dicembre. All’ora di cena di quel giorno piovoso tutto il gruppo apostolico e gli istruttori evangelisti erano arrivati alla casa di Zebedeo.
(1677.3) 149:7.2 Il gruppo trascorse insieme il giorno di sabato, alloggiando nelle case di Betsaida e della vicina Cafarnao, dopodiché all’intero gruppo fu concesso un periodo di riposo di due settimane per andare a casa dalle loro famiglie, far visita ai loro amici o andare a pesca. I due o tre giorni in cui essi stettero insieme a Betsaida furono veramente tonificanti ed ispiranti; anche gli insegnanti più anziani furono edificati dai giovani predicatori che raccontarono le loro esperienze.
(1677.4) 149:7.3 Dei 117 evangelisti che parteciparono a questo secondo giro di predicazione in Galilea, soltanto settantacinque superarono la prova dell’esperienza effettiva e furono disponibili per essere assegnati al servizio al termine delle due settimane di riposo. Gesù, con Andrea, Pietro, Giacomo e Giovanni, rimase a casa di Zebedeo e passò molto tempo in riunione con loro a discutere del benessere e dell’espansione del regno.
(1678.1) 150:0.1 DOMENICA sera 16 gennaio dell’anno 29 d.C., Abner, con gli apostoli di Giovanni, arrivò a Betsaida ed il giorno dopo ebbe una riunione congiunta con Andrea e con gli apostoli di Gesù. Abner ed i suoi associati stabilirono il loro quartier generale ad Hebron e presero l’abitudine di venire periodicamente a Betsaida per queste riunioni.
(1678.2) 150:0.2 Tra le numerose questioni trattate in questa riunione congiunta c’era la pratica di ungere gli ammalati con certi tipi d’olio in connessione con delle preghiere per la guarigione. Di nuovo Gesù rifiutò di partecipare alle loro discussioni o di esprimersi sulle loro conclusioni. Gli apostoli di Giovanni avevano sempre utilizzato l’olio d’unzione nel loro ministero presso gli ammalati e gli afflitti, e cercavano di stabilire ciò come pratica uniforme per entrambi i gruppi, ma gli apostoli di Gesù rifiutarono di vincolarsi a questa regola.
(1678.3) 150:0.3 Martedì 18 gennaio, ai ventiquattro si unirono gli evangelisti qualificati a casa di Zebedeo a Betsaida per prepararsi ad essere inviati nel terzo giro di predicazione in Galilea. Questa terza missione proseguì per un periodo di sette settimane.
(1678.4) 150:0.4 Gli evangelisti furono fatti uscire in gruppi di cinque, mentre Gesù e i dodici lavorarono insieme per la maggior parte del tempo; gli apostoli andavano a due a due a battezzare i credenti secondo la necessità. Per un periodo di quasi tre settimane Abner ed i suoi associati lavorarono anche con i gruppi di evangelisti, dando loro dei consigli e battezzando i credenti. Essi visitarono Magdala, Tiberiade, Nazaret e tutte le principali città e villaggi del centro e del sud della Galilea, tutti i posti precedentemente visitati e molti altri ancora. Questo fu il loro ultimo messaggio alla Galilea, salvo che per la parte settentrionale.
(1678.5) 150:1.1 Di tutte le cose audaci che Gesù fece in connessione con la sua carriera terrena, la più sorprendente fu il suo annuncio improvviso la sera del 16 gennaio: “Domani selezioneremo dieci donne per il lavoro del ministero del regno.” All’inizio del periodo di due settimane durante le quali gli apostoli e gli evangelisti sarebbero stati assenti da Betsaida per il loro periodo di libertà, Gesù chiese a Davide di far tornare i suoi genitori a casa e di mandare dei messaggeri che convocassero a Betsaida dieci donne devote che avevano servito nell’amministrazione dell’ultimo accampamento e nell’infermeria nelle tende. Queste donne avevano tutte ascoltato l’istruzione data ai giovani evangelisti, ma né loro né i loro insegnanti avevano mai pensato che Gesù avrebbe osato incaricare delle donne per insegnare il vangelo del regno e per curare gli ammalati. Queste dieci donne selezionate ed incaricate da Gesù erano: Susanna, la figlia del vecchio cazan della sinagoga di Nazaret; Giovanna, la moglie di Cuza, l’intendente di Erode Antipa; Elisabetta, la figlia di un ricco Ebreo di Tiberiade e di Sefforis; Marta, la sorella maggiore di Andrea e di Pietro; Rachele, la cognata di Giuda, fratello carnale del Maestro; Nasanta, la figlia di Elman, il medico siriano; Milca, una cugina dell’apostolo Tommaso; Rut, la figlia maggiore di Matteo Levi; Celta, la figlia di un centurione romano; ed Agaman, una vedova di Damasco. Successivamente Gesù aggiunse altre due donne a questo gruppo — Maria Maddalena e Rebecca, la figlia di Giuseppe d’Arimatea.
(1679.1) 150:1.2 Gesù autorizzò queste donne a costituire la loro organizzazione ed incaricò Giuda di fornire dei fondi per il loro equipaggiamento e per degli animali da soma. Le dieci elessero Susanna a loro capo e Giovanna come tesoriere. A partire da questo momento esse provvidero ai propri fondi; non fecero mai più ricorso a Giuda per il loro mantenimento.
(1679.2) 150:1.3 Fu assolutamente sbalorditivo in quel tempo, in cui non era permesso alle donne nemmeno di stare al piano terreno della sinagoga (erano confinate nella galleria delle donne), vederle riconosciute come insegnanti autorizzate del nuovo vangelo del regno. L’incarico che Gesù diede a queste dieci donne selezionandole per l’insegnamento ed il ministero del vangelo fu la proclamazione dell’emancipazione che liberava tutte le donne e per sempre; l’uomo non doveva più considerare la donna come spiritualmente inferiore a lui. Questo fu un deciso shock anche per i dodici apostoli. Nonostante essi avessero udito molte volte il Maestro dire che “nel regno dei cieli non c’è né ricco né povero, né libero né schiavo, né maschio né femmina, ma tutti sono ugualmente i figli e le figlie di Dio”, essi furono letteralmente sconcertati quando egli propose ufficialmente d’incaricare queste dieci donne come insegnanti religiose ed anche di permettere che viaggiassero con loro. L’intero paese fu scosso da questo modo d’agire, ed i nemici di Gesù fecero grande tesoro di questa mossa, ma dovunque le donne credenti nella buona novella sostennero risolutamente le loro sorelle scelte ed approvarono senza esitazione questo tardivo riconoscimento della posizione delle donne nell’attività religiosa. E questa liberazione delle donne, che accordava loro il dovuto riconoscimento, fu messa in pratica dagli apostoli immediatamente dopo la partenza del Maestro, anche se si tornò alle vecchie usanze nelle generazioni successive. Per tutto il periodo iniziale della Chiesa cristiana le donne insegnanti e ministre furono chiamate diaconesse, e fu accordato loro un riconoscimento generale. Ma Paolo, nonostante il fatto che concesse tutto ciò in teoria, non lo incorporò mai realmente nel suo comportamento e trovò personalmente difficile metterlo in pratica.
(1679.3) 150:2.1 Quando il gruppo apostolico partì da Betsaida, le donne viaggiarono in retroguardia. Durante le conferenze esse sedevano sempre in gruppo davanti e a destra dell’oratore. Il numero delle donne divenute credenti nel vangelo del regno cresceva sempre di più, ed era stato fonte di molte difficoltà e d’infinito imbarazzo quando esse avevano desiderato avere un incontro personale con Gesù o con uno degli apostoli. Ora tutto ciò era cambiato. Quando una delle donne credenti desiderava vedere il Maestro o conferire con gli apostoli, andava da Susanna, ed accompagnata da una delle dodici donne evangeliste, potevano andare subito dal Maestro o da uno dei suoi apostoli.
(1680.1) 150:2.2 Fu a Magdala che le donne dimostrarono per la prima volta la loro utilità e giustificarono la saggezza della loro scelta. Andrea aveva imposto delle regole piuttosto rigide ai suoi associati per il lavoro personale con le donne, specialmente con quelle di dubbia reputazione. Quando il gruppo arrivò a Magdala, queste dieci donne evangeliste furono libere di entrare nei luoghi di malaffare e di predicare la buona novella direttamente a tutte le loro ospiti. E quando visitarono gli ammalati, queste donne furono in grado di entrare in stretto contatto nel proprio ministero con le loro sorelle afflitte. A seguito del ministero di queste dieci donne (successivamente conosciute come le dodici donne) in questa città, Maria Maddalena fu conquistata al regno. Per una serie di disgrazie ed in conseguenza dell’atteggiamento della buona società verso le donne che commettono simili errori di giudizio, questa donna era finita in uno dei luoghi di malaffare di Magdala. Furono Marta e Rachele che spiegarono a Maria che le porte del regno erano aperte anche a persone come lei. Maria credette alla buona novella e fu battezzata da Pietro il giorno successivo.
(1680.2) 150:2.3 Maria Maddalena divenne l’insegnante più efficace del vangelo in questo gruppo di dodici donne evangeliste. Essa fu scelta per questo servizio, assieme a Rebecca, a Jotapata circa quattro settimane dopo la sua conversione. Maria e Rebecca, con le altre di questo gruppo, continuarono per tutto il resto della vita terrena di Gesù a lavorare fedelmente ed efficacemente per illuminare ed elevare le loro sorelle oppresse. E quando l’ultimo e tragico episodio nel dramma della vita di Gesù si compì, nonostante che tutti gli apostoli fossero fuggiti, eccetto uno, queste donne erano tutte presenti, e nessuna lo rinnegò o lo tradì.
(1680.3) 150:3.1 I servizi del sabato del gruppo apostolico erano stati affidati alle donne da Andrea, su ordine di Gesù. Ciò significava, ovviamente, che non potevano essere celebrati nella nuova sinagoga. Le donne scelsero Giovanna come responsabile di questa occasione, e la riunione ebbe luogo nella sala dei banchetti del nuovo palazzo di Erode, essendo egli andato nella residenza di Giuliade in Perea. Giovanna lesse dalle Scritture dei passi sull’opera delle donne nella vita religiosa d’Israele, citando Miriam, Debora, Ester ed altre.
(1680.4) 150:3.2 A tarda sera Gesù fece al gruppo riunito un discorso memorabile su “La magia e la superstizione”. In quel tempo l’apparizione di una stella luminosa e supposta nuova era considerata come un segno indicante che un grande uomo era nato sulla terra. Essendo stata osservata recentemente una tale stella, Andrea chiese a Gesù se queste credenze fossero fondate. Nella lunga risposta alla domanda di Andrea, il Maestro fece un’analisi approfondita dell’intero soggetto della superstizione umana. L’esposizione che Gesù fece in questa occasione si può riassumere in linguaggio moderno come segue:
(1680.5) 150:3.3 1. I percorsi delle stelle nei cieli non hanno nulla a che fare con gli avvenimenti della vita umana sulla terra. L’astronomia è un’attività appropriata della scienza, ma l’astrologia è una massa di errori superstiziosi che non trova posto nel vangelo del regno.
(1680.6) 150:3.4 2. L’esame degli organi interni di un animale recentemente ucciso non può rivelare alcunché sul tempo, sugli avvenimenti futuri, né sulla riuscita degli affari umani.
(1680.7) 150:3.5 3. Gli spiriti dei morti non ritornano a comunicare con le loro famiglie o con i loro vecchi amici tra i viventi.
(1681.1) 150:3.6 4. Gli amuleti e le reliquie non hanno alcun potere di guarire le malattie, di evitare le calamità o d’influenzare gli spiriti cattivi; la credenza in questi mezzi materiali per influenzare il mondo spirituale non è che una volgare superstizione.
(1681.2) 150:3.7 5. Il trarre a sorte, sebbene possa essere un modo conveniente per regolare molte divergenze minori, non è un metodo destinato e rivelare la volontà divina. Tali risultati sono una pura questione di azzardo materiale. Il solo modo di comunicare con il mondo spirituale è insito nella dotazione spirituale dell’umanità, lo spirito interiore del Padre, unitamente allo spirito effuso del Figlio e all’influenza onnipresente dello Spirito Infinito.
(1681.3) 150:3.8 6. La divinazione, la stregoneria ed il sortilegio sono superstizioni di menti ignoranti e sono anche gli inganni della magia. La credenza in numeri magici, in presagi di buona fortuna ed in annunciatori di sfortuna è una pura superstizione priva di fondamento.
(1681.4) 150:3.9 7. L’interpretazione dei sogni è in gran parte un sistema superstizioso ed infondato di speculazione ignorante e fantastica. Il vangelo del regno non deve avere nulla in comune con i sacerdoti indovini della religione primitiva.
(1681.5) 150:3.10 8. Gli spiriti del bene e del male non possono abitare in simboli materiali di creta, di legno o di metallo; gli idoli non sono niente più che la materia di cui sono fatti.
(1681.6) 150:3.11 9. Le pratiche degli incantatori, degli indovini, dei maghi e degli stregoni furono derivate dalle superstizioni degli Egiziani, degli Assiri, dei Babilonesi e degli antichi Cananei. Gli amuleti ed ogni sorta d’incantesimi sono inutili sia per acquisire la protezione degli spiriti buoni che per tenere lontani i supposti spiriti cattivi.
(1681.7) 150:3.12 10. Gesù denunciò e condannò la loro credenza nei sortilegi, nelle ordalie, negli incantesimi, nelle maledizioni, nei segni, nelle mandragole, nelle corde annodate ed in ogni altra forma di superstizione ignorante ed asservente.
(1681.8) 150:4.1 La sera successiva, dopo aver riunito i dodici apostoli, gli apostoli di Giovanni ed il gruppo di donne recentemente incaricate, Gesù disse: “Vedete da voi stessi che la messe è abbondante, ma gli operai sono pochi. Preghiamo tutti, dunque, il Signore della messe d’inviare ancora più operai nei suoi campi. Mentre io resterò qui ad incoraggiare e ad istruire gli insegnanti più giovani, vorrei mandare quelli più anziani a due a due a passare rapidamente per tutta la Galilea predicando il vangelo del regno finché ciò è ancora comodo e tranquillo.” Poi egli designò le coppie di apostoli come desiderava che uscissero, ed erano: Andrea e Pietro, Giacomo e Giovanni Zebedeo, Filippo e Natanaele, Tommaso e Matteo, Giacomo e Giuda Alfeo, Simone Zelota e Giuda Iscariota.
(1681.9) 150:4.2 Gesù fissò la data in cui incontrare i dodici a Nazaret, e al momento della partenza disse: “In questa missione non andate in alcuna città dei Gentili, né entrate in Samaria, ma andate invece dalle pecore sperdute della casa d’Israele. Predicate il vangelo del regno e proclamate la verità salvifica che l’uomo è un figlio di Dio. Ricordatevi che il discepolo non è superiore al maestro, né un servo è più grande del suo padrone. È sufficiente per il discepolo eguagliare il suo maestro e per il servo divenire simile al suo padrone. Se alcuni hanno osato qualificare il padrone della casa un associato di Belzebù, quanto più considereranno tali quelli della sua casa! Ma voi non dovreste temere questi nemici non credenti. Io vi dichiaro che non c’è niente di segreto che non sarà rivelato; non c’è niente di nascosto che non sarà conosciuto. Quello che ho insegnato a voi in privato, predicatelo con saggezza in pubblico. Ciò che ho rivelato a voi all’interno della casa, proclamatelo a tempo debito dai tetti. Ed io vi dico, miei amici e discepoli, non temete coloro che possono uccidere il corpo, ma che non possono distruggere l’anima; ponete piuttosto la vostra fiducia in Colui che è capace di sostenere il corpo e di salvare l’anima.
(1682.1) 150:4.3 “Non si vendono due passeri per un denaro? E tuttavia io dichiaro che nessuno di loro è dimenticato da Dio. Non sapete che i capelli stessi della vostra testa sono tutti contati? Non temete, dunque; voi valete di più di un gran numero di passeri. Non abbiate vergogna del mio insegnamento; andate a proclamare pace e buona volontà, ma non illudetevi — la pace non accompagnerà sempre la vostra predicazione. Io sono venuto a portare la pace sulla terra, ma quando gli uomini rifiutano il mio dono, seguiranno discordia e disordine. Quando tutti i membri di una famiglia ricevono il vangelo del regno, la pace abita veramente in quella casa; ma se alcuni membri della famiglia entrano nel regno ed altri respingono il vangelo, tale divisione può produrre soltanto dispiacere e tristezza. Lavorate con impegno a salvare l’intera famiglia per timore che i nemici di un uomo diventino quelli della sua stessa casa. Ma quando voi avete fatto il massimo per tutti i membri di ogni famiglia, io vi dichiaro che chiunque ama suo padre o sua madre più di questo vangelo non è degno del regno.”
(1682.2) 150:4.4 Dopo che i dodici ebbero ascoltato queste parole si prepararono a partire. Ed essi non si rividero più fino al giorno in cui si riunirono a Nazaret per incontrarsi con Gesù e con gli altri discepoli come aveva disposto il Maestro.
(1682.3) 150:5.1 Una sera a Sunem, dopo che gli apostoli di Giovanni furono tornati ad Hebron, e dopo che gli apostoli di Gesù furono fatti uscire a due a due, mentre il Maestro era impegnato ad istruire un gruppo di dodici giovani evangelisti che lavoravano sotto la direzione di Giacobbe, insieme con le dodici donne, Rachele pose a Gesù questa domanda: “Maestro, che cosa dobbiamo rispondere quando una donna ci chiede: che cosa devo fare per essere salvata?” Quando Gesù udì questa domanda, rispose:
(1682.4) 150:5.2 Quando degli uomini e delle donne chiedono che cosa bisogna fare per essere salvati, voi rispondete: credete a questo vangelo del regno; accettate il perdono divino. Riconoscete per fede lo spirito interiore di Dio, la cui accettazione vi rende un figlio di Dio. Non avete letto nelle Scritture dove si dice: ‘Nel Signore ho giustizia e forza.’ Ed anche dove il Padre dice: ‘La mia giustizia è vicina; la mia salvezza è manifestata e le mie braccia circonderanno il mio popolo.’ ‘La mia anima sarà felice nell’amore del mio Dio, perché egli mi ha vestito con gli abiti della salvezza e mi ha coperto con la veste della sua rettitudine.’ Non avete anche letto del Padre che il suo nome sarà ‘il Signore della nostra rettitudine’. ‘Levate i sudici stracci dell’ipocrisia e vestite mio figlio con l’abito della rettitudine divina e della salvezza eterna.’ È eternamente vero che ‘il giusto vivrà grazie alla sua fede’. L’entrata nel regno del Padre è completamente libera, ma il progresso — la crescita nella grazia — è essenziale per restarvi.
(1682.5) 150:5.3 “La salvezza è il dono del Padre ed è rivelata dai suoi Figli. La sua accettazione per fede da parte vostra vi rende partecipi della natura divina, un figlio o una figlia di Dio. Per mezzo della fede voi siete giustificati; per mezzo della fede siete salvati; e per mezzo di questa stessa fede avanzate eternamente nella via della perfezione progressiva e divina. Per mezzo della fede Abramo fu giustificato e reso consapevole della salvezza dagli insegnamenti di Melchizedek. Lungo tutte le ere questa stessa fede ha salvato i figli degli uomini, ma ora un Figlio è venuto dal Padre per rendere la salvezza più reale ed accettabile.”
(1683.1) 150:5.4 Quando Gesù terminò di parlare ci fu grande gioia tra coloro che avevano ascoltato queste parole piene di grazia, e nei giorni seguenti andarono tutti a proclamare il vangelo del regno con nuova potenza e con rinnovata energia ed entusiasmo. E le donne si rallegrarono ancora di più sapendo che erano incluse in questi piani per l’instaurazione del regno sulla terra.
(1683.2) 150:5.5 Riepilogando l’ultima parte della sua esposizione, Gesù disse: “Non si può comperare la salvezza; non si può procurare la rettitudine. La salvezza è il dono di Dio e la rettitudine è il frutto naturale della vita nata dallo spirito di filiazione nel regno. Voi non sarete salvati per avere vissuto una vita retta; avviene piuttosto che viviate una vita retta perché siete già stati salvati, perché avete riconosciuto la filiazione come il dono di Dio ed il servizio nel regno come la delizia suprema della vita sulla terra. Quando gli uomini credono in questo vangelo, che è una rivelazione della bontà di Dio, saranno portati a pentirsi volontariamente di tutti i peccati conosciuti. La realizzazione della filiazione è incompatibile con il desiderio di peccare. Coloro che credono nel regno hanno fame di rettitudine e sete di perfezione divina.”
(1683.3) 150:6.1 Nel corso delle discussioni della sera Gesù parlò di molti soggetti. Durante il resto di questo giro — prima che si riunissero tutti a Nazaret — egli trattò “L’amore di Dio”, “Sogni e visioni”, “La malevolenza”, “Umiltà e mansuetudine”, “Coraggio e fedeltà”, “Musica e adorazione”, “Servizio e obbedienza”, “Orgoglio e presunzione”, “Il perdono in relazione al pentimento”, “Pace e perfezione”, “Maldicenza e invidia”, “Male, peccato e tentazione”, “Dubbi e incredulità”, “Saggezza e adorazione”. Con gli apostoli più anziani assenti, questi gruppi più recenti di uomini e di donne partecipavano più liberamente a queste discussioni con il Maestro.
(1683.4) 150:6.2 Dopo aver passato due o tre giorni con un gruppo di dodici evangelisti, Gesù andava a raggiungere un altro gruppo, essendo informato sui luoghi e sugli spostamenti di tutti questi lavoratori dai messaggeri di Davide. Essendo questo il loro primo giro, le donne rimasero molto tempo con Gesù. Grazie al servizio dei messaggeri ognuno di questi gruppi era tenuto pienamente informato sui progressi del giro, ed il ricevimento di notizie dagli altri gruppi era sempre fonte d’incoraggiamento per questi lavoratori sparsi e separati.
(1683.5) 150:6.3 Prima della loro separazione era stato convenuto che i dodici apostoli, assieme agli evangelisti e al gruppo delle donne, si sarebbero riuniti a Nazaret per incontrare il Maestro venerdì 4 marzo. Di conseguenza, in questo periodo, da tutte le parti della Galilea centrale e meridionale questi vari gruppi di apostoli e di evangelisti cominciarono a dirigersi verso Nazaret. A metà pomeriggio Andrea e Pietro, gli ultimi ad arrivare, avevano raggiunto l’accampamento preparato dai primi arrivati e situato sulle alture a nord della città. E questa era la prima volta che Gesù visitava Nazaret dall’inizio del suo ministero pubblico.
(1683.6) 150:7.1 Questo venerdì pomeriggio Gesù passeggiò per Nazaret del tutto inosservato ed assolutamente non riconosciuto. Egli passò davanti alla casa della sua infanzia ed al laboratorio di carpentiere, e trascorse mezz’ora sulla collina che aveva tanto frequentato quand’era ragazzo. Dal giorno del suo battesimo da parte di Giovanni nel Giordano, il Figlio dell’Uomo non aveva sentito un tale flusso d’emozione umana scuotere la sua anima. Mentre scendeva dalla collina egli udì il suono familiare dello squillo di tromba che annunciava il tramonto del sole, proprio come l’aveva ascoltato moltissime volte quand’era giovane a Nazaret. Prima di tornare all’accampamento egli passò per la sinagoga dov’era andato a scuola e lasciò andare la sua mente a molte reminiscenze dei giorni della sua fanciullezza. Il mattino presto Gesù aveva mandato Tommaso ad accordarsi con il capo della sinagoga per la sua predicazione nel servizio mattutino del sabato.
(1684.1) 150:7.2 La popolazione di Nazaret non era mai stata stimata per pietà e rettitudine di vita. Con il passare degli anni questo villaggio venne sempre più contaminato dal basso livello morale della vicina Sefforis. Durante tutta la giovinezza e la prima età virile di Gesù c’era stata una divisione di opinioni a Nazaret nei suoi confronti. Vi fu molto risentimento quando egli si trasferì a Cafarnao. Anche se gli abitanti di Nazaret avevano sentito molto parlare delle attività del loro vecchio carpentiere, erano offesi perché egli non aveva mai incluso il suo villaggio natale in nessuno dei suoi primi giri di predicazione. In verità essi avevano sentito parlare della fama di Gesù, ma la maggior parte dei cittadini era adirata perché egli non aveva compiuto alcuna delle sue grandi opere nella città della sua giovinezza. Per mesi la gente di Nazaret aveva discusso molto di Gesù, ma le loro opinioni erano nel complesso sfavorevoli a lui.
(1684.2) 150:7.3 Il Maestro si trovò dunque nel mezzo non di un gradito ritorno a casa, ma di un’atmosfera decisamente ostile ed ipercritica. Ma non era tutto. I suoi nemici, sapendo che avrebbe trascorso questo giorno di sabato a Nazaret e supponendo che avrebbe parlato nella sinagoga, avevano ingaggiato numerosi uomini violenti e rozzi per molestarlo e per creare disordini in ogni modo possibile.
(1684.3) 150:7.4 La maggior parte dei vecchi amici di Gesù, compreso l’affezionato insegnante cazan della sua giovinezza, erano morti o avevano lasciato Nazaret, e la generazione più giovane era incline a risentirsi della sua fama con intensa gelosia. Essi non si ricordavano della sua antica devozione alla famiglia di suo padre, ed erano aspri nel criticare la sua dimenticanza di visitare suo fratello e le sue sorelle sposate che vivevano a Nazaret. L’atteggiamento della famiglia di Gesù verso di lui aveva pure contribuito ad accrescere questo sentimento malevolo della cittadinanza. Gli Ebrei ortodossi osarono anche criticare Gesù perché camminava troppo in fretta sulla via andando alla sinagoga questo sabato mattina.
(1684.4) 150:8.1 Questo sabato era una magnifica giornata, e tutta Nazaret, amici e nemici, uscì di casa per ascoltare questo vecchio membro della loro città parlare nella sinagoga. Molti del seguito apostolico dovettero restare fuori della sinagoga; non c’era posto per tutti quelli che erano venuti ad ascoltarlo. Da giovane Gesù aveva parlato spesso in questo luogo di culto, e questa mattina, quando il capo della sinagoga gli porse il rotolo degli scritti sacri da cui leggere la lezione delle Scritture, nessuno dei presenti parve ricordarsi che questo era lo stesso manoscritto che egli aveva offerto a questa sinagoga.
(1684.5) 150:8.2 In questo tempo i servizi erano condotti esattamente come quando Gesù vi aveva assistito da ragazzo. Egli salì sulla pedana degli oratori con il capo della sinagoga, ed il servizio cominciò con la recita di due preghiere: “Benedetto è il Signore, Re del mondo, che forma la luce e crea le tenebre, che costruisce la pace e crea ogni cosa; che, nella sua misericordia, dona la luce alla terra e a coloro che vi abitano e che, nella sua bontà, giorno dopo giorno ed ogni giorno, rinnova l’opera della creazione. Benedetto è il Signore nostro Dio per la gloria dell’opera delle sue mani e per le stelle lucenti che ha creato per la sua lode. Selah. Benedetto è il Signore nostro Dio che ha creato le luci.”
(1685.1) 150:8.3 Dopo una breve pausa essi pregarono ancora: “Con grande amore il Signore nostro Dio ci ha amati, e con debordante compassione ha avuto pietà di noi, lui nostro Padre e nostro Re, per riguardo dei nostri padri che hanno avuto fiducia in lui. Tu hai insegnato loro le regole di vita; abbi pietà di noi ed istruiscici. Illumina i nostri occhi sulla legge; fa che i nostri cuori aderiscano ai tuoi comandamenti; unisci i nostri cuori per amare e temere il tuo nome, e noi non saremo coperti di vergogna per tutti i secoli dei secoli. Perché tu sei un Dio che prepara la salvezza, e ci hai scelti tra tutte le nazioni e le lingue, ed in verità ci hai accostati al tuo grande nome — selah — affinché possiamo lodare con amore la tua unità. Benedetto sia il Signore, che nel suo amore ha scelto come suo popolo Israele.”
(1685.2) 150:8.4 L’assemblea recitò poi lo Shema, il credo di fede degli Ebrei. Questo rituale consisteva nel ripetere numerosi passaggi della legge e dimostrava che i fedeli prendevano su di loro il giogo del regno dei cieli ed anche il giogo dei comandamenti da seguire di giorno e di notte.
(1685.3) 150:8.5 Seguì poi la terza preghiera: “È vero che tu sei Yahweh, nostro Dio e il Dio dei nostri padri; nostro Re ed il Re dei nostri padri; nostro Salvatore ed il Salvatore dei nostri padri; nostro Creatore e la roccia della nostra salvezza; nostro aiuto ed il nostro liberatore. Il tuo nome esiste dall’eternità e non c’è Dio all’infuori di te. Coloro che furono liberati cantarono un nuovo cantico al tuo nome in riva al mare; ti lodarono tutti insieme e ti riconobbero come Re e dissero: Yahweh regnerà per tutti i secoli dei secoli. Benedetto è il Signore che salva Israele.”
(1685.4) 150:8.6 Il capo della sinagoga prese allora il suo posto davanti all’arca, o scrigno, contenente gli scritti sacri e cominciò la recitazione delle diciannove preghiere di elogio o benedizioni. Ma in questa occasione si preferì accorciare il servizio affinché l’ospite d’onore potesse avere più tempo per il suo discorso; di conseguenza, furono recitate solo la prima e l’ultima delle benedizioni. La prima era: “Benedetto è il Signore nostro Dio ed il Dio dei nostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe; il grande, il potente e il terribile Dio, che mostra misericordia e bontà, che crea tutte le cose, che si ricorda delle benevole promesse fatte ai nostri padri e che invia con amore un salvatore ai figli dei loro figli per riguardo al suo stesso nome. O Re, aiuto, salvatore e scudo! Che tu sia benedetto, o Yahweh, lo scudo di Abramo.”
(1685.5) 150:8.7 Poi seguì l’ultima benedizione: “Effondi sul tuo popolo Israele una grande pace per sempre, perché tu sei il Re ed il Signore di ogni pace. È bene ai tuoi occhi benedire Israele in ogni tempo e ad ogni ora con la pace. Che tu sia benedetto, Yahweh, che benedici il tuo popolo Israele con la pace.” L’assemblea non guardava il capo mentre recitava le benedizioni. Dopo le benedizioni egli fece una preghiera non ufficiale appropriata alla circostanza, e quando questa terminò, tutta l’assemblea si unì nel dire amen.
(1685.6) 150:8.8 Poi il cazan andò verso l’arca e ne tolse un rotolo che diede a Gesù perché leggesse la lettura delle Scritture. Era abitudine chiamare sette persone a leggere ciascuna non meno di tre versetti dalla legge, ma in questa occasione tale pratica fu tralasciata affinché il visitatore leggesse la lettura di propria scelta. Gesù, preso il rotolo, si alzò e cominciò a leggere dal Deuteronomio: “Perché questo comandamento che ti do oggi non ti è ignoto, né è lontano. Non è in cielo, perché tu diresti: chi salirà per noi in cielo e ce lo riporterà affinché possiamo ascoltarlo e metterlo in pratica? Né è al di là del mare, perché tu diresti: chi attraverserà il mare per portarci il comandamento affinché possiamo ascoltarlo e metterlo in pratica? No, la parola di vita è molto vicina a te, anche alla tua presenza e nel tuo cuore, perché tu possa conoscerla e obbedirgli.”
(1686.1) 150:8.9 E quando ebbe finito di leggere dalla Legge, egli cominciò a leggere da Isaia: “Lo spirito del Signore è su di me, perché egli mi ha unto per predicare la buona novella ai poveri. Egli mi ha mandato a proclamare la liberazione ai prigionieri e il recupero della vista ai ciechi, a mettere in libertà coloro che sono oppressi e a proclamare l’anno del favore del Signore.”
(1686.2) 150:8.10 Gesù chiuse il libro e, dopo averlo restituito al capo della sinagoga, si sedette ed iniziò a parlare al popolo. Egli cominciò dicendo: “Oggi queste Scritture sono compiute.” Poi Gesù parlò per circa quindici minuti su “I Figli e le Figlie di Dio”. Il suo discorso piacque a molte persone, che si meravigliarono della sua grazia e della sua saggezza.
(1686.3) 150:8.11 Era costume nella sinagoga, dopo la conclusione del servizio ufficiale, che l’oratore si fermasse in modo che le persone interessate potessero porgli delle domande. Di conseguenza, questo sabato mattina Gesù scese tra la folla che si spingeva avanti per interrogarlo. In questo gruppo si trovavano molti individui turbolenti che cercavano di seminare zizzania, mentre ai margini di questa folla circolavano uomini di bassa lega che erano stati ingaggiati per creare delle difficoltà a Gesù. Molti dei discepoli ed evangelisti che erano rimasti fuori entrarono ora nella sinagoga e non tardarono ad accorgersi che stavano per scoppiare dei disordini. Essi cercarono di condurre via il Maestro, ma egli non volle andare con loro.
(1686.4) 150:9.1 Gesù si trovò circondato nella sinagoga da una grande folla di suoi nemici e da un piccolo numero di suoi discepoli, ed in risposta alle loro domande sgarbate e alle loro cattive canzonature rimarcò un po’ spiritosamente: “Sì, io sono il figlio di Giuseppe; sono il carpentiere, e non sono sorpreso che mi ricordiate il proverbio: ‘Medico guarisci te stesso’ e che mi sfidiate a fare a Nazaret quello che avete sentito dire che ho fatto a Cafarnao; ma io vi prendo a testimoni che anche le Scritture dichiarano che ‘un profeta non è senza onore, salvo che nella sua patria e tra la sua gente.’ ”
(1686.5) 150:9.2 Ma essi lo presero a spintoni, puntando un dito accusatore verso di lui, e dissero: “Tu credi di essere migliore della gente di Nazaret; ti sei allontanato da noi, ma tuo fratello è un operaio comune e le tue sorelle vivono ancora tra di noi. Conosciamo tua madre, Maria. Dove sono essi oggi? Sentiamo grandi cose su di te, ma notiamo che al tuo ritorno non compi dei prodigi.” Gesù rispose loro: “Io amo la gente che abita nella città in cui sono cresciuto, e mi rallegrerei di vedervi entrare tutti nel regno dei cieli, ma non sta a me determinare il compimento delle opere di Dio. Le trasformazioni della grazia sono compiute in risposta alla fede vivente di coloro che ne sono i beneficiari.”
(1686.6) 150:9.3 Gesù avrebbe benevolmente tenuto a freno la folla e disarmato efficacemente anche i suoi violenti nemici se non fosse stato per un errore tattico di uno dei suoi apostoli, Simone Zelota, il quale, con l’aiuto di Naor, uno dei giovani evangelisti, aveva riunito nel frattempo un gruppo di amici di Gesù tra la folla, e assumendo un atteggiamento bellicoso intimò ai nemici del Maestro di andarsene. Gesù aveva insegnato a lungo agli apostoli che una risposta gentile distoglie la collera, ma i suoi discepoli non erano abituati a vedere il loro amato istruttore, che essi chiamavano così volentieri Maestro, trattato con tanta scortesia e disprezzo. Questo era troppo per loro, e ritennero di esprimere il loro appassionato e veemente risentimento, la qual cosa non fece che suscitare lo spirito di sommossa in questa assemblea provocante e villana. Così, sotto la guida di mercenari, questi ruffiani afferrarono Gesù e lo trascinarono fuori della sinagoga verso il bordo di un precipizio su una collina vicina, con l’intenzione di spingerlo nel vuoto e provocarne la morte sulle rocce sottostanti. Ma proprio nel momento in cui stavano per spingerlo fuori dal ciglio, Gesù si girò improvvisamente verso i suoi catturatori e ponendosi di fronte a loro incrociò tranquillamente le braccia. Egli non disse nulla, ma i suoi amici rimasero più che sbalorditi quando, come egli si mosse per venire avanti, la folla si scostò e lo lasciò passare senza molestarlo.
(1687.1) 150:9.4 Gesù, seguito dai suoi discepoli, si recò al loro accampamento, dove l’intero episodio fu raccontato. E quella sera stessa essi si prepararono a ritornare a Cafarnao l’indomani mattina presto, come Gesù aveva ordinato. Questa fine turbolenta del terzo giro di predicazione pubblica ebbe un effetto rinsavente su tutti i discepoli di Gesù. Essi cominciarono a comprendere il significato di certi insegnamenti del Maestro; si ridestarono al fatto che il regno sarebbe venuto soltanto attraverso molti dispiaceri ed amare delusioni.
(1687.2) 150:9.5 Essi lasciarono Nazaret questa domenica mattina, e viaggiando per vie differenti, si ritrovarono infine a Betsaida a mezzogiorno di giovedì 10 marzo. Essi si riunirono come un gruppo sereno e serio di predicatori disillusi del vangelo della verità e non come una banda entusiasta e pronta a conquistare tutto di crociati trionfanti.
(1688.1) 151:0.1 IL 10 marzo tutti i gruppi di predicatori e d’insegnanti si erano riuniti a Betsaida. Giovedì sera e venerdì molti di loro andarono a pesca, mentre sabato si recarono alla sinagoga per ascoltare un anziano Ebreo di Damasco parlare sulla gloria del padre Abramo. Gesù trascorse la maggior parte di questo sabato da solo sulle colline. Quel sabato sera il Maestro parlò per più di un’ora ai gruppi riuniti su “Il ruolo dell’avversità ed il valore spirituale della delusione”. Questa fu un’occasione memorabile ed i suoi ascoltatori non dimenticarono mai la lezione che impartì.
(1688.2) 151:0.2 Gesù non si era ancora completamente ripreso dal dispiacere del suo recente ripudio a Nazaret; gli apostoli notarono che una particolare tristezza si mescolava alla sua abituale condotta cordiale. Giacomo e Giovanni rimasero con lui gran parte del tempo, poiché Pietro era occupato con le numerose responsabilità concernenti il benessere e la direzione del nuovo corpo di evangelisti. Questo tempo di attesa prima di partire per la Pasqua a Gerusalemme fu impiegato dalle donne per andare di casa in casa, insegnando il vangelo e curando gli ammalati a Cafarnao e nelle città e villaggi circostanti.
(1688.3) 151:1.1 In questo periodo Gesù cominciò ad utilizzare per la prima volta il metodo delle parabole per istruire le folle che si riunivano così frequentemente attorno a lui. Poiché Gesù aveva parlato con gli apostoli e gli altri fino a notte inoltrata, questa domenica mattina molto pochi del gruppo si erano alzati per la colazione; così egli andò in riva al mare e si sedette da solo sul battello, il vecchio battello da pesca di Andrea e di Pietro, che era sempre lasciato a sua disposizione, e meditò sui prossimi passi da fare nel lavoro per l’espansione del regno. Ma il Maestro non sarebbe rimasto da solo a lungo. Molto presto cominciarono ad arrivare delle persone da Cafarnao e dai villaggi vicini, e verso le dieci di quel mattino quasi mille erano riunite sulla riva vicino al battello di Gesù e richiamavano a gran voce la sua attenzione. Pietro si era ora alzato, e facendosi strada fino al battello, disse a Gesù: “Maestro, devo parlare loro?” Ma Gesù rispose: “No, Pietro, racconterò loro una storia.” Ed allora Gesù cominciò il racconto della parabola del seminatore, una delle prime di una lunga serie di parabole simili che insegnò alle folle che lo seguivano. Questo battello aveva un sedile sopraelevato sul quale egli si sedette (perché era costume sedersi quando s’insegnava) per parlare alla folla riunita lungo la riva. Dopo che Pietro ebbe detto poche parole, Gesù disse:
(1688.4) 151:1.2 “Un seminatore uscì per seminare, e mentre seminava avvenne che alcuni semi caddero sul ciglio della strada dove furono calpestati e mangiati dagli uccelli del cielo. Altri semi caddero in luoghi sassosi dove c’era poca terra, e crebbero immediatamente perché non erano profondi nel terreno, ma appena il sole brillò essi seccarono non avendo radici con cui procurarsi l’umidità. Altri semi caddero tra i rovi, e quando i rovi crebbero essi furono soffocati, cosicché non diedero grano. Altri semi ancora caddero su terreno buono, e crescendo produssero alcuni trenta, alcuni sessanta, ed altri cento volte tanto.” E quando ebbe finito di raccontare questa parabola, egli disse alla folla: “Chi ha orecchie per intendere, intenda.”
(1689.1) 151:1.3 Gli apostoli e quelli che erano con loro, quando sentirono Gesù istruire il popolo in questo modo, rimasero molto perplessi; e dopo aver parlato a lungo tra di loro, quella sera, nel giardino di Zebedeo, Matteo disse a Gesù: “Maestro, qual è il significato delle oscure massime che presenti alla folla? Perché parli in parabole a coloro che cercano la verità?” E Gesù rispose:
(1689.2) 151:1.4 “Con pazienza vi ho istruito per tutto questo tempo. A voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma alle moltitudini prive di discernimento e a coloro che cercano la nostra distruzione d’ora in poi i misteri del regno saranno presentati in parabole. E faremo questo affinché coloro che desiderano realmente entrare nel regno possano discernere il significato dell’insegnamento e trovare così la salvezza, mentre coloro che ci ascoltano soltanto per trovarci in fallo possano essere più confusi per il fatto che vedranno senza vedere e udranno senza udire. Figli miei, voi non percepite la legge dello spirito che decreta che a colui che ha sarà dato affinché possieda in abbondanza; ma a colui che non ha sarà tolto anche quello che ha? Per questo parlerò d’ora in poi al popolo molto in parabole affinché i nostri amici e coloro che desiderano conoscere la verità possano trovare quello che cercano, mentre i nostri nemici e coloro che non amano la verità possano ascoltare senza comprendere. Molta di questa gente non segue la via della verità. In verità il profeta descrisse tutte queste anime prive di discernimento quando disse: ‘Perché il cuore di questa gente è divenuto grossolano, e le loro orecchie sono dure ad udire ed hanno chiuso i loro occhi per timore di discernere la verità e di comprenderla nel loro cuore.’ ”
(1689.3) 151:1.5 Gli apostoli non compresero pienamente il significato delle parole del Maestro. Mentre Andrea e Tommaso parlavano ancora con Gesù, Pietro e gli altri apostoli si ritirarono in un’altra parte del giardino dove s’impegnarono in una lunga ed approfondita discussione.
(1689.4) 151:2.1 Pietro e il gruppo vicino a lui giunsero alla conclusione che la parabola del seminatore era un’allegoria, che ciascun elemento aveva un significato nascosto, e così decisero di andare da Gesù a chiedere una spiegazione. Di conseguenza, Pietro si avvicinò al Maestro dicendo: “Noi non riusciamo a penetrare il significato di questa parabola e desideriamo che tu ce la spieghi, poiché dici che ci è dato di conoscere i misteri del regno.” E quando Gesù udì ciò, disse a Pietro: “Figlio mio, io non desidero nasconderti nulla, ma dimmi prima di che cosa avete parlato; qual è la tua interpretazione della parabola?” l’insegnamento del vangelo. Gli uccelli che portano via il seme caduto sul suolo indurito rappresentano Satana, o il maligno, che sottrae ciò che è stato seminato nel cuore di questi ignoranti. Il seme caduto nei luoghi sassosi e che germoglia così rapidamente rappresenta quelle persone superficiali e non riflessive che, quando ascoltano la buona novella, ricevono il
(1689.5) 151:2.2 Dopo un momento di silenzio, Pietro disse: “Maestro, noi abbiamo discusso molto sulla parabola e questa è l’interpretazione alla quale io sono giunto: il seminatore è il predicatore del vangelo; la semente è la parola di Dio. Il seme caduto sul ciglio della strada rappresenta coloro che non comprendono l’insegnamento del vangelo. Gli uccelli che portano via il seme caduto sul suolo indurito rappresentano Satana, o il maligno, che sottrae ciò che è stato seminato nel cuore di questi ignoranti. Il seme caduto nei luoghi sassosi e che germoglia così rapidamente rappresenta quelle persone superficiali e non riflessive che, quando ascoltano la buona novella, ricevono il messaggio con gioia; ma poiché la verità non ha radici nel profondo della loro comprensione, la loro devozione è di breve durata di fronte alle tribolazioni e alle persecuzioni. Quando sopraggiungono delle difficoltà, questi credenti vacillano; quando sono tentati si dileguano. Il seme caduto tra i rovi rappresenta coloro che ascoltano volentieri la parola, ma che permettono alle preoccupazioni del mondo e alla falsità delle ricchezze di soffocare la parola della verità, cosicché essa diviene sterile. Ora, il seme caduto sul terreno buono e germogliato per dare alcuni trenta, alcuni sessanta, ed altri cento volte tanto, rappresenta coloro che, quando hanno ascoltato la verità, l’hanno ricevuta con diversi gradi di apprezzamento — a motivo delle loro differenti doti intellettuali — e manifestano quindi questi diversi gradi di esperienza religiosa.”
(1690.1) 151:2.3 Gesù, dopo aver ascoltato l’interpretazione di Pietro della parabola, chiese agli altri apostoli se non avessero anche loro delle impressioni da presentare. Solo Natanaele rispose a questo invito. Egli disse: “Maestro, anche se riconosco molte buone cose nell’interpretazione della parabola da parte di Simon Pietro, io non sono pienamente d’accordo con lui. La mia opinione su questa parabola sarebbe: il seme rappresenta il vangelo del regno, mentre il seminatore rappresenta i messaggeri del regno. Il seme caduto sul ciglio della strada sul suolo indurito rappresenta coloro che hanno sentito poco del regno, insieme con coloro che sono indifferenti al messaggio e con coloro che hanno indurito il loro cuore. Gli uccelli del cielo che portano via il seme caduto sul ciglio della strada rappresentano le abitudini della vita, la tentazione del male e i desideri della carne. Il seme caduto tra i sassi rappresenta quelle anime emotive che sono rapide a ricevere il nuovo insegnamento ed egualmente veloci a rinunciare alla verità quando sono poste di fronte alle difficoltà e alle realtà di una vita conforme a questa verità; esse mancano di percezione spirituale. Il seme caduto tra i rovi rappresenta coloro che sono attratti verso le verità del vangelo; essi sono intenzionati a seguire i suoi insegnamenti, ma ne sono impediti dall’orgoglio della vita, dalla gelosia, dall’invidia e dalle ansietà dell’esistenza umana. Il seme caduto sul terreno buono, che germoglia per dare alcuni trenta, alcuni sessanta, ed altri cento volte tanto, rappresenta i naturali e diversi gradi di capacità a comprendere la verità e a rispondere ai suoi insegnamenti spirituali da parte di uomini e di donne che posseggono differenti dotazioni d’illuminazione spirituale.”
(1690.2) 151:2.4 Quando Natanaele ebbe finito di parlare, gli apostoli e i loro associati s’immersero in una seria discussione ed ingaggiarono un sincero dibattito, alcuni sostenendo la correttezza dell’interpretazione di Pietro, mentre un numero quasi uguale cercava di difendere la spiegazione della parabola fornita da Natanaele. Nel frattempo Pietro e Natanaele si erano ritirati in casa, dove s’impegnarono in un vigoroso e risoluto sforzo, ciascuno per convincere l’altro a cambiare opinione.
(1690.3) 151:2.5 Il Maestro permise a questa confusione di raggiungere il punto di più intensa espressione; poi batté le mani per chiamarli vicino a lui. Quando essi furono di nuovo tutti riuniti attorno a lui, disse: “Prima che vi parli di questa parabola, qualcuno di voi ha qualcosa da dire?” Dopo un momento di silenzio, Tommaso disse: “Sì, Maestro, io vorrei dire qualche parola. Mi ricordo che tu ci hai già detto una volta di stare in guardia su questa stessa cosa. Tu ci hai insegnato che, quando avessimo usato degli esempi per la nostra predicazione, impiegassimo storie vere, non delle favole, e che scegliessimo la storia più adatta ad illustrare la sola verità centrale ed essenziale che volevamo insegnare alla gente, e che, dopo aver utilizzato la storia, non tentassimo di effettuare un’applicazione spirituale di tutti i dettagli minori implicati nel racconto della storia. Io ritengo che Pietro e Natanaele si sbaglino entrambi nei loro tentativi d’interpretare questa parabola. Ammiro la loro abilità nel fare queste cose, ma sono egualmente certo che tutti questi tentativi per trarre da una normale parabola delle analogie spirituali da ciascuno dei suoi elementi possano portare soltanto alla confusione e ad un serio malinteso sul vero proposito di tale parabola. Che quanto affermo è vero risulta pienamente dal fatto che, mentre eravamo tutti dello stesso parere un’ora fa, ora siamo divisi in due gruppi separati che sostengono opinioni differenti su questa parabola, e sostengono tali opinioni così ardentemente da interferire, a mio avviso, con la nostra capacità di afferrare pienamente la grande verità che tu avevi in mente quando hai presentato questa parabola alla folla, e che hai chiesto successivamente a noi di commentare.”
(1691.1) 151:2.6 Le parole che Tommaso pronunciò ebbero un effetto calmante su tutti loro. Egli li invitò a ricordare ciò che Gesù aveva insegnato loro in precedenti occasioni, e prima che Gesù riprendesse a parlare, Andrea si alzò e disse: “Io sono persuaso che Tommaso abbia ragione e vorrei che ci dicesse quale significato egli attribuisce alla parabola del seminatore.” Dopo che Gesù ebbe invitato Tommaso a parlare, egli disse: “Fratelli miei, non vorrei prolungare questa discussione, ma poiché lo desiderate, dirò che penso che questa parabola sia stata raccontata per insegnarci una sola grande verità. E cioè che il nostro insegnamento del vangelo del regno, per quanto fedelmente ed efficacemente noi eseguiamo i nostri incarichi divini, sarà seguito da differenti gradi di successo; e che tutte queste differenze di risultati saranno direttamente dovute alle condizioni inerenti alle circostanze del nostro ministero, condizioni sulle quali noi abbiamo poco o nessun controllo.”
(1691.2) 151:2.7 Quando Tommaso ebbe finito di parlare, la maggioranza dei suoi compagni predicatori era pronta a convenire con lui, ed anche Pietro e Natanaele stavano per parlare con lui, quando Gesù si alzò e disse: “Bravo Tommaso; tu hai capito il vero significato delle parabole; ma sia Pietro che Natanaele hanno fatto altrettanto bene, nel senso che hanno evidenziato così pienamente il pericolo di trasformare in allegorie le mie parabole. Nel vostro cuore potete spesso impegnarvi proficuamente in questi slanci d’immaginazione speculativa, ma commettete un errore quando cercate di presentare tali conclusioni come parte del vostro insegnamento pubblico.”
(1691.3) 151:2.8 Ora che la tensione era superata, Pietro e Natanaele si felicitarono l’un l’altro per le loro interpretazioni e, ad eccezione dei gemelli Alfeo, ciascuno degli apostoli si avventurò a dare un’interpretazione della parabola del seminatore prima di ritirarsi per la notte. Anche Giuda Iscariota offrì una spiegazione molto plausibile. I dodici tentarono spesso, tra di loro, di decifrare le parabole del Maestro come avrebbero fatto di un’allegoria, ma non presero mai più sul serio tali speculazioni. Questa fu una riunione molto proficua per gli apostoli ed i loro associati, specialmente perché a partire da questo momento Gesù impiegò sempre di più delle parabole in connessione con il suo insegnamento pubblico.
(1691.4) 151:3.1 Gli apostoli erano talmente presi dalle parabole che l’intera serata successiva fu dedicata all’ulteriore discussione su di esse. Gesù introdusse la conferenza della sera dicendo: “Miei diletti, dovete sempre differenziare l’insegnamento in modo da adattare la vostra presentazione della verità alla mente e al cuore di coloro che vi ascoltano. Quando vi trovate davanti ad una moltitudine d’intelletti e di temperamenti diversi, non potete pronunciare parole differenti per ogni classe di ascoltatori, ma potete raccontare una storia per trasmettere il vostro insegnamento; ed ogni gruppo, ed anche ogni individuo, sarà in grado di dare la propria interpretazione della vostra parabola in conformità alle sue doti intellettuali e spirituali. Lasciate che la vostra luce brilli, ma fatelo con saggezza e discrezione. Nessuno, quando accende una lampada, la copre con un vaso o la mette sotto il letto; mette la sua lampada su un piedistallo dove tutti possano vedere la luce. Lasciate che vi dica che nel regno dei cieli non c’è niente di nascosto che non sarà manifestato; né vi sono dei segreti che non saranno infine conosciuti. Alla fine tutte le cose verranno alla luce. Non pensate soltanto alle folle e al modo in cui esse intendono la verità; prestate attenzione anche al modo in cui voi stessi la intendete. Ricordate ciò che vi ho detto molte volte: a colui che ha sarà dato di più, mentre a colui che non ha sarà tolto anche quello che pensa di avere.”
(1692.1) 151:3.2 Il seguito della discussione sulle parabole e delle ulteriori istruzioni sulla loro interpretazione può essere riassunto ed espresso in linguaggio moderno come segue:
(1692.2) 151:3.3 1. Gesù sconsigliò l’uso sia di favole che di allegorie per insegnare le verità del vangelo. Egli raccomandò il libero uso di parabole, specialmente di parabole sulla natura. Insisté sull’importanza di utilizzare l’analogia esistente tra il mondo naturale e quello spirituale come mezzo per insegnare la verità. Egli fece frequentemente allusione alla natura come “l’ombra irreale e fugace delle realtà spirituali”.
(1692.3) 151:3.4 2. Gesù citò tre o quattro parabole tratte dalle Scritture ebraiche, attirando l’attenzione sul fatto che questo metodo d’insegnamento non era del tutto nuovo. Tuttavia divenne quasi un metodo nuovo d’insegnamento per il modo in cui egli lo impiegò da allora in poi.
(1692.4) 151:3.5 3. Nell’insegnare agli apostoli il valore delle parabole, Gesù richiamò l’attenzione sui seguenti punti:
(1692.5) 151:3.6 La parabola fa simultaneo appello a livelli estremamente differenti di mente e di spirito. La parabola stimola l’immaginazione, sfida la discriminazione e provoca la critica mentale; incoraggia la simpatia senza suscitare antagonismo.
(1692.6) 151:3.7 La parabola parte dalle cose conosciute per giungere al discernimento del non conosciuto. La parabola utilizza il materiale ed il naturale come mezzi per presentare lo spirituale ed il supermateriale.
(1692.7) 151:3.8 Le parabole favoriscono l’adozione di decisioni morali imparziali. La parabola elude numerosi pregiudizi e introduce con grazia nuove verità nella mente, e fa tutto ciò provocando il minimo di risentimento personale di autodifesa.
(1692.8) 151:3.9 Il rifiuto della verità contenuta nell’analogia di una parabola richiede un atto intellettuale cosciente compiuto direttamente in dispregio del giudizio retto e della decisione equa di un individuo. La parabola porta a forzare il pensiero attraverso il senso dell’udito.
(1692.9) 151:3.10 L’uso dell’insegnamento in forma di parabole permette all’istruttore di presentare delle verità nuove, anche sensazionali, evitando nel contempo in larga misura ogni controversia e conflitto esterno con la tradizione e l’autorità costituita.
(1693.1) 151:3.11 La parabola possiede anche il vantaggio di stimolare il ricordo della verità insegnata quando s’incontrano successivamente le stesse scene familiari.
(1693.2) 151:3.12 In questo modo Gesù cercò di far conoscere ai suoi discepoli molte delle ragioni a sostegno della sua pratica d’impiegare sempre più le parabole nel suo insegnamento pubblico.
(1693.3) 151:3.13 Verso la fine della lezione della sera Gesù fece il suo primo commento sulla parabola del seminatore. Egli disse che la parabola si riferiva a due cose: primo, era un riesame del suo ministero fino a quel momento ed una previsione di ciò che l’attendeva durante il resto della sua vita sulla terra. Secondo, era anche un’allusione a quello che gli apostoli e gli altri messaggeri del regno potevano aspettarsi nel loro ministero, di generazione in generazione, con il passare del tempo.
(1693.4) 151:3.14 Gesù ricorse all’uso di parabole anche per confutare nel modo migliore possibile lo sforzo calcolato dei capi religiosi di Gerusalemme d’insegnare che tutta la sua opera era compiuta con l’assistenza di demoni e del principe dei diavoli. Il richiamo alla natura contraddiceva tale insegnamento, poiché la gente di quel tempo considerava tutti i fenomeni naturali come il prodotto dell’azione diretta di esseri spirituali e di forze soprannaturali. Egli decise anche di adottare questo metodo d’insegnamento perché gli consentiva di proclamare delle verità essenziali a coloro che desideravano conoscere la via migliore, fornendo allo stesso tempo ai suoi nemici minori opportunità di trovare motivi di offesa e di accuse contro di lui.
(1693.5) 151:3.15 Prima di congedare il gruppo per la notte, Gesù disse: “Ora vi racconterò la fine della parabola del seminatore. Vorrei mettervi alla prova per sapere come l’accetterete: il regno dei cieli è anche simile ad un uomo che ha seminato del buon seme sulla terra; e mentre dormiva di notte e si occupava dei suoi affari di giorno, il seme germogliò e crebbe, e senza che egli sapesse come, la pianta giunse a maturazione. Vi fu dapprima lo stelo, poi la spiga, poi il grano nella spiga. E poi quando il grano fu maturo l’uomo prese la sua falce e fu fatto il raccolto. Colui che ha orecchi per intendere intenda.”
(1693.6) 151:3.16 Gli apostoli rigirarono molte volte queste parole nella loro mente, ma il Maestro non fece mai più menzione di questa aggiunta alla parabola del seminatore.
(1693.7) 151:4.1 Il giorno successivo Gesù insegnò di nuovo al popolo dal battello, dicendo: “Il regno dei cieli è simile ad un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo; ma mentre dormiva il suo nemico venne a seminare della zizzania in mezzo al grano e fuggì. Così, quando le pianticelle germogliarono e più tardi stavano per dare frutto, apparve anche la zizzania. Allora i servi di questo padrone vennero a dirgli: ‘Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene allora questa zizzania?’ Ed egli rispose ai suoi servi: ‘Un nemico ha fatto questo.’ Allora i servi chiesero al loro padrone: ‘Vuoi che andiamo ad estirpare questa zizzania?’ Ma egli rispose loro dicendo: ‘No, per timore che strappandola sradichiate anche il frumento. Lasciate piuttosto che entrambi crescano insieme fino al tempo del raccolto, e dirò allora ai mietitori: raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla, poi raccogliete il frumento per ammassarlo nel mio granaio.’ ”
(1693.8) 151:4.2 Dopo che la gente ebbe posto qualche domanda, Gesù raccontò un’altra parabola: “Il regno dei cieli è simile ad un granello di senape che un uomo ha seminato nel suo campo. Ora un grano di senape è il più piccolo dei semi, ma quando si è sviluppato completamente diventa la più grande di tutte le erbe ed assomiglia ad un albero, cosicché gli uccelli del cielo possono venire a riposare sui suoi rami.”
(1694.1) 151:4.3 “Il regno dei cieli è anche simile al lievito che una donna prese e nascose in tre misure di farina, e così avvenne che tutta la farina lievitò.”
(1694.2) 151:4.4 “Il regno dei cieli è anche simile ad un tesoro nascosto in un campo e che un uomo ha scoperto. Nella sua gioia egli andò a vendere tutto quanto possedeva per poter avere il denaro per comperare il campo.”
(1694.3) 151:4.5 “Il regno dei cieli è anche simile ad un mercante che cerca delle belle perle; ed avendo trovato una perla di grande valore, andò a vendere quanto possedeva per poter acquistare la perla straordinaria.”
(1694.4) 151:4.6 “Ancora, il regno dei cieli è simile ad una rete a strascico che è stata gettata in mare e che raccoglie ogni sorta di pesci. Ora, quando la rete fu piena, i pescatori la tirarono sulla spiaggia, dove si sedettero per fare la cernita dei pesci, raccogliendo quelli buoni in panieri mentre gettarono via quelli cattivi.”
(1694.5) 151:4.7 Gesù raccontò alla folla molte altre parabole. Infatti, a partire da questo momento egli insegnò raramente alle masse se non con questi metodi. Dopo aver parlato in parabole ad un uditorio pubblico, egli esponeva più completamente ed esplicitamente i suoi insegnamenti agli apostoli e agli evangelisti durante le riunioni della sera.
(1694.6) 151:5.1 La folla continuò ad aumentare per tutta la settimana. Sabato Gesù se ne andò sulle colline, ma domenica mattina le folle ritornarono. Gesù parlò loro nel primo pomeriggio dopo la predicazione di Pietro, e quando ebbe terminato, disse ai suoi apostoli: “Sono stanco della ressa; andiamo sull’altra sponda a riposarci per un giorno.”
(1694.7) 151:5.2 Mentre attraversavano il lago essi incontrarono una di quelle violente ed improvvise bufere di vento che sono caratteristiche del Mare di Galilea, specialmente in questa stagione dell’anno. Questa massa d’acqua è circa duecento metri sotto il livello del mare ed è circondata da alte rive, specialmente ad ovest. Vi sono delle gole profonde che vanno dal lago verso i monti, e poiché l’aria calda si alza in una sacca sopra il lago durante il giorno, c’è una tendenza dopo il tramonto che l’aria fresca delle gole irrompa verso il lago. Queste bufere di vento arrivano rapidamente e se ne vanno talvolta altrettanto improvvisamente.
(1694.8) 151:5.3 Fu proprio una di queste bufere di vento della sera che sorprese il battello che portava Gesù verso l’altra riva questa domenica sera. Altri tre battelli con alcuni degli evangelisti più giovani lo seguivano. Questa tempesta era molto violenta, nonostante fosse limitata a questa zona del lago, non essendovi segni di burrasca sulla riva occidentale. Il vento era talmente forte che le onde cominciarono ad abbattersi sul battello. Il forte vento aveva strappato via la vela prima che gli apostoli avessero potuto ammainarla, ed essi dipendevano ora interamente dai loro remi per remare faticosamente verso la riva, distante poco meno di tre chilometri.
(1694.9) 151:5.4 Nel frattempo Gesù dormiva a poppa del battello sotto un piccolo riparo che lo proteggeva. Il Maestro era stanco quando lasciarono Betsaida, ed era per assicurarsi del riposo che aveva ordinato loro di portarlo sull’altra riva. Questi ex pescatori erano dei rematori forti ed esperti, ma questa era una delle tormente più violente che avessero mai incontrato. Sebbene il vento e le onde sballottassero il loro battello quasi fosse un giocattolo, Gesù continuava a dormire imperturbato. Pietro era al remo di dritta vicino alla poppa. Quando il battello cominciò a riempirsi d’acqua, egli lasciò il suo remo e, precipitatosi verso Gesù, lo scosse energicamente per svegliarlo, e quando si fu destato Pietro gli disse: “Maestro, non sai che siamo in mezzo ad una violenta tempesta? Se tu non ci salvi periremo tutti.”
(1695.1) 151:5.5 Come uscì sotto la pioggia, Gesù guardò prima Pietro e poi, scrutando nell’oscurità i rematori che lottavano, volse nuovamente lo sguardo verso Simon Pietro, il quale, nella sua agitazione, non era ancora tornato al suo remo, e gli disse: “Perché siete tutti così impauriti? Dov’è la vostra fede? Calma, state tranquilli.” Gesù aveva appena rivolto questo rimprovero a Pietro e agli altri apostoli, ed aveva appena invitato Pietro a cercare serenità per calmare la sua anima preoccupata, quando l’atmosfera perturbata, ristabilito il proprio equilibrio, si placò in una grande calma. Le onde agitate si calmarono quasi immediatamente, mentre le nuvole nere, dopo un breve acquazzone, svanirono, e le stelle brillarono nel cielo. Per quanto possiamo giudicare noi, tutto ciò fu una pura coincidenza; ma gli apostoli, e specialmente Simon Pietro, non cessarono mai di considerare l’episodio come un miracolo della natura. Era particolarmente facile per gli uomini di quel tempo credere a dei miracoli della natura poiché erano fermamente persuasi che tutta la natura fosse un fenomeno direttamente controllato da forze spirituali e da esseri soprannaturali.
(1695.2) 151:5.6 Gesù spiegò chiaramente ai dodici che egli aveva parlato ai loro spiriti turbati e si era rivolto alle loro menti scosse dalla paura, e che non aveva comandato agli elementi di obbedire alla sua parola, ma non servì a nulla. I discepoli del Maestro persistettero sempre nell’interpretare a modo loro tutti questi avvenimenti casuali. Da quel giorno essi insisterono nel considerare il Maestro come uno che disponeva di un potere assoluto sugli elementi della natura. Pietro non si stancò mai di raccontare come “anche i venti e le onde gli obbediscono”.
(1695.3) 151:5.7 Era sera tardi quando Gesù ed i suoi associati raggiunsero la riva, e poiché era una notte calma e stupenda, si riposarono tutti nei battelli e non sbarcarono che poco dopo il sorgere del sole del giorno successivo. Quando furono riuniti insieme, circa quaranta in tutto, Gesù disse: “Saliamo su quelle colline e fermiamoci per alcuni giorni a meditare sui problemi del regno del Padre.”
(1695.4) 151:6.1 Sebbene la maggior parte della vicina riva orientale del lago risalisse dolcemente verso le terre alte, in questo punto particolare c’era un pendio scosceso, e la riva in alcuni punti cadeva a picco sul lago. Indicando il fianco della collina vicina, Gesù disse: “Saliamo su questo fianco per fare colazione e per riposare e parlare sotto qualche riparo.”
(1695.5) 151:6.2 Tutto questo fianco della collina era pieno di caverne che erano state scavate nella roccia. Molte di queste nicchie erano antichi sepolcri. A mezza collina, su una piccola area relativamente piana, si trovava il cimitero del piccolo villaggio di Keresa. Mentre Gesù ed i suoi associati passavano vicino a questo cimitero, un demente che viveva in queste caverne sul fianco della collina si precipitò verso di loro. Questo demente era molto conosciuto da queste parti, ed una volta era stato legato con ceppi e catene e confinato in una delle grotte. Da lungo tempo egli aveva rotto i suoi ceppi ed errava ora in libertà fra le tombe ed i sepolcri abbandonati.
(1696.1) 151:6.3 Quest’uomo, di nome Amos, era afflitto da una forma ricorrente di follia. C’erano lunghi periodi in cui si procurava da vestire e si comportava abbastanza bene tra i suoi simili. Durante uno di questi intervalli di lucidità egli era andato a Betsaida, dove aveva ascoltato la predicazione di Gesù e degli apostoli, ed in quel tempo era divenuto un tiepido credente nel vangelo del regno. Ma comparve presto una fase violenta della sua malattia, ed egli fuggì verso le tombe, dove gemeva, urlava e si comportava in maniera tale da terrorizzare tutti coloro cui capitava d’incontrarlo.
(1696.2) 151:6.4 Quando Amos riconobbe Gesù cadde ai suoi piedi ed esclamò: “Io ti conosco, Gesù, ma io sono posseduto da molti demoni e ti supplico di non tormentarmi.” Quest’uomo credeva veramente che la sua periodica afflizione mentale fosse dovuta al fatto che, in tali momenti, degli spiriti cattivi od impuri entrassero in lui e dominassero la sua mente ed il suo corpo. I suoi disturbi erano principalmente emotivi — il suo cervello non era gravemente malato.
(1696.3) 151:6.5 Gesù, abbassando il suo sguardo sull’uomo che strisciava ai suoi piedi come un animale, si piegò e, presolo per mano, lo fece alzare e gli disse: “Amos, tu non sei posseduto da un demone; tu hai già ascoltato la buona novella che sei un figlio di Dio. Io ti comando di uscire da questo malessere.” E quando Amos udì Gesù pronunciare queste parole, si produsse una tale trasformazione nel suo intelletto che fu immediatamente ristabilito nell’equilibrio mentale e nel normale controllo delle sue emozioni. In questo momento si era riunita una folla considerevole proveniente dal villaggio vicino e queste persone, accresciute dai custodi di porci provenienti dalle alture circostanti, rimasero stupite nel vedere il demente che sedeva con Gesù e i suoi discepoli, nel pieno possesso del suo equilibrio mentale e che conversava liberamente con loro.
(1696.4) 151:6.6 Mentre i guardiani di porci si precipitavano nel villaggio per diffondere la notizia che il demente era stato risanato, i cani caricarono un piccolo branco di circa trenta porci incustoditi e spinsero la maggior parte di essi da un precipizio nel mare. Fu questo avvenimento accidentale, in connessione con la presenza di Gesù e con la presunta guarigione miracolosa del demente, che diede origine alla leggenda che Gesù aveva guarito Amos cacciando una legione di demoni da lui, e che questi demoni erano entrati nel branco di porci, inducendoli subito a fuggire a testa bassa verso la loro distruzione nel mare sottostante. Prima della fine del giorno questo episodio era stato diffuso dai custodi di porci, e l’intero villaggio vi credette. Amos credette con assoluta certezza a questa storia; egli aveva visto i porci cadere oltre il ciglio della collina poco dopo che la sua mente turbata si era calmata, e credette sempre che essi avessero portato con loro gli stessi spiriti cattivi che l’avevano così a lungo tormentato ed afflitto. E ciò contribuì molto alla permanenza della sua guarigione. È ugualmente vero che tutti gli apostoli di Gesù (eccetto Tommaso) credettero che l’episodio dei porci fosse direttamente connesso con la guarigione di Amos.
(1696.5) 151:6.7 Gesù non ottenne il riposo che era venuto a cercare. Per quasi tutta la giornata egli fu pressato da coloro che venivano a seguito della notizia che Amos era stato guarito, e che erano attratti dalla storia che i demoni erano usciti dal demente per entrare nel branco di porci. Così, dopo una sola notte di riposo, martedì mattina presto Gesù ed i suoi amici furono svegliati da una delegazione di questi allevatori pagani di porci, che era venuta a sollecitarlo di allontanarsi da loro. Il loro portavoce disse a Pietro e ad Andrea: “Pescatori di Galilea, partite da noi e portate con voi il vostro profeta. Noi sappiamo che è un sant’uomo, ma gli dei del nostro paese non lo conoscono e noi rischiamo di perdere un gran numero di porci. La paura di voi e discesa su di noi, per cui vi preghiamo di andarvene.” E quando Gesù li ebbe ascoltati disse ad Andrea: “Ritorniamo a casa nostra.”
(1697.1) 151:6.8 Al momento di partire Amos supplicò Gesù di permettergli di tornare con loro, ma il Maestro non volle acconsentire. Gesù disse ad Amos: “Non dimenticare che sei un figlio di Dio. Ritorna dal tuo popolo e mostra loro quali grandi cose Dio ha fatto per te.” Ed Amos andò in giro a divulgare che Gesù aveva cacciato una legione di demoni dalla sua anima turbata, e che questi spiriti cattivi erano entrati in un branco di porci, conducendoli subito alla distruzione. Ed egli non si fermò prima di essere andato in tutte le città della Decapoli, proclamando quali grandi cose Gesù aveva fatto per lui.
(1698.1) 152:0.1 LA STORIA della guarigione di Amos, il demente di Keresa, si era già diffusa a Betsaida e a Cafarnao, cosicché una grande folla stava aspettando Gesù quando il suo battello accostò quel martedì mattina. In mezzo a questa folla si trovavano i nuovi osservatori inviati dal Sinedrio di Gerusalemme, che erano venuti a Cafarnao per trovare un motivo per arrestare e mettere sotto accusa il Maestro. Mentre Gesù parlava con coloro che si erano riuniti per accoglierlo, Giairo, uno dei capi della sinagoga, si aprì un varco tra la folla e, prostratosi ai suoi piedi, lo prese per mano e lo supplicò di andare in fretta con lui, dicendo: “Maestro, la mia figlioletta, una figlia unica, giace a casa mia in punto di morte. Ti prego di venire a guarirla.” Quando Gesù udì la richiesta di questo padre, disse: “Verrò con te.”
(1698.2) 152:0.2 Quando Gesù si avviò con Giairo, la grande moltitudine che aveva sentito la supplica del padre li seguì per vedere che cosa sarebbe accaduto. Poco prima del loro arrivo a casa del dirigente, mentre passavano in fretta per una strada stretta e con la folla che lo pressava, Gesù si fermò improvvisamente esclamando: “Qualcuno mi ha toccato.” E quando coloro che erano vicini a lui negarono di averlo toccato, Pietro disse: “Maestro, puoi vedere come questa folla ti pressa minacciando di schiacciarci, e tuttavia tu dici ‘qualcuno mi ha toccato’. Che cosa vuoi dire?” Allora Gesù disse: “Ho chiesto chi mi ha toccato perché ho percepito che dell’energia vivente era uscita da me.” Mentre Gesù si guardava attorno, il suo sguardo si posò su una donna vicina a lui, la quale, fattasi avanti, s’inginocchiò ai suoi piedi e disse: “Per anni sono stata afflitta da un’estenuante emorragia. Ho sofferto molto per l’intervento di numerosi medici; ho consumato tutte le mie sostanze, ma nessuno è riuscito a guarirmi. Poi ho sentito parlare di te ed ho pensato che se solo potevo toccare il lembo della tua veste certamente sarei guarita. E così sono avanzata con la folla che spingeva in avanti fino a che, trovandomi vicina a te, Maestro, ho toccato il bordo della tua veste e sono guarita; io so che sono stata guarita della mia malattia.”
(1698.3) 152:0.3 Quando Gesù udì ciò, prese la donna per mano e, fattala alzare, disse: “Figlia, la tua fede ti ha guarita; va in pace.” Fu la sua fede e non il suo tocco che la guarì. Questo caso è un buon esempio di molte guarigioni apparentemente miracolose che avvennero durante la carriera terrena di Gesù, ma che egli non volle coscientemente in alcun senso. Il passare del tempo dimostrò che questa donna era realmente guarita della sua malattia. La sua fede era del genere che faceva presa diretta sul potere creatore che risiedeva nella persona del Maestro. Con la fede che essa aveva, le bastava soltanto avvicinare la persona del Maestro. Non era affatto necessario che toccasse la sua veste; quella era semplicemente la parte superstiziosa della sua credenza. Gesù chiamò questa donna, Veronica di Cesarea di Filippo, in sua presenza per correggere due errori che potevano dimorare nella sua mente, o che potevano persistere nella mente dei testimoni di questa guarigione: egli non voleva che Veronica se ne andasse pensando che la sua paura, tentando d’impossessarsi furtivamente della guarigione, fosse stata onorata, o che la sua superstizione di associare il tocco della veste con la sua guarigione avesse avuto effetto. Egli desiderava far sapere a tutti che era la fede pura e vivente di Veronica che aveva operato la guarigione.
(1699.1) 152:1.1 Giairo era naturalmente assai spazientito per questo ritardo nel raggiungere la sua casa; così essi si rimisero in cammino con passo svelto. Ancora prima di entrare nel cortile del dirigente, uno dei suoi servi uscì dicendo: “Non disturbare il Maestro; tua figlia è morta.” Ma Gesù sembrò non prestare attenzione alle parole del servo perché, conducendo con lui Pietro, Giacomo e Giovanni, si girò e disse al padre in preda al dolore: “Non temere; credi soltanto.” Quando entrò in casa, egli trovò i suonatori di flauto già là con i piangitori che stavano facendo un baccano indecoroso; i parenti stavano già piangendo e gemendo. Dopo aver fatto uscire tutti i piangitori dalla stanza, entrò con il padre, la madre ed i suoi tre apostoli. Egli aveva detto ai piangitori che la fanciulla non era morta, ma essi lo derisero. Gesù si rivolse allora alla madre dicendo: “Tua figlia non è morta; è solo addormentata.” E dopo che la calma fu tornata nella casa, Gesù, avvicinatosi al giaciglio della ragazza, la prese per la mano e disse: “Figlia, io ti dico svegliati e alzati!” E quando la ragazza udì queste parole, si alzò immediatamente e camminò per la stanza. E subito, dopo che essa si fu ripresa dal suo stordimento, Gesù ordinò che le dessero qualcosa da mangiare, perché era stata a lungo senza cibo.
(1699.2) 152:1.2 Poiché c’era molta agitazione a Cafarnao contro Gesù, egli riunì la famiglia e spiegò che la fanciulla era caduta in uno stato di coma a seguito di una lunga febbre e che egli l’aveva semplicemente svegliata, che non l’aveva risuscitata dalla morte. Egli spiegò similmente tutto questo ai suoi apostoli, ma fu inutile; essi credettero tutti che avesse risuscitato la ragazza dalla morte. Quello che Gesù diceva a spiegazione di molti di questi miracoli apparenti aveva poco effetto sui suoi discepoli. Essi erano fissati con i miracoli e non tralasciavano alcuna occasione per attribuire un nuovo prodigio a Gesù. Gesù e gli apostoli ritornarono a Betsaida dopo che egli ebbe specificamente raccomandato a tutti loro di non raccontare niente a nessuno.
(1699.3) 152:1.3 Quando uscì dalla casa di Giairo, due ciechi condotti da un ragazzo muto lo seguirono chiedendo a gran voce di essere guariti. In questo momento la fama di Gesù come guaritore era al suo apice. Dovunque andasse degli ammalati e degli afflitti lo stavano aspettando. Il Maestro appariva ora molto stanco e tutti i suoi amici temevano che continuasse la sua opera d’insegnamento e di guarigione fino al punto di un vero collasso.
(1699.4) 152:1.4 Gli apostoli di Gesù, per non parlare della gente comune, non potevano comprendere la natura e gli attributi di questo Dio-uomo. Né alcuna generazione successiva è stata capace di valutare che cosa avvenne sulla terra nella persona di Gesù di Nazaret. E né la scienza né la religione avranno mai la possibilità di controllare questi avvenimenti eccezionali, per la semplice ragione che una simile situazione straordinaria non potrà mai più riprodursi né su questo pianeta né su nessun altro mondo di Nebadon. Mai più, in nessun mondo di questo intero universo, apparirà un essere nelle sembianze della carne mortale, incorporando allo stesso tempo tutti gli attributi dell’energia creatrice congiunti con le doti spirituali che trascendono il tempo e la maggior parte delle altre limitazioni materiali.
(1700.1) 152:1.5 Mai prima che Gesù fosse sulla terra, né dopo, è stato possibile ottenere in modo così diretto e vivido i risultati che accompagnano la fede forte e vivente degli uomini e delle donne mortali. Per ripetere questi fenomeni bisognerebbe andare alla presenza immediata di Micael, il Creatore, e trovarlo com’era in quei giorni — il Figlio dell’Uomo. Anche oggi, sebbene la sua assenza impedisca tali manifestazioni materiali, voi dovreste astenervi dal porre ogni sorta di limitazioni alla possibile dimostrazione del suo potere spirituale. Benché il Maestro sia assente come essere materiale, è presente come influenza spirituale nel cuore degli uomini. Lasciando questo mondo, Gesù ha permesso al suo spirito di vivere a fianco di quello di suo Padre, che risiede nella mente di ogni uomo.
(1700.2) 152:2.1 Gesù continuò ad insegnare al popolo di giorno e ad istruire gli apostoli e gli evangelisti di sera. Il venerdì egli annunciò una licenza di una settimana in modo che tutti i suoi discepoli potessero recarsi a casa loro o dai loro amici per alcuni giorni prima di prepararsi ad andare a Gerusalemme per la Pasqua. Ma più della metà dei suoi discepoli rifiutò di lasciarlo, e la folla cresceva ogni giorno di più, al punto che Davide Zebedeo voleva costruire un nuovo accampamento, ma Gesù rifiutò di acconsentirvi. Il Maestro aveva riposato così poco durante il sabato che domenica mattina, 27 marzo, cercò di allontanarsi dalla folla. Alcuni evangelisti furono lasciati a parlare alla folla, mentre Gesù e i dodici progettavano di andarsene, in incognito, sulla riva opposta del lago, dove si proponevano di ottenere il riposo di cui avevano tanto bisogno in un magnifico parco a sud di Betsaida-Giulia. Questa zona era un luogo di svago favorito degli abitanti di Cafarnao; essi conoscevano bene questi parchi posti sulla riva orientale.
(1700.3) 152:2.2 Ma la gente non la intendeva così. Essi conoscevano la direzione presa dal battello di Gesù, ed affittando ogni imbarcazione disponibile partirono all’inseguimento. Quelli che non riuscirono a procurarsi dei battelli partirono a piedi per girare intorno all’estremità nord del lago.
(1700.4) 152:2.3 Nel tardo pomeriggio più di mille persone avevano trovato il Maestro in uno dei parchi ed egli parlò loro brevemente, seguito da Pietro. Molte di queste persone avevano portato con sé del cibo, e dopo aver preso il pasto serale si riunirono in piccoli gruppi mentre gli apostoli e i discepoli di Gesù li istruivano.
(1700.5) 152:2.4 Lunedì pomeriggio la moltitudine era aumentata a più di tremila persone. Ed ancora — durante la sera — la gente continuava ad arrivare portando con sé ogni sorta di ammalati. Centinaia di persone interessate avevano deciso di fermarsi a Cafarnao per vedere ed ascoltare Gesù lungo il loro tragitto per recarsi alla Pasqua, e rifiutavano semplicemente di essere delusi. Mercoledì a mezzogiorno circa cinquemila uomini, donne e bambini erano riuniti in questo parco a sud di Betsaida-Giulia. Il tempo era gradevole, essendo prossima la fine della stagione delle piogge in questa località.
(1700.6) 152:2.5 Filippo aveva procurato un rifornimento di cibo per tre giorni per Gesù e i dodici, che era custodito dal giovane Marco, il loro tuttofare. Il pomeriggio di questo giorno, il terzo per quasi la metà di questa moltitudine, il cibo che la gente aveva portato con sé era quasi terminato. Davide Zebedeo non aveva qui una città di tende per nutrire ed alloggiare le folle. Né Filippo aveva fatto provviste di cibo per una tale moltitudine. Ma la gente, sebbene avesse fame, non voleva andarsene. Si sussurrava segretamente che Gesù, desideroso di evitare difficoltà sia con Erode che con i dirigenti di Gerusalemme, avesse scelto questo posto tranquillo fuori della giurisdizione di tutti i suoi nemici come luogo adatto per essere incoronato re. L’entusiasmo del popolo stava crescendo di ora in ora. Non una parola fu detta a Gesù, sebbene certamente egli sapesse tutto quello che stava accadendo. Anche i dodici apostoli erano contaminati da queste idee, e specialmente gli evangelisti più giovani. Gli apostoli che favorivano questo tentativo di proclamare Gesù re erano Pietro, Giovanni, Simone Zelota e Giuda Iscariota. Quelli che si opponevano al piano erano Andrea, Giacomo, Natanaele e Tommaso. Matteo, Filippo e i gemelli Alfeo erano neutrali. Il capo di questo complotto per farlo re era Joab, uno dei giovani evangelisti.
(1701.1) 152:2.6 Questa era la situazione alle cinque di mercoledì pomeriggio, quando Gesù chiese a Giacomo Alfeo di chiamare Andrea e Filippo. Gesù disse loro: “Che cosa faremo con la moltitudine? Essi sono con noi da tre giorni e molti di loro hanno fame. Essi non hanno cibo.” Filippo e Andrea si guardarono l’un l’altro e poi Filippo rispose: “Maestro, dovresti mandare via questa gente affinché possa andare nei villaggi circostanti a comperarsi del cibo.” E Andrea, che temeva l’attuazione del complotto per farlo re, si unì subito a Filippo dicendo: “Sì, Maestro, credo sia meglio che tu congedi la folla affinché possa andare per la sua strada ed acquistare del cibo mentre tu ti prendi un po’ di riposo.” In questo momento altri dei dodici si erano aggiunti al gruppo. Allora Gesù disse: “Ma io non desidero mandarli via affamati; non potete nutrirli?” Questo fu troppo per Filippo, ed egli gridò: “Maestro, in questo posto di campagna dove possiamo acquistare del pane per questa moltitudine? Duecento denari non basterebbero per un pasto.”
(1701.2) 152:2.7 Prima che gli apostoli avessero avuto la possibilità di esprimersi, Gesù si girò verso Andrea e Filippo dicendo: “Non voglio mandare via queste persone. Eccoli, sono come delle pecore senza un pastore. Io vorrei nutrirle. Quale cibo abbiamo con noi?” Mentre Filippo conversava con Matteo e Giuda, Andrea cercò il giovane Marco per accertare quanto fosse rimasto delle loro provviste. Egli ritornò da Gesù dicendo: “Non restano al ragazzo che cinque pani d’orzo e due pesci secchi” — e Pietro aggiunse prontamente: “E dobbiamo ancora mangiare questa sera.”
(1701.3) 152:2.8 Per un istante Gesù rimase in silenzio. C’era un’espressione lontana nei suoi occhi. Gli apostoli tacevano. Gesù si girò improvvisamente verso Andrea e disse: “Portami i pani e i pesci.” E quando Andrea ebbe portato il cesto a Gesù, il Maestro disse: “Ordina alla gente di sedersi sull’erba in gruppi di cento e di designare un capo per ciascun gruppo mentre tu porti tutti gli evangelisti qui con noi.”
(1701.4) 152:2.9 Gesù prese i pani nelle sue mani e, dopo aver reso grazie, spezzò il pane e ne diede ai suoi apostoli, che lo passarono ai loro associati, i quali a loro volta lo portarono alla moltitudine. Gesù allo stesso modo spezzò e distribuì i pesci. E questa moltitudine mangiò e fu saziata. E quando ebbero finito di mangiare, Gesù disse ai discepoli: “Raccogliete i pezzi rotti che rimangono affinché niente vada perduto.” E quando ebbero finito di raccogliere i pezzi, essi avevano riempito dodici cesti. Quelli che parteciparono a questo banchetto straordinario furono circa cinquemila uomini, donne e bambini.
(1702.1) 152:2.10 E questo fu il primo ed unico miracolo della natura che Gesù compì dopo averlo coscientemente progettato. È vero che i suoi discepoli avevano tendenza a chiamare miracoli molti fatti che non lo erano, ma questo fu un autentico ministero soprannaturale. In questo caso, come ci è stato insegnato, Micael moltiplicò gli elementi nutritivi come fa sempre, salvo l’eliminazione del fattore tempo ed il canale vitale visibile.
(1702.2) 152:3.1 La nutrizione dei cinquemila con energia soprannaturale fu un altro di quei casi in cui la pietà umana aggiunta al potere creatore ebbero come risultato ciò che avvenne. Ora che la moltitudine era stata saziata, e poiché la fama di Gesù era subito aumentata a causa di questo straordinario prodigio, il progetto di prendere il Maestro e di proclamarlo re non richiedeva alcuna direzione personale. L’idea sembrò diffondersi tra la folla come un contagio. La reazione della moltitudine a questo soddisfacimento improvviso e spettacolare dei suoi bisogni fisici fu profonda e travolgente. Per lungo tempo era stato insegnato agli Ebrei che il Messia, il figlio di Davide, quando fosse venuto, avrebbe fatto nuovamente scorrere nel paese latte e miele, e che il pane della vita sarebbe stato donato loro come la manna del cielo si pensava fosse caduta sui loro antenati nel deserto. E tutta questa aspettativa non stava per realizzarsi ora proprio davanti ai loro occhi? Quando questa moltitudine affamata e denutrita ebbe finito di rimpinzarsi con il cibo miracoloso, ci fu una sola reazione unanime: “Ecco il nostro re.” Il liberatore d’Israele che compiva prodigi era giunto. Agli occhi di queste persone semplici il potere di nutrire comportava il diritto di regnare. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che la moltitudine, quando ebbe finito di mangiare, si sia alzata come un sol uomo e abbia gridato: “Facciamolo re!”
(1702.3) 152:3.2 Questo forte clamore entusiasmò Pietro e quegli apostoli che conservavano ancora la speranza di vedere Gesù affermare il suo diritto a regnare. Ma queste false speranze non sarebbero vissute a lungo. Questo forte clamore della moltitudine aveva appena cessato di ripercuotersi sulle rocce vicine che Gesù salì su un’enorme pietra e, alzata la mano destra per attirare la loro attenzione, disse: “Figli miei, voi avete delle buone intenzioni, ma siete poco avveduti e rivolti alla materialità.” Ci fu una breve pausa; questo vigoroso Galileo era là in atteggiamento maestoso nell’incantevole splendore di quel tramonto orientale. Egli sembrava in tutto un re mentre proseguiva a dire a questa moltitudine trepidante: “Voi vorreste farmi re, non perché le vostre anime sono state illuminate da una grande verità, ma perché i vostri stomaci sono stati riempiti di pane. Quante volte vi ho detto che il mio regno non è di questo mondo? Il regno dei cieli che noi proclamiamo è una fraternità spirituale e nessuno la governa seduto su un trono materiale. Mio Padre che è nei cieli è il Sovrano infinitamente saggio ed onnipotente di questa fraternità spirituale dei figli di Dio sulla terra. Ho talmente sbagliato nel rivelarvi il Padre degli spiriti al punto che vorreste fare un re di suo Figlio incarnato! Ora ritornate tutti alle vostre case. Se avete bisogno di un re, che il Padre delle luci sia incoronato nel cuore di ciascuno di voi come Sovrano spirituale di tutte le cose.”
(1702.4) 152:3.3 Queste parole di Gesù congedarono la moltitudine disorientata e scoraggiata. Molti di coloro che avevano creduto in lui fecero marcia indietro e cessarono da allora di seguirlo. Gli apostoli erano senza parole; essi stavano riuniti in silenzio attorno ai dodici cesti con i resti del cibo; solo il ragazzo tuttofare, il giovane Marco, disse: “Ed egli ha rifiutato di essere nostro re.” Prima di partire da solo per le colline, Gesù si girò verso Andrea e disse: “Riporta i tuoi fratelli a casa di Zebedeo e prega con loro, specialmente per tuo fratello Simon Pietro.”
(1703.1) 152:4.1 Gli apostoli, senza il loro Maestro — mandati via da soli — salirono sul battello e cominciarono a remare in silenzio verso Betsaida, posta sulla riva occidentale del lago. Nessuno dei dodici era così depresso ed abbattuto come Simon Pietro. Fu pronunciata a malapena qualche parola; essi stavano pensando tutti al Maestro da solo sulle colline. Li aveva abbandonati? In precedenza egli non li aveva mai mandati via tutti e rifiutato di andare con loro. Che cosa poteva significare tutto ciò?
(1703.2) 152:4.2 L’oscurità scese su di loro, perché si era alzato un forte vento contrario che rendeva quasi impossibile avanzare. Mentre le ore dell’oscurità e del remare faticoso passavano, Pietro si sentì stanco e cadde per la spossatezza in un sonno profondo. Andrea e Giacomo lo stesero sul sedile imbottito a poppa del battello. Mentre gli altri apostoli lottavano contro il vento e le onde, Pietro fece un sogno; ebbe una visione di Gesù che veniva verso di loro camminando sul mare. Quando il Maestro sembrò procedere oltre il battello, Pietro gridò: “Salvaci, Maestro, salvaci.” E quelli che si trovavano a poppa del battello lo udirono pronunciare alcune di queste parole. Mentre questa apparizione notturna continuava nella mente di Pietro, sognò che udiva Gesù dire: “Abbiate coraggio, sono io, non temete.” Ciò fu come il balsamo di Galaad sull’anima turbata di Pietro; questo placò il suo spirito agitato, cosicché (nel suo sogno) egli gridò al Maestro: “Signore, se sei veramente tu, invitami a venire a camminare con te sull’acqua.” E quando Pietro si mise a camminare sull’acqua, le onde impetuose lo atterrirono, e poiché stava per affondare, gridò: “Signore, salvami!” E molti dei dodici lo udirono lanciare questo grido. Poi Pietro sognò che Gesù veniva in suo soccorso, e tendendo la sua mano lo afferrava e lo sollevava dicendo: “O, tu di poca fede, perché hai dubitato?”
(1703.3) 152:4.3 In connessione con l’ultima parte del suo sogno, Pietro si alzò dal sedile su cui dormiva e andò veramente fuori bordo ed in acqua. Ed egli si svegliò dal suo sogno mentre Andrea, Giacomo e Giovanni lo afferravano e lo tiravano fuori dal mare.
(1703.4) 152:4.4 Per Pietro questa esperienza fu sempre reale. Egli credette sinceramente che Gesù fosse venuto da loro quella notte. Egli convinse solo parzialmente Giovanni Marco, cosa che spiega perché Marco lasciò una parte della storia fuori dal suo racconto. Luca, il medico, che fece delle ricerche approfondite su queste materie, concluse che l’episodio fu una visione di Pietro e rifiutò quindi d’includere questa storia nella preparazione della sua narrazione.
(1703.5) 152:5.1 Giovedì mattina, prima dell’alba, essi ancorarono il loro battello al largo vicino alla casa di Zebedeo e dormirono quasi fino a mezzogiorno. Andrea fu il primo ad alzarsi e, passeggiando in riva al mare, trovò Gesù in compagnia del loro giovane tuttofare, seduto su una pietra vicino all’acqua. Nonostante che molti della folla e dei giovani evangelisti avessero cercato Gesù tutta la notte e per gran parte del giorno successivo sulle colline orientali, poco dopo mezzanotte egli ed il giovane Marco erano partiti a piedi per girare attorno al lago, attraversare il fiume e ritornare a Betsaida.
(1704.1) 152:5.2 Dei cinquemila che erano stati miracolosamente nutriti e che quando i loro stomaci furono pieni ed il loro cuore vuoto lo avrebbero fatto re, soltanto cinquecento persisterono a seguirlo. Ma prima che costoro fossero informati del suo ritorno a Betsaida, Gesù chiese ad Andrea di riunire i dodici apostoli ed i loro associati, incluse le donne, dicendo: “Desidero parlare con loro.” E quando furono tutti pronti, Gesù disse:
(1704.2) 152:5.3 “Per quanto tempo vi sopporterò? Siete tutti lenti alla comprensione spirituale e carenti di fede vivente? Per tutti questi mesi io vi ho insegnato le verità del regno, e voi siete ancora dominati da motivi materiali invece che da considerazioni spirituali. Non avete neanche letto nelle Scritture dove Mosè esorta i figli non credenti d’Israele, dicendo loro: ‘Non temete, state calmi e contemplate la salvezza del Signore’? Il salmista ha detto: ‘Riponete la vostra fede nel Signore.’ ‘Siate pazienti, aspettate il Signore ed abbiate coraggio. Egli fortificherà il vostro cuore.’ ‘Rimettete il vostro fardello al Signore ed egli vi sosterrà. Abbiate sempre fiducia in lui ed aprite il vostro cuore a lui, perché Dio è il vostro rifugio.’ ‘Colui che abita nel luogo segreto dell’Altissimo dimorerà all’ombra dell’Onnipotente.’ ‘È meglio aver fede nel Signore che porre fiducia nei prìncipi umani.’
(1704.3) 152:5.4 “Ed ora vedete tutti che operare miracoli e compiere prodigi materiali non conquisterà delle anime al regno spirituale? Abbiamo nutrito la folla, ma ciò non li ha portati né ad aver fame del pane della vita né ad aver sete dell’acqua della rettitudine spirituale. Quando la loro fame è stata soddisfatta essi non hanno cercato di entrare nel regno dei cieli, ma piuttosto hanno cercato di proclamare re il Figlio dell’Uomo alla maniera dei re di questo mondo, soltanto per poter continuare a mangiare del pane senza dover faticare. E tutto ciò, cui molti di voi hanno più o meno partecipato, non contribuisce in nulla a rivelare il Padre celeste o a far progredire il suo regno sulla terra. Non abbiamo abbastanza nemici tra i capi religiosi del paese senza fare delle cose che probabilmente ci alienerebbero anche i governanti civili? Io prego che il Padre unga i vostri occhi perché possiate vedere ed apra le vostre orecchie perché possiate udire, affinché abbiate pienamente fede nel vangelo che vi ho insegnato.”
(1704.4) 152:5.5 Gesù annunciò poi che desiderava ritirarsi per alcuni giorni di riposo con i suoi apostoli prima di prepararsi ad andare a Gerusalemme per la Pasqua, e proibì a tutti i suoi discepoli o alla folla di seguirlo. Così essi si recarono in battello nella regione di Gennezaret per due o tre giorni di riposo e di sonno. Gesù si stava preparando ad un momento molto critico della sua vita sulla terra e passò quindi molto tempo in comunione con il Padre celeste.
(1704.5) 152:5.6 La notizia della nutrizione dei cinquemila e del tentativo di fare re Gesù suscitò una vasta curiosità ed acuì i timori dei capi religiosi e dei dirigenti civili in tutta la Galilea e la Giudea. Mentre questo grande miracolo non fece nulla per far progredire il vangelo del regno nell’anima dei credenti orientati al materialismo e indifferenti, servì lo scopo di porre termine alla tendenza a cercare miracoli e ad anelare un re nella famiglia immediata di apostoli e di discepoli più vicini a Gesù. Questo episodio spettacolare mise fine al primo periodo d’insegnamento, di educazione e di guarigione, preparando così la via all’inizio di quest’ultimo anno di proclamazione delle fasi più elevate e più spirituali del nuovo vangelo del regno — la filiazione divina, la libertà spirituale e la salvezza eterna.
(1705.1) 152:6.1 Mentre riposava a casa di un ricco credente della regione di Gennezaret, Gesù tenne delle riunioni informali con i dodici apostoli ogni pomeriggio. Gli ambasciatori del regno erano un serio, sobrio e corretto gruppo di uomini disillusi. Ma anche dopo tutto quello che era successo, e come gli avvenimenti successivi rivelarono, questi dodici uomini non erano ancora completamente liberati dalle loro nozioni congenite e a lungo accarezzate sulla venuta del Messia ebreo. Gli avvenimenti delle ultime settimane si erano svolti troppo rapidamente perché questi pescatori attoniti ne cogliessero il pieno significato. Ci vuole del tempo agli uomini e alle donne per effettuare dei cambiamenti radicali ed estesi nei loro concetti base e fondamentali di condotta sociale, di atteggiamenti filosofici e di convinzioni religiose.
(1705.2) 152:6.2 Mentre Gesù e i dodici si riposavano a Gennezaret, le folle si dispersero; alcuni rientrarono a casa loro, altri andarono a Gerusalemme per la Pasqua. In meno di un mese i seguaci entusiasti e manifesti di Gesù, che erano più di cinquantamila nella sola Galilea, si ridussero a meno di cinquecento. Gesù desiderava dare ai suoi apostoli una simile esperienza dell’incostanza dell’acclamazione popolare affinché essi non fossero tentati di confidare in queste manifestazioni d’isteria religiosa temporanea dopo che li avesse lasciati soli nell’opera del regno, ma egli riuscì solo parzialmente in questo sforzo.
(1705.3) 152:6.3 La seconda sera del loro soggiorno a Gennezaret, il Maestro raccontò di nuovo agli apostoli la parabola del seminatore ed aggiunse queste parole: “Vedete, figli miei, l’appello ai sentimenti umani è transitorio e del tutto deludente; l’appello esclusivo all’intelletto umano è parimenti vuoto e sterile; è solo facendo il vostro appello allo spirito che vive nella mente umana che potete sperare di ottenere un successo duraturo e compiere quelle meravigliose trasformazioni del carattere umano che sono subito mostrate nell’abbondante raccolto di frutti genuini dello spirito nella vita quotidiana di tutti coloro che sono così liberati dalle tenebre del dubbio, con la nascita dello spirito nella luce della fede — nel regno dei cieli.”
(1705.4) 152:6.4 Gesù insegnò il richiamo alle emozioni come tecnica per attirare e focalizzare l’attenzione intellettuale. Egli indicò la mente così risvegliata e vivificata quale portale d’accesso all’anima, dove risiede quella natura spirituale dell’uomo che deve riconoscere la verità e rispondere all’appello spirituale del vangelo al fine di produrre i risultati permanenti delle vere trasformazioni di carattere.
(1705.5) 152:6.5 Gesù si sforzò così di preparare gli apostoli allo shock imminente — la crisi nell’atteggiamento del pubblico verso di lui, che si sarebbe manifestata qualche giorno più tardi. Egli spiegò ai dodici che i capi religiosi di Gerusalemme avrebbero cospirato con Erode Antipa per la loro distruzione. I dodici cominciarono a realizzare più pienamente (ma non del tutto) che Gesù non si sarebbe seduto sul trono di Davide. Essi videro più pienamente che la verità spirituale non sarebbe progredita con i prodigi materiali. Cominciarono a rendersi conto che la nutrizione dei cinquemila e la mossa popolare di fare Gesù re era il culmine della ricerca di miracoli e dell’aspettativa del compimento di prodigi da parte del popolo, nonché l’apice dell’acclamazione di Gesù da parte del popolino. Essi compresero vagamente e previdero confusamente l’avvicinarsi del vaglio spirituale e della cruda avversità. Questi dodici uomini si stavano risvegliando lentamente alla comprensione della natura reale del loro compito come ambasciatori del regno, e cominciarono a prepararsi alle rudi e severe prove dell’ultimo anno di ministero del Maestro sulla terra.
(1706.1) 152:6.6 Prima di lasciare Gennezaret, Gesù li istruì sulla nutrizione miracolosa dei cinquemila, raccontando loro perché si era impegnato in questa manifestazione straordinaria di potere creatore ed assicurandoli anche che non aveva ceduto alla compassione verso la moltitudine prima di aver accertato che ciò era “conforme alla volontà del Padre”.
(1706.2) 152:7.1 Domenica 3 aprile, Gesù, accompagnato soltanto dai dodici apostoli, partì da Betsaida per andare a Gerusalemme. Al fine di evitare le folle e di attirare la minore attenzione possibile, essi viaggiarono per la via di Gerasa e Filadelfia. Egli ingiunse loro di non impartire alcun insegnamento pubblico durante questo viaggio; né permise loro d’insegnare o di predicare durante il soggiorno a Gerusalemme. Essi arrivarono a Betania, vicino a Gerusalemme, nella tarda sera di mercoledì 6 aprile. Per questa sola notte si fermarono a casa di Lazzaro, Marta e Maria, ma il giorno successivo si separarono. Gesù, con Giovanni, si fermò a casa di un credente di nome Simone, vicino alla casa di Lazzaro a Betania. Giuda Iscariota e Simone Zelota si fermarono presso degli amici a Gerusalemme, mentre gli altri apostoli soggiornarono, a due a due, in differenti case.
(1706.3) 152:7.2 Gesù entrò a Gerusalemme soltanto una volta durante questa Pasqua, e fu nel grande giorno della festa. Molti credenti di Gerusalemme furono condotti fuori della città da Abner per incontrare Gesù a Betania. Durante questo soggiorno a Gerusalemme i dodici impararono quanto stesse crescendo il sentimento di avversione verso il loro Maestro. Essi partirono da Gerusalemme tutti convinti che una crisi fosse imminente.
(1706.4) 152:7.3 Domenica 24 aprile, Gesù e gli apostoli lasciarono Gerusalemme per Betsaida seguendo la via delle città costiere di Giaffa, Cesarea e Tolemaide. Da là, per via di terra, andarono per Rama e Corazin a Betsaida, dove arrivarono venerdì 29 aprile. Appena rientrato a casa, Gesù mandò Andrea a chiedere al capo della sinagoga il permesso di parlare il giorno successivo, sabato, al servizio del pomeriggio. E Gesù sapeva bene che quella sarebbe stata l’ultima volta che gli sarebbe stato permesso di parlare nella sinagoga di Cafarnao.
(1707.1) 153:0.1 IL VENERDÌ sera, giorno del loro arrivo a Betsaida, ed il sabato mattina, gli apostoli notarono che Gesù era seriamente assorbito da qualche importante problema; essi si rendevano conto che il Maestro stava riflettendo in modo particolare su qualche importante questione. Egli non fece colazione e mangiò molto poco a mezzogiorno. Per tutto il sabato mattina e la sera precedente, i dodici ed i loro associati si erano riuniti a piccoli gruppi nella casa, in giardino e lungo la riva. C’era una tensione per l’incertezza ed un’ansia per l’attesa che gravavano su tutti loro. Dalla partenza da Gerusalemme Gesù aveva parlato loro poco.
(1707.2) 153:0.2 Da mesi essi non avevano visto il Maestro così preoccupato e taciturno. Anche Simon Pietro era depresso, se non abbattuto. Andrea non sapeva che cosa fare per i suoi associati scoraggiati. Natanaele diceva che erano in mezzo alla “calma prima della tempesta”. Tommaso espresse l’opinione che “qualcosa di straordinario stava per accadere”. Filippo consigliò a Davide Zebedeo “di non fare piani per nutrire ed alloggiare la moltitudine prima di sapere a che cosa stava pensando il Maestro”. Matteo stava facendo nuovi sforzi per riempire la cassa. Giacomo e Giovanni parlavano del prossimo sermone nella sinagoga e discutevano sulla probabile natura e sugli scopi dello stesso. Simone Zelota espresse la credenza, in realtà una speranza, che “il Padre che è nei cieli fosse sul punto d’intervenire in qualche modo inatteso per rivendicare e sostenere suo Figlio”, mentre Giuda Iscariota osava compiacersi al pensiero che forse Gesù era oppresso dal dispiacere per “non aver avuto il coraggio e l’audacia di permettere ai cinquemila di proclamarlo re dei Giudei”.
(1707.3) 153:0.3 Fu da un tale gruppo di discepoli depressi e sconsolati che Gesù si allontanò in questo splendido sabato pomeriggio per predicare il suo sermone epocale nella sinagoga di Cafarnao. Le sole parole d’incoraggiamento o di buon augurio da parte dei suoi discepoli immediati vennero da uno dei candidi gemelli Alfeo, il quale, quando Gesù lasciò la casa per recarsi alla sinagoga, lo salutò gaiamente e disse: “Noi preghiamo perché il Padre ti aiuti e perché vengano a noi moltitudini più numerose che mai.”
(1707.4) 153:1.1 Una distinta assemblea accolse Gesù alle tre di questo bel pomeriggio di sabato nella nuova sinagoga di Cafarnao. Presiedeva Giairo e porse a Gesù le Scritture da leggere. Il giorno prima, cinquantatré Farisei e Sadducei erano arrivati da Gerusalemme; più di trenta capi e dirigenti delle sinagoghe vicine erano pure presenti. Questi capi religiosi ebrei agivano direttamente sotto gli ordini del Sinedrio di Gerusalemme e costituivano l’avanguardia ortodossa che era venuta a dichiarare guerra aperta a Gesù e ai suoi discepoli. Seduti a fianco di questi capi ebrei, sui seggi d’onore della sinagoga, c’erano gli osservatori ufficiali di Erode Antipa, che erano stati incaricati di accertare la verità sui preoccupanti resoconti che era stato fatto un tentativo da parte del popolino di proclamare Gesù re dei Giudei, laggiù nei domini di suo fratello Filippo.
(1708.1) 153:1.2 Gesù comprese che si trovava di fronte all’imminente dichiarazione di una guerra manifesta ed aperta da parte del crescente numero di suoi nemici, e decise audacemente di assumere l’offensiva. Quando aveva sfamato i cinquemila egli aveva sfidato le loro idee sul Messia materiale; ora scelse di nuovo di attaccare apertamente il loro concetto del liberatore degli Ebrei. Questa crisi, che iniziò con la nutrizione dei cinquemila e che terminò con questo sermone del sabato pomeriggio, segnò l’inversione della corrente della fama e dell’acclamazione popolare. D’ora in avanti l’opera del regno doveva consistere sempre di più nel compito più importante di conquistare convertiti spirituali durevoli alla fraternità veramente religiosa dell’umanità. Questo sermone segnò la crisi nella transizione dal periodo di discussione, di controversia e di decisione a quello di guerra aperta e di accettazione finale o di rifiuto finale.
(1708.2) 153:1.3 Il Maestro sapeva bene che molti dei suoi seguaci stavano preparando lentamente ma sicuramente la loro mente a respingerlo definitivamente. Egli sapeva anche che molti dei suoi discepoli stavano lentamente ma sicuramente passando per quell’educazione della mente e quella disciplina dell’anima che avrebbero consentito loro di trionfare sul dubbio e di affermare coraggiosamente la fede totale nel vangelo del regno. Gesù comprendeva pienamente come gli uomini si preparano alle decisioni durante una crisi ed a compiere improvvisi atti di audace scelta mediante il lento processo di una scelta reiterata tra situazioni ricorrenti di bene e di male. Egli sottopose i suoi messaggeri scelti a ripetute prove di delusioni e fornì loro frequenti e probanti opportunità di scegliere tra la maniera giusta ed errata di affrontare le prove spirituali. Egli sapeva che poteva contare sul fatto che i suoi discepoli, al momento della prova finale, avrebbero preso le loro decisioni vitali conformemente alle attitudini mentali e alle reazioni spirituali precedenti e abituali.
(1708.3) 153:1.4 Questa crisi nella vita terrena di Gesù cominciò con la nutrizione dei cinquemila e finì con questo sermone nella sinagoga; la crisi nella vita degli apostoli cominciò con questo sermone nella sinagoga e continuò per un anno intero, finendo soltanto con il giudizio e la crocifissione del Maestro.
(1708.4) 153:1.5 Quando essi si sedettero nella sinagoga quel pomeriggio prima che Gesù cominciasse a parlare, c’era un solo grande mistero, una sola domanda suprema, nella mente di tutti. Sia i suoi amici che i suoi nemici rimuginavano un solo pensiero, e cioè: “Perché egli stesso aveva così deliberatamente ed efficacemente invertito la corrente dell’entusiasmo popolare?” E fu immediatamente prima ed immediatamente dopo questo sermone che i dubbi e le delusioni dei suoi aderenti scontenti si tradussero in un’inconscia opposizione e finirono per trasformarsi in vero odio. Fu dopo questo sermone nella sinagoga che Giuda Iscariota ebbe il suo primo pensiero cosciente di disertare. Ma per il momento egli dominò efficacemente ogni tendenza di tal genere.
(1708.5) 153:1.6 Ognuno era in uno stato di perplessità. Gesù li aveva lasciati sconcertati e confusi. Egli si era recentemente impegnato nella più grande dimostrazione di potere soprannaturale di tutta la sua carriera. La nutrizione dei cinquemila fu l’avvenimento della sua vita terrena di maggior richiamo al concetto ebraico del Messia atteso. Ma questo vantaggio straordinario fu immediatamente ed inspiegabilmente controbilanciato dal suo pronto ed inequivocabile rifiuto di essere proclamato re.
(1709.1) 153:1.7 Venerdì sera, e di nuovo sabato mattina, i dirigenti venuti da Gerusalemme si erano adoperati a lungo e con vigore con Giairo per impedire a Gesù di parlare nella sinagoga, ma fu inutile. La sola risposta di Giairo alle loro perorazioni fu: “Ho accolto questa richiesta e non mancherò alla mia parola.”
(1709.2) 153:2.1 Gesù introdusse questo sermone leggendo dalla Legge i passaggi che si trovano nel Deuteronomio: “Ma avverrà, se questo popolo non ascolterà la voce di Dio, che la maledizione per le sue trasgressioni certamente lo colpirà. Il Signore ti farà distruggere dai tuoi nemici; sarai eliminato da tutti i regni della terra. Ed il Signore consegnerà te ed il re che avrai messo sul tuo trono nelle mani di una nazione straniera. Diverrai una meraviglia, un proverbio ed uno zimbello tra tutte le nazioni. I tuoi figli e le tue figlie andranno in cattività. Gli stranieri si eleveranno tra di voi in autorità mentre tu sarai portato molto in basso. E tutte queste cose saranno su di te e sul tuo seme per sempre, perché non hai voluto ascoltare la parola del Signore. Servirai dunque i tuoi nemici che verranno contro di te. Patirai la fame e la sete e porterai il giogo di ferro dello straniero. Il Signore solleverà contro di te una nazione che viene da lontano, dai confini della terra, una nazione di cui non comprenderai la lingua, una nazione dal viso fiero, una nazione che avrà poca considerazione per te. Essi ti assedieranno in tutte le tue città fino a che le alte mura fortificate su cui hai confidato saranno abbattute; tutto il paese cadrà nelle loro mani. Ed avverrà che sarai costretto a mangiare il frutto del tuo stesso corpo, la carne dei tuoi figli e delle tue figlie, durante questo periodo di assedio, a causa della penuria in cui ti costringeranno i tuoi nemici.”
(1709.3) 153:2.2 Quando Gesù ebbe terminato questa lettura, passò ai Profeti e lesse da Geremia: “ ‘Se non darete ascolto alle parole dei miei servitori, i profeti che vi ho mandato, allora renderò questa casa simile a Siloe, e farò di questa città una maledizione per tutte le nazioni della terra’. E i sacerdoti e gli insegnanti udirono Geremia pronunciare queste parole nella casa del Signore. Ed avvenne che quando Geremia ebbe finito di dire tutto ciò che il Signore gli aveva comandato di dire a tutto il popolo, i sacerdoti e gli insegnanti s’impadronirono di lui dicendo: ‘Tu certamente morirai.’ E tutto il popolo si riunì attorno a Geremia nella casa del Signore. E quando i prìncipi di Giuda udirono queste cose, sedettero per giudicare Geremia. Allora i sacerdoti e gli insegnanti parlarono ai prìncipi e a tutto il popolo dicendo: ‘Quest’uomo merita di morire perché ha profetizzato contro la nostra città, e l’avete udito con le vostre stesse orecchie.’ Allora Geremia disse a tutti i prìncipi e a tutto il popolo: ‘Il Signore mi ha mandato a profetizzare contro questa casa e contro questa città tutte le parole che avete udito. Ora, quindi, correggete la vostra condotta e riformate le vostre azioni e obbedite alla voce del Signore vostro Dio affinché possiate sfuggire al male che è stato pronunciato contro di voi. Quanto a me, ecco io sono nelle vostre mani. Trattatemi come sembra bene e giusto ai vostri occhi. Ma sappiate bene che, se mi farete morire, porrete del sangue innocente su voi stessi e su questo popolo, perché in verità il Signore mi ha mandato a dire tutte queste parole nelle vostre orecchie.’
(1710.1) 153:2.3 “I sacerdoti e gli insegnanti di quel tempo cercarono di uccidere Geremia, ma i giudici non lo consentirono; tuttavia, a causa delle sue parole di avvertimento, essi lo calarono con delle corde in una lurida segreta dove affondò nella melma fino alle ascelle. Questo fece il popolo al profeta Geremia quando obbedì al comando del Signore di avvertire i suoi fratelli del loro imminente crollo politico. Oggi io desidero chiedervi: che cosa faranno i sommi sacerdoti e i capi religiosi di questo popolo all’uomo che osa avvertirli del giorno della loro condanna spirituale? Cercherete anche voi di mettere a morte il maestro che osa proclamare la parola del Signore e che non teme di sottolineare che rifiutate di camminare sulla via della luce che conduce all’entrata del regno dei cieli?
(1710.2) 153:2.4 “Che cosa cercate come prova della mia missione sulla terra? Noi vi abbiamo lasciati indisturbati nelle vostre posizioni d’influenza e di potere mentre predicavamo la buona novella ai poveri e agli oppressi. Non abbiamo lanciato alcun attacco ostile contro ciò che rispettate, ma abbiamo piuttosto proclamato una nuova libertà per l’anima dell’uomo tormentata dalla paura. Io sono venuto al mondo per rivelare mio Padre e per instaurare sulla terra la fratellanza spirituale dei figli di Dio, il regno dei cieli. E nonostante io vi abbia rammentato molte volte che il mio regno non è di questo mondo, mio Padre vi ha tuttavia accordato numerose manifestazioni di prodigi materiali in aggiunta a trasformazioni e rigenerazioni spirituali più probatorie.
(1710.3) 153:2.5 “Quale nuovo segno cercate dalle mie mani? Io dichiaro che avete già avuto prove sufficienti perché possiate prendere le vostre decisioni. In verità, in verità io dico a molti che siedono davanti a me in questo giorno, voi siete di fronte alla necessità di scegliere quale via prendere; e io dico a voi, come Giosuè disse ai vostri antenati: ‘scegliete ora chi volete servire’. Oggi molti di voi si trovano al bivio.
(1710.4) 153:2.6 “Alcuni di voi, quando non sono riusciti a trovarmi dopo i festeggiamenti della moltitudine sull’altra riva, hanno affittato i battelli da pesca di Tiberiade che una settimana prima si erano rifugiati nelle vicinanze durante una tempesta, per andare alla mia ricerca, ma perché? Non per cercare la verità e la rettitudine o per conoscere meglio come servire o curare i vostri simili! No, ma piuttosto per avere più pane per il quale non avevate lavorato. Non era per saziare la vostra anima con la parola di vita, ma soltanto per riempire il vostro ventre con il pane della facilità. Da lungo tempo vi è stato insegnato che il Messia, quando fosse venuto, avrebbe compiuto quei prodigi che avrebbero reso la vita piacevole ed agevole a tutto il popolo eletto. Non deve meravigliare, allora, che voi che siete stati istruiti in questo modo desideriate ardentemente del pane e dei pesci. Ma io vi dichiaro che questa non è la missione del Figlio dell’Uomo. Io sono venuto a proclamare la libertà spirituale, ad insegnare la verità eterna e a nutrire la fede vivente.
(1710.5) 153:2.7 “Fratelli miei, non agognate il cibo che deperisce, ma cercate piuttosto il cibo spirituale che nutre anche fino alla vita eterna; questo è il pane della vita che il Figlio dona a tutti coloro che vogliono prenderlo e mangiarlo, perché il Padre ha dato al Figlio questa vita senza limitazioni. E quando mi avete chiesto: ‘Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?’ Io vi ho chiaramente detto: ‘Questa è l’opera di Dio, che crediate in colui che egli ha mandato.’ ”
(1710.6) 153:2.8 E poi Gesù disse, indicando la figura di un vaso di manna che decorava l’architrave di questa nuova sinagoga e che era ornato di grappoli d’uva: “Voi avete creduto che i vostri padri nel deserto avessero mangiato la manna — il pane del cielo — ma io vi dico che quello era il pane della terra. Mentre Mosè non ha dato ai vostri padri del pane proveniente dal cielo, mio Padre ora è pronto a darvi il vero pane della vita. Il pane del cielo è quello che viene da Dio e dona la vita eterna agli uomini di questo mondo. E quando mi dite: dacci questo pane vivente, io risponderò: io sono questo pane della vita. Chiunque viene a me non avrà fame, e chiunque crede in me non avrà mai sete. Voi mi avete visto, avete vissuto con me, avete contemplato le mie opere e tuttavia non credete che io sia venuto dal Padre. Ma quelli che credono — non temano. Tutti coloro che sono guidati dal Padre verranno a me, e chiunque viene a me non sarà in alcun modo respinto.
(1711.1) 153:2.9 “Ora lasciate che vi dichiari, una volta per tutte, che io sono disceso sulla terra non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato. E questa è la volontà finale di Colui che mi ha mandato, che di tutti coloro che mi ha dato io non perda nessuno. E questa è la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e crede in lui avrà la vita eterna. Soltanto ieri io vi ho nutriti con del pane per il vostro corpo; oggi vi offro il pane della vita per la vostra anima affamata. Volete ora prendere il pane dello spirito come allora avete mangiato così volentieri il pane di questo mondo?”
(1711.2) 153:2.10 Quando Gesù si fermò un istante per osservare l’assemblea, uno degli insegnanti di Gerusalemme (un membro del Sinedrio) si alzò e chiese: “Devo comprendere che tu affermi di essere il pane disceso dal cielo e che la manna data da Mosè ai nostri padri nel deserto non lo era?” E Gesù rispose al Fariseo: “Tu hai capito bene”. Allora il Fariseo disse: “Ma tu non sei Gesù di Nazaret, il figlio di Giuseppe il carpentiere? Non sono tuo padre e tua madre, così come i tuoi fratelli e sorelle, ben conosciuti da molti di noi? Com’è allora che tu compari qui nella casa di Dio e dichiari di essere disceso dal cielo?”
(1711.3) 153:2.11 A questo punto ci fu un grande mormorio nella sinagoga e fu minacciato un tale tumulto che Gesù si alzò e disse: “Siamo pazienti; la verità non ha niente da temere da un esame onesto. Io sono tutto ciò che voi dite e ancora di più. Il Padre ed io siamo uno; il Figlio fa solo ciò che il Padre gli insegna, mentre tutti coloro che sono dati al Figlio dal Padre, il Figlio li accoglierà con sé. Avete letto dove sta scritto nei Profeti: ‘Sarete tutti istruiti da Dio’ e che ‘Coloro a cui il Padre insegna ascolteranno anche suo Figlio’. Chiunque segue l’insegnamento dello spirito interiore del Padre alla fine verrà a me. Non che qualche uomo abbia visto il Padre, ma lo spirito del Padre vive nell’uomo. Ed il Figlio disceso dal cielo ha certamente visto il Padre. E coloro che credono veramente in questo Figlio hanno già la vita eterna.
(1711.4) 153:2.12 “Io sono questo pane di vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti. Ma di questo pane che viene da Dio, se un uomo ne mangia, non morirà mai in spirito. Ripeto, io sono questo pane vivente, ed ogni anima che raggiunge la realizzazione di questa natura congiunta di Dio e dell’uomo vivrà in eterno. E questo pane di vita che io dono a chiunque vuole riceverlo è la mia stessa natura vivente e congiunta. Il Padre è nel Figlio ed il Figlio è uno con il Padre — questa è la mia rivelazione portatrice di vita al mondo e il mio dono di salvezza a tutte le nazioni.”
(1711.5) 153:2.13 Quando Gesù ebbe finito di parlare, il capo della sinagoga congedò l’assemblea, ma essi non vollero andarsene. Si ammassarono attorno a Gesù per porre ancora delle domande, mentre altri mormoravano e discutevano tra di loro. E questa situazione continuò per più di tre ore. Si andò ben oltre le sette di sera prima che l’uditorio finisse per disperdersi.
(1712.1) 153:3.1 Molte furono le domande poste a Gesù durante questo dopo assemblea. Alcune furono poste dai suoi discepoli perplessi, ma in maggioranza furono poste da cavillosi non credenti che cercavano soltanto di metterlo in difficoltà e di prenderlo in fallo.
(1712.2) 153:3.2 Uno dei visitatori farisei, salito sul basamento di un lampadario, gridò questa domanda: “Tu ci dici che sei il pane di vita. Come puoi darci la tua carne da mangiare o il tuo sangue da bere? A che cosa serve il tuo insegnamento se non può essere messo in pratica?” Gesù rispose a questa domanda dicendo: “Io non vi ho insegnato che la mia carne è il pane di vita né che il mio sangue è l’acqua vivente. Ma ho detto che la mia vita nella carne è un dono del pane celeste. Il fatto della Parola di Dio conferita alla carne ed il fenomeno del Figlio dell’Uomo sottomesso alla volontà di Dio costituiscono una realtà d’esperienza che equivale al nutrimento divino. Voi non potete né mangiare la mia carne né bere il mio sangue, ma potete diventare uno in spirito con me come io sono uno in spirito con il Padre. Voi potete essere nutriti dalla parola eterna di Dio, che è in verità il pane di vita, e che è stata conferita nelle sembianze della carne mortale; e potete essere annaffiati nell’anima dallo spirito divino che è veramente l’acqua di vita. Il Padre ha mandato me nel mondo per mostrare come desidera dimorare e dirigere tutti gli uomini; ed io ho vissuto questa vita nella carne in maniera da ispirare così tutti gli uomini perché similmente cerchino sempre di conoscere e di fare la volontà del Padre celeste che dimora in loro.”
(1712.3) 153:3.3 Allora una delle spie di Gerusalemme che aveva osservato Gesù e gli apostoli disse: “Noi notiamo che né tu né i tuoi apostoli vi lavate debitamente le mani prima di mangiare del pane. Voi dovreste sapere bene che la pratica di mangiare con le mani sudicie e non lavate è una trasgressione della legge degli antenati. Né voi lavate appropriatamente le vostre coppe per bere e le vostre stoviglie. Perché mostrate così poco rispetto per le tradizioni dei padri e per le leggi dei vostri antenati?” E quando Gesù lo ebbe ascoltato, rispose: “Perché voi trasgredite i comandamenti di Dio con le leggi della vostra tradizione? Il comandamento dice: ‘Onora tuo padre e tua madre’, e stabilisce che dividiate con loro le vostre sostanze se necessario; ma voi promulgate una legge di tradizione che permette ai figli irrispettosi dei loro doveri di dire che il denaro con cui avrebbero potuto assistere i genitori è stato ‘donato a Dio’. La legge degli antenati solleva così questi figli astuti dalle loro responsabilità, nonostante che i figli impieghino successivamente tutto questo denaro per le proprie comodità. Perché invalidate in questo modo il comandamento con la vostra tradizione? Bene ha profetizzato Isaia di voi ipocriti, dicendo: ‘Questo popolo mi onora con le sue labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi adorano, perché insegnano come loro dottrine i precetti degli uomini.’
(1712.4) 153:3.4 “Voi potete vedere come abbandonate il comandamento mentre vi tenete attaccati alla tradizione degli uomini. Siete del tutto disposti a respingere la parola di Dio mentre mantenete le vostre tradizioni. Ed in molte altre maniere osate porre i vostri insegnamenti al di sopra della legge e dei profeti.”
(1712.5) 153:3.5 Gesù rivolse poi le sue osservazioni a tutti i presenti. Egli disse: “Ascoltatemi tutti. Non è ciò che entra nella bocca che insudicia spiritualmente l’uomo, ma piuttosto ciò che esce dalla bocca e dal cuore.” Ma anche gli apostoli non riuscirono a cogliere pienamente il significato delle sue parole, perché Simon Pietro stesso gli chiese: “Al fine che qualcuno degli ascoltatori non si senta inutilmente offeso, vorresti spiegarci il significato di queste parole?” Ed allora Gesù disse a Pietro: “Sei anche tu duro a comprendere? Non sai che ogni pianta che mio Padre celeste non ha piantato sarà sradicata? Rivolgi ora la tua attenzione verso coloro che vorrebbero conoscere la verità. Tu non puoi costringere gli uomini ad amare la verità. Molti di questi insegnanti sono delle guide cieche. E tu sai che se il cieco guida il cieco entrambi cadranno nel burrone. Ma ascolta mentre ti dico la verità su quelle cose che insudiciano moralmente e contaminano spiritualmente gli uomini. Io dichiaro che non è ciò che entra nel corpo dalla bocca o che penetra nella mente attraverso gli occhi e le orecchie che insudicia l’uomo. L’uomo è insudiciato solo dal male che ha origine nel suo cuore e che trova espressione nelle parole e negli atti di queste persone empie. Non sai che è dal cuore che provengono i cattivi pensieri, i malvagi progetti di delitto, di furto e di adulterio, così come la gelosia, l’orgoglio, l’ira, la vendetta, le ingiurie e le false testimonianze? Sono proprio queste cose che insudiciano gli uomini, e non il mangiare del pane con le mani non lavate secondo il cerimoniale.”
(1713.1) 153:3.6 I commissari farisaici del Sinedrio di Gerusalemme erano ora quasi convinti che Gesù dovesse essere arrestato sotto l’imputazione di bestemmia o sotto quella di aver disprezzato la legge sacra degli Ebrei; da qui i loro sforzi per coinvolgerlo nella discussione di alcune tradizioni degli antenati, delle cosiddette leggi orali della nazione, e in un possibile attacco contro le stesse. Per quanto scarsa fosse l’acqua, questi Ebrei schiavi della tradizione non mancavano mai di compiere il previsto lavaggio cerimoniale delle mani prima di ogni pasto. Essi credevano che “fosse meglio morire piuttosto che trasgredire i comandamenti degli antenati”. Le spie posero questa domanda perché era stato riferito che Gesù aveva detto: “La salvezza è una questione di cuore puro più che di mani pulite.” Ma è difficile allontanarsi da tali credenze una volta che sono divenute parte della propria religione. Anche molti anni dopo questo giorno l’apostolo Pietro era ancora assoggettato per paura a molte di queste tradizioni concernenti le cose pure ed impure, venendone alla fine liberato solo per aver avuto un sogno straordinario e vivido. Tutto ciò può essere meglio compreso avendo presente che questi Ebrei consideravano il mangiare con le mani non lavate alla stessa stregua di avere rapporti con una prostituta, ed entrambi erano egualmente passibili di scomunica.
(1713.2) 153:3.7 È così che il Maestro decise di analizzare ed esporre la follia dell’intero sistema rabbinico di precetti e di regolamenti che era rappresentato dalla legge orale — le tradizioni degli antenati che erano tutte considerate come più sacre e obbligatorie per gli Ebrei anche degli insegnamenti delle Scritture. E Gesù si espresse con minori riguardi perché sapeva che era giunta l’ora in cui non poteva fare più nulla per impedire un’aperta rottura delle relazioni con questi capi religiosi.
(1713.3) 153:4.1 Nel mezzo delle discussioni di questo dopo assemblea, uno dei Farisei di Gerusalemme condusse da Gesù un giovane demente che era posseduto da uno spirito indisciplinato e ribelle. Presentando questo giovane demente a Gesù, egli disse: “Che cosa puoi fare per un’afflizione come questa? Puoi cacciare i demoni?” E quando il Maestro guardò il giovane, fu mosso a compassione e, invitando il ragazzo ad avvicinarsi a lui, lo prese per la mano e disse: “Tu sai chi sono io; esci da lui; ed incarico uno dei tuoi compagni leali di vegliare a che tu non ritorni.” E immediatamente il giovane divenne normale e ritornò in possesso delle sue facoltà mentali. Questo fu il primo caso in cui Gesù cacciò realmente uno “spirito cattivo” da un essere umano. Tutti i casi precedenti erano solo presunte possessioni del demonio; ma questo era un caso autentico di possessione demoniaca, come ne avvenivano talvolta in quel tempo e fino al giorno di Pentecoste, quando lo spirito del Maestro fu sparso su tutta la carne, rendendo per sempre impossibile a questi pochi ribelli celesti di approfittare in tal modo di certi tipi instabili di esseri umani.
(1714.1) 153:4.2 Quando il popolo si meravigliò, uno dei Farisei si alzò e accusò Gesù di poter fare queste cose grazie alla sua alleanza con i demoni; che era evidente dal linguaggio che egli aveva impiegato per cacciare questo demone che essi si conoscevano l’un l’altro. E continuò affermando che gli insegnanti religiosi e i dirigenti di Gerusalemme avevano concluso che Gesù compiva tutti i suoi cosiddetti miracoli per mezzo del potere di Belzebù, il principe dei demoni. Disse il Fariseo: “Non abbiate niente a che fare con quest’uomo; egli è in società con Satana.”
(1714.2) 153:4.3 Allora Gesù disse: “Come può Satana cacciare Satana? Un regno diviso contro se stesso non può sussistere; se una casa è divisa contro se stessa è presto portata alla rovina. Può una città sostenere un assedio se non è unita? Se Satana caccia Satana, egli è diviso contro se stesso; come si reggerà allora il suo regno? Ma voi dovreste sapere che nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e spogliarlo dei suoi beni se prima non sopraffà e lega quell’uomo forte. Così, se io caccio i demoni con il potere di Belzebù, per mezzo di chi li cacciano i vostri figli? Essi saranno perciò i vostri giudici. Ma se io caccio i demoni per mezzo dello spirito di Dio, allora il regno di Dio è veramente venuto su di voi. Se non foste accecati dal pregiudizio e sviati dalla paura e dall’orgoglio, percepireste facilmente che uno che è più grande dei demoni sta in mezzo a voi. Voi mi obbligate a dichiarare che chiunque non è con me è contro di me, e che chiunque non raccoglie con me disperde tutto. Permettete che dia un importante avvertimento a voi che osate, ad occhi aperti e con premeditata malizia, attribuire coscientemente le opere di Dio agli atti di demoni! In verità, in verità vi dico, tutti i vostri peccati saranno perdonati ed anche tutte le vostre bestemmie, ma chiunque bestemmierà contro Dio deliberatamente e con intenzione malvagia non otterrà mai il perdono. Poiché tali persistenti operatori d’iniquità non cercheranno né riceveranno mai il perdono, essi sono colpevoli del peccato di respingere eternamente il perdono divino.
(1714.3) 153:4.4 “Molti di voi sono giunti oggi al bivio; dovete cominciare a fare la scelta inevitabile tra la volontà del Padre e le vie delle tenebre che avete voi stessi scelte. E come scegliete ora, così sarete alla fine. Voi dovete o risanare l’albero ed il suo frutto, oppure l’albero si guasterà e così il suo frutto. Io dichiaro che nel regno eterno di mio Padre l’albero è conosciuto dai suoi frutti. Ma alcuni di voi che sono come delle vipere, come possono, avendo già scelto il male, produrre buoni frutti? Dopotutto le vostre bocche parlano attingendo dall’abbondanza del male che è nel vostro cuore.”
(1714.4) 153:4.5 Allora si alzò un altro Fariseo che disse: “Maestro, noi vorremmo che tu ci dessi un segno predeterminato che noi accetteremo come indicante la tua autorità e il tuo diritto d’insegnare. Sei d’accordo su questa soluzione?” E quando Gesù udì ciò, disse: “Questa generazione senza fede e alla ricerca di segni vuole una prova, ma non vi sarà dato altro segno che quello che già avete e quello che vedrete quando il Figlio dell’Uomo vi lascerà.”
(1714.5) 153:4.6 E quando Gesù ebbe finito di parlare, i suoi apostoli lo circondarono e lo condussero fuori della sinagoga. In silenzio essi andarono a casa con lui a Betsaida. Essi erano tutti sbalorditi ed un po’ spaventati per l’improvviso cambiamento nella tattica d’insegnamento del Maestro. Non erano assolutamente abituati a vederlo agire in maniera così combattiva.
(1715.1) 153:5.1 Moltissime volte Gesù aveva mandato in frantumi le speranze dei suoi apostoli, ripetutamente aveva infranto le loro più ardenti aspettative, ma nessun momento di delusione o periodo di dispiacere aveva mai uguagliato quello che li colpiva ora. Inoltre, si era aggiunto ora alla loro depressione un reale timore per la loro sicurezza. Essi erano tutti sorprendentemente allarmati per la diserzione così improvvisa e completa della popolazione. Erano anche un po’ spaventati e sconcertati dall’inattesa audacia e dalla decisa determinazione mostrata dai Farisei che erano venuti da Gerusalemme. Ma erano soprattutto disorientati dall’improvviso cambiamento di tattica di Gesù. In circostanze normali essi avrebbero accolto bene l’apparizione di questo atteggiamento aggressivo, ma giungendo, come fece, insieme con tanti avvenimenti inattesi, li spaventò.
(1715.2) 153:5.2 Ed ora, in aggiunta a tutte queste preoccupazioni, quando arrivarono a casa Gesù si rifiutò di mangiare. Egli si isolò per ore in una delle stanze al piano superiore. Era quasi mezzanotte quando Joab, il capo degli evangelisti, ritornò e riferì che circa un terzo dei suoi associati aveva abbandonato la causa. Per tutta la sera dei discepoli fedeli avevano fatto la spola, riferendo che l’inversione di sentimenti verso il Maestro era generale a Cafarnao. I dirigenti venuti da Gerusalemme si adoperarono per alimentare questo sentimento di disaffezione e cercarono in tutti i modi possibili di favorire l’allontanamento da Gesù e dai suoi insegnamenti. Durante queste ore difficili le dodici donne erano in riunione a casa di Pietro. Esse erano profondamente scosse, ma nessuna di loro disertò.
(1715.3) 153:5.3 Era poco dopo la mezzanotte quando Gesù scese dalla camera di sopra e tornò tra i dodici ed i loro associati, una trentina in tutto. Egli disse: “Riconosco che questo vaglio del regno vi preoccupa, ma è inevitabile. Tuttavia, dopo tutta la preparazione che avete avuto, c’era qualche buona ragione perché vacillaste alle mie parole? Come mai siete pieni di paura e di costernazione quando vedete il regno privato di queste moltitudini senza entusiasmo e di questi discepoli esitanti? Perché vi affliggete quando sta nascendo il nuovo giorno in cui brilleranno di nuova gloria gli insegnamenti spirituali del regno dei cieli? Se trovate difficile sopportare questa prova, che cosa direte allora quando il Figlio dell’Uomo dovrà ritornare al Padre? Quando e come vi preparerete per il momento in cui io ascenderò al luogo dal quale sono venuto in questo mondo?
(1715.4) 153:5.4 “Miei diletti, dovete ricordarvi che è lo spirito che vivifica; la carne e tutto ciò che la concerne è di poco profitto. Le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Abbiate coraggio! Io non vi ho abbandonati. Molti si offenderanno per il mio parlare franco di questi giorni. Avete già sentito che molti dei miei discepoli hanno cambiato parere; non camminano più con me. Io sapevo fin dall’inizio che questi credenti tiepidi ci avrebbero lasciati lungo la strada. Non ho forse scelto voi dodici e vi ho separati come ambasciatori del regno? Ed ora, in un momento come questo, vorreste disertare anche voi? Che ciascuno di voi esamini la propria fede, perché uno di voi è in grave pericolo.” E quando Gesù ebbe finito di parlare, Simon Pietro disse: “Sì, Signore, siamo tristi e confusi, ma non ti abbandoneremo mai. Tu ci hai insegnato le parole della vita eterna. Noi abbiamo creduto in te e ti abbiamo seguito per tutto questo tempo. Non ritorneremo indietro, perché sappiamo che sei mandato da Dio.” E quando Pietro ebbe finito di parlare, tutti loro assentirono all’unanimità con un cenno della testa per approvare la sua promessa di fedeltà.
(1716.1) 153:5.5 Allora Gesù disse: “Andate a riposarvi, perché avremo molto da fare; ci aspettano dei giorni attivi.”
(1717.1) 154:0.1 IN QUESTA memorabile sera di sabato 30 aprile, mentre Gesù stava rivolgendo parole di conforto e d’incoraggiamento ai suoi discepoli abbattuti e confusi, a Tiberiade era in corso una riunione tra Erode Antipa ed un gruppo di commissari speciali rappresentanti il Sinedrio di Gerusalemme. Questi Scribi e Farisei sollecitarono Erode ad arrestare Gesù; essi fecero del loro meglio per convincerlo che Gesù stava incitando il popolo al dissenso ed anche alla ribellione. Ma Erode rifiutò d’intraprendere un’azione contro di lui come reo politico. I consiglieri di Erode gli avevano riportato correttamente l’episodio avvenuto dall’altra parte del lago quando il popolo cercò di proclamare Gesù re e come egli aveva respinto la proposta.
(1717.2) 154:0.2 Un membro della famiglia ufficiale di Erode, Cuza, la cui moglie apparteneva al corpo di servizio delle donne, l’aveva informato che Gesù non si proponeva d’immischiarsi in affari di sovranità terrena; che si occupava solamente dell’instaurazione della fraternità spirituale dei suoi credenti, fraternità che egli chiamava il regno dei cieli. Erode aveva fiducia nei rapporti di Cuza, cosicché rifiutò d’interferire nelle attività di Gesù. In questo periodo Erode era anche influenzato nel suo atteggiamento verso Gesù dal suo timore superstizioso di Giovanni il Battista. Erode era uno di quegli Ebrei apostati che, mentre non credevano a nulla, temevano ogni cosa. Egli aveva la coscienza sporca per aver messo a morte Giovanni e non voleva essere invischiato in questi intrighi contro Gesù. Egli conosceva i numerosi casi di malattie che erano state apparentemente guarite da Gesù e lo considerava un profeta od un fanatico religioso relativamente inoffensivo.
(1717.3) 154:0.3 Quando gli Ebrei minacciarono di riferire a Cesare che egli stava proteggendo un traditore, Erode li cacciò dalla sua camera di consiglio. Le cose rimasero così per una settimana, durante la quale Gesù preparò i suoi discepoli all’imminente dispersione.
(1717.4) 154:1.1 Dall’1 al 7 maggio Gesù tenne delle riunioni private con i suoi seguaci nella casa di Zebedeo. Solo i discepoli sperimentati e fidati furono ammessi a queste conferenze. In questo periodo c’erano soltanto un centinaio di discepoli che ebbero il coraggio morale di affrontare l’opposizione dei Farisei e di dichiarare apertamente la loro adesione a Gesù. Con questo gruppo egli tenne delle sessioni mattutine, pomeridiane e serali. Piccoli gruppi d’investigatori si riunivano ogni pomeriggio in riva al mare, dove alcuni evangelisti o apostoli parlavano loro. Questi gruppi raramente contavano più di cinquanta persone.
(1717.5) 154:1.2 Il venerdì di questa settimana fu preso il provvedimento ufficiale dai dirigenti della sinagoga di Cafarnao di chiudere la casa di Dio a Gesù e a tutti i suoi seguaci. Questo provvedimento fu preso su istigazione dei Farisei di Gerusalemme. Giairo rassegnò le sue dimissioni da dirigente principale e si schierò apertamente con Gesù.
(1718.1) 154:1.3 L’ultimo degli incontri in riva al mare avvenne sabato pomeriggio 7 maggio. Gesù parlò a meno di centocinquanta persone che erano riunite in quel momento. Questo sabato sera segnò il punto più basso dell’ondata di popolarità di Gesù e dei suoi insegnamenti. Da allora in poi vi fu una regolare, lenta, ma più salutare ed attendibile crescita nel sentimento favorevole; si formò un nuovo seguito di persone che era meglio fondato sulla fede spirituale e sulla vera esperienza religiosa. Lo stadio di transizione, più o meno composito e basato su compromessi, tra i concetti materialistici del regno intrattenuti dai discepoli del Maestro e questi concetti più idealistici e spirituali insegnati da Gesù, era ora definitivamente terminato. D’ora in poi ci fu una più aperta proclamazione del vangelo del regno nella sua portata più ampia e nelle sue vaste implicazioni spirituali.
(1718.2) 154:2.1 Domenica 8 maggio dell’anno 29 d.C., a Gerusalemme, il Sinedrio emise un decreto che chiudeva tutte le sinagoghe della Palestina a Gesù e ai suoi discepoli. Questa fu un’usurpazione d’autorità nuova e senza precedenti da parte del Sinedrio di Gerusalemme. Fino ad allora ogni sinagoga era esistita ed aveva funzionato come una congregazione indipendente di fedeli ed era sotto il governo e la direzione del proprio consiglio di dirigenti. Soltanto le sinagoghe di Gerusalemme erano state sottomesse all’autorità del Sinedrio. Questo provvedimento sommario del Sinedrio fu seguito dalle dimissioni di cinque dei suoi membri. Cento messaggeri furono immediatamente inviati per trasmettere e fare osservare questo decreto. Nel breve spazio di due settimane ogni sinagoga della Palestina si era sottomessa a questo proclama del Sinedrio, eccetto la sinagoga di Hebron. I dirigenti della sinagoga di Hebron rifiutarono di riconoscere al Sinedrio il diritto di esercitare tale giurisdizione sulla loro assemblea. Questo rifiuto di aderire al decreto di Gerusalemme era basato sulla loro tesi di autonomia congregazionale piuttosto che sulla solidarietà alla causa di Gesù. Poco dopo la sinagoga di Hebron fu distrutta da un incendio.
(1718.3) 154:2.2 Questa stessa domenica mattina Gesù proclamò una settimana di vacanza, esortando tutti i suoi discepoli a ritornare a casa loro o dei loro amici per riposare le loro anime turbate e per rivolgere parole d’incoraggiamento ai loro cari. Egli disse: “Andate nei vostri vari luoghi a distrarvi o a pescare e pregate per l’espansione del regno.”
(1718.4) 154:2.3 Questa settimana di riposo consentì a Gesù di visitare molte famiglie e numerosi gruppi presso la riva del mare. Egli andò anche a pescare con Davide Zebedeo in parecchie occasioni, e mentre andava in giro da solo per la maggior parte del tempo, c’erano sempre nascosti vicino due o tre dei più fidati messaggeri di Davide, che avevano ricevuto ordini precisi dal loro capo di proteggere Gesù. Non vi fu insegnamento pubblico di alcun tipo durante questa settimana di riposo.
(1718.5) 154:2.4 Questa fu la settimana in cui Natanaele e Giacomo Zebedeo furono ammalati abbastanza seriamente. Per tre giorni e tre notti essi soffrirono molto di dolorosi disturbi intestinali. La terza notte Gesù mandò Salomè, madre di Giacomo, a riposare, mentre egli curava i suoi apostoli sofferenti. Certamente Gesù avrebbe potuto guarire istantaneamente questi due uomini, ma non è il metodo né del Figlio né del Padre di curare questi disturbi ed afflizioni ordinarie dei figli degli uomini sui mondi evoluzionari del tempo e dello spazio. Non una sola volta, durante la sua movimentata vita nella carne, Gesù s’impegnò in qualche tipo di cura soprannaturale a qualche membro della sua famiglia terrena o a qualcuno dei suoi discepoli immediati.
(1719.1) 154:2.5 Le difficoltà dell’universo devono essere fronteggiate e gli ostacoli planetari devono essere affrontati come parte dell’esperienza educativa prevista per la crescita e lo sviluppo, per la perfezione progressiva, delle anime evolventesi delle creature mortali. La spiritualizzazione dell’anima umana richiede un’esperienza intima con la soluzione educativa di una vasta gamma di problemi universali reali. La natura animale e le forme inferiori di creature dotate di volontà non progrediscono favorevolmente in un ambiente agevole. Le situazioni problematiche, unitamente all’esercizio degli stimoli all’azione, concorrono a produrre quelle attività della mente, dell’anima e dello spirito che contribuiscono potentemente al raggiungimento di valide mete di progressione mortale ed al raggiungimento di livelli superiori di destino spirituale.
(1719.2) 154:3.1 La seconda riunione tra le autorità di Gerusalemme ed Erode Antipa fu convocata a Tiberiade il 16 maggio. Erano presenti sia i capi religiosi che politici di Gerusalemme. I dirigenti ebrei furono in grado di riferire ad Erode che praticamente tutte le sinagoghe della Galilea e della Giudea erano chiuse agli insegnamenti di Gesù. Fu fatto un nuovo tentativo per ottenere che Erode ponesse sotto arresto Gesù, ma egli rifiutò di dar seguito alla loro richiesta. Il 18 maggio, tuttavia, Erode accettò il piano che permetteva alle autorità del Sinedrio di arrestare Gesù e di condurlo a Gerusalemme per essere giudicato su accuse religiose, purché il governatore romano della Giudea fosse d’accordo. Nel frattempo i nemici di Gesù stavano diffondendo attivamente in tutta la Galilea la voce che Erode era divenuto ostile a Gesù e che aveva intenzione di sterminare tutti coloro che credevano nei suoi insegnamenti.
(1719.3) 154:3.2 Sabato sera, 21 maggio, giunse a Tiberiade la notizia che le autorità civili di Gerusalemme non avevano obiezioni all’accordo tra Erode e i Farisei che Gesù fosse arrestato e condotto a Gerusalemme per essere giudicato davanti al Sinedrio sotto l’imputazione di aver disprezzato le leggi sacre della nazione ebraica. Di conseguenza, poco prima di mezzanotte di questo giorno, Erode firmò il decreto che autorizzava gli ufficiali del Sinedrio a catturare Gesù entro i domini di Erode e a condurlo con la forza a Gerusalemme per essere giudicato. Da molte parti furono esercitate forti pressioni su Erode prima che acconsentisse a concedere questo permesso, ed egli sapeva bene che Gesù non poteva aspettarsi un giudizio equo davanti ai suoi acerrimi nemici a Gerusalemme.
(1719.4) 154:4.1 Questo sabato sera, a Cafarnao, un gruppo di cinquanta cittadini eminenti si riunì nella sinagoga per discutere l’urgente questione: “Che cosa faremo di Gesù?” Essi parlarono e dibatterono fino a dopo mezzanotte, ma non riuscirono a trovare un terreno d’intesa. A parte alcune persone inclini a credere che Gesù potesse essere il Messia, o almeno un sant’uomo, o forse un profeta, l’assemblea era divisa in quattro gruppi pressoché uguali che sostenevano, rispettivamente, i seguenti punti di vista su Gesù:
(1719.5) 154:4.2 1. Che era un illuso ed inoffensivo fanatico religioso.
(1719.6) 154:4.3 2. Che era un pericoloso ed astuto agitatore che poteva fomentare una ribellione.
(1720.1) 154:4.4 3. Che era alleato con i demoni, che poteva anche essere un principe dei demoni.
(1720.2) 154:4.5 4. Che era fuori di sé, che era un folle, uno squilibrato mentale.
(1720.3) 154:4.6 Si parlò molto delle dottrine predicate da Gesù che erano di turbamento per il popolo comune; i suoi nemici sostennero che i suoi insegnamenti erano impraticabili, che tutto sarebbe andato a rotoli se ciascuno avesse fatto uno sforzo onesto per vivere conformemente alle sue idee. E gli uomini di molte generazioni successive hanno detto le stesse cose. Molti uomini intelligenti e bene intenzionati, anche nell’epoca più illuminata di queste rivelazioni, sostengono che la civiltà moderna non avrebbe potuto essere costruita sugli insegnamenti di Gesù — ed essi hanno parzialmente ragione. Ma tutti questi dubitatori dimenticano che avrebbe potuto essere costruita una civiltà molto migliore sui suoi insegnamenti, ed un giorno lo sarà. Questo mondo non ha mai tentato seriamente di mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù su vasta scala, nonostante siano stati fatti spesso dei timidi tentativi di seguire le dottrine del cosiddetto Cristianesimo.
(1720.4) 154:5.1 Il 22 maggio fu un giorno memorabile nella vita di Gesù. Questa domenica mattina, prima dell’alba, uno dei messaggeri di Davide arrivò in gran fretta da Tiberiade portando la notizia che Erode aveva autorizzato, o stava per autorizzare, l’arresto di Gesù da parte degli agenti del Sinedrio. Il ricevimento della notizia di questo incombente pericolo spinse Davide Zebedeo a svegliare i suoi messaggeri e a mandarli a tutti i gruppi locali di discepoli, convocandoli per una riunione urgente alle sette di quella mattina. Quando la cognata di Giuda (fratello di Gesù) udì questa notizia allarmante, avvisò tutta la famiglia di Gesù che abitava vicino, invitandoli a riunirsi immediatamente a casa di Zebedeo. Ed in risposta a questo frettoloso appello, vi si riunirono subito Maria, Giacomo, Giuseppe, Giuda e Rut.
(1720.5) 154:5.2 In questa riunione di primo mattino Gesù impartì le sue ultime istruzioni ai discepoli riuniti; cioè disse loro momentaneamente addio, sapendo bene che sarebbero stati presto cacciati da Cafarnao. Egli raccomandò a tutti loro di cercare Dio come guida e di portare avanti l’opera del regno senza preoccuparsi delle conseguenze. Gli evangelisti dovevano lavorare come ritenevano opportuno fino al momento in cui sarebbero stati chiamati. Egli scelse dodici evangelisti per accompagnarlo; ordinò ai dodici apostoli di rimanere con lui qualunque cosa accadesse. Diede istruzioni alle dodici donne di rimanere nelle case di Zebedeo e di Pietro fino a che non le avesse mandate a chiamare.
(1720.6) 154:5.3 Gesù permise a Davide Zebedeo di continuare il suo servizio di messaggeri in tutto il paese, e salutando il Maestro poco dopo, Davide disse: “Prosegui la tua opera, Maestro. Non permettere che i fanatici ti prendano, e non dubitare mai che i messaggeri ti seguiranno. I miei uomini non perderanno mai il contatto con te, e tramite loro tu avrai notizie del regno nelle altre parti, e per mezzo loro noi saremo tutti informati su di te. Niente di ciò che può accadere a me interferirà con questo servizio, perché ho designato un primo ed un secondo capo, ed anche un terzo. Io non sono né un istruttore né un predicatore, ma mi sta a cuore fare questo, e nessuno può fermarmi.”
(1720.7) 154:5.4 Alle sette e mezzo circa di questa mattina Gesù rivolse il suo discorso di congedo ad un centinaio di credenti che si erano ammassati all’interno della casa per ascoltarlo. Questo era un avvenimento solenne per tutti i presenti, ma Gesù sembrava insolitamente gaio; era nuovamente nel suo stato normale. La serietà durata settimane era scomparsa ed egli ispirava tutti loro con le sue parole di fede, di speranza e di coraggio.
(1721.1) 154:6.1 Erano circa le otto di questa domenica mattina quando cinque membri della famiglia terrena di Gesù arrivarono sulla scena in risposta alla chiamata urgente della cognata di Giuda. Di tutta la sua famiglia carnale, soltanto una, Rut, credeva apertamente e continuamente nella divinità della sua missione sulla terra. Giuda e Giacomo, ed anche Giuseppe, conservavano ancora molta della loro fede in Gesù, ma avevano permesso all’orgoglio d’interferire nel loro giudizio migliore e nelle loro reali inclinazioni spirituali. Maria era anch’essa lacerata tra l’amore e la paura, tra l’amore materno e l’orgoglio di famiglia. Benché fosse assalita da dubbi, essa non poté mai dimenticare del tutto la visita di Gabriele prima della nascita di Gesù. I Farisei avevano tentato di persuadere Maria che Gesù era uno squilibrato, un folle. Essi la incitavano ad andare con i suoi figli a cercare di dissuaderlo da ulteriori tentativi d’insegnare in pubblico. Dicevano a Maria che la salute di Gesù non avrebbe retto, e che soltanto disonore e vergogna sarebbero derivati all’intera famiglia se gli avessero permesso di continuare. E così, quando furono avvertiti dalla cognata di Giuda, essi partirono immediatamente tutti e cinque per la casa di Zebedeo, dopo essersi riuniti a casa di Maria, dove si erano incontrati con i Farisei la sera prima. Essi avevano parlato con i dirigenti di Gerusalemme fino a tarda sera ed erano tutti più o meno convinti che Gesù si stesse comportando in modo strano, che avesse agito in modo bizzarro da qualche tempo. Sebbene Rut non riuscisse a spiegare tutta la sua condotta, insisté che egli aveva sempre trattato con equità la sua famiglia e rifiutò di aderire al programma di cercare di dissuaderlo dal proseguire la sua opera.
(1721.2) 154:6.2 Sulla strada per la casa di Zebedeo essi riparlarono di queste cose e si accordarono di tentare di persuadere Gesù a tornare a casa con loro, perché, diceva Maria: “Io so che potrei influire su mio figlio se solo volesse venire a casa ed ascoltarmi”. Giacomo e Giuda avevano sentito delle voci sui piani per arrestare Gesù e condurlo a Gerusalemme per essere giudicato. Essi temevano anche per la loro stessa sicurezza. Fintantoché Gesù era stato una figura popolare agli occhi del pubblico, i suoi familiari avevano lasciato correre, ma ora che la popolazione di Cafarnao e i dirigenti di Gerusalemme si erano improvvisamente rivoltati contro di lui, essi cominciavano a sentire acutamente la pressione della presunta disgrazia della loro posizione imbarazzante.
(1721.3) 154:6.3 Essi contavano d’incontrare Gesù, di prenderlo da parte e d’indurlo a rientrare a casa con loro. Avevano pensato di rassicurarlo che avrebbero dimenticato l’abbandono da parte sua — che avrebbero perdonato e dimenticato — se solo egli avesse rinunciato alla follia di tentare di predicare una nuova religione che avrebbe portato solo guai a se stesso e disonore alla sua famiglia. Di fronte a tutto ciò Rut si limitò a dire: “Dirò a mio fratello che credo che egli è un uomo di Dio e che spero preferirebbe morire piuttosto che consentire a questi perfidi Farisei di porre fine alla sua predicazione.” Giuseppe promise di tenere Rut tranquilla mentre gli altri tentavano di convincere Gesù.
(1721.4) 154:6.4 Quando arrivarono a casa di Zebedeo, Gesù era nel bel mezzo del suo saluto di commiato ai discepoli. Essi cercarono di entrare in casa, ma questa era piena zeppa. Alla fine si misero sotto il portico retrostante e fecero passare la notizia a Gesù, da persona a persona, in modo che infine fu sussurrata a lui da Simon Pietro, che interruppe a tal fine il discorso e disse: “Ecco, tua madre e i tuoi fratelli sono fuori e sono molto ansiosi di parlare con te.” Ora sua madre non si rendeva conto di quanto fosse importante dare questo messaggio di congedo ai suoi discepoli, né sapeva che il suo discorso poteva essere interrotto in qualsiasi momento dall’arrivo di coloro che venivano ad arrestarlo. Essa pensava veramente che, dopo una così lunga apparente separazione e per il fatto che lei ed i suoi fratelli avevano avuto la benevolenza di venire da lui, Gesù avrebbe smesso di parlare e sarebbe venuto da loro appena fosse stato avvertito che lo stavano aspettando.
(1722.1) 154:6.5 Questo fu proprio un altro di quei casi in cui la sua famiglia terrena non riuscì a comprendere che egli doveva occuparsi degli affari di suo Padre. E così Maria ed i suoi fratelli rimasero profondamente colpiti quando, nonostante egli si fosse fermato di parlare per ricevere il messaggio, invece di precipitarsi a salutarli, udirono la sua voce musicale dire con tono più alto: “Dite a mia madre e ai miei fratelli di non avere alcun timore per me. Il Padre che mi ha mandato nel mondo non mi abbandonerà; né la mia famiglia subirà alcun danno. Dite loro di avere coraggio e di porre la loro fiducia nel Padre del regno. Ma, dopotutto, chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” E stendendo le mani verso tutti i suoi discepoli riuniti nella sala, disse: “Io non ho madre; non ho fratelli. Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà di mio Padre che è nei cieli, quello è mia madre, mio fratello e mia sorella.”
(1722.2) 154:6.6 Quando Maria udì queste parole svenne nelle braccia di Giuda. Essi la portarono nel giardino per rianimarla mentre Gesù concludeva il suo messaggio di commiato. Egli sarebbe andato allora a parlare con sua madre e i suoi fratelli, ma arrivò in fretta un messaggero da Tiberiade portando la notizia che gli agenti del Sinedrio erano in viaggio con il mandato di arrestare Gesù e di condurlo a Gerusalemme. Andrea ricevette questo messaggio e, interrompendo Gesù, glielo riferì.
(1722.3) 154:6.7 Andrea non si ricordava che Davide aveva appostato due dozzine di sentinelle presso la casa di Zebedeo e che nessuno avrebbe potuto coglierli di sorpresa; così egli chiese a Gesù che cosa si doveva fare. Il Maestro stava là in silenzio mentre sua madre, avendo sentito le parole: “Io non ho madre”, si stava rimettendo dallo shock nel giardino. Fu proprio in questo momento che una donna si alzò in sala ed esclamò: “Benedetto il ventre che ti ha generato e benedetti i seni che ti hanno nutrito.” Gesù si distolse un istante dalla sua conversazione con Andrea per rispondere a questa donna dicendo: “No, sia piuttosto benedetto colui che ascolta la parola di Dio e che ha il coraggio di obbedire ad essa.”
(1722.4) 154:6.8 Maria ed i fratelli di Gesù credevano che Gesù non li comprendesse, che non s’interessasse più a loro, non rendendosi conto che erano loro a non riuscire a comprendere Gesù. Gesù capiva pienamente quanto fosse difficile per gli uomini rompere con il loro passato. Egli sapeva come gli esseri umani si lasciano influenzare dall’eloquenza dei predicatori e come la coscienza risponde all’appello emozionale così come la mente fa con la logica e la ragione, ma egli sapeva anche quanto più difficile è persuadere gli uomini a sconfessare il passato.
(1722.5) 154:6.9 È eternamente vero che chiunque pensa di essere incompreso o non apprezzato ha in Gesù un amico compassionevole ed un consigliere comprensivo. Egli aveva avvertito i suoi apostoli che nemici di un uomo possono essere i membri della sua stessa casa, ma non aveva affatto immaginato quanto presto questa predizione si sarebbe applicata alla sua stessa esperienza. Gesù non abbandonò la sua famiglia terrena per compiere l’opera di suo Padre — furono loro che lo abbandonarono. Più tardi, dopo la morte e la risurrezione del Maestro, quando Giacomo si legò al movimento cristiano primitivo, soffrì immensamente di non aver goduto di questa associazione iniziale con Gesù ed i suoi discepoli.
(1723.1) 154:6.10 Passando per questi avvenimenti, Gesù scelse di essere guidato dalla conoscenza limitata della sua mente umana. Egli desiderava sottostare all’esperienza con i suoi associati come un uomo comune. Ed era nella mente umana di Gesù l’intenzione di vedere la sua famiglia prima di partire. Egli non volle fermarsi nel mezzo del suo discorso e trasformare così in affare pubblico il loro primo incontro dopo una così lunga separazione. Egli aveva intenzione di terminare il suo discorso di saluto e poi di far visita a loro prima di partire, ma questo piano fu contrastato dalla cospirazione degli eventi che seguirono nell’immediato.
(1723.2) 154:6.11 La fretta della loro fuga fu accresciuta dall’arrivo di un gruppo di messaggeri di Davide all’ingresso posteriore della casa di Zebedeo. L’agitazione prodotta da questi uomini fece temere agli apostoli che i nuovi arrivati potessero essere quelli venuti a catturarli e, nel timore di un arresto immediato, essi si precipitarono dall’ingresso anteriore verso il battello in attesa. E tutto ciò spiega perché Gesù non vide la sua famiglia che aspettava sotto il portico retrostante.
(1723.3) 154:6.12 Ma egli disse a Davide Zebedeo salendo sul battello nella fuga precipitosa: “Dì a mia madre e ai miei fratelli che apprezzo la loro venuta e che avevo intenzione di vederli. Raccomanda loro di non sentirsi offesi da me, ma piuttosto di cercare la conoscenza della volontà di Dio e la grazia ed il coraggio di fare quella volontà.”
(1723.4) 154:7.1 Avvenne così, in questa domenica mattina, il ventidue maggio dell’anno 29 d.C., che Gesù con i suoi dodici apostoli e i dodici evangelisti si dette a questa fuga precipitosa dagli agenti del Sinedrio che erano in cammino per Betsaida con il mandato di Erode Antipa di arrestarlo e di condurlo a Gerusalemme per essere giudicato sotto l’accusa di bestemmia e di altre violazioni delle leggi sacre degli Ebrei. Erano circa le otto e mezzo di questa bellissima mattina quando questo gruppo di venticinque persone si mise ai remi e puntò verso la riva orientale del Mare di Galilea.
(1723.5) 154:7.2 Seguiva il battello del Maestro un altro natante più piccolo, contenente sei messaggeri di Davide, che avevano l’ordine di mantenere il contatto tra Gesù ed i suoi associati e di fare in modo che le informazioni sui loro spostamenti e sulla loro sicurezza fossero regolarmente trasmesse alla casa di Zebedeo a Betsaida, che era servita per qualche tempo da quartier generale per l’opera del regno. Ma Gesù non avrebbe abitato mai più nella casa di Zebedeo. D’ora in avanti, e per tutto il resto della sua vita terrena, il Maestro veramente “non ebbe dove posare la sua testa”. E non ebbe nemmeno più una parvenza di dimora fissa.
(1723.6) 154:7.3 Essi accostarono vicino al villaggio di Keresa, affidarono il loro battello a degli amici e cominciarono le peregrinazioni di questo movimentato ultimo anno della vita del Maestro sulla terra. Rimasero per qualche tempo nei domini di Filippo, andando da Keresa a Cesarea di Filippo, e di là proseguirono fino alla costa della Fenicia.
(1723.7) 154:7.4 La folla si attardò presso la casa di Zebedeo a guardare questi due battelli che facevano rotta verso la riva orientale; ed essi erano già lontani quando gli agenti di Gerusalemme arrivarono in fretta e cominciarono a cercare Gesù. Essi rifiutarono di credere che Gesù fosse sfuggito loro, e mentre Gesù ed il suo gruppo si dirigevano verso nord passando per Batanea, i Farisei ed i loro assistenti passarono quasi una settimana intera a cercarlo invano nei dintorni di Cafarnao.
(1724.1) 154:7.5 I membri della famiglia di Gesù ritornarono a casa loro a Cafarnao e passarono quasi una settimana a parlare, discutere e pregare. Essi erano pieni di confusione e di costernazione. Non trovarono pace fino a giovedì pomeriggio, quando Rut ritornò da una visita a casa di Zebedeo, dove seppe da Davide che suo fratello-padre era salvo ed in buona salute e si stava dirigendo verso la costa della Fenicia.
(1725.1) 155:0.1 POCO dopo aver accostato vicino a Keresa in questa movimentata domenica, Gesù e i ventiquattro risalirono un po’ verso nord e passarono la notte in un magnifico parco a sud di Betsaida-Giulia. Essi conoscevano bene questo luogo per accamparsi, essendosi fermati qui in passato. Prima di ritirarsi per la notte il Maestro chiamò i suoi discepoli attorno a lui e discusse con loro i piani del loro progettato viaggio attraverso Batanea ed il nord della Galilea fino alla costa della Fenicia.
(1725.2) 155:1.1 Gesù disse: “Dovreste ricordarvi tutti come il Salmista parlò di questi tempi dicendo: ‘Perché i pagani sono infuriati ed i popoli complottano invano? I re della terra stabiliscono se stessi e i governanti del popolo si consultano tra di loro contro il Signore e contro il suo unto, dicendo: spezziamo i legami della misericordia e gettiamo via le corde dell’amore.’
(1725.3) 155:1.2 “Voi vedete oggi compiersi davanti ai vostri occhi questa profezia. Ma non vedrete realizzarsi il resto della profezia del Salmista, perché egli aveva idee errate sul Figlio dell’Uomo e sulla sua missione sulla terra. Il mio regno è fondato sull’amore, proclamato nella misericordia e stabilito mediante il servizio disinteressato. Mio Padre non siede in cielo deridendo i pagani. Egli non è adirato nel suo grande dispiacere. È vera la promessa che il Figlio avrà per eredità questi cosiddetti pagani (in realtà i suoi fratelli ignoranti e privi d’istruzione). Ed io riceverò questi Gentili con le braccia aperte di misericordia ed affetto. Tutta questa affettuosa benevolenza sarà mostrata ai cosiddetti pagani nonostante l’infelice dichiarazione dello scritto che afferma che il Figlio trionfante ‘li spezzerà con una verga di ferro e li farà a pezzi come un recipiente da vasaio’. Il Salmista vi ha esortato a ‘servire il Signore con timore’ — io vi offro di godere dei privilegi superiori della filiazione divina per mezzo della fede; egli vi comanda di rallegrarvi con trepidazione; io vi offro di godere con certezza. Egli disse: ‘Baciate il Figlio, per timore che non si irriti e che voi periate quando la sua collera è accesa’. Ma voi che avete vissuto con me sapete bene che la collera e lo sdegno non fanno parte dell’instaurazione del regno dei cieli nel cuore degli uomini. Ma il Salmista intravide la vera luce quando, alla fine di questa esortazione, disse: ‘Benedetti sono coloro che pongono la loro fiducia in questo Figlio.’ ”
(1725.4) 155:1.3 Gesù continuò ad istruire i ventiquattro dicendo: “I pagani non sono senza scuse quando sono infuriati con noi. Per il fatto che il loro punto di vista è meschino e ristretto essi possono concentrare le loro energie con entusiasmo. Il loro scopo è vicino e più o meno visibile; perciò essi lottano con coraggioso ed efficace impegno. Voi che avete proclamato l’entrata nel regno dei cieli siete assolutamente troppo vacillanti e indefiniti nel condurre il vostro insegnamento. I pagani puntano dritti ai loro obiettivi; voi siete colpevoli di troppo agognare cronico. Se desiderate entrare nel regno perché non ve ne impadronite con un assalto spirituale come i pagani s’impadroniscono di una città che assediano? Voi non siete affatto degni del regno quando il vostro servizio consiste così largamente in un atteggiamento di rifiuto del passato, di lamento sul presente e di vane speranze per il futuro. Perché i pagani sono infuriati? Perché non conoscono la verità. Perché languite in futili desideri? Perché non obbedite alla verità. Smettete di desiderare inutilmente e andate con coraggio a fare ciò che concerne l’instaurazione del regno.
(1726.1) 155:1.4 “In tutto ciò che fate non siate unilaterali e specializzati all’eccesso. I Farisei che cercano la nostra distruzione credono veramente di stare servendo Dio. Essi sono divenuti così limitati dalla tradizione che sono accecati dal pregiudizio e induriti dalla paura. Considerate i Greci, che hanno una scienza priva di religione, mentre gli Ebrei hanno una religione priva di scienza. Quando gli uomini si sbagliano al punto da accettare una disintegrazione ristretta e confusa della verità, la loro sola speranza di salvezza è di coordinarsi con la verità — di convertirsi.
(1726.2) 155:1.5 “Permettetemi di esprimere con forza questa verità eterna: Se voi, coordinandovi con la verità, imparate ad essere un esempio nella vostra vita di questa splendida totalità di rettitudine, allora i vostri simili vi cercheranno per ottenere ciò che voi avete così acquisito. La misura con cui i cercatori della verità sono attratti verso di voi rappresenta la misura della vostra dotazione della verità, della vostra rettitudine. L’ampiezza con cui dovrete andare con il vostro messaggio dal popolo è, in un certo senso, la misura della vostra incapacità a vivere la vita integra o retta, la vita coordinata con la verità.”
(1726.3) 155:1.6 Il Maestro insegnò molte altre cose ai suoi apostoli e agli evangelisti prima che gli augurassero la buona notte e andassero a riposare sui loro giacigli.
(1726.4) 155:2.1 Lunedì mattina, 23 maggio, Gesù ordinò a Pietro di andare a Corazin con i dodici evangelisti mentre lui, con gli altri undici apostoli, partì per Cesarea di Filippo andando per la via del Giordano fino alla strada Damasco-Cafarnao, quindi verso nordest fino all’incrocio con la strada per Cesarea di Filippo e poi in quella città, dove si fermarono ed insegnarono per due settimane. Essi arrivarono nel pomeriggio di martedì 24 maggio.
(1726.5) 155:2.2 Pietro e gli evangelisti soggiornarono a Corazin per due settimane, predicando il vangelo del regno ad un piccolo ma sincero gruppo di credenti. Ma essi non riuscirono ad acquisire molti nuovi convertiti. Nessuna città della Galilea fornì così poche anime al regno come Corazin. Conformemente alle istruzioni di Pietro i dodici evangelisti parlarono meno di guarigioni — di cose fisiche — mentre predicarono ed insegnarono con accresciuto vigore le verità spirituali del regno dei cieli. Queste due settimane a Corazin costituirono un vero battesimo di avversità per i dodici evangelisti, nel senso che fu il periodo più difficile e improduttivo nella loro carriera fino ad allora. Essendo così privati della soddisfazione di conquistare anime al regno, ciascuno di loro esaminò più seriamente ed onestamente la propria anima ed i propri progressi nei sentieri spirituali della nuova vita.
(1726.6) 155:2.3 Quando fu evidente che nessuno era più intenzionato a cercare di entrare nel regno, Pietro, martedì 7 giugno, riunì i suoi associati a partì per Cesarea di Filippo per riunirsi a Gesù e agli apostoli. Essi arrivarono verso mezzogiorno di mercoledì e passarono tutta la sera a raccontare le loro esperienze tra i non credenti di Corazin. Durante le discussioni di questa sera Gesù fece un altro riferimento alla parabola del seminatore ed insegnò loro molte cose sul significato degli apparenti insuccessi nelle imprese della vita.
(1727.1) 155:3.1 Anche se Gesù non insegnò in pubblico durante questo soggiorno di due settimane vicino a Cesarea di Filippo, gli apostoli tennero numerose tranquille riunioni serali nella città, e molti credenti vennero al campo per parlare con il Maestro. Pochissimi di loro furono aggiunti al gruppo di credenti a seguito di questa visita. Gesù parlò con gli apostoli ogni giorno, ed essi capirono più chiaramente che stava iniziando ora una nuova fase del lavoro di predicazione del regno dei cieli. Essi cominciavano a comprendere che il “regno dei cieli non è né cibo né bevanda, ma la realizzazione della gioia spirituale di accettazione della filiazione divina”.
(1727.2) 155:3.2 Il soggiorno a Cesarea di Filippo fu una vera prova per gli undici apostoli; furono due settimane difficili da passare per loro. Essi erano quasi depressi e mancava loro lo stimolo periodico della personalità entusiasta di Pietro. In questi momenti era veramente una grande e probante avventura credere in Gesù e partire per seguirlo. Anche se fecero poche conversioni durante queste due settimane, essi impararono molte cose altamente proficue dalle loro riunioni quotidiane con il Maestro.
(1727.3) 155:3.3 Gli apostoli appresero che gli Ebrei erano spiritualmente stagnanti e morenti perché avevano cristallizzato la verità in un credo; che quando la verità è formulata come una linea di confine di un esclusivismo ipocrita, anziché servire da segnale di guida e di progresso spirituali, questi insegnamenti perdono il loro potere creativo e vivificante e finiscono per diventare semplicemente conservatori e fossilizzanti.
(1727.4) 155:3.4 Essi impararono sempre più da Gesù a guardare le personalità umane in termini delle loro possibilità nel tempo e nell’eternità. Impararono che molte anime possono essere meglio condotte ad amare il Dio invisibile insegnando loro prima ad amare i loro fratelli che possono vedere. E fu in questa connessione che fu attribuito un nuovo significato alla dichiarazione del Maestro concernente il servizio disinteressato a favore dei propri simili: “In quanto l’avete fatto al più umile dei miei fratelli, l’avete fatto a me.”
(1727.5) 155:3.5 Una delle grandi lezioni di questo soggiorno a Cesarea riguardò l’origine delle tradizioni religiose, con il grande pericolo di permettere che sia attribuito un carattere di sacralità alle cose non sacre, alle idee comuni o agli avvenimenti quotidiani. Da una riunione essi uscirono con l’insegnamento che la vera religione di un uomo era la fedeltà profonda alle sue convinzioni più elevate e sincere.
(1727.6) 155:3.6 Gesù avvertì i suoi credenti che, se le loro aspirazioni religiose erano solo materiali, la loro conoscenza crescente della natura, con la progressiva sostituzione della presunta origine soprannaturale delle cose, li avrebbe privati alla fine della loro fede in Dio. Ma che, se la loro religione era spirituale, il progresso della scienza fisica non avrebbe mai disturbato la loro fede nelle realtà eterne e nei valori divini.
(1727.7) 155:3.7 Essi impararono che, quando la religione ha dei motivi interamente spirituali, rende tutta la vita più degna di essere vissuta, riempiendola di propositi elevati, nobilitandola con valori trascendentali, ispirandola con motivi stupendi e confortando costantemente l’anima umana con una speranza sublime e fortificante. La vera religione è destinata a diminuire le tensioni dell’esistenza; essa ispira fede e coraggio per la vita quotidiana e per il servizio disinteressato. La fede favorisce la vitalità spirituale e la fecondità della rettitudine.
(1727.8) 155:3.8 Gesù insegnò ripetutamente ai suoi apostoli che nessuna civiltà potrebbe sopravvivere a lungo alla perdita della parte migliore della propria religione. E non si stancò mai di segnalare ai dodici il grande pericolo di accettare simboli e cerimonie religiose al posto dell’esperienza religiosa. Tutta la sua vita terrena fu costantemente consacrata alla missione di sciogliere le forme cristallizzate della religione in fluide libertà di filiazione illuminata.
(1728.1) 155:4.1 Giovedì mattina 9 giugno, dopo aver ricevuto notizie sui progressi del regno portate dai messaggeri di Davide da Betsaida, questo gruppo di venticinque insegnanti della verità lasciò Cesarea di Filippo per cominciare il suo viaggio verso la costa della Fenicia. Essi girarono attorno alla regione paludosa, passando per Luz e andando fino al punto di congiunzione con la pista Magdala-Monte Libano, e da là fino all’incrocio con la strada che conduceva a Sidone, dove arrivarono venerdì pomeriggio.
(1728.2) 155:4.2 Mentre erano fermi per il pranzo all’ombra di una sporgenza rocciosa sovrastante, vicino a Luz, Gesù fece uno dei più rimarchevoli discorsi che gli apostoli avessero mai ascoltato in tutti i loro anni di associazione con lui. Essi si erano appena seduti per rompere il pane quando Simon Pietro chiese a Gesù: “Maestro, poiché il Padre che è nei cieli conosce tutte le cose, e poiché il suo spirito è il nostro sostegno nell’instaurazione del regno dei cieli sulla terra, come mai noi fuggiamo davanti alle minacce dei nostri nemici? Perché rifiutiamo di affrontare i nemici della verità?” Ma prima che Gesù avesse cominciato a rispondere alla domanda di Pietro, Tommaso intervenne chiedendo: “Maestro, vorrei veramente conoscere che cosa non va nella religione dei nostri nemici di Gerusalemme. Qual è la reale differenza tra la loro religione e la nostra? Come mai esiste questa diversità di credenza quando professiamo tutti di servire lo stesso Dio?” E quando Tommaso ebbe finito, Gesù disse: “Pur non ignorando la domanda di Pietro, sapendo perfettamente come sia facile interpretare male le mie ragioni di evitare in questo momento un conflitto aperto con i capi degli Ebrei, sarà tuttavia più utile per voi tutti che io scelga piuttosto di rispondere alla domanda di Tommaso. E lo farò quando avrete finito di mangiare.”
(1728.3) 155:5.1 Questo memorabile discorso sulla religione, riassunto e trascritto in linguaggio moderno, diede espressione alle seguenti verità:
(1728.4) 155:5.2 Benché le religioni del mondo abbiano una doppia origine — naturale e rivelatoria — in ogni tempo e presso ogni popolo si possono trovare tre forme distinte di devozione religiosa. E queste tre manifestazioni del bisogno di religione sono:
(1728.5) 155:5.3 1. La religione primitiva. Il bisogno seminaturale ed istintivo di temere le energie misteriose e di adorare le forze superiori; è principalmente una religione della natura fisica, la religione della paura.
(1728.6) 155:5.4 2. La religione della civiltà. I concetti e le pratiche religiose in evoluzione delle razze che si stanno civilizzando — la religione della mente — la teologia intellettuale dell’autorità della tradizione religiosa stabilita.
(1728.7) 155:5.5 3. La vera religione — la religione di rivelazione. La rivelazione di valori soprannaturali, un’ispezione parziale delle realtà eterne, un rapido sguardo della bontà e della bellezza del carattere infinito del Padre che è nei cieli — la religione dello spirito qual è mostrata nell’esperienza umana.
(1729.1) 155:5.6 Il Maestro rifiutò di minimizzare la religione dei sensi fisici e dei timori superstiziosi dell’uomo naturale, ma deplorò il fatto che tanto di questa forma primitiva di adorazione persistesse nelle forme religiose delle razze più intelligenti dell’umanità. Gesù chiarì che la grande differenza tra la religione della mente e la religione dello spirito è che, mentre la prima è sostenuta dall’autorità ecclesiastica, la seconda è interamente basata sull’esperienza umana.
(1729.2) 155:5.7 Poi il Maestro, nella sua ora d’insegnamento, continuò a chiarire queste verità:
(1729.3) 155:5.8 Fino a che le razze non diverranno altamente intelligenti e più completamente civilizzate, persisteranno molte di quelle cerimonie infantili e superstiziose che sono così caratteristiche delle pratiche religiose evoluzionarie dei popoli primitivi ed arretrati. Fino a che la razza umana non progredirà ad un livello di riconoscimento più elevato e più generale delle realtà dell’esperienza spirituale, un gran numero di uomini e di donne continueranno a mostrare una preferenza personale per quelle religioni d’autorità che richiedono soltanto un consenso intellettuale, in contrasto con la religione dello spirito, che comporta una partecipazione attiva della mente e dell’anima nell’avventura della fede di cimentarsi con le realtà rigorose dell’esperienza umana progressiva.
(1729.4) 155:5.9 L’accettazione delle religioni tradizionali d’autorità presenta la via facile per il bisogno dell’uomo di cercare soddisfazione ai desideri ardenti della sua natura spirituale. Le religioni d’autorità radicate, cristallizzate e stabilite forniscono un rifugio già pronto nel quale l’anima umana turbata e sconvolta può rifugiarsi quando è assalita dalla paura e tormentata dall’incertezza. Una tale religione esige dai suoi devoti, come prezzo da pagare per le sue soddisfazioni ed assicurazioni, soltanto un assenso passivo e puramente intellettuale.
(1729.5) 155:5.10 E per lungo tempo vivranno sulla terra quegli individui timidi, paurosi ed esitanti che preferiranno procurarsi in questo modo le loro consolazioni religiose, anche se, legando la loro sorte alle religioni d’autorità, compromettono la sovranità della personalità, degradano la dignità del rispetto di sé e rinunciano completamente al diritto di partecipare alla più appassionante ed ispirante di tutte le esperienze umane possibili: la ricerca personale della verità, la gioia di affrontare i pericoli della scoperta intellettuale, la determinazione di esplorare le realtà dell’esperienza religiosa personale, la soddisfazione suprema di sperimentare il trionfo personale nell’effettiva realizzazione della vittoria della fede spirituale sui dubbi intellettuali, come si acquisisce onestamente nell’avventura suprema di ogni esistenza umana — l’uomo che cerca Dio, per se stesso e da se stesso, e che lo trova.
(1729.6) 155:5.11 La religione dello spirito significa sforzo, lotta, conflitto, fede, determinazione, amore, lealtà e progresso. La religione della mente — la teologia d’autorità — esige poco o nulla di questi sforzi da parte dei suoi credenti ufficiali. La tradizione è un rifugio sicuro ed un sentiero facile per quelle anime timorose ed apatiche che evitano istintivamente le lotte spirituali e le incertezze mentali associate a quei viaggi di fede di un’avventura coraggiosa, effettuati nel mare aperto della verità inesplorata alla ricerca delle rive lontane delle realtà spirituali che possono essere scoperte dalla mente umana progressiva e sperimentate dall’anima umana in evoluzione.
(1729.7) 155:5.12 Poi Gesù proseguì dicendo: “A Gerusalemme i capi religiosi hanno formulato le varie dottrine dei loro insegnanti tradizionali e dei profeti di un tempo in un sistema stabilito di credenze intellettuali, in una religione d’autorità. L’attrazione esercitata da tutte queste religioni è in larga misura sulla mente. Ed ora noi stiamo per entrare in un conflitto mortale con una tale religione, poiché cominceremo tra poco l’aperta proclamazione di una nuova religione — una religione che non è una religione nel significato corrente di questa parola, una religione che fa principalmente appello allo spirito divino di mio Padre che risiede nella mente dell’uomo; una religione che deriverà la sua autorità dai frutti della sua accettazione, che certamente appariranno nell’esperienza personale di tutti coloro che crederanno realmente e sinceramente nelle verità di questa comunione spirituale superiore.”
(1730.1) 155:5.13 Indicando ciascuno dei ventiquattro e chiamandoli per nome, Gesù disse: “Ed ora, chi di voi preferirebbe prendere questa facile via di conformarsi ad una religione stabilita e fossilizzata come quella difesa dai Farisei a Gerusalemme, piuttosto che soffrire le difficoltà e le persecuzioni che accompagnano la missione di proclamare una via migliore di salvezza agli uomini, mentre realizzerete la soddisfazione di scoprire da voi stessi le bellezze delle realtà di un’esperienza vivente e personale nelle verità eterne e nelle grandezze supreme del regno dei cieli? Siete timorosi, arrendevoli e cercate la facilità? Avete paura di affidare il vostro futuro nelle mani del Dio della verità di cui siete figli? Non vi fidate del Padre, di cui siete figli? Ritornerete nel sentiero facile della certezza e dell’immobilità intellettuale della religione d’autorità tradizionale, o vi accingerete con grande energia a proseguire con me nel futuro incerto e difficoltoso della proclamazione delle nuove verità della religione dello spirito, del regno dei cieli nel cuore degli uomini?”
(1730.2) 155:5.14 Tutti e ventiquattro i suoi ascoltatori si alzarono in piedi con l’intenzione di manifestare la loro risposta unanime e fedele a questo appello emotivo, uno dei pochi che Gesù rivolse mai loro, ma egli alzò la sua mano e li fermò dicendo: “Andate ora per conto vostro, ognuno da solo con il Padre, e trovate la risposta non emotiva alla mia domanda; ed avendo trovato tale vero e sincero atteggiamento dell’anima, date francamente e coraggiosamente quella risposta a mio Padre e a vostro Padre, la cui vita infinita d’amore è lo spirito stesso della religione che proclamiamo.”
(1730.3) 155:5.15 Gli evangelisti e gli apostoli andarono per conto loro per un breve momento. I loro spiriti erano sollevati, le loro menti erano ispirate e le loro emozioni potentemente eccitate da quello che Gesù aveva detto. Ma quando Andrea li riunì, il Maestro disse soltanto: “Riprendiamo il nostro viaggio. Andiamo in Fenicia per restarci qualche tempo, e ciascuno di voi dovrebbe pregare il Padre di trasformare le vostre emozioni mentali e fisiche nelle più elevate fedeltà della mente e nelle esperienze più soddisfacenti dello spirito.”
(1730.4) 155:5.16 Mentre camminavano lungo la strada i ventiquattro rimasero silenziosi, ma poi cominciarono a parlare tra di loro e alle tre del pomeriggio non si sentivano più di proseguire; si fermarono e Pietro andò da Gesù e disse: “Maestro, tu ci hai detto parole di vita e di verità. Vorremmo ascoltarti ancora; ti supplichiamo di parlarci ancora di questi argomenti.”
(1730.5) 155:6.1 E così, mentre erano fermi all’ombra sul fianco della collina, Gesù continuò ad insegnare loro la religione dello spirito, dicendo in sostanza:
(1730.6) 155:6.2 Voi siete usciti da quei vostri simili che hanno scelto di rimanere soddisfatti di una religione della mente, che bramano la sicurezza e preferiscono il conformismo. Avete scelto di scambiare i vostri sentimenti di certezza basata sull’autorità contro le assicurazioni dello spirito della fede avventurosa e progressiva. Voi avete osato protestare contro la dura schiavitù della religione istituzionale e respingere l’autorità delle tradizioni scritte che sono ora considerate come la parola di Dio. Nostro Padre ha parlato in verità attraverso Mosè, Elia, Isaia, Amos ed Osea, ma non ha cessato di portare parole di verità al mondo quando questi profeti di un tempo ebbero terminato di pronunciarsi. Mio Padre non fa differenza di razze o di generazioni accordando la parola di verità a un’epoca e non concedendola ad un’altra. Non commettete la follia di chiamare divino ciò che è puramente umano e non mancate di discernere le parole di verità che non provengono dagli oracoli tradizionali di pretesa ispirazione.
(1731.1) 155:6.3 Io vi ho chiamati a nascere di nuovo, a nascere dallo spirito. Vi ho chiamati fuori dalle tenebre dell’autorità e dal letargo della tradizione per entrare nella luce trascendente in cui realizzare la possibilità di fare da voi stessi la più grande scoperta possibile per l’anima umana — l’esperienza superna di trovare Dio per voi stessi, in voi stessi e da voi stessi, e di fare tutto ciò come un fatto della vostra esperienza personale. E così possiate voi passare dalla morte alla vita, dall’autorità della tradizione all’esperienza di conoscere Dio. Passerete così dalle tenebre alla luce, da una fede razziale ereditata ad una fede personale acquisita per esperienza effettiva; e così progredirete da una teologia della mente lasciata in eredità dai vostri antenati ad una vera religione dello spirito costruita nella vostra anima come una dotazione eterna.
(1731.2) 155:6.4 La vostra religione cambierà da una semplice credenza intellettuale nell’autorità tradizionale all’esperienza effettiva di quella fede vivente che è capace di cogliere la realtà di Dio e tutto ciò che riguarda lo spirito divino del Padre. La religione della mente vi lega irrimediabilmente al passato; la religione dello spirito consiste in una rivelazione progressiva e v’invita sempre a compimenti più elevati e più santi negli ideali spirituali e nelle realtà eterne.
(1731.3) 155:6.5 Anche se la religione d’autorità può comunicare un sentimento immediato di solida certezza, voi pagate per questa soddisfazione temporanea il prezzo della perdita della vostra indipendenza spirituale e della vostra libertà religiosa. Come prezzo per entrare nel regno dei cieli mio Padre non vi chiede che vi sforziate di sottostare ad una credenza in cose spiritualmente ripugnanti, empie e false. Non vi si chiede che il vostro senso di misericordia, di giustizia e di verità sia oltraggiato dalla sottomissione ad un trito sistema di forme e di cerimonie religiose. La religione dello spirito vi lascia per sempre liberi di seguire la verità cui vi conducono le direttive dello spirito. E chi può giudicare — forse questo spirito potrebbe avere qualcosa da comunicare a questa generazione che le altre generazioni hanno rifiutato di ascoltare?
(1731.4) 155:6.6 Vergogna su quei falsi insegnanti religiosi che vorrebbero trascinare le anime affamate nell’oscuro e lontano passato e abbandonarvele! E così queste persone sfortunate sono condannate a spaventarsi per ogni nuova scoperta e a rimanere sconcertate da ogni nuova rivelazione della verità. Il profeta che disse “Sarà mantenuto in una pace perfetta colui la cui mente è fissata in Dio” non era un semplice credente intellettuale in una teologia d’autorità. Questo umano conoscitore della verità aveva scoperto Dio; egli non si limitava a parlare di Dio.
(1731.5) 155:6.7 Io vi raccomando di perdere l’abitudine di citare sempre i profeti di un tempo e di lodare gli eroi d’Israele, e di aspirare invece a divenire profeti viventi dell’Altissimo ed eroi spirituali del regno futuro. Onorare i principali conoscitori di Dio del passato può in verità essere meritevole, ma perché, facendo questo, dovreste sacrificare l’esperienza suprema dell’esistenza umana: trovare Dio da voi stessi e conoscerlo nella vostra stessa anima?
(1732.1) 155:6.8 Ogni razza dell’umanità ha un suo punto di vista mentale sull’esistenza umana; la religione della mente deve perciò adattarsi sempre a questi vari punti di vista razziali. Le religioni d’autorità non arriveranno mai ad unificarsi. L’unità umana e la fratellanza dei mortali possono essere realizzate soltanto dal dono superiore della religione dello spirito. Le menti razziali possono differire, ma in tutta l’umanità risiede lo stesso spirito divino ed eterno. La speranza di una fraternità umana può essere realizzata solo quando, e nella misura in cui, le divergenti religioni mentali d’autorità diverranno impregnate e dominate dalla religione unificante e nobilitante dello spirito — la religione dell’esperienza spirituale personale.
(1732.2) 155:6.9 Le religioni d’autorità possono soltanto dividere gli uomini e porre le loro coscienze le une contro le altre; la religione dello spirito porterà progressivamente gli uomini ad avvicinarsi e li indurrà a divenire comprensivi ed amichevoli gli uni con gli altri. Le religioni d’autorità esigono dagli uomini uniformità di credenza, ma ciò è impossibile da realizzare allo stato attuale del mondo. La religione dello spirito esige soltanto unità d’esperienza — uniformità di destino — permettendo pienamente la diversità di credenza. La religione dello spirito richiede solo uniformità di discernimento, non uniformità di punti di vista e di opinione. La religione dello spirito non richiede uniformità di vedute intellettuali, ma solo unità di sentimento spirituale. Le religioni d’autorità si cristallizzano in credo inerti; la religione dello spirito si sviluppa nella gioia e nella libertà crescenti di atti nobilitanti di servizio amorevole e di assistenza misericordiosa.
(1732.3) 155:6.10 Ma state attenti che qualcuno di voi non consideri con sdegno i figli di Abramo perché sono caduti in questa triste situazione di sterile tradizione. I nostri antenati si erano dedicati alla persistente ed appassionante ricerca di Dio, ed essi l’hanno trovato come nessun’altra intera razza umana ha mai fatto dai tempi di Adamo, il quale conosceva bene queste cose poiché egli stesso era un Figlio di Dio. Mio Padre non ha mancato di notare la lunga ed infaticabile lotta d’Israele, fin dai tempi di Mosè, per trovare Dio e conoscere Dio. Generazioni di Ebrei si sono consumate senza cessare di faticare, di sudare, di gemere, di lavorare e di sopportare le sofferenze e di sperimentare i dispiaceri di un popolo incompreso e disprezzato, e tutto per potersi avvicinare un po’ di più alla scoperta della verità su Dio. E nonostante tutti gli insuccessi e le incertezze d’Israele, i nostri padri, da Mosè fino ai tempi di Amos ed Osea, hanno progressivamente rivelato al mondo intero un’immagine sempre più chiara e veridica del Dio eterno. E così fu preparata la via per la rivelazione ancora più grande del Padre alla quale siete stati chiamati a partecipare.
(1732.4) 155:6.11 Non dimenticate mai che c’è soltanto un’avventura che è più soddisfacente ed appassionante del tentativo di scoprire la volontà del Dio vivente, ed è l’esperienza suprema di tentare onestamente di fare quella volontà divina. E non scordatevi che la volontà di Dio può essere fatta in ogni occupazione terrena. Non vi sono alcuni mestieri sacri ed altri profani. Tutte le cose sono sacre nella vita di coloro che sono guidati dallo spirito; cioè subordinati alla verità, nobilitati dall’amore, dominati dalla misericordia e temperati dall’equità — dalla giustizia. Lo spirito che mio Padre ed io manderemo nel mondo non è soltanto lo Spirito della Verità, ma anche lo spirito della bellezza idealistica.
(1732.5) 155:6.12 Dovete smettere di cercare la parola di Dio solo nelle pagine dei vecchi libri dell’autorità teologica. Coloro che sono nati dallo spirito di Dio discerneranno d’ora in poi la parola di Dio indipendentemente dalla sua origine apparente. La verità divina non deve essere sminuita perché il canale da cui è donata è apparentemente umano. Molti dei vostri fratelli hanno menti che accettano la teoria di Dio, ma non riescono a realizzare spiritualmente la presenza di Dio. Ed è proprio questa la ragione per cui vi ho insegnato così spesso che il regno dei cieli può essere realizzato nel modo migliore acquisendo l’atteggiamento spirituale di un bambino sincero. Non è l’immaturità mentale del bambino che vi raccomando, ma piuttosto la semplicità spirituale di un tale piccolo che crede facilmente e che ha piena fiducia. Non è così importante che voi conosciate il fatto dell’esistenza di Dio quanto che cresciate sempre di più nella capacità di sentire la presenza di Dio.
(1733.1) 155:6.13 Una volta che avrete cominciato a scoprire Dio nella vostra anima, non tarderete a scoprirlo nell’anima degli altri uomini ed infine in tutte le creature e le creazioni di un possente universo. Ma quale possibilità ha il Padre di apparire come un Dio di fedeltà supreme e d’ideali divini nelle anime di uomini che dedicano poco o nulla del loro tempo alla contemplazione riflessiva di tali realtà eterne? Benché la mente non sia la sede della natura spirituale, è in verità la porta che conduce ad essa.
(1733.2) 155:6.14 Ma non commettete l’errore di tentare di provare agli altri che avete trovato Dio; voi non potete produrre coscientemente tale prova valida. Tuttavia esistono due dimostrazioni positive e potenti del fatto che conoscete Dio, e sono:
(1733.3) 155:6.15 1. I frutti dello spirito di Dio che appaiono nella vostra vita quotidiana ordinaria.
(1733.4) 155:6.16 2. Il fatto che l’intero vostro piano di vita fornisce la prova positiva che avete rischiato senza riserve tutto ciò che siete e che possedete nell’avventura della sopravvivenza dopo la morte, inseguendo la speranza di trovare il Dio dell’eternità, di cui avete già pregustato la presenza nel tempo.
(1733.5) 155:6.17 Ora, senza dubbio, mio Padre risponderà sempre al più flebile barlume di fede. Egli prende nota delle emozioni fisiche e superstiziose dell’uomo primitivo. E con quelle anime oneste ma timorose la cui fede è così debole da non rappresentare che poco più di un conformismo intellettuale ad un atteggiamento passivo di assenso alle religioni d’autorità, il Padre è sempre vigilante per onorare e sostenere anche tutti questi deboli tentativi di giungere a lui. Ma da voi che siete stati tratti dalle tenebre alla luce ci si aspetta che crediate con tutto il cuore; la vostra fede dominerà gli atteggiamenti congiunti del corpo, della mente e dello spirito.
(1733.6) 155:6.18 Voi siete miei apostoli, e per voi la religione non diverrà un rifugio teologico dove poter fuggire per paura di affrontare le rudi realtà del progresso spirituale e dell’avventura idealistica. La vostra religione diverrà piuttosto il fatto di un’esperienza reale che testimonia che Dio vi ha trovati, idealizzati, nobilitati e spiritualizzati, e che voi vi siete arruolati nell’avventura eterna di trovare il Dio che vi ha in tal modo trovati e presi per figli.
(1733.7) 155:6.19 E quando Gesù ebbe finito di parlare fece segno ad Andrea, e indicando l’ovest verso la Fenicia disse: “Mettiamoci in cammino.”
(1734.1) 156:0.1 VENERDÌ pomeriggio, 10 giugno, Gesù e i suoi associati arrivarono nei dintorni di Sidone, dove si fermarono a casa di una ricca donna che era stata curata nell’ospedale di Betsaida all’epoca in cui Gesù era all’apice del favore popolare. Gli evangelisti e gli apostoli furono alloggiati presso amici di lei nelle immediate vicinanze, e si riposarono fino al giorno dopo il sabato in questo ambiente ristoratore. Essi trascorsero quasi due settimane e mezza a Sidone e nei paraggi prima di prepararsi a visitare le città costiere del nord.
(1734.2) 156:0.2 Questo sabato di giugno era un giorno di grande calma. Gli evangelisti e gli apostoli erano completamente assorbiti nelle loro meditazioni riguardanti i discorsi del Maestro sulla religione, che avevano ascoltato sulla strada per Sidone. Essi erano tutti capaci di apprezzare qualcosa di quanto aveva detto loro, ma nessuno di loro coglieva pienamente l’importanza del suo insegnamento.
(1734.3) 156:1.1 Vicino alla casa di Karuska, dove il Maestro alloggiava, viveva una donna siriana che aveva sentito parlare molto di Gesù come grande guaritore e maestro, e questo sabato pomeriggio essa giunse conducendo la sua figlioletta. La ragazza, di circa dodici anni, era affetta da gravi disturbi nervosi caratterizzati da convulsioni e da altre manifestazioni dolorose.
(1734.4) 156:1.2 Gesù aveva ordinato ai suoi associati di non parlare a nessuno della sua presenza nella casa di Karuska, spiegando che desiderava riposarsi. Mentre essi avevano obbedito alle istruzioni del loro Maestro, la serva di Karuska era andata a casa di questa donna Siriana, di nome Norana, per informarla che Gesù alloggiava nella casa della sua padrona ed aveva incitato questa madre angosciata a condurvi sua figlia ammalata per essere guarita. Questa madre, naturalmente, credeva che sua figlia fosse posseduta da un demone, da uno spirito impuro.
(1734.5) 156:1.3 Quando Norana arrivò con sua figlia, i gemelli Alfeo le spiegarono attraverso un interprete che il Maestro stava riposando e che non poteva essere disturbato; al che Norana rispose che lei e sua figlia sarebbero rimaste sul posto fino a che il Maestro avesse finito di riposare. Anche Pietro cercò di ragionare con lei e di persuaderla ad andare a casa. Egli spiegò che Gesù era stanco per avere tanto insegnato e guarito, e che era venuto in Fenicia per un periodo di quiete e di riposo. Ma fu inutile; Norana non volle andarsene. Alle sollecitazioni di Pietro essa si limitò a rispondere: “Non partirò fino a che non avrò visto il tuo Maestro. Io so che egli può cacciare il demone da mia figlia e non me ne andrò fino a che il guaritore non avrà esaminato mia figlia.”
(1734.6) 156:1.4 Allora cercò di mandare via la donna Tommaso, ma non vi riuscì. A lui essa disse: “Io ho fede che il tuo Maestro possa cacciare questo demone che tormenta mia figlia. Ho sentito parlare delle sue potenti opere in Galilea e credo in lui. Che cosa è accaduto a voi, suoi discepoli, che volete mandare via coloro che vengono a cercare l’aiuto del vostro Maestro?” E quando essa ebbe parlato così, Tommaso si ritirò.
(1735.1) 156:1.5 Allora si fece avanti Simone Zelota per protestare con Norana. Simone disse: “Donna, tu sei una Gentile che parla greco. Non è giusto che tu pretenda che il Maestro prenda il pane destinato ai figli della casa favorita e lo getti ai cani.” Ma Norana non si offese per la stoccata di Simone. Essa rispose soltanto: “Sì, maestro, comprendo le tue parole. Io sono soltanto un cane agli occhi degli Ebrei, ma per quanto concerne il tuo Maestro io sono un cane credente. Io sono decisa a che egli veda mia figlia, perché sono persuasa che se soltanto la guarderà, egli la guarirà. Ed anche tu, mio buon uomo, non oserai privare i cani del privilegio di ottenere le briciole che possono cadere dalla tavola dei bambini.”
(1735.2) 156:1.6 Proprio in quel momento la ragazza fu assalita da una violenta convulsione davanti a tutti loro, e la madre gridò: “Ecco, potete vedere che mia figlia è posseduta da uno spirito malvagio. Se la nostra necessità non colpisce voi, potrebbe fare appello al vostro Maestro, del quale mi è stato detto che ama tutti gli uomini ed osa guarire anche i Gentili quando essi credono. Voi non siete degni di essere suoi discepoli. Io non me ne andrò fino a che mia figlia non sia stata guarita.”
(1735.3) 156:1.7 Gesù, che aveva ascoltato tutta questa conversazione da una finestra aperta, uscì ora, con loro grande sorpresa, e disse: “O donna, la tua fede è grande, così grande che io non posso rifiutare ciò che desideri; va in pace per la tua strada. Tua figlia è già stata guarita.” E la giovinetta da quel momento fu risanata. Mentre Norana e la figlia si congedavano, Gesù le supplicò di non raccontare a nessuno di questo episodio; e mentre i suoi associati assecondarono questa richiesta, la madre e la figlia non cessarono di proclamare il fatto della guarigione della ragazza in tutto il paese ed anche a Sidone, al punto che Gesù ritenne opportuno cambiare alloggio in capo a qualche giorno.
(1735.4) 156:1.8 Il giorno successivo, mentre Gesù istruiva i suoi apostoli commentando la guarigione della figlia della donna siriana, disse: “Ed è sempre stato così; vedete da voi stessi come i Gentili sono capaci di esercitare una fede salvifica negli insegnamenti del vangelo del regno dei cieli. In verità, in verità vi dico che il regno del Padre sarà preso dai Gentili se i figli di Abramo non intenderanno mostrare una fede sufficiente per entrarvi.”
(1735.5) 156:2.1 Entrando a Sidone, Gesù ed i suoi associati passarono su un ponte, il primo che molti di loro avessero mai visto. Mentre attraversavano questo ponte, Gesù, tra altre cose, disse: “Questo mondo è solo un ponte; voi potete attraversarlo, ma non potete pensare di costruirvi una dimora sopra”.
(1735.6) 156:2.2 Mentre i ventiquattro cominciavano i loro lavori a Sidone, Gesù andò ad abitare in una casa situata a nord della città, la casa di Giusta e di sua madre Berenice. Gesù istruiva i ventiquattro ogni mattina a casa di Giusta, ed essi andavano in giro per Sidone ad insegnare e a predicare il pomeriggio e la sera.
(1735.7) 156:2.3 Gli apostoli e gli evangelisti furono grandemente incoraggiati dal modo in cui i Gentili di Sidone ricevettero il loro messaggio; durante il loro breve soggiorno molti furono conquistati al regno. Questo periodo di circa sei settimane in Fenicia fu molto redditizio nell’opera di acquisire delle anime, ma gli scrittori ebrei successivi dei Vangeli presero l’abitudine di sorvolare sul resoconto di questa calda accoglienza degli insegnamenti di Gesù da parte di questi Gentili nel momento stesso in cui un così gran numero di suoi compatrioti gli erano ostili.
(1736.1) 156:2.4 Sotto molti aspetti questi credenti Gentili apprezzarono più pienamente degli Ebrei gli insegnamenti di Gesù. Molti di questi Siro-Fenici che parlavano greco pervennero a riconoscere non solo che Gesù era simile a Dio, ma anche che Dio era simile a Gesù. Questi cosiddetti pagani raggiunsero una buona comprensione degli insegnamenti del Maestro sull’uniformità delle leggi di questo mondo e dell’universo intero. Essi colsero l’insegnamento che Dio non fa eccezione di persone, di razze o di nazioni; che non ci sono favoritismi da parte del Padre Universale; che l’universo è interamente ed eternamente rispettoso della legge ed infallibilmente degno di fiducia. Questi Gentili non avevano paura di Gesù; essi osavano accettare il suo messaggio. Lungo i secoli successivi gli uomini non sono stati incapaci di comprendere Gesù; essi hanno avuto paura di lui.
(1736.2) 156:2.5 Gesù spiegò ai ventiquattro che non era fuggito dalla Galilea per mancanza di coraggio nei confronti dei suoi nemici. Essi compresero che egli non era ancora pronto ad un conflitto aperto con la religione stabilita e che non cercava di diventare un martire. Fu durante una di queste riunioni a casa di Giusta che il Maestro disse per la prima volta ai suoi discepoli “anche se il cielo e la terra passeranno, le mie parole di verità non passeranno”.
(1736.3) 156:2.6 Il tema delle istruzioni di Gesù durante il soggiorno a Sidone fu il progresso spirituale. Egli disse loro che non potevano fermarsi; che dovevano progredire in rettitudine o retrocedere nel male e nel peccato. Egli raccomandò loro di “dimenticare quelle cose che sono del passato mentre avanzate per abbracciare le realtà più grandi del regno”. Li supplicò di non accontentarsi della loro infanzia nel vangelo, ma di sforzarsi di raggiungere la statura completa della filiazione divina nella comunione dello spirito e nella comunità dei credenti.
(1736.4) 156:2.7 Gesù disse: “I miei discepoli devono non solo smettere di fare il male, ma imparare a fare il bene; voi dovete non solo essere purificati da ogni peccato cosciente, ma dovete rifiutare di nutrire anche i sentimenti di colpevolezza. Se confessate i vostri peccati, essi sono perdonati; dovete quindi mantenere una coscienza priva di colpa.”
(1736.5) 156:2.8 A Gesù piaceva molto l’acuto senso dell’umorismo che mostravano questi Gentili. Furono il senso dell’umorismo mostrato da Norana, la donna siriana, così come la sua grande e persistente fede, che toccarono così tanto il cuore del Maestro e fecero appello alla sua misericordia. Gesù era molto dispiaciuto che il suo popolo — gli Ebrei — fosse così carente di umorismo. Egli disse una volta a Tommaso: “Il mio popolo si prende troppo sul serio; essi non sanno proprio apprezzare l’umorismo. La religione opprimente dei Farisei non avrebbe mai potuto avere origine tra un popolo con il senso dell’umorismo. Essi mancano anche di coerenza; filtrano i moscerini ed ingoiano i cammelli.”
(1736.6) 156:3.1 Martedì 28 giugno il Maestro ed i suoi associati lasciarono Sidone e risalirono la costa fino a Porfireon ed Heldua. Essi vi furono bene accolti dai Gentili, e molti di questi furono aggiunti al regno durante questa settimana d’insegnamento e di predicazione. Gli apostoli predicarono a Porfireon e gli evangelisti insegnarono ad Heldua. Mentre i ventiquattro erano impegnati in tal modo nel loro lavoro, Gesù li lasciò per un periodo di tre o quattro giorni per recarsi nella città costiera di Beirut, dove fece visita ad un Siriano di nome Malac, che era un credente e che era stato a Betsaida l’anno prima.
(1737.1) 156:3.2 Mercoledì 6 luglio essi ritornarono tutti a Sidone e si fermarono a casa di Giusta fino alla domenica mattina, quando partirono per Tiro scendendo lungo la costa verso sud per la via di Sarepta, arrivando a Tiro lunedì 11 luglio. In questo periodo gli apostoli e gli evangelisti stavano cominciando ad abituarsi a lavorare tra questi cosiddetti Gentili, che in realtà discendevano principalmente dalle antiche tribù cananee di ancor più lontana origine semitica. Tutte queste popolazioni parlavano la lingua greca. Fu una grande sorpresa per gli apostoli e gli evangelisti osservare l’ardore di questi Gentili di ascoltare il vangelo e notare la prontezza con cui molti di loro credevano.
(1737.2) 156:4.1 Dall’11 al 24 luglio essi insegnarono a Tiro. Ciascuno degli apostoli prese con sé uno degli evangelisti, e così, a due a due, essi insegnarono e predicarono in tutti i quartieri di Tiro e nei suoi dintorni. La popolazione poliglotta di questo attivo porto li ascoltava volentieri, e molti furono battezzati, entrando così nella comunità esterna del regno. Gesù mantenne il suo quartier generale nella casa di un Ebreo di nome Giuseppe, un credente, che viveva a cinque o sei chilometri a sud di Tiro, non lontano dalla tomba di Hiram, che era stato re della città-Stato di Tiro all’epoca di Davide e di Salomone.
(1737.3) 156:4.2 Durante queste due settimane, gli apostoli e gli evangelisti entrarono ogni giorno a Tiro passando per il molo di Alessandro per tenervi piccoli incontri, ed ogni sera la maggior parte di loro ritornava all’accampamento presso la casa di Giuseppe a sud della città. Ogni giorno dei credenti venivano dalla città per parlare con Gesù nel suo luogo di riposo. Il Maestro parlò a Tiro soltanto una volta, nel pomeriggio del 20 luglio, quando istruì i credenti sull’amore del Padre verso tutta l’umanità e sulla missione del Figlio per rivelare il Padre a tutte le razze umane. C’era un tale interesse per il vangelo del regno tra questi Gentili che, in questa occasione, furono aperte a Gesù le porte del tempio di Melkarth, ed è interessante notare che negli anni successivi una chiesa cristiana fu costruita sullo stesso posto di questo antico tempio.
(1737.4) 156:4.3 Molti dirigenti della manifattura della porpora di Tiro, la tintura che rese Tiro e Sidone famose nel mondo intero e che contribuì così largamente al loro commercio internazionale ed alla conseguente ricchezza, credettero nel regno. Quando, poco tempo dopo, la riserva di animali di mare da cui si traeva questa tintura cominciò a diminuire, questi fabbricanti di porpora partirono alla ricerca di nuovi banchi di questi molluschi. Ed emigrando così fino in capo al mondo, essi portarono con loro il messaggio della paternità di Dio e della fratellanza degli uomini — il vangelo del regno.
(1737.5) 156:5.1 Questo mercoledì pomeriggio, nel corso del suo sermone, Gesù raccontò per la prima volta ai suoi discepoli la storia del giglio bianco che innalza la sua testa pura e nivea nella luce del sole mentre le sue radici sono immerse nel limo e nel fango del sottostante suolo buio. “Allo stesso modo”, egli disse, “l’uomo mortale, sebbene abbia le radici della sua origine e del suo essere nel suolo animale della natura umana, può elevare per mezzo della fede la sua natura spirituale nella luce solare della verità celeste e produrre realmente i nobili frutti dello spirito.”
(1738.1) 156:5.2 Fu durante questo stesso sermone che Gesù fece uso della sua prima ed unica parabola riferentesi al suo mestiere — il carpentiere. Nel corso della sua raccomandazione a “costruire bene le fondamenta per la crescita di un nobile carattere con doti spirituali”, egli disse: “Per produrre i frutti dello spirito dovete essere nati dallo spirito. Dovete essere istruiti dallo spirito ed essere guidati dallo spirito se volete vivere una vita di pienezza spirituale tra i vostri simili. Ma non commettete l’errore dello stolto carpentiere che spreca tempo prezioso a squadrare, misurare e piallare la sua grossa trave tarlata ed interamente marcia e poi, quando ha speso in tal modo tutto il suo lavoro sulla trave malsana, deve scartarla perché inadatta alle fondamenta della costruzione che voleva edificare per resistere agli assalti del tempo e delle tempeste. Che ogni uomo si assicuri che le fondamenta intellettuali e morali del suo carattere siano tali da sostenere adeguatamente la sovrastruttura della sua natura spirituale che cresce e si nobilita, che trasformerà così la mente umana e poi, in associazione con questa mente ricreata, farà evolvere l’anima di destino immortale. La vostra natura spirituale — la vostra anima creata congiuntamente — è un germe vivente, ma la mente e la morale dell’individuo sono il suolo dal quale devono scaturire queste manifestazioni superiori dello sviluppo umano e del destino divino. Il suolo dell’anima in evoluzione è umano e materiale, ma il destino di questa creatura combinata di mente e di spirito è spirituale e divino.”
(1738.2) 156:5.3 La sera di questo stesso giorno Natanaele chiese a Gesù: “Maestro, perché preghiamo Dio di non indurci in tentazione quando sappiamo bene dalla tua rivelazione del Padre che egli non fa mai tali cose?” Gesù rispose a Natanaele:
(1738.3) 156:5.4 “Non è strano che tu ponga tali domande, poiché cominci a conoscere il Padre come lo conosco io e non come i primi profeti ebrei che lo conoscevano così vagamente. Tu sai bene che i nostri antenati avevano tendenza a vedere Dio in quasi tutto ciò che accadeva. Essi cercavano la mano di Dio in tutti i fenomeni naturali ed in ogni episodio insolito dell’esperienza umana. Collegavano Dio sia al bene che al male. Essi pensavano che egli avesse addolcito il cuore di Mosè e indurito il cuore del Faraone. Quando un uomo aveva un forte bisogno di fare qualcosa, di buono o di cattivo, aveva l’abitudine di giustificare queste sensazioni insolite dichiarando: ‘Il Signore mi ha parlato dicendo: fa così e così, o va qua e là’. Di conseguenza, poiché gli uomini incorrono così spesso e così violentemente in tentazione, divenne abitudine dei nostri antenati credere che Dio ve li inducesse per metterli alla prova, per punirli o per fortificarli. Ma tu, in verità, ora sai di più. Tu sai che gli uomini sono tutti troppo spesso indotti in tentazione dalla spinta del loro stesso egoismo e dagli impulsi della loro natura animale. Quando sarai tentato in questo modo, ti raccomando, riconoscendo onestamente e sinceramente la tentazione per quella che è, di riorientare intelligentemente le energie dello spirito, della mente e del corpo che cercano di esprimersi, in canali superiori e verso scopi più idealistici. In questo modo potrai trasformare le tue tentazioni nei tipi più elevati di ministero mortale edificante, evitando quasi completamente questi conflitti inutili e deprimenti tra la natura animale e quella spirituale.
(1738.4) 156:5.5 “Ma permetti che ti metta in guardia contro la follia di voler superare la tentazione sforzandoti di sostituire un desiderio con un altro desiderio ritenuto superiore con la semplice forza di volontà umana. Se vorrai veramente trionfare sulle tentazioni della natura inferiore, devi pervenire ad una posizione di superiorità spirituale nella quale hai realmente e sinceramente sviluppato un interesse ed un amore effettivi per quelle forme di condotta superiori e più idealistiche che la tua mente desidera sostituire a queste abitudini inferiori e meno idealistiche di comportamento, che tu riconosci come tentazioni. In questo modo tu sarai liberato mediante una trasformazione spirituale piuttosto che essere sempre più sovraccaricato dalla soppressione illusoria dei desideri umani. Ciò che è vecchio ed inferiore sarà dimenticato nell’amore per ciò che è nuovo e superiore. La bellezza trionfa sempre sulla bruttezza nel cuore di tutti coloro che sono illuminati dall’amore della verità. C’è un grande potere nell’energia espulsiva di un affetto spirituale nuovo e sincero. E ti dico nuovamente, non lasciarti vincere dal male ma trionfa piuttosto sul male con il bene.”
(1739.1) 156:5.6 Gli apostoli e gli evangelisti continuarono a porre delle domande fino a tarda notte, e dalle numerose risposte vorremmo presentare i seguenti pensieri, riesposti in linguaggio moderno:
(1739.2) 156:5.7 Una forte ambizione, un giudizio intelligente ed una saggezza matura sono i fattori essenziali del successo materiale. La capacità di comando dipende dall’attitudine naturale, dalla discrezione, dalla forza di volontà e dalla determinazione. Il destino spirituale dipende dalla fede, dall’amore e dalla devozione alla verità — dalla fame e dalla sete di rettitudine — dal desiderio profondo di trovare Dio e di essere simile a lui.
(1739.3) 156:5.8 Non scoraggiatevi per la scoperta che siete umani. La natura umana può tendere verso il male, ma non è per natura empia. Non abbattetevi se non riuscite a dimenticare totalmente qualcuna delle vostre esperienze spiacevoli. Gli errori che non riuscite a dimenticare nel tempo saranno dimenticati nell’eternità. Alleggerite i fardelli della vostra anima acquisendo rapidamente una visione lungimirante del vostro destino, un’espansione universale della vostra carriera.
(1739.4) 156:5.9 Non commettete l’errore di stimare il valore di un’anima dalle imperfezioni della mente o dagli appetiti del corpo. Non giudicate l’anima né valutate il suo destino sulla base di un solo episodio umano sfortunato. Il vostro destino spirituale è condizionato soltanto dalle vostre aspirazioni e dai vostri propositi spirituali.
(1739.5) 156:5.10 La religione è l’esperienza esclusivamente spirituale dell’anima immortale in evoluzione dell’uomo che conosce Dio, ma il potere morale e l’energia spirituale sono delle forze potenti che possono essere utilizzate per trattare situazioni sociali difficili e per risolvere problemi economici complessi. Queste doti morali e spirituali rendono tutti i livelli della vita umana più ricchi e più pieni di significato.
(1739.6) 156:5.11 Voi siete destinati a vivere una vita meschina e mediocre se imparate ad amare soltanto coloro che amano voi. L’amore umano può essere in verità reciproco, ma l’amore divino è espansivo in tutte le sue ricerche di appagamento. Meno amore c’è nella natura di una creatura, più grande è il bisogno d’amore, e più l’amore divino cerca di soddisfare questo bisogno. L’amore non è mai egoista, non può essere donato a se stessi. L’amore divino non può rimanere contenuto in se stesso; deve essere generosamente donato.
(1739.7) 156:5.12 I credenti nel regno dovrebbero possedere una fede implicita, una credenza assoluta, nel trionfo certo della rettitudine. I costruttori del regno devono essere convinti della verità del vangelo della salvezza eterna. I credenti devono imparare sempre più come tenersi lontani dal ritmo frenetico della vita — a fuggire i tormenti dell’esistenza materiale — ristorando l’anima, ispirando la mente e rinnovando lo spirito mediante la comunione nell’adorazione.
(1739.8) 156:5.13 Gli individui che conoscono Dio non sono scoraggiati dalle disgrazie né abbattuti dalle delusioni. I credenti sono immuni dallo scoraggiamento conseguente agli sconvolgimenti puramente materiali; coloro che vivono una vita spirituale non sono turbati dagli episodi del mondo materiale. I candidati alla vita eterna praticano una tecnica vivificante e costruttiva per far fronte a tutte le vicissitudini ed i fastidi della vita mortale. Ogni giorno che un vero credente vive, trova più facile fare la cosa giusta.
(1740.1) 156:5.14 La vita spirituale accresce notevolmente il vero rispetto di sé. Ma il rispetto di sé non è ammirazione di sé. Il rispetto di sé è sempre coordinato con l’amore ed il servizio dei propri simili. Non è possibile rispettare se stessi di più che amare il proprio prossimo; l’uno è la misura della capacità dell’altro.
(1740.2) 156:5.15 Con il passare del tempo ogni vero credente diviene più abile nell’attrarre i suoi simili nell’amore della verità eterna. Siete più intraprendenti nel rivelare la bontà all’umanità oggi di quanto lo eravate ieri? Raccomandate meglio la rettitudine quest’anno rispetto all’anno scorso? State divenendo sempre più esperti nella vostra tecnica per condurre le anime affamate nel regno spirituale?
(1740.3) 156:5.16 I vostri ideali sono sufficientemente elevati da assicurare la vostra salvezza eterna e le vostre idee sono così pratiche da fare di voi un cittadino capace di funzionare sulla terra in associazione con i suoi simili mortali? In spirito la vostra cittadinanza è nei cieli; nella carne voi siete ancora cittadini dei regni terreni. Rendete ai Cesari le cose che sono materiali e a Dio quelle che sono spirituali.
(1740.4) 156:5.17 La misura della capacità spirituale dell’anima in evoluzione è la vostra fede nella verità e il vostro amore per gli uomini, ma la misura della vostra forza di carattere umana è la vostra abilità a resistere al mantenimento di rancori e la vostra capacità di opporvi allo scoraggiamento di fronte ad un profondo dispiacere. La sconfitta è il vero specchio nel quale potete esaminare sinceramente il vostro essere reale.
(1740.5) 156:5.18 Via via che divenite più vecchi e più esperti negli affari del regno, voi acquisirete più tatto nei rapporti con importuni mortali e più tolleranza nel vivere con testardi associati? Il tatto è il fulcro della leva sociale e la tolleranza è il marchio di un’anima grande. Se possedete questi doni rari ed affascinanti, con il passare dei giorni voi diverrete più accorti ed abili nei vostri sforzi meritevoli per evitare ogni malinteso sociale inutile. Tali anime sagge sono capaci di evitare molte delle difficoltà che sono certamente proprie di tutti coloro che soffrono della mancanza di adattamento emozionale, di coloro che rifiutano di crescere e di coloro che non accettano d’invecchiare con garbo.
(1740.6) 156:5.19 Evitate la disonestà e l’ingiustizia in tutti i vostri sforzi per predicare la verità e per proclamare il vangelo. Non cercate una riconoscenza ingiustificata e non sollecitate una simpatia immeritata. Amate, ricevete generosamente da fonti sia divine che umane indipendentemente dai vostri meriti, ed amate generosamente in contraccambio. Ma in tutte le altre cose concernenti l’onore e l’adulazione, cercate soltanto ciò che onestamente vi è dovuto.
(1740.7) 156:5.20 Il mortale che ha coscienza di Dio è certo della salvezza; egli non teme la vita; è onesto e coerente. Egli sa come sopportare coraggiosamente le inevitabili sofferenze; non si lamenta quando deve affrontare avversità ineluttabili.
(1740.8) 156:5.21 Il vero credente non si stanca di fare del bene solo perché è contrastato. La difficoltà stimola l’ardore di colui che ama la verità, e gli ostacoli non fanno che sfidare l’impegno dell’intrepido costruttore del regno.
(1740.9) 156:5.22 E Gesù insegnò loro molte altre cose prima che si preparassero a partire da Tiro.
(1740.10) 156:5.23 Il giorno prima di lasciare Tiro per ritornare nella regione del Mare di Galilea, Gesù riunì i suoi associati e ordinò ai dodici evangelisti di ritornare per una strada diversa da quella che avrebbero preso lui e i dodici apostoli. E dopo che gli evangelisti ebbero lasciato Gesù, non furono mai più così intimamente associati a lui.
(1741.1) 156:6.1 Verso mezzogiorno di domenica 24 luglio, Gesù e i dodici lasciarono la casa di Giuseppe a sud di Tiro, scendendo lungo la costa fino a Tolemaide. Qui si fermarono per un giorno, rivolgendo parole di conforto al gruppo di credenti che vi risiedeva. Pietro predicò loro la sera del 25 luglio.
(1741.2) 156:6.2 Martedì essi lasciarono Tolemaide, andando ad est verso l’interno vicino a Jotapata per la strada di Tiberiade. Mercoledì si fermarono a Jotapata ed istruirono ancora i credenti sulle cose del regno. Giovedì essi lasciarono Jotapata, andando a nord seguendo la pista Nazaret-Monte Libano, fino al villaggio di Zabulon, passando per Rama. Ebbero degli incontri a Rama il venerdì e vi rimasero fino a dopo il sabato. Raggiunsero Zabulon domenica 31, tenendo un incontro quella sera e ripartendo l’indomani mattina.
(1741.3) 156:6.3 Lasciato Zabulon, essi proseguirono fino alla congiunzione con la strada Magdala-Sidone, vicino a Giscala, e da là si recarono a Gennezaret sulla riva occidentale del lago di Galilea, a sud di Cafarnao, dove erano d’accordo d’incontrarsi con Davide Zebedeo e dove intendevano tenere consiglio sul come muoversi in futuro nel lavoro di predicazione del vangelo del regno.
(1741.4) 156:6.4 Durante un breve incontro con Davide essi seppero che molti dirigenti si trovavano allora riuniti sulla riva opposta del lago vicino a Keresa, e di conseguenza quella sera stessa presero un battello per la traversata. Per un giorno essi si riposarono tranquillamente sulle colline, e il giorno successivo si recarono nel parco vicino, dove il Maestro aveva in precedenza nutrito i cinquemila. Qui si riposarono per tre giorni tenendo delle riunioni quotidiane, che erano seguite da una cinquantina di uomini e di donne, i resti del numeroso gruppo di credenti di un tempo residenti a Cafarnao e nei dintorni.
(1741.5) 156:6.5 Mentre Gesù era assente da Cafarnao e dalla Galilea, nel periodo del suo soggiorno in Fenicia, i suoi nemici pensarono che l’intero movimento fosse stato sciolto, e conclusero che la fretta di Gesù nell’allontanarsi indicasse che era talmente impaurito che non sarebbe probabilmente mai più tornato ad infastidirli. Ogni opposizione attiva ai suoi insegnamenti si era quasi placata. I credenti ricominciavano a tenere incontri pubblici, e si stava verificando un graduale ma efficace consolidamento dei superstiti fidati e sinceri del grande vaglio attraverso il quale i credenti nel vangelo erano appena passati.
(1741.6) 156:6.6 Filippo, il fratello di Erode, era divenuto un tiepido credente in Gesù e fece sapere che il Maestro era libero di vivere e di lavorare nei suoi domini.
(1741.7) 156:6.7 L’ordine di chiudere le sinagoghe di tutto il mondo ebraico agli insegnamenti di Gesù e dei suoi discepoli aveva operato sfavorevolmente nei confronti degli Scribi e dei Farisei. Immediatamente dopo che Gesù si fu ritirato come oggetto di controversia, si produsse una reazione in tutto il popolo ebraico; vi fu un risentimento generale contro i Farisei e i dirigenti del Sinedrio di Gerusalemme. Molti capi delle sinagoghe cominciarono ad aprire clandestinamente le loro sinagoghe ad Abner e ai suoi associati, affermando che questi insegnanti erano seguaci di Giovanni e non discepoli di Gesù.
(1741.8) 156:6.8 Anche Erode Antipa subì un cambiamento nel suo cuore, e quando seppe che Gesù soggiornava dall’altra parte del lago nel territorio di suo fratello Filippo, gli fece sapere che, sebbene egli avesse firmato i mandati per il suo arresto in Galilea, non aveva autorizzato la sua cattura in Perea, indicando così che Gesù non sarebbe stato molestato se fosse rimasto fuori della Galilea; e comunicò questo stesso ordine agli Ebrei di Gerusalemme.
(1742.1) 156:6.9 Questa era la situazione il primo di agosto dell’anno 29 d.C., quando il Maestro ritornò dalla missione in Fenicia ed iniziò la riorganizzazione delle sue forze disperse, provate e ridotte per questo ultimo e memorabile anno della sua missione sulla terra.
(1742.2) 156:6.10 I termini della battaglia sono chiaramente delineati quando il Maestro e i suoi associati si preparano ad iniziare la proclamazione di una nuova religione, la religione dello spirito del Dio vivente che risiede nella mente degli uomini.
(1743.1) 157:0.1 PRIMA di condurre i dodici per un breve soggiorno nelle vicinanze di Cesarea di Filippo, Gesù aveva convenuto, tramite i messaggeri di Davide, che avrebbe attraversato il lago per andare a Cafarnao domenica 7 agosto allo scopo d’incontrare la sua famiglia. Secondo gli accordi questa visita doveva avvenire al cantiere navale di Zebedeo. Davide Zebedeo si era accordato con Giuda, fratello di Gesù, per la presenza di tutta la famiglia di Nazaret — Maria e tutti i fratelli e le sorelle di Gesù — e Gesù andò a questo appuntamento con Andrea e Pietro. Era certamente intenzione di Maria e dei suoi figli mantenere questo impegno, ma avvenne che un gruppo di Farisei, sapendo che Gesù era sulla sponda opposta del lago nei domini di Filippo, decise d’interrogare Maria per sapere quanto possibile sul luogo in cui si trovava. L’arrivo di questi emissari di Gerusalemme turbò grandemente Maria; notando la tensione ed il nervosismo di tutta la famiglia essi conclusero che Gesù era atteso per far loro visita. Di conseguenza essi s’installarono nella casa di Maria e, dopo aver chiamato dei rinforzi, aspettarono pazientemente l’arrivo di Gesù. E ciò, naturalmente, impedì efficacemente a chiunque della famiglia di tentare di andare all’appuntamento con Gesù. Durante il giorno Giuda e Rut cercarono parecchie volte di eludere la sorveglianza dei Farisei per avvertire Gesù, ma fu inutile.
(1743.2) 157:0.2 Nel primo pomeriggio i messaggeri di Davide fecero sapere a Gesù che i Farisei erano accampati davanti all’entrata della casa di sua madre, ed egli non fece quindi alcun tentativo per far visita alla sua famiglia. E così di nuovo, senza colpa di nessuno di loro, Gesù e la sua famiglia terrena non riuscirono a prendere contatto.
(1743.3) 157:1.1 Mentre Gesù, con Andrea e Pietro, sostava in riva al lago presso il cantiere navale, un esattore delle tasse del tempio si avvicinò a loro e, riconosciuto Gesù, chiamò Pietro da parte e disse: “Il tuo Maestro non paga la tassa del tempio?” Pietro era incline ad indignarsi all’idea che si pretendesse che Gesù contribuisse al mantenimento delle attività religiose dei suoi nemici giurati, ma notando un’espressione particolare sul viso dell’esattore, egli sospettò giustamente che cercasse di prenderli in trappola sul fatto di rifiutare di pagare il consueto mezzo siclo per il sostegno dei servizi del tempio di Gerusalemme. Di conseguenza Pietro replicò: “Ma certo, il Maestro paga la tassa del tempio. Aspetta alla porta e ritornerò subito con la tassa.”
(1743.4) 157:1.2 Ora Pietro aveva parlato senza riflettere. Giuda portava i loro fondi, ed era dall’altra parte del lago. Né lui, né suo fratello, né Gesù avevano portato del denaro. E sapendo che i Farisei li cercavano, era loro difficile andare a Betsaida per ottenere il denaro. Quando Pietro raccontò a Gesù dell’esattore e disse che gli aveva promesso il denaro, Gesù disse: “Se hai promesso, allora dovresti pagare. Ma con che cosa manterrai la tua promessa? Farai ancora il pescatore per onorare la tua parola? Tuttavia, Pietro, è bene in questa circostanza che noi paghiamo la tassa. Non offriamo a questi uomini l’occasione di offendersi per il nostro comportamento. Noi aspetteremo qui mentre tu vai con il battello a prendere del pesce, e quando l’avrai venduto laggiù al mercato, paga l’esattore per tutti noi tre.”
(1744.1) 157:1.3 Tutto ciò era stato udito dal messaggero segreto di Davide che stava nelle vicinanze, e che fece segno ad un compagno, che pescava vicino alla riva, di accostare subito. Quando Pietro fu pronto ad uscire con il battello per pescare, questo messaggero ed il suo amico pescatore si presentarono a lui con parecchi grandi cesti di pesce e lo aiutarono a portarli dal vicino mercante di pesce, il quale lo acquistò pagandolo ad un prezzo che, con quanto aggiunto dal messaggero di Davide, bastò a pagare la tassa del tempio per i tre. L’esattore accettò la tassa, rinunciando all’ammenda per ritardato pagamento, perché essi erano stati assenti dalla Galilea per un certo tempo.
(1744.2) 157:1.4 Non c’è da meravigliarsi che voi abbiate un racconto di Pietro che pesca un pesce con un siclo in bocca. In quel tempo circolavano molte storie sul ritrovamento di tesori nella bocca di pesci; e queste storie quasi miracolose erano cosa ordinaria. Così, quando Pietro li lasciò per andare verso il battello, Gesù osservò con una punta di umorismo: “Strano che i figli del re debbano pagare il tributo; di solito è lo straniero che è tassato per il mantenimento della corte, ma non ci conviene ostacolare le autorità. Vai! Forse prenderai il pesce con il siclo in bocca.” Avendo Gesù parlato in questo modo, ed essendo Pietro apparso così rapidamente con la tassa del tempio, non c’è da sorprendersi che l’episodio sia stato successivamente ampliato in un miracolo, come riportato dallo scrittore del Vangelo di Matteo.
(1744.3) 157:1.5 Gesù, con Andrea e Pietro, attese sulla riva fino al tramonto. Alcuni messaggeri li informarono che la casa di Maria era ancora sotto sorveglianza; perciò, quando si fece buio, i tre uomini in attesa salirono sul loro battello e remarono lentamente verso la costa orientale del Mare di Galilea.
(1744.4) 157:2.1 Lunedì 8 agosto, mentre Gesù e i dodici apostoli erano accampati nel Parco di Magadan, vicino a Betsaida-Giulia, più di cento credenti, gli evangelisti, il corpo delle donne ed altre persone interessate all’instaurazione del regno, vennero da Cafarnao per una riunione. E molti Farisei, sentendo che Gesù era là, vennero anch’essi. In questo periodo alcuni Sadducei si erano uniti ai Farisei nel loro sforzo di prendere in trappola Gesù. Prima di andare alla riunione ristretta con i credenti, Gesù tenne un incontro pubblico al quale assisterono i Farisei, ed essi provocarono il Maestro con domande imbarazzanti e cercarono in altre maniere di disturbare l’assemblea. Il capo dei disturbatori disse: “Maestro, noi vorremmo che tu ci dessi un segno della tua autorità ad insegnare, ed allora, quando questo si produrrà, tutti gli uomini sapranno che sei stato mandato da Dio.” Gesù rispose loro: “Quando è sera voi dite che farà bel tempo perché il cielo è rosso; al mattino dite che farà brutto tempo perché il cielo è rosso e le nuvole sono basse. Quando vedete una nuvola alzarsi ad ovest dite che pioverà; quando il vento soffia da sud dite che farà un caldo torrido. Com’è che sapete così bene come discernere l’aspetto del cielo e siete così totalmente incapaci di discernere i segni dei tempi? A coloro che vorrebbero conoscere la verità, un segno è già stato dato; ma ad una generazione ipocrita e maliziosa nessun segno sarà dato.”
(1745.1) 157:2.2 Dopo aver parlato così Gesù si ritirò e si preparò per la riunione della sera con i suoi discepoli. In questa riunione fu deciso d’intraprendere insieme un giro in tutte le città e villaggi della Decapoli non appena Gesù e i dodici fossero tornati dalla loro progettata visita a Cesarea di Filippo. Il Maestro partecipò all’elaborazione del piano per la missione nella Decapoli e, congedando la compagnia, disse: “Io vi dico, attenti al fermento dei Farisei e dei Sadducei. Non lasciatevi ingannare dalla loro dimostrazione di grande erudizione e dalla loro profonda lealtà alle forme della religione. Interessatevi soltanto dello spirito della verità vivente e del potere della vera religione. Non è il timore di una religione morta che vi salverà, ma piuttosto la vostra fede in un’esperienza vivente delle realtà spirituali del regno. Non lasciatevi accecare dal pregiudizio e paralizzare dalla paura. Né permettete al rispetto per le tradizioni di pervertire la vostra intelligenza al punto che i vostri occhi non vedano e le vostre orecchie non sentano. Il proposito della vera religione non è solamente di portare la pace, ma piuttosto di assicurare il progresso. E non ci può essere pace nel cuore o progresso nella mente se non v’innamorate sinceramente della verità, degli ideali delle realtà eterne. I temi della vita e della morte si pongono dinanzi a voi — i piaceri peccaminosi del tempo contro le giuste realtà dell’eternità. Voi dovreste cominciare fin d’ora a liberarvi dalla schiavitù della paura e del dubbio per entrare nella nuova vita di fede e di speranza. E quando nascono i sentimenti di servizio verso il vostro prossimo nella vostra anima, non soffocateli; quando sorgono le emozioni dell’amore per il vostro prossimo nel vostro cuore, date espressione a queste spinte d’affetto nel ministero intelligente verso i bisogni reali dei vostri simili.”
(1745.2) 157:3.1 Martedì mattina presto Gesù e i dodici apostoli lasciarono il Parco di Magadan per Cesarea di Filippo, la capitale del dominio del Tetrarca Filippo. Cesarea di Filippo era situata in una regione di meravigliosa bellezza. Essa era annidata in una valle incantevole tra colline pittoresche dove il Giordano sgorga da una caverna sotterranea. A nord si vedevano bene le cime del Monte Hermon, mentre dalle colline poste a sud si aveva una vista magnifica del corso superiore del Giordano e del Mare di Galilea.
(1745.3) 157:3.2 Gesù era andato sul Monte Hermon nella sua prima esperienza con gli affari del regno, ed ora che stava entrando nella fase finale della sua opera egli desiderava ritornare su questo monte di prova e di trionfo, dove sperava che gli apostoli potessero ottenere una nuova visione delle loro responsabilità ed acquisire nuova forza per i momenti difficili imminenti. Mentre camminavano lungo la strada, nel momento in cui passavano a sud delle Acque di Merom, gli apostoli si misero a parlare tra loro delle recenti esperienze in Fenicia e altrove, e a raccontare come il loro messaggio era stato accolto e come le differenti popolazioni consideravano il loro Maestro.
(1745.4) 157:3.3 Quando si fermarono per il pranzo, Gesù affrontò improvvisamente i dodici con la prima domanda che avesse mai rivolto loro riguardo a se stesso. Egli pose questa sorprendente domanda: “La gente chi dice che io sia?”
(1746.1) 157:3.4 Gesù aveva trascorso lunghi mesi ad istruire questi apostoli sulla natura e sul carattere del regno dei cieli, e sapeva bene che era giunto il momento in cui egli doveva cominciare ad insegnare loro di più sulla sua natura e sulla sua relazione personale con il regno. Ed ora, mentre erano seduti sotto i gelsi, il Maestro si preparò a tenere una delle sessioni più memorabili della sua lunga associazione con gli apostoli scelti.
(1746.2) 157:3.5 Più della metà degli apostoli partecipò nel rispondere alla domanda di Gesù. Essi gli dissero che egli era considerato un profeta o un uomo straordinario da tutti coloro che lo conoscevano; che anche i suoi nemici lo temevano molto e spiegavano i suoi poteri con l’accusa di essere in lega con il principe dei demoni. Gli dissero che alcuni abitanti della Giudea e della Samaria, che non lo avevano incontrato personalmente, credevano che egli fosse Giovanni il Battista risuscitato dalla morte. Pietro spiegò che egli era stato, in varie occasioni e da persone diverse, paragonato a Mosè, ad Elia, ad Isaia e a Geremia. Dopo aver ascoltato questo resoconto, Gesù si alzò in piedi, e guardando i dodici seduti in semicerchio attorno a lui, con sorprendente enfasi li additò con un ampio gesto della mano e chiese: “Ma voi, chi dite che io sia?” Ci fu un momento di silenzio carico di tensione. I dodici non staccavano gli occhi dal loro Maestro, ed allora Simon Pietro, balzando in piedi, esclamò: “Tu sei il Liberatore, il Figlio del Dio vivente.” E gli undici apostoli seduti si alzarono simultaneamente in piedi per indicare con questo gesto che Pietro aveva parlato per tutti loro.
(1746.3) 157:3.6 Dopo averli invitati a sedersi di nuovo, e mentre stava ancora in piedi davanti a loro, Gesù disse: “Ciò vi è stato rivelato da mio Padre. È giunta l’ora in cui dovreste conoscere la verità su di me. Ma per il momento vi ordino di non parlare di questo a nessuno. Andiamo via da qui.”
(1746.4) 157:3.7 E così essi ripresero il loro viaggio verso Cesarea di Filippo, dove arrivarono quella sera tardi e si fermarono a casa di Celso, che li stava aspettando. Gli apostoli dormirono poco quella notte; essi avevano la sensazione che un grande avvenimento stesse per accadere nella loro vita e nell’opera del regno.
(1746.5) 157:4.1 Dopo gli avvenimenti del battesimo di Gesù da parte di Giovanni e la trasformazione dell’acqua in vino a Cana, gli apostoli lo avevano, in momenti diversi, virtualmente accettato come il Messia. Per brevi periodi alcuni di loro avevano veramente creduto che egli fosse il Liberatore atteso. Ma appena tali speranze sorgevano nel loro cuore il Maestro le mandava in frantumi con qualche parola che le spegneva o con qualche atto che li deludeva. Essi erano stati a lungo in uno stato di agitazione dovuto al conflitto tra i concetti del Messia atteso che avevano nella loro mente e l’esperienza della loro associazione straordinaria con quest’uomo eccezionale che avevano nel loro cuore.
(1746.6) 157:4.2 Fu nella tarda mattinata di questo mercoledì che gli apostoli si riunirono nel giardino di Celso per il pasto di mezzogiorno. Per la maggior parte della notte, e dopo che si erano alzati quella mattina, Simon Pietro e Simone Zelota avevano seriamente discusso con i loro fratelli per portarli tutti ad accettare apertamente il Maestro, non soltanto come il Messia, ma anche come il Figlio divino del Dio vivente. I due Simone erano quasi d’accordo nella loro valutazione su Gesù e si adoperarono con impegno per portare i loro fratelli alla piena accettazione del loro punto di vista. Benché Andrea restasse il direttore generale del corpo apostolico, suo fratello Simon Pietro stava diventando sempre di più, per comune consenso, il portavoce dei dodici.
(1747.1) 157:4.3 Essi erano tutti seduti nel giardino a mezzogiorno quando apparve il Maestro. Essi avevano espressioni di nobile solennità, e si alzarono tutti in piedi al suo approssimarsi. Gesù alleviò la tensione con quel sorriso amichevole e fraterno che gli era così caratteristico quando i suoi discepoli prendevano se stessi, o qualche avvenimento che li riguardava, troppo sul serio. Con un gesto di comando fece segno che si sedessero. I dodici non accolsero mai più il loro Maestro alzandosi quando veniva in loro presenza. Essi capirono che non approvava un tale segno esteriore di rispetto.
(1747.2) 157:4.4 Dopo che ebbero spartito il pasto e si furono messi a discutere i piani per l’imminente giro nella Decapoli, Gesù li guardò improvvisamente in viso e disse: “Ora che è trascorso un giorno intero da quando avete approvato la dichiarazione di Simon Pietro sull’identità del Figlio dell’Uomo, vorrei chiedervi se mantenete ancora la vostra decisione.” Sentendo questo, i dodici si alzarono in piedi, e Simon Pietro, avanzando di qualche passo verso Gesù, disse: “Sì, Maestro, la manteniamo. Noi crediamo che tu sei il Figlio del Dio vivente.” E Pietro si sedette con i suoi fratelli.
(1747.3) 157:4.5 Gesù, rimasto in piedi, disse allora ai dodici: “Voi siete i miei ambasciatori scelti, ma io so che in simili circostanze non potreste avere questa credenza come risultato di una semplice conoscenza umana. Questa è una rivelazione dello spirito di mio Padre al più profondo delle vostre anime. Se fate quindi questa confessione grazie alla percezione dello spirito di mio Padre che risiede in voi, sono portato a dichiarare che su queste fondamenta io edificherò la fraternità del regno dei cieli. Su questa roccia di realtà spirituale costruirò il tempio vivente della comunità spirituale nelle realtà eterne del regno di mio Padre. Tutte le forze del male e gli eserciti del peccato non prevarranno contro questa fraternità umana dello spirito divino. E mentre lo spirito di mio Padre sarà sempre la guida ed il mentore divino di tutti coloro che s’impegnano a far parte di questa comunità spirituale, a voi e ai vostri successori io rimetto ora le chiavi del regno esteriore — l’autorità sulle cose temporali — sugli aspetti sociali ed economici di questa associazione di uomini e di donne in quanto membri del regno.” E di nuovo raccomandò loro di non dire a nessuno, per il momento, che egli era il Figlio di Dio.
(1747.4) 157:4.6 Gesù stava cominciando ad avere fiducia nella lealtà ed integrità dei suoi apostoli. Il Maestro pensò che una fede che poteva resistere a quanto i suoi rappresentanti scelti avevano recentemente passato, avrebbe potuto indubbiamente sopportare le dure prove che li aspettavano ed emergere dall’apparente naufragio di tutte le loro speranze nella nuova luce di una nuova dispensazione ed essere così in grado di manifestarsi per illuminare un mondo immerso nelle tenebre. In questo giorno il Maestro cominciò a credere alla fede dei suoi apostoli, salvo uno.
(1747.5) 157:4.7 A partire da quel giorno questo stesso Gesù ha sempre continuato a costruire quel tempio vivente su quelle stesse fondamenta eterne della sua filiazione divina, e coloro che diventano così figli autocoscienti di Dio sono le pietre umane che costituiscono questo tempio vivente di filiazione, che si eleva a gloria ed onore della saggezza e dell’amore del Padre eterno degli spiriti.
(1747.6) 157:4.8 E dopo che Gesù ebbe parlato così, ordinò ai dodici di andare per conto loro sulle colline per cercare saggezza, forza e guida spirituale fino all’ora del pasto della sera. Ed essi fecero come il Maestro li aveva esortati a fare.
(1748.1) 157:5.1 L’aspetto nuovo e vitale della confessione di Pietro fu il riconoscimento molto preciso che Gesù era il Figlio di Dio, della sua indiscutibile divinità. A partire dal suo battesimo e dalle nozze di Cana questi apostoli l’avevano variamente considerato come il Messia, ma non faceva parte del concetto ebraico del liberatore nazionale che questi dovesse essere divino. Gli Ebrei non avevano insegnato che il Messia avrebbe avuto origine dalla divinità; egli sarebbe stato “l’unto”, ma non l’avevano considerato come “il Figlio di Dio”. Nella seconda confessione fu posta maggiore enfasi sulla natura congiunta, sul superno fatto che egli era il Figlio dell’Uomo e il Figlio di Dio, e fu su questa grande verità dell’unione della natura umana con la natura divina che Gesù dichiarò che avrebbe costruito il regno dei cieli.
(1748.2) 157:5.2 Gesù aveva cercato di vivere la sua vita sulla terra e di portare a termine la sua missione di conferimento come Figlio dell’Uomo. I suoi discepoli erano inclini a considerarlo come il Messia atteso. Sapendo che non avrebbe mai potuto realizzare le loro aspettative messianiche, egli si sforzò di modificare il loro concetto del Messia in modo da poter corrispondere parzialmente alle loro aspettative. Ma egli riconobbe ora che un tale piano avrebbe avuto difficilmente successo. Decise quindi audacemente di rivelare il suo terzo piano — di annunciare apertamente la sua divinità, di riconoscere la veridicità della confessione di Pietro e di proclamare direttamente ai dodici che egli era un Figlio di Dio.
(1748.3) 157:5.3 Per tre anni Gesù aveva proclamato che egli era il “Figlio dell’Uomo”, mentre per questi stessi tre anni gli apostoli avevano insistito sempre più sul fatto che egli era il Messia ebreo atteso. Egli rivelò ora che era il Figlio di Dio, e sul concetto della natura congiunta del Figlio dell’Uomo e del Figlio di Dio determinò di costruire il regno dei cieli. Egli aveva deciso di non sforzarsi ulteriormente per convincerli che non era il Messia. Ora si propose audacemente di rivelare loro quello che è, e di ignorare poi la loro determinazione di persistere a considerarlo il Messia.
(1748.4) 157:6.1 Gesù e gli apostoli rimasero un altro giorno a casa di Celso, aspettando che dei messaggeri arrivassero da Davide Zebedeo con del denaro. A seguito del crollo della popolarità di Gesù presso le masse ne derivò una considerevole diminuzione di entrate. Quando giunsero a Cesarea di Filippo la cassa era vuota. Matteo era restio a lasciare Gesù e i suoi fratelli in un momento simile, e non aveva fondi propri disponibili da dare a Giuda come aveva fatto molte volte in passato. Tuttavia, Davide Zebedeo aveva previsto questa probabile diminuzione d’introiti e di conseguenza aveva dato istruzioni ai suoi messaggeri che, nell’attraversare la Giudea, la Samaria e la Galilea, raccogliessero del denaro da inviare agli apostoli esiliati e al loro Maestro. E così, la sera dello stesso giorno, questi messaggeri arrivarono da Betsaida portando fondi sufficienti a mantenere gli apostoli fino al loro ritorno per iniziare il giro della Decapoli. In quel tempo Matteo era in attesa d’incassare del denaro dalla vendita della sua ultima parte di proprietà di Cafarnao, ed aveva concordato che questi fondi fossero rimessi a Giuda in forma anonima.
(1749.1) 157:6.2 Né Pietro né gli altri apostoli avevano un concetto molto adeguato della divinità di Gesù. Essi si rendevano appena conto che questo era l’inizio di una nuova epoca nella carriera terrena del loro Maestro, il momento in cui il maestro-guaritore stava per diventare il Messia di nuova concezione — il Figlio di Dio. Da questo momento in poi apparve un nuovo tono nei messaggi del Maestro. D’ora innanzi il suo unico ideale di vita fu la rivelazione del Padre, mentre la sola idea del suo insegnamento fu di presentare al suo universo la personificazione di quella saggezza suprema che può essere compresa soltanto vivendola. Egli era venuto perché noi tutti potessimo avere la vita ed averla più abbondantemente.
(1749.2) 157:6.3 Gesù entrava ora nel quarto ed ultimo stadio della sua vita umana nella carne. Il primo stadio fu quello della sua infanzia, degli anni in cui egli era solo debolmente cosciente della sua origine, della sua natura e del suo destino come essere umano. Il secondo stadio furono gli anni di crescente autocoscienza della sua giovinezza e della sua prima età virile, durante i quali giunse a comprendere più chiaramente la sua natura divina e la sua missione umana. Questo secondo stadio finì con le esperienze e le rivelazioni associate al suo battesimo. Il terzo stadio dell’esperienza terrena del Maestro si estese dal battesimo, attraverso gli anni del suo ministero come insegnante e guaritore, fino al memorabile momento della confessione di Pietro a Cesarea di Filippo. Questo terzo periodo della sua vita terrena abbracciò i tempi in cui i suoi apostoli e i suoi discepoli immediati lo conobbero come il Figlio dell’Uomo e lo considerarono come il Messia. Il quarto ed ultimo periodo della sua carriera terrena iniziò qui a Cesarea di Filippo e si estese fino alla crocifissione. Questo stadio del suo ministero fu caratterizzato dal suo riconoscimento della divinità ed incluse i lavori del suo ultimo anno nella carne. Durante il quarto periodo, mentre la maggior parte dei suoi discepoli lo considerava ancora come il Messia, egli fu conosciuto dagli apostoli come il Figlio di Dio. La confessione di Pietro segnò l’inizio del nuovo periodo di più completa realizzazione della verità del suo ministero supremo quale Figlio di conferimento su Urantia e per un universo intero, ed il riconoscimento di quel fatto, almeno in modo vago, da parte dei suoi ambasciatori scelti.
(1749.3) 157:6.4 In tal modo Gesù diede l’esempio nella sua vita di ciò che insegnò nella sua religione: la crescita della natura spirituale per mezzo della tecnica del progresso vivente. Egli non mise l’accento, come fecero i suoi seguaci più tardi, sulla lotta incessante tra l’anima ed il corpo. Egli insegnò piuttosto che lo spirito era facile vincitore di entrambi ed era efficace nella proficua riconciliazione di molti di questi conflitti intellettuali ed istintivi.
(1749.4) 157:6.5 Da allora in poi fu attribuito un nuovo significato a tutti gli insegnamenti di Gesù. Prima di Cesarea di Filippo egli presentava il vangelo del regno in qualità di suo insegnante maestro. Dopo Cesarea di Filippo egli apparve non solo come un maestro, ma anche come il rappresentante divino del Padre eterno, che è il centro e la circonferenza di questo regno spirituale; e bisognava che egli facesse tutto questo come essere umano, come Figlio dell’Uomo.
(1749.5) 157:6.6 Gesù si era sinceramente sforzato di condurre i suoi discepoli nel regno spirituale prima come maestro, poi come istruttore-guaritore, ma essi non vollero ciò. Egli sapeva bene che la sua missione terrena non poteva realizzare le aspettative messianiche del popolo ebreo; i profeti di un tempo avevano descritto un Messia che egli non avrebbe mai potuto essere. Egli cercava d’instaurare il regno del Padre come Figlio dell’Uomo, ma i suoi discepoli non vollero lanciarsi in questa avventura. Vedendo ciò, Gesù scelse allora di venire incontro ai suoi credenti per un tratto di strada, e così facendo si preparò apertamente ad assumere il ruolo di Figlio di Dio di conferimento.
(1750.1) 157:6.7 Di conseguenza gli apostoli ascoltarono molte cose nuove quando Gesù parlò loro questo giorno nel giardino. E alcune di queste affermazioni apparvero strane anche a loro. Tra altre sorprendenti dichiarazioni essi sentirono le seguenti:
(1750.2) 157:6.8 “D’ora innanzi, se un uomo vuole entrare nella nostra comunità, che assuma gli obblighi della filiazione e mi segua. E quando non sarò più con voi, non pensate che il mondo vi tratterà meglio di come ha trattato il vostro Maestro. Se mi amate preparatevi a provare questo affetto accettando di fare il sacrificio supremo.”
(1750.3) 157:6.9 “E ricordate bene le mie parole: io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. Il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere soccorso, ma per soccorrere e per offrire la sua vita come un dono per tutti. Io vi dichiaro che sono venuto a cercare e a salvare quelli che si sono smarriti.”
(1750.4) 157:6.10 “Nessun uomo in questo mondo vede ora il Padre, salvo il Figlio che è venuto dal Padre. Ma se il Figlio sarà elevato, attirerà tutti gli uomini a sé, e chiunque crede in questa verità della natura congiunta del Figlio sarà dotato di una vita più lunga di quella dell’età.”
(1750.5) 157:6.11 “Noi non possiamo ancora proclamare apertamente che il Figlio dell’Uomo è il Figlio di Dio, ma ciò a voi è stato rivelato; per questo vi parlo chiaramente di questi misteri. Sebbene io stia davanti a voi in questa presenza fisica, sono venuto da Dio il Padre. Prima che Adamo fosse, io sono. Io sono venuto dal Padre in questo mondo quale mi avete conosciuto, e vi dichiaro che devo lasciare presto questo mondo e ritornare al lavoro di mio Padre.”
(1750.6) 157:6.12 “Ed ora la vostra fede può comprendere la verità di queste dichiarazioni di fronte al mio avvertimento che il Figlio dell’Uomo non risponderà alle aspettative dei vostri padri nel modo in cui essi concepivano il Messia? Il mio regno non è di questo mondo. Potete voi credere alla verità su di me di fronte al fatto che, sebbene le volpi abbiano delle tane e gli uccelli del cielo abbiano dei nidi, io non ho dove riposare la mia testa?”
(1750.7) 157:6.13 “Ciononostante io vi dico che il Padre ed io siamo uno. Chiunque ha visto me ha visto il Padre. Mio Padre lavora con me in tutte queste cose e non mi lascerà mai solo nella mia missione, come io non abbandonerò mai voi quando tra poco andrete a proclamare questo vangelo in tutto il mondo.”
(1750.8) 157:6.14 “Ed ora vi ho condotto per un breve periodo in un luogo appartato con me e da soli perché possiate comprendere la gloria, e cogliere la grandezza, della vita alla quale vi ho chiamati: l’avventura di fede dell’instaurazione del regno di mio Padre nel cuore degli uomini, la costruzione della mia comunità d’associazione vivente con le anime di tutti coloro che credono a questo vangelo.”
(1750.9) 157:6.15 Gli apostoli ascoltarono in silenzio queste affermazioni audaci e sorprendenti; essi erano storditi. E si dispersero in piccoli gruppi per discutere e meditare le parole del Maestro. Essi avevano confessato che egli era il Figlio di Dio, ma non riuscivano a cogliere il pieno significato di ciò che erano stati portati a fare.
(1750.10) 157:7.1 Quella sera Andrea s’incaricò di avere una consultazione personale ed approfondita con ciascuno dei suoi fratelli, ed ebbe colloqui proficui ed incoraggianti con tutti i suoi associati, eccetto che con Giuda Iscariota. Andrea non aveva mai avuto con Giuda un’associazione personale così stretta come con gli altri apostoli, e quindi non aveva dato molta importanza al fatto che Giuda non avesse mai avuto relazioni franche e confidenziali con il capo del corpo apostolico. Ma Andrea ora era talmente preoccupato per l’atteggiamento di Giuda che a tarda sera, dopo che tutti gli apostoli si furono profondamente addormentati, andò da Gesù ed espose al Maestro i motivi della sua inquietudine. Gesù disse: “Non è fuori luogo Andrea che tu sia venuto da me con questo argomento, ma non c’è niente che possiamo fare; continua solo a porre piena fiducia in questo apostolo. E non dire niente ai suoi fratelli di questo colloquio con me.”
(1751.1) 157:7.2 Questo fu tutto ciò che Andrea riuscì a tirar fuori da Gesù. C’era sempre stato qualcosa di strano tra questo Giudeo ed i suoi fratelli Galilei. Giuda era rimasto colpito dalla morte di Giovanni il Battista, profondamente offeso dai rimproveri del Maestro in parecchie occasioni, deluso quando Gesù rifiutò di essere proclamato re, umiliato quando questi fuggì davanti ai Farisei, dispiaciuto quando rifiutò di accettare la sfida dei Farisei di dare un segno, sconcertato dal rifiuto del suo Maestro di ricorrere alle manifestazioni di potere, e ora, più recentemente, depresso e talvolta abbattuto per la cassa vuota. E Giuda rimpiangeva lo stimolo delle folle.
(1751.2) 157:7.3 Ognuno degli altri apostoli era, in una certa e varia misura, egualmente colpito da queste stesse prove e tribolazioni, ma essi amavano Gesù. Quantomeno essi devono avere amato il Maestro più di Giuda, perché lo accompagnarono sino all’amara fine.
(1751.3) 157:7.4 Essendo originario della Giudea, Giuda prese come offesa personale il recente avvertimento di Gesù agli apostoli di “guardarsi dal fermento dei Farisei”; egli era propenso a considerare questa affermazione come una velata allusione a lui stesso. Ma il grande errore di Giuda fu il seguente: più volte, quando Gesù mandava i suoi apostoli a pregare da soli, Giuda, invece di entrare in comunione sincera con le forze spirituali dell’universo, indugiava in pensieri di paura umana, persistendo nel mantenere dubbi sottili sulla missione di Gesù e abbandonandosi alla sua infelice tendenza a covare sentimenti di vendetta.
(1751.4) 157:7.5 Ed ora Gesù voleva portare i suoi apostoli con lui sul Monte Hermon, dove aveva deciso d’inaugurare la sua quarta fase di ministero terreno in qualità di Figlio di Dio. Alcuni di loro erano presenti al suo battesimo nel Giordano ed avevano assistito all’inizio della sua carriera come Figlio dell’Uomo; egli desiderava che alcuni di loro fossero pure presenti ad ascoltare la sua autorità per l’assunzione del nuovo ruolo pubblico di Figlio di Dio. Di conseguenza, venerdì mattina 12 agosto, Gesù disse ai dodici: “Fate provviste e preparatevi a partire per quella montagna laggiù, dove lo spirito mi ordina di andare allo scopo di essere dotato per il completamento della mia opera sulla terra. Io vorrei condurvi i miei fratelli perché possano anch’essi essere fortificati in vista dei tempi difficili che dovranno affrontare seguendomi attraverso questa esperienza.”
(1752.1) 158:0.1 ERA quasi il tramonto di venerdì pomeriggio 12 agosto dell’anno 29 d.C. quando Gesù ed i suoi associati giunsero ai piedi del Monte Hermon, vicino allo stesso luogo in cui il giovane Tiglat attese in passato mentre il Maestro saliva sulla montagna da solo per fissare i destini spirituali di Urantia e porre tecnicamente fine alla ribellione di Lucifero. Ed essi rimasero qui per due giorni a prepararsi spiritualmente per gli avvenimenti che sarebbero seguiti di lì a poco.
(1752.2) 158:0.2 In linea generale Gesù sapeva già che cosa sarebbe accaduto sulla montagna, e desiderava molto che tutti i suoi apostoli potessero partecipare a questa esperienza. Fu per prepararli a questa rivelazione di se stesso che si fermò con loro ai piedi della montagna. Ma essi non riuscirono a raggiungere quei livelli spirituali che avrebbero giustificato la loro esposizione all’esperienza completa della visitazione degli esseri celesti che sarebbero presto apparsi sulla terra. E poiché egli non poteva condurre tutti i suoi associati con lui, decise di portare soltanto i tre che erano soliti accompagnarlo in queste veglie speciali. Di conseguenza, solo Pietro, Giacomo e Giovanni condivisero una parte di questa esperienza straordinaria con il Maestro.
(1752.3) 158:1.1 La mattina presto di lunedì 15 agosto Gesù e i tre apostoli cominciarono l’ascesa del Monte Hermon, e ciò avvenne sei giorni dopo la memorabile confessione di Pietro fatta a mezzogiorno sotto i gelsi al margine della strada.
(1752.4) 158:1.2 Gesù era stato invitato a salire sulla montagna, da solo, per regolare importanti questioni concernenti il progresso del suo conferimento nella carne, poiché questa esperienza era collegata con l’universo da lui stesso creato. È significativo che questo avvenimento straordinario sia stato fissato in modo da prodursi mentre Gesù e gli apostoli si trovavano nelle terre dei Gentili, e che si sia effettivamente verificato su una montagna dei Gentili.
(1752.5) 158:1.3 Essi raggiunsero la loro destinazione, a metà strada circa dalla vetta della montagna, poco prima di mezzogiorno, e mentre mangiavano il loro pasto Gesù raccontò ai tre apostoli qualcosa della sua esperienza sulle colline ad est del Giordano poco dopo il suo battesimo, ed anche altre cose della sua esperienza sul Monte Hermon in occasione del suo precedente soggiorno in questo ritiro solitario.
(1752.6) 158:1.4 Quando era giovane, Gesù aveva l’abitudine di salire sulla collina vicina a casa sua e di sognare le battaglie che erano state combattute dalle armate imperiali nella piana di Esdraelon. Ora egli saliva sul Monte Hermon per ricevere la dotazione che lo avrebbe preparato a scendere nelle piane del Giordano per recitare le scene finali del dramma del suo conferimento su Urantia. Il Maestro avrebbe potuto abbandonare la lotta questo giorno sul Monte Hermon e ritornare al suo governo dei domini dell’universo. Tuttavia, egli non solo scelse di soddisfare le esigenze del suo ordine di filiazione divina incluse nel mandato del Figlio Eterno del Paradiso, ma scelse anche di compiere totalmente e sino alla fine la volontà presente di suo Padre del Paradiso. In questo giorno d’agosto tre dei suoi apostoli lo videro rifiutare di essere investito della piena autorità sul suo universo. Essi assisterono con stupore alla partenza dei messaggeri celesti, che lo lasciavano solo perché completasse la sua vita terrena come Figlio dell’Uomo e Figlio di Dio.
(1753.1) 158:1.5 La fede degli apostoli era ad un punto elevato al momento della nutrizione dei cinquemila e poi scese rapidamente quasi a zero. Ora, a seguito dell’ammissione del Maestro della sua divinità, la fede vacillante dei dodici salì nelle settimane successive al suo culmine, solo per subire un progressivo declino. La terza ripresa della loro fede non avvenne che dopo la risurrezione del Maestro.
(1753.2) 158:1.6 Fu verso le tre di questo stupendo pomeriggio che Gesù salutò i tre apostoli dicendo: “Me ne vado da solo per un po’ di tempo per comunicare con il Padre ed i suoi messaggeri; vi chiedo di rimanere qui e, mentre aspettate il mio ritorno, di pregare perché la volontà del Padre possa essere compiuta in tutta la vostra esperienza in connessione con il seguito della missione di conferimento del Figlio dell’Uomo.” E dopo aver detto loro questo, Gesù si allontanò per un lungo incontro con Gabriele ed il Padre Melchizedek, tornando solo verso le sei. Quando Gesù vide la loro ansietà per la sua assenza prolungata, disse: “Perché avete avuto paura? Sapete bene che devo occuparmi degli affari di mio Padre; perché dubitate quando non sono con voi? Io vi dichiaro ora che il Figlio dell’Uomo ha scelto di passare il resto della sua vita in mezzo a voi e come uno di voi. Fatevi coraggio; io non vi lascerò fino a che la mia opera non sarà terminata.”
(1753.3) 158:1.7 Mentre consumavano il loro frugale pasto della sera, Pietro chiese al Maestro: “Quanto resteremo su questa montagna lontano dai nostri fratelli?” E Gesù rispose: “Fino a che vedrete la gloria del Figlio dell’Uomo e saprete che tutto ciò che vi ho dichiarato è vero.” Ed essi parlarono della questione della ribellione di Lucifero mentre sedevano vicino alle braci ardenti del loro fuoco fino al calare delle tenebre e fino a che gli occhi degli apostoli non si fecero pesanti, perché essi avevano cominciato il loro viaggio molto presto quel mattino.
(1753.4) 158:1.8 Dopo che i tre ebbero dormito profondamente per circa mezz’ora, furono improvvisamente svegliati da un crepitante rumore vicino e, con loro grande stupore e costernazione, guardandosi attorno, videro Gesù in intima conversazione con due esseri brillanti rivestiti della luce del mondo celeste. Ed il viso e la forma di Gesù brillavano della luminosità della luce celeste. Questi tre conversavano in una strana lingua, ma da certe cose dette, Pietro congetturò erroneamente che gli esseri con Gesù fossero Mosè ed Elia; in realtà essi erano Gabriele ed il Padre Melchizedek. I controllori fisici avevano provveduto, su richiesta di Gesù, affinché gli apostoli fossero testimoni di questa scena.
(1753.5) 158:1.9 I tre apostoli erano talmente spaventati che ci misero del tempo a riprendersi, ma Pietro, che era stato il primo a riaversi, disse, mentre l’abbagliante visione svaniva davanti a loro ed osservavano Gesù rimasto solo: “Gesù, Maestro, è una bella cosa essere stati qui. Noi ci rallegriamo di vedere questa gloria. Siamo restii a tornare nel mondo inglorioso. Se vuoi restiamo qui, ed innalzeremo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia.” E Pietro disse questo a causa della sua confusione e perché nient’altro gli era venuto in mente in quel momento.
(1753.6) 158:1.10 Mentre Pietro stava ancora parlando, una nuvola argentata si avvicinò e si pose sopra ai quattro. Gli apostoli ora s’impaurirono grandemente, e mentre cadevano faccia a terra in adorazione, udirono una voce, la stessa che aveva parlato in occasione del battesimo di Gesù, che disse: “Questo è mio Figlio prediletto; prestategli ascolto.” E quando la nube svanì, Gesù fu di nuovo solo con i tre, ed egli allungò la mano e li toccò dicendo: “Alzatevi e non temete; voi vedrete cose più grandi di questa.” Ma gli apostoli erano veramente spaventati; essi erano un trio silenzioso e pensieroso quando si prepararono a scendere dalla montagna poco prima di mezzanotte.
(1754.1) 158:2.1 Per quasi metà della discesa dalla montagna non fu pronunciata una sola parola. Gesù aprì allora la conversazione rimarcando: “Badate di non raccontare a nessuno, nemmeno ai vostro fratelli, quello che avete visto e udito su questa montagna fino a che il Figlio dell’Uomo non sia risuscitato dalla morte.” I tre apostoli rimasero stupiti e sconcertati dalle parole del Maestro “fino a che il Figlio dell’Uomo non sia risuscitato dalla morte”. Essi avevano così recentemente riaffermato la loro fede in lui quale Liberatore, il Figlio di Dio, e l’avevano appena visto trasfigurato in gloria davanti ai loro stessi occhi, ed ora egli cominciava a parlare di “risurrezione dalla morte”!
(1754.2) 158:2.2 Pietro rabbrividì al pensiero della morte del Maestro — era un’idea troppo sgradevole — e temendo che Giacomo o Giovanni potessero fare qualche domanda riguardo a questa affermazione, egli pensò bene di avviare una conversazione diversiva, e non sapendo di che cosa parlare, espresse il primo pensiero che gli venne in mente, che fu: “Maestro, perché gli Scribi dicono che Elia deve venire prima che il Messia appaia?” E Gesù, sapendo che Pietro cercava di evitare il riferimento alla sua morte e risurrezione, rispose: “Elia in verità viene prima a preparare la via per il Figlio dell’Uomo, che deve soffrire molto ed infine essere respinto. Ma io vi dico che Elia è già venuto, e che essi non l’hanno accolto, ma gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto.” Ed allora i tre apostoli percepirono che egli si riferiva a Giovanni il Battista in veste di Elia. Gesù sapeva che se essi insistevano nel considerarlo come il Messia, allora bisognava che Giovanni fosse l’Elia della profezia.
(1754.3) 158:2.3 Gesù ingiunse di tacere su quanto essi avevano visto in anticipo della sua gloria dopo la risurrezione perché non voleva alimentare la nozione che, essendo ora accolto come il Messia, egli avrebbe esaudito in qualche grado le loro concezioni errate di un liberatore che opera prodigi. Anche se Pietro, Giacomo e Giovanni ponderarono tutto ciò nella loro mente, non ne parlarono a nessuno fino a dopo la risurrezione del Maestro.
(1754.4) 158:2.4 Mentre continuavano a scendere dalla montagna, Gesù disse loro: “Voi non avete voluto ricevermi come Figlio dell’Uomo; perciò ho consentito ad essere accolto secondo la vostra ferma determinazione, ma non fraintendete, la volontà di mio Padre deve prevalere. Se voi scegliete quindi di seguire l’inclinazione della vostra volontà, dovete prepararvi a patire molte delusioni e a subire molte prove, ma la preparazione che vi ho dato dovrebbe permettervi di superare vittoriosamente anche questi dispiaceri che vi siete voluti.”
(1754.5) 158:2.5 Gesù non condusse Pietro, Giacomo e Giovanni con lui sul monte della trasfigurazione perché fossero in qualche modo meglio preparati degli altri apostoli ad assistere a questo avvenimento, o perché fossero spiritualmente più idonei a beneficiare di un tale raro privilegio. Per nulla. Egli sapeva bene che nessuno dei dodici era spiritualmente qualificato per tale esperienza; per questo condusse con sé soltanto i tre apostoli che avevano l’incarico di accompagnarlo nei momenti in cui egli desiderava essere solo per godere di una comunione solitaria.
(1755.1) 158:3.1 Quello di cui Pietro, Giacomo e Giovanni furono testimoni sul monte della trasfigurazione era uno sguardo fugace di uno spettacolo celeste che si svolse quel giorno memorabile sul Monte Hermon. La trasfigurazione fu l’occasione per:
(1755.2) 158:3.2 1. L’accettazione della pienezza del conferimento nella vita incarnata di Micael su Urantia da parte del Figlio-Madre Eterno del Paradiso. Per quanto concerneva le esigenze del Figlio Eterno, Gesù aveva ora ricevuto assicurazione che erano state soddisfatte. E Gabriele portò a Gesù quell’assicurazione.
(1755.3) 158:3.3 2. La testimonianza della soddisfazione dello Spirito Infinito quanto alla completezza del conferimento su Urantia nelle sembianze della carne mortale. La rappresentante dello Spirito Infinito nell’universo, l’associata immediata di Micael su Salvington e sua collaboratrice sempre presente, in questa circostanza parlò tramite il Padre Melchizedek.
(1755.4) 158:3.4 Gesù accolse con piacere questa testimonianza concernente il successo della sua missione terrena portata dai messaggeri del Figlio Eterno e dello Spirito Infinito, ma notò che suo Padre non indicava che il conferimento su Urantia era terminato. La presenza invisibile del Padre portò solo testimonianza tramite l’Aggiustatore Personalizzato di Gesù, dicendo: “Questi è mio Figlio prediletto; prestategli ascolto.” E ciò fu espresso con parole che potevano essere udite anche dai tre apostoli.
(1755.5) 158:3.5 Dopo questa visitazione celeste Gesù cercò di conoscere la volontà di suo Padre e decise di proseguire il conferimento come mortale sino alla sua fine naturale. Questo fu il significato della trasfigurazione di Gesù. Per i tre apostoli fu un avvenimento che segnò l’entrata del Maestro nella fase finale della sua carriera terrena come Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo.
(1755.6) 158:3.6 Dopo la visitazione ufficiale di Gabriele e del Padre Melchizedek, Gesù ebbe una conversazione informale con questi suoi Figli di ministero, e si mise in comunione con loro riguardo agli affari dell’universo.
(1755.7) 158:4.1 Mancava poco all’ora di colazione questo martedì mattina quando Gesù e i suoi compagni arrivarono al campo apostolico. Mentre si avvicinavano, essi videro una folla considerevole riunita attorno agli apostoli e presto cominciarono a udire le voci rumorose delle discussioni e delle dispute di questo gruppo di circa cinquanta persone, comprendente i nove apostoli ed il resto diviso in parti uguali tra Scribi di Gerusalemme e discepoli credenti che avevano seguito Gesù ed i suoi associati nel loro viaggio da Magadan.
(1755.8) 158:4.2 Benché la folla fosse impegnata in numerosi argomenti, la principale controversia concerneva un cittadino di Tiberiade che era arrivato il giorno precedente in cerca di Gesù. Quest’uomo, Giacomo di Safed, aveva un figlio di circa quattordici anni, un figlio unico, che era gravemente afflitto da epilessia. In aggiunta a tale malattia nervosa questo ragazzo era divenuto vittima di uno di quegli intermedi erranti, malevoli e ribelli che erano allora presenti sulla terra senza controllo, sicché il giovane era sia epilettico che posseduto da un demone. Per quasi due settimane questo padre ansioso, un ufficiale subalterno di Erode Antipa, aveva vagato alla frontiera occidentale dei domini di Filippo cercando Gesù per supplicarlo di guarire questo figlio ammalato. Egli raggiunse il gruppo apostolico solo a mezzodì di questo giorno in cui Gesù era in montagna con i tre apostoli.
(1755.9) 158:4.3 I nove apostoli furono molto sorpresi e considerevolmente turbati quando quest’uomo, accompagnato da quasi altre quaranta persone che cercavano Gesù, piombò all’improvviso su di loro. Al momento dell’arrivo di questo gruppo i nove apostoli, o almeno la maggior parte di loro, erano caduti nella loro vecchia tentazione — quella di discutere chi sarebbe stato il più grande nel regno futuro; essi stavano dibattendo animatamente sulle probabili posizioni che sarebbero state assegnate ai singoli apostoli. Essi semplicemente non riuscivano a liberarsi interamente dell’idea a lungo accarezzata della missione materiale del Messia. Ed ora che Gesù stesso aveva accettato la loro confessione che era veramente il Liberatore — egli aveva almeno ammesso il fatto della sua divinità — che cosa c’era di più naturale, durante questo periodo di separazione dal Maestro, che mettersi a parlare di quelle speranze e ambizioni che erano al primo posto nel loro cuore. Ed essi erano impegnati in queste discussioni quando Giacomo di Safed ed i suoi compagni che cercavano Gesù arrivarono da loro.
(1756.1) 158:4.4 Andrea si alzò per accogliere questo padre e suo figlio, dicendo: “Chi cercate?” Giacomo disse: “Buon uomo, cerco il tuo Maestro. Cerco la guarigione per mio figlio ammalato. Vorrei che Gesù cacciasse questo demone che possiede mio figlio.” E poi il padre proseguì raccontando agli apostoli come suo figlio era talmente afflitto da avere rischiato molte volte di perdere la sua vita a causa di queste crisi maligne.
(1756.2) 158:4.5 Mentre gli apostoli ascoltavano, Simone Zelota e Giuda Iscariota avanzarono verso il padre dicendo: “Noi possiamo guarirlo; non hai bisogno di aspettare il ritorno del Maestro. Noi siamo ambasciatori del regno; non teniamo più segrete queste cose. Gesù è il Liberatore e le chiavi del regno ci sono state consegnate.” In questo momento
(1756.3) 158:4.6 Andrea e Tommaso si stavano consultando da parte. Natanaele e gli altri osservavano stupefatti; essi erano tutti sorpresi di fronte all’improvvisa audacia, se non presunzione, di Simone e di Giuda. Allora il padre disse: “Se vi è stato concesso di fare queste opere, vi prego di voler pronunciare quelle parole che libereranno mio figlio da questa schiavitù.” Allora Simone si fece avanti e, ponendo la sua mano sulla testa del ragazzo, lo guardò diritto negli occhi e ordinò: “Esci da lui, tu spirito impuro; nel nome di Gesù ubbidiscimi.” Ma il ragazzo ebbe soltanto una crisi più violenta, mentre gli Scribi si misero a deridere gli apostoli, e i credenti delusi subivano gli scherni di questi critici ostili.
(1756.4) 158:4.7 Andrea era profondamente mortificato per questo tentativo malaccorto ed il suo triste fallimento. Egli chiamò da parte gli apostoli per consultarsi e pregare. Dopo questo momento di meditazione, sentendo acutamente il bruciore della loro sconfitta ed avvertendo l’umiliazione che ricadeva su tutti loro, Andrea cercò, con un secondo tentativo, di cacciare il demone, ma soltanto l’insuccesso coronò i suoi sforzi. Andrea confessò apertamente la sua sconfitta e pregò il padre di rimanere con loro per la notte o fino al ritorno di Gesù, dicendo: “Forse questo tipo di demoni non se ne va che su comando personale del Maestro.”
(1756.5) 158:4.8 E così, mentre Gesù stava scendendo dalla montagna con gli esuberanti ed estatici Pietro, Giacomo e Giovanni, i loro nove fratelli erano parimenti insonni nella loro confusione e nella loro triste umiliazione. Essi erano un gruppo demoralizzato e avvilito. Ma Giacomo di Safed non volle rinunciare. Sebbene essi non potessero dargli alcuna idea di quando Gesù poteva tornare, egli decise di fermarsi fino al ritorno del Maestro.
(1757.1) 158:5.1 All’avvicinarsi di Gesù, i nove apostoli furono più che sollevati di accoglierlo, e furono grandemente incoraggiati nel vedere il buonumore e l’entusiasmo straordinario che manifestavano i volti di Pietro, Giacomo e Giovanni. Essi si precipitarono tutti a salutare Gesù ed i loro tre fratelli. Mentre si scambiavano i saluti arrivò la folla, e Gesù chiese: “Di che cosa stavate discutendo mentre arrivavamo?” Ma prima che gli apostoli sconcertati ed umiliati potessero rispondere alla domanda del Maestro, l’ansioso padre del giovane ammalato si fece avanti e, inginocchiatosi ai piedi di Gesù, disse: “Maestro, io ho un figlio, un figlio unico, che è posseduto da uno spirito cattivo. Non solo egli lancia grida di terrore, sbava dalla bocca e cade come morto al momento della crisi, ma spesse volte questo spirito cattivo che lo possiede lo strazia in convulsioni e talvolta lo getta nell’acqua ed anche nel fuoco. Con il gran digrignare di denti e a causa delle numerose contusioni, mio figlio si consuma. La sua vita è peggio della morte; sua madre ed io abbiamo il cuore triste e lo spirito abbattuto. Ieri a mezzogiorno, nel cercarti, ho raggiunto i tuoi discepoli, e mentre ti aspettavamo i tuoi apostoli hanno tentato di cacciare questo demone, ma non ci sono riusciti. Ed ora, Maestro, vuoi tu fare questo per noi, vuoi guarire mio figlio?”
(1757.2) 158:5.2 Quando Gesù ebbe ascoltato questo racconto, toccò il padre inginocchiato e lo invitò ad alzarsi, mentre gettava uno sguardo scrutatore sugli apostoli vicini. Poi Gesù disse a tutti coloro che stavano davanti a lui: “O generazione perversa e senza fede, fino a quando vi sopporterò? Fino a quando starò con voi? Quando imparerete che le opere della fede non si manifestano alla richiesta di dubbiosi non credenti?” Poi, rivolgendosi al padre sconcertato, Gesù disse: “Porta qui tuo figlio.” E quando Giacomo ebbe portato il ragazzo davanti a Gesù, gli chiese: “Da quanto tempo il ragazzo è afflitto in questo modo?” Il padre rispose: “Da quando era bambino.” E mentre parlavano il ragazzo fu colto da un violento attacco e cadde in mezzo a loro digrignando i denti e schiumando dalla bocca. Dopo una successione di violente convulsioni egli rimase steso come morto davanti a loro. Allora il padre s’inginocchiò di nuovo ai piedi di Gesù ed implorò il Maestro dicendo: “Se tu puoi guarirlo, ti supplico di avere compassione di noi e di liberarci da questa afflizione.” Quando Gesù udì queste parole, guardò il viso ansioso del padre, dicendo: “Non mettere in dubbio il potere d’amore di mio Padre, ma solo la sincerità e la portata della tua fede. Tutte le cose sono possibili a colui che crede veramente.” Ed allora Giacomo di Safed pronunciò quelle memorabili parole miste di fede e di dubbio: “Signore, io credo. Ti prego di aiutare la mia incredulità.”
(1757.3) 158:5.3 Quando Gesù udì queste parole si fece avanti, e prendendo il ragazzo per mano, disse: “Farò questo in armonia con la volontà di mio Padre ed in onore della fede vivente. Figlio mio, alzati! Esci da lui, spirito disobbediente, e non ritornare in lui.” E ponendo la mano del ragazzo nella mano del padre, Gesù disse: “Va per la tua strada. Il Padre ha esaudito il desiderio della tua anima.” E tutti i presenti, anche i nemici di Gesù, rimasero stupefatti da ciò che avevano visto.
(1757.4) 158:5.4 Fu veramente una disillusione per i tre apostoli, che avevano così recentemente goduto l’estasi spirituale delle scene e delle esperienze della trasfigurazione, ritornare così presto su questa scena del fallimento e della sconfitta dei loro compagni apostoli. Ma fu sempre così con questi dodici ambasciatori del regno. Essi non smisero mai di passare dall’esaltazione all’umiliazione nelle loro esperienze di vita.
(1758.1) 158:5.5 Questa fu un’autentica guarigione da una doppia afflizione, un’indisposizione fisica ed una malattia spirituale. Ed il ragazzo da quel momento fu guarito per sempre. Quando Giacomo fu partito con suo figlio risanato, Gesù disse: “Ora andiamo a Cesarea di Filippo; preparatevi immediatamente.” Ed essi erano un gruppo silenzioso quando si avviarono verso sud, mentre la folla seguiva da dietro.
(1758.2) 158:6.1 Essi si fermarono per la notte da Celso e quella sera nel giardino, dopo che avevano mangiato e riposato, i dodici si riunirono attorno a Gesù, e Tommaso disse: “Maestro, mentre noi che siamo rimasti indietro ignoriamo ancora ciò che è successo sulla montagna, e che ha entusiasmato così grandemente i nostri fratelli che erano con te, desideriamo ardentemente che tu ci parli del nostro fallimento e che ci istruisci in queste materie, poiché vediamo che quelle cose che sono accadute in montagna non possono esserci rivelate in questo momento.”
(1758.3) 158:6.2 E Gesù rispose a Tommaso, dicendo: “Tutto ciò che i vostri fratelli hanno udito sulla montagna vi sarà rivelato a tempo debito. Ma ora vi mostrerò la causa del vostro fallimento in ciò che così incautamente avete tentato di fare. Mentre il vostro Maestro ed i suoi compagni, vostri fratelli, salivano ieri su quella montagna laggiù per cercare una conoscenza più estesa della volontà del Padre e per chiedere di essere maggiormente dotati di saggezza al fine di eseguire efficacemente quella volontà divina, voi che eravate qui ad aspettare con l’istruzione di sforzarvi di acquisire la mente d’intuizione spirituale e di pregare con noi per una rivelazione più completa della volontà del Padre, non siete riusciti ad esercitare la fede che era al vostro comando, ma invece avete ceduto alla tentazione e siete caduti nelle vostre vecchie cattive tendenze di cercare per voi stessi delle posizioni di privilegio nel regno dei cieli — nel regno materiale e temporale che voi persistete ad immaginarvi. E rimanete attaccati a questi concetti errati nonostante la reiterata dichiarazione che il mio regno non è di questo mondo.
(1758.4) 158:6.3 “Non appena la vostra fede afferra l’identità del Figlio dell’Uomo, il vostro desiderio egoista di avanzamento terrestre s’insinua in voi, e vi mettete a discutere tra di voi su chi dovrebbe essere il più grande nel regno dei cieli, un regno che, così come insistete a concepirlo, non esiste e non esisterà mai. Non vi ho detto che colui che vorrebbe essere il più grande nel regno della fraternità spirituale di mio Padre deve diventare piccolo ai suoi occhi e divenire così il servitore dei suoi fratelli? La grandezza spirituale consiste in un amore comprensivo simile a quello di Dio e non nel godimento dell’esercizio del potere materiale per l’esaltazione di se stessi. In ciò che avete tentato di fare, ed in cui avete così completamente fallito, il vostro proposito non era puro. Il vostro movente non era divino. Il vostro ideale non era spirituale. La vostra ambizione non era altruistica. Il vostro agire non era fondato sull’amore, e lo scopo che volevate raggiungere non era la volontà del Padre che è nei cieli.
(1758.5) 158:6.4 “Quanto tempo vi ci vorrà per capire che non potete abbreviare il corso dei fenomeni naturali stabiliti, salvo quando tali cose sono conformi alla volontà del Padre? Né potete compiere un’opera spirituale in assenza del potere spirituale. E non potete fare nemmeno queste cose, anche quando il loro potenziale è presente, senza l’esistenza di quel terzo fattore umano essenziale, l’esperienza personale di possedere una fede vivente. Dovete avere sempre delle manifestazioni materiali come attrazione per le realtà spirituali del regno? Non riuscite a cogliere il significato spirituale della mia missione senza la dimostrazione visibile di opere straordinarie? Quando si potrà contare che voi aderiate alle realtà spirituali superiori del regno indipendentemente dall’apparenza esteriore di ogni manifestazione materiale?”
(1759.1) 158:6.5 Dopo che Gesù ebbe parlato così ai dodici, aggiunse: “Ed ora andate a riposarvi, perché domani ritorneremo a Magadan e vi terremo consiglio sulla nostra missione nelle città e nei villaggi della Decapoli. E a conclusione dell’esperienza di questo giorno, lasciatemi dichiarare a ciascuno di voi ciò che ho detto ai vostri fratelli sulla montagna, e lasciate che queste parole penetrino profondamente nel vostro cuore: il Figlio dell’Uomo entra ora nell’ultima fase del conferimento. Noi stiamo per iniziare quelle opere che porteranno presto alla grande prova finale della vostra fede e devozione quando io sarò messo nelle mani degli uomini che cercano la mia distruzione. Ricordatevi ciò che vi sto dicendo: il Figlio dell’Uomo sarà messo a morte, ma risusciterà.”
(1759.2) 158:6.6 Essi si ritirarono per la notte rattristati. Erano confusi; non riuscivano a comprendere queste parole. E mentre avevano paura di porre una sola domanda su quello che egli aveva detto, si ricordarono di tutto ciò dopo la sua risurrezione.
(1759.3) 158:7.1 Questo mercoledì mattina presto Gesù e i dodici partirono da Cesarea di Filippo per il Parco di Magadan vicino a Betsaida-Giulia. Gli apostoli avevano dormito molto poco quella notte, così si erano alzati presto ed erano pronti a partire. Anche gli imperturbabili gemelli Alfeo erano rimasti colpiti da questi discorsi sulla morte di Gesù. Viaggiando verso sud, poco oltre le Acque di Merom, essi giunsero sulla strada per Damasco, e desiderando evitare gli Scribi e gli altri che Gesù sapeva sarebbero subito venuti dietro a loro, egli ordinò di proseguire verso Cafarnao per la strada di Damasco che attraversava la Galilea. Ed egli fece questo perché sapeva che quelli che lo seguivano avrebbero preso la strada ad est del Giordano, supponendo che Gesù e gli apostoli temessero di passare per il territorio di Erode Antipa. Gesù cercava di evitare i suoi critici e la folla che lo seguiva per essere solo con i suoi apostoli in questo giorno.
(1759.4) 158:7.2 Essi viaggiarono attraverso la Galilea fino a ben oltre l’ora di pranzo, poi si fermarono all’ombra per riposarsi. E dopo che ebbero mangiato, Andrea, parlando a Gesù, disse: “Maestro, i miei fratelli non comprendono le tue massime profonde. Noi siamo giunti a credere pienamente che tu sei il Figlio di Dio, ed ora ascoltiamo queste parole strane di lasciarci, di morire. Noi non comprendiamo il tuo insegnamento. Ci stai parlando in parabole? Ti preghiamo di parlarci chiaramente ed in forma non velata.”
(1759.5) 158:7.3 In risposta ad Andrea, Gesù disse: “Fratelli miei, è perché avete confessato che io sono il Figlio di Dio che sono costretto a cominciare a svelarvi la verità sulla fine del conferimento del Figlio dell’Uomo sulla terra. Voi insistete a rimanere attaccati alla credenza che io sono il Messia e non volete abbandonare l’idea che il Messia deve sedere su un trono a Gerusalemme. Per questo io insisto a dirvi che il Figlio dell’Uomo dovrà presto andare a Gerusalemme, soffrire molto, essere respinto dagli Scribi, dagli anziani e dai sommi sacerdoti, e dopo tutto questo essere ucciso e risuscitare dalla morte. E non vi racconto una parabola; vi dico la verità affinché possiate essere preparati per questi avvenimenti quando piomberanno all’improvviso su di noi.” E mentre egli stava ancora parlando, Simon Pietro, slanciandosi con impeto verso di lui, posò la sua mano sulla spalla del Maestro e disse: “Maestro, lungi da noi volerti contraddire, ma io dichiaro che queste cose non ti capiteranno mai.”
(1760.1) 158:7.4 Pietro parlò così perché amava Gesù; ma la natura umana del Maestro riconobbe in queste parole d’affetto bene intenzionate il sottile indizio di un tentativo di fargli cambiare la sua linea di condotta di proseguire sino alla fine il suo conferimento terreno conformemente alla volontà di suo Padre del Paradiso. E fu perché scoprì il pericolo di permettere a dei suggerimenti, anche da parte dei suoi amici affezionati e fedeli, di dissuaderlo, che egli si volse verso Pietro e gli altri apostoli dicendo: “Allontanatevi da me. Voi odorate dello spirito dell’avversario, il tentatore. Quando parlate in questo modo voi non siete dalla mia parte, ma piuttosto dalla parte del nostro nemico. In questo modo fate del vostro amore per me una pietra d’inciampo al compimento della volontà del Padre. Non preoccupatevi delle vie degli uomini, ma piuttosto della volontà di Dio.”
(1760.2) 158:7.5 Dopo che essi si furono ripresi dal primo shock del pungente rimprovero di Gesù, e prima che riprendessero il loro viaggio, il Maestro disse ancora: “Se qualcuno vuole seguirmi, dimentichi se stesso, si assuma le sue responsabilità quotidiane e mi segua. Perché chiunque vorrà salvare egoisticamente la sua vita, la perderà, ma chiunque perderà la sua vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che profitto ha un uomo di conquistare il mondo intero e di perdere la sua anima? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della vita eterna? Non vergognatevi di me e delle mie parole in questa generazione peccatrice ed ipocrita, come io non mi vergognerò di riconoscervi quando apparirò in gloria davanti a mio Padre in presenza di tutte le schiere celesti. Tuttavia, molti di voi che siete ora qui davanti a me non assaporeranno la morte prima di aver visto questo regno di Dio venire con potenza.”
(1760.3) 158:7.6 E Gesù mostrò in tal modo ai dodici il sentiero doloroso e conflittuale che dovevano percorrere se volevano seguirlo. Quale shock furono tali parole per questi pescatori galilei che persistevano nel sognare un regno terrestre con posti d’onore per se stessi! Ma i loro cuori fedeli furono commossi da questo coraggioso appello, e nessuno di loro pensò di abbandonarlo. Gesù non li stava mandando da soli a combattere; li stava guidando. Egli chiese soltanto che lo seguissero coraggiosamente.
(1760.4) 158:7.7 Lentamente i dodici afferravano l’idea che Gesù stava dicendo loro qualcosa sulla possibilità della sua morte. Essi comprendevano solo vagamente ciò che diceva sulla sua morte, mentre la sua dichiarazione sulla risurrezione dai morti non riusciva assolutamente a fissarsi nella loro mente. Via via che i giorni passavano, Pietro, Giacomo e Giovanni, ricordando la loro esperienza sul monte della trasfigurazione, arrivarono a comprendere più pienamente alcune di queste materie.
(1760.5) 158:7.8 In tutta l’associazione dei dodici con il loro Maestro, soltanto poche volte essi videro quello sguardo splendente e udirono delle parole così vive di rimprovero come quelle che furono rivolte a Pietro e agli altri in questa occasione. Gesù era sempre stato paziente con le loro manchevolezze umane, ma non fu così di fronte alla minaccia imminente contro il suo programma che implicava di eseguire la volontà di suo Padre circa il resto della sua carriera terrena. Gli apostoli rimasero letteralmente storditi; erano stupefatti ed atterriti. Essi non riuscivano a trovare le parole per esprimere il loro dispiacere. Lentamente cominciarono a comprendere ciò che il Maestro doveva soffrire e che essi dovevano passare per queste esperienze con lui, ma non si svegliarono alla realtà di questi avvenimenti futuri che molto tempo dopo queste prime allusioni alla tragedia incombente degli ultimi giorni della sua vita.
(1761.1) 158:7.9 Gesù e i dodici partirono in silenzio per il campo al Parco di Magadan, andando per la via di Cafarnao. Durante il pomeriggio, anche se non conversarono con Gesù, essi parlarono molto tra di loro mentre Andrea parlava con il Maestro.
(1761.2) 158:8.1 Arrivati a Cafarnao al crepuscolo, essi andarono per strade poco frequentate direttamente a casa di Simon Pietro per consumare il loro pasto serale. Mentre Davide Zebedeo si preparava a condurli dall’altra parte del lago, essi si attardarono a casa di Simone, e Gesù, squadrando Pietro e gli altri apostoli, chiese: “Mentre camminavate insieme questo pomeriggio, di che cosa discutevate così animatamente tra di voi?” Gli apostoli tacevano perché molti di loro avevano continuato la discussione iniziata vicino al Monte Hermon su quali posizioni avrebbero occupato nel regno futuro; su chi sarebbe stato il più grande e così via. Gesù, sapendo che cosa aveva occupato i loro pensieri quel giorno, fece un cenno ad uno dei figlioletti di Pietro, e ponendo il bambino tra di loro disse: “In verità, in verità vi dico, se non tornate indietro e non diventate più simili a questo bambino farete pochi progressi nel regno dei cieli. Chiunque si umilierà e diverrà come questo piccolo, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chiunque accoglie un tale piccolo accoglie me. E coloro che accolgono me accolgono anche Colui che mi ha mandato. Se voi volete essere i primi nel regno, cercate di portare queste buone verità ai vostri fratelli nella carne. Ma chiunque induce uno di questi piccoli a peccare, sarebbe meglio per lui che gli fosse legata una macina al collo e fosse gettato in mare. Se le cose che fate con le vostre mani, o le cose che vedete con i vostri occhi, recano offesa al progresso del regno, sacrificate questi idoli che avete cari, perché è meglio entrare nel regno senza molte delle cose amate della vita piuttosto che aggrapparsi a questi idoli e trovarvi esclusi dal regno. Ma soprattutto badate a non disprezzare nessuno di questi piccoli, perché i loro angeli contemplano sempre il volto delle schiere celesti.”
(1761.3) 158:8.2 Quando Gesù ebbe finito di parlare, essi salirono sul battello e fecero vela per Magadan, dall’altra parte del lago.
(1762.1) 159:0.1 QUANDO Gesù e i dodici arrivarono al Parco di Magadan, trovarono ad attenderli un gruppo di circa cento evangelisti e discepoli, compreso il corpo delle donne, i quali si prepararono subito ad iniziare il giro d’insegnamento e di predicazione nelle città della Decapoli.
(1762.2) 159:0.2 Questo giovedì mattina 18 agosto il Maestro riunì i suoi discepoli e ordinò che ciascuno degli apostoli si associasse con uno dei dodici evangelisti, e che con altri evangelisti andassero in dodici gruppi a lavorare nelle città e nei villaggi della Decapoli. Al corpo delle donne e ad altri discepoli egli ordinò di rimanere con lui. Gesù concesse quattro settimane per questo giro, dando istruzioni ai suoi discepoli di ritornare a Magadan non più tardi di venerdì 16 settembre. Egli promise di far loro visita spesso durante questo periodo. Nel corso di questo mese i dodici gruppi lavorarono a Gerasa, Gamala, Hippos, Zafon, Gadara, Abila, Edrei, Filadelfia, Chesbon, Dion, Scitopoli e in molte altre città. Durante questo giro non avvenne alcun miracolo di guarigione o altro avvenimento straordinario.
(1762.3) 159:1.1 Una sera ad Hippos, in risposta alla domanda di un discepolo, Gesù insegnò la lezione sul perdono. Il Maestro disse:
(1762.4) 159:1.2 “Se un uomo di buon cuore ha cento pecore ed una di loro si perde, non abbandona subito le novantanove per andare in cerca di quella che si è perduta? E se è un buon pastore, non proseguirà la sua ricerca della pecora smarrita fino a che non l’avrà trovata? E poi, quando il pastore ha trovato la sua pecora perduta, la carica sulle sue spalle e, andando a casa contento, grida ai suoi amici e vicini: ‘Gioite con me, perché ho trovato la mia pecora che si era perduta.’ Io dichiaro che c’è più gioia in cielo per un peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno bisogno di pentirsi. Ciononostante, è volontà di mio Padre che è nei cieli che nessuno di questi piccoli si perda, e ancor meno che essi periscano. Nella vostra religione Dio può ricevere dei peccatori che si pentono; nel vangelo del regno il Padre va alla loro ricerca prima ancora che essi abbiano seriamente pensato di pentirsi.
(1762.5) 159:1.3 “Il Padre che è nei cieli ama i suoi figli, e perciò voi dovreste imparare ad amarvi gli uni con gli altri. Il Padre che è nei cieli perdona i vostri peccati; perciò voi dovreste imparare a perdonarvi gli uni con gli altri. Se tuo fratello pecca contro di te, va da lui e con tatto e pazienza mostragli il suo errore. E fa tutto ciò tra te e lui soltanto. Se egli ti ascolterà, allora avrai conquistato tuo fratello. Ma se tuo fratello non vuole ascoltarti, se persiste nell’errore, torna da lui portando con te uno o due amici comuni, affinché tu possa così avere due o tre testimoni che confermino la tua testimonianza e provino il fatto che tu hai agito con giustizia e misericordia con tuo fratello che ti ha offeso. Ora, se egli rifiuta di ascoltare i tuoi fratelli, tu puoi raccontare tutta la storia alla congregazione, e poi, se rifiuta di ascoltare la fraternità, che essa prenda le misure che giudicherà sagge; che un tale membro indisciplinato divenga un proscritto del regno. Anche se voi non potete pretendere di giudicare l’anima dei vostri simili, ed anche se non potete perdonare i peccati o presumere di usurpare altrimenti le prerogative dei supervisori delle schiere celesti, allo stesso tempo vi è stato affidato il mantenimento dell’ordine temporale del regno sulla terra. Anche se non potete immischiarvi nei decreti divini concernenti la vita eterna, voi determinerete le linee di condotta che concernono il benessere temporale della fraternità sulla terra. E così, in tutte queste materie connesse con la disciplina della fraternità, tutto ciò che decreterete sulla terra sarà riconosciuto in cielo. Sebbene non possiate determinare il destino eterno dell’individuo, voi potete legiferare riguardo alla condotta del gruppo, perché, dove due o tre di voi sono d’accordo su qualunque di queste cose e si rivolgono a me, ciò vi sarà concesso se la vostra supplica non è incompatibile con la volontà di mio Padre che è nei cieli. E tutto ciò è sempre vero, perché, dove due o tre credenti sono riuniti, là sono io in mezzo a loro.”
(1763.1) 159:1.4 Simon Pietro era l’apostolo responsabile di quelli che operavano ad Hippos, e quando sentì Gesù parlare così, chiese: “Signore, quante volte mio fratello peccherà contro di me ed io lo perdonerò? Fino a sette volte?” E Gesù rispose a Pietro: “Non solo sette volte ma anche settantasette volte. Perciò il regno dei cieli può essere paragonato ad un re che ordinò la verifica contabile dei suoi intendenti. E quando s’iniziò questo esame dei conti, fu condotto davanti a lui uno dei suoi principali dipendenti che confessò di dovere al suo re diecimila talenti. Ora questo funzionario della corte reale addusse a giustificazione che aveva avuto dei guai e che non aveva di che pagare quanto doveva. Così il re ordinò di confiscare le sue proprietà e che i suoi figli fossero venduti per pagare il suo debito. Quando questo capo intendente udì questo duro decreto, cadde faccia a terra davanti al re e lo implorò di avere misericordia e di concedergli una dilazione, dicendo: ‘Signore, abbi un po’ più di pazienza con me e ti pagherò tutto.’ E quando il re guardò questo servitore negligente e la sua famiglia, fu mosso a compassione. Ordinò che fosse rilasciato e che il suo debito fosse interamente condonato.
(1763.2) 159:1.5 “E questo capo intendente, avendo così ricevuto misericordia e perdono da parte del re, ritornò ai suoi affari, e trovato uno dei suoi intendenti subordinati che gli doveva la modesta somma di cento denari, lo assalì e prendendolo per la gola disse: ‘Pagami tutto quello che mi devi.’ Allora questo collega intendente cadde faccia a terra davanti al capo intendente e supplicandolo disse: ‘Abbi solo pazienza con me e sarò presto in grado di pagarti.’ Ma il capo intendente non volle mostrare misericordia verso il suo compagno intendente e lo fece invece mettere in prigione fino a che non avesse pagato il suo debito. Quando i suoi colleghi servitori videro ciò che era successo, furono talmente indignati che andarono a riferirlo al re, loro signore e padrone. Quando il re seppe quello che aveva fatto il suo capo intendente, chiamò quest’uomo ingrato ed inesorabile davanti a lui e disse: ‘Tu sei un intendente malvagio e indegno. Quando hai chiesto compassione io ti ho generosamente condonato tutto il tuo debito. Perché non hai anche tu mostrato misericordia verso il tuo compagno intendente, come io ho mostrato misericordia con te?’ Ed il re era talmente adirato che consegnò il suo ingrato capo intendente ai carcerieri perché lo trattenessero fino a che non avesse pagato tutto il suo debito. Allo stesso modo mio Padre celeste mostrerà la più abbondante misericordia verso coloro che mostrano generosamente misericordia verso il loro prossimo. Come potete avvicinarvi a Dio chiedendo considerazione per le vostre mancanze quando voi siete soliti punire i vostri fratelli perché colpevoli di queste stesse fragilità umane? Io dico a voi tutti: avete ricevuto generosamente le buone cose del regno; date dunque generosamente ai vostri simili sulla terra.”
(1764.1) 159:1.6 Così Gesù insegnò i pericoli ed illustrò l’iniquità del giudizio personale sui propri simili. La disciplina deve essere mantenuta, la giustizia deve essere amministrata, ma in tutte queste materie la saggezza della fratellanza dovrebbe prevalere. Gesù conferì autorità legislativa e giudiziaria al gruppo, non all’individuo. Anche questo conferimento d’autorità al gruppo non deve essere esercitato come autorità personale. C’è sempre il pericolo che il verdetto di un individuo possa essere falsato dal pregiudizio o distorto dalla passione. Il giudizio di gruppo ha più probabilità di allontanare i pericoli e di eliminare l’iniquità dei pregiudizi personali. Gesù cercò sempre di ridurre al minimo gli elementi d’ingiustizia, di rappresaglia e di vendetta.
(1764.2) 159:1.7 [L’uso del termine settantasette per illustrare la misericordia e la tolleranza fu tratto dal passo delle Scritture che si riferisce all’esultanza di Lamec per le armi metalliche di suo figlio Tubal-Caino, il quale, comparando questi strumenti superiori con quelli dei suoi nemici, esclamò: “Se Caino, senza un’arma in mano, fu vendicato sette volte, io sarò ora vendicato settantasette volte.”]
(1764.3) 159:2.1 Gesù andò a Gamala per visitare Giovanni e quelli che lavoravano con lui in quel luogo. Quella sera, dopo la sessione di domande e risposte, Giovanni disse a Gesù: “Maestro, ieri sono andato ad Astarot a vedere un uomo che stava insegnando in nome tuo e che sosteneva anche di essere capace di cacciare i demoni. Ora questo individuo non era mai stato con noi, né ci segue; perciò gli ho proibito di fare tali cose.” Allora Gesù disse: “Non proibirglielo. Non percepisci che questo vangelo del regno sarà presto proclamato in tutto il mondo? Come puoi sperare che tutti quelli che crederanno nel vangelo saranno sottomessi alle tue direttive? Rallegrati che il nostro insegnamento abbia già cominciato a manifestarsi fuori dei confini della nostra influenza personale. Non vedi, Giovanni, che quelli che professano di fare grandi opere in nome mio finiranno per sostenere la nostra causa? Essi certamente non saranno impazienti di parlare male di me. Figlio mio, in questioni di questo genere sarebbe meglio per te pensare che chi non è contro di noi è con noi. Nelle generazioni future molti che non sono del tutto degni faranno molte cose strane in mio nome, ma io non glielo impedirò. Io ti dico che, anche quando una coppa d’acqua fresca viene data ad un’anima assetata, i messaggeri del Padre registreranno sempre un tale servizio d’amore.”
(1764.4) 159:2.2 Questo insegnamento lasciò Giovanni molto perplesso. Egli non aveva sentito il Maestro dire: “Chi non è con me è contro di me”? Ed egli non percepì che in questo caso Gesù si riferiva alla relazione personale dell’uomo con gli insegnamenti spirituali del regno, mentre nell’altro caso faceva riferimento alle vaste relazioni sociali esterne tra credenti, concernenti le questioni di controllo amministrativo e la giurisdizione di un gruppo di credenti sul lavoro di altri gruppi che avrebbero alla fine costituito la futura fratellanza mondiale.
(1765.1) 159:2.3 Giovanni raccontò spesso questa esperienza in connessione con le sue attività successive a favore del regno. Tuttavia gli apostoli se la presero molte volte con coloro che osavano insegnare in nome del Maestro. A loro sembrò sempre fuori luogo che coloro che non si erano mai seduti ai piedi di Gesù osassero insegnare in nome suo.
(1765.2) 159:2.4 Quest’uomo al quale Giovanni proibì d’insegnare e di operare in nome di Gesù non dette ascolto all’ingiunzione dell’apostolo. Egli proseguì nei suoi sforzi e mise insieme un gruppo considerevole di credenti a Kanata prima di andare in Mesopotamia. Quest’uomo, di nome Aden, era stato portato a credere in Gesù dalla testimonianza del demente che Gesù guarì vicino a Keresa, e che credette con tanta sicurezza che i supposti spiriti cattivi che il Maestro cacciò fuori da lui entrarono nel branco di porci e li spinsero oltre la rupe verso la loro distruzione.
(1765.3) 159:3.1 Ad Edrei, dove lavoravano Tommaso ed i suoi associati, Gesù passò un giorno e una notte, e nel corso della discussione della sera espresse i princìpi che avrebbero dovuto guidare quelli che predicavano la verità e animare tutti coloro che insegnavano il vangelo del regno. Riassunto e riesposto in linguaggio moderno, l’insegnamento di Gesù fu:
(1765.4) 159:3.2 Rispettate sempre la personalità dell’uomo. Una causa giusta non dovrebbe mai essere promossa con la forza; le vittorie spirituali possono essere conseguite soltanto con il potere spirituale. Questa ingiunzione contro l’impiego d’influenze materiali si riferisce sia alla forza psichica che alla forza fisica. Non si devono impiegare né argomenti opprimenti né superiorità mentale per costringere gli uomini e le donne ad entrare nel regno. La mente umana non deve essere oppressa dal semplice peso della logica o intimidita da un’eloquenza acuta. Anche se l’emozione, come fattore nelle decisioni umane, non può essere interamente eliminata, non dovrebbe esservi fatto appello direttamente negli insegnamenti di coloro che vorrebbero far progredire la causa del regno. Fate i vostri appelli direttamente allo spirito divino che risiede nella mente degli uomini. Non fate appello alla paura, alla pietà o al semplice sentimento. Appellandovi agli uomini, siate equi; controllatevi ed esibite un debito riserbo; mostrate il dovuto rispetto per la personalità dei vostri allievi. Ricordatevi che io ho detto: “Ecco, io sto alla porta e busso, e se qualcuno mi aprirà, io entrerò.”
(1765.5) 159:3.3 Nel condurre gli uomini nel regno, non diminuite o distruggete il loro autorispetto. Mentre l’eccessivo rispetto di se stessi può distruggere l’umiltà appropriata e finire in orgoglio, in vanità e in arroganza, la perdita del rispetto di sé porta spesso alla paralisi della volontà. Questo vangelo si propone di ristabilire il rispetto di se stessi in coloro che l’hanno perduto e di frenarlo in coloro che ce l’hanno. Non commettete l’errore di condannare soltanto ciò che vi è di cattivo nella vita dei vostri allievi; ricordatevi anche di accordare un generoso riconoscimento alle cose più degne di lode nella loro vita. Non dimenticate che nulla mi fermerà dal ristabilire il rispetto di sé in coloro che l’hanno perduto e che desiderano realmente riacquistarlo.
(1765.6) 159:3.4 State attenti a non ferire l’autorispetto delle anime esitanti e timorose. Non siate sarcastici nei confronti dei miei fratelli dalla mente semplice. Non siate cinici con i miei figli dominati dalla paura. L’ozio distrugge il rispetto di sé; dunque, raccomandate ai vostri fratelli di occuparsi sempre attivamente dei compiti che hanno scelto, e fate ogni sforzo per procurare del lavoro a coloro che sono senza impiego.
(1766.1) 159:3.5 Non fate mai ricorso a tattiche indegne come quella di cercare di spaventare gli uomini e le donne per portarli nel regno. Un padre amorevole non spaventa i suoi figli perché obbediscano alle sue giuste richieste.
(1766.2) 159:3.6 Prima o poi i figli del regno comprenderanno che le forti sensazioni emotive non sono l’equivalente delle direttive dello spirito divino. Essere fortemente ed insolitamente spinti a fare qualcosa o ad andare in un certo luogo non significa necessariamente che tali impulsi siano le direttive dello spirito interiore.
(1766.3) 159:3.7 Preavvertite tutti i credenti riguardo alla zona di conflitto che deve essere attraversata da tutti coloro che passano dalla vita qual è vissuta nella carne alla vita più elevata qual è vissuta nello spirito. Per coloro che vivono interamente in uno dei due regni c’è poco conflitto o confusione, ma tutti sono destinati a sperimentare maggiore o minore incertezza durante i periodi di transizione tra i due livelli di vita. Entrando nel regno, voi non potete sfuggire alle sue responsabilità né eludere i suoi obblighi, ma ricordate: il giogo del vangelo è facile da portare ed il fardello della verità è leggero.
(1766.4) 159:3.8 Il mondo è pieno di anime affamate che soffrono la fame alla presenza stessa del pane della vita; gli uomini muoiono cercando lo stesso Dio che vive in loro. Gli uomini cercano i tesori del regno con cuore bramoso e passo affaticato quando sono tutti a portata immediata della fede vivente. La fede è per la religione ciò che le vele sono per una nave; essa è un supplemento di potere, non un ulteriore fardello della vita. C’è una sola lotta per coloro che entrano nel regno, ed è di combattere la buona battaglia della fede. Il credente ha soltanto una battaglia da fare, ed è contro il dubbio — il non credere.
(1766.5) 159:3.9 Predicando il vangelo del regno, voi insegnate semplicemente l’amicizia con Dio. E questa comunione farà appello sia agli uomini che alle donne, in quanto tutti vi troveranno ciò che soddisfa maggiormente i desideri e gli ideali che li caratterizzano. Dite ai miei figli che io sono non solo sensibile ai loro sentimenti e paziente con le loro debolezze, ma che sono anche implacabile con il peccato ed intollerante dell’iniquità. Io sono certamente mite ed umile nella presenza di mio Padre, ma sono egualmente ed implacabilmente inesorabile dove c’è una malvagità deliberata ed una ribellione colpevole contro la volontà di mio Padre che è nei cieli.
(1766.6) 159:3.10 Non dipingete il vostro maestro come un uomo triste. Le generazioni future conosceranno anche lo splendore della nostra gioia, l’allegria della nostra buona volontà e l’ispirazione del nostro buon umore. Noi proclamiamo un messaggio di buone novelle che è contagioso nel suo potere trasformatore. La nostra religione palpita di nuova vita e di nuovi significati. Coloro che accettano questo insegnamento sono pieni di gioia e nel loro cuore sono costretti a gioire eternamente. Una felicità crescente è sempre l’esperienza di tutti coloro che sono sicuri di Dio.
(1766.7) 159:3.11 Insegnate a tutti i credenti di evitare di appoggiarsi sui sostegni insicuri della falsa compassione. Voi non potete sviluppare un carattere forte dall’indulgenza all’autocompassione; sforzatevi onestamente di evitare l’influenza ingannatrice della semplice comunione nella miseria. Estendete la simpatia ai valorosi e ai coraggiosi, senza accordare troppa pietà a quelle anime codarde che affrontano solo con indifferenza le prove della vita. Non offrite consolazione a coloro che rinunciano davanti agli ostacoli senza lottare. Non simpatizzate con i vostri simili soltanto per ricevere in cambio la loro simpatia.
(1766.8) 159:3.12 Una volta che i miei figli divengono autocoscienti della certezza della presenza divina, una tale fede espanderà la loro mente, nobiliterà l’anima, fortificherà la personalità, accrescerà la felicità, aumenterà la percezione spirituale ed eleverà il potere di amare e di essere amati.
(1767.1) 159:3.13 Insegnate a tutti i credenti che coloro che entrano nel regno non sono con ciò resi immuni dagli accidenti del tempo né dalle catastrofi ordinarie della natura. La credenza al vangelo non impedirà di avere dei problemi, ma assicurerà che non avrete paura quando le difficoltà vi assaliranno. Se osate credere in me e continuate a seguirmi con tutto il cuore, sarete certissimi che così facendo entrerete nel sentiero sicuro che porta alle difficoltà. Io non vi prometto di liberarvi dalle acque dell’avversità, ma prometto di attraversarle tutte con voi.
(1767.2) 159:3.14 E Gesù insegnò molte altre cose a questo gruppo di credenti prima che si preparassero ad andare a dormire. E coloro che ascoltarono queste parole le custodirono nel loro cuore e le ripeterono spesso per l’edificazione degli apostoli e dei discepoli che non erano presenti quando furono pronunciate.
(1767.3) 159:4.1 Poi Gesù andò ad Abila, dove lavoravano Natanaele ed i suoi associati. Natanaele era molto turbato da certe dichiarazioni di Gesù che sembravano ledere l’autorità delle Scritture ebraiche riconosciute. Di conseguenza quella sera, dopo il consueto periodo di domande e risposte, Natanaele condusse Gesù lontano dagli altri e chiese: “Maestro, hai abbastanza fiducia in me da farmi conoscere la verità sulle Scritture? Io osservo che tu c’insegni soltanto una parte degli scritti sacri — la migliore secondo me — e ne deduco che tu respingi gli insegnamenti dei rabbini riguardanti il fatto che le parole della legge sono le parole stesse di Dio, essendo state con Dio nel cielo ancora prima dei tempi di Abramo e di Mosè. Qual è la verità sulle Scritture?” Quando Gesù ebbe ascoltato la domanda del suo disorientato apostolo, rispose:
(1767.4) 159:4.2 “Natanaele, tu hai giudicato bene; io non considero le Scritture alla stregua dei rabbini. Parlerò con te di questa materia a condizione che tu non riferisca queste cose ai tuoi fratelli, che non sono tutti preparati a ricevere questo insegnamento. Le parole della legge di Mosè e gli insegnamenti delle Scritture non esistevano prima di Abramo. Soltanto in tempi recenti le Scritture sono state riunite nella forma in cui le abbiamo ora. Sebbene esse contengano il meglio dei pensieri e delle aspirazioni più elevate del popolo ebreo, contengono anche molte cose che sono lontane dal rappresentare il carattere e gli insegnamenti del Padre che è nei cieli; per questo io devo scegliere tra i migliori insegnamenti quelle verità che sono da raggranellare per il vangelo del regno.
(1767.5) 159:4.3 “Questi scritti sono opera di uomini, alcuni di essi sono uomini santi, altri non così santi. Gli insegnamenti di questi libri rappresentano il punto di vista e il grado d’illuminazione dei tempi in cui hanno avuto origine. Come rivelazione della verità, gli ultimi sono più attendibili dei primi. Le Scritture sono erronee ed interamente di origine umana, ma attenzione, esse costituiscono la migliore raccolta di saggezza religiosa e di verità spirituale che si possa trovare oggi in tutto il mondo.
(1767.6) 159:4.4 “Molti di questi libri non sono stati scritti dalle persone di cui portano il nome, ma ciò non infirma in alcun modo il valore delle verità che contengono. Se la storia di Giona non fosse un fatto, ed anche se Giona non fosse mai vissuto, le profonde verità di questo racconto, l’amore di Dio per Ninive e per i cosiddetti pagani, non sarebbero meno preziosi agli occhi di tutti coloro che amano i loro simili. Le Scritture sono sacre perché presentano i pensieri e gli atti di uomini che cercavano Dio e che hanno lasciato in questi scritti la registrazione dei loro concetti più elevati della rettitudine, della verità e della santità. Le Scritture contengono molte, moltissime cose vere, ma alla luce del vostro attuale insegnamento voi sapete che questi scritti contengono anche molte cose che presentano in modo falsato il Padre che è nei cieli, il Dio amorevole che io sono venuto a rivelare a tutti i mondi.
(1768.1) 159:4.5 “Natanaele, non permettere a te stesso per un solo istante di credere al racconto delle Scritture che dice che il Dio d’amore ordinò ai tuoi antenati di andare in battaglia per massacrare tutti i loro nemici — uomini, donne e bambini. Questi racconti sono parole di uomini, di uomini non proprio santi, e non sono la parola di Dio. Le Scritture hanno sempre riflettuto, e rifletteranno sempre, lo status intellettuale, morale e spirituale di coloro che le hanno create. Non hai notato che i concetti di Yahweh crescono in bellezza ed in gloria via via che le scritture dei profeti procedono da Samuele ad Isaia? E ti dovresti ricordare che le Scritture sono destinate all’istruzione religiosa e alla guida spirituale. Esse non sono opera di storici o di filosofi.
(1768.2) 159:4.6 “La cosa più deplorevole non è soltanto questa idea errata della perfezione assoluta del contenuto delle Scritture e dell’infallibilità dei loro insegnamenti, ma piuttosto la confusione dovuta all’errata interpretazione di questi scritti sacri da parte degli Scribi e dei Farisei di Gerusalemme schiavi della tradizione. Ed ora essi utilizzeranno sia la dottrina dell’ispirazione delle Scritture che le loro false interpretazioni delle stesse nel loro sforzo risoluto di opporsi a questi nuovi insegnamenti del vangelo del regno. Natanaele, non dimenticare mai che il Padre non limita la rivelazione della verità ad una sola generazione o ad un solo popolo. Molti sinceri cercatori della verità sono stati, e continueranno ad essere, confusi e scoraggiati da queste dottrine della perfezione delle Scritture.
(1768.3) 159:4.7 “L’autorità della verità è lo spirito stesso che impregna le sue manifestazioni viventi, e non le parole morte degli uomini meno illuminati e ritenuti ispirati di un’altra generazione. Ed anche se questi uomini santi di un tempo hanno vissuto delle vite ispirate e ripiene di spirito, ciò non significa che le loro parole siano altrettanto spiritualmente ispirate. Oggi noi non facciamo alcuna trascrizione degli insegnamenti di questo vangelo del regno per timore che, dopo la mia partenza, non vi dividiate rapidamente in vari gruppi che si contendono la verità a causa della diversità della vostra interpretazione dei miei insegnamenti. Per questa generazione è meglio che noi viviamo queste verità evitando di metterle per iscritto.
(1768.4) 159:4.8 “Prendi bene nota delle mie parole, Natanaele; niente di ciò che la natura umana ha toccato può essere considerato infallibile. Attraverso la mente dell’uomo la verità divina può brillare veramente, ma sempre con una purezza relativa e una divinità parziale. La creatura può anelare all’infallibilità, ma solo i Creatori la posseggono.
(1768.5) 159:4.9 “Ma il più grande errore dell’insegnamento sulle Scritture è la dottrina che le presenta come dei libri sigillati di mistero e di saggezza che soltanto le menti sapienti della nazione osano interpretare. Le rivelazioni della verità divina non sono sigillate che per l’ignoranza umana, la bigotteria e la gretta intolleranza. La luce delle Scritture è solo indebolita dal pregiudizio ed oscurata dalla superstizione. Una falsa paura della sacralità ha impedito alla religione di essere salvaguardata dal senso comune. La paura dell’autorità degli scritti sacri del passato impedisce efficacemente alle anime oneste di oggi di accettare la nuova luce del vangelo, la luce che questi stessi uomini che conoscevano Dio di una generazione precedente desideravano così intensamente vedere.
(1769.1) 159:4.10 “Ma l’aspetto peggiore di tutto ciò è il fatto che taluni insegnanti della santità di questo tradizionalismo conoscono questa stessa verità. Essi comprendono più o meno pienamente questi limiti delle Scritture, ma sono dei codardi morali, intellettualmente disonesti. Essi conoscono la verità riguardo agli scritti sacri, ma preferiscono nascondere al popolo tali fatti inquietanti. E così pervertono e distorcono le Scritture, facendone una guida per i dettagli servili della vita quotidiana ed un’autorità nelle cose non spirituali, invece di fare appello agli scritti sacri in quanto deposito della saggezza morale, dell’ispirazione religiosa e dell’insegnamento spirituale degli uomini che conoscevano Dio delle generazioni precedenti.”
(1769.2) 159:4.11 Natanaele fu illuminato, e sconvolto, dalle dichiarazioni del Maestro. Egli meditò a lungo questo colloquio nel profondo della sua anima, ma non raccontò a nessuno di questo incontro fino a dopo l’ascensione di Gesù; ed anche allora egli ebbe timore di rivelare il racconto completo dell’istruzione del Maestro.
(1769.3) 159:5.1 A Filadelfia, dove stava lavorando Giacomo, Gesù istruì i discepoli sulla natura positiva del vangelo del regno. Quando nel corso delle sue osservazioni egli indicò che alcune parti delle Scritture contenevano più verità di altre e raccomandò ai suoi ascoltatori di nutrire la loro anima con il meglio del cibo spirituale, Giacomo interruppe il Maestro chiedendo: “Maestro, avresti la bontà di suggerirci come possiamo scegliere i passaggi migliori dalle Scritture per la nostra edificazione personale?” E Gesù rispose: “Sì, Giacomo, quando leggi le Scritture cerca quegli insegnamenti eternamente veri e divinamente belli, quali:
(1769.4) 159:5.2 “Crea in me un cuore puro, o Signore.
(1769.5) 159:5.3 “Il Signore è il mio pastore; non mancherò di nulla.
(1769.6) 159:5.4 “Dovresti amare il prossimo tuo come te stesso.
(1769.7) 159:5.5 “Perché io, il Signore Dio tuo, terrò la tua mano destra dicendo: non aver paura; io ti aiuterò.
(1769.8) 159:5.6 “Né le nazioni impareranno più a fare la guerra.”
(1769.9) 159:5.7 Ciò è indicativo della maniera in cui Gesù, giorno dopo giorno, si appropriava della crema delle Scritture ebraiche per istruire i suoi discepoli e per includerla negli insegnamenti del nuovo vangelo del regno. Altre religioni avevano sostenuto l’idea della vicinanza di Dio all’uomo, ma Gesù presentò l’attenzione di Dio per l’uomo come simile alla sollecitudine di un padre amorevole per il benessere dei suoi figli che dipendono da lui, e fece poi di questo insegnamento la pietra angolare della sua religione. E così la dottrina della paternità di Dio rese imperativa la pratica della fratellanza degli uomini. L’adorazione di Dio e il servizio degli uomini divennero la somma e la sostanza della sua religione. Gesù prese il meglio della religione ebraica e lo trasferì in una degna collocazione nei nuovi insegnamenti del vangelo del regno.
(1769.10) 159:5.8 Gesù introdusse lo spirito d’azione positiva nelle dottrine passive della religione ebraica. In luogo di una sottomissione negativa alle esigenze cerimoniali, Gesù prescrisse di fare positivamente ciò che la sua nuova religione richiedeva a coloro che l’accettavano. La religione di Gesù non consisteva semplicemente nel credere, ma nel fare realmente quelle cose che il vangelo richiedeva. Egli non insegnava che l’essenza della sua religione consisteva nel servizio sociale, ma piuttosto che il servizio sociale era uno degli effetti certi del possesso dello spirito della vera religione.
(1770.1) 159:5.9 Gesù non esitò ad appropriarsi della metà migliore di una Scrittura ripudiando la parte meno importante. La sua grande esortazione: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, la prese dalla Scrittura che dice: “Non ti vendicherai contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso.” Gesù si appropriò della parte positiva di questa Scrittura e rifiutò la parte negativa. Egli si oppose anche alla non resistenza negativa o puramente passiva. Egli disse: “Quando un nemico ti colpisce su una guancia, non restare zitto e passivo, ma con atteggiamento positivo porgigli l’altra; cioè, fai attivamente del tuo meglio per portare tuo fratello che è nell’errore dai cattivi sentieri nelle vie migliori del retto vivere.” Gesù chiese ai suoi discepoli di reagire positivamente e dinamicamente ad ogni situazione della vita. Il fatto di porgere l’altra guancia, o qualunque atto che può simboleggiarlo, richiede iniziativa, necessita di un’espressione vigorosa, attiva e coraggiosa della personalità del credente.
(1770.2) 159:5.10 Gesù non sosteneva la pratica di una sottomissione negativa agli oltraggi di coloro che potevano cercare intenzionalmente di approfittare dei praticanti la non resistenza al male, ma piuttosto che i suoi discepoli fossero saggi e vigilanti nella reazione rapida e positiva del bene verso il male al fine di poter effettivamente trionfare sul male con il bene. Non dimenticate che il vero bene è invariabilmente più potente del male più cattivo. Il Maestro insegnò un modello positivo di rettitudine: “Chiunque desidera essere mio discepolo non si curi di se stesso ed assuma la piena misura delle sue responsabilità quotidiane per seguirmi.” E ne diede l’esempio egli stesso “andando in giro facendo del bene”. Questo aspetto del vangelo fu bene illustrato da molte parabole che egli raccontò più tardi ai suoi discepoli. Egli non esortò mai i suoi discepoli a sopportare pazientemente i loro obblighi, ma piuttosto a vivere con energia ed entusiasmo la piena misura delle loro responsabilità umane e dei loro privilegi divini nel regno di Dio.
(1770.3) 159:5.11 Quando Gesù insegnò ai suoi apostoli che offrissero anche la tunica se avessero ingiustamente tolto loro il mantello, non si riferiva tanto ad una letterale seconda veste, quanto all’idea di fare qualcosa di positivo per salvare il malfattore, invece del vecchio consiglio di rivalersi — “occhio per occhio” e così via. Gesù aborriva l’idea sia della rappresaglia che di divenire soltanto un sofferente passivo o una vittima dell’ingiustizia. In questa occasione egli insegnò loro le tre maniere di lottare contro il male e di resistergli:
(1770.4) 159:5.12 1. Rendere il male per il male — il metodo positivo ma ingiusto.
(1770.5) 159:5.13 2. Sopportare il male senza lamentarsi né resistere — il metodo puramente negativo.
(1770.6) 159:5.14 3. Rendere il bene per il male, affermare la propria volontà in modo da dominare la situazione, da trionfare sul male con il bene — il metodo positivo e giusto.
(1770.7) 159:5.15 Uno degli apostoli chiese una volta: “Maestro, che cosa dovrei fare se uno straniero mi obbligasse a portare il suo bagaglio per un miglio?” Gesù rispose: “Non sederti e non desiderare di riposarti mentre rimproveri sottovoce lo straniero. La rettitudine non scaturisce da questi atteggiamenti passivi. Se non riesci a pensare a nulla di più efficacemente positivo da fare, puoi almeno portare il bagaglio per un secondo miglio. Ciò metterà certamente in difficoltà lo straniero ingiusto ed empio.”
(1770.8) 159:5.16 Gli Ebrei avevano sentito parlare di un Dio che avrebbe perdonato i peccatori che si pentono e cercato di dimenticare i loro misfatti, ma mai prima della venuta di Gesù gli uomini avevano sentito parlare di un Dio che andava alla ricerca delle pecore smarrite, che prendeva l’iniziativa di cercare i peccatori e che gioiva quando li trovava disposti a ritornare alla casa del Padre. Questa nota positiva della religione di Gesù si estendeva anche alle sue preghiere. Egli trasformò la regola d’oro negativa in un’esortazione positiva di equità umana.
(1771.1) 159:5.17 In tutto il suo insegnamento Gesù eliminò immancabilmente i dettagli che distraevano. Rifuggì dal linguaggio fiorito ed evitò le immagini puramente poetiche del gioco di parole. Egli poneva generalmente grandi significati in piccole espressioni. A titolo esemplificativo, Gesù capovolse i significati correnti di molti termini quali sale, lievito, pesca e bambini. Egli impiegò molto efficacemente l’antitesi, paragonando il minuscolo all’infinito e così via. Le sue raffigurazioni erano sorprendenti, come “il cieco che conduce il cieco”. Ma la forza più grande che si trova nel suo insegnamento illustrativo era la sua naturalezza. Gesù portò la filosofia della religione dal cielo sulla terra. Delineò i bisogni elementari dell’anima da una nuova prospettiva e con una nuova donazione di affetto.
(1771.2) 159:6.1 La missione di quattro settimane nella Decapoli ebbe un successo moderato. Centinaia di anime furono accolte nel regno, e gli apostoli e gli evangelisti acquisirono un’esperienza preziosa portando avanti la loro opera senza l’ispirazione della presenza personale immediata di Gesù.
(1771.3) 159:6.2 Venerdì 16 settembre l’intero corpo di operatori si riunì al Parco di Magadan come precedentemente convenuto. Nel giorno di sabato ci fu un consiglio di più di cento credenti in cui furono studiati a fondo i piani futuri per estendere l’opera del regno. I messaggeri di Davide erano presenti e fecero dei rapporti sulla situazione dei credenti in Giudea, in Samaria, in Galilea e nei distretti limitrofi.
(1771.4) 159:6.3 In quest’epoca pochi discepoli di Gesù apprezzavano pienamente il grande valore dei servizi del corpo dei messaggeri. I messaggeri non solo mantenevano i credenti di tutta la Palestina in contatto l’uno con l’altro e con Gesù e gli apostoli, ma durante questi giorni difficili servivano anche da raccoglitori di fondi, non solo per il sostentamento di Gesù e dei suoi associati, ma anche per il supporto delle famiglie dei dodici apostoli e dei dodici evangelisti.
(1771.5) 159:6.4 In questo periodo Abner spostò la sua base d’operazioni da Hebron a Betlemme, e quest’ultimo luogo era anche il quartier generale in Giudea per i messaggeri di Davide. Davide manteneva un servizio di collegamento notturno di messaggeri tra Gerusalemme e Betsaida. Questi corrieri partivano da Gerusalemme ogni sera, dandosi il cambio a Sicar e a Scitopoli, e arrivavano a Betsaida il mattino successivo all’ora di colazione.
(1771.6) 159:6.5 Gesù e i suoi associati si prepararono ora a prendersi una settimana di riposo prima di affrontare l’ultima fase della loro opera a favore del regno. Questo fu il loro ultimo periodo di riposo, poiché la missione in Perea divenne una campagna di predicazione e d’insegnamento che si estese fino al momento del loro arrivo a Gerusalemme e dell’attuazione degli episodi finali della carriera terrena di Gesù.
(1772.1) 160:0.1 DOMENICA mattina 18 settembre, Andrea annunciò che non sarebbe stato programmato alcun lavoro per la settimana seguente. Tutti gli apostoli, eccetto Natanaele e Tommaso, andarono a far visita alle loro famiglie o a soggiornare con amici. In questa settimana Gesù godette di un periodo di riposo quasi completo, ma Natanaele e Tommaso furono molto occupati nelle loro discussioni con un filosofo greco di Alessandria di nome Rodano. Questo Greco era divenuto recentemente un discepolo di Gesù grazie all’insegnamento di un associato di Abner che aveva condotto una missione ad Alessandria. Rodano era ora seriamente impegnato nel compito di armonizzare la sua filosofia di vita con i nuovi insegnamenti religiosi di Gesù, ed era venuto a Magadan nella speranza che il Maestro discutesse questi problemi con lui. Egli desiderava anche ottenere una versione di prima mano ed autorevole del vangelo da Gesù o da uno dei suoi apostoli. Anche se il Maestro rifiutò d’intavolare una simile discussione con Rodano, lo ricevette con gentilezza e ordinò immediatamente a Natanaele e a Tommaso di ascoltare tutto ciò che aveva da dire e che a loro volta gli parlassero del vangelo.
(1772.2) 160:1.1 Lunedì mattina presto Rodano iniziò una serie di dieci incontri con Natanaele, Tommaso ed un gruppo di circa due dozzine di credenti che si trovavano a Magadan. Queste conversazioni, condensate, riunite e riesposte in linguaggio moderno, offrono alla nostra considerazione i pensieri seguenti:
(1772.3) 160:1.2 La vita umana consiste in tre grandi spinte — gli impulsi, i desideri e le attrazioni. Un carattere forte, una personalità dominante, si acquisisce soltanto convertendo l’impulso naturale della vita nell’arte di vivere in società, trasformando i desideri immediati in quelle aspirazioni superiori che consentono delle realizzazioni durevoli, mentre l’ordinaria attrazione dell’esistenza deve essere trasferita dalle proprie idee convenzionali e stabilite ai regni più elevati delle idee inesplorate e degli ideali non scoperti.
(1772.4) 160:1.3 Più la civiltà diviene complessa, più l’arte di vivere diverrà difficile. Più sono rapidi i cambiamenti negli usi sociali, più diverrà complicato il compito di sviluppare il carattere. Affinché il progresso continui, ogni dieci generazioni l’umanità deve imparare di nuovo l’arte di vivere. E se l’uomo diviene così ingegnoso da accrescere più rapidamente le complessità della società, l’arte di vivere dovrà essere nuovamente appresa ad intervalli minori, forse ad ogni singola generazione. Se l’evoluzione dell’arte di vivere non riesce a tenere il passo con la tecnica dell’esistenza, l’umanità ritornerà rapidamente al semplice istinto di vivere — al raggiungimento della soddisfazione dei desideri immediati. Così l’umanità resterà immatura; la società non riuscirà a raggiungere la piena maturità.
(1773.1) 160:1.4 La maturità sociale è equivalente al grado in cui l’uomo accetta di rinunciare alla gratificazione dei suoi desideri meramente transitori e momentanei a favore di quelle aspirazioni superiori, la cui realizzazione attraverso lo sforzo procura le soddisfazioni più abbondanti di avanzamento progressivo verso scopi permanenti. Ma il segno certo della maturità sociale è la volontà di un popolo a rinunciare al diritto di vivere in pace ed appagato secondo le comode regole dell’attrazione delle credenze stabilite e delle idee convenzionali, a favore del richiamo inquietante e spossante della ricerca delle possibilità inesplorate per il raggiungimento di mete non scoperte di realtà spirituali idealistiche.
(1773.2) 160:1.5 Gli animali rispondono nobilmente agli impulsi della vita, ma solo l’uomo può raggiungere l’arte di vivere, benché la maggior parte dell’umanità provi soltanto l’istinto animale di vivere. Gli animali conoscono solo questo impulso cieco ed istintivo; l’uomo è capace di trascendere questo impulso di funzione naturale. L’uomo può scegliere di vivere sul piano elevato dell’arte intelligente, anche su quello della gioia celeste e dell’estasi spirituale. Gli animali non indagano sui propositi della vita; perciò non si preoccupano mai, né si suicidano. Presso gli uomini il suicidio testimonia che tali esseri sono emersi dallo stadio dell’esistenza puramente animale, ed inoltre che gli sforzi esplorativi di tali esseri umani per raggiungere i livelli artistici dell’esperienza mortale sono falliti. Gli animali non conoscono il significato della vita; l’uomo non solo possiede la capacità di riconoscere i valori e di comprendere i significati, ma è anche cosciente del significato dei significati — è cosciente del proprio discernimento.
(1773.3) 160:1.6 Quando gli uomini osano rinunciare ad una vita d’intensi desideri naturali per una vita d’arte avventurosa e di logica incerta, devono prevedere di sopportare i rischi conseguenti d’incidenti emotivi — conflitti, dispiaceri ed incertezze — almeno fino a quando non abbiano raggiunto un certo grado di maturità intellettuale ed emotiva. Lo scoraggiamento, la preoccupazione e l’indolenza sono un segno evidente dell’immaturità morale. La società umana è posta di fronte a due problemi: il raggiungimento della maturità dell’individuo ed il raggiungimento della maturità della razza. L’essere umano maturo comincia subito a guardare tutti gli altri mortali con sentimenti di tenerezza e con spirito di tolleranza. Gli uomini maturi trattano le persone immature con l’amore e la considerazione che i genitori nutrono per i loro figli.
(1773.4) 160:1.7 La riuscita nella vita non è né più né meno che l’arte di dominare le tecniche affidabili per risolvere problemi ordinari. Il primo passo nella soluzione di un problema consiste nell’individuare la difficoltà, isolare il problema e riconoscere francamente la sua natura e la sua gravità. Il grande errore è che, quando i problemi della vita suscitano le nostre paure profonde, noi rifiutiamo di riconoscerli. Similmente, quando il riconoscimento delle nostre difficoltà comporta la diminuzione della nostra presunzione a lungo accarezzata, o l’ammissione dell’invidia o l’abbandono di pregiudizi profondamente radicati, la persona comune preferisce aggrapparsi alle vecchie illusioni di salvezza e ai falsi sentimenti di sicurezza a lungo coltivati. Solo una persona coraggiosa accetta onestamente di ammettere, e di affrontare intrepidamente, ciò che scopre una mente sincera e logica.
(1773.5) 160:1.8 La soluzione saggia ed efficace di un qualunque problema richiede che la mente sia libera da prevenzioni, da passioni e da tutti gli altri pregiudizi puramente personali che potrebbero interferire nell’analisi imparziale dei fattori reali che costituiscono il problema che si presenta per essere risolto. La soluzione dei problemi della vita richiede coraggio e sincerità. Soltanto gli individui onesti e coraggiosi sono capaci di procedere intrepidamente attraverso il labirinto complicato e confuso della vita nel quale può condurli la logica di una mente intrepida. E questa emancipazione della mente e dell’anima non può mai essere effettuata senza la potente spinta di un entusiasmo intelligente che rasenta lo zelo religioso. È necessaria l’attrazione di un grande ideale per indurre l’uomo a perseguire uno scopo irto di difficili problemi materiali e di numerosi rischi intellettuali.
(1774.1) 160:1.9 Anche se siete efficacemente armati per affrontare le situazioni difficili della vita, non potete sperare di riuscire se non siete dotati di quella saggezza di mente e di quel fascino di personalità che vi consentono di ottenere il sostegno e la cooperazione cordiale dei vostri simili. Non potete sperare in un largo successo sia nel lavoro secolare che religioso se non riuscite ad imparare come persuadere i vostri simili, come convincere gli uomini. Dovete semplicemente avere tatto e tolleranza.
(1774.2) 160:1.10 Ma il migliore di tutti i metodi per risolvere un problema l’ho appreso da Gesù, il vostro Maestro. Mi riferisco a ciò che egli pratica con tanta perseveranza e che vi ha così fedelmente insegnato: la meditazione adoratrice in solitudine. In questa abitudine di Gesù di andarsene così spesso da solo per comunicare con il Padre che è nei cieli risiede la tecnica, non solo per acquisire forza e saggezza per i conflitti ordinari della vita, ma anche per appropriarsi dell’energia per risolvere i problemi più elevati di natura morale e spirituale. Ma anche dei metodi corretti per risolvere i problemi non compenseranno i difetti innati della personalità o l’assenza di fame e di sete per la vera rettitudine.
(1774.3) 160:1.11 Io sono profondamente impressionato dall’abitudine di Gesù di andarsene da solo per impegnarsi in questi periodi di esame solitario dei problemi della vita, per cercare nuove riserve di saggezza e di energia al fine di affrontare le molteplici esigenze del servizio sociale; per ravvivare ed approfondire il proposito supremo della vita sottomettendo effettivamente l’intera personalità alla coscienza del contatto con la divinità; per cercare d’impossessarsi di metodi nuovi e migliori per adattare se stesso alle situazioni sempre mutevoli dell’esistenza vissuta; per effettuare quelle ricostruzioni vitali e quei raggiustamenti delle proprie attitudini personali che sono così essenziali per un accresciuto discernimento di qualunque cosa sia valida e reale; e per fare tutto ciò guardando solo alla gloria di Dio — per sussurrare con sincerità la preghiera favorita del vostro Maestro: “Sia fatta non la mia, ma la tua volontà.”
(1774.4) 160:1.12 Questa pratica di adorazione del vostro Maestro porta quella distensione che rinnova la mente, quella illuminazione che ispira l’anima, quel coraggio che permette di far bravamente fronte ai propri problemi, quella comprensione di sé che cancella la paura debilitante, e quella coscienza dell’unione con la divinità che dota l’uomo della certezza che gli permette di osare di essere simile a Dio. La distensione dell’adorazione, o la comunione spirituale qual è praticata dal Maestro, allevia la tensione, elimina i conflitti ed accresce potentemente le risorse totali della personalità. E tutta questa filosofia, aggiunta al vangelo del regno, costituisce la nuova religione quale io la comprendo.
(1774.5) 160:1.13 Il pregiudizio rende cieca l’anima al riconoscimento della verità, e il pregiudizio può essere rimosso solo dalla devozione sincera dell’anima all’adorazione di una causa che abbraccia tutti e che include tutti i propri simili. Il pregiudizio è inseparabilmente legato all’egoismo. Il pregiudizio può essere eliminato solo abbandonando l’egocentrismo e sostituendolo con la ricerca della soddisfazione di servire una causa che è non solo più grande di se stessi, ma che è anche più grande di tutta l’umanità — la ricerca di Dio, il raggiungimento della divinità. La prova della maturità di una personalità consiste nella trasformazione del desiderio umano, in modo che esso cerchi costantemente la realizzazione di quei valori che sono i più elevati e i più divinamente reali.
(1774.6) 160:1.14 In un mondo in continuo cambiamento, in mezzo ad un ordine sociale in evoluzione, è impossibile mantenere mete di destino fisse e stabilite. La stabilità della personalità può essere sperimentata solo da coloro che hanno scoperto ed accettato il Dio vivente come meta eterna di raggiungimento infinito. E per trasferire così il proprio scopo dal tempo all’eternità, dalla terra al Paradiso, dall’umano al divino, bisogna che l’uomo si rigeneri, si converta, nasca a nuova vita, che diventi il figlio ricreato dello spirito divino, che ottenga di entrare nella fraternità del regno dei cieli. Tutte le filosofie e le religioni che non raggiungono questi ideali sono immature. La filosofia che io insegno, unita al vangelo che voi predicate, rappresenta la nuova religione della maturità, l’ideale di tutte le generazioni future. E ciò è vero perché il nostro ideale è finale, infallibile, eterno, universale, assoluto ed infinito.
(1775.1) 160:1.15 La mia filosofia mi ha fornito l’impulso di cercare le realtà del vero compimento, lo scopo della maturità. Ma il mio impulso era impotente, la mia ricerca mancava di forza propulsiva, la mia investigazione soffriva della mancanza di certezza di orientamento. E queste deficienze sono state abbondantemente compensate da questo nuovo vangelo di Gesù, con la sua migliorata visione, con la sua elevazione d’ideali e con la sua stabilità di scopi. Senza più dubbi ed esitazioni io posso ora affrontare apertamente l’avventura eterna.
(1775.2) 160:2.1 Vi sono due soli modi in cui i mortali possono vivere insieme: il modo materiale o animale e il modo spirituale o umano. Mediante l’impiego di segnali e di suoni gli animali sono in grado di comunicare tra di loro in misura limitata. Ma tali forme di comunicazione non trasmettono significati, valori o idee. L’unica differenza tra l’uomo e l’animale è che l’uomo può comunicare con i suoi simili per mezzo di simboli che designano e identificano con maggiore certezza significati, valori, idee ed anche ideali.
(1775.3) 160:2.2 Poiché gli animali non possono comunicare idee gli uni con gli altri, non possono sviluppare una personalità. L’uomo sviluppa la personalità perché può comunicare con i suoi simili in merito alle sue idee ed ai suoi ideali.
(1775.4) 160:2.3 È questa capacità di comunicare e di condividere i significati che costituisce la cultura umana e che permette all’uomo, attraverso le associazioni sociali, di costruire delle civiltà. La conoscenza e la saggezza divengono cumulative per la capacità dell’uomo di comunicare queste acquisizioni alle generazioni successive. Da ciò nascono le attività culturali della razza: arte, scienza, religione e filosofia.
(1775.5) 160:2.4 La comunicazione tra esseri umani mediante simboli predetermina la formazione di gruppi sociali. Il più efficace di tutti i gruppi sociali è la famiglia, e più particolarmente i due genitori. L’affetto personale è il legame spirituale che tiene unite queste associazioni materiali. Una tale relazione efficace è anche possibile tra due persone dello stesso sesso, com’è abbondantemente dimostrato nei rapporti di amicizia autentica.
(1775.6) 160:2.5 Queste associazioni di amicizia e di affetto reciproco sono socializzanti e nobilitanti perché incoraggiano e favoriscono i seguenti fattori essenziali dei livelli superiori dell’arte di vivere:
(1775.7) 160:2.6 1. Una reciproca autoespressione ed autocomprensione. Molti nobili impulsi umani si spengono perché non c’è nessuno che ascolta la loro espressione. In verità non è bene che l’uomo sia solo. Un certo grado di riconoscimento ed una certa quantità di apprezzamento sono essenziali allo sviluppo del carattere umano. Senza l’amore sincero di una famiglia nessun bambino può raggiungere il pieno sviluppo di un carattere normale. Il carattere è qualcosa di più della sola mente e della sola morale. Di tutte le relazioni sociali che si ritiene sviluppino il carattere, la più efficace e ideale è l’amicizia affettuosa e comprensiva di un uomo e di una donna nel mutuo legame di un vincolo coniugale intelligente. Il matrimonio, con le sue molteplici relazioni, è il più indicato per far scaturire quegli impulsi preziosi e quei motivi superiori che sono indispensabili allo sviluppo di un carattere forte. Io non esito quindi a glorificare la vita di famiglia, perché il vostro Maestro ha saggiamente scelto la relazione padre-figlio come la vera pietra angolare di questo nuovo vangelo del regno. Ed una tale comunità ineguagliabile di relazioni, un uomo e una donna nell’amorevole abbraccio degli ideali più elevati del tempo, è un’esperienza così preziosa e soddisfacente che vale qualunque prezzo, qualunque sacrificio, richiesto per il suo possesso.
(1776.1) 160:2.7 2. L’unione delle anime — la mobilitazione della saggezza. Ogni essere umano acquisisce presto o tardi un certo concetto di questo mondo ed una certa visione di quello successivo. Ora è possibile, mediante un’associazione di personalità, unire questi punti di vista dell’esistenza temporale e delle prospettive eterne. La mente dell’una accresce così i suoi valori spirituali acquisendo molto della percezione dell’altra. In questo modo gli uomini arricchiscono l’anima mettendo in comune le loro rispettive doti spirituali. Similmente, in questo stesso modo, l’uomo è in grado di evitare quella tendenza sempre presente di cadere vittima di visioni distorte, di punti di vista pregiudizievoli e di ristrettezza di giudizio. La paura, l’invidia e la vanità possono essere evitate soltanto dall’intimo contatto con altre menti. Io richiamo la vostra attenzione sul fatto che il Maestro non vi manda mai da soli a lavorare per l’espansione del regno; vi manda sempre a due a due. E poiché la saggezza è superconoscenza, ne consegue che nell’unione della saggezza il gruppo sociale, piccolo o grande, condivide reciprocamente tutta la conoscenza.
(1776.2) 160:2.8 3. L’entusiasmo per la vita. L’isolamento tende ad esaurire la carica d’energia dell’anima. L’associazione con i propri simili è essenziale per rinnovare il gusto per la vita ed è indispensabile per conservare il coraggio di condurre quelle battaglie che sono conseguenti all’ascesa a livelli superiori della vita umana. L’amicizia eleva le gioie e glorifica i trionfi della vita. Le associazioni umane amichevoli ed intime tendono ad eliminare la sofferenza delle sue pene e le difficoltà di molte delle sue amarezze. La presenza di un amico eleva ogni bellezza ed esalta ogni bontà. Per mezzo di simboli intelligenti l’uomo può vivificare ed allargare le capacità di apprezzamento dei suoi amici. Una delle glorie supreme dell’amicizia umana è questo potere e questa possibilità dello stimolo reciproco dell’immaginazione. Un grande potere spirituale è insito nella coscienza della devozione sincera ad una causa comune, della mutua fedeltà ad una Deità cosmica.
(1776.3) 160:2.9 4. L’accresciuta difesa contro ogni male. L’associazione di personalità e l’affetto reciproco sono un’efficace assicurazione contro il male. Le difficoltà, i dispiaceri, le delusioni e le sconfitte sono più dolorose e scoraggianti quando sono sopportate da soli. L’associazione non trasforma il male in rettitudine, ma aiuta grandemente ad attenuarne il tormento. Il vostro Maestro ha detto: “Beati quelli che sono nel dolore” — se un amico è là per consolarli. C’è una forza positiva nella conoscenza che vivete per il benessere degli altri, e che questi altri vivono similmente per il vostro benessere ed il vostro avanzamento. L’uomo languisce nell’isolamento. Gli esseri umani si scoraggiano infallibilmente quando guardano soltanto alle transazioni transitorie del tempo. Il presente, quando è separato dal passato e dal futuro, diviene di una banalità esasperante. Un semplice sguardo al cerchio dell’eternità può ispirare l’uomo a fare del suo meglio e può sfidare il meglio che c’è in lui a fare il massimo. E quando l’uomo è così al suo meglio, vive più disinteressatamente per il bene degli altri, dei suoi simili che soggiornano nel tempo e nell’eternità.
(1777.1) 160:2.10 Ripeto, questa associazione ispirante e nobilitante trova le sue possibilità ideali nella relazione umana del matrimonio. È vero, molto si ottiene fuori del matrimonio, e molti, moltissimi matrimoni non riescono affatto a produrre questi frutti morali e spirituali. Troppo spesso il matrimonio è affrontato da coloro che cercano altri valori che sono inferiori a queste unioni superiori di maturità umana. Il matrimonio ideale deve essere fondato su qualcosa di più stabile delle fluttuazioni del sentimento e dell’incostanza della semplice attrazione sessuale; deve essere basato su una devozione personale sincera e reciproca. E così, se si possono costruire tali piccole unità fidate ed efficaci di associazione umana, quando queste sono riunite insieme, il mondo diverrà una grande e glorificata struttura sociale, la civiltà della maturità mortale. Una tale razza potrebbe cominciare a realizzare qualcosa dell’ideale del vostro Maestro di “pace in terra e buona volontà tra gli uomini”. Anche se una tale società non fosse perfetta o interamente priva di male, si avvicinerebbe almeno alla stabilizzazione della maturità.
(1777.2) 160:3.1 Lo sforzo per raggiungere la maturità necessita di lavoro, ed il lavoro richiede energia. Da dove viene il potere di compiere tutto ciò? Si possono considerare acquisiti i fattori fisici, ma il Maestro ha ben detto che “l’uomo non può vivere di solo pane”. Ammesso il possesso di un corpo normale e di una salute ragionevolmente buona, bisogna poi cercare le attrattive che agiranno da stimolo per far scaturire le forze spirituali sopite dell’uomo. Gesù ci ha insegnato che Dio vive nell’uomo; allora come possiamo indurre l’uomo a liberare questi poteri di divinità e d’infinità legati all’anima? Come indurremo gli uomini a consentire che Dio possa venire a ristorare la nostra anima al suo passaggio, servendo inoltre al proposito d’illuminare, elevare e benedire innumerevoli altre anime? Come posso io risvegliare meglio questi benèfici poteri latenti che dormono nella vostra anima? Di una cosa sono certo: l’eccitazione emotiva non è lo stimolo spirituale ideale. L’eccitazione non accresce l’energia; essa esaurisce piuttosto i poteri sia della mente che del corpo. Da dove viene allora l’energia che compie queste grandi cose? Osservate il vostro Maestro. Anche ora è sulle colline a recuperare forza mentre noi siamo qui a consumare energia. Il segreto di tutto questo problema è racchiuso nella comunione spirituale, nell’adorazione. Dal punto di vista umano è una questione di meditazione e di riposo congiunti. La meditazione stabilisce il contatto della mente con lo spirito; la distensione determina la capacità per la ricettività spirituale. E questo cambio dalla forza alla debolezza, dal coraggio alla paura, dalla volontà di Dio alle proprie intenzioni, costituisce l’adorazione. Quantomeno questo è il punto di vista del filosofo.
(1777.3) 160:3.2 Quando queste esperienze sono frequentemente ripetute, si cristallizzano in abitudini, in abitudini di adorazione che infondono energia, e tali abitudini si traducono alla fine in un carattere spirituale, ed un tale carattere è infine riconosciuto dai propri simili come una personalità matura. All’inizio queste pratiche sono difficili e prendono molto tempo, ma quando divengono abituali procurano sia riposo che risparmio di tempo. Più la società diviene complessa e le attrattive della civiltà si moltiplicano, più diverrà urgente la necessità per gli individui che conoscono Dio di costituire queste pratiche protettive abituali destinate a conservare e ad accrescere le loro energie spirituali.
(1778.1) 160:3.3 Un altro requisito per il raggiungimento della maturità è l’adattamento cooperativo dei gruppi sociali ad un ambiente in continuo cambiamento. L’individuo immaturo suscita l’antagonismo dei suoi simili; l’uomo maturo ottiene la collaborazione cordiale dei suoi associati, cosa che moltiplica considerevolmente i frutti degli sforzi della sua vita.
(1778.2) 160:3.4 La mia filosofia mi dice che vi sono dei momenti in cui io devo combattere, se ce n’è bisogno, per difendere il mio concetto di rettitudine, ma io non dubito che il Maestro, con un tipo più maturo di personalità, conquisterebbe facilmente e con grazia un’uguale vittoria con la sua tecnica superiore e seducente di tatto e di tolleranza. Troppo spesso, quando si lotta per una buona causa, finisce che escono sconfitti sia il vincitore che il vinto. Soltanto ieri ho udito il Maestro dire che “un uomo saggio, quando cerca di entrare per una porta chiusa, non distrugge la porta, ma cerca piuttosto la chiave con cui aprirla”. Troppo spesso noi ingaggiamo una battaglia semplicemente per convincere noi stessi che non abbiamo paura.
(1778.3) 160:3.5 Questo nuovo vangelo del regno rende un grande servizio all’arte di vivere, nel senso che fornisce un incentivo nuovo e più ricco per una vita superiore. Esso presenta una meta di destino nuova e più elevata, un proposito di vita supremo. E questi nuovi concetti del fine eterno e divino dell’esistenza sono in se stessi degli stimoli trascendenti che suscitano la reazione di quanto risiede di meglio nella natura superiore dell’uomo. Su ogni vetta del pensiero intellettuale si trova distensione per la mente, forza per l’anima e comunione per lo spirito. Da questa posizione vantaggiosa di vita superiore l’uomo può trascendere le irritazioni materiali dei livelli inferiori della mente — preoccupazione, gelosia, invidia, vendetta e l’orgoglio di una personalità immatura. Queste anime che salgono in alto si liberano da una moltitudine di conflitti ricorrenti per le piccole cose della vita, divenendo così libere di prendere coscienza delle correnti superiori di concetti spirituali e di comunicazioni celesti. Ma il proposito della vita deve essere gelosamente preservato dalla tentazione di cercare realizzazioni facili e transitorie; similmente deve essere sostenuto in modo da renderlo immune dalle disastrose minacce del fanatismo.
(1778.4) 160:4.1 Pur mirando unicamente al raggiungimento delle realtà eterne, dovete anche provvedere alle necessità della vita temporale. Benché lo spirito sia la nostra meta, la carne è un fatto. Occasionalmente il necessario per vivere può caderci in mano per caso, ma generalmente dobbiamo lavorare con intelligenza per procurarcelo. I due problemi maggiori della vita sono: vivere una vita temporale e raggiungere la sopravvivenza eterna. Ed anche il problema di guadagnarsi da vivere richiede la religione per la sua soluzione ideale. Questi sono entrambi dei problemi altamente personali. La vera religione, infatti, non funziona al di fuori dell’individuo.
(1778.5) 160:4.2 I fattori essenziali della vita temporale, quali io li vedo, sono:
(1778.6) 160:4.3 1. Buona salute fisica.
(1778.7) 160:4.4 2. Mente chiara e pura.
(1778.8) 160:4.5 3. Capacità e perizia.
(1778.9) 160:4.6 4. Ricchezza — i beni della vita.
(1778.10) 160:4.7 5. Capacità di resistere alle sconfitte.
(1778.11) 160:4.8 6. Cultura — istruzione e saggezza.
(1779.1) 160:4.9 Anche i problemi fisici di salute e di efficienza corporale si risolvono meglio quando sono considerati dal punto di vista religioso dell’insegnamento del nostro Maestro: che il corpo e la mente dell’uomo sono la dimora del dono degli Dei, lo spirito di Dio che diviene lo spirito dell’uomo. La mente dell’uomo diviene allora il mediatore tra le cose materiali e le realtà spirituali.
(1779.2) 160:4.10 Ci vuole intelligenza per assicurarsi la propria parte delle cose desiderabili della vita. È totalmente errato supporre che la fedeltà nel fare il proprio lavoro quotidiano assicurerà la ricompensa della ricchezza. A parte l’acquisizione occasionale e accidentale di ricchezza, le ricompense materiali della vita temporale scorrono in certi canali bene organizzati, e solo coloro che hanno accesso a questi canali possono aspettarsi di essere ben remunerati per i loro sforzi temporali. La povertà sarà sempre la sorte di tutti gli uomini che cercano la ricchezza in canali isolati e individuali. Una saggia pianificazione, perciò, diviene la sola cosa essenziale per la prosperità nel mondo. Il successo richiede non solo dedizione al proprio lavoro, ma anche che si funzioni come parte di qualcuno dei canali della ricchezza materiale. Se non siete saggi, potete dedicare una vita devota alla vostra generazione senza una ricompensa materiale; se siete un beneficiario casuale del flusso di ricchezza, potete vivere nel lusso senza aver fatto niente di utile per i vostri simili.
(1779.3) 160:4.11 L’abilità è ciò che si eredita, mentre la perizia è ciò che si acquisisce. La vita non è reale per chi non sa far nulla bene, espertamente. La perizia è una delle fonti reali di soddisfazione nella vita. L’abilità implica il dono della perspicacia, della lungimiranza. Non lasciatevi ingannare dalla tentazione dei vantaggi di atti disonesti; accettate di lavorare per ricompense successive inerenti ad uno sforzo onesto. Il saggio sa distinguere tra mezzi e fini; d’altronde, l’eccessiva pianificazione per il futuro contrasta talvolta il suo stesso proposito elevato. Se cercate il piacere, dovreste sempre mirare a produrne quanto a consumarne.
(1779.4) 160:4.12 Esercitate la vostra memoria a conservare come in un sacro deposito gli episodi della vita fortificanti e meritevoli, che potete ricordare all’occasione per il vostro piacere e la vostra edificazione. Costruite così per voi stessi ed in voi stessi delle gallerie come riserva di bellezza, di bontà e di grandezza artistica. Ma i ricordi più nobili sono le reminiscenze gelosamente custodite dei grandi momenti di una splendida amicizia. E tutti questi tesori della memoria irradiano le loro influenze più preziose ed esaltanti nel contatto liberatore dell’adorazione spirituale.
(1779.5) 160:4.13 Ma la vita diventerà un fardello dell’esistenza se non imparate come sbagliare con grazia. C’è un’arte nella sconfitta che le anime nobili imparano sempre; dovete sapere sempre come perdere con gioia; non dovete temere le delusioni. Non esitate mai ad ammettere un fallimento. Non cercate di nascondere il fallimento sotto falsi sorrisi ed un ottimismo radioso. È una bella cosa pretendere sempre di avere successo, ma i risultati finali sono terribili. Una tale tecnica porta direttamente alla creazione di un mondo irreale e al crollo inevitabile della disillusione totale.
(1779.6) 160:4.14 Il successo può generare coraggio e promuovere fiducia, ma la saggezza proviene soltanto dalle esperienze di aggiustamento sui risultati delle proprie sconfitte. Gli uomini che preferiscono le illusioni ottimistiche alla realtà non possono mai divenire saggi. Solo coloro che affrontano i fatti e si aggiustano sugli ideali possono raggiungere la saggezza. La saggezza ingloba sia i fatti che gli ideali e perciò salva i suoi adepti dai due sterili estremi della filosofia — l’uomo il cui idealismo esclude i fatti ed il materialista che è privo di visione spirituale. Quelle anime timorose che possono sostenere la lotta della vita soltanto con l’aiuto continuo di false illusioni di successo sono condannate a subire il fallimento e a sperimentare la sconfitta quando alla fine si ridestano dal mondo dei sogni delle loro stesse immaginazioni.
(1780.1) 160:4.15 È in tale fatto di far fronte ad un fallimento e di adattarsi alla sconfitta che la visione lungimirante della religione esercita la sua influenza suprema. Il fallimento è semplicemente un episodio educativo — un esperimento culturale nell’acquisizione della saggezza — nell’esperienza di un uomo alla ricerca di Dio che si è imbarcato nell’avventura eterna dell’esplorazione di un universo. Per quest’uomo una sconfitta non è che un nuovo strumento per il raggiungimento di livelli superiori della realtà universale.
(1780.2) 160:4.16 La carriera di un uomo che cerca Dio può rivelarsi un grande successo alla luce dell’eternità, anche se l’intero corso della vita temporale può apparire come uno schiacciante fallimento, purché ogni fallimento nella vita abbia prodotto la cultura della saggezza ed un conseguimento spirituale. Non commettete l’errore di confondere conoscenza, cultura e saggezza. Esse sono legate nella vita, ma rappresentano valori spirituali assai differenti; la saggezza domina sempre la conoscenza e glorifica sempre la cultura.
(1780.3) 160:5.1 Voi mi avete detto che il vostro Maestro considera la religione umana autentica come l’esperienza dell’individuo con le realtà spirituali. Io ho considerato la religione come l’esperienza dell’uomo che reagisce a qualcosa che egli considera essere degno dell’omaggio e della devozione di tutta l’umanità. In questo senso la religione simbolizza la nostra devozione suprema a ciò che rappresenta il nostro concetto più elevato degli ideali della realtà e la capacità massima della nostra mente nei confronti delle possibilità eterne della realizzazione spirituale.
(1780.4) 160:5.2 Quando gli uomini reagiscono alla religione in senso tribale, nazionale o razziale, è perché considerano gli estranei al loro gruppo come non veramente umani. Noi consideriamo sempre l’oggetto della nostra fedeltà religiosa come meritevole del rispetto di tutti gli uomini. La religione non può mai essere una questione di semplice credenza intellettuale o di ragionamento filosofico; la religione è sempre ed eternamente un modo di reagire alle situazioni della vita; è un modo di comportarsi. La religione ingloba pensieri, sentimenti ed atti di rispetto verso una realtà che noi stimiamo degna dell’adorazione universale.
(1780.5) 160:5.3 Se qualcosa è divenuto una religione nella vostra esperienza, è evidente di per sé che voi siete già divenuto un evangelista attivo di quella religione, poiché considerate il concetto supremo della vostra religione meritevole del culto di tutta l’umanità, di tutte le intelligenze dell’universo. Se non siete un evangelista positivo e missionario della vostra religione, ingannate voi stesso per il fatto che ciò che chiamate religione è soltanto una credenza tradizionale o un semplice sistema di filosofia intellettuale. Se la vostra religione è un’esperienza spirituale, l’oggetto della vostra adorazione deve essere la realtà spirituale universale e l’ideale di tutti i vostri concetti spiritualizzati. Tutte le religioni basate sulla paura, sull’emozione, sulla tradizione e sulla filosofia io le chiamo religioni intellettuali, mentre quelle basate sulla vera esperienza spirituale le chiamerei le vere religioni. L’oggetto della devozione religiosa può essere materiale o spirituale, vero o falso, reale o irreale, umano o divino. Le religioni possono quindi essere buone o cattive.
(1780.6) 160:5.4 La moralità e la religione non sono necessariamente la stessa cosa. Un sistema di morale, impadronendosi di un oggetto di adorazione, può diventare una religione. Una religione, perdendo il suo richiamo universale alla fedeltà e alla devozione suprema, può evolversi in un sistema di filosofia o in un codice di morale. Questa cosa, essere, stato, od ordine d’esistenza, o possibilità di compimento che costituisce l’ideale supremo della fedeltà religiosa, e che è il beneficiario della devozione religiosa di coloro che adorano, è Dio. Indipendentemente dal nome attribuito a questo ideale della realtà spirituale, esso è Dio.
(1781.1) 160:5.5 Le caratteristiche sociali di una vera religione consistono nel fatto che essa cerca invariabilmente di convertire l’individuo e di trasformare il mondo. La religione implica l’esistenza d’ideali sconosciuti che trascendono di gran lunga i criteri conosciuti di etica e di morale incorporati negli usi sociali anche più elevati delle istituzioni più mature della civiltà. La religione cerca di raggiungere ideali sconosciuti, realtà inesplorate, valori superumani, una saggezza divina ed una vera realizzazione spirituale. La vera religione fa tutto questo; tutte le altre credenze non sono degne di questo nome. Non ci può essere una religione spirituale autentica senza l’ideale supremo e superno di un Dio eterno. Una religione senza questo Dio è un’invenzione dell’uomo, un’istituzione umana di credenze intellettuali senza vita e di cerimonie emozionali senza significato. Una religione può sostenere come oggetto della sua devozione un grande ideale. Ma tali ideali irreali non sono realizzabili; un tale concetto è illusorio. I soli ideali suscettibili di compimento umano sono le realtà divine dei valori infiniti che risiedono nel fatto spirituale del Dio eterno.
(1781.2) 160:5.6 La parola Dio, l’idea di Dio in contrasto con l’ideale di Dio, può divenire una parte di qualsiasi religione, per quanto puerile o falsa possa essere quella religione. E questa idea di Dio può divenire qualsiasi cosa scelgano di farne coloro che ce l’hanno. Le religioni inferiori modellano le loro idee di Dio per adattarle allo stato naturale del cuore umano; le religioni superiori chiedono che il cuore umano sia cambiato per rispondere alle esigenze degli ideali della vera religione.
(1781.3) 160:5.7 La religione di Gesù trascende tutti i nostri concetti precedenti dell’idea di adorazione, nel senso che non solo egli descrive suo Padre come l’ideale della realtà infinita, ma dichiara positivamente che questa sorgente divina di valori e centro eterno dell’universo è veramente e personalmente raggiungibile da ogni creatura mortale che sceglie di entrare nel regno dei cieli sulla terra, riconoscendo così l’accettazione della filiazione con Dio e della fratellanza con gli uomini. Questo, a mio avviso, è il più alto concetto di religione che il mondo abbia mai conosciuto, ed io proclamo che non ce ne potrà mai essere uno di più elevato, poiché questo vangelo abbraccia l’infinità delle realtà, la divinità dei valori e l’eternità delle realizzazioni universali. Un tale concetto costituisce il compimento dell’esperienza dell’idealismo del supremo e dell’ultimo.
(1781.4) 160:5.8 Io non sono solo affascinato dagli ideali impeccabili di questa religione del vostro Maestro, ma mi sento fortemente spinto a professare la mia credenza nel suo annuncio che questi ideali delle realtà spirituali sono raggiungibili; che voi ed io possiamo iniziare questa lunga ed eterna avventura con la sua assicurazione della certezza che alla fine arriveremo alle porte del Paradiso. Fratelli miei, io sono un credente, mi sono imbarcato; sono in cammino con voi in questa avventura eterna. Il Maestro dice che è venuto dal Padre e che ci mostrerà la via. Io sono pienamente persuaso che dice la verità. Sono definitivamente convinto che non vi sono ideali di realtà o valori di perfezione raggiungibili al di fuori dell’eterno Padre Universale.
(1781.5) 160:5.9 Io vengo, allora, ad adorare non solo il Dio delle esistenze, ma il Dio della possibilità di tutte le esistenze future. Bisogna quindi che la vostra devozione ad un ideale supremo, se quell’ideale è reale, sia una devozione a questo Dio degli universi passati, presenti e futuri di cose e di esseri. E non c’è altro Dio, perché non può esserci qualche altro Dio. Tutti gli altri dei sono invenzioni dell’immaginazione, illusioni della mente mortale, deformazioni di una falsa logica ed idoli che ingannano coloro che li creano. Sì, si può avere una religione senza questo Dio, ma ciò non significa nulla. E se cercate di sostituire la parola Dio alla realtà di questo ideale del Dio vivente, avete soltanto ingannato voi stessi mettendo un’idea al posto di un ideale, di una realtà divina. Queste credenze sono solo religioni di pura fantasia.
(1782.1) 160:5.10 Io vedo negli insegnamenti di Gesù la religione al suo meglio. Questo vangelo ci consente di cercare il vero Dio e di trovarlo. Ma accettiamo noi di pagare il prezzo di questo ingresso nel regno dei cieli? Vogliamo nascere di nuovo? Essere rifatti? Accettiamo di sottoporci a questo terribile e provante processo di autodistruzione e di ricostruzione dell’anima? Non ha detto il Maestro: “Chiunque vuol salvare la propria vita deve perderla. Non pensate che io sia venuto a portare la pace, ma piuttosto una lotta dell’anima”? È vero, dopo aver pagato il prezzo della consacrazione alla volontà del Padre noi sperimentiamo una grande pace purché continuiamo a camminare in questi sentieri spirituali di vita consacrata.
(1782.2) 160:5.11 Ora abbandoniamo veramente le attrattive dell’ordine d’esistenza conosciuto e dedichiamo senza riserve la nostra ricerca alle attrattive dell’ordine sconosciuto ed inesplorato dell’esistenza di una vita futura di avventure nei mondi spirituali dell’idealismo superiore della realtà divina. E cerchiamo quei simboli di significato con cui trasmettere ai nostri simili questi concetti della realtà dell’idealismo della religione di Gesù, e non cesseremo di pregare per quel giorno in cui tutta l’umanità vibrerà per la visione comune di questa verità suprema. Attualmente il nostro concetto focalizzato del Padre, quale conserviamo nel nostro cuore, è che Dio è spirito; qual è trasmesso ai nostri simili, è che Dio è amore.
(1782.3) 160:5.12 La religione di Gesù esige un’esperienza vivente e spirituale. Altre religioni possono consistere in credenze tradizionali, in sentimenti emotivi, in coscienze filosofiche, ed in tutto ciò, ma l’insegnamento del Maestro richiede il raggiungimento di livelli effettivi di progressione spirituale reale.
(1782.4) 160:5.13 La coscienza dell’impulso ad essere simili a Dio non è vera religione. I sentimenti dell’emozione di adorare Dio non sono vera religione. La conoscenza della convinzione di rinunciare a se stessi e di servire Dio non è vera religione. La saggezza del ragionamento che questa religione è la migliore di tutte non è religione come esperienza personale e spirituale. La vera religione si riferisce al destino e alla realtà del raggiungimento così come alla realtà e all’idealismo di ciò che è sinceramente accettato per fede. E tutto questo ci deve essere reso personale dalla rivelazione dello Spirito della Verità.
(1782.5) 160:5.14 Così terminarono le dissertazioni del filosofo greco, uno dei più grandi della sua razza, che era divenuto un credente nel vangelo di Gesù.
(1783.1) 161:0.1 DOMENICA 25 settembre dell’anno 29 d.C. gli apostoli e gli evangelisti si riunirono a Magadan. Quella sera, dopo una lunga riunione con i suoi associati, Gesù sorprese tutti annunciando che l’indomani mattina presto lui e i dodici apostoli sarebbero partiti per Gerusalemme per assistere alla festa dei Tabernacoli. Egli ordinò che gli evangelisti visitassero i credenti in Galilea e che il corpo delle donne ritornasse per qualche tempo a Betsaida.
(1783.2) 161:0.2 Quando giunse l’ora di partire per Gerusalemme, Natanaele e Tommaso erano ancora in piena discussione con Rodano di Alessandria, ed ottennero il permesso dal Maestro di rimanere per alcuni giorni a Magadan. E così, mentre Gesù e i dieci erano in cammino per Gerusalemme, Natanaele e Tommaso erano impegnati in un serio dibattito con Rodano. La settimana precedente, nel corso della quale Rodano aveva esposto la sua filosofia, Tommaso e Natanaele si erano alternati nel presentare il vangelo del regno al filosofo greco. Rodano constatò che era stato istruito bene negli insegnamenti di Gesù da uno dei precedenti apostoli di Giovanni il Battista, che era stato suo insegnante ad Alessandria.
(1783.3) 161:1.1 C’era una questione sulla quale Rodano e i due apostoli divergevano, ed era la personalità di Dio. Rodano accettò facilmente tutto ciò che gli fu presentato sugli attributi di Dio, ma sostenne che il Padre celeste non è, non può essere, una persona nel senso in cui l’uomo concepisce la personalità. Mentre gli apostoli si trovarono in difficoltà cercando di provare che Dio è una persona, Rodano si trovò ancora più in difficoltà a provare che egli non è una persona.
(1783.4) 161:1.2 Rodano sostenne che il fatto della personalità consiste nel fatto coesistente della piena e reciproca comunicazione tra esseri su un piano d’uguaglianza, esseri capaci di reciproca comprensione. Disse Rodano: “Per essere una persona, Dio dovrebbe avere dei simboli di comunicazione spirituale che gli consentano di essere pienamente compreso da coloro che entrano in contatto con lui. Ma poiché Dio è infinito ed eterno, il Creatore di tutti gli altri esseri, ne consegue che, per quanto concerne l’uguaglianza degli esseri, Dio è solo nell’universo. Non c’è nessuno uguale a lui; non c’è nessuno con il quale egli possa comunicare come un uguale. Dio può essere in verità la fonte di ogni personalità, ma come tale egli trascende la personalità, proprio come il Creatore è al di sopra e al di là della creatura.”
(1783.5) 161:1.3 Questa disputa turbò grandemente Tommaso e Natanaele, ed essi chiesero a Gesù di venire in loro aiuto; ma il Maestro rifiutò di entrare nelle loro discussioni. Egli disse a Tommaso: “Poco importa l’idea che puoi avere del Padre, purché tu conosca spiritualmente l’ideale della sua natura infinita ed eterna.”
(1784.1) 161:1.4 Tommaso sostenne che Dio comunica con l’uomo e che perciò il Padre è una persona anche secondo la definizione di Rodano. Il Greco respinse ciò sul fatto che Dio non si rivela personalmente; che è ancora un mistero. Allora Natanaele fece appello alla propria esperienza personale con Dio, e che Rodano ammise, affermando che egli aveva avuto recentemente esperienze simili, ma sostenne che queste esperienze provavano soltanto la realtà di Dio, non la sua personalità.
(1784.2) 161:1.5 Lunedì sera Tommaso rinunciò. Ma martedì sera Natanaele aveva convinto Rodano a credere nella personalità del Padre, e giunse a cambiare l’opinione del Greco attraverso i gradi di ragionamento seguenti:
(1784.3) 161:1.6 1. Il Padre del Paradiso gode d’uguaglianza di comunicazione con almeno due altri esseri che sono pienamente uguali a lui e del tutto simili a lui — il Figlio Eterno e lo Spirito Infinito. Tenuto conto della dottrina della Trinità, il Greco fu obbligato ad ammettere la possibilità della personalità del Padre Universale. (Fu la considerazione successiva di queste discussioni che portò ad ampliare il concetto della Trinità nella mente dei dodici apostoli. Naturalmente era credenza generale che Gesù fosse il Figlio Eterno.)
(1784.4) 161:1.7 2. Poiché Gesù era uguale al Padre, e poiché questo Figlio era giunto a manifestare la sua personalità ai suoi figli terreni, tale fenomeno costituiva la prova del fatto, e la dimostrazione della possibilità, del possesso della personalità di tutte e tre le Divinità e regolava definitivamente la questione concernente la capacità di Dio di comunicare con l’uomo e la possibilità per l’uomo di comunicare con Dio.
(1784.5) 161:1.8 3. Gesù era in rapporti di mutua associazione e di perfetta comunicazione con l’uomo; Gesù era il Figlio di Dio. La relazione tra il Figlio ed il Padre presuppone uguaglianza di comunicazione e reciprocità di amorevole comprensione; Gesù ed il Padre erano uno. Gesù manteneva simultaneamente una comunicazione comprensiva sia con Dio che con l’uomo, e poiché sia Dio che l’uomo comprendevano il significato dei simboli di comunicazione di Gesù, Dio e l’uomo possedevano entrambi gli attributi di personalità richiesti per intercomunicare. La personalità di Gesù dimostrava la personalità di Dio e portava la prova conclusiva della presenza di Dio nell’uomo. Due cose in relazione con la stessa terza cosa sono in relazione ognuna con l’altra.
(1784.6) 161:1.9 4. La personalità rappresenta il più elevato concetto dell’uomo della realtà umana e dei valori divini; Dio rappresenta anche il più elevato concetto dell’uomo della realtà divina e dei valori infiniti; perciò Dio deve essere una personalità divina ed infinita, una personalità reale sebbene infinitamente ed eternamente trascendente il concetto e la definizione dell’uomo della personalità, ma nondimeno sempre ed universalmente una personalità.
(1784.7) 161:1.10 5. Dio deve essere una personalità poiché è il Creatore di ogni personalità e il destino di ogni personalità. Rodano era stato enormemente influenzato dall’insegnamento di Gesù: “Siate quindi perfetti, come vostro Padre che è nei cieli è perfetto.”
(1784.8) 161:1.11 Dopo aver ascoltato queste argomentazioni, Rodano disse: “Sono convinto. Riconoscerò che Dio è una persona se voi mi permetterete di qualificare la mia ammissione di tale credenza annettendo al significato della personalità un gruppo di estesi valori, quali superumana, trascendente, suprema, infinita, eterna, finale ed universale. Sono ora convinto che, mentre Dio deve essere infinitamente di più di una personalità, non può essere niente di meno. Sono d’accordo di porre fine alla discussione e di accettare Gesù come la rivelazione personale del Padre e come la soddisfazione di tutti i fattori non soddisfatti della logica, della ragione e della filosofia.”
(1785.1) 161:2.1 Poiché Natanaele e Tommaso avevano così pienamente approvato il punto di vista di Rodano sul vangelo del regno, rimaneva un solo punto da considerare, quello dell’insegnamento concernente la natura divina di Gesù, una dottrina annunciata in pubblico solo recentemente. Natanaele e Tommaso presentarono congiuntamente il loro punto di vista sulla natura divina del Maestro, e la narrazione seguente è una presentazione condensata, riordinata e riformulata del loro insegnamento:
(1785.2) 161:2.2 1. Gesù ha ammesso la sua divinità, e noi gli crediamo. In connessione con il suo ministero sono accaduti molti avvenimenti rimarchevoli che possiamo comprendere solo credendo che egli è il Figlio di Dio così come il Figlio dell’Uomo.
(1785.3) 161:2.3 2. La sua associazione di vita con noi è l’esempio dell’ideale dell’amicizia umana; solo un essere divino potrebbe essere un simile amico umano. Egli è la persona più sinceramente altruista che abbiamo mai conosciuto. È amico anche dei peccatori ed osa amare i suoi nemici. È molto leale con noi. Benché non esiti a rimproverarci, è evidente a tutti che ci ama veramente. Meglio lo conosci, più lo ami. Si è affascinati dalla sua ferma devozione. Per tutti questi anni in cui non siamo riusciti a comprendere la sua missione egli è stato un amico fedele. Sebbene non faccia alcun uso di adulazione, ci tratta tutti con uguale amabilità; è invariabilmente affettuoso e compassionevole. Ha condiviso la sua vita ed ogni cosa con noi. Noi siamo una comunità felice; abbiamo tutto in comune. Noi non crediamo che un semplice umano possa vivere una vita così esemplare in circostanze così provanti.
(1785.4) 161:2.4 3. Noi pensiamo che Gesù sia divino perché non fa mai del male; non commette errori. La sua saggezza è straordinaria, la sua pietà immensa. Egli vive giorno per giorno in perfetto accordo con la volontà del Padre. Non si pente mai di aver agito male perché non trasgredisce alcuna delle leggi del Padre. Egli prega per noi e con noi, ma non ci chiede mai di pregare per lui. Noi crediamo che egli sia costantemente esente da peccato. Non riteniamo che uno che è completamente umano abbia mai professato di vivere una vita simile. Egli afferma di vivere una vita perfetta, e noi riconosciamo che lo fa. La nostra pietà scaturisce dal pentimento, ma la sua pietà scaturisce dalla rettitudine. Egli professa anche il perdono dei peccati e guarisce le malattie. Nessun uomo sano di mente dichiarerebbe di perdonare i peccati; questa è una prerogativa divina. E ci è sembrato essere così perfetto nella sua rettitudine fin dal momento del nostro primo contatto con lui. Noi cresciamo in grazia ed in conoscenza della verità, ma il nostro Maestro manifesta maturità di rettitudine fin dall’inizio. Tutti gli uomini, buoni e cattivi, riconoscono questi elementi di bontà in Gesù. Tuttavia la sua pietà non è mai importuna né ostentatoria. Egli è insieme mite e intrepido. Sembra approvare la nostra credenza nella sua divinità. O è ciò che professa di essere, oppure egli è il più grande ipocrita ed impostore che il mondo abbia mai conosciuto. Noi siamo persuasi che egli sia proprio ciò che afferma di essere.
(1785.5) 161:2.5 4. L’eccezionalità del suo carattere e la perfezione del suo controllo emotivo ci convincono che egli è una combinazione di umanità e di divinità. Egli risponde immancabilmente allo spettacolo del bisogno umano; la sofferenza non manca mai di toccarlo. La sua compassione è sollecitata sia dalla sofferenza fisica che dall’angoscia mentale o dalle afflizioni spirituali. Egli è rapido e generoso nel riconoscere la presenza della fede o di ogni altra grazia nei suoi simili. È così giusto ed equo e allo stesso tempo così misericordioso e premuroso. Egli si addolora per l’ostinazione spirituale della gente e gioisce quando essa accetta di vedere la luce della verità.
(1786.1) 161:2.6 5. Egli sembra conoscere i pensieri della mente degli uomini e comprendere le aspirazioni del loro cuore. Ed è sempre compassionevole verso i nostri spiriti turbati. Egli sembra possedere tutte le nostre emozioni umane, ma esse sono magnificamente glorificate. Ama fortemente la bontà e detesta in egual modo il peccato. Egli possiede una coscienza sovrumana della presenza della Deità. Prega come un uomo, ma agisce come un Dio. Egli sembra conoscere le cose in anticipo; anche ora osa parlare della sua morte, un riferimento mistico alla sua glorificazione futura. Pur essendo gentile egli è anche valoroso e coraggioso. Non vacilla mai nel fare il suo dovere.
(1786.2) 161:2.7 6. Noi siamo costantemente impressionati dal fenomeno della sua conoscenza sovrumana. Non passa giorno senza che capiti qualcosa a rivelare che il Maestro conosce ciò che sta succedendo lontano dalla sua presenza immediata. Egli sembra anche conoscere ciò che pensano i suoi associati. È indubbiamente in comunione con le personalità celesti; vive incontestabilmente su un piano spirituale altamente al di sopra del resto di noi. Ogni cosa sembra accessibile alla sua comprensione straordinaria. Egli ci pone delle domande per indurci a parlare, non per avere informazioni.
(1786.3) 161:2.8 7. Recentemente il Maestro non ha esitato ad affermare la sua natura superumana. Dal giorno della nostra ordinazione come apostoli fino a tempi recenti egli non ha mai negato di venire dal Padre celeste. Egli parla con l’autorità di un istruttore divino. Il Maestro non esita a confutare gli insegnamenti religiosi attuali e a proclamare il nuovo vangelo con un’autorità positiva. Egli è assertivo, positivo ed autorevole. Anche Giovanni il Battista, quando sentì parlare Gesù, dichiarò che era il Figlio di Dio. Egli sembra essere del tutto autosufficiente. Non anela all’appoggio della folla; è indifferente alle opinioni degli uomini. Egli è coraggioso, e tuttavia così privo di orgoglio.
(1786.4) 161:2.9 8. Egli parla costantemente di Dio come di un associato sempre presente in tutto ciò che fa. Va in giro facendo del bene, perché Dio sembra essere in lui. Egli fa le affermazioni più sconvolgenti su se stesso e sulla sua missione terrena, asserzioni che sarebbero assurde se egli non fosse divino. Una volta ha dichiarato: “Prima che Abramo fosse, io sono.” Egli ha chiaramente sostenuto la sua divinità; ha professato di essere in associazione con Dio. Egli esaurisce quasi le possibilità del linguaggio per reiterare le sue rivendicazioni d’intima associazione col Padre celeste. Osa anche asserire che lui ed il Padre sono uno. Egli dice che chiunque ha visto lui ha visto il Padre. E dice e fa tutte queste cose straordinarie con la naturalezza di un bambino. Egli fa allusione alla sua associazione con il Padre nello stesso modo in cui si riferisce alla sua associazione con noi. Sembra essere così sicuro su Dio e parla di queste relazioni in modo molto naturale.
(1786.5) 161:2.10 9. Nella sua vita di preghiera egli sembra comunicare direttamente con suo Padre. Noi abbiamo ascoltato poche delle sue preghiere, ma queste poche indicavano che egli parla con Dio, per così dire, faccia a faccia. Egli sembra conoscere il futuro quanto il passato. Semplicemente egli non potrebbe essere tutto ciò e fare tutte queste cose straordinarie a meno di non essere qualcosa di più che umano. Noi sappiamo che è umano, ne siamo certi, ma siamo quasi altrettanto certi che è anche divino. Noi crediamo che sia divino. Siamo convinti ch’egli sia il Figlio dell’Uomo e il Figlio di Dio.
(1787.1) 161:2.11 Quando Natanaele e Tommaso ebbero concluso i loro incontri con Rodano, partirono in fretta per Gerusalemme per unirsi ai loro compagni apostoli, arrivando il venerdì di quella settimana. Questa era stata una grande esperienza nella vita dei tre credenti, e gli altri apostoli impararono molto dal racconto di tali esperienze da parte di Natanaele e di Tommaso.
(1787.2) 161:2.12 Rodano ritornò ad Alessandria, dove insegnò a lungo la sua filosofia nella scuola di Meganta. Egli divenne un uomo importante nei successivi affari del regno dei cieli; fu un credente fedele sino alla fine dei suoi giorni terreni, e morì in Grecia con altri credenti al culmine delle persecuzioni.
(1787.3) 161:3.1 La coscienza della divinità fu una crescita graduale nella mente di Gesù fino all’episodio del suo battesimo. Dopo essere divenuto pienamente cosciente della sua natura divina, della sua esistenza preumana e delle sue prerogative universali, egli sembrò possedere il potere di limitare variamente la coscienza umana della sua divinità. Ci sembra che dal suo battesimo fino alla crocifissione Gesù potesse liberamente scegliere se dipendere soltanto dalla mente umana od utilizzare la conoscenza sia della mente umana che della mente divina. Talvolta sembrava avvalersi soltanto delle informazioni che erano residenti nell’intelletto umano. In altre occasioni sembrava agire con tale pienezza di conoscenza e di saggezza quale poteva essere data solo dall’utilizzazione del contenuto superumano della sua coscienza divina.
(1787.4) 161:3.2 Noi possiamo comprendere le sue imprese straordinarie solo accettando la teoria che egli potesse, a volontà, autolimitare la sua coscienza divina. Noi sappiamo perfettamente che egli nascondeva spesso ai suoi associati la sua preconoscenza degli avvenimenti, e che era al corrente della natura dei loro pensieri e dei loro progetti. Noi comprendiamo che non voleva che i suoi discepoli conoscessero troppo bene che era capace di discernere i loro pensieri e di penetrare i loro piani. Egli non desiderava trascendere troppo il concetto dell’umano che era nella mente dei suoi apostoli e dei suoi discepoli.
(1787.5) 161:3.3 Noi siamo del tutto incapaci di stabilire la differenza tra la sua pratica di autolimitare la propria coscienza divina e la sua tecnica di celare la sua preconoscenza ed il suo discernimento dei pensieri ai suoi associati umani. Siamo convinti che utilizzasse entrambe queste tecniche, ma non siamo sempre capaci, in una data circostanza, di specificare quale metodo possa avere impiegato. Noi l’abbiamo frequentemente visto agire soltanto con il contenuto di coscienza umano; poi l’abbiamo visto in riunione con i direttori delle schiere celesti dell’universo ed abbiamo percepito il funzionamento indubitabile della sua mente divina. E poi, in occasioni quasi innumerevoli, siamo stati testimoni del lavoro di questa personalità congiunta di uomo e di Dio quale era attivata dall’unione apparentemente perfetta della sua mente umana e della sua mente divina. Questo è il limite della nostra conoscenza di tale fenomeno; in realtà noi non conosciamo effettivamente tutta la verità su questo mistero.
(1788.1) 162:0.1 QUANDO Gesù partì per Gerusalemme con i dieci apostoli, decise di passare per la Samaria, essendo quella la via più breve. Di conseguenza essi seguirono la riva orientale del lago e, per la via di Scitopoli, entrarono in Samaria. Al calar della notte Gesù mandò Filippo e Matteo in un villaggio situato sul versante orientale del Monte Gelboe per trovare un alloggio per il gruppo. Si dava il caso che gli abitanti di questo villaggio avessero forti pregiudizi contro gli Ebrei, ancora più forti della media dei Samaritani, e questi sentimenti erano esacerbati in questo particolare momento in cui molte persone si stavano recando alla festa dei Tabernacoli. Questa gente sapeva molto poco di Gesù, e rifiutò di alloggiarlo perché lui e i suoi compagni erano Ebrei. Quando Matteo e Filippo manifestarono la loro indignazione ed informarono questi Samaritani che stavano rifiutando l’ospitalità al Santo d’Israele, gli abitanti del villaggio infuriati li cacciarono fuori della piccola città con bastoni e pietre.
(1788.2) 162:0.2 Dopo che Filippo e Matteo furono tornati dai loro compagni ed ebbero raccontato come erano stati cacciati dal villaggio, Giacomo e Giovanni andarono da Gesù e dissero: “Maestro, ti preghiamo di permetterci d’invitare il fuoco a scendere dal cielo per divorare questi insolenti ed impenitenti Samaritani.” Ma quando Gesù udì queste parole di vendetta, si rivolse verso i figli di Zebedeo e li rimproverò severamente: “Voi non conoscete quale genere di comportamento manifestate. La vendetta non è prevista nel regno dei cieli. Piuttosto che contestare, andiamo fino al piccolo villaggio vicino al guado del Giordano.” Così, a causa del loro pregiudizio settario, questi Samaritani si privarono dell’onore di dare ospitalità al Figlio Creatore di un universo.
(1788.3) 162:0.3 Gesù e i dieci si fermarono per la notte nel villaggio vicino, presso il guado del Giordano. L’indomani mattina presto essi attraversarono il fiume e proseguirono verso Gerusalemme per la grande strada della riva orientale del Giordano, arrivando a Betania mercoledì sera tardi. Tommaso e Natanaele arrivarono venerdì, essendo stati attardati dai loro incontri con Rodano.
(1788.4) 162:0.4 Gesù e i dodici rimasero nelle vicinanze di Gerusalemme sino alla fine del mese seguente (ottobre), circa quattro settimane e mezzo. Gesù stesso entrò in città soltanto poche volte, e queste brevi visite furono fatte durante i giorni della festa dei Tabernacoli. Egli passò gran parte del mese di ottobre a Betlemme con Abner e i suoi associati.
(1788.5) 162:1.1 Molto prima che fuggissero dalla Galilea, i discepoli di Gesù l’avevano supplicato di andare a Gerusalemme a proclamare il vangelo del regno, affinché il suo messaggio potesse avere il prestigio di essere stato predicato nel centro della cultura e del sapere ebraici; ma ora che egli era effettivamente venuto ad insegnare a Gerusalemme essi temevano per la sua vita. Sapendo che il Sinedrio aveva cercato di portare Gesù a Gerusalemme per giudicarlo, e ricordando le dichiarazioni recentemente ribadite dal Maestro che egli doveva essere messo a morte, gli apostoli erano rimasti letteralmente stupiti dalla sua improvvisa decisione di assistere alla festa dei Tabernacoli. A tutte le loro precedenti sollecitazioni di andare a Gerusalemme egli aveva risposto: “L’ora non è ancora giunta.” Ora, davanti alle loro timorose proteste, si limitò a rispondere: “Ma l’ora è giunta.”
(1789.1) 162:1.2 Durante la festa dei Tabernacoli Gesù entrò coraggiosamente a Gerusalemme in parecchie occasioni ed insegnò pubblicamente nel tempio. Egli fece questo nonostante gli sforzi dei suoi apostoli per dissuaderlo. Sebbene essi l’avessero spinto a lungo a proclamare il suo messaggio a Gerusalemme, temevano ora di vederlo entrare in città in questo momento, sapendo benissimo che gli Scribi e i Farisei erano intenzionati a metterlo a morte.
(1789.2) 162:1.3 L’audace apparizione di Gesù a Gerusalemme confuse più che mai i suoi seguaci. Molti dei suoi discepoli, ed anche Giuda Iscariota, l’apostolo, avevano osato pensare che Gesù era fuggito precipitosamente in Fenicia per paura dei dirigenti ebrei e di Erode Antipa. Essi non riuscivano a comprendere il significato degli spostamenti del Maestro. La sua presenza a Gerusalemme alla festa dei Tabernacoli, anche contro il parere contrario dei suoi discepoli, bastò a porre fine per sempre a tutte le maldicenze sulla sua paura e la sua codardia.
(1789.3) 162:1.4 Durante la festa dei Tabernacoli migliaia di credenti venuti da ogni parte dell’Impero Romano videro Gesù, l’ascoltarono insegnare, e molti andarono anche a Betania per conferire con lui riguardo al progresso del regno nei distretti in cui abitavano.
(1789.4) 162:1.5 C’erano molte ragioni per le quali Gesù poté predicare pubblicamente nei cortili del tempio durante i giorni della festa, e la principale di queste era la paura che aveva assalito gli ufficiali del Sinedrio a seguito della segreta divisione di sentimenti tra le loro stesse fila. Era un fatto che molti membri del Sinedrio credevano tacitamente in Gesù o erano fermamente contrari ad arrestarlo durante la festa, quando un così gran numero di persone era presente a Gerusalemme, molte delle quali credevano in lui o quantomeno simpatizzavano con il movimento spirituale che egli sosteneva.
(1789.5) 162:1.6 Gli sforzi di Abner e dei suoi associati in tutta la Giudea avevano anch’essi contribuito molto a consolidare un sentimento favorevole al regno, al punto che i nemici di Gesù non osavano manifestare troppo apertamente la loro opposizione. Questa fu una delle ragioni per le quali Gesù poté frequentare pubblicamente Gerusalemme ed uscirne vivo. Uno o due mesi prima egli sarebbe stato certamente messo a morte.
(1789.6) 162:1.7 Ma l’intrepido coraggio di Gesù di apparire in pubblico a Gerusalemme intimidì i suoi nemici; essi non erano preparati ad una sfida così audace. Parecchie volte durante questo mese il Sinedrio fece dei deboli tentativi di fare arrestare il Maestro, ma questi sforzi non approdarono a nulla. I suoi nemici furono talmente sconcertati dall’inattesa apparizione pubblica di Gesù a Gerusalemme che supposero gli dovesse essere stata promessa protezione dalle autorità romane. Sapendo che Filippo (il fratello di Erode Antipa) era quasi un seguace di Gesù, i membri del Sinedrio immaginarono che Filippo avesse ottenuto per Gesù delle promesse di protezione contro i suoi nemici. Gesù era partito dalla loro giurisdizione prima che essi si fossero resi conto che si erano sbagliati nel credere che la sua improvvisa e audace apparizione a Gerusalemme fosse dovuta ad un accordo segreto con gli ufficiali romani.
(1789.7) 162:1.8 Solo i dodici apostoli avevano saputo che Gesù intendeva assistere alla festa dei Tabernacoli quando erano partiti da Magadan. Gli altri discepoli del Maestro furono grandemente meravigliati quando egli apparve nei cortili del tempio e cominciò ad insegnare pubblicamente; e le autorità ebraiche furono sorprese oltre ogni dire quando seppero che egli stava insegnando nel tempio.
(1790.1) 162:1.9 Benché i suoi discepoli non si aspettassero che Gesù assistesse alla festa, la grande maggioranza dei pellegrini provenienti da lontano, che avevano sentito parlare di lui, speravano di poterlo vedere a Gerusalemme. Ed essi non furono delusi, perché in parecchie occasioni egli insegnò sotto il Portico di Salomone e altrove nei cortili del tempio. Questi insegnamenti furono veramente la proclamazione ufficiale e formale della divinità di Gesù al popolo ebreo e al mondo intero.
(1790.2) 162:1.10 La moltitudine che ascoltava gli insegnamenti del Maestro era divisa nelle sue opinioni. Alcuni dicevano che egli era un brav’uomo; alcuni un profeta; alcuni che era veramente il Messia; altri dicevano che era uno scaltro intrigante, che stava sviando il popolo con le sue strane dottrine. I suoi nemici esitavano ad accusarlo apertamente per timore dei suoi partigiani, mentre i suoi amici temevano di riconoscerlo apertamente per paura dei dirigenti ebrei, sapendo che il Sinedrio era determinato a metterlo a morte. Ma anche i suoi nemici si meravigliavano del suo insegnamento, sapendo che egli non era stato istruito nelle scuole dei rabbini.
(1790.3) 162:1.11 Ogni volta che Gesù andava a Gerusalemme i suoi apostoli erano pieni di terrore. Giorno dopo giorno essi erano più spaventati nell’ascoltare le sue dichiarazioni sempre più audaci sulla natura della sua missione sulla terra. Essi non erano abituati a sentire Gesù fare delle rivendicazioni così perentorie e delle affermazioni così sorprendenti, nemmeno quando predicava tra i suoi amici.
(1790.4) 162:2.1 Il primo pomeriggio in cui Gesù insegnò nel tempio, una folla considerevole era seduta ad ascoltare le sue parole che descrivevano la libertà del nuovo vangelo e la gioia di coloro che credono alla buona novella, quando un ascoltatore curioso l’interruppe per chiedere: “Maestro, com’è che tu puoi citare le Scritture ed istruire il popolo in modo così fluente quando mi si dice che non sei stato istruito nella cultura dei rabbini?” Gesù rispose: “Nessun uomo mi ha insegnato le verità che vi proclamo. Questo insegnamento non è mio ma di Colui che mi ha mandato. Se un uomo desidera realmente fare la volontà di mio Padre, saprà certamente se il mio insegnamento viene da Dio o se io parlo per me stesso. Colui che parla per se stesso cerca la propria gloria, ma quando io proclamo le parole del Padre cerco la gloria di Colui che mi ha mandato. Ma prima di cercare di entrare nella nuova luce non dovreste piuttosto seguire la luce che avete già? Mosè vi ha dato la legge, e tuttavia quanti di voi cercano onestamente di soddisfare le sue esigenze? In questa legge Mosè v’ingiunge: ‘Tu non ucciderai’; nonostante questo comandamento alcuni di voi cercano di uccidere il Figlio dell’Uomo.”
(1790.5) 162:2.2 Quando i presenti udirono queste parole si misero a litigare tra di loro. Alcuni dicevano che era pazzo, altri che era posseduto da un demone. Altri dicevano che era in verità il profeta della Galilea che gli Scribi e i Farisei avevano cercato a lungo di uccidere. Alcuni dicevano che le autorità religiose avevano paura di molestarlo, altri pensavano che essi non avevano messo le mani su di lui perché erano divenuti credenti in lui. Dopo una prolungata discussione, uno della folla si fece avanti e chiese a Gesù: “Perché i capi cercano di ucciderti?” Ed egli rispose: “I capi cercano di uccidermi perché sono irritati per il mio insegnamento sulla buona novella del regno, un vangelo che libera gli uomini dalle pesanti tradizioni di una religione formale di cerimonie che questi insegnanti sono determinati a mantenere ad ogni costo. Essi circoncidono conformemente alla legge nel giorno di sabato, ma vorrebbero uccidermi perché una volta nel giorno di sabato ho liberato un uomo dalla schiavitù di un’afflizione. Essi mi seguono di sabato per spiarmi, ma vorrebbero uccidermi perché in un’altra occasione ho deciso di guarire completamente un uomo gravemente ammalato in un giorno di sabato. Essi cercano di uccidermi perché sanno bene che, se voi credete onestamente al mio insegnamento ed osate accettarlo, il loro sistema di religione tradizionale sarà rovesciato, distrutto per sempre. Così essi saranno privati dell’autorità su ciò cui hanno consacrato la loro vita, dal momento che hanno fermamente rifiutato di accettare questo nuovo e più glorioso vangelo del regno di Dio. Ed ora faccio appello a ciascuno di voi: non giudicate dalle apparenze esteriori, ma giudicate piuttosto secondo il vero spirito di questi insegnamenti; giudicate con rettitudine.”
(1791.1) 162:2.3 Allora un altro investigatore disse: “Sì, Maestro, noi cerchiamo il Messia, ma quando verrà sappiamo che la sua apparizione avverrà nel mistero. Noi sappiamo da dove vieni tu. Tu sei stato tra i nostri fratelli fin dall’inizio. Il liberatore verrà in potenza a ristabilire il trono del regno di Davide. Pretendi tu realmente di essere il Messia?” E Gesù rispose: “Tu pretendi di conoscermi e di sapere da dove vengo. Io vorrei che le tue supposizioni fossero esatte, perché in verità troveresti allora una vita abbondante in questa conoscenza. Ma io dichiaro che non sono venuto a voi da me stesso; io sono stato mandato dal Padre, e colui che mi ha mandato è sincero e fedele. Rifiutando di ascoltare me, voi rifiutate di ricevere colui che mi manda. Se voi accetterete questo vangelo, conoscerete colui che mi manda. Io conosco il Padre, perché sono venuto dal Padre per proclamarlo e rivelarlo a voi.”
(1791.2) 162:2.4 Gli agenti degli Scribi volevano mettere le mani su di lui, ma temevano la folla, perché molti credevano in lui. L’opera di Gesù dopo il suo battesimo era divenuta molto conosciuta in tutto il mondo ebraico, e quando molti di costoro parlavano di queste cose, si dicevano tra di loro: “Anche se questo istruttore viene dalla Galilea, e anche se non risponde a tutte le nostre attese riguardo al Messia, ci chiediamo se il liberatore, alla sua venuta, farà realmente qualcosa di più stupefacente di quello che questo Gesù di Nazaret ha già fatto.”
(1791.3) 162:2.5 Quando i Farisei e i loro agenti udirono la gente parlare in questo modo, si consultarono con i loro capi e decisero che bisognava fare immediatamente qualcosa per porre fine a queste apparizioni pubbliche di Gesù nei cortili del tempio. In generale, i capi degli Ebrei erano disposti ad evitare un conflitto aperto con Gesù, credendo che le autorità romane gli avessero promesso l’immunità. Essi non trovavano altra spiegazione alla sua audacia di venire in questo momento a Gerusalemme; ma i dirigenti del Sinedrio non credevano del tutto a queste voci. Essi ragionarono che i capi romani non avrebbero fatto una cosa simile in segreto e all’insaputa delle più alte autorità governative della nazione ebraica.
(1791.4) 162:2.6 Di conseguenza Eber, l’ufficiale incaricato dal Sinedrio, fu mandato con due assistenti ad arrestare Gesù. Mentre Eber si apriva un varco verso Gesù, il Maestro disse: “Non temere di avvicinarti. Vieni vicino ad ascoltare il mio insegnamento. Io so che sei stato mandato a catturarmi, ma dovresti comprendere che non accadrà nulla al Figlio dell’Uomo fino a che non sia giunta la sua ora. Tu non sei contro di me; vieni solo ad eseguire l’ordine dei tuoi padroni, ed anche questi capi degli Ebrei credono veramente di servire Dio quando cercano in segreto di distruggermi.
(1792.1) 162:2.7 “Io non porto rancore a nessuno di voi. Il Padre vi ama, e per questo io desidero la vostra liberazione dalla schiavitù del pregiudizio e dalle tenebre della tradizione. Io vi offro la libertà della vita e la gioia della salvezza. Io proclamo la via nuova e vivente, la liberazione dal male e la rottura della schiavitù del peccato. Io sono venuto perché possiate avere la vita, ed averla per l’eternità. Voi cercate di sbarazzarvi di me e dei miei insegnamenti inquietanti. Se solo poteste comprendere che io resterò ancora per poco con voi! Tra poco io ritornerò da colui che mi ha mandato in questo mondo. Ed allora molti di voi mi cercheranno assiduamente, ma non scoprirete la mia presenza, perché voi non potete venire dove io sto per andare. Ma tutti coloro che cercheranno sinceramente di trovarmi raggiungeranno un giorno la vita che conduce alla presenza di mio Padre.”
(1792.2) 162:2.8 Alcuni dei dileggiatori dissero tra loro: “Dove andrà quest’uomo perché non possiamo trovarlo? Andrà a vivere tra i Greci? Si suiciderà? Che cosa può voler dire quando dichiara che presto ci lascerà e che noi non possiamo andare dove va lui?”
(1792.3) 162:2.9 Eber e i suoi assistenti si rifiutarono di arrestare Gesù; essi ritornarono al loro luogo d’incontro senza di lui. Quando, perciò, i capi dei sacerdoti e i Farisei rimproverarono Eber e i suoi assistenti perché non avevano condotto Gesù con loro, Eber rispose soltanto: “Abbiamo avuto paura di arrestarlo in mezzo alla folla perché molti credono in lui. Inoltre, non abbiamo mai sentito nessuno parlare come quest’uomo. C’è qualcosa di fuori del comune in questo maestro. Fareste tutti bene ad andare ad ascoltarlo.” Quando i principali dirigenti udirono queste parole, rimasero stupiti e dissero sarcasticamente ad Eber: “Ti sei sviato anche tu? Sei sul punto di credere a questo imbroglione? Hai inteso dire che qualcuno dei nostri eruditi o dei nostri dirigenti abbia creduto in lui? Qualcuno degli Scribi o dei Farisei è stato ingannato dai suoi abili insegnamenti? Come mai sei influenzato dalla condotta di questa moltitudine ignorante che non conosce né la legge né i profeti? Non sai che questa gente ignorante è maledetta?” Ed allora Eber rispose: “D’accordo, signori miei, ma quest’uomo rivolge alla moltitudine parole di misericordia e di speranza. Egli dà coraggio a chi è abbattuto e le sue parole sono state di conforto anche per le nostre anime. Che cosa può esserci di cattivo in questi insegnamenti anche se egli può non essere il Messia delle Scritture? Ed anche allora, la nostra legge non esige equità? Condanniamo un uomo prima di ascoltarlo?” Il capo del Sinedrio si arrabbiò con Eber e rivolgendosi a lui disse: “Sei diventato matto? Vieni anche tu per caso dalla Galilea? Esamina le Scritture e scoprirai che dalla Galilea non proviene alcun profeta e tanto meno il Messia.”
(1792.4) 162:2.10 Il Sinedrio si sciolse nella confusione e Gesù si ritirò a Betania per la notte.
(1792.5) 162:3.1 Fu durante questa visita a Gerusalemme che Gesù si occupò di una certa donna di cattiva reputazione che fu condotta in sua presenza dai suoi accusatori e dai nemici del Maestro. Il racconto alterato che voi avete di questo episodio lascia intendere che questa donna fu condotta davanti a Gesù dagli Scribi e dai Farisei, e che Gesù li trattò in maniera da indicare che questi capi religiosi degli Ebrei potessero essere stati essi stessi colpevoli d’immoralità. Gesù sapeva bene che, pur essendo questi Scribi e Farisei spiritualmente ciechi ed intellettualmente pieni di pregiudizi per la loro fedeltà alla tradizione, erano da considerare tra gli uomini più completamente morali di quel tempo e di quella generazione.
(1793.1) 162:3.2 Ciò che avvenne realmente fu questo. Il mattino presto del terzo giorno della festa, mentre Gesù si avvicinava al tempio, incrociò un gruppo di agenti prezzolati del Sinedrio che stava trascinando con sé una donna. Quando furono vicini, il loro portavoce disse: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in adulterio — in flagrante delitto. Ora, la legge di Mosè ordina di lapidare una tale donna. Che cosa dici che si dovrebbe fare di lei?”
(1793.2) 162:3.3 Il piano dei nemici di Gesù era, se egli avallava la legge di Mosè che richiedeva che il trasgressore confesso fosse lapidato, di metterlo in difficoltà con i capi romani, i quali avevano negato agli Ebrei il diritto d’infliggere la pena di morte senza l’approvazione di un tribunale romano. Se egli proibiva di lapidare la donna, essi l’avrebbero accusato davanti al Sinedrio di porsi al di sopra di Mosè e della legge ebraica. Se stava zitto, l’avrebbero accusato di codardia. Ma il Maestro prese in mano la situazione in modo tale che l’intero complotto crollò sotto il suo stesso sordido peso.
(1793.3) 162:3.4 Questa donna, un tempo avvenente, era la moglie di un cittadino di Nazaret di ceto inferiore, un uomo che aveva creato fastidi a Gesù per tutta la sua giovinezza. L’uomo, che aveva sposato questa donna, l’indusse molto vergognosamente a guadagnarsi da vivere facendo commercio del proprio corpo. Egli era venuto alla festa a Gerusalemme perché sua moglie potesse così prostituire le sue grazie fisiche per un profitto finanziario. Aveva fatto un accordo con i mercenari dei dirigenti ebrei in modo da tradire la sua stessa moglie nel commercio del suo vizio. E così essi venivano con la donna ed il suo complice nella trasgressione per intrappolare Gesù con qualche affermazione che avesse potuto essere usata contro di lui in caso di suo arresto.
(1793.4) 162:3.5 Gesù, gettando uno sguardo sopra la folla, vide il marito di lei che stava dietro agli altri. Egli sapeva quale genere d’uomo egli fosse e percepì che era coinvolto in questa deprecabile transazione. Gesù prima camminò intorno al gruppo per avvicinarsi a dove stava questo marito degenere e scrisse sulla sabbia alcune parole che lo fecero andar via precipitosamente. Poi ritornò davanti alla donna e scrisse di nuovo sul terreno un messaggio destinato ai suoi presunti accusatori; e quando essi ebbero letto le sue parole, se ne andarono anche loro ad uno ad uno. E dopo che il Maestro ebbe scritto sulla sabbia per la terza volta, il complice della donna nel peccato si allontanò a sua volta, cosicché, quando il Maestro si alzò dopo aver finito di scrivere, vide che solo la donna stava davanti a lui. Gesù disse: “Donna, dove sono i tuoi accusatori? Non è rimasto nessuno per lapidarti?” E la donna, alzando gli occhi, rispose: “Nessuno Signore.” Allora Gesù disse: “Conosco il tuo caso; nemmeno io ti condanno. Va in pace per la tua strada.” E questa donna, Hildana, abbandonò il suo perverso marito e si unì ai discepoli del regno.
(1793.5) 162:4.1 La presenza di persone provenienti da tutto il mondo conosciuto, dalla Spagna all’India, faceva della festa dei Tabernacoli un’occasione ideale per Gesù di proclamare pubblicamente per la prima volta a Gerusalemme tutto il suo vangelo. Durante questa festa la gente viveva molto all’aria aperta, in capanne coperte di foglie. Questa era la festa del raccolto delle messi, e cadendo nei mesi freschi d’autunno, era generalmente più frequentata dagli Ebrei del mondo di quanto lo fosse la Pasqua alla fine dell’inverno o la Pentecoste all’inizio dell’estate. Gli apostoli vedevano finalmente il loro Maestro annunciare apertamente la sua missione sulla terra, per così dire, davanti al mondo intero.
(1794.1) 162:4.2 Questa era la festa delle feste, perché ogni sacrificio non fatto nelle altre festività poteva essere fatto in questo momento. Questa era l’occasione in cui si ricevevano le offerte al tempio; era una combinazione di piacevoli vacanze e di riti solenni del culto religioso. Era un periodo di gioia razziale, mescolata a sacrifici, a canti levitici ed ai solenni squilli delle trombe d’argento dei sacerdoti. Alla sera l’impressionante spettacolo del tempio e delle sue folle di pellegrini era stupendamente illuminato dai grandi candelabri che ardevano luminosi nel cortile delle donne, come pure dal bagliore di decine di torce poste nei cortili del tempio. Tutta la città era gaiamente decorata, eccetto il castello romano di Antonia, che dominava con sinistro contrasto questa scena di festa e di culto. E quanto odiavano gli Ebrei questa reminiscenza sempre presente del giogo romano!
(1794.2) 162:4.3 Durante la festa venivano sacrificati settanta buoi, simbolo delle settanta nazioni del mondo pagano. La cerimonia del versamento dell’acqua simbolizzava l’effusione dello spirito divino. Questa cerimonia dell’acqua seguiva la processione al sorgere del sole dei sacerdoti e dei Leviti. I fedeli scendevano i gradini che portavano dal cortile d’Israele al cortile delle donne al suono degli squilli delle trombe d’argento. E poi i fedeli andavano verso la magnifica porta che si apriva sul cortile dei Gentili. Qui essi si giravano per rivolgersi verso ovest, per ripetere i loro canti, e per continuare la loro marcia verso l’acqua simbolica.
(1794.3) 162:4.4 L’ultimo giorno della festa officiavano circa quattrocentocinquanta sacerdoti con un numero corrispondente di Leviti. Al sorgere del giorno i pellegrini affluivano da tutte le parti della città, portando ciascuno nella mano destra un fascio di mirto, di rami di salice e di palma, mentre nella mano sinistra ognuno portava un ramo di melo del paradiso — il cedro o “frutto proibito”. Questi pellegrini si dividevano in tre gruppi per questa cerimonia di primo mattino. Una parte rimaneva al tempio per assistere ai sacrifici del mattino, un altro gruppo scendeva da Gerusalemme alla vicina Maza per tagliare i rami di salice destinati ad ornare l’altare sacrificale, mentre il terzo gruppo formava una processione che marciava dal tempio dietro il sacerdote preposto all’acqua, il quale, al suono delle trombe d’argento, portava il vaso d’oro destinato a contenere l’acqua simbolica, passando per Ofel fino a Siloe, dove si trovava il portale della sorgente. Dopo che il vaso d’oro era stato riempito nella piscina di Siloe, la processione ritornava al tempio entrando dal portale dell’acqua e andando direttamente nel cortile dei sacerdoti, dove il sacerdote che portava il vaso d’acqua era raggiunto dal sacerdote che portava il vino per l’offerta della bevanda. Questi due sacerdoti andavano poi agli imbuti d’argento che conducevano alla base dell’altare e vi versavano il contenuto dei vasi. L’esecuzione di questo rito di versamento del vino e dell’acqua era il segnale per i pellegrini riuniti d’iniziare a cantare i Salmi dal 113 al 118 compreso, alternandosi con i Leviti. E mentre recitavano questi versi essi facevano ondeggiare i loro fasci verso l’altare. Poi seguivano i sacrifici del giorno, associati alla ripetizione del Salmo del giorno; il Salmo dell’ultimo giorno della festa era l’ottantadue, a partire dal quinto versetto.
(1794.4) 162:5.1 La sera del penultimo giorno della festa, mentre la scena era splendidamente illuminata dalle luci dei candelabri e delle torce, Gesù si alzò in mezzo alla folla riunita e disse:
(1795.1) 162:5.2 “Io sono la luce del mondo. Chiunque mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. Pretendendo di portarmi in giudizio e di assumere il ruolo di miei giudici, voi dichiarate che, se io porto testimonianza per me stesso, la mia testimonianza non può essere valida. Ma la creatura non può mai giudicare il Creatore. Anche se io testimonio per me stesso, la mia testimonianza è eternamente vera, perché io so da dove sono venuto, chi sono e dove vado. Voi che vorreste uccidere il Figlio dell’Uomo non sapete da dove sono venuto, chi sono o dove vado. Voi giudicate soltanto dalle apparenze della carne; non percepite le realtà dello spirito. Io non giudico nessuno, nemmeno il mio acerrimo nemico. Ma se scegliessi di giudicare, il mio giudizio sarebbe giusto e retto, perché non giudicherei da solo, ma in associazione con mio Padre, che mi ha mandato nel mondo e che è la fonte di ogni vero giudizio. Voi stessi ammettete che la testimonianza di due persone degne di fiducia può essere accettata — bene, allora io testimonio queste verità; e così fa anche mio Padre che è nei cieli. Quando vi ho detto questo ieri, nella vostra ignoranza mi avete chiesto: ‘Dov’è tuo Padre?’ In verità voi non conoscete né me né mio Padre, perché se aveste conosciuto me, avreste conosciuto anche il Padre.
(1795.2) 162:5.3 “Io vi ho già detto che me ne sto andando, e che voi mi cercherete e non mi troverete, perché dove sto andando io voi non potete venire. Voi che vorreste respingere questa luce venite dal basso; io vengo dall’alto. Voi che preferite rimanere nelle tenebre siete di questo mondo; io non sono di questo mondo, e vivo nella luce eterna del Padre delle luci. Voi tutti avete avuto abbondanti opportunità per apprendere chi io sia, ed avrete ancora altre prove a conferma dell’identità del Figlio dell’Uomo. Io sono la luce della vita, e chiunque respinge deliberatamente e coscientemente questa luce salvifica morirà nei suoi peccati. Io vi ho detto molte cose, ma voi siete incapaci di ricevere le mie parole. Tuttavia, colui che mi ha mandato è vero e fedele; mio Padre ama anche i suoi figli sviati. E tutto ciò che mio Padre ha detto anch’io lo proclamo al mondo.
(1795.3) 162:5.4 “Quando il Figlio dell’Uomo sarà elevato, allora saprete tutti che io sono lui, e che non ho fatto niente da me stesso, ma solo come il Padre mi ha insegnato. Io rivolgo queste parole a voi e ai vostri figli. E colui che mi ha mandato è anche ora presso di me; egli non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre ciò che piace ai suoi occhi.”
(1795.4) 162:5.5 Mentre Gesù insegnava ciò ai pellegrini nei cortili del tempio, molti credettero. E nessuno osò mettere le mani su di lui.
(1795.5) 162:6.1 L’ultimo giorno, il grande giorno della festa, mentre la processione proveniente dalla piscina di Siloe passava attraverso i cortili del tempio, e subito dopo che l’acqua e il vino erano stati versati sull’altare dai sacerdoti, Gesù, alzatosi in piedi tra i pellegrini, disse: “Se qualcuno ha sete, che venga a me e beva. Dal Padre celeste io porto a questo mondo l’acqua della vita. Chiunque crede in me sarà ricolmo dello spirito che quest’acqua rappresenta, perché anche le Scritture hanno detto: ‘Da lui scorreranno fiumi d’acqua vivente.’ Quando il Figlio dell’Uomo avrà terminato la sua opera sulla terra, sarà sparso su tutta la carne lo Spirito della Verità vivente. Coloro che riceveranno questo spirito non conosceranno mai la sete spirituale.”
(1795.6) 162:6.2 Gesù non interruppe il servizio per pronunciare queste parole. Egli parlò ai fedeli subito dopo il canto dell’Hallel, il ritornello dei Salmi accompagnato dall’ondeggiare dei rami davanti all’altare. A questo punto c’era una pausa mentre venivano preparati i sacrifici, e fu in questo momento che i pellegrini udirono la voce affascinante del Maestro proclamare che egli era il donatore dell’acqua vivente a tutte le anime assetate di spirito.
(1796.1) 162:6.3 Alla fine di questo servizio di primo mattino, Gesù continuò ad istruire la moltitudine dicendo: “Non avete letto nella Scrittura: ‘Ecco, come le acque vengono versate sul terreno arido e sparse sul suolo riarso, così io donerò lo spirito di santità perché sia sparso sui vostri figli per la benedizione anche dei figli dei vostri figli’? Perché siete assetati del ministero dello spirito mentre cercate di abbeverare le vostre anime con le tradizioni degli uomini, sgorgate dalle brocche rotte del servizio cerimoniale? Ciò che vedete accadere in questo tempio è il modo in cui i vostri padri cercarono di simbolizzare il conferimento dello spirito divino ai figli della fede, e voi avete fatto bene a perpetuare questi simboli, almeno fino a questo giorno. Ma ora è giunta a questa generazione la rivelazione del Padre degli spiriti tramite il conferimento di suo Figlio, e tutto ciò sarà certamente seguito dal conferimento dello spirito del Padre e del Figlio ai figli degli uomini. Per chiunque ha fede questo conferimento dello spirito diverrà il vero maestro del cammino che conduce alla vita eterna, alle vere acque della vita nel regno dei cieli sulla terra e nel Paradiso del Padre nell’aldilà.”
(1796.2) 162:6.4 E Gesù continuò a rispondere alle domande della folla e dei Farisei. Alcuni pensavano che fosse un profeta; alcuni credevano che fosse il Messia; altri dicevano che non poteva essere il Cristo poiché egli veniva dalla Galilea, ed il Messia doveva ristabilire il trono di Davide. Essi non osavano ancora arrestarlo.
(1796.3) 162:7.1 Il pomeriggio dell’ultimo giorno della festa, e dopo che gli apostoli avevano fallito nei loro sforzi per persuaderlo a fuggire da Gerusalemme, Gesù andò nuovamente nel tempio ad insegnare. Trovando un gruppo numeroso di credenti riuniti nel Portico di Salomone, egli parlò loro dicendo:
(1796.4) 162:7.2 “Se le mie parole dimorano in voi e se siete disposti a fare la volontà di mio Padre, allora siete veramente miei discepoli. Voi conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi. Io so come mi risponderete: noi siamo i figli di Abramo e non siamo schiavi di nessuno; come saremo dunque resi liberi? Ma io non parlo di sottomissione esteriore al dominio di un altro, mi riferisco alle libertà dell’anima. In verità, in verità vi dico, chiunque commette peccato è un servo del peccato. E voi sapete che il servo non è destinato a rimanere per sempre nella casa del padrone. Voi sapete anche che il figlio rimane nella casa del padre. Se dunque il Figlio vi renderà liberi, vi farà figli, sarete veramente liberi.
(1796.5) 162:7.3 “Io so che voi siete il seme di Abramo, eppure i vostri capi cercano di uccidermi perché non hanno permesso alla mia parola di esercitare la sua influenza trasformatrice nel loro cuore. La loro anima è sigillata dal pregiudizio ed accecata dall’orgoglio di vendetta. Io vi proclamo la verità che il Padre eterno mi mostra, mentre questi educatori illusi cercano di fare le cose che hanno imparato solo dai loro padri terreni. E quando voi rispondete che Abramo è vostro padre, allora io vi dico che se foste i figli di Abramo compireste le opere di Abramo. Alcuni di voi credono al mio insegnamento, ma altri cercano di distruggermi perché vi ho detto la verità che ho ricevuto da Dio. Ma Abramo non ha trattato così la verità di Dio. Io percepisco che alcuni tra voi sono determinati a compiere le opere del maligno. Se Dio fosse vostro Padre, voi mi riconoscereste ed amereste la verità che io rivelo. Non vedete che io vengo dal Padre, che sono mandato da Dio, che non sto facendo questo lavoro da me stesso? Perché non comprendete le mie parole? E perché avete scelto di divenire i figli del male? Se siete i figli delle tenebre difficilmente camminerete nella luce della verità che io rivelo. I figli del male seguono solo le vie del loro padre, che era un imbroglione e non sostenne la verità, perché non c’era alcuna verità in lui. Ma ora viene il Figlio dell’Uomo che parla e vive la verità, e molti di voi rifiutano di credere.
(1797.1) 162:7.4 “Chi di voi mi convince di peccato? Se io dunque proclamo e vivo la verità mostratami dal Padre, perché voi non credete? Chi è di Dio ascolta con gioia le parole di Dio; per questo molti di voi non ascoltano le mie parole, perché non siete di Dio. I vostri insegnanti hanno anche osato dire che io compio le mie opere con il potere del principe dei demoni. Uno qui vicino ha appena detto che io sono posseduto da un demone, che sono un figlio del demonio. Ma tutti quelli di voi che hanno un rapporto onesto con la propria anima sanno benissimo che io non sono un demone. Voi sapete che io onoro il Padre, mentre voi disonorate me. Io non cerco gloria per me, ma solo la gloria di mio Padre del Paradiso. Ed io non vi giudico, perché c’è uno che giudica per me.
(1797.2) 162:7.5 “In verità, in verità, dico a voi che credete nel vangelo che, se un uomo conserva questa parola di verità viva nel suo cuore non conoscerà mai la morte. Ed ora proprio a fianco a me uno Scriba dice che questa affermazione prova che io sono posseduto da un demone, poiché Abramo è morto ed anche i profeti. E chiede: ‘Sei tu talmente più grande di Abramo e dei profeti che osi venire qui e dire che chiunque serberà la tua parola non conoscerà la morte? Chi pretendi di essere per osare profferire tali bestemmie?’ Io dico a tutti quelli come lui che, se io glorifico me stesso, la mia gloria non vale niente. Ma è il Padre che mi glorificherà, lo stesso Padre che voi chiamate Dio. Ma voi non siete riusciti a conoscere questo vostro Dio e Padre mio, ed io sono venuto per unirvi insieme, per mostrarvi come divenire veramente i figli di Dio. Sebbene voi non conosciate il Padre, io lo conosco davvero. Abramo stesso ha goduto di vedere il mio giorno, e lo vide per mezzo della fede e fu felice.”
(1797.3) 162:7.6 Quando gli Ebrei non credenti e gli agenti del Sinedrio che erano giunti in questo momento udirono queste parole, scatenarono un tumulto, gridando: “Non hai cinquant’anni e parli d’aver visto Abramo; sei un figlio del demonio!” Gesù non fu in grado di proseguire il discorso. Disse soltanto mentre se ne andava: “In verità, in verità vi dico, prima che Abramo fosse, io sono.” Molti dei non credenti si precipitarono alla ricerca di pietre per lapidarlo, e gli agenti del Sinedrio cercarono di arrestarlo, ma il Maestro si aprì rapidamente un varco attraverso i corridoi del tempio e fuggì verso il luogo d’incontro segreto vicino a Betania dove Marta, Maria e Lazzaro lo aspettavano.
(1797.4) 162:8.1 Era stato convenuto che Gesù avrebbe alloggiato con Lazzaro e le sue sorelle nella casa di un amico, mentre gli apostoli si sarebbero sparsi qua e là in piccoli gruppi. Queste precauzioni erano state prese perché le autorità ebraiche stavano divenendo nuovamente audaci con i loro piani per arrestarlo.
(1797.5) 162:8.2 Per anni era stata abitudine di questi tre di abbandonare ogni cosa ed ascoltare l’insegnamento di Gesù ogniqualvolta egli veniva a trovarli. Con la morte dei loro genitori, Marta aveva assunto le responsabilità della casa, e così in questa occasione, mentre Lazzaro e Maria erano seduti ai piedi di Gesù, bevendo il suo insegnamento ristoratore, Marta si preparava a servire il pasto della sera. Si deve spiegare che Marta si lasciava inutilmente distrarre da numerosi compiti non necessari, e che si occupava di molte inezie; quello era il suo carattere.
(1798.1) 162:8.3 Mentre Marta si occupava di tutti questi supposti doveri, era seccata perché Maria non faceva niente per aiutarla. Perciò essa andò da Gesù e disse: “Maestro, non t’importa che mia sorella mi abbia lasciato da sola a fare tutto il lavoro? Non vorresti dirle di venire ad aiutarmi?” Gesù rispose: “Marta, Marta, perché sei sempre ansiosa per tante cose e turbata da tanti dettagli? Una sola cosa è realmente meritevole d’attenzione, e poiché Maria ha scelto questa parte buona e utile, io non la distoglierò. Ma quando imparerete entrambe a vivere come vi ho insegnato: a servire in cooperazione e ritemprando le vostre anime all’unisono? Non potete apprendere che c’è un tempo per ogni cosa — che le questioni secondarie della vita devono farsi da parte davanti alle cose più grandi del regno dei cieli?”
(1798.2) 162:9.1 Per tutta la settimana che seguì la festa dei Tabernacoli decine di credenti si riunirono a Betania e furono istruiti dai dodici apostoli. Il Sinedrio non fece alcun sforzo per molestare queste riunioni, poiché Gesù non vi partecipava; durante tutto questo tempo egli lavorava con Abner ed i suoi associati a Betlemme. Il giorno seguente alla conclusione della festa Gesù era ripartito per Betania e non insegnò più nel tempio durante questa visita a Gerusalemme.
(1798.3) 162:9.2 In questo periodo Abner aveva stabilito il suo quartier generale a Betlemme, e da questo centro molti discepoli erano stati inviati nelle città della Giudea e della Samaria meridionale ed anche ad Alessandria. Entro alcuni giorni dal suo arrivo, Gesù e Abner completarono i progetti per il consolidamento del lavoro dei due gruppi di apostoli.
(1798.4) 162:9.3 Durante la sua visita alla festa dei Tabernacoli, Gesù aveva diviso quasi equamente il suo tempo tra Betania e Betlemme. A Betania trascorse molto tempo con i suoi apostoli; a Betlemme istruì a lungo Abner e gli altri precedenti apostoli di Giovanni. E fu questo contatto intimo che li portò finalmente a credere in lui. Questi vecchi apostoli di Giovanni il Battista furono influenzati dal coraggio da lui dimostrato nel suo insegnamento pubblico a Gerusalemme, come pure dall’affettuosa comprensione che sperimentarono nel suo insegnamento privato a Betlemme. Tali influenze conquistarono definitivamente e pienamente ciascuno degli associati di Abner all’aperta accettazione del regno e di tutto ciò che un tale passo implicava.
(1798.5) 162:9.4 Prima di lasciare Betlemme per l’ultima volta, il Maestro prese accordi perché tutti loro si unissero a lui nello sforzo comune che doveva precedere la fine della sua carriera terrena nella carne. Fu convenuto che Abner ed i suoi associati avrebbero presto raggiunto Gesù e i dodici al Parco di Magadan.
(1798.6) 162:9.5 Conformemente a questo accordo, all’inizio di novembre Abner ed i suoi undici compagni unirono il loro destino a quello di Gesù e dei dodici e lavorarono con loro come una sola organizzazione fino al giorno della crocifissione.
(1798.7) 162:9.6 Alla fine di ottobre Gesù e i dodici si allontanarono dalle vicinanze immediate di Gerusalemme. Domenica 30 ottobre Gesù ed i suoi associati lasciarono la città di Efraim, dove egli si era riposato in isolamento per alcuni giorni, e seguendo la grande strada sulla riva occidentale del Giordano andarono direttamente al Parco di Magadan, dove arrivarono nel tardo pomeriggio di mercoledì 2 novembre.
(1799.1) 162:9.7 Gli apostoli furono molto sollevati di avere il Maestro di ritorno in terra amica; essi non lo spinsero più ad andare a Gerusalemme per proclamare il vangelo del regno.
(1800.1) 163:0.1 POCHI giorni dopo il ritorno di Gesù e dei dodici a Magadan da Gerusalemme, Abner ed un gruppo di una cinquantina di discepoli arrivarono da Betlemme. In questo momento erano riuniti al campo di Magadan anche il corpo di evangelisti, il corpo delle donne e circa centocinquanta altri discepoli sinceri e fidati provenienti da tutte le parti della Palestina. Dopo aver dedicato qualche giorno a fare delle visite ed alla riorganizzazione del campo, Gesù e i dodici iniziarono un corso di formazione intensiva per questo gruppo speciale di credenti, e tra questa massa di discepoli ben preparati e sperimentati il Maestro scelse successivamente i settanta insegnanti e li mandò a proclamare il vangelo del regno. Questa istruzione regolare cominciò venerdì 4 novembre e proseguì fino a sabato 19 novembre.
(1800.2) 163:0.2 Gesù teneva un discorso a questa compagnia tutte le mattine. Pietro insegnava i metodi di predicazione in pubblico; Natanaele li istruiva nell’arte d’insegnare; Tommaso spiegava come rispondere alle domande; mentre Matteo dirigeva l’organizzazione delle loro finanze collettive. Anche gli altri apostoli parteciparono a questa formazione secondo la loro esperienza particolare e i loro talenti naturali.
(1800.3) 163:1.1 I settanta furono ordinati da Gesù sabato pomeriggio 19 novembre al campo di Magadan, e Abner fu posto a capo di questi predicatori ed insegnanti del vangelo. Questo corpo di settanta era costituito da Abner e da dieci dei precedenti apostoli di Giovanni, da cinquantuno dei primi evangelisti e da altri otto discepoli che si erano distinti nel servizio del regno.
(1800.4) 163:1.2 Alle due di questo sabato pomeriggio, tra rovesci di pioggia, un gruppo di credenti, accresciuto dall’arrivo di Davide e della maggior parte del suo corpo di messaggeri, per un totale di circa quattrocento persone, si riunì sulla riva del lago di Galilea per assistere all’ordinazione dei settanta.
(1800.5) 163:1.3 Prima d’imporre le mani sulle teste dei settanta per designarli come messaggeri del vangelo, Gesù si rivolse loro dicendo: “La messe è in verità abbondante, ma gli operai sono pochi; perciò esorto tutti voi a pregare perché il Signore della messe mandi ancora altri operai per mietere. Io sto per scegliervi come messaggeri del regno; sto per inviarvi tra gli Ebrei e i Gentili come agnelli tra i lupi. Mentre andate per le vostre strade a due a due, vi ordino di non portare né borsa né vesti di ricambio, perché uscite in questa prima missione soltanto per un breve periodo. Per strada non salutate nessuno, occupatevi soltanto del vostro lavoro. Ogniqualvolta andate a stare in una casa, dite prima: la pace sia su questa casa. Se vi abita della gente che ama la pace, vi dimorerete; altrimenti ve ne andrete. E avendo scelto questa casa, restatevi per tutto il vostro soggiorno in quella città, mangiando e bevendo tutto ciò che viene posto davanti a voi. E fate questo perché l’operaio merita il suo sostentamento. Non spostatevi da casa a casa perché vi è offerto un alloggio migliore. Ricordatevi, quando andrete a proclamare pace in terra e buona volontà tra gli uomini, dovrete lottare contro nemici accaniti ed autoillusi; perciò siate prudenti come serpenti ed inoffensivi come colombe.
(1801.1) 163:1.4 “E dovunque andate, predicate dicendo: ‘Il regno dei cieli è a portata di mano’, e curate tutti gli ammalati di mente o di corpo. Voi avete ricevuto generosamente le buone cose del regno; donatele generosamente. Se gli abitanti di una città vi accolgono, troveranno un’abbondante entrata nel regno del Padre; ma se la popolazione di una città rifiuta di ricevere questo vangelo, voi proclamerete lo stesso il vostro messaggio nel lasciare questa comunità non credente, dicendo mentre partite a coloro che respingono il vostro insegnamento: ‘Nonostante respingiate la verità, resta il fatto che il regno di Dio è venuto presso di voi.’ Chiunque ascolta voi ascolta me, e chiunque ascolta me ascolta Colui che mi ha mandato. Chiunque respinge il vostro messaggio evangelico respinge me. E chiunque respinge me respinge Colui che mi ha mandato.”
(1801.2) 163:1.5 Dopo che Gesù ebbe parlato così ai settanta, mentre essi erano inginocchiati in cerchio attorno a lui, impose le sue mani sulla testa di ciascuno di loro, cominciando da Abner.
(1801.3) 163:1.6 L’indomani mattina presto Abner inviò i settanta messaggeri in tutte le città della Galilea, della Samaria e della Giudea. E queste trentacinque coppie andarono a predicare e ad insegnare per circa sei settimane, ritornando tutti al nuovo campo vicino a Pella, nella Perea, venerdì 30 dicembre.
(1801.4) 163:2.1 Più di cinquanta discepoli che desideravano l’ordinazione e l’ammissione come membri dei settanta furono scartati dal comitato incaricato da Gesù di selezionare questi candidati. Questo comitato era composto da Andrea, da Abner e dal capo in funzione del corpo evangelico. In tutti i casi in cui questo comitato di tre persone non era unanime nel giudizio, il candidato veniva portato da Gesù, e mentre il Maestro non scartò una sola persona che desiderava profondamente l’ordinazione come messaggero del vangelo, ve ne furono più di una dozzina che, dopo aver parlato con Gesù, non desiderarono più divenire messaggeri del vangelo.
(1801.5) 163:2.2 Un discepolo sincero venne da Gesù dicendo: “Maestro, vorrei essere uno dei tuoi nuovi apostoli, ma mio padre è molto vecchio e prossimo a morire; mi permetteresti di ritornare a casa per seppellirlo?” Gesù disse a quest’uomo: “Figlio mio, le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo hanno dei nidi, ma il Figlio dell’Uomo non ha alcun luogo dove posare il suo capo. Tu sei un discepolo fedele, e puoi rimanere tale pur tornando a casa tua a curare i tuoi cari, ma non è così per i messaggeri del mio vangelo. Essi hanno abbandonato tutto per seguirmi e proclamare il regno. Se vuoi essere ordinato insegnante, devi lasciare agli altri seppellire i morti mentre tu vai a divulgare la buona novella.” E quest’uomo se ne andò con grande disappunto.
(1801.6) 163:2.3 Un altro discepolo venne dal Maestro e disse: “Vorrei divenire un messaggero ordinato, ma vorrei passare un po’ di tempo a casa mia per confortare la mia famiglia.” E Gesù rispose: “Se vuoi essere ordinato devi accettare di abbandonare tutto. I messaggeri del vangelo non possono dividere i loro affetti. Nessun uomo che ha messo mano all’aratro, e torna indietro, è degno di divenire un messaggero del regno.”
(1801.7) 163:2.4 Andrea condusse poi da Gesù un giovane uomo ricco che era un devoto credente e che desiderava ricevere l’ordinazione. Questo giovane uomo, Matadormus, era un membro del Sinedrio di Gerusalemme; egli aveva ascoltato Gesù insegnare ed era stato successivamente istruito nel vangelo del regno da Pietro e dagli altri apostoli. Gesù parlò con Matadormus sulle esigenze dell’ordinazione e gli chiese di rimandare la sua decisione fino a che non avesse riflettuto più a fondo sulla questione. L’indomani mattina presto, mentre Gesù stava uscendo per una passeggiata, questo giovane si avvicinò a lui e disse: “Maestro, vorrei conoscere da te le assicurazioni della vita eterna. Poiché ho osservato tutti i comandamenti fin dalla mia giovinezza, vorrei sapere che cosa devo fare ancora per ottenere la vita eterna?” In risposta a questa domanda Gesù disse: “Se tu osservi tutti i comandamenti — non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non portare falsa testimonianza, non frodare, onora i tuoi genitori — tu agisci bene, ma la salvezza è la ricompensa della fede, non soltanto delle opere. Tu credi in questo vangelo del regno?” E Matadormus rispose: “Sì, Maestro, credo a tutto ciò che tu ed i tuoi apostoli mi avete insegnato.” E Gesù disse: “Allora sei davvero mio discepolo e un figlio del regno.”
(1802.1) 163:2.5 Allora il giovane uomo disse: “Ma, Maestro, non mi basta essere tuo discepolo; vorrei essere uno dei tuoi nuovi messaggeri.” Quando Gesù udì ciò, lo guardò con grande amore e disse: “Ti accoglierò come uno dei miei messaggeri se accetterai di pagarne il prezzo, se provvederai alla sola cosa che ti manca.” Matadormus rispose: “Maestro, farò qualunque cosa per avere il permesso di seguirti.” Gesù, baciando sulla fronte il giovane in ginocchio, disse: “Se vuoi essere mio messaggero, va a vendere tutto ciò che possiedi, e quando ne avrai distribuito il ricavato ai poveri o ai tuoi fratelli, ritorna e seguimi, ed avrai un tesoro nel regno dei cieli.”
(1802.2) 163:2.6 Quando Matadormus udì ciò il suo entusiasmo crollò. Egli si alzò e se ne andò triste, perché possedeva grandi beni. Questo giovane Fariseo ricco era stato allevato nella credenza che la ricchezza fosse il segno del favore di Dio. Gesù sapeva che egli non era libero dall’amore per se stesso e per le sue ricchezze. Il Maestro voleva liberarlo dall’amore per la ricchezza, non necessariamente dalla ricchezza. Mentre i discepoli di Gesù non avevano rinunciato a tutti i loro beni terreni, gli apostoli e i settanta lo fecero. Matadormus desiderava essere uno dei settanta nuovi messaggeri, e per questo Gesù gli chiese di rinunciare a tutti i suoi beni materiali.
(1802.3) 163:2.7 Quasi ogni essere umano ha una cosa alla quale si attacca come ad un male prediletto, e che l’entrata nel regno dei cieli richiede come parte del prezzo di ammissione. Se Matadormus si fosse separato dai suoi beni, essi sarebbero stati probabilmente rimessi nelle sue mani perché li amministrasse come tesoriere dei settanta. Successivamente, dopo l’istituzione della Chiesa di Gerusalemme, egli obbedì all’ingiunzione del Maestro, sebbene allora fosse troppo tardi per godere dell’ammissione tra i settanta, e divenne il tesoriere della Chiesa di Gerusalemme, di cui Giacomo, il fratello del Signore nella carne, era il capo.
(1802.4) 163:2.8 Così è sempre stato e sempre sarà: gli uomini devono pervenire alle loro decisioni. C’è una certa estensione di libertà di scelta che i mortali possono esercitare. Le forze del mondo spirituale non obbligano l’uomo; esse gli permettono di seguire la via da lui stesso scelta.
(1802.5) 163:2.9 Gesù prevedeva che Matadormus, con le sue ricchezze, non avrebbe potuto divenire un associato ordinato di uomini che avevano rinunciato a tutto per il vangelo; allo stesso tempo egli vedeva che, senza le sue ricchezze, egli sarebbe divenuto il dirigente supremo di tutti loro. Ma, come i fratelli carnali di Gesù, egli non divenne mai grande nel regno perché si era privato di quell’associa-zione intima e personale con il Maestro di cui avrebbe potuto fare l’esperienza se avesse voluto fare in questo momento la cosa stessa che Gesù chiedeva, e che, parecchi anni più tardi, effettivamente fece.
(1803.1) 163:2.10 Le ricchezze non hanno nulla a che fare direttamente con l’entrata nel regno dei cieli, ma l’amore per la ricchezza sì. Le fedeltà spirituali del regno sono incompatibili con il servilismo verso il mammona materialistico. L’uomo non può spartire la sua fedeltà suprema ad un ideale spirituale con una devozione materiale.
(1803.2) 163:2.11 Gesù non insegnò mai che era una cattiva cosa essere ricchi. Egli chiese solo ai dodici e ai settanta di dedicare tutti i loro beni terreni alla causa comune. Anche allora fece in modo che le loro proprietà fossero liquidate con profitto, come nel caso dell’apostolo Matteo. Gesù consigliò molte volte ai suoi discepoli benestanti come aveva istruito l’uomo ricco di Roma. Il Maestro considerava il saggio investimento delle eccedenze del reddito come una forma legittima di assicurazione contro l’inevitabile avversità futura. Quando la tesoreria apostolica era ben fornita, Giuda depositava dei fondi per impiegarli successivamente quando essi avessero subito una notevole diminuzione di entrate. Giuda faceva questo dopo essersi consultato con Andrea. Gesù non si occupò mai personalmente delle finanze apostoliche, salvo che per l’elargizione di elemosine. Ma c’era un abuso economico che egli condannò molte volte, ed era lo sfruttamento ingiusto dei deboli, degli ignoranti e dei meno fortunati da parte dei loro simili forti, scaltri e più intelligenti. Gesù dichiarò che tale trattamento disumano degli uomini, delle donne e dei bambini era incompatibile con gli ideali di fratellanza del regno dei cieli.
(1803.3) 163:3.1 Appena Gesù ebbe terminato di parlare con Matadormus, Pietro ed alcuni apostoli si erano radunati attorno a lui, e mentre il giovane uomo ricco se ne stava andando, Gesù si rivolse agli apostoli e disse: “Vedete com’è difficile per coloro che hanno delle ricchezze entrare pienamente nel regno di Dio! L’adorazione spirituale non può essere spartita con le devozioni materiali; nessuno può servire due padroni. Voi avete un detto che dice ‘è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che il pagano erediti la vita eterna’. Io dichiaro che è così facile per questo cammello passare per la cruna di un ago quanto per questi ricchi compiaciuti di se stessi entrare nel regno dei cieli.”
(1803.4) 163:3.2 Quando Pietro e gli apostoli udirono queste parole, rimasero estremamente stupiti, al punto che Pietro disse: “Allora, Signore, chi può essere salvato? Tutti coloro che sono ricchi saranno tenuti fuori del regno?” E Gesù rispose: “No, Pietro, ma tutti coloro che ripongono la loro fiducia nelle ricchezze hanno poche probabilità di entrare nella vita spirituale che conduce al progresso eterno. Ma, anche in questo caso, ciò che è impossibile per l’uomo non è fuori della portata del Padre che è nei cieli; dovremmo piuttosto riconoscere che a Dio ogni cosa è possibile.”
(1803.5) 163:3.3 Mentre essi se ne andavano, Gesù era rattristato che Matadormus non fosse rimasto con loro, perché lo amava molto. E dopo essersi diretti verso il lago, essi si sedettero vicino all’acqua, e Pietro, parlando a nome dei dodici (che erano tutti presenti in quel momento), disse: “Noi siamo turbati dalle tue parole rivolte al giovane uomo ricco. Dovremo chiedere a coloro che volessero seguirti di rinunciare a tutti i loro beni terreni?” E Gesù disse: “No, Pietro, soltanto a coloro che volessero divenire apostoli e che desiderassero vivere con me come fate voi e come una sola famiglia. Ma il Padre esige che l’affetto dei suoi figli sia puro e indiviso. Qualsiasi cosa o persona che si frappone tra voi e l’amore delle verità del regno deve essere abbandonata. Se la propria ricchezza non invade il dominio dell’anima non è di alcuna conseguenza alla vita spirituale di coloro che volessero entrare nel regno.”
(1804.1) 163:3.4 Allora Pietro disse: “Ma, Maestro, noi abbiamo lasciato ogni cosa per seguirti, che cosa avremo allora?” E Gesù disse a tutti i dodici: “In verità, in verità vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato ricchezza, famiglia, moglie, fratelli, genitori o figli per amore mio e per il bene del regno dei cieli, che non riceverà molte volte di più in questo mondo, forse con qualche persecuzione, e nel mondo futuro la vita eterna. Ma molti di coloro che sono primi saranno ultimi, mentre l’ultimo sarà spesso primo. Il Padre tratta le sue creature secondo i loro bisogni e in obbedienza alle sue giuste leggi di misericordiosa e di amorevole considerazione per il benessere di un universo.
(1804.2) 163:3.5 “Il regno dei cieli è simile ad un proprietario che impiegava molta manodopera e che uscì di mattina presto per assumere degli operai che lavorassero nel suo vigneto. Dopo aver convenuto con gli operai di pagarli un denaro al giorno, li mandò nel vigneto. Poi uscì alle nove, e vedendo altri inoperosi nella piazza del mercato, disse loro: ‘Andate anche voi a lavorare nel mio vigneto e vi pagherò il giusto.’ Ed essi andarono subito a lavorare. Egli uscì di nuovo a mezzogiorno e alle tre e fece la stessa cosa. E ritornando nella piazza del mercato alle cinque del pomeriggio, vi trovò ancora altri oziosi e chiese loro: ‘Perché restate qui tutto il giorno a far niente?’ E gli uomini risposero: ‘Perché nessuno ci ha ingaggiati.’ Allora il proprietario disse: ‘Andate anche voi a lavorare nel mio vigneto e vi pagherò il giusto.’
(1804.3) 163:3.6 “Quando venne la sera, questo proprietario del vigneto disse al suo intendente: ‘Chiama gli operai e paga il loro salario, cominciando dall’ultimo assunto e finendo col primo.’ Quando vennero quelli che erano stati ingaggiati alle cinque del pomeriggio, ricevettero un denaro ciascuno, e così fu con ognuno degli altri operai. Quando gli uomini che furono assunti all’inizio della giornata videro come furono pagati quelli venuti più tardi, si aspettavano di ricevere di più del salario pattuito. Ma ognuno ricevette soltanto un denaro come gli altri. E dopo che ciascuno ebbe ricevuto la sua paga, essi si lamentarono col proprietario dicendo: ‘Questi uomini che furono assunti per ultimi hanno lavorato solamente un’ora, e tuttavia tu li hai pagati come noi che abbiamo penato tutto il giorno sotto il sole ardente.’
(1804.4) 163:3.7 “Allora il proprietario rispose: ‘Amici miei, io non vi faccio torto. Ciascuno di voi non ha accettato di lavorare per un denaro al giorno? Prendete ora ciò che vi spetta e andate per la vostra strada, perché io desidero dare a coloro che sono venuti per ultimi quanto ho dato a voi. Non ho il diritto di fare quello che voglio con ciò che è mio? Oppure rimproverate la mia generosità perché desidero essere buono e mostrare misericordia?’ ”
(1804.5) 163:4.1 Fu un momento commovente al campo di Magadan il giorno in cui i settanta partirono per la loro prima missione. Quel mattino presto, nel suo ultimo incontro con i settanta, Gesù pose in risalto i seguenti punti:
(1804.6) 163:4.2 1. Il vangelo del regno deve essere proclamato a tutto il mondo, ai Gentili come agli Ebrei.
(1804.7) 163:4.3 2. Nel curare gli ammalati, astenetevi dall’insegnare di aspettarsi miracoli.
(1805.1) 163:4.4 3. Proclamate una fraternità spirituale dei figli di Dio, non un regno esteriore di potere terreno e di gloria materiale.
(1805.2) 163:4.5 4. Evitate di perdere tempo con eccessivi incontri sociali ed altre banalità che possono distrarvi dalla consacrazione totale alla predicazione del vangelo.
(1805.3) 163:4.6 5. Se la prima casa che avete scelto come base per le vostre attività si rivela una casa degna, dimoratevi per tutto il vostro soggiorno in quella città.
(1805.4) 163:4.7 6. Spiegate a tutti i credenti fedeli che è giunto il momento di un’aperta rottura con i capi religiosi degli Ebrei di Gerusalemme.
(1805.5) 163:4.8 7. Insegnate che il dovere totale dell’uomo è riassunto in quest’unico comandamento: ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente e con tutta la tua anima, ed il prossimo tuo come te stesso. (Essi dovevano insegnare questo come dovere totale dell’uomo al posto delle 613 regole di vita esposte dai Farisei.)
(1805.6) 163:4.9 Dopo che Gesù ebbe parlato così ai settanta in presenza di tutti gli apostoli e i discepoli, Simon Pietro li prese da parte e predicò loro il sermone di ordinazione, che era un’elaborazione delle raccomandazioni fatte dal Maestro nel momento in cui impose le mani su di loro e li selezionò come messaggeri del regno. Pietro esortò i settanta a coltivare nella loro esperienza le seguenti virtù:
(1805.7) 163:4.10 1. Devozione consacrata. Pregare sempre perché un maggior numero di operai sia inviato nella messe del vangelo. Egli spiegò che se uno prega così sarà più probabile che dica: “Eccomi; mandami.” Egli raccomandò loro di non dimenticare la loro adorazione quotidiana.
(1805.8) 163:4.11 2. Vero coraggio. Egli li avvertì che avrebbero incontrato ostilità e che sarebbero stati certamente perseguitati. Pietro disse che la loro missione non era un’impresa per codardi e consigliò a coloro che avevano paura di rinunciare prima di partire. Ma nessuno si tirò indietro.
(1805.9) 163:4.12 3. Fede e fiducia. Essi dovevano partire per questa breve missione completamente privi di tutto; dovevano avere fiducia nel Padre per il cibo, l’alloggio e tutte le altre cose necessarie.
(1805.10) 163:4.13 4. Zelo ed iniziativa. Essi dovevano essere pieni di zelo e d’intelligente entusiasmo; dovevano occuparsi esclusivamente degli affari del loro Maestro. Il saluto orientale era una cerimonia lunga ed elaborata; perciò erano state date loro istruzioni di “non salutare nessuno per strada”, che era un modo comune per esortare qualcuno a badare ai propri affari senza perdere tempo. Ciò non aveva niente a che fare con i saluti amichevoli.
(1805.11) 163:4.14 5. Gentilezza e cortesia. Il Maestro aveva ordinato loro di evitare inutili perdite di tempo in cerimonie sociali, ma aveva raccomandato cortesia verso tutti coloro con cui fossero venuti in contatto. Essi dovevano mostrarsi estremamente gentili con coloro che li avessero ospitati nelle loro case. Essi furono severamente avvertiti contro il lasciare una famiglia modesta per essere ospitati presso una più soddisfacente o più influente.
(1805.12) 163:4.15 6. Assistenza agli ammalati. I settanta furono incaricati da Pietro di cercare gli ammalati di mente e di corpo e di fare quanto era in loro potere per alleviare o guarire le loro malattie.
(1805.13) 163:4.16 E dopo aver ricevuto questi ordini ed istruzioni, essi partirono a due a due per la loro missione in Galilea, nella Samaria e in Giudea.
(1806.1) 163:4.17 Benché gli Ebrei avessero un riguardo particolare per il numero settanta, poiché consideravano talvolta che le nazioni del mondo pagano fossero settanta, e benché questi settanta messaggeri stessero portando il vangelo a tutti i popoli, per quello che possiamo discernere noi, fu soltanto una semplice coincidenza che questo gruppo fosse esattamente di settanta membri. Gesù ne avrebbe certamente accettato non meno di un’altra mezza dozzina, ma essi non vollero pagarne il prezzo abbandonando i loro beni e le loro famiglie.
(1806.2) 163:5.1 Gesù e dodici si prepararono ora a stabilire il loro ultimo quartier generale in Perea, vicino a Pella, dove il Maestro era stato battezzato nel Giordano. Gli ultimi dieci giorni di novembre furono trascorsi in consiglio a Magadan, e martedì 6 dicembre l’intera compagnia di quasi trecento persone partì all’alba con tutti i loro effetti per alloggiare la notte successiva presso Pella in riva al fiume. Questo era lo stesso luogo, vicino alla sorgente, che Giovanni il Battista aveva occupato con il suo campo parecchi anni prima.
(1806.3) 163:5.2 Dopo aver smontato il campo di Magadan, Davide Zebedeo ritornò a Betsaida e cominciò immediatamente a ridurre il servizio dei messaggeri. Il regno stava per entrare in una nuova fase. Quotidianamente arrivavano pellegrini da ogni parte della Palestina ed anche dalle regioni lontane dell’Impero Romano. Occasionalmente giungevano credenti dalla Mesopotamia e dai paesi ad est del Tigri. Di conseguenza, domenica 18 dicembre, Davide, con l’aiuto del suo corpo di messaggeri, caricò sulle bestie da soma il materiale del campo, allora immagazzinato nella casa di suo padre, con cui aveva precedentemente organizzato il campo di Betsaida vicino al lago. Salutando Betsaida per il momento, egli procedette lungo la riva del lago e del Giordano fino ad un punto a circa ottocento metri a nord del campo apostolico; ed in meno di una settimana fu pronto ad offrire ospitalità a quasi millecinquecento pellegrini in visita. Il campo apostolico poteva accogliere circa cinquecento persone. Era la stagione delle piogge in Palestina, e questi alloggi erano necessari per ospitare il numero sempre crescente d’individui interessati, per la maggior parte sinceri, che venivano in Perea per vedere Gesù e per ascoltare il suo insegnamento.
(1806.4) 163:5.3 Davide fece tutto ciò di sua iniziativa, benché si fosse consigliato con Filippo e Matteo a Magadan. Egli impiegò la maggior parte del suo precedente corpo di messaggeri come aiutanti per dirigere questo campo; egli utilizzava ora meno di venti uomini per il servizio regolare di messaggeri. Verso la fine di dicembre e prima del ritorno dei settanta, quasi ottocento visitatori erano riuniti attorno al Maestro ed alloggiavano al campo di Davide.
(1806.5) 163:6.1 Venerdì 30 dicembre, mentre Gesù era sulle colline vicine con Pietro, Giacomo e Giovanni, i settanta messaggeri stavano arrivando a coppie, accompagnati da numerosi credenti, al quartier generale di Pella. Alle cinque del pomeriggio, quando Gesù ritornò al campo, tutti i settanta erano riuniti nel luogo d’insegnamento. Il pasto della sera fu ritardato di oltre un’ora mentre questi entusiasti del vangelo del regno raccontavano le loro esperienze. I messaggeri di Davide avevano portato molte di queste notizie agli apostoli durante le settimane precedenti, ma fu veramente ispirante ascoltare questi insegnanti del vangelo ordinati da poco raccontare personalmente come il loro messaggio era stato accolto dagli Ebrei e dai Gentili affamati di verità. Finalmente Gesù poteva vedere degli uomini che andavano a diffondere la buona novella senza la sua presenza personale. Il Maestro ora sapeva che poteva lasciare questo mondo senza ostacolare seriamente il progresso del regno.
(1807.1) 163:6.2 Quando i settanta raccontarono come “anche i demoni erano sottomessi” a loro, facevano allusione alle guarigioni meravigliose che avevano operato nei casi delle vittime di disordini nervosi. Tuttavia c’erano stati alcuni casi di reale possessione da parte di spiriti trattati da questi ministri, e riferendosi a questi casi Gesù disse: “Non c’è da stupirsi che questi disobbedienti spiriti minori si siano assoggettati a voi, poiché ho visto Satana cadere dal cielo come un lampo. Ma non gioite tanto per questo, perché io vi dichiaro che, appena ritornerò da mio Padre, noi manderemo i nostri spiriti nelle menti stesse degli uomini, in modo che questi pochi spiriti sviati non possano più entrare nella mente dei mortali sfortunati. Mi rallegro con voi perché avete potere con gli uomini, ma non inorgoglitevi per questa esperienza, gioite piuttosto per il fatto che i vostri nomi sono scritti nei registri del cielo e che state avanzando così in una carriera senza fine di conquista spirituale.”
(1807.2) 163:6.3 Fu in questo momento, poco prima di partecipare al pasto della sera, che Gesù provò uno di quei rari momenti di estasi emotiva di cui i suoi discepoli erano stati occasionalmente testimoni. Egli disse: “Ti ringrazio, Padre mio, Signore del cielo e della terra, che, mentre questo meraviglioso vangelo è stato nascosto al saggio e all’ipocrita, lo spirito abbia rivelato tali glorie spirituali a questi figli del regno. Sì, Padre mio, io devo essere stato gradito ai tuoi occhi perché tu abbia fatto questo, e sono contento di sapere che la buona novella si diffonderà in tutto il mondo anche dopo che io sarò tornato da te e dopo il lavoro che tu mi hai dato da compiere. Io sono molto commosso nel realizzare che stai per rimettere ogni autorità nelle mie mani, che solo tu sai realmente chi sono io, e che solo io conosco realmente te e coloro ai quali ti ho rivelato. E quando avrò terminato questa rivelazione ai miei fratelli nella carne, continuerò la rivelazione alle tue creature in cielo.”
(1807.3) 163:6.4 Dopo che Gesù ebbe parlato così al Padre, si volse per dire ai suoi apostoli e ministri: “Siano benedetti gli occhi che vedono e le orecchie che ascoltano queste cose. Lasciate che vi dica che molti profeti e molti grandi uomini delle ere passate hanno desiderato vedere ciò che voi vedete ora, ma non fu loro concesso. E molte generazioni future di figli della luce, quando sentiranno parlare di queste cose, invidieranno voi che le avete udite e viste.”
(1807.4) 163:6.5 Poi, rivolgendosi a tutti i discepoli, disse: “Avete sentito come molte città e villaggi hanno ricevuto la buona novella del regno e come i miei ministri ed insegnanti sono stati accolti sia dagli Ebrei che dai Gentili. Siano benedette in verità queste comunità che hanno scelto di credere al vangelo del regno. Ma guai agli abitanti che hanno respinto la luce, di Corazin, di Betsaida-Giulia e di Cafarnao, le città che non hanno accolto bene questi messaggeri. Io dichiaro che, se le potenti opere compiute in questi luoghi fossero state fatte a Tiro e a Sidone, gli abitanti di queste città cosiddette pagane si sarebbero da lungo tempo pentiti, vestiti di sacco e cosparsi di cenere. In verità, vi sarà più tolleranza per Tiro e Sidone nel giorno del giudizio.”
(1807.5) 163:6.6 Poiché l’indomani era sabato, Gesù riunì in disparte i settanta e disse loro: “In verità ho gioito con voi quando siete tornati portando la buona notizia che il vangelo del regno è stato accolto da così tanta gente sparsa in Galilea, in Samaria e in Giudea. Ma perché eravate così sorprendentemente esultanti? Non vi aspettavate che il vostro messaggio manifestasse potenza nella sua diffusione? Eravate partiti con così poca fede in questo vangelo da ritornare sorpresi per la sua efficacia? Ed ora, pur senza voler raffreddare il vostro spirito esultante, vorrei fermamente mettervi in guardia contro l’insidia dell’orgoglio, dell’orgoglio spirituale. Se poteste comprendere la caduta di Lucifero, di quell’iniquo, rinuncereste solennemente a tutte le forme d’orgoglio spirituale.
(1808.1) 163:6.7 Voi avete intrapreso questa grande opera d’insegnare all’uomo mortale che è un figlio di Dio. Io vi ho mostrato la via; andate a compiere il vostro dovere e non stancatevi di agire bene. A voi e a tutti coloro che seguiranno le vostre orme lungo le ere, lasciate che dica: io sarò sempre vicino a voi, e il mio invito-appello è e sarà sempre: venite a me voi tutti che penate e che siete pesantemente carichi, e io vi darò riposo. Prendete il mio giogo su di voi ed ascoltatemi, perché io sono sincero e leale, e voi troverete riposo spirituale per le vostre anime.”
(1808.2) 163:6.8 Ed essi trovarono vere le parole del Maestro quando misero alla prova le sue promesse. E da quel giorno innumerevoli credenti hanno anch’essi messo alla prova e verificato la certezza di queste stesse promesse.
(1808.3) 163:7.1 Per alcuni giorni vi fu molto da fare al campo di Pella; dovevano essere completati i preparativi per la missione in Perea. Gesù e i suoi associati stavano per iniziare la loro ultima missione, il giro di tre mesi in tutta la Perea, che terminò soltanto con l’entrata del Maestro a Gerusalemme per la sua ultima opera sulla terra. Per tutto questo periodo il quartier generale di Gesù e dei dodici apostoli fu mantenuto qui al campo di Pella.
(1808.4) 163:7.2 Gesù non aveva più bisogno di andare lontano per insegnare alla gente. Essi venivano ora da lui in numero crescente ogni settimana e da tutte le parti, non solo dalla Palestina ma da tutto il mondo romano e dal Vicino Oriente. Sebbene il Maestro partecipasse con i settanta al giro della Perea, trascorse la maggior parte del tempo al campo di Pella, insegnando alla folla ed istruendo i dodici. Per tutto questo periodo di tre mesi almeno dieci degli apostoli rimasero con Gesù.
(1808.5) 163:7.3 Anche il corpo delle donne si preparò a partire a due a due con i settanta per lavorare nelle principali città della Perea. Questo gruppo originario di dodici donne aveva recentemente preparato un corpo più numeroso di cinquanta donne nel lavoro di visitare le famiglie e nell’arte di curare gli ammalati e gli afflitti. Perpetua, la moglie di Simon Pietro, divenne membro di questa nuova divisione del corpo femminile e le venne affidata, sotto gli ordini di Abner, la direzione di questa attività ampliata delle donne. Dopo la Pentecoste essa rimase col suo illustre marito e lo accompagnò in tutti i suoi giri di missione; e nel giorno in cui Pietro fu crocifisso a Roma essa fu data in pasto alle bestie feroci nell’arena. Questo nuovo corpo di donne ebbe come membri anche le mogli di Filippo e di Matteo e la madre di Giacomo e Giovanni.
(1808.6) 163:7.4 L’opera del regno si preparava ora ad entrare nella sua fase terminale sotto la direzione personale di Gesù. E questa era una fase di profonda spiritualità, in contrasto con le moltitudini inclini ai miracoli e alla ricerca di prodigi che seguivano il Maestro nei precedenti periodi di popolarità in Galilea. Tuttavia c’era ancora un certo numero di suoi discepoli di mentalità materiale e che non riuscivano a cogliere la verità che il regno dei cieli è la fratellanza spirituale degli uomini fondata sul fatto eterno della paternità universale di Dio.
(1809.1) 164:0.1 MENTRE si stava installando il campo di Pella, Gesù, conducendo con sé Natanaele e Tommaso, andò segretamente a Gerusalemme per assistere alla festa della Dedicazione. I due apostoli si resero conto che il loro Maestro stava andando a Gerusalemme solo dopo aver attraversato il Giordano al guado di Betania. Quando percepirono che egli intendeva realmente essere presente alla festa della Dedicazione, essi protestarono con lui molto energicamente, e facendo ricorso ad ogni sorta di argomenti cercarono di dissuaderlo. Ma i loro sforzi non servirono a nulla; Gesù era determinato a recarsi a Gerusalemme. A tutte le loro suppliche e a tutti i loro avvertimenti che ponevano in evidenza la follia ed il pericolo di mettersi nelle mani del Sinedrio, egli rispose soltanto: “Vorrei dare a questi educatori d’Israele un’altra opportunità di vedere la luce prima che giunga la mia ora.”
(1809.2) 164:0.2 Mentre proseguivano verso Gerusalemme, i due apostoli continuarono a manifestare i loro sentimenti di paura e ad esprimere i loro dubbi sulla saggezza di una simile impresa apparentemente presuntuosa. Essi raggiunsero Gerico verso le quattro e mezzo e si prepararono ad alloggiarvi per la notte.
(1809.3) 164:1.1 Quella sera un considerevole numero di persone si riunì attorno a Gesù e ai due apostoli per porre delle domande, a molte delle quali risposero gli apostoli, mentre altre furono discusse dal Maestro. Nel corso della sera un certo legista, cercando di raggirare Gesù con una discussione compromettente, disse: “Maestro, vorrei chiederti che cosa dovrei fare esattamente per ereditare la vita eterna?” Gesù rispose: “Che cosa sta scritto nella legge e nei profeti; come leggi tu le Scritture?” Il legista, conoscendo sia gli insegnamenti di Gesù che quelli dei Farisei, rispose: “Di amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza, ed il prossimo tuo come te stesso.” Allora Gesù disse: “Hai risposto esattamente; questo, se lo fai veramente, ti porterà alla vita eterna.”
(1809.4) 164:1.2 Ma il legista non era del tutto sincero nel porre questa domanda, e desiderando giustificarsi mentre sperava anche di porre in imbarazzo Gesù, si avventurò a porre un’altra domanda. Avvicinandosi un po’ di più al Maestro disse: “Ma, Maestro, vorrei che tu mi dicessi chi è esattamente il mio prossimo?” Il legista pose questa domanda sperando d’intrappolare Gesù inducendolo a fare qualche affermazione che contravvenisse alla legge ebraica che definiva il proprio prossimo “i figli del proprio popolo”. Gli Ebrei consideravano tutti gli altri come “cani Gentili”. Questo legista conosceva alquanto gli insegnamenti di Gesù e perciò sapeva bene che il Maestro pensava diversamente; egli sperava così d’indurlo a dire qualcosa che potesse essere interpretato come un attacco alla legge sacra.
(1810.1) 164:1.3 Ma Gesù comprese lo scopo del legista, e invece di cadere nella rete raccontò ai suoi ascoltatori una storia, una storia che poteva essere pienamente apprezzata da tutti gli abitanti di Gerico. Gesù disse: “Un tale stava scendendo da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani di briganti crudeli che lo derubarono, lo spogliarono, lo riempirono di botte e andarono via lasciandolo mezzo morto. Subito dopo, per caso, un sacerdote stava scendendo quella strada, e quando giunse presso l’uomo ferito, vedendo il suo stato pietoso, passò oltre dall’altro lato della strada. Ed allo stesso modo anche un Levita, quando giunse e vide l’uomo, passò oltre dall’altro lato. Ora, in questo momento, un Samaritano in viaggio verso Gerico incrociò quest’uomo ferito, e quando vide che era stato derubato e malmenato, fu mosso a compassione, e avvicinandosi a lui medicò le sue ferite versandovi dell’olio e del vino, e caricato l’uomo sul suo animale da soma lo portò alla vicina locanda e si prese cura di lui. E l’indomani egli tirò fuori del denaro e, dandolo al locandiere, disse: ‘Abbi cura del mio amico e se la spesa è maggiore, quando ritornerò, ti rimborserò.’ Ora permetti che ti chieda: quale di questi tre risultò essere il prossimo di colui che cadde in mano ai ladri?” Quando il legista percepì che era caduto nella sua stessa trappola, rispose: “Quello che gli mostrò misericordia.” E Gesù disse: “Va e fa la stessa cosa.”
(1810.2) 164:1.4 Il legista rispose: “Colui che ha mostrato misericordia” per evitare di pronunciare quell’odiosa parola, Samaritano. Il legista fu costretto a dare la risposta giusta alla domanda: “Chi è il mio prossimo?” che Gesù desiderava fosse data, e che, se Gesù avesse data lui stesso, l’avrebbe direttamente coinvolto nell’accusa d’eresia. Gesù non solo confuse il legista disonesto, ma raccontò ai suoi ascoltatori una storia che era allo stesso tempo una stupenda ammonizione a tutti i suoi discepoli ed un eccezionale rimprovero a tutti gli Ebrei circa il loro atteggiamento verso i Samaritani. E questa storia ha continuato a promuovere fraternamente l’amore fra tutti coloro che hanno successivamente creduto al vangelo di Gesù.
(1810.3) 164:2.1 Gesù aveva assistito alla festa dei Tabernacoli per poter proclamare il vangelo ai pellegrini provenienti da tutte le parti dell’impero; ora andava alla festa della Dedicazione per un solo proposito: dare al Sinedrio e ai dirigenti ebrei un’altra opportunità di vedere la luce. Il principale avvenimento di questi pochi giorni a Gerusalemme avvenne venerdì sera a casa di Nicodemo. Qui si erano riuniti circa venticinque dirigenti ebrei che credevano all’insegnamento di Gesù. In questo gruppo c’erano quattordici uomini che erano allora, o erano recentemente stati, membri del Sinedrio. A questo incontro erano presenti Eber, Matadormus e Giuseppe d’Arimatea.
(1810.4) 164:2.2 In questa occasione gli ascoltatori di Gesù erano tutti uomini eruditi, e sia essi che i suoi due apostoli rimasero stupiti dalla vastità e dalla profondità delle osservazioni che il Maestro fece a questo eminente gruppo. Dai tempi in cui aveva insegnato ad Alessandria, a Roma e nelle isole del Mediterraneo, egli non aveva più manifestato tale erudizione e mostrato una tale comprensione degli affari umani, sia secolari che religiosi.
(1810.5) 164:2.3 Quando questo breve incontro ebbe termine, andarono tutti via disorientati dalla personalità del Maestro, affascinati dalle sue maniere gentili e piene d’amore per l’uomo. Essi avevano cercato di consigliare Gesù riguardo al suo desiderio di conquistare alla sua causa gli altri membri del Sinedrio. Il Maestro ascoltò attentamente, ma in silenzio, tutte le loro proposte. Egli sapeva bene che nessuno dei loro piani avrebbe funzionato. Presumeva che la maggior parte dei dirigenti ebrei non avrebbe mai accettato il vangelo del regno; tuttavia diede a tutti loro quest’altra opportunità di scegliere. Ma quando se ne andò quella sera con Natanaele e Tommaso ad alloggiare sul Monte degli Olivi, egli non aveva ancora deciso il metodo che avrebbe adottato per portare ancora una volta la sua opera all’attenzione del Sinedrio.
(1811.1) 164:2.4 Quella notte Natanaele e Tommaso dormirono poco; erano troppo colpiti da quello che avevano udito a casa di Nicodemo. Essi meditarono a lungo sull’osservazione finale di Gesù concernente l’offerta dei membri passati e presenti del Sinedrio di presentarsi con lui davanti ai settanta. Il Maestro disse: “No, fratelli miei, non servirebbe a nulla. Moltiplichereste la collera che ricadrebbe sulle vostre teste, senza mitigare minimamente l’odio che portano a me. Andate, ciascuno di voi, ad occuparvi degli affari del Padre secondo le direttive dello spirito, mentre io ancora una volta porterò il regno alla loro attenzione nella maniera che mio Padre m’indicherà.”
(1811.2) 164:3.1 Il mattino successivo i tre andarono a casa di Marta a Betania per la colazione e poi si recarono immediatamente a Gerusalemme. Questo sabato mattina, mentre Gesù e i suoi due apostoli si avvicinavano al tempio, incontrarono un mendicante molto conosciuto, un uomo che era nato cieco, seduto al suo posto abituale. Sebbene questi mendicanti non sollecitassero né ricevessero elemosine nel giorno di sabato, era loro permesso sedersi al loro posto abituale. Gesù si fermò e osservò il mendicante. Mentre fissava quest’uomo che era nato cieco, gli venne in mente l’idea di come portare ancora una volta la sua missione sulla terra all’attenzione del Sinedrio e degli altri dirigenti ed istruttori religiosi ebrei.
(1811.3) 164:3.2 Mentre il Maestro stava là davanti al cieco, assorbito in profondi pensieri, Natanaele, riflettendo sulla possibile causa della cecità di quest’uomo, chiese: “Maestro, chi ha peccato, quest’uomo o i suoi genitori, per essere lui nato cieco?”
(1811.4) 164:3.3 I rabbini insegnavano che tutti questi casi di cecità dalla nascita erano causati dal peccato. Non solo i bambini erano concepiti e nati nel peccato, ma un figlio poteva nascere cieco come punizione per qualche specifico peccato commesso da suo padre. Essi insegnavano anche che un figlio stesso poteva peccare prima di venire al mondo. Insegnavano pure che tali difetti potevano essere causati da qualche peccato o altra debolezza della madre durante la gravidanza.
(1811.5) 164:3.4 In tutte queste regioni c’era una vaga credenza nella reincarnazione. Gli antichi insegnanti ebrei, così come Platone, Filone e molti degli Esseni, tolleravano la teoria che gli uomini possono raccogliere in un’incarnazione ciò che hanno seminato in un’esistenza precedente; così si credeva che in una vita essi espiassero i peccati commessi nelle vite precedenti. Il Maestro trovò difficile far credere agli uomini che la loro anima non aveva avuto esistenze precedenti.
(1811.6) 164:3.5 Tuttavia, per quanto sembrasse incoerente, benché tale cecità si ritenesse essere il risultato di un peccato, gli Ebrei stimavano altamente meritorio dare elemosine a questi mendicanti ciechi. Era abitudine di questi ciechi salmodiare continuamente ai passanti: “O sensibili di cuore, acquistate merito aiutando il cieco.”
(1811.7) 164:3.6 Gesù intavolò una discussione su questo caso con Natanaele e Tommaso, non solo perché aveva già deciso di utilizzare questo cieco come mezzo per portare quel giorno, ancora una volta, la sua missione all’attenzione dei dirigenti ebrei in modo eclatante, ma anche perché egli incoraggiava sempre i suoi apostoli a ricercare le vere cause di tutti i fenomeni, naturali o spirituali. Egli li aveva avvertiti spesso di evitare la tendenza comune di attribuire delle cause spirituali ad avvenimenti fisici ordinari.
(1812.1) 164:3.7 Gesù decise di utilizzare questo mendicante nei suoi piani per il lavoro di quel giorno, ma prima di fare qualcosa per l’uomo cieco, di nome Giosia, procedette a rispondere alla domanda di Natanaele. Disse il Maestro: “Né quest’uomo né i suoi genitori hanno peccato perché le opere di Dio si manifestassero in lui. Questa cecità gli è venuta nel corso naturale degli eventi, ma noi dobbiamo ora compiere le opere di Colui che mi ha mandato mentre è ancora giorno, perché arriverà certamente la notte durante la quale sarà impossibile fare il lavoro che stiamo per compiere. Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo, ma tra poco non sarò più con voi.”
(1812.2) 164:3.8 Quando Gesù ebbe parlato, disse a Natanaele e a Tommaso: “Creiamo la vista a quest’uomo cieco in questo giorno di sabato, affinché gli Scribi e i Farisei possano avere l’occasione giusta che cercano per accusare il Figlio dell’Uomo.” Poi, chinatosi, sputò per terra e mescolò dell’argilla con lo sputo, e parlando di tutto ciò in modo che il cieco potesse sentirlo, si avvicinò a Giosia e mise l’argilla sui suoi occhi ciechi dicendo: “Figlio mio, va a lavare via questa argilla nella piscina di Siloe e recupererai immediatamente la tua vista.” E quando Giosia si fu lavato così nella piscina di Siloe, ritornò dai suoi amici e alla sua famiglia vedendo.
(1812.3) 164:3.9 Essendo sempre stato un mendicante, egli non sapeva fare nient’altro; così, quando la prima eccitazione dovuta alla creazione della vista fu passata, egli ritornò al suo posto abituale in cui chiedeva l’elemosina. I suoi amici, i vicini e tutti coloro che l’avevano conosciuto precedentemente, quando notarono che poteva vedere dissero tutti: “Costui non è Giosia il mendicante cieco?” Alcuni dicevano che era lui, mentre altri dicevano: “No, è uno che gli assomiglia, ma quest’uomo può vedere.” Ma quando chiesero all’uomo stesso, egli rispose: “Sono io.”
(1812.4) 164:3.10 Quando cominciarono a chiedergli come fosse divenuto capace di vedere, egli rispose loro: “Un uomo chiamato Gesù è passato da qui, e mentre parlava di me con i suoi amici, ha mescolato dell’argilla con uno sputo, ha unto i miei occhi e mi ha ordinato di andare a lavarmi nella piscina di Siloe. Io ho fatto quello che quest’uomo mi ha detto ed ho ricevuto immediatamente la vista. E ciò solo poche ore fa. Io non conosco ancora il significato di molte cose che vedo.” E quando la gente che cominciava a riunirsi attorno a lui chiese dove si poteva trovare lo strano uomo che l’aveva guarito, Giosia poté solo rispondere che non lo sapeva.
(1812.5) 164:3.11 Questo è uno dei miracoli più strani del Maestro. Quest’uomo non chiedeva di essere guarito. Egli non sapeva che il Gesù che gli aveva ordinato di lavarsi a Siloe, e che gli aveva promesso che avrebbe visto, fosse il profeta della Galilea che aveva predicato a Gerusalemme durante la festa dei Tabernacoli. Quest’uomo aveva poca fiducia di poter ricevere la vista, ma le persone di quel tempo avevano grande fiducia nell’efficacia dello sputo di un grande o santo uomo; e dalla conversazione di Gesù con Natanaele e Tommaso, Giosia aveva concluso che il suo sedicente benefattore fosse un grand’uomo, un maestro erudito o un santo profeta; conseguentemente egli fece come Gesù gli aveva ordinato.
(1812.6) 164:3.12 Gesù utilizzò l’argilla e lo sputo e gli ordinò di lavarsi nella piscina simbolica di Siloe per tre ragioni:
(1812.7) 164:3.13 1. Questo non era un miracolo in risposta alla fede di un individuo. Era un prodigio che Gesù scelse di compiere per un proposito personale, ma che egli predispose in modo tale che quest’uomo potesse trarne un profitto permanente.
(1813.1) 164:3.14 2. Poiché il cieco non aveva chiesto la guarigione, e poiché la sua fede era debole, questi atti materiali furono suggeriti per incoraggiarlo. Egli credeva nella superstizione dell’efficacia dello sputo e sapeva che la piscina di Siloe era un luogo quasi sacro. Ma difficilmente vi sarebbe andato se non fosse stato necessario per lavare l’argilla con cui era stato unto. L’operazione comportava sufficiente cerimoniale da indurlo ad agire.
(1813.2) 164:3.15 3. Ma Gesù aveva una terza ragione per ricorrere a questi metodi materiali in connessione con tale operazione straordinaria: questo era un miracolo prodotto unicamente in obbedienza alla propria scelta, ed in tal modo egli desiderava insegnare ai suoi discepoli di quel tempo e di tutte le epoche successive a non disprezzare o trascurare i metodi materiali per guarire gli ammalati. Egli voleva insegnare loro che dovevano smettere di considerare i miracoli come il solo metodo per curare le malattie umane.
(1813.3) 164:3.16 Gesù donò la vista a quest’uomo con un atto miracoloso, questo sabato mattina e a Gerusalemme vicino al tempio, con il proposito primario di compiere quest’atto in aperta sfida al Sinedrio e a tutti gli insegnanti ed i capi religiosi ebrei. Questo fu il suo modo di proclamare un’aperta rottura con i Farisei. Egli era sempre positivo in ogni cosa che faceva. Ed era con il proposito di portare tali materie davanti al Sinedrio che Gesù condusse i suoi due apostoli da quest’uomo nel primo pomeriggio di questo giorno di sabato e provocò deliberatamente quelle discussioni che obbligarono i Farisei a prestare attenzione al miracolo.
(1813.4) 164:4.1 A metà del pomeriggio la guarigione di Giosia aveva sollevato tali discussioni attorno al tempio che i capi del Sinedrio decisero di convocare il consiglio nel suo luogo abituale di riunione nel tempio. Ed essi fecero questo in violazione ad una regola stabilita che proibiva la riunione del Sinedrio nel giorno di sabato. Gesù sapeva che la violazione del sabato sarebbe stata una delle principali accuse portate contro di lui al momento della prova finale, e desiderava essere portato davanti al Sinedrio sotto l’imputazione di aver guarito un uomo cieco nel giorno di sabato, quando la sessione stessa dell’alta corte ebraica, sedendo per giudicarlo su questo atto di misericordia, avesse deliberato su tali materie nel giorno di sabato e in diretta violazione delle leggi che si era imposta essa stessa.
(1813.5) 164:4.2 Ma essi non chiamarono Gesù davanti a loro; avevano paura di farlo. Invece mandarono subito a chiamare Giosia. Dopo un interrogatorio preliminare, il portavoce del Sinedrio (di cui erano presenti una cinquantina di membri) ordinò a Giosia di raccontare ciò che gli era successo. Dopo la sua guarigione di quella mattina Giosia aveva appreso da Tommaso, da Natanaele e da altri che i Farisei erano irritati perché egli era stato guarito di sabato, e che avrebbero probabilmente creato dei fastidi a tutti gli interessati; ma Giosia non percepiva ancora che Gesù era colui che chiamavano il Liberatore. Così, quando i Farisei lo interrogarono, egli disse: “Quest’uomo è venuto, ha messo dell’argilla sui miei occhi, mi ha detto di andare a lavarmi a Siloe, ed ora io vedo.”
(1813.6) 164:4.3 Uno dei Farisei anziani, dopo aver fatto un lungo discorso, disse: “Quest’uomo non può venire da Dio perché potete vedere che non osserva il sabato. Egli viola la legge, primo lavorando l’argilla, poi mandando questo mendicante a lavarsi a Siloe nel giorno di sabato. Un tale uomo non può essere un maestro mandato da Dio.”
(1813.7) 164:4.4 Allora uno degli uomini più giovani che credeva segretamente in Gesù disse: “Se quest’uomo non è mandato da Dio, come può fare queste cose? Noi sappiamo che un comune peccatore non può operare tali miracoli. Conosciamo tutti questo mendicante e sappiamo che era nato cieco; ora egli vede. Direte ancora che questo profeta compie tutti questi prodigi con il potere del principe dei demoni?” E per ogni Fariseo che osava accusare e denunciare Gesù se ne alzava un altro per porre delle domande d’intralcio e imbarazzanti, cosicché si formò una seria divisione tra di loro. Il presidente vide che il dibattito stava degenerando e per calmare la discussione si preparò ad interrogare nuovamente l’uomo stesso. Rivolgendosi a Giosia egli disse: “Che cosa hai da dire su quest’uomo, questo Gesù, che tu affermi abbia aperto i tuoi occhi?” E Giosia rispose: “Io penso che sia un profeta.”
(1814.1) 164:4.5 I dirigenti furono molto turbati e, non sapendo cos’altro fare, decisero di mandare a chiamare i genitori di Giosia per sapere se egli fosse realmente nato cieco. Essi non volevano credere che il mendicante fosse stato guarito.
(1814.2) 164:4.6 Si sapeva bene a Gerusalemme, non solo che l’entrata a tutte le sinagoghe era interdetta a Gesù, ma che tutti coloro che credevano nel suo insegnamento erano similmente espulsi dalla sinagoga, scomunicati dalla congregazione d’Israele; e ciò significava essere privati di tutti i diritti e privilegi d’ogni tipo in tutto il mondo ebraico, salvo il diritto di acquistare il necessario per vivere.
(1814.3) 164:4.7 Quando perciò i genitori di Giosia, anime povere ed impaurite, comparvero davanti all’augusto Sinedrio, temevano di parlare liberamente. Il portavoce della corte disse: “Costui è vostro figlio? È corretto da parte nostra ritenere che sia nato cieco? Se questo è vero, com’è che egli ora può vedere?” Ed allora il padre di Giosia, assecondato dalla madre, rispose: “Noi sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco, ma come egli sia giunto a vedere e chi sia stato ad aprire i suoi occhi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui; è in età da rispondere; parli lui per se stesso.”
(1814.4) 164:4.8 Essi chiamarono allora Giosia davanti a loro una seconda volta. Essi non stavano approdando a nulla con il loro piano di tenere un processo formale, ed alcuni cominciavano a sentirsi a disagio facendo questo di sabato. Di conseguenza, quando richiamarono Giosia, tentarono d’intrappolarlo con un metodo d’attacco differente. Il funzionario della corte parlò all’ex cieco dicendo: “Perché non rendi gloria a Dio per questo? Perché non ci hai detto tutta la verità su ciò che è accaduto? Sappiamo tutti che quest’uomo è un peccatore. Perché rifiuti di discernere la verità? Sai che tu e quest’uomo siete colpevoli di aver violato il sabato. Non vuoi espiare il tuo peccato riconoscendo Dio come tuo guaritore, se tu affermi ancora che i tuoi occhi sono stati aperti oggi?”
(1814.5) 164:4.9 Ma Giosia non era né sciocco né privo d’umorismo; così egli rispose al funzionario della corte: “Se quest’uomo è un peccatore, io non lo so; ma una cosa so — che mentre prima ero cieco ora vedo.” E non riuscendo ad intrappolare Giosia, essi tentarono ancora d’interrogarlo chiedendo: “In quale esatta maniera ti ha aperto gli occhi? Che cosa ti ha effettivamente fatto? Che cosa ti ha detto? Ti ha chiesto di credere in lui?”
(1814.6) 164:4.10 Giosia replicò con un po’ d’impazienza: “Vi ho detto esattamente come tutto ciò è avvenuto, e se non avete creduto alla mia testimonianza, perché volete sentirla di nuovo? Volete per caso divenire anche voi suoi discepoli?” Quando Giosia ebbe parlato in questo modo, il Sinedrio si sciolse nella confusione, quasi nella violenza, perché i capi si precipitarono su Giosia, gridando incolleriti: “Tu puoi dire di essere un discepolo di quest’uomo, ma noi siamo discepoli di Mosè e siamo gli insegnanti delle leggi di Dio. Noi sappiamo che Dio ha parlato tramite Mosè, ma quanto a questo Gesù non sappiamo da dove venga.”
(1814.7) 164:4.11 Allora Giosia, salito su uno sgabello, gridò a squarciagola a tutti coloro che potevano udirlo, dicendo: “Ascoltate, voi che sostenete di essere i maestri di tutto Israele, io vi dichiaro che c’è molto da meravigliarsi, poiché voi confessate di non sapere da dove viene quest’uomo, e tuttavia sapete con certezza, dalla testimonianza che avete ascoltato, che egli ha aperto i miei occhi. Noi tutti sappiamo che Dio non compie tali opere per i malvagi; che Dio fa una simile cosa soltanto su richiesta di un sincero adoratore — per uno che è santo e retto. Voi sapete che dall’inizio del mondo non si è mai sentito dell’apertura degli occhi di uno che era nato cieco. Guardatemi allora tutti voi, e rendetevi conto di ciò che è stato fatto oggi a Gerusalemme! Io vi dico che se quest’uomo non veniva da Dio non avrebbe fatto questo.” E mentre i membri del Sinedrio si allontanavano in collera ed in confusione, gli gridavano: “Tu sei nato completamente nel peccato, ed ora pretendi d’insegnare a noi? Forse tu non eri realmente nato cieco, ed inoltre, se i tuoi occhi sono stati aperti nel giorno di sabato, questo è stato fatto grazie al potere del principe dei demoni.” Ed essi andarono subito alla sinagoga per espellere Giosia.
(1815.1) 164:4.12 Giosia affrontò questa prova con scarse idee su Gesù e sulla natura della sua guarigione. La maggior parte dell’intrepida testimonianza che egli portò con tanta intelligenza e tanto coraggio davanti a questo tribunale supremo di tutto Israele si sviluppò nella sua mente via via che il dibattimento procedeva in questo modo iniquo ed ingiusto.
(1815.2) 164:5.1 Per tutto il tempo in cui era in corso questa sessione del Sinedrio in una delle sale del tempio, in violazione del sabato, Gesù passeggiava nelle vicinanze istruendo il popolo sotto il Portico di Salomone, nella speranza di essere convocato davanti al Sinedrio, dove avrebbe potuto annunciare la buona novella della libertà e della gioia della filiazione divina nel regno di Dio. Ma essi avevano paura di mandarlo a chiamare. Erano sempre sconcertati da queste improvvise apparizioni pubbliche di Gesù a Gerusalemme. L’occasione giusta che avevano così ardentemente cercato, Gesù ora la offriva loro, ma essi temevano di portarlo davanti al Sinedrio anche come testimone, e avevano ancor più paura di arrestarlo.
(1815.3) 164:5.2 Si era a metà dell’inverno a Gerusalemme e la gente cercava parziale riparo sotto il Portico di Salomone; e mentre Gesù vi sostava, le folle gli posero molte domande, ed egli le istruì per più di due ore. Alcuni insegnanti ebrei cercarono di prenderlo in trappola chiedendogli pubblicamente: “Per quanto tempo ci terrai in sospeso? Se sei il Messia, perché non ce lo dici apertamente?” Gesù disse: “Vi ho parlato molte volte di me stesso e di mio Padre, ma voi non avete voluto credermi. Non vedete che le opere che compio in nome di mio Padre portano testimonianza per me? Ma molti di voi non credono perché non appartengono al mio gregge. L’insegnante della verità attira soltanto coloro che hanno fame di verità e sete di rettitudine. Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io conosco loro ed esse mi seguono. E a tutti coloro che seguono il mio insegnamento io dono la vita eterna; essi non periranno mai e nessuno li strapperà dalle mie mani. Mio Padre, che mi ha dato questi figli, è più grande di tutti, cosicché nessuno può portarli via dalle mani di mio Padre. Il Padre ed io siamo uno.” Alcuni Ebrei non credenti si precipitarono verso dove si stava ancora costruendo il tempio per raccogliere delle pietre e scagliarle su Gesù, ma i credenti glielo impedirono.
(1815.4) 164:5.3 Gesù proseguì il suo insegnamento: “Io vi ho mostrato molte opere amorevoli compiute dal Padre, così ora vorrei chiedervi per quale di queste buone opere pensate di lapidarmi?” Ed allora uno dei Farisei rispose: “Noi non vogliamo lapidarti per nessuna delle tue buone opere, ma a causa delle tue bestemmie, perché tu, essendo un uomo, osi eguagliarti a Dio.” E Gesù rispose: “Voi accusate il Figlio dell’Uomo di bestemmia perché rifiutate di credermi quando vi dichiaro che sono stato inviato da Dio. Se non compio le opere di Dio non mi credete, ma se compio le opere di Dio, anche se non credete in me, pensavo che credeste alle opere. Ma affinché possiate essere certi di ciò che proclamo, lasciatemi nuovamente affermare che il Padre è in me ed io nel Padre, e che, come il Padre dimora in me così io dimorerò in ognuno che crede a questo vangelo.” E quando il popolo udì queste parole, molti di loro corsero a prendere delle pietre per lanciarle su di lui, ma egli uscì dai recinti del tempio e incontrando Natanaele e Tommaso, che avevano assistito alla sessione del Sinedrio, attese con loro vicino al tempio fino a che Giosia non fu uscito dalla sala del consiglio.
(1816.1) 164:5.4 Gesù e i due apostoli andarono a cercare Giosia a casa sua solo dopo aver appreso la sua esclusione dalla sinagoga. Quando giunsero a casa sua, Tommaso lo chiamò fuori nel cortile, e Gesù, parlandogli, disse: “Giosia, credi tu nel Figlio di Dio?” E Giosia rispose: “Dimmi chi è affinché io possa credere in lui.” E Gesù disse: “Tu l’hai visto e udito, ed è colui che ora ti parla.” E Giosia disse: “Signore, io credo”, e caduto in ginocchio lo adorò.
(1816.2) 164:5.5 Quando Giosia seppe che era stato espulso dalla sinagoga, fu dapprima assai abbattuto, ma fu molto incoraggiato quando Gesù gli ordinò di prepararsi immediatamente ad andare con loro al campo di Pella. Quest’uomo semplice di Gerusalemme era in verità stato espulso da una sinagoga ebrea, ma ecco che il Creatore di un universo lo portava con sé per associarlo alla nobiltà spirituale di quel tempo e di quella generazione.
(1816.3) 164:5.6 Ed ora Gesù lasciò Gerusalemme per non ritornarvi più fino all’avvicinarsi del momento in cui si preparava a lasciare questo mondo. Il Maestro ritornò a Pella con i due apostoli e Giosia. E Giosia si dimostrò uno dei beneficiari del ministero miracoloso del Maestro che corrispose fruttuosamente, perché divenne un predicatore del vangelo del regno per tutta la sua vita.
(1817.1) 165:0.1 MARTEDÌ 3 gennaio dell’anno 30 d.C., Abner, il vecchio capo dei dodici apostoli di Giovanni il Battista, un nazireo ed un tempo capo della scuola nazirea di Engaddi, ora capo dei settanta messaggeri del regno, convocò i suoi associati e diede loro le istruzioni finali prima di mandarli in missione in tutte le città ed i villaggi della Perea. Questa missione in Perea proseguì per quasi tre mesi e fu l’ultimo ministero del Maestro. Dopo questi lavori Gesù andò direttamente a Gerusalemme per passare attraverso le sue esperienze finali nella carne. I settanta, supportati dalle attività periodiche di Gesù e dei dodici apostoli, lavorarono nelle seguenti città e cittadine e in una cinquantina di altri villaggi: Zafon, Gadara, Macad, Arbela, Rama, Edrei, Bosora, Caspin, Mispa, Gerasa, Ragaba, Succot, Amatus, Adam, Penuel, Capitolia, Dion, Hatita, Gadda, Filadelfia, Jogbea, Galaad, Bet-Nimrà, Tiro, Elealà, Livia, Chesbon, Callirroe, Bet-Peor, Sittim, Sibma, Medeba, Bet-Meon, Areopoli ed Aroer.
(1817.2) 165:0.2 Durante tutto questo giro della Perea il corpo delle donne, ora di sessantadue membri, si addossò la maggior parte del lavoro di curare gli ammalati. Questo fu il periodo finale dello sviluppo degli aspetti spirituali più elevati del vangelo del regno, e di conseguenza non fu compiuto alcun miracolo. In nessun’altra parte della Palestina gli apostoli e i discepoli di Gesù lavorarono così a fondo, e in nessun’altra regione l’insegnamento del Maestro fu accettato così generalmente dalle classi migliori di cittadini.
(1817.3) 165:0.3 La Perea in questo periodo era popolata quasi ugualmente da Gentili e da Ebrei; in genere gli Ebrei erano stati trasferiti da queste regioni durante l’epoca di Giuda Maccabeo. La Perea era la più bella e pittoresca provincia di tutta la Palestina. Gli Ebrei la chiamavano generalmente “il paese al di là del Giordano”
(1817.4) 165:0.4 Per tutto questo periodo Gesù divise il suo tempo tra il campo di Pella e gli spostamenti con i dodici per assistere i settanta nelle varie città dove essi insegnavano e predicavano. Seguendo le istruzioni di Abner, i settanta battezzavano tutti i credenti, sebbene Gesù non li avesse incaricati di farlo.
(1817.5) 165:1.1 A metà gennaio più di milleduecento persone erano riunite a Pella, e Gesù istruiva questa moltitudine almeno una volta il giorno quando risiedeva al campo, parlando di solito alle nove di mattina se non era ostacolato dalla pioggia. Pietro e gli altri apostoli insegnavano ogni pomeriggio. Gesù riservava la sera per le sessioni abituali di domande e risposte con i dodici ed altri discepoli avanzati. I gruppi serali erano di circa cinquanta persone.
(1817.6) 165:1.2 A metà marzo, al momento in cui Gesù cominciò il suo viaggio verso Gerusalemme, più di quattromila persone componevano il vasto uditorio che ascoltava Gesù o Pietro predicare tutte le mattine. Il Maestro scelse di terminare la sua opera sulla terra quando l’interesse per il suo messaggio aveva raggiunto un punto elevato, il punto più alto raggiunto in questa seconda fase del progresso del regno, o fase senza miracoli. Mentre i componenti i tre quarti della moltitudine erano dei cercatori di verità, era anche presente un gran numero di Farisei provenienti da Gerusalemme e da altre parti, così come numerosi increduli e cavillatori.
(1818.1) 165:1.3 Gesù e i dodici apostoli dedicarono molto del loro tempo alla moltitudine riunita al campo di Pella. I dodici prestarono poca o nessuna attenzione al lavoro al campo; essi si limitarono ad uscire con Gesù per visitare di tanto in tanto gli associati di Abner. Abner conosceva molto bene il distretto della Perea, poiché questo era il territorio in cui il suo precedente maestro, Giovanni il Battista, aveva svolto la maggior parte della sua opera. Dopo aver iniziato la missione in Perea, Abner e i settanta non tornarono mai più al campo di Pella.
(1818.2) 165:2.1 Un gruppo di più di trecento abitanti di Gerusalemme, Farisei ed altri, seguì Gesù verso il nord a Pella quando egli fuggì in fretta dalla giurisdizione dei dirigenti ebrei alla fine della festa della Dedicazione. E fu in presenza di questi insegnanti e capi ebrei, così come dei dodici apostoli, che Gesù predicò il sermone sul “Buon pastore”. Dopo mezz’ora di discussioni informali, parlando ad un gruppo di un centinaio di persone, Gesù disse:
(1818.3) 165:2.2 “Questa sera ho parecchie cose da dirvi, e poiché molti di voi sono miei discepoli ed alcuni di voi miei acerrimi nemici, presenterò il mio insegnamento in forma di parabola, in modo che ciascuno di voi possa prendere per sé ciò che trova accoglienza nel suo cuore.
(1818.4) 165:2.3 “Questa sera, qui davanti a me, ci sono degli uomini disposti a morire per me e per questo vangelo del regno, e alcuni di loro si sacrificheranno così negli anni futuri; e qui vi sono anche alcuni di voi, schiavi della tradizione, che mi hanno seguito da Gerusalemme e che, con i loro capi ottenebrati ed illusi, cercano di uccidere il Figlio dell’Uomo. La vita che io vivo ora nella carne giudicherà le due categorie, i veri pastori ed i falsi pastori. Se il falso pastore fosse cieco, non sarebbe colpevole di peccato; ma voi sostenete di vedere, professate di essere i maestri d’Israele; perciò il vostro peccato rimane su di voi.
(1818.5) 165:2.4 “Il vero pastore riunisce il suo gregge nell’ovile per la notte nei momenti di pericolo. E quando si fa giorno entra nell’ovile per la porta, e quando chiama, le pecore conoscono la sua voce. Ogni pastore che entra nell’ovile in qualsiasi altro modo se non per la porta è un ladro e un predone. Il vero pastore entra nell’ovile dopo che il guardiano gli ha aperto la porta, e le sue pecore, conoscendo la sua voce, escono al suo richiamo; e quando quelle sue si sono riunite, il vero pastore va davanti a loro; egli va in testa e le pecore lo seguono. Le sue pecore lo seguono perché conoscono la sua voce; non seguiranno uno straniero. Esse fuggiranno dallo straniero perché non conoscono la sua voce. Questa folla che è riunita qui presso di noi è simile a delle pecore senza un pastore, ma quando noi le parliamo, essa conosce la voce del pastore e ci segue; o almeno lo fanno coloro che hanno fame di verità e sete di rettitudine. Alcuni di voi non appartengono al mio ovile; voi non conoscete la mia voce e non mi seguite. E poiché voi siete dei falsi pastori, le pecore non conoscono la vostra voce e non vi seguiranno.”
(1819.1) 165:2.5 E quando Gesù ebbe raccontato questa parabola, nessuno gli pose domande. Dopo qualche momento egli riprese a parlare e proseguì analizzando la parabola:
(1819.2) 165:2.6 “Voi che vorreste essere i pastori ausiliari delle greggi di mio Padre dovete non solo essere dei capi degni, ma dovete anche nutrire il gregge con del buon cibo; voi non siete veri pastori se non conducete le vostre greggi in pascoli verdi e ad acque tranquille.
(1819.3) 165:2.7 “Ed ora, per tema che alcuni di voi comprendano troppo facilmente questa parabola, dichiarerò che io sono la porta dell’ovile del Padre e allo stesso tempo il vero pastore delle greggi di mio Padre. Ogni pastore che cerca di entrare nell’ovile senza di me non ci riuscirà, e le pecore non ascolteranno la sua voce. Io, con coloro che lavorano con me, sono la porta. Ogni anima che entra nella via eterna mediante i mezzi che ho creato e ordinato sarà salvata e potrà proseguire verso il raggiungimento dei pascoli eterni del Paradiso.
(1819.4) 165:2.8 “Ma io sono anche il vero pastore che è disposto pure ad offrire la sua vita per le pecore. Il ladro penetra nell’ovile solo per rubare, uccidere e distruggere; ma io sono venuto affinché voi tutti possiate avere la vita, ed averla più abbondantemente. Il mercenario, quando giunge un pericolo, fuggirà e lascerà che le pecore siano disperse e uccise; ma il vero pastore non fuggirà quando arriva il lupo; egli proteggerà il suo gregge e, se necessario, darà la sua vita per le sue pecore. In verità, in verità vi dico, amici e nemici, io sono il vero pastore; io conosco i miei ed i miei conoscono me. Io non fuggirò di fronte al pericolo. Terminerò questo servizio di completamento della volontà di mio Padre e non abbandonerò il gregge che il Padre ha affidato alla mia custodia.
(1819.5) 165:2.9 “Ma io ho molte altre pecore che non sono di questo ovile, e queste parole sono valide non soltanto per questo mondo. Queste altre pecore ascoltano e conoscono anch’esse la mia voce, ed io ho promesso a mio Padre che esse saranno tutte riunite in un solo ovile, in una sola fraternità dei figli di Dio. Ed allora voi conoscerete tutti la voce di un solo pastore, del vero pastore, e riconoscerete tutti la paternità di Dio.
(1819.6) 165:2.10 “E così saprete perché il Padre mi ama ed ha messo tutte le sue greggi di questo dominio nelle mie mani affinché le custodisca; questo perché il Padre sa che io non vacillerò nella salvaguardia dell’ovile, che non abbandonerò le mie pecore e che, se sarà necessario, non esiterò a donare la mia vita al servizio delle sue molteplici greggi. Ma ricordatevi, se io abbandono la mia vita, la riprenderò. Nessun uomo né nessun’altra creatura possono togliermi la vita. Io ho il diritto e il potere di donare la mia vita, ed ho lo stesso potere e lo stesso diritto di riprenderla. Voi non potete comprendere questo, ma io ho ricevuto tale autorità da mio Padre ancora prima che questo mondo fosse.”
(1819.7) 165:2.11 Quando udirono queste parole, i suoi apostoli furono confusi, i suoi discepoli stupefatti, mentre i Farisei di Gerusalemme e dei dintorni si allontanarono nella notte dicendo: “O è matto o è posseduto da un demone.” Ma alcuni insegnanti di Gerusalemme dicevano anche: “Egli parla come uno che ha autorità; d’altronde, chi ha mai visto uno posseduto da un demone aprire gli occhi di un uomo nato cieco e compiere tutte le cose meravigliose che quest’uomo ha compiuto?”
(1819.8) 165:2.12 L’indomani circa la metà di questi insegnanti ebrei professarono di credere in Gesù, e l’altra metà ritornò sgomenta a Gerusalemme a casa propria.
(1819.9) 165:3.1 Alla fine di gennaio le moltitudini del sabato pomeriggio contavano quasi tremila persone. Sabato 28 gennaio Gesù pronunciò il memorabile sermone su “Fiducia e preparazione spirituale”. Dopo alcune osservazioni preliminari di Simon Pietro, il Maestro disse:
(1820.1) 165:3.2 “Ciò che ho detto molte volte ai miei apostoli e ai miei discepoli ora lo dichiaro a questa folla: guardatevi dal lievito dei Farisei che è l’ipocrisia, nata dal pregiudizio e nutrita nella schiavitù della tradizione, sebbene molti di questi Farisei siano onesti di cuore ed alcuni di loro si trovino qui come miei discepoli. Fra poco comprenderete tutti il mio insegnamento, perché ora non c’è niente di segreto che non sarà rivelato. Ciò che vi è ora nascosto sarà fatto conoscere a tutti quando il Figlio dell’Uomo avrà completato la sua missione sulla terra e nella carne.
(1820.2) 165:3.3 “Presto, molto presto, le cose che i nostri nemici progettano ora in segreto e nell’oscurità saranno portate alla luce e proclamate dai tetti delle case. Ma io vi dico, amici miei, quando essi cercheranno di distruggere il Figlio dell’Uomo non abbiate paura di loro. Non temete coloro che, pur essendo capaci di uccidere il corpo, non hanno poi più alcun potere su di voi. Io vi esorto a non temere nessuno, né in cielo né in terra, ma di godere nella conoscenza di Colui che ha il potere di liberarvi da ogni iniquità e di presentarvi irreprensibili davanti al tribunale di un universo.
(1820.3) 165:3.4 “Non si vendono cinque passeri per due soldi? E tuttavia, quando questi uccelli volano in cerca di cibo, nessuno di loro esiste all’insaputa del Padre, sorgente di tutta la vita. Per i guardiani serafici i capelli stessi della vostra testa sono contati. E se tutto ciò è vero, perché dovreste vivere nel timore delle numerose inezie che insorgono nella vostra vita quotidiana? Io vi dico: non temete; voi avete ben più valore di molti passeri.
(1820.4) 165:3.5 “Tutti quelli tra di voi che hanno avuto il coraggio di confessare la loro fede nel mio vangelo davanti agli uomini io li riconoscerò subito davanti agli angeli del cielo; ma chiunque avrà coscientemente negato la verità dei miei insegnamenti davanti agli uomini sarà rinnegato dal suo guardiano del destino anche davanti agli angeli del cielo.
(1820.5) 165:3.6 “Dite ciò che volete sul Figlio dell’Uomo, e ciò sarà perdonato; ma chiunque osa bestemmiare contro Dio non troverà perdono. Quando gli uomini giungono al punto di attribuire coscientemente gli atti di Dio alle forze del male, tali ribelli deliberati non troveranno perdono per i loro peccati.
(1820.6) 165:3.7 “E quando i nostri nemici vi porteranno davanti ai dirigenti delle sinagoghe e davanti alle altre elevate autorità, non preoccupatevi di ciò che dovreste dire e non inquietativi per come dovreste rispondere alle loro domande, perché lo spirito che dimora in voi v’insegnerà certamente in quel preciso momento ciò che dovreste dire in onore del vangelo del regno.
(1820.7) 165:3.8 “Per quanto tempo indulgerete nella valle della decisione? Perché vi fermate tra due opinioni? Perché un Ebreo o un Gentile dovrebbe esitare ad accettare la buona novella che egli è un figlio del Dio eterno? Quanto tempo vi ci vorrà per persuadervi ad entrare gioiosamente nella vostra eredità spirituale? Io sono venuto in questo mondo per rivelarvi il Padre e per condurvi al Padre. Io ho fatto la prima cosa, ma la seconda non posso farla senza il vostro consenso; il Padre non obbliga mai nessuno ad entrare nel regno. L’invito è sempre stato e sarà sempre: chiunque lo voglia, venga e partecipi liberamente dell’acqua della vita.”
(1820.8) 165:3.9 Quando Gesù ebbe finito di parlare, molti andarono a farsi battezzare dagli apostoli nel Giordano, mentre egli ascoltava le domande di coloro che erano rimasti.
(1821.1) 165:4.1 Mentre gli apostoli battezzavano i credenti, il Maestro parlava a coloro che aspettavano. Ed un giovane uomo gli disse: “Maestro, mio padre è morto lasciando molti beni a me e a mio fratello, ma mio fratello rifiuta di darmi ciò che è mio. Vuoi tu, allora, chiedere a mio fratello di dividere questa eredità con me?” Gesù s’indignò un po’ che questo giovane di mente materiale portasse in discussione una simile questione d’affari, ma approfittò dell’occasione per impartire ulteriori insegnamenti. Disse Gesù: “Uomo, chi mi ha incaricato come vostro divisore? Dove hai preso l’idea che io presti attenzione agli affari materiali di questo mondo?” E poi, rivolgendosi a tutti coloro che erano vicino a lui, disse: “Fate attenzione e guardatevi dalla cupidigia; la vita di un uomo non consiste nell’abbondanza delle cose che possiede. La felicità non deriva dal potere delle proprietà e la gioia non proviene dalle ricchezze. La ricchezza, in se stessa, non è una maledizione, ma l’amore per le ricchezze molte volte porta ad una tale devozione per le cose di questo mondo che l’anima diviene cieca alle splendide attrattive delle realtà spirituali del regno di Dio sulla terra e alle gioie della vita eterna in cielo.
(1821.2) 165:4.2 “Lasciate che vi racconti la storia di un uomo ricco le cui terre producevano abbondanti raccolti, e quando fu diventato molto ricco, egli si mise a ragionare tra sé e sé dicendo: ‘Che cosa farò di tutte le mie ricchezze? Possiedo ora così tanto che non ho posto per immagazzinare la mia ricchezza.’ Dopo che ebbe meditato sul suo problema disse: ‘Farò questo; demolirò i miei granai e ne costruirò di più grandi, e così avrò spazio sufficiente in cui immagazzinare i miei frutti ed i miei beni. Allora potrò dire alla mia anima: anima, hai molti beni di riserva per molti anni; prendine ora a tuo piacere; mangia, bevi e sii felice, perché sei ricca e i tuoi beni sono aumentati.’
(1821.3) 165:4.3 “Ma questo uomo ricco era anche insensato. Provvedendo alle necessità materiali della sua mente e del suo corpo egli aveva dimenticato di accumulare dei tesori in cielo per la soddisfazione dello spirito e la salvezza dell’anima. Ed inoltre non avrebbe goduto del piacere di consumare le sue ricchezze accumulate, perché quella notte stessa la sua anima gli fu richiesta. Quella notte vennero i briganti che penetrarono nella sua casa e lo uccisero, e dopo aver saccheggiato i suoi granai bruciarono ciò che restava. Quanto ai beni che sfuggirono ai ladri, i suoi eredi si misero a litigare tra di loro. Quest’uomo aveva ammassato dei tesori per se stesso sulla terra, ma non era ricco verso Dio.”
(1821.4) 165:4.4 Gesù si comportò così con il giovane uomo e la sua eredità perché sapeva che il suo problema era la cupidigia. Anche se questo non fosse stato il caso, il Maestro non avrebbe interferito, perché non s’immischiava mai negli affari temporali anche dei suoi apostoli, e tanto meno in quelli dei suoi discepoli.
(1821.5) 165:4.5 Quando Gesù ebbe terminato la sua storia, un altro uomo si alzò e gli chiese: “Maestro, so che i tuoi apostoli hanno venduto tutti i loro beni terreni per seguirti, e che essi hanno ogni cosa in comune come fanno gli Esseni, ma vorresti che tutti noi che siamo tuoi discepoli facessimo altrettanto? È peccato possedere una ricchezza onesta?” E Gesù rispose a questa domanda: “Amico mio, non è peccato avere una ricchezza onorevole; ma è peccato se converti la ricchezza di beni materiali in tesori che possono assorbire il tuo interesse e stornare la tua affezione dalla devozione agli scopi spirituali del regno. Non c’è peccato a possedere dei beni onesti sulla terra, purché il vostro tesoro sia in cielo, perché dov’è il vostro tesoro là sarà anche il vostro cuore. C’è una grande differenza tra la ricchezza che conduce alla cupidigia e all’egoismo e quella che è posseduta e dispensata nello spirito di gestione da coloro che hanno un’abbondanza di questi beni del mondo, e che contribuiscono così generosamente al sostentamento di coloro che consacrano tutte le loro energie all’opera del regno. Molti di voi che siete qui privi di denaro siete nutriti ed alloggiati nel vicino villaggio di tende perché uomini e donne abbondanti di mezzi hanno dato dei fondi al vostro ospite, Davide Zebedeo, a tale scopo.
(1822.1) 165:4.6 “Ma non dimenticate mai che, dopotutto, la ricchezza non è duratura. L’amore per le ricchezze troppo spesso offusca, ed anche distrugge, la visione spirituale. Non mancate di riconoscere il pericolo che la ricchezza divenga, non il vostro servo, ma il vostro padrone.”
(1822.2) 165:4.7 Gesù non insegnò né incoraggiò l’imprevidenza, l’ozio, l’indifferenza a provvedere alle necessità materiali della propria famiglia, o di dipendere da elemosine. Ma insegnò che ciò che è materiale e temporale deve essere subordinato al benessere dell’anima e al progresso della natura spirituale nel regno dei cieli.
(1822.3) 165:4.8 Poi, mentre la gente scendeva verso il fiume per assistere ai battesimi, il primo uomo venne in privato da Gesù per parlare della sua eredità, perché riteneva che Gesù l’avesse trattato duramente; e dopo che il Maestro l’ebbe ascoltato di nuovo, replicò: “Figlio mio, perché tralasci l’opportunità di nutrirti del pane della vita in un giorno come questo per indulgere alla tua inclinazione alla cupidigia? Non sai che le leggi ebraiche sull’eredità saranno applicate con giustizia se andrai a portare la tua lagnanza al tribunale della sinagoga? Non vedi che la mia opera consiste nell’assicurarmi che tu conosca la tua eredità celeste? Non hai letto nella Scrittura: ‘C’è colui che diventa ricco per la sua prudenza e per la grande parsimonia, e questa è la parte della sua ricompensa, poiché egli dice: ‘ho trovato la tranquillità ed ora potrò mangiare continuamente dei mie beni, non sapendo egli ancora ciò che il tempo gli porterà ed anche che dovrà lasciare tutte queste cose agli altri quando morirà.’ Non hai letto il comandamento: ‘Tu non sarai bramoso.’ Ed anche: ‘Essi hanno mangiato e si sono saziati e sono diventati grassi, e poi si sono rivolti ad altri dei.’ Hai letto nei Salmi che ‘il Signore detesta i bramosi’ e che ‘il poco che possiede un uomo retto vale di più delle ricchezze di molti malvagi.’ ‘Se la tua ricchezza aumenta, non attaccare il tuo cuore ad essa.’ Hai letto dove Geremia dice: ‘Che il ricco non si glorifichi nelle sue ricchezze’; ed Ezechiele espresse la verità quando disse: ‘Con la loro bocca fanno mostra d’amore, ma il loro cuore è attaccato ai loro profitti egoisti.’ ”
(1822.4) 165:4.9 Gesù congedò il giovane uomo, dicendogli: “Figlio mio, quale profitto avrai se conquisterai il mondo intero e perderai la tua anima?”
(1822.5) 165:4.10 Ad un altro che stava vicino e che chiese a Gesù come sarebbe stato trattato il ricco nel giorno del giudizio, egli rispose: “Io non sono venuto a giudicare né il ricco né il povero, ma la vita che gli uomini vivono li giudicherà tutti. Per quanto concerne il giudizio del ricco, tutti coloro che hanno acquisito una grande ricchezza dovranno rispondere ad almeno tre domande, e queste domande sono:
(1822.6) 165:4.11 “1. Quanta ricchezza hai accumulato?
(1822.7) 165:4.12 “2. Come hai acquisito questa ricchezza?
(1822.8) 165:4.13 “3. Come hai impiegato la tua ricchezza?”
(1822.9) 165:4.14 Poi Gesù si ritirò nella sua tenda per riposarsi un po’ prima del pasto della sera. Quando gli apostoli ebbero finito di battezzare, tornarono anch’essi e avrebbero voluto parlare con lui della ricchezza sulla terra e del tesoro in cielo, ma egli dormiva.
(1823.1) 165:5.1 Quella sera dopo la cena, quando Gesù e i dodici si riunirono per la loro conferenza quotidiana, Andrea chiese: “Maestro, mentre noi battezzavamo i credenti, tu hai detto molte parole alla moltitudine che indugiava e che noi non abbiamo ascoltato. Vorresti ripetere queste parole per il nostro beneficio?” E in risposta alla richiesta di Andrea, Gesù disse:
(1823.2) 165:5.2 “Sì, Andrea, vi parlerò di queste materie della ricchezza e dei mezzi di sostentamento, ma le mie parole a voi, gli apostoli, dovranno essere un po’ differenti da quelle dette ai discepoli e alla moltitudine, poiché voi avete lasciato ogni cosa, non solo per seguirmi, ma per essere ordinati ambasciatori del regno. Voi avete già avuto parecchi anni d’esperienza e sapete che il Padre, il cui regno proclamate, non vi abbandonerà. Voi avete consacrato la vostra vita al ministero del regno; perciò non siate inquieti o preoccupati per le cose della vita temporale, per ciò che mangerete, né per il vostro corpo o per ciò che indosserete. Il benessere dell’anima vale più del cibo e della bevanda; il progresso nello spirito trascende di molto il bisogno di vestirsi. Quando siete tentati di dubitare della sicurezza del vostro pane quotidiano, considerate i corvi; essi non seminano né raccolgono, non hanno né magazzini né granai, eppure il Padre provvede il cibo per ciascuno di loro che lo cerca. Quanto più valore avete voi di molti uccelli! Inoltre, ogni vostra ansietà o dubbio inquietante non possono fare nulla per soddisfare i vostri bisogni materiali. Chi di voi con la sua ansietà può aggiungere un palmo di mano alla sua statura o un giorno alla sua vita? Poiché tali materie non sono nelle vostre mani, perché pensate con preoccupazione a tutti questi problemi?
(1823.3) 165:5.3 “Considerate i gigli, come crescono; essi non lavorano né filano, e tuttavia io vi dico che nemmeno Salomone, in tutta la sua gloria, è stato abbigliato come uno di loro. Se Dio riveste così l’erba del campo, che oggi vive e domani viene tagliata e gettata nel fuoco, quanto meglio vestirà voi, gli ambasciatori del regno celeste. O voi di poca fede! Mentre vi consacrate di tutto cuore alla proclamazione del vangelo del regno non dovreste avere delle menti dubbiose sul mantenimento di voi stessi o delle famiglie che avete abbandonato. Se donate veramente la vostra vita al vangelo, voi vivrete per mezzo del vangelo. Se siete soltanto dei discepoli credenti, dovete guadagnare il vostro pane e contribuire al mantenimento di tutti coloro che insegnano e predicano e guariscono. Se siete preoccupati per il cibo e l’acqua, in che cosa siete diversi dalle nazioni del mondo che cercano così assiduamente queste necessità? Consacratevi al vostro lavoro, con la convinzione che il Padre ed io sappiamo entrambi che avete bisogno di tutte queste cose. Lasciate che vi assicuri, una volta per tutte, che se voi dedicate la vostra vita all’opera del regno, tutti i vostri bisogni reali saranno soddisfatti. Cercate la cosa più grande, e troverete quella minore contenuta in essa; chiedete le cose celesti, e le cose terrene vi saranno incluse. L’ombra segue certamente la sostanza.
(1823.4) 165:5.4 “Voi siete solo un piccolo gruppo, ma se avete fede, se non vacillerete nella paura, io dichiaro che è grande piacere di mio Padre darvi questo regno. Voi avete ammassato i vostri tesori dove il denaro non diventa vecchio, dove nessun ladro può rubarlo, e dove nessuna tarma può distruggerlo. Come ho detto al popolo, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
(1824.1) 165:5.5 “Ma nell’opera che ci attende nell’immediato, e in quella che resterà per voi dopo che io andrò al Padre, voi sarete severamente messi alla prova. Dovrete stare tutti in guardia contro la paura e i dubbi. Che ciascuno di voi si rimbocchi le maniche nella propria mente e tenga la sua lampada accesa. Comportatevi come degli uomini che stanno aspettando che il loro padrone torni dalla festa di matrimonio, affinché, quando arriva e bussa, possiate aprirgli prontamente. Tali servi vigilanti saranno benedetti dal padrone che li troverà fedeli in questa importante occasione. Allora il padrone farà sedere i suoi servi mentre lui stesso li serve. In verità, in verità vi dico che una crisi è imminente nella vostra vita, ed è necessario che vegliate e siate pronti.
(1824.2) 165:5.6 “Voi comprendete bene che nessun uomo lascerebbe che un ladro penetrasse nella sua casa se sapesse in quale ora il ladro verrà. Vegliate anche su voi stessi, perché nel momento che meno sospettate e nella maniera che non immaginate il Figlio dell’Uomo se ne andrà.”
(1824.3) 165:5.7 Per alcuni minuti i dodici rimasero seduti in silenzio. Essi avevano già ascoltato in precedenza alcuni di questi avvertimenti, ma non nel contesto presentato loro in questo momento.
(1824.4) 165:6.1 Mentre erano seduti a riflettere, Simon Pietro chiese: “Racconti questa parabola per noi, tuoi apostoli, o è destinata a tutti i discepoli? E Gesù rispose:
(1824.5) 165:6.2 “Nell’ora della prova si rivela l’anima di un uomo; la prova svela ciò che realmente c’è nel cuore. Quando il servo è fidato e provato, allora il padrone della casa può inserire tale servo nella sua famiglia e fidarsi senza pericolo di questo fedele intendente per badare che i suoi figli siano allevati e nutriti. Similmente io saprò presto a chi posso affidare il benessere dei miei figli dopo che sarò tornato al Padre. Come il padrone della casa affiderà al servo fedele e provato gli affari della sua famiglia, così io eleverò coloro che sopporteranno le prove di quest’ora negli affari del mio regno.
(1824.6) 165:6.3 “Ma se il servo è indolente e comincia a dire in cuor suo ‘il mio padrone tarda a tornare’, e comincia a maltrattare i suoi compagni servi e a mangiare e bere con gli ubriaconi, allora il padrone di quel servo giungerà in un momento in cui egli non lo aspetterà, e trovandolo infedele lo caccerà via in disgrazia. Perciò voi farete bene a prepararvi per il giorno in cui sarete visitati improvvisamente ed in maniera inattesa. Ricordatevi che vi è stato dato molto; quindi vi sarà chiesto molto. Terribili prove si stanno avvicinando per voi. Io ho un battesimo a cui devo sottopormi, e vigilerò fino a che ciò non sia compiuto. Voi predicate pace in terra, ma la mia missione non porterà la pace negli affari materiali degli uomini — non per il momento almeno. La divisione può essere il solo risultato quando due membri di una famiglia credono in me e tre membri respingono questo vangelo. Amici, parenti e persone care sono destinate a mettersi gli uni contro gli altri a causa del vangelo che predicate. È vero, ognuno di questi credenti avrà una pace grande e duratura nel suo cuore, ma la pace sulla terra non verrà fino a che tutti non saranno disposti a credere e ad entrare nella loro gloriosa eredità di filiazione con Dio. Ciononostante, andate in tutto il mondo a proclamare questo vangelo a tutte le nazioni, ad ogni uomo, donna e bambino.”
(1824.7) 165:6.4 E così terminò un giorno di sabato pieno ed intenso. L’indomani Gesù e i dodici partirono per le città della Perea settentrionale per visitare i settanta che stavano lavorando in queste regioni sotto la supervisione di Abner.
(1825.1) 166:0.1 DALL’11 al 20 febbraio Gesù e i dodici fecero un giro in tutte le città e villaggi della Perea del nord dove stavano lavorando gli associati di Abner e le componenti del corpo delle donne. Essi trovarono che questi messaggeri del vangelo stavano avendo successo, e Gesù richiamò ripetutamente l’attenzione dei suoi apostoli sul fatto che il vangelo del regno poteva essere diffuso senza essere accompagnato da miracoli o prodigi.
(1825.2) 166:0.2 Tutta questa missione di tre mesi nella Perea fu portata avanti con successo e con poco aiuto da parte dei dodici apostoli, e da allora in poi il vangelo rifletté non tanto la personalità di Gesù quanto i suoi insegnamenti. Ma i suoi discepoli non seguirono a lungo le sue istruzioni, perché subito dopo la morte e la risurrezione di Gesù essi si scostarono dai suoi insegnamenti e cominciarono a costruire la Chiesa primitiva attorno ai concetti miracolosi e ai ricordi glorificati della sua personalità divina ed umana.
(1825.3) 166:1.1 Sabato 18 febbraio Gesù era a Ragaba, dove abitava un ricco Fariseo di nome Natanaele; e poiché un buon numero di altri Farisei stava seguendo Gesù e i dodici nel giro del paese, egli preparò una colazione questo sabato mattina per tutti loro, circa una ventina, ed invitò Gesù come ospite d’onore.
(1825.4) 166:1.2 Quando Gesù arrivò a questa colazione, la maggior parte dei Farisei, con due o tre legisti, era già là e seduta a tavola. Il Maestro prese subito posto alla sinistra di Natanaele senza andare alle bacinelle d’acqua per lavarsi le mani. Molti dei Farisei, e specialmente quelli favorevoli agli insegnamenti di Gesù, sapevano che egli si lavava le mani solo per esigenza di pulizia e che detestava questi riti puramente cerimoniali; cosicché non furono sorpresi di vederlo andare direttamente a tavola senza essersi lavato due volte le mani. Ma Natanaele rimase stupito dal fatto che il Maestro non si fosse conformato alle rigide prescrizioni della pratica farisaica. Né Gesù si lavò le mani, come facevano i Farisei, dopo ogni portata di cibo ed alla fine del pasto.
(1825.5) 166:1.3 Dopo un lungo parlottare tra Natanaele ed un Fariseo ostile seduto alla sua destra, e dopo che quelli che sedevano di fronte al Maestro avevano alzato le sopracciglia ed arricciato le labbra con sarcasmo molte volte, Gesù disse infine: “Pensavo che mi aveste invitato in questa casa per rompere il pane con voi e forse per pormi delle domande concernenti la proclamazione del nuovo vangelo del regno di Dio; ma vedo che mi avete portato qui per assistere ad un’esibizione di devozione cerimoniale alla vostra stessa ipocrisia. Questo servizio me l’avete ora fatto; con che cosa mi onorerete ancora quale vostro ospite in questa occasione?”
(1826.1) 166:1.4 Dopo che il Maestro ebbe parlato così, essi abbassarono gli occhi verso la tavola e rimasero zitti. E poiché nessuno prendeva la parola, Gesù continuò: “Molti di voi Farisei siete qui con me come amici, alcuni sono anche miei discepoli, ma la maggior parte dei Farisei persiste nel loro rifiuto di vedere la luce e di riconoscere la verità, anche quando l’opera del vangelo è presentata loro con grande potenza. Quanto pulite con cura l’esterno delle coppe e dei piatti, mentre i recipienti del nutrimento spirituale sono sudici e corrotti! Voi badate a presentare un’apparenza pia e santa al popolo, ma la vostra anima interiore è piena d’ipocrisia, di cupidigia, di estorsione e di ogni sorta di depravazione spirituale. I vostri capi osano anche complottare e progettare l’assassinio del Figlio dell’Uomo. Non comprendete voi insensati che il Dio del cielo guarda i motivi interiori dell’anima quanto le vostre ostentazioni esteriori e le vostre professioni di fede? Non crediate che facendo l’elemosina e pagando le decime sarete purificati dalla vostra iniquità e in grado di presentarvi puri alla presenza del Giudice di tutti gli uomini. Guai a voi Farisei che avete persistito nel respingere la luce della vita! Voi siete meticolosi nel pagare le decime e fate l’elemosina con ostentazione, ma disprezzate coscientemente la visitazione di Dio e respingete la rivelazione del suo amore. Quantunque sia bene per voi prestare attenzione a questi doveri minori, non dovreste dimenticare queste esigenze più importanti non assolte. Guai a tutti coloro che rifuggono la giustizia, disdegnano la misericordia e respingono la verità! Guai a tutti coloro che disprezzano la rivelazione del Padre, mentre cercano seggi d’onore nella sinagoga e sollecitano saluti adulatori nelle piazze di mercato!”
(1826.2) 166:1.5 Quando Gesù si stava alzando per andare via, uno dei legisti che era seduto a tavola, rivolgendosi a lui, disse: “Ma, Maestro, in certe tue affermazioni tu rimproveri anche noi. Non c’è niente di buono negli Scribi, nei Farisei o nei legisti?” E Gesù, alzandosi, rispose al legista: “Voi, come i Farisei, provate piacere ad occupare i primi posti nei banchetti e a portare lunghe vesti mentre ponete sulle spalle degli uomini pesanti fardelli, faticosi da portare. E quando le anime degli uomini vacillano sotto questi pesanti fardelli voi non alzate nemmeno un dito. Guai a voi che provate il più grande piacere nel costruire tombe per i profeti che i vostri padri hanno ucciso! Ed il vostro consenso a ciò che hanno fatto i vostri padri è reso manifesto quando progettate ora di uccidere quelli che vengono oggi a fare ciò che fecero i profeti ai loro tempi — proclamare la rettitudine di Dio e rivelare la misericordia del Padre celeste. Ma tra tutte le generazioni passate, il sangue dei profeti e degli apostoli sarà richiesto a questa generazione perversa ed ipocrita. Guai a tutti voi, legisti, che avete sottratto la chiave della conoscenza alla gente comune! Voi stessi rifiutate di entrare nella via della verità, e allo stesso tempo vorreste impedire a tutti gli altri che la cercano di entrarvi. Ma voi non potete chiudere così le porte del regno dei cieli; noi le abbiamo aperte a tutti coloro che hanno fede per entrare, e questi portali di misericordia non saranno chiusi dal pregiudizio e dall’arroganza di falsi maestri e di pastori menzogneri simili a sepolcri imbiancati che, mentre all’esterno appaiono splendidi, all’interno sono pieni di ossa di uomini morti e di ogni sorta d’impurità spirituale.”
(1826.3) 166:1.6 Quando Gesù ebbe finito di parlare alla tavola di Natanaele, uscì dalla casa senza aver preso cibo. E tra i Farisei che avevano ascoltato queste parole, alcuni divennero credenti nel suo insegnamento ed entrarono nel regno, ma la maggioranza di loro persisté nella via delle tenebre, divenendo ancor più determinata a rimanere in agguato per cogliere qualche sua parola che potesse essere utilizzata per portarlo in tribunale e farlo giudicare davanti al Sinedrio di Gerusalemme.
(1827.1) 166:1.7 C’erano giusto tre cose alle quali i Farisei prestavano particolare attenzione:
(1827.2) 166:1.8 1. Praticare rigidamente il pagamento delle decime.
(1827.3) 166:1.9 2. Osservare scrupolosamente le leggi sulla purificazione.
(1827.4) 166:1.10 3. Evitare di associarsi con tutti i non Farisei.
(1827.5) 166:1.11 In questa circostanza Gesù cercò di mettere a nudo la sterilità spirituale delle prime due pratiche, mentre riservò le sue osservazioni destinate a rimproverare il rifiuto dei Farisei ad intrattenere rapporti sociali con non Farisei per un’altra occasione successiva in cui avrebbe nuovamente desinato con molti di questi stessi uomini.
(1827.6) 166:2.1 Il giorno successivo Gesù andò con i dodici ad Amatus, vicino ai confini della Samaria, e mentre essi si avvicinavano alla città incontrarono un gruppo di dieci lebbrosi che soggiornavano vicino a questo luogo. Nove di questo gruppo erano Ebrei ed uno un Samaritano. Di solito questi Ebrei si sarebbero astenuti da ogni associazione o contatto con questo Samaritano, ma la loro afflizione comune era più che sufficiente per superare ogni pregiudizio religioso. Essi avevano sentito parlare molto di Gesù e dei suoi primi miracoli di guarigione, e poiché i settanta avevano l’abitudine di annunciare il probabile momento dell’arrivo di Gesù quando il Maestro usciva con i dodici in questi giri, i dieci lebbrosi erano stati informati che ci si aspettava che apparisse nelle vicinanze verso quest’ora. Di conseguenza essi si erano appostati qui, ai bordi della città, dove speravano di attirare la sua attenzione e chiedere la guarigione. Quando i lebbrosi videro Gesù avvicinarsi a loro, non osando accostarglisi, si tennero a distanza e gli gridarono: “Maestro, abbi pietà di noi; purificaci dalla nostra afflizione. Guariscici come hai guarito altri.”
(1827.7) 166:2.2 Gesù aveva giusto appena spiegato ai dodici perché i Gentili della Perea, insieme con gli Ebrei meno ortodossi, erano più inclini a credere al vangelo predicato dai settanta di quanto lo fossero gli Ebrei della Giudea più ortodossi e legati alla tradizione. Egli aveva richiamato la loro attenzione sul fatto che il loro messaggio era stato allo stesso modo più prontamente accolto dai Galilei, ed anche dai Samaritani. Ma i dodici apostoli non erano ancora disposti ad intrattenere sentimenti amichevoli verso i Samaritani a lungo disprezzati.
(1827.8) 166:2.3 Di conseguenza, quando Simone Zelota notò il Samaritano tra i lebbrosi, cercò d’indurre il Maestro a proseguire verso la città senza fermarsi nemmeno per scambiare con loro dei saluti. Gesù disse a Simone: “E se il Samaritano ama Dio quanto gli Ebrei? Possiamo noi giudicare i nostri simili? Chi può dirlo? Se noi guariamo questi dieci uomini, forse il Samaritano si mostrerà più riconoscente degli stessi Ebrei. Ti senti certo delle tue opinioni Simone?” E Simone rispose prontamente: “Se tu li purifichi lo scoprirai subito.” E Gesù replicò: “Così sia fatto, Simone, e conoscerai subito la verità sulla gratitudine degli uomini e la misericordia amorevole di Dio.”
(1827.9) 166:2.4 Gesù, avvicinatosi ai lebbrosi, disse: “Se volete essere guariti, andate immediatamente a mostrarvi ai sacerdoti come prescrive la legge di Mosè.” E mentre vi andavano, essi furono guariti. Ma quando il Samaritano vide che era guarito, ritornò indietro e, andando in cerca di Gesù, cominciò a glorificare Dio ad alta voce. E quando ebbe trovato il Maestro, cadde in ginocchio ai suoi piedi e rese grazie per la sua purificazione. Gli altri nove, gli Ebrei, si erano anch’essi accorti della loro guarigione, e pur essendo riconoscenti per la loro purificazione, proseguirono la loro strada per mostrarsi ai sacerdoti.
(1828.1) 166:2.5 Mentre il Samaritano rimaneva inginocchiato ai piedi di Gesù, il Maestro, guardando i dodici e specialmente Simone Zelota, disse: “Non erano dieci i purificati? Dove sono allora gli altri nove, gli Ebrei? Soltanto uno, questo straniero, è ritornato a rendere gloria a Dio.” E poi disse al Samaritano: “Alzati e va per la tua strada; la tua fede ti ha guarito.”
(1828.2) 166:2.6 Gesù guardò di nuovo i suoi apostoli mentre lo straniero si allontanava. E gli apostoli guardarono tutti Gesù, salvo Simone Zelota, i cui occhi erano abbassati. I dodici non dissero una parola. Nemmeno Gesù parlò; non era necessario che lo facesse.
(1828.3) 166:2.7 Sebbene tutti e dieci questi uomini credessero sinceramente di avere la lebbra, soltanto quattro ne erano colpiti. Gli altri sei furono guariti da una malattia della pelle che avevano scambiato per lebbra. Ma il Samaritano era realmente lebbroso.
(1828.4) 166:2.8 Gesù ordinò ai dodici di non dire niente sulla purificazione dei lebbrosi, e mentre entravano ad Amatus rimarcò: “Vedete come i figli della casa, anche quando non sono sottomessi alla volontà del loro Padre, considerano le loro benedizioni come dovute. Essi ritengono di poco conto dimenticare di rendere grazie quando il Padre conferisce loro la guarigione, ma gli stranieri, quando ricevono doni dal capo della casa, sono pieni di meraviglia e si sentono in obbligo di rendere grazie in riconoscimento delle buone cose concesse loro.” E di nuovo gli apostoli non dissero nulla in risposta alle parole del Maestro.
(1828.5) 166:3.1 Mentre Gesù e i dodici s’intrattenevano con i messaggeri del regno a Gerasa, uno dei Farisei che credevano in lui pose questa domanda: “Signore, ci saranno poche o molte persone realmente salvate?” E Gesù, in risposta, disse:
(1828.6) 166:3.2 “Vi è stato insegnato che solo i figli di Abramo saranno salvati; che solo i Gentili d’adozione possono sperare nella salvezza. Alcuni di voi hanno ragionato sul fatto che, poiché le Scritture riferiscono che solo Caleb e Giosué tra tutte le moltitudini che uscirono dall’Egitto vissero per entrare nella terra promessa, solo relativamente pochi di coloro che cercano il regno dei cieli riusciranno ad entrarvi.
(1828.7) 166:3.3 “Avete anche un altro detto tra di voi, un detto che contiene molta verità: la via che porta alla vita eterna è diritta e stretta, la porta che vi conduce è pure stretta, cosicché tra coloro che cercano la salvezza pochi riescono ad entrare per questa porta. Voi avete anche un insegnamento che afferma che la via che porta alla distruzione è larga, che l’accesso ad essa è ampio e che ci sono molti che scelgono di seguire questa via. E questo proverbio non è privo di significato. Ma io dichiaro che la salvezza è innanzitutto una questione di vostra scelta personale. Anche se la porta della via della vita è stretta, è abbastanza larga per ammettervi tutti coloro che cercano sinceramente di entrare, perché io sono quella porta. Ed il Figlio non rifiuterà mai l’entrata ad ogni figlio dell’universo che cerca, per mezzo della fede, di trovare il Padre tramite il Figlio.
(1829.1) 166:3.4 “Ma ecco il pericolo per tutti coloro che vorrebbero rimandare la loro entrata nel regno per continuare a cercare i piaceri dell’immaturità e indulgere alle soddisfazioni dell’egoismo: avendo rifiutato di entrare nel regno come un’esperienza spirituale, essi cercheranno di entrarvi successivamente quando la gloria della via migliore sarà rivelata nell’era futura. Perciò, a coloro che hanno respinto il regno quando io sono venuto nelle sembianze dell’umanità, che cercheranno di trovare un’entrata quando ciò sarà rivelato nelle sembianze della divinità, allora io dirò a tutti questi egoisti: non so da dove venite. Voi avete avuto la vostra occasione di prepararvi per questa cittadinanza celeste, ma avete rifiutato tutte queste offerte di misericordia; avete respinto tutti gli inviti a venire mentre la porta era aperta. Ora, per voi che avete rifiutato la salvezza, la porta è chiusa. Questa porta non è aperta per coloro che vorrebbero entrare nel regno per una gloria egoista. La salvezza non è per coloro che non vogliono pagare il prezzo della consacrazione sincera a fare la volontà di mio Padre. Quando in spirito ed anima avete voltato le spalle al regno del Padre, è inutile che stiate con la mente ed il corpo davanti alla porta e bussiate dicendo: ‘Signore, aprici; vorremmo anche noi essere grandi nel regno.’ Allora io dichiarerò che voi non siete del mio ovile. Io non vi accoglierò tra coloro che hanno condotto la buona battaglia della fede e guadagnato la ricompensa del servizio disinteressato nel regno sulla terra. E quando voi direte: ‘Non abbiamo mangiato e bevuto con te, e non hai tu insegnato nelle nostre strade?’, allora io dichiarerò di nuovo che voi siete spiritualmente degli stranieri; che non abbiamo servito insieme nel ministero di misericordia del Padre sulla terra; che non vi conosco; ed allora il Giudice di tutta la terra vi dirà: ‘Andatevene, voi tutti che avete goduto delle opere dell’iniquità.’
(1829.2) 166:3.5 “Ma non temete; chiunque desidera sinceramente trovare la vita eterna entrando nel regno di Dio troverà certamente tale salvezza eterna. Ma voi che rifiutate questa salvezza vedrete un giorno i profeti del seme di Abramo sedere con i credenti delle nazioni Gentili in questo regno glorificato per dividere il pane della vita e rinfrescarsi con l’acqua della vita. E quelli che s’impadroniranno così del regno in potenza spirituale e con assalti persistenti di fede vivente verranno dal nord e dal sud, dall’est e dall’ovest. Ed ecco, molti di quelli che sono primi saranno ultimi, e quelli che erano ultimi saranno molte volte primi.”
(1829.3) 166:3.6 Questa fu in verità una nuova e strana versione del vecchio proverbio ben conosciuto sulla via diritta e stretta.
(1829.4) 166:3.7 Gli apostoli e molti dei discepoli stavano lentamente apprendendo il significato della precedente dichiarazione di Gesù: “Fino a che non sarete nati di nuovo, nati dallo spirito, non potrete entrare nel regno di Dio.” Ciononostante, per tutti coloro che sono onesti di cuore e sinceri nella fede, rimane eternamente vero questo: “Ecco, io sto alla porta del cuore degli uomini e busso, e se qualcuno mi aprirà, entrerò e cenerò con lui e lo nutrirò con il pane della vita; noi saremo uno in spirito ed in propositi, e così saremo sempre fratelli nel lungo e fecondo compito di cercare il Padre del Paradiso.” E così, se pochi o molti saranno salvati dipende interamente dal fatto se pochi o molti terranno conto dell’invito: “Io sono la porta, io sono la via nuova e vivente, e chiunque lo vuole può entrare per imbarcarsi nella ricerca senza fine della verità della vita eterna.”
(1829.5) 166:3.8 Anche gli apostoli non riuscirono a comprendere pienamente il suo insegnamento sulla necessità di utilizzare la forza spirituale per aprirsi un passaggio attraverso tutte le resistenze materiali e per superare tutti gli ostacoli terreni che si possono trovare sulla via della comprensione degli importantissimi valori spirituali della nuova vita vissuta nello spirito come figli liberati di Dio.
(1830.1) 166:4.1 Mentre la maggior parte dei Palestinesi faceva soltanto due pasti al giorno, Gesù e gli apostoli avevano l’abitudine, quando erano in viaggio, di fermarsi a mezzogiorno per riposarsi e ristorarsi. Fu durante una tale pausa di mezzogiorno sulla strada per Filadelfia che Tommaso chiese a Gesù: “Maestro, dopo aver ascoltato le tue osservazioni mentre eravamo in viaggio questa mattina, vorrei sapere se gli esseri spirituali partecipano alla produzione degli strani e straordinari eventi del mondo materiale, ed inoltre vorrei chiedere se gli angeli ed altri esseri spirituali sono capaci d’impedire gli accidenti.”
(1830.2) 166:4.2 In risposta alla domanda di Tommaso, Gesù disse: “Sono stato così a lungo con voi e tu continui ancora a pormi tali domande? Non avete osservato che il Figlio dell’Uomo vive come uno di voi e rifiuta persistentemente d’impiegare le forze del cielo come suo sostentamento personale? Non viviamo tutti con gli stessi mezzi con cui vivono tutti gli uomini? Vedete il potere del mondo spirituale manifestato nella vita materiale di questo mondo, salvo la rivelazione del Padre e l’occasionale guarigione di suoi figli afflitti?
(1830.3) 166:4.3 “I vostri antenati hanno creduto troppo a lungo che la prosperità fosse il segno dell’approvazione divina e che l’avversità fosse la prova della disapprovazione di Dio. Io dichiaro che tali credenze sono delle superstizioni. Non notate che la stragrande maggioranza dei poveri accoglie gioiosamente il vangelo ed entra immediatamente nel regno? Se le ricchezze attestano il favore divino, perché il ricco rifiuta così spesso di credere a questa buona novella che proviene dal cielo?
(1830.4) 166:4.4 “Il Padre fa cadere la sua pioggia sul giusto e sull’ingiusto; il sole brilla allo stesso modo sull’onesto e sul disonesto. Voi avete sentito di quei Galilei di cui Pilato ha mescolato il sangue a quello dei sacrifici, ma io vi dico che questi Galilei non erano assolutamente più peccatori di tutti i loro compatrioti soltanto perché questo accadde a loro. Voi conoscete anche la storia dei diciotto uomini sui quali cadde la torre di Siloe uccidendoli. Non crediate che questi uomini che furono annientati così fossero più colpevoli di tutti i loro fratelli di Gerusalemme. Costoro furono semplicemente vittime innocenti di uno degli accidenti del tempo.
(1830.5) 166:4.5 “Ci sono tre gruppi di avvenimenti che possono accadere nella vostra vita:
(1830.6) 166:4.6 “1. Potete essere partecipi di quegli avvenimenti normali che fanno parte della vita che voi ed i vostri simili vivete sulla faccia della terra.
(1830.7) 166:4.7 “2. Potete casualmente essere vittime di uno degli accidenti della natura, di una delle disgrazie umane, sapendo perfettamente che questi avvenimenti non sono in alcun modo preordinati né prodotti altrimenti dalle forze spirituali del regno.
(1830.8) 166:4.8 “3. Potete raccogliere la messe dei vostri sforzi diretti a conformarvi alle leggi naturali che governano il mondo.
(1830.9) 166:4.9 “C’era un uomo che piantò un albero di fico nel suo cortile, e dopo avervi cercato molte volte dei frutti senza trovarne, chiamò il vignaiolo e gli disse: ‘Sono venuto qui in queste tre stagioni per cercare dei frutti su questo albero di fico e non ne ho trovato alcuno. Taglia quest’albero sterile; perché dovrebbe ingombrare il terreno?’ Ma il capo giardiniere rispose al suo padrone: ‘Lasciamolo ancora per un anno affinché io possa scavare attorno ad esso e mettervi del concime, e poi, l’anno prossimo, se non porterà alcun frutto, sarà tagliato.’ E quando essi si furono conformati così alle leggi della fertilità, poiché l’albero era vivo e buono, furono ricompensati con un abbondante raccolto.
(1831.1) 166:4.10 “In materia di malattia e di salute, voi dovreste sapere che questi stati fisici sono il risultato di cause materiali; la salute non è il sorriso del cielo né la malattia il corruccio di Dio.
(1831.2) 166:4.11 “I figli umani del Padre hanno uguali capacità di ricevere benedizioni materiali; perciò egli dona cose fisiche ai figli degli uomini senza discriminazione. Quanto all’attribuzione di doni spirituali, il Padre è limitato dalla capacità dell’uomo a ricevere questi doni divini. Benché il Padre non faccia eccezione di persone, nel conferimento dei doni spirituali è limitato dalla fede dell’uomo e dalla sua buona volontà ad attenersi sempre alla volontà del Padre.”
(1831.3) 166:4.12 Mentre proseguivano verso Filadelfia, Gesù continuò ad istruirli e a rispondere alle loro domande concernenti gli accidenti, le malattie e i miracoli, ma essi non riuscirono a comprendere pienamente questa istruzione. Un’ora d’insegnamento non basta a cambiare completamente le credenze di tutta una vita, e così Gesù trovò necessario ribadire il suo messaggio, ripetere più volte ciò che desiderava comprendessero; ed anche così essi non riuscirono a cogliere il significato della sua missione terrena fino a dopo la sua morte e la sua risurrezione.
(1831.4) 166:5.1 Gesù e i dodici stavano andando a far visita ad Abner e ai suoi associati che stavano predicando ed insegnando a Filadelfia. Tra tutte le città della Perea è a Filadelfia che il gruppo più numeroso di Ebrei e di Gentili, ricchi e poveri, istruiti ed ignoranti, abbracciò gli insegnamenti dei settanta ed entrò così nel regno dei cieli. La sinagoga di Filadelfia non era mai stata soggetta alla supervisione del Sinedrio di Gerusalemme e perciò non era mai stata chiusa agli insegnamenti di Gesù e dei suoi associati. In questo stesso momento Abner stava insegnando tre volte al giorno nella sinagoga di Filadelfia.
(1831.5) 166:5.2 Questa stessa sinagoga divenne più tardi una chiesa cristiana e fu il quartier generale missionario per la promulgazione del vangelo nelle regioni orientali. Essa fu a lungo una roccaforte degli insegnamenti del Maestro e fu per secoli il solo centro d’istruzione cristiana in questa regione.
(1831.6) 166:5.3 Gli Ebrei di Gerusalemme avevano sempre avuto problemi con gli Ebrei di Filadelfia. E dopo la morte e la risurrezione di Gesù, la chiesa di Gerusalemme, di cui era capo Giacomo, il fratello del Signore, cominciò ad avere serie difficoltà con la congregazione di credenti di Filadelfia. Abner divenne il capo della chiesa di Filadelfia, continuando come tale fino alla sua morte. E questa separazione da Gerusalemme spiega perché non si dice niente di Abner e della sua opera nella redazione evangelica del Nuovo Testamento. L’ostilità tra Gerusalemme e Filadelfia durò per tutta la vita di Giacomo e di Abner, e proseguì per qualche tempo dopo la distruzione di Gerusalemme. Filadelfia fu realmente il quartier generale della chiesa primitiva nel sud e nell’est, come Antiochia lo fu nel nord e nell’ovest.
(1831.7) 166:5.4 Fu l’evidente disgrazia di Abner essere in disaccordo con tutti i capi della chiesa cristiana primitiva. Egli litigò con Pietro e con Giacomo (fratello di Gesù) su questioni concernenti l’amministrazione e la giurisdizione della chiesa di Gerusalemme; si separò da Paolo per divergenze filosofiche e teologiche. Abner era più babilonese che ellenico nella sua filosofia, e resisté ostinatamente a tutti i tentativi di Paolo di rimaneggiare gli insegnamenti di Gesù in modo che sollevassero meno obiezioni, prima da parte degli Ebrei e poi dei Greco-Romani che credevano nei misteri.
(1832.1) 166:5.5 Abner fu così costretto a vivere una vita d’isolamento. Egli era capo di una chiesa che non godeva di alcuna considerazione a Gerusalemme. Egli aveva osato sfidare Giacomo, il fratello del Signore, che fu successivamente sostenuto da Pietro. Tale condotta lo separò effettivamente da tutti i suoi precedenti associati. Poi egli osò opporsi a Paolo. Sebbene avesse pienamente appoggiato Paolo nella sua missione presso i Gentili ed anche se lo sostenne nelle sue dispute con la chiesa di Gerusalemme, si oppose accanitamente alla versione degli insegnamenti di Gesù che Paolo aveva scelto di predicare. Nei suoi ultimi anni Abner denunciò Paolo come “abile corruttore degli insegnamenti della vita di Gesù di Nazaret, il Figlio del Dio vivente”.
(1832.2) 166:5.6 Durante gli ultimi anni di Abner, e per qualche tempo dopo la sua morte, i credenti di Filadelfia osservarono più strettamente la religione di Gesù, quale l’aveva vissuta ed insegnata, più di qualsiasi altro gruppo sulla terra.
(1832.3) 166:5.7 Abner visse fino a 89 anni e morì a Filadelfia il 21 novembre dell’anno 74 d.C. E sino alla fine egli fu un fedele credente ed insegnante del vangelo del regno dei cieli.
(1833.1) 167:0.1 PER tutto questo periodo di ministero in Perea, quando è fatta menzione di Gesù e degli apostoli che visitano le varie località dove stavano lavorando i settanta, ci si dovrebbe ricordare che di regola solo dieci erano con lui, poiché era abitudine lasciarne almeno due a Pella per istruire la moltitudine. Mentre Gesù si preparava a proseguire per Filadelfia, Simon Pietro e suo fratello Andrea ritornarono all’accampamento di Pella per insegnare alla folla che vi era riunita. Quando il Maestro lasciava il campo di Pella per le sue visite in Perea, non era raro che da trecento a cinquecento residenti nel campo lo seguissero. Quando arrivò a Filadelfia egli era accompagnato da più di seicento seguaci.
(1833.2) 167:0.2 Non era avvenuto alcun miracolo durante il recente giro di predicazione attraverso la Decapoli, ed eccetto la purificazione dei dieci lebbrosi, finora non erano avvenuti miracoli durante questa missione in Perea. Questo fu un periodo in cui il vangelo fu proclamato con potenza, senza miracoli, e per la maggior parte del tempo senza la presenza personale di Gesù od anche dei suoi apostoli.
(1833.3) 167:0.3 Gesù e i dieci apostoli arrivarono a Filadelfia mercoledì 22 febbraio, e passarono il giovedì e il venerdì a riposarsi dai loro recenti viaggi e lavori. Quel venerdì sera Giacomo parlò nella sinagoga e fu convocato un consiglio generale per la sera seguente. Essi erano molto contenti dei progressi del vangelo a Filadelfia e nei villaggi vicini. Anche i messaggeri di Davide portarono notizie dell’ulteriore avanzamento del regno in tutta la Palestina, come pure buone notizie da Alessandria e Damasco.
(1833.4) 167:1.1 A Filadelfia abitava un Fariseo molto ricco ed influente che aveva accettato gli insegnamenti di Abner e che invitò Gesù a casa sua sabato mattina per colazione. Si sapeva che Gesù era atteso in questo periodo a Filadelfia, cosicché un gran numero di visitatori, tra cui molti Farisei, erano venuti da Gerusalemme e da altre parti. Di conseguenza, una quarantina di questi dirigenti e alcuni legisti furono invitati a questa colazione, che era stata preparata in onore del Maestro.
(1833.5) 167:1.2 Mentre Gesù si attardava vicino alla porta parlando con Abner, e dopo che l’ospite si fu seduto, entrò nella sala uno dei più importanti Farisei di Gerusalemme, un membro del Sinedrio, e com’era sua abitudine si diresse verso il posto d’onore alla sinistra dell’ospite. Ma poiché questo posto era stato riservato per il Maestro e quello di destra per Abner, l’ospite invitò il Fariseo di Gerusalemme a sedersi quattro posti più a sinistra, e questo dignitario rimase molto offeso per non aver ricevuto il posto d’onore.
(1834.1) 167:1.3 Ben presto essi furono tutti seduti e felici di trovarsi assieme, poiché i presenti erano in maggior parte discepoli di Gesù o erano favorevoli al vangelo. Solo i suoi nemici notarono che egli non aveva osservato il lavaggio cerimoniale delle mani prima di sedersi a mangiare. Abner si lavò le mani all’inizio del pasto ma non durante il servizio.
(1834.2) 167:1.4 Verso la fine del pasto entrò dalla strada un uomo afflitto da molto tempo da una malattia cronica e che era ora idropico. Quest’uomo era un credente ed era stato recentemente battezzato dagli associati di Abner. Egli non chiese a Gesù di essere guarito, ma il Maestro sapeva bene che questo malato era venuto a questa colazione sperando così di evitare la folla che lo pressava ed avere in tal modo maggiore possibilità di attirare la sua attenzione. Quest’uomo sapeva che in quel periodo venivano compiuti pochi miracoli; tuttavia aveva ragionato in cuor suo che il suo triste stato avrebbe potuto fare appello alla compassione del Maestro. E non si era sbagliato, perché, quando entrò nella sala, sia Gesù che l’ipocrita Fariseo di Gerusalemme lo notarono. Il Fariseo non tardò ad esprimere il suo risentimento perché ad una tale persona era concesso di entrare nella sala. Ma Gesù guardò l’ammalato e gli sorrise con tanta benevolenza che egli si avvicinò e si sedette sul pavimento. Mentre il pasto stava finendo, il Maestro passò lo sguardo sui suoi compagni ospiti e poi, dopo aver fatto un cenno significativo all’uomo colpito da idropisia, disse: “Amici miei, insegnanti d’Israele e sapienti legisti, vorrei porvi una domanda: È lecito o no guarire gli ammalati e gli afflitti nel giorno di sabato?” Ma coloro che erano là presenti conoscevano Gesù troppo bene; essi stettero zitti; non risposero alla sua domanda.
(1834.3) 167:1.5 Allora Gesù si diresse verso il luogo dov’era seduto l’ammalato e, prendendolo per la mano, disse: “Alzati e va per la tua strada. Tu non hai chiesto di essere guarito, ma io conosco il desiderio del tuo cuore e la fede della tua anima.” Prima che l’uomo avesse lasciato la sala, Gesù ritornò al suo posto e, rivolgendosi ai convitati seduti a tavola, disse: “Mio Padre compie tali opere non per spingervi ad entrare nel regno, ma per rivelarsi a coloro che sono già nel regno. Voi potete percepire che sarebbe proprio del Padre fare queste cose perché chi tra di voi, avendo un animale favorito che cade nel pozzo nel giorno di sabato, non andrebbe direttamente a tirarlo fuori?” E poiché nessuno gli rispondeva, e giacché il suo ospite approvava evidentemente ciò che stava accadendo, Gesù si alzò e disse a tutti i presenti: “Fratelli miei, quando siete invitati ad un banchetto di matrimonio, non sedetevi al posto d’onore, per tema che sia stato invitato per caso un uomo più onorato di voi, e che l’ospite sia costretto a venire da voi e chiedervi di cedere il vostro posto a quest’altro invitato d’onore. In questo caso, vi sarebbe richiesto con vergogna di prendere un posto inferiore a tavola. Quando siete invitati ad un banchetto, sarebbe saggio, arrivando alla tavola della festa, cercare il posto più umile e sedervisi, affinché, quando l’ospite guarda i convitati, possa dirvi: ‘Amico mio, perché siedi in un posto così umile? Vieni più su’; e così costui avrà gloria in presenza degli altri convitati. Non dimenticate: chiunque si esalta sarà umiliato, mentre chiunque si umilia sinceramente sarà esaltato. Perciò, quando ricevete a colazione od offrite una cena, non invitate sempre i vostri amici, i vostri fratelli, i vostri parenti o i vostri vicini ricchi affinché essi v’invitino a loro volta alle loro feste per essere così ricompensati. Quando date un banchetto, invitate qualche volta i poveri, gli infermi e i ciechi. In tal modo sarete benedetti nel vostro cuore, perché sapete bene che gli zoppi e gli storpi non possono ripagare il vostro ministero amorevole.”
(1835.1) 167:2.1 Quando Gesù ebbe finito di parlare alla tavola di colazione del Fariseo, uno dei legisti presenti, desiderando rompere il silenzio, disse distrattamente: “Sia benedetto colui che mangerà del pane nel regno di Dio” — che era un’espressione corrente di quel tempo. Ed allora Gesù raccontò una parabola di cui anche il suo benevolo ospite fu costretto a far tesoro. Egli disse:
(1835.2) 167:2.2 “Un certo capo offrì una grande cena, ed avendo invitato molti ospiti, all’ora di cena mandò i suoi servi a dire a coloro che erano invitati: ‘Venite, perché tutto è ora pronto.’ Ed essi cominciarono tutti unanimemente a scusarsi. Il primo disse: ‘Ho appena acquistato una fattoria e devo assolutamente andare ad ispezionarla; ti prego di scusarmi.’ Un altro disse: ‘Ho comperato cinque paia di buoi e devo andare a prenderli; ti prego di scusarmi.’ Ed un altro disse: ‘Mi sono appena sposato e perciò non posso venire.’ Così i servi tornarono a riferire ciò al loro padrone. Quando il padrone della casa udì ciò, s’irritò molto, e rivolgendosi ai suoi servi disse: ‘Ho preparato questo banchetto di matrimonio; le bestie grasse sono state uccise e tutto è pronto per i miei invitati, ma essi hanno disdegnato il mio invito. Ciascuno di loro è andato nelle proprie terre e alle proprie mercanzie, e si sono anche mostrati sgarbati verso i miei servi che li invitavano a venire alla mia festa. Uscite subito, dunque, nelle strade e nei vicoli della città, nelle vie principali e nelle strade secondarie, e conducete qui i poveri e i diseredati, i ciechi e gli storpi, affinché il banchetto di matrimonio possa avere degli invitati.’ Ed i servi fecero come il loro padrone aveva ordinato, ed anche allora restava posto per altri invitati. Allora il padrone disse ai suoi servi: ‘Uscite ora per le strade e nelle campagne e costringete coloro che trovate a venire, affinché la mia casa possa essere riempita. Io dichiaro che nessuno di coloro che furono invitati per primi gusterà la mia cena.’ Ed i servi fecero come il loro padrone aveva comandato, e la casa fu riempita.”
(1835.3) 167:2.3 Dopo aver ascoltato queste parole, essi si accomiatarono; ciascuno andò a casa propria. Almeno uno dei sarcastici Farisei presenti quella mattina comprese il significato di questa parabola, perché fu battezzato quel giorno e fece pubblica confessione della sua fede nel vangelo del regno. Abner predicò su questa parabola quella sera al consiglio generale dei credenti.
(1835.4) 167:2.4 Il giorno seguente tutti gli apostoli s’impegnarono nell’esercizio filosofico di tentare d’interpretare il significato di questa parabola della grande cena. Anche se Gesù ascoltò con interesse tutte queste differenti interpretazioni, rifiutò fermamente di offrire loro ulteriore aiuto per comprendere la parabola. Egli si limitò a dire: “Che ciascuno trovi il significato da se stesso e nella propria anima.”
(1835.5) 167:3.1 Abner si era accordato perché il Maestro insegnasse nella sinagoga in questo giorno di sabato, la prima volta che Gesù appariva in una sinagoga dopo che erano state tutte chiuse al suo insegnamento per ordine del Sinedrio. Alla fine del servizio Gesù scorse davanti a lui una donna anziana che aveva un’espressione abbattuta ed il corpo molto ricurvo. Questa donna era da tempo sopraffatta dalla paura e la sua vita aveva perduto ogni gioia. Dopo essere sceso dal pulpito, Gesù si avvicinò a lei e, toccando la sua figura ricurva sulla spalla, disse: “Donna, se solo tu volessi credere, potresti essere completamente liberata dalla tua infermità immaginaria.” E questa donna, che era stata curvata ed asservita dalle depressioni della paura per più di diciotto anni, credette alle parole del Maestro ed in virtù della sua fede si raddrizzò immediatamente. Quando questa donna vide che era stata raddrizzata, elevò la sua voce e glorificò Dio.
(1836.1) 167:3.2 Nonostante che l’afflizione di questa donna fosse totalmente mentale, essendo la sua figura ricurva il risultato della sua mente depressa, il popolo pensò che Gesù avesse guarito una vera infermità fisica. Benché la congregazione della sinagoga di Filadelfia fosse ben disposta verso gli insegnamenti di Gesù, il capo della sinagoga era un Fariseo ostile. E poiché egli condivise l’opinione della congregazione che Gesù aveva guarito una malattia fisica, ed essendo indignato perché Gesù aveva osato fare una tale cosa di sabato, si alzò davanti alla congregazione e disse: “Non ci sono sei giorni in cui gli uomini devono fare tutto il loro lavoro? Venite dunque a farvi guarire in questi giorni feriali, ma non nel giorno di sabato.”
(1836.2) 167:3.3 Quando il capo ostile ebbe parlato così, Gesù ritornò sulla pedana degli oratori e disse: “Perché recitare la parte degli ipocriti? Ciascuno di voi, nel giorno di sabato, non slega il suo bue dalla stalla per portarlo ad abbeverarsi? Se un tale servizio è ammissibile nel giorno di sabato, non dovrebbe questa donna, una figlia di Abramo che è stata schiava del male per questi diciotto anni, essere liberata da questa schiavitù e portata a partecipare delle acque della libertà e della vita, anche in questo giorno di sabato?” E mentre la donna continuava a glorificare Dio, il suo critico fu messo a tacere, e la congregazione si rallegrò con lei per essere stata guarita.
(1836.3) 167:3.4 A seguito della sua critica pubblica a Gesù in questo sabato, il capo della sinagoga fu destituito e fu rimpiazzato da un discepolo di Gesù.
(1836.4) 167:3.5 Gesù liberava frequentemente queste vittime della paura dalla loro presunta infermità, dalla loro depressione mentale e dal loro asservimento alla paura. Ma la gente pensava che tutte queste afflizioni fossero infermità fisiche o possessioni da parte di spiriti malvagi.
(1836.5) 167:3.6 Gesù insegnò di nuovo nella sinagoga la domenica, e molti furono battezzati da Abner a mezzodì di quel giorno nel fiume che scorreva a sud della città. L’indomani mattina Gesù e i dieci apostoli sarebbero ripartiti per l’accampamento di Pella se non fosse arrivato uno dei messaggeri di Davide, portando un messaggio urgente a Gesù da parte dei suoi amici di Betania, vicino a Gerusalemme.
(1836.6) 167:4.1 Nella tardissima serata di domenica 26 febbraio, un corriere proveniente da Betania arrivò a Filadelfia portando un messaggio di Marta e Maria che diceva: “Signore, colui che ami è molto malato.” Questo messaggio giunse a Gesù alla fine della conferenza serale e proprio nel momento in cui egli si stava congedando dagli apostoli per la notte. In un primo momento Gesù non rispose nulla. Vi fu uno di quegli strani intervalli, un lasso di tempo in cui egli sembrava essere in comunicazione con qualcosa di esterno e al di là di se stesso. E poi, alzando gli occhi, si rivolse al messaggero in modo da essere udito dagli apostoli, dicendo: “Questa malattia non porta in realtà alla morte. Non dubitate che essa possa essere utilizzata per glorificare Dio ed esaltare il Figlio.”
(1837.1) 167:4.2 Gesù era molto affezionato a Marta, a Maria ed al loro fratello Lazzaro; egli li amava di un affetto fervente. Il suo primo pensiero umano fu di andare immediatamente in loro aiuto, ma un’altra idea venne alla sua mente congiunta. Egli aveva quasi abbandonato la speranza che i dirigenti ebrei di Gerusalemme avrebbero mai accettato il regno, ma amava ancora il suo popolo, e gli venne in mente un piano grazie al quale gli Scribi e i Farisei di Gerusalemme potessero avere un’altra occasione per accettare i suoi insegnamenti. Ed egli decise, se suo Padre lo voleva, di fare di quest’ultimo appello a Gerusalemme la manifestazione esteriore più profonda e stupefacente di tutta la sua carriera terrena. Gli Ebrei si afferravano all’idea di un liberatore che compie prodigi. E sebbene egli rifiutasse di accondiscendere a compiere prodigi materiali o a dare dimostrazioni temporali di potere politico, chiese ora il consenso del Padre per manifestare il suo potere fin qui non dimostrato sulla vita e sulla morte.
(1837.2) 167:4.3 Gli Ebrei avevano l’abitudine di seppellire i loro morti nel giorno del loro decesso; questa era una pratica necessaria in un clima così caldo. Accadeva spesso che mettevano nella tomba un individuo che era semplicemente in coma, cosicché al secondo o al terzo giorno questo tizio usciva dalla tomba. Ma era credenza degli Ebrei che, mentre lo spirito o l’anima potevano soffermarsi vicino al corpo per due o tre giorni, non restavano mai dopo il terzo giorno; che la decomposizione era ben avanzata al quarto giorno, e che nessuno ritornava mai dalla tomba dopo questo periodo di tempo. E fu per questa ragione che Gesù si trattenne ancora due giorni interi a Filadelfia prima di prepararsi a partire per Betania.
(1837.3) 167:4.4 Di conseguenza, mercoledì mattina presto egli disse ai suoi apostoli: “Prepariamoci immediatamente ad andare di nuovo in Giudea.” E quando gli apostoli udirono il loro Maestro dire questo, si appartarono per qualche istante per consultarsi tra di loro. Giacomo assunse la direzione della riunione, e tutti loro furono d’accordo che era solo follia permettere a Gesù di andare nuovamente in Giudea, e tornarono come un sol uomo per informarlo in tal senso. Disse Giacomo: “Maestro, sei stato a Gerusalemme poche settimane fa e i dirigenti hanno cercato di farti morire, mentre il popolo era intenzionato a lapidarti. In quel momento tu hai dato a questi uomini la loro occasione di ricevere la verità, e noi non ti permetteremo di tornare nuovamente in Giudea.”
(1837.4) 167:4.5 Allora Gesù disse: “Ma non capite che ci sono dodici ore del giorno in cui si può lavorare in sicurezza? Se un uomo cammina di giorno non inciampa, poiché ha luce. Se un uomo cammina di notte rischia d’inciampare, poiché è senza luce. Finché dura il mio giorno io non temo di entrare in Giudea. Vorrei compiere ancora una volta un’opera potente per questi Ebrei; vorrei offrire loro un’altra occasione di credere, anche nei loro stessi termini — condizioni di gloria esteriore e di manifestazione visibile del potere del Padre e dell’amore del Figlio. Inoltre, non avete capito che nostro fratello Lazzaro si è addormentato e che io vorrei andare a svegliarlo da questo sonno!”
(1837.5) 167:4.6 Allora uno degli apostoli disse: “Maestro, se Lazzaro si è addormentato allora si ristabilirà sicuramente.” In quest’epoca era abitudine degli Ebrei parlare della morte come di una forma di sonno, ma poiché gli apostoli non avevano compreso che Gesù intendeva dire che Lazzaro aveva lasciato questo mondo, egli allora disse chiaramente: “Lazzaro è morto. Ed io sono felice per il bene vostro, anche se gli altri non sono salvati con ciò, di non essermi trovato là, perché avrete ora una nuova ragione di credere in me; e da quello di cui sarete testimoni dovreste essere tutti fortificati in preparazione del giorno in cui mi congederò da voi per andare dal Padre.”
(1838.1) 167:4.7 Quando non riuscirono a persuaderlo ad astenersi dall’andare in Giudea, e poiché alcuni apostoli erano restii anche ad accompagnarlo, Tommaso si rivolse ai suoi compagni dicendo: “Abbiamo espresso al Maestro i nostri timori, ma egli è deciso ad andare a Betania. Io sono convinto che ciò significhi la fine; essi certamente lo uccideranno, ma se questa è la scelta del Maestro, allora comportiamoci da uomini coraggiosi; andiamoci anche noi per poter morire con lui.” E fu sempre così; nelle questioni che richiedevano un coraggio calcolato e prolungato, Tommaso fu sempre il principale sostegno dei dodici apostoli.
(1838.2) 167:5.1 Sulla strada per la Giudea Gesù era seguito da una compagnia di quasi cinquanta suoi amici e nemici. Mercoledì, all’ora del pasto di mezzogiorno, egli parlò ai suoi apostoli e a questo gruppo di accompagnatori sui “Termini della salvezza”, e alla fine di questa lezione raccontò la parabola del Fariseo e del Pubblicano (un esattore d’imposte). Gesù disse: “Voi vedete, allora, che il Padre dona la salvezza ai figli degli uomini, e che questa salvezza è un dono gratuito a tutti coloro che hanno la fede di accettare la filiazione nella famiglia divina. Non c’è niente che l’uomo possa fare per guadagnarsi questa salvezza. Le opere ipocrite non possono acquistare il favore di Dio e il molto pregare in pubblico non compenserà la mancanza di fede vivente nel cuore. Voi potete ingannare gli uomini con i vostri servizi esteriori, ma Dio scruta nella vostra anima. Ciò che vi sto dicendo è bene illustrato da due uomini che andarono al tempio per pregare, uno un Fariseo e l’altro un Pubblicano. Il Fariseo stette in piedi e pregò per se stesso: ‘O Dio, ti ringrazio per non essere simile al resto degli uomini, che sono strozzini, ignoranti, ingiusti e adulteri, e nemmeno simile a questo Pubblicano. Digiuno due volte alla settimana; dono le decime di tutto ciò che guadagno.’ Il Pubblicano invece, standosene in disparte, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, sii misericordioso verso di me, un peccatore.’ Io vi dico che il Pubblicano andò a casa con l’approvazione di Dio, e non il Fariseo, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.”
(1838.3) 167:5.2 Quella sera, a Gerico, i Farisei ostili cercarono d’intrappolare il Maestro inducendolo a discutere sul matrimonio e sul divorzio, come i loro compagni avevano fatto un tempo in Galilea, ma Gesù evitò astutamente i loro tentativi di portarlo in conflitto con le loro leggi concernenti il divorzio. Come il Pubblicano e il Fariseo illustravano la buona e la cattiva religione, le loro pratiche sul divorzio presentavano un contrasto tra le migliori leggi sul matrimonio del codice ebraico e la vergognosa rilassatezza delle interpretazioni dei Farisei di queste regole sul divorzio di Mosè. Il Fariseo giudicava se stesso secondo il criterio più basso; il Pubblicano si conformava all’ideale più elevato. La devozione per il Fariseo era un mezzo per indurre ad una giustificata inattività e all’assicurazione di una falsa sicurezza spirituale; la devozione per il Pubblicano era un mezzo per stimolare la sua anima alla comprensione della necessità di pentirsi, di confessarsi e di accettare per fede il perdono misericordioso. Il Fariseo cercava la giustizia; il Pubblicano cercava la misericordia. La legge dell’universo è: chiedete e riceverete; cercate e troverete.
(1838.4) 167:5.3 Sebbene Gesù avesse rifiutato di essere coinvolto in una controversia con i Farisei sul divorzio, egli proclamò un insegnamento positivo degli ideali più elevati concernenti il matrimonio. Esaltò il matrimonio come la più ideale ed elevata di tutte le relazioni umane. Similmente, egli manifestò la sua ferma disapprovazione per le pratiche di divorzio rilassate ed inique degli Ebrei di Gerusalemme, che a quel tempo permettevano ad un uomo di divorziare da sua moglie per le ragioni più futili, quali essere una cattiva cuoca o una imperfetta donna di casa, o semplicemente per la non migliore ragione che si era innamorato di una donna più avvenente.
(1839.1) 167:5.4 I Farisei erano anche arrivati al punto d’insegnare che questo genere di divorzio facile era una dispensa speciale concessa al popolo ebreo, e particolarmente ai Farisei. E così, mentre Gesù rifiutò di pronunciarsi sul matrimonio e sul divorzio, denunciò molto severamente queste vergognose caricature della relazione matrimoniale e pose in risalto la loro ingiustizia verso le donne e i bambini. Egli non sanzionò mai alcuna pratica di divorzio che desse all’uomo un qualche vantaggio sulla donna; il Maestro approvò soltanto quegli insegnamenti che accordavano alle donne l’uguaglianza con gli uomini.
(1839.2) 167:5.5 Anche se Gesù non offrì regole nuove sul matrimonio e sul divorzio, incitò gli Ebrei a vivere secondo le loro leggi ed i loro insegnamenti più elevati. Egli si richiamò costantemente alle Scritture nel suo sforzo di migliorare le loro pratiche secondo queste linee sociali. Pur sostenendo in tal modo i concetti ideali e più elevati del matrimonio, Gesù evitò abilmente il conflitto con i suoi inquisitori circa le pratiche sociali rappresentate sia dalle loro leggi scritte che dai loro privilegi di divorzio cui tenevano molto.
(1839.3) 167:5.6 Fu molto difficile per gli apostoli comprendere la riluttanza del Maestro a fare dichiarazioni positive relativamente a problemi scientifici, sociali, economici e politici. Essi non realizzavano pienamente che la sua missione terrena concerneva esclusivamente la rivelazione di verità spirituali e religiose.
(1839.4) 167:5.7 La sera tardi, dopo che Gesù ebbe parlato sul matrimonio e sul divorzio, i suoi apostoli gli posero in privato numerose altre domande, e le sue risposte a queste domande liberarono la loro mente da molte concezioni errate. A conclusione di questa conferenza Gesù disse: “Il matrimonio è onorevole e deve essere desiderato da tutti gli uomini. Il fatto che il Figlio dell’Uomo prosegua la sua missione terrena da solo non è in alcun modo un biasimo alla desiderabilità del matrimonio. Che io agisca in questo modo è la volontà del Padre, ma questo stesso Padre ha ordinato la creazione del maschio e della femmina, ed è volontà divina che gli uomini e le donne trovino il loro servizio più elevato e la gioia conseguente nella formazione di famiglie che accolgano ed educhino figli, nella cui creazione questi genitori divengono co-partner con i Creatori del cielo e della terra. Per questo motivo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due diverranno uno.”
(1839.5) 167:5.8 In questo modo Gesù tolse dalla mente degli apostoli molte incertezze sul matrimonio e chiarì numerosi malintesi sul divorzio; allo stesso tempo egli contribuì molto ad esaltare i loro ideali di unione sociale e ad accrescere il loro rispetto per le donne, i bambini e la famiglia.
(1839.6) 167:6.1 Quel messaggio serale di Gesù sul matrimonio e sul carattere sacro dei figli si diffuse in tutta Gerico, cosicché il mattino seguente, molto prima che Gesù e gli apostoli fossero pronti a partire, ed anche prima della colazione, un gran numero di madri si riunirono vicino all’alloggio di Gesù, portando i loro figli in braccio o conducendoli per mano, desiderando che egli benedicesse i piccoli. Quando gli apostoli uscirono e videro questo assembramento di madri con i loro figli, tentarono di mandarle via, ma queste donne rifiutarono di partire prima che il Maestro avesse imposto le mani sui loro figli e li avesse benedetti. E quando gli apostoli rimproverarono ad alta voce queste madri, Gesù, udendo il clamore, uscì e li riprese con indignazione, dicendo: “Lasciate che i bambini vengano a me; non proibiteglielo, perché di essi è il regno dei cieli. In verità, in verità vi dico, chiunque non accoglie il regno di Dio come un bambino difficilmente vi entrerà per raggiungere la pienezza della maturità spirituale.”
(1840.1) 167:6.2 E dopo che il Maestro ebbe parlato ai suoi apostoli, ricevette tutti i bambini imponendo le mani su di loro, mentre rivolgeva parole d’incoraggiamento e di speranza alle loro madri.
(1840.2) 167:6.3 Gesù parlava spesso ai suoi apostoli delle dimore celesti ed insegnava che gli evoluzionanti figli di Dio devono crescervi spiritualmente come i figli crescono fisicamente su questo mondo. Così le cose sacre appaiono spesso banali, come in questo giorno questi bambini e le loro madri non si rendevano conto che le intelligenze spettatrici di Nebadon osservavano i bambini di Gerico giocare con il Creatore di un universo.
(1840.3) 167:6.4 La condizione della donna in Palestina fu molto migliorata dall’insegnamento di Gesù; e così sarebbe stato in tutto il mondo se i suoi discepoli non si fossero tanto allontanati da ciò che egli aveva scrupolosamente insegnato loro.
(1840.4) 167:6.5 Fu pure a Gerico, in connessione con la discussione sulla formazione religiosa iniziale dei bambini a delle abitudini dell’adorazione divina, che Gesù impresse nei suoi apostoli il grande valore della bellezza come influenza che porta allo stimolo di adorare, specialmente nei bambini. Con i suoi precetti ed il suo esempio, il Maestro insegnò il valore dell’adorazione del Creatore in mezzo all’ambiente naturale della creazione. Egli preferiva comunicare con il Padre celeste tra gli alberi e le più basse creature del mondo naturale. Gli piaceva contemplare il Padre attraverso lo spettacolo ispirante dei regni stellati dei Figli Creatori.
(1840.5) 167:6.6 Quando non è possibile adorare Dio nei tabernacoli della natura, gli uomini dovrebbero fare del loro meglio per predisporre case di bellezza, santuari di attraente semplicità ed artisticamente abbelliti, affinché possano essere risvegliate le emozioni umane più elevate in associazione con l’approccio intellettuale alla comunione spirituale con Dio. La verità, la bellezza e la santità sono di potente ed efficace aiuto alla vera adorazione. Ma la comunione spirituale non è favorita da semplici ornamenti massicci e da decorazioni eccessive dell’arte elaborata e pretenziosa dell’uomo. La bellezza è più religiosa quando è la più semplice e simile alla natura. Che peccato che i bambini abbiano la loro prima introduzione ai concetti del culto pubblico in sale fredde e spoglie così prive dell’attrazione della bellezza e così vuote di ogni suggestione di letizia e d’ispirante santità! Il bambino dovrebbe essere iniziato all’adorazione nell’ambiente esterno della natura e dovrebbe accompagnare più tardi i suoi genitori in edifici pubblici di assemblea religiosa che siano almeno altrettanto materialmente attraenti ed artisticamente belli quanto la casa in cui egli abita quotidianamente.
(1840.6) 167:7.1 Mentre essi erano in viaggio sulle colline da Gerico a Betania, Natanaele camminò quasi sempre a fianco di Gesù, e la loro discussione sui bambini in relazione al regno dei cieli portò indirettamente a considerare il ministero degli angeli. Natanaele alla fine pose al Maestro questa domanda: “Visto che il sommo sacerdote è un Sadduceo, e poiché i Sadducei non credono negli angeli, che cosa insegneremo al popolo sui ministri celesti?” Allora, tra altre cose, Gesù disse:
(1841.1) 167:7.2 “Le schiere degli angeli sono un ordine separato di esseri creati; essi sono del tutto differenti dall’ordine materiale delle creature mortali e funzionano come un gruppo distinto d’intelligenze dell’universo. Gli angeli non fanno parte di quel gruppo di creature chiamate ‘i Figli di Dio’ nelle Scritture; né sono gli spiriti glorificati di uomini mortali che hanno proseguito la loro evoluzione attraverso le dimore nell’alto. Gli angeli sono una creazione diretta e non si riproducono. Le schiere degli angeli hanno soltanto una parentela spirituale con la razza umana. Mentre l’uomo progredisce nel suo cammino verso il Padre del Paradiso, ad un certo momento attraversa uno stato d’esistenza analogo allo stato degli angeli, ma l’uomo mortale non diviene mai un angelo.
(1841.2) 167:7.3 “Gli angeli non muoiono mai come fanno gli uomini. Gli angeli sono immortali, a meno che non capiti che siano implicati nel peccato, come avvenne per certuni di loro con gli inganni di Lucifero. Gli angeli sono i servitori spirituali in cielo, e non sono né infinitamente saggi né onnipotenti. Ma tutti gli angeli leali sono veramente puri e santi.
(1841.3) 167:7.4 “Non ti ricordi che già vi dissi in passato che, se i vostri occhi spirituali fossero unti, vedreste allora i cieli aperti ed osservereste gli angeli di Dio che salgono e scendono? È per mezzo del ministero degli angeli che un mondo può essere mantenuto in contatto con gli altri mondi, perché non vi ho detto ripetutamente che ho altre pecore che non sono di questo ovile? E questi angeli non sono le spie del mondo spirituale che vi sorvegliano e che vanno poi a raccontare al Padre i pensieri del vostro cuore e a riferire sugli atti della carne. Il Padre non ha bisogno di questo servizio, poiché il suo stesso spirito vive in voi. Ma questi spiriti angelici funzionano per tenere una parte della creazione celeste informata sugli atti di altre remote parti dell’universo. E molti angeli, pur funzionando nel governo del Padre e negli universi dei Figli, sono assegnati al servizio delle razze umane. Quando vi ho insegnato che molti di questi serafini sono degli spiriti tutelari, non parlavo né figuratamente né poeticamente. Tutto ciò è vero, indipendentemente dalla vostra difficoltà a comprendere tali materie.
(1841.4) 167:7.5 “Molti di questi angeli sono impegnati nell’opera di salvare gli uomini, perché non vi ho parlato della gioia serafica quando un’anima sceglie di abbandonare il peccato e di cominciare la ricerca di Dio? Vi ho anche parlato della gioia nella presenza degli angeli del cielo per un solo peccatore che si pente, indicando con ciò l’esistenza di altri ordini superiori di esseri celesti che si occupano similmente del benessere spirituale e del progresso divino dell’uomo mortale.
(1841.5) 167:7.6 “Questi angeli si occupano moltissimo anche dei metodi con cui lo spirito dell’uomo è liberato dai tabernacoli della carne e la sua anima è scortata alle dimore in cielo. Gli angeli sono le guide fedeli e celesti dell’anima dell’uomo durante quel periodo non precisato e indefinito di tempo che intercorre tra la morte della carne e la nuova vita nelle dimore dello spirito.”
(1841.6) 167:7.7 Ed egli avrebbe parlato più a lungo con Natanaele sul ministero degli angeli, ma fu interrotto dall’avvicinarsi di Marta, la quale era stata informata che il Maestro stava giungendo a Betania da amici che l’avevano visto risalire le colline ad est. Ed essa ora si affrettava a dargli il benvenuto.
(1842.1) 168:0.1 ERA DA poco passato mezzogiorno quando Marta partì per andare incontro a Gesù dopo che egli ebbe superato la sommità della collina vicino a Betania. Suo fratello Lazzaro era morto da quattro giorni ed era stato deposto nella loro tomba privata, situata all’estremità del giardino, nel tardo pomeriggio di domenica. La pietra all’entrata della tomba vi era stata rotolata il mattino di questo giorno, giovedì.
(1842.2) 168:0.2 Quando Marta e Maria avevano mandato ad informare Gesù sulla malattia di Lazzaro, avevano confidato che il Maestro avrebbe fatto qualcosa a tale riguardo. Esse sapevano che il loro fratello era in condizioni disperate, e sebbene osassero appena sperare che Gesù avrebbe lasciato il suo lavoro d’insegnamento e di predicazione per venire in loro aiuto, avevano una tale fiducia nel suo potere di guarire le malattie che pensavano gli sarebbe bastato pronunciare le parole curative e Lazzaro sarebbe guarito immediatamente. E quando Lazzaro morì alcune ore dopo che il messaggero era partito da Betania per Filadelfia, esse conclusero che era perché il Maestro non aveva saputo della malattia del loro fratello prima che fosse troppo tardi, prima che egli fosse già deceduto da parecchie ore.
(1842.3) 168:0.3 Ma esse, con tutti i loro amici credenti, furono grandemente sconcertate dal messaggio che il corriere riportò martedì mattina quando raggiunse Betania. Il messaggero insisté di aver sentito Gesù dire: “…questa malattia non porta in realtà alla morte.” Né esse riuscirono a comprendere perché egli non avesse inviato loro una parola né avesse offerto in altro modo il suo aiuto.
(1842.4) 168:0.4 Molti amici provenienti dai villaggi vicini ed altri provenienti da Gerusalemme vennero a confortare le sorelle affrante dal dolore. Lazzaro e le sue sorelle erano figli di un Ebreo benestante ed onorato, che era stato l’abitante di maggior riguardo del piccolo villaggio di Betania. E nonostante che tutti e tre fossero stati da lungo tempo ardenti seguaci di Gesù, erano molto rispettati da tutti quelli che li conoscevano. Essi avevano ereditato estesi vigneti e grandi oliveti nei dintorni, e che fossero ricchi fu ulteriormente attestato dal fatto che poterono permettersi una tomba funebre privata nella loro proprietà. Entrambi i loro genitori erano già stati deposti in questa tomba.
(1842.5) 168:0.5 Maria aveva rinunciato all’idea di veder giungere Gesù e si era abbandonata al suo dolore, ma Marta si attaccò alla speranza che Gesù venisse fino al mattino stesso in cui rotolarono la pietra davanti alla tomba e sigillarono l’entrata. Anche allora essa incaricò un ragazzo loro vicino di sorvegliare la strada di Gerico che scendeva dalla sommità della collina ad est di Betania; e fu questo ragazzo che portò a Marta la notizia che Gesù ed i suoi amici si stavano avvicinando.
(1842.6) 168:0.6 Quando Marta incontrò Gesù, cadde ai suoi piedi esclamando: “Maestro, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!” Molti timori stavano passando per la mente di Marta, ma essa non espresse alcun dubbio né si avventurò a criticare o a mettere in discussione la condotta del Maestro in relazione alla morte di Lazzaro. Dopo che essa ebbe parlato, Gesù si chinò e, rialzandola, disse: “Abbi solo fede, Marta, e tuo fratello risusciterà.” Allora Marta rispose: “Lo so che risusciterà nella risurrezione dell’ultimo giorno; ed anche ora credo che qualsiasi cosa chiederai a Dio, nostro Padre te la concederà.”
(1843.1) 168:0.7 Allora Gesù disse, guardando dritto negli occhi di Marta: “Io sono la risurrezione e la vita; e chi crede in me, anche se muore, vivrà ancora. In verità, chiunque vive e crede in me in realtà non morirà mai. Marta, tu credi questo?” E Marta rispose al Maestro: “Sì, io credevo da molto tempo che tu sei il Liberatore, il Figlio del Dio vivente, colui che doveva venire in questo mondo.”
(1843.2) 168:0.8 Avendo Gesù chiesto di Maria, Marta andò subito in casa e, bisbigliando a sua sorella, disse: “Il Maestro è qui ed ha chiesto di te.” E quando Maria udì ciò, si alzò subito ed uscì in fretta per andare incontro a Gesù, che era rimasto ancora sul posto, ad una certa distanza dalla casa, dove Marta l’aveva incontrato prima. Gli amici che erano con Maria cercando di consolarla, quando videro che si alzò in fretta ed uscì, la seguirono, supponendo che stesse andando alla tomba a piangere.
(1843.3) 168:0.9 Molti dei presenti erano acerrimi nemici di Gesù. Per questo Marta era uscita per incontrarlo da sola, e per questo era anche andata ad informare segretamente Maria che egli aveva chiesto di lei. Marta, pur volendo veramente vedere Gesù, desiderava evitare ogni possibile contrasto che potesse essere causato dal suo arrivo improvviso in mezzo ad un numeroso gruppo di suoi nemici di Gerusalemme. Marta era intenzionata a rimanere in casa con i loro amici mentre Maria andava a salutare Gesù, ma non vi riuscì, perché essi seguirono tutti Maria e si trovarono così inaspettatamente in presenza del Maestro.
(1843.4) 168:0.10 Marta condusse Maria da Gesù, e quando essa lo vide, cadde ai suoi piedi esclamando: “Se solo tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!” E quando Gesù vide come tutti loro erano affranti per la morte di Lazzaro, la sua anima fu mossa a compassione.
(1843.5) 168:0.11 Quando gli amici addolorati videro che Maria era andata a salutare Gesù, si trassero un po’ in disparte mentre Marta e Maria parlavano con il Maestro e ricevevano parole di conforto e d’esortazione a conservare una forte fede nel Padre ed una completa rassegnazione alla volontà divina.
(1843.6) 168:0.12 La mente umana di Gesù fu potentemente scossa dal conflitto tra il suo amore per Lazzaro e per le sue sorelle afflitte ed il suo sdegno e disprezzo per le dimostrazioni esteriori d’affetto manifestate da alcuni di questi miscredenti ebrei inclini all’assassinio. Gesù s’indignò molto per la dimostrazione di artificioso cordoglio esteriore per Lazzaro da parte di alcuni di questi professati amici, tanto più che questo falso dispiacere era associato nel loro cuore a così tanta acerrima inimicizia verso di lui. Alcuni di questi Ebrei, tuttavia, erano sinceri nel loro dolore, perché erano amici veri della famiglia. delete this element
(1843.7) 168:1.1 Dopo che Gesù ebbe passato alcuni momenti a confortare Marta e Maria, in disparte dalle persone in lutto, chiese loro: “Dove l’avete deposto?” Allora Marta disse: “Vieni a vedere.” E mentre il Maestro seguiva in silenzio le due sorelle afflitte, pianse. Quando gli amici ebrei che li seguivano videro le sue lacrime, uno di loro disse: “Guardate come lo amava. Colui che ha aperto gli occhi del cieco non avrebbe potuto impedire a quest’uomo di morire?” In questo momento essi erano giunti davanti alla tomba di famiglia, una piccola grotta naturale, o declivio, nella parete rocciosa alta una decina di metri che si ergeva all’estremità del giardino.
(1844.1) 168:1.2 È difficile spiegare alle menti umane il motivo esatto per cui Gesù pianse. Pur avendo accesso alla registrazione delle emozioni umane e dei pensieri divini congiunti, quali sono registrati nella mente dell’Aggiustatore Personalizzato, non siamo del tutto certi sulla causa reale di queste manifestazioni emotive. Noi siamo inclini a credere che Gesù pianse a causa dei numerosi pensieri e sentimenti che attraversavano la sua mente in questo momento, quali:
(1844.2) 168:1.3 1. Egli provava una compassione sincera e addolorata per Marta e Maria; nutriva un affetto umano reale e profondo per queste sorelle che avevano perduto il loro fratello.
(1844.3) 168:1.4 2. Era turbato nella sua mente dalla presenza delle numerose persone in lutto, alcune sincere ed altre semplici simulatrici. Egli si risentì sempre per queste esibizioni esteriori di cordoglio. Sapeva che le sorelle amavano il loro fratello ed avevano fede nella sopravvivenza dei credenti. Queste emozioni contraddittorie possono forse spiegare perché egli espresse il suo dolore nell’avvicinarsi alla tomba.
(1844.4) 168:1.5 3. Egli esitava sinceramente a riportare Lazzaro alla vita mortale. Le sue sorelle avevano realmente bisogno di lui, ma a Gesù rincresceva riportare il suo amico all’esperienza delle accanite persecuzioni che egli sapeva bene Lazzaro avrebbe dovuto subire per essere stato il soggetto della più grande di tutte le dimostrazioni del potere divino del Figlio dell’Uomo.
(1844.5) 168:1.6 Ed ora possiamo riferire un fatto importante ed istruttivo: benché questo racconto si svolga come un evento apparentemente naturale e normale degli affari umani, esso ha alcuni aspetti secondari molto interessanti. Mentre il messaggero andava domenica da Gesù per informarlo della malattia di Lazzaro, e mentre Gesù mandava a dire che essa “non portava alla morte”, allo stesso tempo egli andò di persona a Betania e chiese anche alle sorelle: “Dove l’avete deposto?” Sebbene tutto ciò sembri indicare che il Maestro stesse procedendo secondo la maniera di questa vita ed in conformità alla conoscenza limitata della mente umana, tuttavia gli archivi dell’universo rivelano che l’Aggiustatore Personalizzato di Gesù ordinò di trattenere indefinitamente l’Aggiustatore di Pensiero di Lazzaro sul pianeta dopo la morte di Lazzaro, e che quest’ordine fu registrato esattamente quindici minuti prima che Lazzaro esalasse l’ultimo respiro.
(1844.6) 168:1.7 La mente divina di Gesù sapeva, ancor prima che Lazzaro morisse, che egli lo avrebbe risuscitato dalla morte? Non lo sappiamo. Sappiamo soltanto ciò che stiamo esponendo qui.
(1844.7) 168:1.8 Molti nemici di Gesù furono inclini a dileggiare le sue manifestazioni d’affetto, e dissero tra di loro: “Se teneva in così tanta considerazione quest’uomo, perché ha aspettato così a lungo prima di venire a Betania? Se egli è ciò che pretende di essere, perché non ha salvato il suo caro amico? A che scopo guarire degli stranieri in Galilea se non può salvare quelli che ama?” Ed in molti altri modi essi derisero e presero alla leggera gli insegnamenti e le opere di Gesù.
(1844.8) 168:1.9 E così, in questo pomeriggio di giovedì, verso le due e mezzo, la scena era tutta pronta in questo piccolo villaggio di Betania per il compimento della più grande di tutte le opere connesse con il ministero terreno di Micael di Nebadon, la più grande manifestazione di potere divino durante la sua incarnazione, poiché la sua stessa risurrezione avvenne dopo che egli fu liberato dai vincoli della dimora mortale.
(1845.1) 168:1.10 Il piccolo gruppo riunito davanti alla tomba di Lazzaro non percepì la presenza vicina di un vasto concorso di tutti gli ordini di esseri celesti riuniti sotto la direzione di Gabriele ed ora in attesa per ordine dell’Aggiustatore Personalizzato di Gesù, vibranti di aspettativa e pronti ad eseguire le direttive del loro diletto Sovrano.
(1845.2) 168:1.11 Quando Gesù pronunciò quelle parole di comando, “Levate la pietra”, le schiere celesti riunite si prepararono a mettere in atto il dramma della risurrezione di Lazzaro nelle sembianze della sua carne mortale. Una tale forma di risurrezione implica difficoltà di esecuzione che trascendono di molto la tecnica abituale della risurrezione di creature mortali in forma morontiale, e richiede un numero di personalità celesti molto maggiore ed un’organizzazione molto più estesa di capacità universali.
(1845.3) 168:1.12 Quando Marta e Maria udirono questo comando di Gesù che ordinava che la pietra posta davanti alla tomba fosse fatta rotolare via, esse furono assalite da sentimenti contraddittori. Maria sperava che Lazzaro sarebbe stato risuscitato dalla morte, ma Marta, pur condividendo in una certa misura la fede di sua sorella, era più preoccupata per il timore che Lazzaro non fosse presentabile nel suo aspetto a Gesù, agli apostoli e ai loro amici. Marta disse: “Dobbiamo rotolare via la pietra? Mio fratello è ora morto da quattro giorni, cosicché oramai la decomposizione del corpo è cominciata.” Marta disse questo anche perché non era certa del motivo per cui il Maestro aveva chiesto che la pietra fosse rimossa; essa pensava che Gesù volesse forse dare solo un ultimo sguardo a Lazzaro. Marta non era ferma e costante nel suo atteggiamento. Poiché esse esitavano a far rotolare via la pietra, Gesù disse: “Non vi ho detto fin dall’inizio che questa malattia non avrebbe portato alla morte? Non sono venuto per adempiere la mia promessa? E dopo che sono venuto da voi, non ho detto che se soltanto aveste creduto avreste visto la gloria di Dio? Per quale ragione dubitate? Quanto vi ci vorrà per credere e obbedire?”
(1845.4) 168:1.13 Quando Gesù ebbe finito di parlare, i suoi apostoli, con l’aiuto di vicini volontari, afferrarono la pietra e la fecero rotolare via dall’entrata della tomba.
(1845.5) 168:1.14 Era credenza comune degli Ebrei che la goccia di fiele sulla punta della spada dell’angelo della morte cominciasse ad operare alla fine del terzo giorno, in modo che aveva il suo pieno effetto il quarto giorno. Essi ammettevano che l’anima dell’uomo potesse indugiare vicino alla tomba sino alla fine del terzo giorno, cercando di rianimare il corpo morto; ma credevano fermamente che tale anima se ne fosse andata nella dimora degli spiriti trapassati prima dell’alba del quarto giorno.
(1845.6) 168:1.15 Queste credenze ed opinioni concernenti la morte e la partenza degli spiriti dei morti servirono a rassicurare, nella mente di tutti coloro che erano ora presenti presso la tomba di Lazzaro, e successivamente tutti coloro che poterono ascoltare ciò che stava per accadere, che questo era realmente e veramente un caso di risurrezione di un morto per opera personale di colui che dichiarava di essere “la risurrezione e la vita”.
(1845.7) 168:2.1 Mentre questo gruppo di circa quarantacinque mortali stava davanti alla tomba, poteva vagamente vedere la forma di Lazzaro, avviluppata in bende di lino, che riposava nella nicchia destra inferiore della grotta funebre. Mentre queste creature terrene stavano là in un silenzio quasi mozzafiato, una vasta schiera di esseri celesti si era portata nelle sue posizioni, in attesa di rispondere al segnale d’azione quando fosse stato dato da Gabriele, il loro comandante.
(1846.1) 168:2.2 Gesù alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio d’aver ascoltato ed accolto la mia richiesta. So che tu mi ascolti sempre, ma a causa di coloro che stanno qui con me io parlo così con te affinché essi credano che tu mi hai mandato nel mondo e sappiano che tu operi con me in ciò che stiamo per fare.” E quando ebbe pregato, egli gridò ad alta voce: “Lazzaro, vieni fuori!”
(1846.2) 168:2.3 Mentre questi osservatori umani rimanevano immobili, la vasta schiera celeste era tutta affaccendata in un’azione congiunta per obbedire alla parola del Creatore. In dodici secondi esatti del tempo terrestre la forma fino ad allora senza vita di Lazzaro cominciò a muoversi e si sedette subito sul bordo del ripiano di pietra su cui aveva riposato. Il suo corpo era avvolto nelle vesti funebri e il suo viso era coperto da un lenzuolo. E quando egli si alzò in piedi davanti a loro — vivo — Gesù disse: “Scioglietelo e lasciatelo andare.”
(1846.3) 168:2.4 Tutti, salvo gli apostoli, con Marta e Maria, fuggirono verso la casa. Essi erano pallidi di terrore e sopraffatti dallo stupore. Mentre alcuni rimasero là, molti rientrarono in fretta a casa loro.
(1846.4) 168:2.5 Lazzaro salutò Gesù e gli apostoli e chiese il significato delle vesti funebri e perché si fosse svegliato nel giardino. Gesù e gli apostoli si trassero in disparte mentre Marta raccontava a Lazzaro della sua morte, della sua sepoltura e della sua risurrezione. Essa dovette spiegargli che era morto domenica e che ora era stato riportato in vita di giovedì, poiché egli non aveva avuto coscienza del tempo da quando si era addormentato nella morte.
(1846.5) 168:2.6 Quando Lazzaro uscì dalla tomba, l’Aggiustatore Personalizzato di Gesù, ora capo del suo ordine in questo universo locale, comandò al precedente Aggiustatore di Lazzaro, ora in attesa, di ritornare a risiedere nella mente e nell’anima del risuscitato.
(1846.6) 168:2.7 Poi Lazzaro si avvicinò a Gesù e, con le sue sorelle, s’inginocchiò ai piedi del Maestro per ringraziare e lodare Dio. Gesù, prendendo Lazzaro per la mano, lo fece alzare dicendo: “Figlio mio, quello che è accaduto a te sarà sperimentato anche da tutti coloro che credono in questo vangelo, salvo che essi saranno risuscitati in una forma più gloriosa. Tu sarai un testimone vivente della verità che ho proclamato — io sono la risurrezione e la vita. Ma ora andiamo tutti a casa a mangiare del cibo per questi corpi fisici.”
(1846.7) 168:2.8 Mentre essi camminavano verso la casa, Gabriele congedò i gruppi supplementari delle schiere celesti riunite a fece registrare il primo, e l’ultimo, caso su Urantia in cui una creatura mortale era stata risuscitata nelle sembianze del suo corpo fisico di morte.
(1846.8) 168:2.9 Lazzaro quasi non riusciva a comprendere ciò che era accaduto. Egli sapeva che era stato molto malato, ma riusciva a ricordarsi soltanto che si era addormentato e che era stato risvegliato. Egli non poté mai raccontare alcunché di questi quattro giorni nella tomba perché era stato totalmente incosciente. Il tempo non esiste per coloro che dormono il sonno della morte.
(1846.9) 168:2.10 Sebbene molti credettero in Gesù a seguito di quest’opera potente, altri indurirono soltanto il loro cuore per respingerlo di più. L’indomani a mezzogiorno questa storia si era diffusa in tutta Gerusalemme. Decine di uomini e di donne andarono a Betania per vedere Lazzaro e per parlare con lui, e gli allarmati e sconcertati Farisei convocarono precipitosamente una riunione del Sinedrio per decidere che cosa si dovesse fare riguardo a questi nuovi sviluppi.
(1847.1) 168:3.1 Anche se la testimonianza di quest’uomo risuscitato dalla morte contribuì molto a consolidare la fede della massa dei credenti nel vangelo del regno, ebbe poca o nessuna influenza sull’atteggiamento dei dirigenti e dei capi religiosi di Gerusalemme, se non di affrettare la loro decisione di distruggere Gesù e di porre fine alla sua opera.
(1847.2) 168:3.2 All’una del giorno dopo, venerdì, il Sinedrio si riunì per deliberare di nuovo sulla questione: “Che cosa faremo di Gesù di Nazaret?” Dopo più di due ore di discussione e di acceso dibattito, un Fariseo presentò una risoluzione che chiedeva la morte immediata di Gesù, proclamando che egli era una minaccia per tutto Israele ed impegnando ufficialmente il Sinedrio in una sentenza di morte, senza giudizio e a dispetto di ogni precedente.
(1847.3) 168:3.3 Più e più volte questo augusto corpo di dirigenti ebrei aveva decretato che Gesù fosse arrestato e portato in giudizio sotto l’imputazione di bestemmia e di numerose altre accuse di disprezzo della legge sacra degli Ebrei. Essi erano giunti già una volta al punto di dichiarare che egli doveva morire, ma questa era la prima volta che il Sinedrio giungeva a registrare il desiderio di decretare la sua morte senza che fosse giudicato. Ma questa risoluzione non fu messa ai voti perché quattordici membri del Sinedrio rassegnarono in blocco le dimissioni quando fu proposto un tale atto inaudito. Mentre queste dimissioni non furono ufficialmente ratificate prima di quasi due settimane, questo gruppo di quattordici si ritirò dal Sinedrio quel giorno e non sedette mai più nel consiglio. Quando queste dimissioni furono successivamente ratificate, altri cinque membri furono espulsi perché i loro colleghi reputavano che nutrissero sentimenti di amicizia verso Gesù. Con l’espulsione di questi diciannove uomini il Sinedrio era in grado di giudicare e condannare Gesù con un consenso quasi unanime.
(1847.4) 168:3.4 La settimana seguente Lazzaro e le sue sorelle furono convocati davanti al Sinedrio. Dopo aver ascoltato la loro testimonianza, non poteva sussistere alcun dubbio che Lazzaro era stato risuscitato dalla morte. Sebbene gli atti verbali del Sinedrio ammisero praticamente la risurrezione di Lazzaro, gli archivi riportarono una risoluzione che attribuiva questo e tutti gli altri prodigi compiuti da Gesù al potere del principe dei demoni, di cui Gesù era dichiarato essere in lega.
(1847.5) 168:3.5 Qualunque fosse la fonte del suo potere di compiere dei prodigi, questi dirigenti ebrei erano persuasi che, se egli non fosse stato immediatamente fermato, molto presto tutto il popolo comune avrebbe creduto in lui; ed inoltre che sarebbero sorte gravi complicazioni con le autorità romane perché così tanti dei suoi credenti lo consideravano il Messia, il liberatore d’Israele.
(1847.6) 168:3.6 Fu in questa stessa riunione del Sinedrio che il sommo sacerdote Caifa espresse per la prima volta quel vecchio adagio ebreo, che egli ripeté così spesso: “È meglio che muoia un solo uomo piuttosto che perisca la comunità.”
(1847.7) 168:3.7 Benché Gesù fosse stato informato delle decisioni del Sinedrio in questo triste venerdì pomeriggio, non ne fu minimamente turbato e continuò a riposarsi per tutto il sabato presso degli amici a Betfage, un piccolo villaggio vicino a Betania. Domenica mattina presto, come precedentemente convenuto, Gesù e gli apostoli si riunirono a casa di Lazzaro, e congedatisi dalla famiglia di Betania, partirono per tornare all’accampamento di Pella.
(1848.1) 168:4.1 Sulla strada da Betania a Pella gli apostoli posero a Gesù molte domande alle quali il Maestro rispose apertamente, salvo a quelle che concernevano i dettagli della risurrezione del morto. Tali problemi oltrepassavano la capacità di comprensione dei suoi apostoli; perciò il Maestro rifiutò di discutere questi argomenti con loro. Poiché erano partiti da Betania in segreto, essi erano soli. Gesù colse quindi l’occasione per dire molte cose ai dieci che egli riteneva li avrebbero preparati ai giorni difficili che li aspettavano.
(1848.2) 168:4.2 Gli apostoli erano molto scossi nella loro mente e trascorsero parecchio tempo a discutere sulle recenti esperienze per quanto esse erano connesse con la preghiera e la risposta ad essa. Essi si ricordavano tutti la dichiarazione di Gesù a Filadelfia al messaggero proveniente da Betania, quando disse chiaramente: “Questa malattia non porta realmente alla morte.” Eppure, malgrado questa promessa, Lazzaro in effetti morì. Per tutto quel giorno essi tornarono più volte a discutere di questo problema della risposta alla preghiera.
(1848.3) 168:4.3 Le risposte di Gesù alle loro numerose domande possono essere riassunte come segue:
(1848.4) 168:4.4 1. La preghiera è un’espressione della mente finita che si sforza di avvicinarsi all’Infinito. La formulazione di una preghiera deve, perciò, essere limitata dalla conoscenza, dalla saggezza e dagli attributi del finito; similmente la risposta deve essere condizionata dalla visione, dagli scopi, dagli ideali e dalle prerogative dell’Infinito. Non si può mai osservare una continuità ininterrotta di fenomeni materiali tra la formulazione di una preghiera e la ricezione della piena risposta spirituale ad essa.
(1848.5) 168:4.5 2. Quando una preghiera resta apparentemente senza risposta, il ritardo fa presagire spesso una risposta migliore, anche se è una risposta che è per alcune buone ragioni considerevolmente ritardata. Quando Gesù disse che la malattia di Lazzaro non sarebbe giunta realmente fino alla morte, costui era già morto da undici ore. Nessuna preghiera sincera resta senza risposta, salvo quando il punto di vista superiore del mondo spirituale ha concepito una risposta migliore, una risposta che soddisfa l’istanza dello spirito dell’uomo in contrasto con la preghiera della semplice mente dell’uomo.
(1848.6) 168:4.6 3. Le preghiere del tempo, quando sono formulate dallo spirito ed espresse con fede, sono spesso così vaste e così onnicomprendenti da poter ricevere una risposta soltanto nell’eternità. La supplica finita è talvolta così ripiena della presa dell’Infinito che la risposta deve essere a lungo differita per attendere la creazione di una capacità adeguata per la ricezione. La preghiera di fede può essere così completamente inglobante che la risposta può essere ricevuta solo in Paradiso.
(1848.7) 168:4.7 4. Le risposte alla preghiera della mente mortale sono spesso di natura tale che possono essere ricevute e riconosciute solo dopo che quella stessa mente che prega ha raggiunto lo stato immortale. La preghiera dell’essere materiale può molte volte avere una risposta solo quando tale individuo è progredito al livello spirituale.
(1848.8) 168:4.8 5. La preghiera di una persona che conosce Dio può essere così distorta dall’ignoranza e così deformata dalla superstizione che la risposta ad essa sarebbe altamente indesiderabile. Allora gli esseri spirituali intermediari devono tradurre tale preghiera in modo che, quando giunge la risposta, il supplicante non riesce affatto a riconoscerla come risposta alla sua preghiera.
(1848.9) 168:4.9 6. Tutte le vere preghiere sono indirizzate agli esseri spirituali, e tutte queste suppliche devono avere delle risposte in termini spirituali; e tutte queste risposte devono consistere in realtà spirituali. Gli esseri spirituali non possono dare risposte materiali alle suppliche spirituali, anche di esseri materiali. Gli esseri materiali possono pregare efficacemente solo quando “pregano in spirito”.
(1849.1) 168:4.10 7. Nessuna preghiera può sperare di avere una risposta se non è nata dallo spirito e nutrita dalla fede. La vostra fede sincera implica che voi abbiate praticamente già concesso ai destinatari della vostra preghiera il pieno diritto di rispondere alle vostre suppliche in conformità a quella saggezza suprema e a quell’amore divino che la vostra fede descrive come sempre animanti quegli esseri verso cui pregate.
(1849.2) 168:4.11 8. Il figlio è sempre nel suo diritto quando rivolge una richiesta al genitore; e il genitore è sempre nei limiti dei suoi obblighi di genitore verso il figlio immaturo quando la sua saggezza superiore gli detta che la risposta alla preghiera del figlio sia dilazionata, modificata, suddivisa, trascesa, o posposta ad un altro stadio dell’ascensione spirituale.
(1849.3) 168:4.12 9. Non esitate a formulare preghiere di anelito spirituale; non dubitate di ricevere risposta alle vostre suppliche. Queste risposte saranno tenute in serbo, in attesa che voi raggiungiate quei livelli spirituali futuri di effettiva realizzazione cosmica, su questo o su altri mondi, in cui vi sarà possibile riconoscere ed assimilare le risposte a lungo attese alle vostre precedenti ma premature suppliche.
(1849.4) 168:4.13 10. Tutte le suppliche sincere nate dallo spirito sono certe di ricevere una risposta. Chiedete e riceverete. Ma non dimenticate che siete creature in progressione del tempo e dello spazio; perciò dovete costantemente tenere conto del fattore tempo-spazio nell’esperienza della vostra ricezione personale delle complete riposte alle vostre molteplici preghiere e suppliche.
(1849.5) 168:5.1 Lazzaro rimase nella casa di Betania, che divenne il centro di grande interesse per molti credenti sinceri e per numerosi singoli curiosi, fino alla settimana della crocifissione di Gesù, quando egli fu avvertito che il Sinedrio aveva decretato la sua morte. I dirigenti ebrei erano determinati a porre fine all’ulteriore diffusione degli insegnamenti di Gesù, e stimarono giustamente che sarebbe stato inutile mettere a morte Gesù se permettevano a Lazzaro, che rappresentava il culmine stesso della sua opera miracolosa, di vivere e di testimoniare il fatto che Gesù l’aveva risuscitato dalla morte. Lazzaro aveva già subito crudeli persecuzioni da parte loro.
(1849.6) 168:5.2 Così Lazzaro si congedò in fretta dalle sue sorelle a Betania, fuggendo verso Gerico ed attraversando il Giordano, non concedendosi mai un lungo riposo prima d’aver raggiunto Filadelfia. Lazzaro conosceva bene Abner, e qui si sentiva al sicuro dagli intrighi assassini del crudele Sinedrio.
(1849.7) 168:5.3 Poco dopo Marta e Maria vendettero le loro terre di Betania e raggiunsero il loro fratello in Perea. Nel frattempo Lazzaro era divenuto il tesoriere della chiesa di Filadelfia. Egli divenne un valido sostenitore di Abner nella sua controversia con Paolo e con la chiesa di Gerusalemme, ed infine morì, all’età di 67 anni, della stessa malattia che l’aveva fatto morire quando era un giovane uomo a Betania.
(1850.1) 169:0.1 NELLA tarda serata di lunedì 6 marzo, Gesù e i dieci apostoli arrivarono al campo di Pella. Questa fu l’ultima settimana di soggiorno di Gesù là, ed egli fu molto attivo nell’insegnare alla moltitudine e nell’istruire gli apostoli. Egli predicava ogni pomeriggio alla folla e rispondeva ogni sera alle domande degli apostoli e di alcuni dei discepoli più avanzati residenti nel campo.
(1850.2) 169:0.2 La notizia della risurrezione di Lazzaro era giunta all’accampamento due giorni prima dell’arrivo del Maestro e tutta l’assemblea era eccitata. Dalla nutrizione dei cinquemila non era accaduto nulla che avesse così scosso l’immaginazione della gente. E fu dunque al culmine della seconda fase del ministero pubblico del regno che Gesù decise d’insegnare in questa sola breve settimana a Pella, e poi di cominciare il giro della Perea meridionale che portava direttamente alle esperienze finali e tragiche dell’ultima settimana a Gerusalemme.
(1850.3) 169:0.3 I Farisei e i capi dei sacerdoti avevano cominciato a formulare le loro imputazioni e a definire le loro accuse. Essi contestavano gli insegnamenti del Maestro su questi punti:
(1850.4) 169:0.4 1. Egli è amico dei Pubblicani e dei peccatori; riceve gli empi e persino mangia con loro.
(1850.5) 169:0.5 2. È un bestemmiatore; parla di Dio come fosse suo Padre e si reputa uguale a Dio.
(1850.6) 169:0.6 3. È un violatore della legge. Guarisce le malattie di sabato e disprezza in molte altre maniere la legge sacra d’Israele.
(1850.7) 169:0.7 4. È in lega con i demoni. Opera prodigi e compie presunti miracoli con il potere di Belzebù, il principe dei demoni.
(1850.8) 169:1.1 Giovedì pomeriggio Gesù parlò alla moltitudine sulla “Grazia della salvezza”. Nel corso di questo sermone egli raccontò di nuovo la storia della pecora smarrita e della dracma perduta e poi aggiunse la sua parabola favorita del figliol prodigo. Disse Gesù:
(1850.9) 169:1.2 “Voi siete stati esortati dai profeti, da Samuele a Giovanni, a cercare Dio — a cercare la verità. Essi hanno sempre detto: ‘Cercate il Signore finché può essere trovato.’ E tutto questo insegnamento dovrebbe essere preso a cuore. Ma io sono venuto a mostrarvi che, mentre voi state cercando di trovare Dio, Dio sta similmente cercando di trovare voi. Vi ho raccontato molte volte la storia del buon pastore che abbandonò le novantanove pecore nell’ovile per andare alla ricerca di quella che si era perduta, e di come, quando ebbe trovato la pecora smarrita, la caricò sulle spalle e la riportò teneramente all’ovile. E quando la pecora smarrita fu riportata nell’ovile, vi ricordate che il buon pastore chiamò i suoi amici e li invitò a rallegrarsi con lui per aver trovato la pecora che era stata perduta. Io vi dico di nuovo che c’è più gioia in cielo per un peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno bisogno di pentimento. Il fatto che delle anime siano perdute non fa che accrescere l’interesse del Padre celeste. Io sono venuto in questo mondo per eseguire gli ordini di mio Padre, ed è stato detto giustamente del Figlio dell’Uomo che è un amico dei Pubblicani e dei peccatori.
(1851.1) 169:1.3 “Vi è stato insegnato che l’accettazione divina avviene dopo il vostro pentimento e come risultato di tutte le vostre opere di sacrificio e di penitenza, ma io vi assicuro che il Padre vi accetta anche prima che vi siate pentiti e manda il Figlio ed i suoi associati a trovarvi per ricondurvi con gioia all’ovile, al regno della filiazione e del progresso spirituali. Voi assomigliate tutti a delle pecore che si sono smarrite, ed io sono venuto a cercare e a salvare coloro che si sono perduti.
(1851.2) 169:1.4 “E voi dovreste ricordarvi anche la storia della donna che, avendo avuto dieci monete d’argento infilate in una collana d’ornamento, perse una moneta, e di come lei accese la lampada e spazzò diligentemente la casa e proseguì la ricerca fino a che trovò la moneta d’argento perduta. E appena ebbe trovato la moneta che era perduta, riunì i suoi amici e i vicini dicendo: ‘Rallegratevi con me perché ho trovato la moneta che era perduta.’ Ripeto quindi che c’è sempre gioia nella presenza degli angeli del cielo per un peccatore che si pente e che ritorna all’ovile del Padre. Vi racconto questa storia per imprimere in voi che il Padre ed il Figlio vanno alla ricerca di coloro che sono perduti, ed in questa ricerca noi impieghiamo tutte le influenze suscettibili di aiutarci nei nostri sforzi diligenti per trovare coloro che sono perduti, coloro che hanno bisogno di essere salvati. E così, mentre il Figlio dell’Uomo va nei luoghi selvaggi a cercare la pecora smarrita, cerca anche la moneta che è perduta nella casa. La pecora si smarrisce involontariamente; la moneta è coperta dalla polvere del tempo ed oscurata dall’accumulo delle cose umane.
(1851.3) 169:1.5 “Ed ora vorrei raccontarvi la storia di un figlio insensato di un ricco fattore che lasciò deliberatamente la casa di suo padre e se ne andò in un paese straniero, dove patì molte tribolazioni. Voi vi ricordate che la pecora si smarrì senza intenzione, ma questo giovane lasciò la sua casa con premeditazione. Avvenne questo:
(1851.4) 169:1.6 “Un uomo aveva due figli; uno, il più giovane, era allegro e spensierato, e cercava sempre di divertirsi e di sottrarsi alle responsabilità, mentre suo fratello maggiore era serio, sobrio, gran lavoratore e pronto ad assumersi le responsabilità. Ora questi due fratelli non andavano d’accordo; essi discutevano e litigavano di continuo. Il ragazzo più giovane era gaio e vivace, ma indolente e inaffidabile. Il figlio maggiore era assiduo e industrioso, ma allo stesso tempo egocentrico, borioso e vanitoso. Il figlio più giovane amava il divertimento e scansava il lavoro; il più vecchio si dedicava al lavoro e si divertiva raramente. Questa associazione divenne così difficile che il più giovane andò da suo padre e disse: ‘Padre, dammi la terza parte dei tuoi beni che mi spetterebbe e permettimi di andare per il mondo in cerca di fortuna.’ Quando il padre udì questa richiesta, sapendo quanto fosse infelice il giovane in casa e con suo fratello maggiore, divise la sua proprietà e diede al giovane la sua parte.
(1851.5) 169:1.7 “In capo a poche settimane il giovane riunì tutti i suoi averi a partì per un paese lontano, e non trovando niente di utile da fare che fosse anche piacevole, dilapidò ben presto tutta la sua eredità conducendo una vita dissoluta. E quando ebbe speso tutto, vi fu una prolungata carestia in quel paese, ed egli si trovò in miseria. Così, quando soffrì la fame e la sua indigenza fu grande, egli trovò impiego presso un abitante di quel paese, che lo mandò nei campi a nutrire i porci. Ed il giovane si sarebbe sfamato volentieri con i rifiuti che mangiavano i porci, ma nessuno gli dava niente.
(1852.1) 169:1.8 “Un giorno in cui aveva molta fame, egli tornò in sé e disse: ‘Quanti servi salariati di mio padre hanno pane in abbondanza mentre io muoio di fame, nutrendo dei porci qui in un paese straniero! Mi alzerò e tornerò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te. Io non sono più degno di essere chiamato figlio tuo; accettami soltanto come uno dei tuoi servi a salario.’ E quando il giovane ebbe preso questa decisione, si alzò a partì per la casa di suo padre.
(1852.2) 169:1.9 “Ora questo padre era molto addolorato per suo figlio; aveva perso l’allegro, benché sconsiderato, ragazzo. Questo padre amava questo figlio e stava sempre all’erta per il suo ritorno, cosicché il giorno in cui questi si avvicinò alla sua casa, sebbene fosse ancora molto lontano, il padre lo vide e, mosso da amorevole compassione, corse fuori per andargli incontro, e salutandolo affettuosamente lo abbracciò e lo baciò. Dopo che si furono incontrati così, il figlio guardò il viso pieno di lacrime di suo padre e disse: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e dinanzi a te; io non sono più degno di essere chiamato figlio’ — ma il giovane non ebbe la possibilità di completare la sua confessione perché il padre pazzo di gioia disse ai servi che erano accorsi nel frattempo: ‘Prendete subito la sua veste migliore, quella che ho conservato, e fategliela indossare e ponetegli al dito l’anello di figlio e cercate dei sandali per i suoi piedi.’
(1852.3) 169:1.10 “E poi, dopo che il padre felice ebbe condotto il ragazzo stanco e con i piedi doloranti in casa, gridò ai suoi servi: ‘Prendete il vitello grasso e uccidetelo, e mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto e vive di nuovo; era perduto ed è ritrovato.’ Ed essi si riunirono tutti attorno al padre per gioire con lui della restituzione di suo figlio.
(1852.4) 169:1.11 “In questo momento, mentre essi stavano festeggiando, il figlio maggiore ritornò dalla sua giornata di lavoro nei campi, e avvicinandosi alla casa udì la musica e le danze. E quando giunse alla porta posteriore egli chiamò fuori uno dei servi e chiese il significato di tutti questi festeggiamenti. Ed allora il servo disse: ‘Tuo fratello perduto da lungo tempo è ritornato a casa e tuo padre ha ucciso il vitello grasso per festeggiare il ritorno in salvo di suo figlio. Entra anche tu a salutare tuo fratello e ad accoglierlo al ritorno nella casa di tuo padre.’
(1852.5) 169:1.12 “Ma quando il fratello maggiore udì ciò, fu così addolorato ed irritato che non volle entrare in casa. Quando suo padre seppe del suo risentimento per il benvenuto dato a suo fratello più giovane, uscì per sollecitarlo. Ma il figlio maggiore non volle cedere alla persuasione di suo padre. Egli rispose a suo padre dicendo: ‘Per tutti questi anni io ti ho servito qui senza mai trasgredire minimamente i tuoi comandi, eppure tu non mi hai mai dato nemmeno un capretto per far festa con i miei amici. Io sono rimasto qui a prendermi cura di te per tutti questi anni, e tu non hai mai festeggiato il mio servizio fedele, ma quando questo tuo figlio ritorna, dopo aver dissipato la tua sostanza con le prostitute, tu ti affretti ad uccidere il vitello grasso e a far festa per lui.’
(1852.6) 169:1.13 “Poiché questo padre amava sinceramente entrambi i suoi figli, tentò di ragionare con questo figlio maggiore: ‘Ma, figlio mio, tu sei sempre stato con me e tutto ciò che ho è tuo. Tu avresti potuto avere un capretto in ogni momento se ti fossi fatto degli amici per condividere la tua allegria. Ma è opportuno che tu ora ti unisca a me per essere felice e contento per il ritorno di tuo fratello. Pensa a ciò, figlio mio, tuo fratello era perduto ed è ritrovato; è ritornato vivo da noi!”
(1853.1) 169:1.14 Questa fu una delle parabole più commoventi ed efficaci tra tutte quelle che Gesù presentò per imprimere nei suoi ascoltatori la compiacenza del Padre di accogliere tutti coloro che cercano di entrare nel regno dei cieli.
(1853.2) 169:1.15 Gesù prediligeva raccontare queste tre storie allo stesso tempo. Egli presentava la storia della pecora perduta per mostrare che, quando gli uomini si allontanano involontariamente dal sentiero della vita, il Padre è conscio di questi figli perduti ed esce con i suoi Figli, i veri pastori del gregge, per cercare la pecora perduta. Egli raccontava poi la storia della moneta perduta nella casa per illustrare quanto sia accurata la ricerca divina di tutti coloro che sono confusi, sconcertati, o accecati spiritualmente in altro modo dalle preoccupazioni materiali e dal cumulo delle cose della vita. E poi intraprendeva a raccontare questa parabola del figlio perduto, dell’accoglimento del prodigo che torna, per mostrare quanto è completa la reintegrazione del figlio perduto nella casa e nel cuore di suo Padre.
(1853.3) 169:1.16 Moltissime volte durante i suoi anni d’insegnamento Gesù raccontò e ripeté questa storia del figliol prodigo. Questa parabola e la storia del buon Samaritano erano i suoi modi favoriti d’insegnare l’amore del Padre e la socievolezza degli uomini.
(1853.4) 169:2.1 Una sera Simone Zelota, commentando una delle dichiarazioni di Gesù, disse: “Maestro, che cosa volevi intendere oggi quando hai detto che molti figli del mondo sono più accorti nella loro generazione di quanto lo siano i figli del regno, perché essi sono abili a farsi degli amici con il mammona dell’iniquità?” Gesù rispose:
(1853.5) 169:2.2 “Alcuni di voi, prima di entrare nel regno, erano molto abili nel trattare con i loro soci in affari. Se voi eravate ingiusti e spesso sleali, eravate tuttavia prudenti e lungimiranti, nel senso che trattavate i vostri affari con la sola preoccupazione del vostro profitto immediato e della vostra sicurezza futura. Similmente voi dovreste ora ordinare la vostra vita nel regno in modo da provvedere alla vostra gioia presente mentre vi assicurate anche il vostro godimento futuro dei tesori accumulati in cielo. Se eravate così diligenti nel fare dei guadagni per voi stessi quando eravate al servizio del vostro essere, perché dovreste mostrare minore diligenza nel conquistare delle anime per il regno, poiché siete ora i servitori della fraternità degli uomini e gli intendenti di Dio?
(1853.6) 169:2.3 “Voi potete tutti imparare una lezione dalla storia di un uomo ricco che aveva un intendente accorto ma ingiusto. Questo intendente non solo aveva oppresso i clienti del suo padrone per il suo profitto personale, ma aveva anche completamente dissipato e sperperato i fondi del suo padrone. Quando tutto ciò venne infine alle orecchie del suo padrone, questi convocò l’intendente davanti a lui e chiese il significato di queste dicerie e pretese che gli rendesse immediatamente conto del suo incarico e si preparasse a passare gli affari del suo padrone ad un altro.
(1853.7) 169:2.4 “Ora questo infedele intendente cominciò a dire a se stesso: ‘Che cosa farò poiché sto per perdere questo posto d’intendente? Io non ho la forza di zappare; a mendicare mi vergogno. Io so quello che dovrò fare per essere certo, quando sarò destituito da questo incarico d’intendente, di venire bene accolto nelle case di tutti coloro che fanno affari con il mio padrone.’ Ed allora, chiamando ciascuno dei debitori del suo signore, egli disse al primo: ‘Quanto devi al mio padrone?’ Egli rispose: ‘Cento misure d’olio.’ Allora l’intendente disse: ‘Prendi la tua tavoletta di cera, siediti subito e cambialo in cinquanta.’ Poi disse ad un altro debitore: ‘Quanto devi tu?’ Ed egli rispose: ‘Cento misure di frumento.’ Ed allora disse l’intendente: ‘Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.’ Ed egli fece lo stesso con numerosi altri debitori. E così questo intendente disonesto cercò di farsi degli amici per dopo che sarebbe stato destituito dal suo incarico d’intendente. Anche il suo signore e padrone, quando scoprì successivamente questo fatto, fu costretto ad ammettere che il suo intendente infedele aveva almeno mostrato sagacia nella maniera in cui aveva cercato di premunirsi per i tempi futuri di bisogno e di avversità.
(1854.1) 169:2.5 “È in tal modo che i figli di questo mondo mostrano talvolta più saggezza nel preparare il loro futuro rispetto ai figli della luce. Io dico a voi che professate di acquisire un tesoro in cielo: imparate da coloro che si fanno degli amici con il mammona dell’ingiustizia, e conducete similmente la vostra vita in modo da stabilire un’amicizia eterna con le forze della rettitudine affinché, quando tutte le cose terrene verranno a mancare, sarete gioiosamente ricevuti nelle dimore eterne.
(1854.2) 169:2.6 “Io affermo che chi è fedele nel poco sarà fedele anche nel molto, mentre colui che è ingiusto nel poco sarà ingiusto anche nel molto. Se voi non avete mostrato previdenza ed integrità negli affari di questo mondo, come potete sperare di essere fedeli e prudenti quando vi sarà affidata l’amministrazione delle vere ricchezze del regno dei cieli? Se non siete buoni amministratori e fedeli banchieri, se non siete stati leali in ciò che appartiene agli altri, chi sarà così pazzo da affidarvi un grande tesoro da gestire?
(1854.3) 169:2.7 “Io affermo nuovamente che nessuno può servire due padroni; o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si attaccherà all’uno mentre disdegnerà l’altro. Non si può servire Dio e mammona.”
(1854.4) 169:2.8 Quando i Farisei che erano presenti udirono ciò, cominciarono a beffeggiare e a prendere in giro Gesù perché essi erano molto dediti all’acquisizione di ricchezze. Questi ascoltatori ostili cercarono di coinvolgere Gesù in discussioni sterili, ma egli rifiutò di argomentare con i suoi nemici. Quando i Farisei si misero a discutere tra loro, le loro grida attirarono un gran numero di persone accampate nei dintorni; e quando cominciarono a litigare uno con l’altro, Gesù si ritirò, andando nella sua tenda per la notte.
(1854.5) 169:3.1 Quando la riunione divenne troppo rumorosa, Simon Pietro, alzandosi, prese il comando dicendo: “Uomini e fratelli, non è decoroso che litighiate in questo modo tra di voi. Il Maestro ha parlato e voi farete bene a meditare le sue parole. Questa che vi ha proclamato non è una nuova dottrina. Non avete anche udito l’allegoria dei Nazirei concernente l’uomo ricco e il mendicante? Alcuni di noi hanno sentito Giovanni il Battista gridare questa parabola di avvertimento a coloro che amano le ricchezze e bramano dei beni disonesti. Ed anche se questa vecchia parabola non è conforme al vangelo che noi predichiamo, voi fareste tutti bene a prestare attenzione alle sue lezioni fino al momento in cui comprenderete la nuova luce del regno dei cieli. La storia che Giovanni raccontava era come questa:
(1854.6) 169:3.2 “C’era un uomo ricco di nome Dives, il quale, vestito di porpora e di lino fine, viveva tutti i giorni in allegria e splendore. E c’era un mendicante di nome Lazzaro, che si metteva sulla porta di questo ricco, coperto di piaghe e desideroso di nutrirsi con le briciole che cadevano dalla tavola dell’uomo ricco; sì, anche i cani venivano a leccare le sue piaghe. Ed avvenne che il mendicante morì e fu portato via dagli angeli per riposare nel seno di Abramo. Poi, subito dopo, anche quest’uomo ricco morì e fu sepolto con grande pompa e sfarzo regale. Dopo che l’uomo ricco partì da questo mondo, si risvegliò nell’Ade, e trovandosi nei tormenti, alzò gli occhi e vide in lontananza Abramo con Lazzaro nel suo seno. Ed allora Dives gridò ad alta voce: ‘Padre Abramo, abbi pietà di me e mandami Lazzaro che intinga la punta del suo dito nell’acqua per rinfrescare la mia lingua, perché sono in grande angustia a causa della mia punizione.’ Ed allora Abramo rispose: ‘Figlio mio, dovresti ricordare che durante la tua vita tu hai goduto delle buone cose mentre Lazzaro contemporaneamente soffriva il male. Ma ora tutto ciò è cambiato, poiché Lazzaro è confortato mentre tu sei tormentato. Inoltre, tra noi e te c’è un grande abisso, cosicché noi non possiamo venire da te, né tu puoi venire da noi.’ Allora Dives disse ad Abramo: ‘Ti prego di rimandare Lazzaro a casa di mio padre, poiché ho cinque fratelli, affinché egli possa testimoniare in modo da impedire ai miei fratelli di venire in questo luogo di tormento.’ Ma Abramo disse: ‘Figlio mio, essi hanno Mosè e i profeti; che li ascoltino.’ Ed allora Dives rispose: ‘No, no, Padre Abramo! Ma se qualcuno dei morti va da loro, essi si pentiranno.’ Ed allora Abramo disse: ‘Se non ascoltano Mosè e i profeti non saranno persuasi nemmeno se qualcuno fosse risuscitato dalla morte.’ ”
(1855.1) 169:3.3 Dopo che Pietro ebbe raccontato questa vecchia parabola della confraternita nazirea, e poiché la folla si era calmata, Andrea si alzò e li congedò per la notte. Sebbene sia gli apostoli che i suoi discepoli avessero posto spesso delle domande a Gesù sulla parabola di Dives e di Lazzaro, egli non acconsentì mai a commentarla.
(1855.2) 169:4.1 Gesù ebbe sempre difficoltà a tentare di spiegare agli apostoli che, quantunque essi proclamassero l’instaurazione del regno di Dio, il Padre che è nei cieli non era un re. All’epoca in cui Gesù viveva sulla terra ed insegnava nella carne, la popolazione di Urantia conosceva soprattutto l’esistenza di re ed imperatori nei governi delle nazioni, e gli Ebrei avevano atteso a lungo la venuta del regno di Dio. Per queste ed altre ragioni il Maestro pensò fosse meglio designare la fraternità spirituale degli uomini come il regno dei cieli ed il capo spirituale di questa fraternità come il Padre che è nei cieli. Gesù non fece mai riferimento a suo Padre come ad un re. Nelle sue conversazioni private con gli apostoli egli faceva sempre riferimento a se stesso come al Figlio dell’Uomo e come al loro fratello maggiore. Egli definì tutti i suoi seguaci come servitori dell’umanità e messaggeri del vangelo del regno.
(1855.3) 169:4.2 Gesù non fece mai ai suoi apostoli una lezione sistematica sulla personalità e sugli attributi del Padre che è nei cieli. Non chiese mai agli uomini di credere in suo Padre; dava per scontato che lo facessero. Gesù non si abbassò mai a presentare degli argomenti di prova della realtà del Padre. Il suo insegnamento concernente il Padre era interamente incentrato sulla dichiarazione che egli e il Padre sono uno; che chiunque ha visto il Figlio ha visto il Padre; che il Padre, come il Figlio, conosce tutte le cose; che solo il Figlio conosce realmente il Padre, e coloro ai quali il Figlio lo rivelerà; che chiunque conosce il Figlio conosce anche il Padre; e che il Padre lo ha mandato nel mondo per rivelare le loro nature congiunte e per mostrare la loro opera congiunta. Egli non fece mai altre dichiarazioni su suo Padre, eccetto che alla donna di Samaria al pozzo di Giacobbe, quando dichiarò: “Dio è spirito.”
(1856.1) 169:4.3 S’impara a conoscere Dio da Gesù osservando la divinità della sua vita, non basandosi sui suoi insegnamenti. Dalla vita del Maestro ciascuno di voi può assimilare quel concetto di Dio che rappresenta la misura della vostra capacità di percepire le realtà spirituali e divine, le verità reali ed eterne. Il finito non può mai sperare di comprendere l’Infinito, salvo quando l’Infinito è stato focalizzato nella personalità tempo-spazio dell’esperienza finita della vita umana di Gesù di Nazaret.
(1856.2) 169:4.4 Gesù sapeva bene che Dio può essere conosciuto soltanto tramite le realtà dell’esperienza; che non può mai essere compreso mediante il semplice insegnamento della mente. Gesù insegnò ai suoi apostoli che, mentre essi non avrebbero mai potuto comprendere pienamente Dio, avrebbero potuto molto certamente conoscerlo, così come avevano conosciuto il Figlio dell’Uomo. Si può conoscere Dio non comprendendo ciò che Gesù ha detto, ma conoscendo ciò che Gesù era. Gesù era una rivelazione di Dio.
(1856.3) 169:4.5 Salvo quando citava le Scritture ebraiche, Gesù si riferiva alla Deità soltanto con due nomi: Dio e Padre. E quando il Maestro faceva riferimento a suo Padre come Dio, impiegava di solito la parola ebrea che significava il Dio plurale (la Trinità) e non la parola Yahweh, che rappresentava la concezione progressiva del Dio tribale degli Ebrei.
(1856.4) 169:4.6 Gesù non chiamò mai il Padre re, e si rammaricò moltissimo che gli Ebrei si aspettassero la restaurazione di un regno, e la proclamazione di Giovanni di un regno futuro lo obbligò a denominare la sua prefissa fraternità spirituale il regno dei cieli. Con una sola eccezione — la dichiarazione che “Dio è spirito” — Gesù non fece mai alcun riferimento alla Deità in altro modo che in termini che descrivevano la sua relazione personale con la Prima Sorgente e Centro del Paradiso.
(1856.5) 169:4.7 Gesù impiegava la parola Dio per designare l’idea della Deità e la parola Padre per designare l’esperienza di conoscere Dio. Quando la parola Padre è impiegata per denotare Dio, dovrebbe essere compresa nel suo significato più ampio possibile. La parola Dio non può essere definita, e rappresenta dunque il concetto infinito del Padre, mentre il termine Padre, essendo suscettibile di definizione parziale, può essere impiegato per rappresentare il concetto umano del Padre divino qual è associato all’uomo nel corso dell’esistenza mortale.
(1856.6) 169:4.8 Per gli Ebrei, Elohim era il Dio degli dei, mentre Yahweh era il Dio d’Israele. Gesù accettò il concetto di Elohim e chiamò Dio questo gruppo di esseri supremi. In luogo del concetto di Yahweh, la deità razziale, egli introdusse l’idea della paternità di Dio e della fratellanza mondiale degli uomini. Egli elevò il concetto di Yahweh di un Padre razziale deificato all’idea di un Padre di tutti i figli degli uomini, un Padre divino del singolo credente. Ed inoltre insegnò che questo Dio degli universi e questo Padre di tutti gli uomini erano una sola e stessa Deità del Paradiso.
(1856.7) 169:4.9 Gesù non pretese mai di essere la manifestazione di Elohim (Dio) nella carne. Non dichiarò mai di essere una rivelazione di Elohim (Dio) ai mondi. Non insegnò mai che chiunque aveva visto lui aveva visto Elohim (Dio). Ma proclamò che egli era la rivelazione del Padre nella carne, e disse che chiunque aveva visto lui aveva visto il Padre. In quanto Figlio divino egli pretese di rappresentare soltanto il Padre.
(1857.1) 169:4.10 Egli era, in verità, il Figlio anche del Dio Elohim; ma nelle sembianze della carne mortale e per i figli mortali di Dio egli scelse di limitare la rivelazione della sua vita al ritratto del carattere di suo Padre, in modo che tale rivelazione potesse essere comprensibile all’uomo mortale. Per quanto concerne il carattere delle altre persone della Trinità del Paradiso, dovremo accontentarci dell’insegnamento che esse sono del tutto simili al Padre, che è stato rivelato nel ritratto personale nella vita del suo Figlio incarnato, Gesù di Nazaret.
(1857.2) 169:4.11 Sebbene Gesù abbia rivelato la vera natura del Padre celeste nella sua vita terrena, egli insegnò poco su di lui. Egli insegnò infatti soltanto due cose: che Dio è in se stesso spirito, e che, in tutte le questioni di relazione con le sue creature, egli è un Padre. Questa sera Gesù fece la dichiarazione finale della sua relazione con Dio quando dichiarò: “Io sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; di nuovo, lascerò il mondo e andrò al Padre.”
(1857.3) 169:4.12 Ma attenzione! Gesù non ha mai detto: “Chiunque ha udito me ha udito Dio.” Ma ha detto: “Colui che ha visto me ha visto il Padre.” Ascoltare l’insegnamento di Gesù non equivale a conoscere Dio, ma vedere Gesù è un’esperienza che è in se stessa una rivelazione del Padre all’anima. Il Dio degli universi regna sull’immensa creazione, ma è il Padre celeste che manda il suo spirito a dimorare nella vostra mente.
(1857.4) 169:4.13 Gesù è la lente spirituale in sembianze umane che rende visibile alla creatura materiale Colui che è invisibile. Egli è il vostro fratello maggiore che, nella carne, vi fa conoscere un Essere dagli attributi infiniti che nemmeno le schiere celesti possono pretendere di comprendere appieno. Ma tutto ciò deve consistere nell’esperienza personale del singolo credente. Dio, che è spirito, può essere conosciuto solo come un’esperienza spirituale. Dio può essere rivelato ai figli finiti dei mondi materiali dal Figlio divino dei regni spirituali solo come Padre. Voi potete conoscere l’Eterno come un Padre, ma potete adorarlo come il Dio degli universi, il Creatore infinito di tutte le esistenze.
(1858.1) 170:0.1 SABATO pomeriggio, 11 marzo, Gesù predicò il suo ultimo sermone a Pella. Questo fu tra i discorsi più importanti del suo ministero pubblico, comprendente una discussione ampia e completa del regno dei cieli. Egli era consapevole della confusione che esisteva nella mente dei suoi apostoli e dei suoi discepoli riguardo al senso ed al significato dei termini “regno dei cieli” e “regno di Dio”, che impiegava come designazioni intercambiabili della sua missione di conferimento. Anche se il termine stesso di regno dei cieli avrebbe dovuto essere sufficiente a separare ciò che esso stava a significare da ogni connessione con i regni terrestri ed i governi temporali, non era così. L’idea di un re temporale era troppo profondamente radicata nella mente degli Ebrei per essere rimossa in una sola generazione. Perciò Gesù all’inizio non si oppose apertamente a questo concetto a lungo coltivato del regno.
(1858.2) 170:0.2 Questo sabato pomeriggio il Maestro cercò di chiarire l’insegnamento sul regno dei cieli; egli discusse il soggetto sotto ogni punto di vista e si sforzò di rendere chiari i numerosi differenti sensi in cui il termine era stato impiegato. In questa esposizione noi amplieremo il discorso aggiungendo numerose dichiarazioni fatte da Gesù in occasioni precedenti ed includendovi alcune osservazioni fatte soltanto agli apostoli durante le discussioni serali di questo stesso giorno. Faremo anche alcuni commenti sullo sviluppo susseguente dell’idea del regno qual è collegata con la Chiesa cristiana successiva.
(1858.3) 170:1.1 In connessione con il racconto del sermone di Gesù, si dovrebbe notare che nell’insieme delle Scritture ebraiche c’era un duplice concetto del regno dei cieli. I profeti presentarono il regno di Dio come:
(1858.4) 170:1.2 1. Una realtà presente; e come
(1858.5) 170:1.3 2. Una speranza futura — quando il regno fosse stato realizzato nella sua pienezza all’apparizione del Messia. Questo è il concetto del regno che insegnava Giovanni il Battista.
(1858.6) 170:1.4 Fin dall’inizio Gesù e gli apostoli insegnarono entrambi questi concetti. C’erano altre due idee del regno che bisognerebbe tenere presenti:
(1858.7) 170:1.5 3. Il concetto ebraico successivo di un regno mondiale e trascendentale d’origine soprannaturale e d’inaugurazione miracolosa.
(1858.8) 170:1.6 4. Gli insegnamenti persiani che descrivevano l’instaurazione di un regno divino come raggiungimento del trionfo del bene sul male alla fine del mondo.
(1858.9) 170:1.7 Poco prima della venuta di Gesù sulla terra, gli Ebrei combinavano e confondevano tutte queste idee del regno nel loro concetto apocalittico della venuta del Messia per stabilire l’era del trionfo ebraico, l’era eterna della sovranità suprema di Dio sulla terra, il nuovo mondo, l’era in cui tutta l’umanità avrebbe adorato Yahweh. Scegliendo di utilizzare questo concetto del regno dei cieli, Gesù decise di appropriarsi dell’eredità più essenziale ed importante di entrambe le religioni ebraica e persiana.
(1859.1) 170:1.8 Il regno dei cieli, qual è stato compreso e mal compreso attraverso i secoli dell’era cristiana, abbraccia quattro gruppi distinti d’idee:
(1859.2) 170:1.9 1. Il concetto degli Ebrei.
(1859.3) 170:1.10 2. Il concetto dei Persiani.
(1859.4) 170:1.11 3. Il concetto dell’esperienza personale di Gesù — “il regno dei cieli dentro di voi”.
(1859.5) 170:1.12 4. I concetti compositi e confusi che i fondatori e promulgatori del Cristianesimo hanno cercato d’inculcare nel mondo.
(1859.6) 170:1.13 In tempi differenti ed in circostanze diverse sembra che Gesù abbia presentato numerosi concetti del “regno” nei suoi insegnamenti pubblici, ma ai suoi apostoli egli insegnò sempre il regno come abbracciante l’esperienza personale di un uomo in relazione ai suoi simili sulla terra ed al Padre nei cieli. Riguardo al regno, le sue ultime parole erano sempre: “Il regno è dentro di voi”.
(1859.7) 170:1.14 Secoli di confusione sul significato del termine “regno dei cieli” sono stati dovuti a tre fattori:
(1859.8) 170:1.15 1. La confusione causata dall’osservare l’idea del “regno” qual è passata per le varie fasi progressive della sua riproposizione da parte di Gesù e dei suoi apostoli.
(1859.9) 170:1.16 2. La confusione che accompagnò inevitabilmente il trapianto del Cristianesimo primitivo dal suolo ebraico a quello gentile.
(1859.10) 170:1.17 3. La confusione inerente al fatto che il Cristianesimo divenne una religione che fu organizzata attorno all’idea centrale della persona di Gesù; il vangelo del regno divenne sempre più una religione a proposito di lui.
(1859.11) 170:2.1 Il Maestro chiarì che il regno dei cieli deve cominciare col duplice concetto della verità della paternità di Dio e del fatto correlato della fratellanza degli uomini, e che deve essere incentrato in questo duplice concetto. L’accettazione di un tale insegnamento, dichiarò Gesù, avrebbe liberato l’uomo dalla schiavitù millenaria della paura animale ed allo stesso tempo avrebbe arricchito la vita umana con le seguenti doti della nuova vita di libertà spirituale:
(1859.12) 170:2.2 1. Il possesso di un coraggio nuovo e di un potere spirituale accresciuto. Il vangelo del regno doveva liberare l’uomo ed ispirarlo ad osare di sperare nella vita eterna.
(1859.13) 170:2.3 2. Il vangelo portava un messaggio di nuova fiducia e di vera consolazione a tutti gli uomini, anche ai poveri.
(1859.14) 170:2.4 3. Il vangelo era in se stesso una nuova scala di valori morali, un nuovo criterio etico con cui misurare la condotta umana. Esso descriveva l’ideale di un conseguente ordine nuovo di società umana.
(1859.15) 170:2.5 4. Esso insegnava la preminenza dello spirituale rispetto al materiale; glorificava le realtà spirituali ed esaltava gli ideali superumani.
(1860.1) 170:2.6 5. Questo nuovo vangelo presentava la realizzazione spirituale come il vero scopo della vita. La vita umana riceveva una nuova dotazione di valore morale e di dignità divina.
(1860.2) 170:2.7 6. Gesù insegnò che le realtà eterne erano il risultato (la ricompensa) dei retti sforzi terreni. Il soggiorno dei mortali sulla terra acquisiva nuovi significati conseguenti al riconoscimento di un nobile destino.
(1860.3) 170:2.8 7. Il nuovo vangelo affermava che la salvezza umana è la rivelazione di un proposito divino di vasta portata che doveva essere compiuto e realizzato nel destino futuro del servizio senza fine dei figli di Dio salvati.
(1860.4) 170:2.9 Questi insegnamenti abbracciano l’idea ampliata del regno che fu insegnata da Gesù. Questo grande concetto non era incluso negli insegnamenti elementari e confusi sul regno di Giovanni il Battista.
(1860.5) 170:2.10 Gli apostoli erano incapaci di cogliere il significato reale delle espressioni del Maestro concernenti il regno. La deformazione successiva degli insegnamenti di Gesù, quali sono registrati nel Nuovo Testamento, derivano dal fatto che il concetto degli scrittori dei vangeli era intriso della credenza che Gesù era allora assente dal mondo solo per un breve periodo; che sarebbe tornato presto per stabilire il regno in potenza e gloria — esattamente l’idea che essi avevano mentre egli era con loro nella carne. Ma Gesù non collegò l’instaurazione del regno all’idea del suo ritorno in questo mondo. Che i secoli siano trascorsi senza alcun segno dell’apparizione della “Nuova Era” non è in alcun modo in contrasto con l’insegnamento di Gesù.
(1860.6) 170:2.11 Il grande sforzo incorporato in questo sermone fu il tentativo di trasferire il concetto del regno dei cieli nell’ideale dell’idea di fare la volontà di Dio. Da lungo tempo il Maestro aveva insegnato ai suoi discepoli a pregare: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”; ed in questo periodo egli cercò con fervore d’indurli ad abbandonare l’uso del termine regno di Dio in favore di un equivalente più pratico, la volontà di Dio. Ma non vi riuscì.
(1860.7) 170:2.12 Gesù desiderava sostituire all’idea di regno, di re e di sudditi, il concetto della famiglia celeste, del Padre celeste e dei figli di Dio liberati, impegnati nel servizio gioioso e volontario a favore dei loro simili e nell’adorazione sublime e intelligente di Dio il Padre.
(1860.8) 170:2.13 Fino a questo momento gli apostoli avevano acquisito un duplice punto di vista del regno; essi lo consideravano come:
(1860.9) 170:2.14 1. Una questione d’esperienza personale allora presente nel cuore dei veri credenti, e
(1860.10) 170:2.15 2. Una questione di fenomeno razziale o mondiale; che il regno era nel futuro, qualcosa da attendere con impazienza.
(1860.11) 170:2.16 Essi consideravano la venuta del regno nel cuore degli uomini come uno sviluppo graduale, simile al lievito nella pasta o alla crescita del grano di senape. Credevano che la venuta del regno in senso razziale o mondiale sarebbe stata sia improvvisa che spettacolare. Gesù non si stancò mai di dire loro che il regno dei cieli era la loro esperienza personale di realizzare le qualità superiori della vita spirituale; che queste realtà dell’esperienza spirituale sono progressivamente trasferite a livelli nuovi e più elevati di certezza divina e di grandiosità eterna.
(1860.12) 170:2.17 Questo pomeriggio il Maestro insegnò distintamente un nuovo concetto della duplice natura del regno, nel senso che ne descrisse le due fasi seguenti:
(1860.13) 170:2.18 “Primo. Il regno di Dio in questo mondo, il desiderio supremo di fare la volontà di Dio, l’amore disinteressato degli uomini che dà i buoni frutti di una condotta etica e morale migliorata.
(1861.1) 170:2.19 “Secondo. Il regno di Dio nei cieli, la meta dei credenti mortali, lo stato in cui l’amore per Dio si è perfezionato ed in cui la volontà di Dio è compiuta più divinamente.”
(1861.2) 170:2.20 Gesù insegnò che, grazie alla fede, il credente entra ora nel regno. Nei vari discorsi egli insegnò che due cose sono essenziali per entrare nel regno attraverso la fede:
(1861.3) 170:2.21 1. Fede, sincerità. Venire come un bambino, ricevere il conferimento della filiazione come un dono; sottomettersi alla volontà del Padre senza discutere e nella piena confidenza e sincera fiducia della saggezza del Padre; entrare nel regno liberi da pregiudizi e preconcetti; essere di mente aperta e ricettivi come un bambino non viziato.
(1861.4) 170:2.22 2. Fame di verità. La sete di rettitudine, un cambiamento di mente, l’acquisizione del movente d’essere simili a Dio e di trovare Dio.
(1861.5) 170:2.23 Gesù insegnò che il peccato non è il figlio di una natura imperfetta, ma piuttosto il frutto di una mente cosciente dominata da una volontà non sottomessa. Riguardo al peccato egli insegnò che Dio ha perdonato; che noi rendiamo tale perdono personalmente valido con l’atto di perdonare il nostro prossimo. Quando voi perdonate vostro fratello nella carne, create in tal modo nella vostra anima la capacità di ricevere la realtà del perdono di Dio per i vostri errori.
(1861.6) 170:2.24 All’epoca in cui l’apostolo Giovanni cominciò a scrivere la storia della vita e degli insegnamenti di Gesù, i primi cristiani avevano avuto così tanti problemi con l’idea del regno di Dio come generatrice di persecuzioni che avevano largamente abbandonato l’uso del termine. Giovanni parla molto della “vita eterna”. Gesù ne parlò spesso come del “regno della vita”. Sovente egli faceva anche allusione al “regno di Dio dentro di voi”. Egli parlò una volta di una tale esperienza come di “comunione familiare con Dio il Padre”. Gesù cercò di sostituire molti termini alla parola regno, ma sempre senza successo. Tra gli altri egli usò: la famiglia di Dio, la volontà del Padre, gli amici di Dio, la comunità dei credenti, la fraternità degli uomini, l’ovile del Padre, i figli di Dio, la comunità dei fedeli, il servizio del Padre ed i figli liberati di Dio.
(1861.7) 170:2.25 Ma egli non poté evitare l’uso dell’idea del regno. Fu più di cinquant’anni più tardi, dopo la distruzione di Gerusalemme da parte degli eserciti romani, che questo concetto del regno cominciò a cambiare nel culto della vita eterna, mentre i suoi aspetti sociali ed istituzionali erano presi in carico dalla Chiesa cristiana in rapida estensione e cristallizzazione.
(1861.8) 170:3.1 Gesù si sforzò sempre d’imprimere nei suoi apostoli e discepoli che dovevano acquisire, per mezzo della fede, una rettitudine che superasse quella delle opere servili che alcuni Scribi e Farisei mostravano con tanta vanagloria davanti al mondo.
(1861.9) 170:3.2 Benché Gesù insegnasse che la fede, la semplice credenza infantile, è la chiave della porta del regno, insegnò anche che, dopo aver superato la porta, vi sono i gradini progressivi di rettitudine che ogni figlio credente deve salire per raggiungere la statura completa dei robusti figli di Dio.
(1861.10) 170:3.3 È nella considerazione della tecnica per ricevere il perdono di Dio che è rivelato il raggiungimento della rettitudine del regno. La fede è il prezzo da pagare per entrare nella famiglia di Dio; ma il perdono è l’atto di Dio che accetta la vostra fede come prezzo d’ammissione. Ed il ricevimento del perdono di Dio da parte di un credente al regno implica un’esperienza precisa e reale e consiste nei quattro gradini seguenti, i gradini di rettitudine interiore del regno:
(1862.1) 170:3.4 1. Il perdono di Dio è reso effettivamente disponibile ed è personalmente sperimentato dall’uomo nell’esatta misura in cui egli perdona i suoi simili.
(1862.2) 170:3.5 2. Un uomo non perdona veramente i suoi simili se non li ama come se stesso.
(1862.3) 170:3.6 3. Amare così il proprio prossimo come se stessi è l’etica più elevata.
(1862.4) 170:3.7 4. La condotta morale, la vera rettitudine, diviene allora il risultato naturale di questo amore.
(1862.5) 170:3.8 È quindi evidente che la religione vera ed interiore del regno tende infallibilmente e sempre di più a manifestarsi nelle vie pratiche del servizio sociale. Gesù insegnò una religione vivente che obbligava i suoi credenti ad impegnarsi in azioni di servizio amorevole. Ma Gesù non pose l’etica al posto della religione. Egli insegnò la religione come una causa e l’etica come un risultato.
(1862.6) 170:3.9 La rettitudine di un atto deve essere misurata dal movente; le forme più elevate del bene sono perciò incoscienti. Gesù non s’interessò mai della morale e dell’etica in quanto tali. Egli si occupò totalmente della comunione interiore e spirituale con Dio il Padre, che si manifesta così certamente e direttamente come servizio esteriore ed amorevole verso gli uomini. Egli insegnò che la religione del regno è un’esperienza personale autentica che nessun uomo può contenere dentro se stesso; che la coscienza di essere un membro della famiglia di credenti porta inevitabilmente alla pratica dei precetti della condotta familiare, del servizio dei propri fratelli e sorelle nello sforzo di elevare ed espandere la fratellanza.
(1862.7) 170:3.10 La religione del regno è personale, individuale; i frutti, i risultati, sono familiari, sociali. Gesù non mancò mai di esaltare la sacralità dell’individuo in confronto alla comunità. Ma egli riconosceva anche che l’uomo sviluppa il suo carattere mediante il servizio disinteressato; che mostra la sua natura morale nelle relazioni amorevoli con i suoi simili.
(1862.8) 170:3.11 Ma insegnando che il regno è dentro di noi, esaltando l’individuo, Gesù diede il colpo di grazia al vecchio ordine sociale, nel senso che inaugurò la nuova dispensazione della vera rettitudine sociale. Il mondo ha poco conosciuto questo nuovo ordine sociale perché ha rifiutato di praticare i princìpi del vangelo del regno dei cieli. E quando questo regno di preminenza spirituale si stabilirà sulla terra, non si manifesterà nel semplice miglioramento delle condizioni sociali e materiali, ma piuttosto nelle glorie di quei valori spirituali superiori ed arricchiti che sono caratteristici dell’avvicinarsi dell’era delle relazioni umane migliorate e dei compimenti spirituali in progresso.
(1862.9) 170:4.1 Gesù non diede mai una definizione precisa del regno. Talvolta egli parlò di una fase del regno e altre volte discusse un aspetto differente della fratellanza del regno di Dio nel cuore degli uomini. Nel corso del sermone di questo sabato pomeriggio Gesù indicò non meno di cinque fasi, od epoche, del regno, ed esse erano:
(1862.10) 170:4.2 1. L’esperienza personale ed interiore della vita spirituale della comunione del singolo credente con Dio il Padre.
(1863.1) 170:4.3 2. L’ampliamento della fraternità dei credenti del vangelo, gli aspetti sociali della morale superiore e dell’etica vivificata risultanti dal regno dello spirito di Dio nel cuore dei singoli credenti.
(1863.2) 170:4.4 3. La fraternità supermortale degli esseri spirituali invisibili che prevale sulla terra ed in cielo, il regno superumano di Dio.
(1863.3) 170:4.5 4. La prospettiva del compimento più perfetto della volontà di Dio, il progresso verso l’aurora di un nuovo ordine sociale in connessione con una vita spirituale migliorata — l’era successiva dell’uomo.
(1863.4) 170:4.6 5. Il regno nella sua pienezza, la futura era spirituale di luce e vita sulla terra.
(1863.5) 170:4.7 Per questo noi dobbiamo sempre analizzare l’insegnamento del Maestro per accertare a quale di queste cinque fasi egli si riferisca quando fa uso del termine regno dei cieli. Con questo processo di cambiamento graduale della volontà dell’uomo e modificando in tal modo le decisioni umane, Micael ed i suoi associati cambiano similmente, con gradualità ma con certezza, l’intero corso dell’evoluzione umana, sociale ed altra.
(1863.6) 170:4.8 In questa occasione il Maestro pose l’accento sui cinque punti seguenti che rappresentano le caratteristiche cardinali del vangelo del regno:
(1863.7) 170:4.9 1. La preminenza dell’individuo.
(1863.8) 170:4.10 2. La volontà come fattore determinante nell’esperienza umana.
(1863.9) 170:4.11 3. La comunione spirituale con Dio il Padre.
(1863.10) 170:4.12 4. Le soddisfazioni supreme del servizio amorevole dell’uomo.
(1863.11) 170:4.13 5. La trascendenza dello spirituale sul materiale nella personalità umana.
(1863.12) 170:4.14 Questo mondo non ha mai seriamente, sinceramente od onestamente messo alla prova queste idee dinamiche e questi ideali divini della dottrina di Gesù del regno dei cieli. Ma voi non dovreste lasciarvi scoraggiare dall’apparente lentezza del progresso dell’idea del regno su Urantia. Ricordatevi che l’ordine di evoluzione progressiva è soggetto a cambiamenti periodici, improvvisi ed inattesi sia nel mondo materiale che in quello spirituale. Il conferimento di Gesù come Figlio incarnato fu proprio uno di questi eventi strani ed inattesi nella vita spirituale del mondo. Né commettete l’errore fatale, cercando la manifestazione del regno nell’era contemporanea, di omettere di stabilirla nella vostra anima.
(1863.13) 170:4.15 Anche se Gesù fece allusione ad una fase del regno nel futuro e dichiarò in numerose occasioni che un tale evento poteva apparire come parte di una crisi mondiale; e sebbene egli promise con tutta certezza, in parecchie occasioni, che un giorno sarebbe sicuramente tornato su Urantia, si dovrebbe tenere presente che egli non ha mai collegato positivamente queste due idee. Egli promise una nuova rivelazione del regno sulla terra in un dato momento del futuro; promise anche che un giorno sarebbe tornato su questo mondo di persona; ma non disse che questi due avvenimenti sarebbero coincisi. Da quello che sappiamo queste promesse possono, o non possono, riferirsi allo stesso avvenimento.
(1863.14) 170:4.16 I suoi apostoli e discepoli collegarono molto certamente questi due insegnamenti. Quando il regno non si materializzò come loro avevano sperato, si ricordarono l’insegnamento del Maestro concernente un regno futuro, e rammentando la sua promessa di ritornare, conclusero subito che queste promesse si riferivano ad uno stesso evento. Essi quindi vissero nella speranza della sua seconda venuta immediata per instaurare il regno nella sua pienezza e con potenza e gloria. E così generazioni successive di credenti hanno vissuto sulla terra con la stessa ispirante ma deludente speranza.
(1864.1) 170:5.1 Dopo aver riassunto gli insegnamenti di Gesù sul regno dei cieli, noi siamo autorizzati a descrivere alcune ulteriori idee che furono attribuite al concetto del regno e ad impegnarci in una previsione profetica del regno quale potrebbe evolversi nell’era futura.
(1864.2) 170:5.2 Durante i primi secoli della propaganda cristiana, l’idea del regno dei cieli fu enormemente influenzata dalle nozioni dell’idealismo greco allora in rapida diffusione, l’idea del naturale come ombra dello spirituale — del temporale come ombra nel tempo dell’eterno.
(1864.3) 170:5.3 Ma il grande passo che segnò il trapianto degli insegnamenti di Gesù da un terreno ebraico ad un terreno gentile fu fatto quando il Messia del regno divenne il Redentore della Chiesa, un’organizzazione religiosa e sociale sorta dalle attività di Paolo e dei suoi successori e basata sugli insegnamenti di Gesù, ai quali furono aggiunte le idee di Filone e le dottrine persiane del bene e del male.
(1864.4) 170:5.4 Le idee e gli ideali di Gesù, incorporati nell’insegnamento del vangelo del regno, quasi non si riconobbero più quando i suoi discepoli alterarono progressivamente le sue dichiarazioni. Il concetto del regno del Maestro fu notevolmente modificato da due grandi tendenze:
(1864.5) 170:5.5 1. I credenti ebrei persistevano nel considerarlo come il Messia. Essi credevano che Gesù sarebbe effettivamente tornato molto presto per instaurare il regno mondiale e più o meno materiale.
(1864.6) 170:5.6 2. I cristiani gentili cominciarono molto presto ad accettare le dottrine di Paolo, che portarono sempre più alla credenza generale che Gesù era il Redentore dei figli della Chiesa, il nuovo successore istituzionale del concetto iniziale della fratellanza puramente spirituale del regno.
(1864.7) 170:5.7 La Chiesa, come conseguenza sociale del regno, sarebbe stata totalmente naturale ed anche desiderabile. Il male della Chiesa non fu la sua esistenza, ma piuttosto il fatto che soppiantò quasi completamente il concetto di Gesù del regno. La Chiesa istituzionalizzata di Paolo divenne un sostituto virtuale del regno dei cieli che Gesù aveva proclamato.
(1864.8) 170:5.8 Ma non dubitate, questo stesso regno dei cieli che il Maestro ha insegnato esistere nel cuore dei credenti, sarà di nuovo proclamato a questa Chiesa cristiana, così come a tutte le altre religioni, razze e nazioni della terra — ed anche ad ogni individuo.
(1864.9) 170:5.9 Il regno insegnato da Gesù, l’ideale spirituale di rettitudine individuale ed il concetto di comunione divina dell’uomo con Dio, è gradualmente immersa nella concezione mistica della persona di Gesù come Redentore-Creatore e capo spirituale di una comunità religiosa socializzata. In questo modo una Chiesa ufficiale ed istituzionale diviene il sostituto della fratellanza individualmente spiritualizzata del regno.
(1864.10) 170:5.10 La Chiesa fu un risultato sociale inevitabile ed utile della vita e degli insegnamenti di Gesù; la tragedia consisté nel fatto che questa reazione sociale agli insegnamenti del regno rimpiazzò così completamente il concetto spirituale del vero regno quale Gesù lo aveva insegnato e vissuto.
(1865.1) 170:5.11 Il regno, per gli Ebrei, era la comunità israelita; per i Gentili esso divenne la Chiesa cristiana. Per Gesù il regno era l’insieme di quegli individui che avevano confessato la loro fede nella paternità di Dio, proclamando così la loro consacrazione sincera a fare la volontà di Dio, divenendo in tal modo membri della fraternità spirituale degli uomini.
(1865.2) 170:5.12 Il Maestro comprendeva pienamente che certi risultati sociali sarebbero apparsi nel mondo come conseguenza della diffusione del vangelo del regno; ma egli intendeva che tutte queste manifestazioni sociali desiderabili apparissero come risultanze inconsapevoli e inevitabili, o come frutti naturali, di questa esperienza personale interiore dei singoli credenti, di questa associazione e comunione puramente spirituale con lo spirito divino che dimora in tutti questi credenti e li attiva.
(1865.3) 170:5.13 Gesù prevedeva che un’organizzazione sociale, o Chiesa, sarebbe seguita al progresso del vero regno spirituale, ed è per questo che egli non si oppose mai al fatto che gli apostoli praticassero il rito del battesimo di Giovanni. Egli insegnò che l’anima amante della verità, quella che ha fame e sete di rettitudine, di Dio, è ammessa per fede al regno spirituale; allo stesso tempo gli apostoli insegnarono che un tale credente è ammesso all’organizzazione sociale dei discepoli con il rito esteriore del battesimo.
(1865.4) 170:5.14 Quando i discepoli immediati di Gesù riconobbero il loro fallimento parziale nel realizzare il suo ideale dell’instaurazione del regno nel cuore degli uomini mediante il governo e la guida dello spirito del singolo credente, cercarono di evitare che il suo insegnamento andasse interamente perduto, sostituendo all’ideale del regno del Maestro la creazione graduale di un’organizzazione sociale visibile, la Chiesa cristiana. E quando ebbero completato questo programma di sostituzione, al fine di mantenere la coerenza ed assicurare il riconoscimento dell’insegnamento del Maestro sul fatto del regno, essi procedettero a collocare il regno nel futuro. La Chiesa, appena fu bene stabilizzata, cominciò ad insegnare che il regno sarebbe apparso in realtà al culmine dell’era cristiana, alla seconda venuta di Cristo.
(1865.5) 170:5.15 In questo modo il regno divenne il concetto di un’era, l’idea di una visitazione futura, e l’ideale della redenzione finale dei santi dell’Altissimo. I cristiani primitivi (e troppi di quelli successivi) persero generalmente di vista l’idea di Padre-e-figlio incorporata nell’insegnamento di Gesù sul regno, mentre vi sostituivano la comunità sociale bene organizzata della Chiesa. La Chiesa divenne così, nel complesso, una fraternità sociale che rimpiazzò effettivamente il concetto e l’ideale di Gesù di una fraternità spirituale.
(1865.6) 170:5.16 Il concetto ideale di Gesù in larga misura fallì, ma sulle fondamenta della vita e degli insegnamenti personali del Maestro, integrati dai concetti greci e persiani della vita eterna ed accresciuti dalla dottrina di Filone del contrasto tra il temporale e lo spirituale, Paolo si mise a costruire una delle società umane più progressive che siano mai esistite su Urantia.
(1865.7) 170:5.17 Il concetto di Gesù è ancora vivo nelle religioni evolute del mondo. La Chiesa cristiana di Paolo è l’ombra socializzata ed umanizzata di quello che Gesù intendeva divenisse il regno dei cieli — e tale diverrà ancora con tutta certezza. Paolo ed i suoi successori trasferirono parzialmente i problemi della vita eterna dall’individuo alla Chiesa. Cristo divenne così il capo della Chiesa piuttosto che il fratello maggiore di ogni singolo credente nella famiglia del Padre del regno. Paolo ed i suoi contemporanei applicarono tutte le implicazioni spirituali di Gesù concernenti se stesso ed il singolo credente alla Chiesa, in quanto gruppo di credenti; e facendo ciò, essi inflissero un colpo mortale al concetto di Gesù del regno divino nel cuore del singolo credente.
(1866.1) 170:5.18 E così, per secoli, la Chiesa cristiana ha lavorato con grande difficoltà perché ha osato attribuirsi quei poteri e privilegi misteriosi del regno, poteri e privilegi che potevano essere esercitati e sperimentati solo tra Gesù ed i suoi fratelli spirituali credenti. Diviene così evidente che l’appartenenza alla Chiesa non significa necessariamente comunione nel regno; l’uno è spirituale, l’altra principalmente sociale.
(1866.2) 170:5.19 Presto o tardi un altro e più grande Giovanni il Battista dovrà sorgere proclamando “il regno di Dio è a portata di mano” — intendendo un ritorno all’alto concetto spirituale di Gesù, il quale proclamò che il regno è la volontà di suo Padre celeste, dominante e trascendente, nel cuore dei credenti — e facendo tutto ciò senza riferirsi in alcun modo né alla Chiesa visibile sulla terra né alla prevista seconda venuta di Cristo. Deve avvenire un risveglio degli insegnamenti effettivi di Gesù, una riesposizione tale da distruggere il lavoro dei suoi primi discepoli, che si occuparono di creare un sistema sociofilosofico di credenze concernenti il fatto del soggiorno di Micael sulla terra. In breve tempo l’insegnamento di questa storia a proposito di Gesù soppiantò quasi del tutto la predicazione del vangelo di Gesù sul regno. In questo modo una religione storica rimpiazzò l’insegnamento in cui Gesù aveva fuso le idee morali e gli ideali spirituali più elevati degli uomini con le loro speranze più sublimi per il futuro — la vita eterna. E questo era il vangelo del regno.
(1866.3) 170:5.20 È proprio perché il vangelo di Gesù fu così poliedrico che nello spazio di pochi secoli gli studiosi degli scritti dei suoi insegnamenti si divisero in così tanti culti e sette. Questa penosa suddivisione dei credenti cristiani risulta dall’incapacità di discernere nei molteplici insegnamenti del Maestro l’unicità divina della sua incomparabile vita. Ma un giorno i veri credenti in Gesù non saranno così divisi spiritualmente nel loro atteggiamento verso i non credenti. Ci può sempre essere diversità di comprensione e d’interpretazione intellettuale, anche diversi gradi di socializzazione, ma la mancanza di fratellanza spirituale è imperdonabile e riprovevole.
(1866.4) 170:5.21 Non ingannatevi! Negli insegnamenti di Gesù c’è una natura eterna che non permetterà loro di rimanere per sempre sterili nel cuore degli uomini riflessivi. Il regno che Gesù aveva concepito è in larga misura fallito sulla terra; per il momento, una Chiesa esteriore ha preso il suo posto; ma voi dovreste comprendere che questa Chiesa è solo lo stato embrionale del contrastato regno spirituale, che porterà attraverso quest’era materiale fino ad una dispensazione più spirituale in cui gli insegnamenti del Maestro godranno di maggiori opportunità per svilupparsi. In tal modo la cosiddetta Chiesa cristiana diviene il bozzolo in cui dorme attualmente il concetto di Gesù del regno. Il regno della fraternità divina è ancora vivo ed alla fine uscirà certamente da questa lunga sommersione, altrettanto sicuramente quanto la farfalla emerge alla fine come la splendida evoluzione della sua meno attraente creatura da cui si è metamorficamente sviluppata.
(1867.1) 171:0.1 IL GIORNO dopo il memorabile sermone su “Il regno dei cieli” Gesù annunciò che il giorno seguente lui e gli apostoli sarebbero partiti per la Pasqua a Gerusalemme, visitando per strada numerose città della Perea meridionale.
(1867.2) 171:0.2 Il discorso sul regno e l’annuncio che stava andando alla Pasqua indussero tutti i suoi discepoli a pensare che egli andava a Gerusalemme per inaugurare il regno temporale della supremazia ebraica. Qualunque cosa Gesù dicesse sul carattere non materiale del regno, non riusciva a rimuovere totalmente dalla mente dei suoi ascoltatori ebrei l’idea che il Messia doveva instaurare una sorta di governo nazionalista con sede a Gerusalemme.
(1867.3) 171:0.3 Ciò che Gesù disse nel suo sermone del sabato servì solo a confondere la maggior parte dei suoi discepoli; pochissimi furono illuminati dal discorso del Maestro. I principali discepoli compresero qualcosa dei suoi insegnamenti concernenti il regno interiore, “il regno dei cieli dentro di voi”, ma sapevano anche che egli aveva parlato di un altro regno futuro, ed era questo regno che essi credevano stesse ora andando ad instaurare a Gerusalemme. Quando furono delusi in questa aspettativa, quando egli fu respinto dagli Ebrei, e più tardi quando Gerusalemme fu letteralmente distrutta, essi si aggrapparono ancora a questa speranza, credendo sinceramente che il Maestro sarebbe ritornato presto nel mondo in grande potenza ed in gloria maestosa per instaurare il regno promesso.
(1867.4) 171:0.4 Fu in questa domenica pomeriggio che Salomè, la madre di Giacomo e di Giovanni Zebedeo, venne da Gesù con i suoi due figli apostoli e, nella maniera in cui ci si avvicinava ad un sovrano orientale, cercò di ottenere da Gesù la promessa anticipata di avere accolta qualunque richiesta essa avesse fatto. Ma il Maestro non volle promettere nulla; invece le chiese: “Che cosa desideri che io faccia per te?” Allora Salomè rispose: “Maestro, ora che stai andando a Gerusalemme per instaurare il regno, vorrei chiederti in anticipo di promettermi che questi miei figli saranno onorati con te, uno per sedere alla tua destra e l’altro alla tua sinistra nel tuo regno.”
(1867.5) 171:0.5 Quando Gesù udì la richiesta di Salomè, disse: “Donna, tu non sai che cosa chiedi.” E poi, guardando dritto negli occhi i due apostoli che cercavano degli onori, disse: “Perché vi conosco e vi amo da lungo tempo, perché ho anche vissuto nella casa di vostra madre, perché Andrea vi ha designati a stare sempre con me, voi permettete a vostra madre di venire da me in segreto, formulando questa richiesta sconveniente. Ma lasciate che vi chieda: siete capaci voi di bere la coppa che io sto per bere?” E senza un istante di riflessione Giacomo e Giovanni risposero: “Sì, Maestro, ne siamo capaci.” Gesù disse: “Sono rattristato che voi non sappiate perché andiamo a Gerusalemme; sono addolorato che non comprendiate la natura del mio regno; sono deluso che abbiate portato vostra madre a presentarmi questa richiesta; ma so che mi amate nel vostro cuore. Perciò vi dichiaro che in verità voi berrete la mia coppa di amarezza e che spartirete la mia umiliazione, ma non spetta a me conferirvi un posto alla mia destra o alla mia sinistra. Questi onori sono riservati a coloro che sono stati designati da mio Padre.”
(1868.1) 171:0.6 Nel frattempo qualcuno aveva informato di questo incontro Pietro e gli altri apostoli, ed essi furono molto indignati che Giacomo e Giovanni avessero cercato di essere preferiti a loro e che fossero andati segretamente con la loro madre a presentare tale richiesta. Quando essi si misero a discutere tra loro, Gesù li riunì e disse: “Voi comprendete bene come i capi dei Gentili dominano i loro sudditi e come coloro che sono grandi esercitano l’autorità. Ma non sarà così nel regno dei cieli. Chiunque voglia essere grande tra voi, che divenga prima il vostro servitore. Chi volesse essere primo nel regno, che divenga il vostro servo. Io vi dichiaro che il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire; ed ora io vado a Gerusalemme a donare la mia vita per fare la volontà di mio Padre e per servire i miei fratelli.” Quando gli apostoli udirono queste parole si ritirarono a pregare. Quella sera, in risposta agli sforzi di Pietro, Giacomo e Giovanni presentarono delle scuse adeguate ai dieci e furono ristabiliti nelle buone grazie dei loro fratelli.
(1868.2) 171:0.7 Chiedendo dei posti alla destra e alla sinistra di Gesù a Gerusalemme, i figli di Zebedeo non immaginavano affatto che in meno di un mese il loro amato Maestro sarebbe stato appeso ad una croce romana con un ladro morente da una parte ed un altro malfattore dall’altra. E la loro madre, che fu presente alla crocifissione, si ricordò bene la stolta richiesta che aveva fatto a Gesù a Pella circa gli onori che così sconsideratamente cercava per i suoi figli apostoli.
(1868.3) 171:1.1 Lunedì mattina 13 marzo, Gesù ed i suoi dodici apostoli lasciarono definitivamente l’accampamento di Pella e partirono verso sud per il loro giro nelle città della Perea meridionale, dove stavano lavorando gli associati di Abner. Essi passarono più di due settimane in visita tra i settanta e poi si recarono direttamente a Gerusalemme per la Pasqua.
(1868.4) 171:1.2 Quando il Maestro lasciò Pella, i discepoli accampati con gli apostoli, circa un migliaio, lo seguirono. Quasi la metà di questo gruppo lo lasciò al guado del Giordano sulla strada per Gerico quando essi appresero che stava andando a Chesbon e dopo che ebbe predicato il sermone su “La valutazione del costo”. Essi proseguirono verso Gerusalemme, mentre l’altra metà lo seguì per due settimane visitando le città della Perea meridionale.
(1868.5) 171:1.3 In generale la maggior parte dei discepoli immediati di Gesù comprese che il campo di Pella era stato abbandonato, ma pensava realmente che ciò indicasse che il loro Maestro intendeva finalmente andare a Gerusalemme per rivendicare il trono di Davide. Una larga maggioranza di suoi discepoli non fu mai capace di cogliere un concetto diverso del regno dei cieli; qualunque cosa egli insegnasse loro, essi non avrebbero abbandonato questa idea ebraica del regno.
(1868.6) 171:1.4 Seguendo le istruzioni dell’apostolo Andrea, Davide Zebedeo chiuse il campo di visitatori a Pella mercoledì 15 marzo. In questo momento vi risiedevano quasi quattromila visitatori, senza contare le mille e più persone che soggiornavano con gli apostoli in un luogo conosciuto come il campo degli insegnanti, e che andarono a sud con Gesù e i dodici. Nonostante la sua avversione a farlo, Davide vendette l’intero equipaggiamento a numerosi acquirenti e si recò con i fondi a Gerusalemme, consegnando successivamente il denaro a Giuda Iscariota.
(1869.1) 171:1.5 Davide fu presente a Gerusalemme durante l’ultima tragica settimana, riconducendo sua madre con lui a Betsaida dopo la crocifissione. Mentre aspettava Gesù e gli apostoli, Davide si fermò da Lazzaro a Betania e fu profondamente turbato dal modo in cui i Farisei avevano cominciato a perseguitarlo e a molestarlo dopo la sua risurrezione. Andrea aveva ordinato a Davide d’interrompere il servizio dei messaggeri, e ciò fu interpretato da tutti come un’indicazione dell’imminente instaurazione del regno a Gerusalemme. Davide si trovava senza un incarico ed aveva quasi deciso di divenire il difensore volontario di Lazzaro, quando l’oggetto della sua indignata sollecitudine fuggì precipitosamente a Filadelfia. Di conseguenza, poco tempo dopo la risurrezione di Gesù e dopo la morte anche di sua madre, Davide si recò anche lui a Filadelfia, dopo aver prima aiutato Marta e Maria a vendere le loro proprietà, E là, in associazione con Abner e Lazzaro, passò il resto della sua vita, divenendo il supervisore finanziario di tutti quei vasti interessi del regno che ebbero il loro centro a Filadelfia durante la vita di Abner.
(1869.2) 171:1.6 Poco tempo dopo la distruzione di Gerusalemme, Antiochia divenne il quartier generale del Cristianesimo paolino, mentre Filadelfia rimase il centro del regno dei cieli secondo Abner. Da Antiochia, la versione paolina degli insegnamenti di Gesù e a proposito di Gesù si diffuse in tutto il mondo occidentale. Partendo da Filadelfia, i missionari della versione abneriana del regno dei cieli si sparsero in tutta la Mesopotamia e l’Arabia, fino all’epoca successiva in cui questi intransigenti emissari degli insegnamenti di Gesù furono sopraffatti dall’improvviso sviluppo dell’Islam.
(1869.3) 171:2.1 Quando Gesù ed il suo seguito di circa un migliaio di seguaci arrivarono al guado di Betania sul Giordano, allora chiamato Betabara, i suoi discepoli cominciarono a comprendere che egli non stava andando direttamente a Gerusalemme. Mentre essi esitavano e discutevano tra di loro, Gesù salì su un grosso masso e pronunciò quel discorso divenuto noto come: “La valutazione del costo.” Il Maestro disse:
(1869.4) 171:2.2 “Voi che vorreste seguirmi, da questo momento in poi dovete accettare di pagare il prezzo della consacrazione sincera a fare la volontà di mio Padre. Se volete essere miei discepoli, dovete essere disposti ad abbandonare padre, madre, moglie, figli, fratelli e sorelle. Se uno di voi vuole ora essere mio discepolo, deve accettare di rinunciare anche alla sua vita, come il Figlio dell’Uomo sta per offrire la sua vita per completare la missione di fare la volontà del Padre sulla terra e nella carne.
(1869.5) 171:2.3 “Se voi non siete disposti a pagare il prezzo pieno, non potete essere miei discepoli. Prima di proseguire, ciascuno di voi dovrebbe sedersi e calcolare il costo di essere mio discepolo. Chi di voi comincerebbe a costruire una torre di guardia sulle proprie terre senza prima sedersi a calcolare il costo e vedere se possiede abbastanza denaro per completarla? Se non calcolate così il costo, dopo aver posto le fondazioni potreste scoprire che non siete in grado di terminare ciò che avete cominciato, e quindi tutti i vostri vicini si burleranno di voi dicendo: ‘Ecco, quest’uomo ha cominciato a costruire, ma non è stato capace di terminare il suo lavoro.’ Ancora, quale re quando si prepara a fare guerra ad un altro re non si siede prima a riflettere se potrà o meno, con diecimila uomini, affrontare chi viene contro di lui con ventimila? Se il re non può permettersi di affrontare il suo nemico perché non è preparato, manda un’ambasceria a quest’altro re, mentre questi è ancora lontano, per informarsi sulle condizioni di pace.
(1870.1) 171:2.4 “Ora, dunque, ciascuno di voi deve sedersi e valutare il costo di essere mio discepolo. D’ora in poi voi non potrete più seguirci ascoltando l’insegnamento ed osservando le opere; dovrete affrontare persecuzioni accanite e testimoniare per questo vangelo di fronte ad opprimenti delusioni. Se non accettate di rinunciare a tutto ciò che siete e di dedicare tutto quello che possedete, allora non siete degni di essere miei discepoli. Se voi avete già conquistato voi stessi nel vostro cuore, non dovete avere alcun timore di quella vittoria esteriore che dovrete conseguire presto quando il Figlio dell’Uomo sarà respinto dai capi dei sacerdoti e dai Sadducei e messo nelle mani di non credenti beffeggiatori.
(1870.2) 171:2.5 “Ora dovreste esaminare voi stessi per scoprire che cosa vi spinge ad essere miei discepoli. Se cercate onore e gloria, se siete inclini alle cose terrene, voi siete simili al sale che ha perso il suo sapore. E quando ciò che è apprezzato per la sua salinità ha perso il suo sapore, con che cosa si condirà? Un tale condimento è inutile; è buono solo per essere gettato tra i rifiuti. Ora io vi ho avvertiti di tornare in pace a casa vostra se non siete disposti a bere con me la coppa che sta per essere preparata. Io vi ho detto molte volte che il mio regno non è di questo mondo, ma voi non volete credermi. Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti ciò che dico.”
(1870.3) 171:2.6 Immediatamente dopo aver pronunciato queste parole, Gesù, conducendo i dodici, partì per Chesbon, seguito da circa cinquecento persone. Poco dopo l’altra metà della moltitudine si diresse verso Gerusalemme. I suoi apostoli, come pure i principali discepoli, rifletterono molto su queste parole, ma rimasero ancora attaccati alla credenza che, dopo questo breve periodo di avversità e di prove, il regno sarebbe stato certamente instaurato in qualche modo conformemente alle loro speranze a lungo accarezzate.
(1870.4) 171:3.1 Per più di due settimane Gesù e i dodici, seguiti da una folla di parecchie centinaia di discepoli, viaggiarono nel sud della Perea visitando tutte le città in cui lavoravano i settanta. In questa regione vivevano molti Gentili, e poiché pochi di loro sarebbero andati alla festa della Pasqua a Gerusalemme, i messaggeri del regno proseguirono la loro opera d’insegnamento e di predicazione.
(1870.5) 171:3.2 Gesù incontrò Abner a Chesbon e Andrea ordinò che i lavori dei settanta non fossero interrotti per la festa della Pasqua; Gesù raccomandò ai messaggeri di proseguire la loro opera senza tenere alcun conto di ciò che sarebbe accaduto a Gerusalemme. Egli consigliò anche ad Abner di permettere al corpo delle donne, almeno a quelle che lo desideravano, di andare a Gerusalemme per la Pasqua. E questa fu l’ultima volta che Abner vide Gesù nella carne. Il suo saluto di addio ad Abner fu: “Figlio mio, so che sarai fedele al regno, e prego il Padre di concederti saggezza affinché tu possa amare e comprendere i tuoi fratelli.”
(1870.6) 171:3.3 Mentre essi andavano di città in città, un gran numero di loro seguaci lì lasciò per andare a Gerusalemme, cosicché, quando Gesù partì per la Pasqua, il numero di coloro che lo seguivano giorno per giorno si era ridotto a meno di duecento.
(1871.1) 171:3.4 Gli apostoli compresero che Gesù stava andando a Gerusalemme per la Pasqua. Essi sapevano che il Sinedrio aveva diffuso in tutto Israele il messaggio che egli era stato condannato a morte e che ordinava a chiunque sapesse dove si trovava d’informare il Sinedrio. Eppure, malgrado tutto ciò, essi non erano così allarmati come lo erano stati quando egli aveva annunciato loro a Filadelfia che sarebbe andato a Betania per vedere Lazzaro. Questo cambiamento di atteggiamento da uno stato d’intensa paura a quello di tranquilla aspettativa era principalmente dovuto alla risurrezione di Lazzaro. Essi erano giunti alla conclusione che Gesù poteva, in caso di necessità, affermare il suo potere divino e svergognare i suoi nemici. Questa speranza, unita alla loro più profonda e matura fede nella supremazia spirituale del loro Maestro, spiega il coraggio esteriore mostrato dai suoi discepoli immediati, che erano ora pronti a seguirlo a Gerusalemme anche di fronte all’aperta dichiarazione del Sinedrio che egli doveva morire.
(1871.2) 171:3.5 La maggior parte degli apostoli e molti dei suoi discepoli più vicini non credevano possibile che Gesù morisse; essi, pensando che egli era “la risurrezione e la vita”, lo consideravano immortale e già trionfante sulla morte.
(1871.3) 171:4.1 Mercoledì sera 29 marzo, Gesù e i suoi discepoli si accamparono a Livia sulla loro strada verso Gerusalemme, dopo aver completato il loro giro delle città della Perea meridionale. Fu durante questa notte a Livia che Simone Zelota e Simon Pietro, che avevano cospirato per farsi consegnare in questo posto più di cento spade, ricevettero e distribuirono queste armi a tutti coloro che vollero accettarle e portarle nascoste sotto i loro mantelli. Simon Pietro portava ancora la sua spada la notte in cui il Maestro fu tradito nel giardino.
(1871.4) 171:4.2 Giovedì mattina presto, prima che gli altri si fossero svegliati, Gesù chiamò Andrea e gli disse: “Sveglia i tuoi fratelli! Ho qualcosa da dire loro.” Gesù sapeva delle spade e chi dei suoi apostoli aveva ricevuto e stava portando queste armi, ma non rivelò mai loro che conosceva queste cose. Quando Andrea ebbe svegliato i suoi compagni e si furono riuniti, Gesù disse: “Figli miei, siete stati con me per lungo tempo ed io vi ho insegnato molte cose utili per questi tempi, ma vorrei ora avvertirvi di non riporre la vostra fiducia nelle incertezze della carne o nelle fragilità della difesa umana contro le difficoltà e le prove che ci attendono tra breve. Vi ho portati qui a parte da soli per dirvi chiaramente ancora una volta che stiamo andando a Gerusalemme, dove sapete che il Figlio dell’Uomo è già stato condannato a morte. Vi dico di nuovo che il Figlio dell’Uomo sarà consegnato nelle mani dei capi dei sacerdoti e dei dirigenti religiosi; che essi lo condanneranno e lo consegneranno nelle mani dei Gentili. E così essi si burleranno del Figlio dell’Uomo, ed anche sputeranno su di lui e lo frusteranno, e lo metteranno a morte. E quando uccideranno il Figlio dell’Uomo non siate costernati, perché io vi dichiaro che al terzo giorno egli risusciterà. Abbiate cura di voi e ricordatevi che io vi ho preavvertiti.”
(1871.5) 171:4.3 Di nuovo gli apostoli furono stupiti, sconcertati; ma non riuscirono a prendere le sue parole alla lettera; non riuscirono a comprendere che il Maestro intendeva proprio ciò che diceva. Essi erano talmente accecati dalla loro persistente credenza nel regno temporale sulla terra, con sede a Gerusalemme, che non potevano — non volevano — permettere a se stessi di accettare le parole di Gesù alla lettera. Essi meditarono tutto quel giorno su che cosa il Maestro avesse voluto dire con tali strane dichiarazioni. Ma nessuno di loro osò porgli una domanda riguardo a queste affermazioni. Solo dopo la sua morte questi apostoli disorientati compresero che il Maestro aveva parlato loro apertamente e direttamente in previsione della sua crocifissione.
(1872.1) 171:4.4 Fu qui a Livia, poco dopo la colazione, che certi Farisei simpatizzanti vennero a trovare Gesù e gli dissero: “Allontanati in fretta da questi luoghi, perché Erode, come ha fatto con Giovanni, ora cerca di uccidere te. Egli teme una sollevazione del popolo e ha deciso di ucciderti. Ti portiamo questo avvertimento perché tu possa fuggire.”
(1872.2) 171:4.5 E ciò era parzialmente vero. La risurrezione di Lazzaro aveva scosso e allarmato Erode, e sapendo che il Sinedrio aveva osato condannare Gesù ancor prima di giudicarlo, Erode aveva deciso di uccidere Gesù o di cacciarlo dai suoi domini. Egli desiderava in realtà la seconda soluzione perché lo temeva talmente che sperava di non essere costretto a giustiziarlo.
(1872.3) 171:4.6 Dopo che Gesù ebbe ascoltato ciò che i Farisei avevano da dire, rispose: “So bene di Erode e della sua paura di questo vangelo del regno. Ma non ingannatevi, egli preferirebbe molto che il Figlio dell’Uomo andasse a Gerusalemme per soffrire e morire per mano dei capi dei sacerdoti. Avendo macchiato le sue mani con il sangue di Giovanni, egli non è ansioso di divenire responsabile della morte del Figlio dell’Uomo. Andate a dire a quella volpe che il Figlio dell’Uomo predica oggi in Perea, domani andrà in Giudea, e che tra qualche giorno avrà completato la sua missione sulla terra e sarà pronto ad ascendere al Padre.”
(1872.4) 171:4.7 Poi, rivolgendosi ai suoi apostoli, Gesù disse: “Fin dai tempi antichi i profeti sono periti a Gerusalemme, ed è necessario che il Figlio dell’Uomo vada nella città della casa del Padre per essere offerto come prezzo dell’intolleranza umana e come risultato del pregiudizio religioso e della cecità spirituale. O Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi gli insegnanti della verità! Quante volte avrei voluto riunire i tuoi figli come una chioccia riunisce i suoi pulcini sotto le sue ali, ma non hai voluto lasciarmelo fare! Ecco, la tua casa sta per essere lasciata a te desolata! Tu desidererai molte volte vedermi, ma non ci riuscirai. Allora mi cercherai, ma non mi troverai.” E dopo che ebbe parlato, egli si rivolse verso coloro che stavano attorno a lui e disse: “Ciononostante andiamo a Gerusalemme ad assistere alla Pasqua e a fare ciò che si conviene a noi per compiere la volontà del Padre che è nei cieli.”
(1872.5) 171:4.8 Era un gruppo di credenti confuso e sconcertato quello che questo giorno seguì Gesù a Gerico. Gli apostoli riuscirono a discernere soltanto la nota certa del trionfo finale nelle dichiarazioni di Gesù riguardo al regno; essi non riuscivano a giungere al punto di essere disposti a cogliere gli avvertimenti sull’imminente rovescio. Quando Gesù parlò di “risurrezione al terzo giorno”, essi presero questa dichiarazione come significante un trionfo certo del regno immediatamente successivo ad una spiacevole scaramuccia preliminare con i capi religiosi ebrei. Il “terzo giorno” era un’espressione corrente degli Ebrei che significava “subito” o “poco dopo”. Quando Gesù parlò di “risurrezione”, essi credettero che si riferisse alla “risurrezione del regno”.
(1872.6) 171:4.9 Gesù era stato accolto da questi credenti come il Messia, e gli Ebrei sapevano poco o nulla di un Messia sofferente. Essi non comprendevano che Gesù stava per compiere per mezzo della sua morte molte cose che non sarebbero mai state realizzate mediante la sua vita. Mentre fu la risurrezione di Lazzaro che diede agli apostoli il coraggio di entrare a Gerusalemme, fu il ricordo della trasfigurazione che sostenne il Maestro durante questo periodo difficile del suo conferimento.
(1873.1) 171:5.1 Nel tardo pomeriggio di giovedì 30 marzo, Gesù e i suoi apostoli, alla testa di un gruppo di circa duecento seguaci, si avvicinavano alle mura di Gerico. Quando giunsero vicino alla porta della città, essi incontrarono una folla di mendicanti, tra cui un certo Bartimeo, un uomo anziano che era cieco dalla sua giovinezza. Questo mendicante cieco aveva sentito parlare molto di Gesù e sapeva tutto sulla guarigione del cieco Giosia a Gerusalemme. Egli era stato informato dell’ultima visita di Gesù a Gerico solo dopo che era ripartito per Betania. Bartimeo aveva deciso che non avrebbe lasciato mai più che Gesù visitasse Gerico senza fare appello a lui per recuperare la sua vista.
(1873.2) 171:5.2 La notizia dell’avvicinarsi di Gesù era stata annunciata in tutta Gerico, e centinaia di abitanti si erano radunati per andargli incontro. Quando questa grande folla tornò scortando il Maestro dentro la città, Bartimeo, udendo il pesante scalpiccio della moltitudine, capì che qualcosa d’insolito stava avvenendo, e così chiese a coloro che erano vicino a lui che cosa stesse succedendo. E uno dei mendicanti rispose: “Sta passando Gesù di Nazaret.” Quando Bartimeo sentì che Gesù era vicino, alzò la sua voce e cominciò a gridare: “Gesù, Gesù, abbi pietà di me!” E poiché egli continuava a gridare sempre più forte, alcuni di quelli che erano vicini a Gesù andarono a rimproverarlo, dicendogli di starsene tranquillo; ma non servì a nulla; egli gridò ancora di più e più forte.
(1873.3) 171:5.3 Quando Gesù sentì il cieco gridare, si fermò. E quando lo vide, disse ai suoi amici: “Conducete l’uomo da me.” Allora essi andarono da Bartimeo dicendo: “Fatti coraggio, vieni con noi, perché il Maestro ti vuole.” Quando Bartimeo udì queste parole, gettò via il suo mantello, balzando verso il centro della strada, mentre le persone vicine lo guidavano verso Gesù. Rivolgendosi a Bartimeo, Gesù disse: “Che cosa vuoi che faccia per te?” Allora il cieco rispose: “Vorrei che la mia vista fosse risanata.” E quando Gesù udì questa richiesta e vide la sua fede, disse: “Recupererai la tua vista, va per la tua strada, la tua fede ti ha guarito.” Immediatamente egli recuperò la vista e rimase vicino a Gesù, glorificando Dio, fino a che il Maestro partì il giorno dopo per Gerusalemme; ed allora egli precedette la moltitudine proclamando a tutti come la sua vista era stata recuperata a Gerico.
(1873.4) 171:6.1 Quando la processione del Maestro entrò a Gerico era quasi il tramonto, ed egli era intenzionato a fermarsi là per la notte. Mentre Gesù passava vicino alla dogana, Zaccheo, il capo pubblicano o esattore delle tasse, capitò che fosse presente ed egli desiderava molto vedere Gesù. Questo capo pubblicano era molto ricco ed aveva sentito parlare molto di questo profeta della Galilea. Egli aveva deciso di voler vedere quale tipo d’uomo fosse Gesù la prima volta che fosse venuto a Gerico. Di conseguenza Zaccheo cercò di aprirsi un varco tra la folla, ma essa era troppo spessa, ed essendo egli piccolo di statura, non riusciva a vedere sopra le teste. E così il capo pubblicano proseguì con la folla fino a che giunsero vicino al centro della città e non lontano dal luogo in cui abitava. Quando vide che non sarebbe riuscito a fendere la folla, e pensando che Gesù avrebbe attraversato la città senza fermarsi, egli corse avanti e si arrampicò su un sicomoro i cui lunghi rami sporgevano sopra la strada. Egli sapeva che in questo modo avrebbe potuto vedere bene il Maestro al suo passaggio. E non fu deluso, perché, quando Gesù passò di lì, si fermò e, alzando gli occhi verso Zaccheo disse: “Sbrigati a scendere, Zaccheo, perché questa sera devo dimorare a casa tua.” Quando Zaccheo udì queste sorprendenti parole, quasi cadde dall’albero nella fretta di scendere, e andando verso Gesù, espresse grande gioia per il fatto che il Maestro intendeva fermarsi a casa sua.
(1874.1) 171:6.2 Essi andarono subito a casa di Zaccheo e gli abitanti di Gerico furono molto sorpresi che Gesù acconsentisse di dimorare presso il capo pubblicano. Anche mentre il Maestro e i suoi apostoli stavano con Zaccheo davanti alla porta della sua casa, uno dei Farisei di Gerico che si trovava vicino disse: “Vedete come quest’uomo è andato ad alloggiare presso un peccatore, un figlio apostata di Abramo che è uno strozzino e un ladro del suo stesso popolo.” Quando Gesù udì ciò, guardò Zaccheo e sorrise. Allora Zaccheo salì su uno sgabello e disse: “Uomini di Gerico, ascoltatemi! Io posso essere un Pubblicano e un peccatore, ma il grande Maestro è venuto a dimorare nella mia casa; e prima che egli entri io vi assicuro che donerò metà di tutti i miei beni ai poveri, e da domani, se ho riscosso ingiustamente qualcosa da qualcuno, lo restituirò quadruplicato. Io sto cercando la salvezza con tutto il mio cuore e sto imparando ad agire con rettitudine agli occhi di Dio.”
(1874.2) 171:6.3 Quando Zaccheo ebbe finito di parlare, Gesù disse: “Oggi la salvezza è venuta in questa casa e tu sei divenuto in verità un figlio di Abramo.” E rivolgendosi alla folla riunita attorno a loro, Gesù disse: “Non meravigliatevi per ciò che dico né offendetevi per ciò che facciamo, perché io ho costantemente dichiarato che il Figlio dell’Uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che è perduto.”
(1874.3) 171:6.4 Essi alloggiarono presso Zaccheo per la notte. Il giorno seguente si alzarono e ripresero il loro cammino seguendo la “strada dei ladri” verso Betania per assistere alla Pasqua a Gerusalemme.
(1874.4) 171:7.1 Gesù spargeva conforto ovunque andasse. Egli era pieno di grazia e di verità. I suoi associati non cessarono mai di meravigliarsi delle parole amorevoli che uscivano dalla sua bocca. Si può coltivare l’amabilità, ma la benevolenza è l’aroma dell’amicizia che emana da un’anima satura d’amore.
(1874.5) 171:7.2 La bontà induce sempre al rispetto, ma quando è priva di grazia essa respinge spesso l’affetto. La bontà è universalmente attrattiva solo quando è benevola. La bontà è efficace solo quando è attrattiva.
(1874.6) 171:7.3 Gesù comprendeva realmente gli uomini; per questo egli poteva manifestare una vera simpatia e mostrare una sincera compassione. Ma raramente indulgeva alla pietà. Mentre la sua compassione era illimitata, la sua simpatia era pratica, personale e costruttiva. La sua familiarità con la sofferenza non generò mai indifferenza, e sapeva portare il suo ministero alle anime angosciate senza accrescere la loro autocommiserazione.
(1874.7) 171:7.4 Gesù poteva aiutare così tanto gli uomini perché li amava sinceramente. Egli amava veramente ogni uomo, ogni donna e ogni bambino. Egli poteva essere un tale vero amico a causa della sua notevole percezione — conosceva pienamente quello che c’era nel cuore e nella mente dell’uomo. Egli era un osservatore interessato ed acuto. Era un esperto nella comprensione dei bisogni umani, abile nello scoprire i desideri umani.
(1874.8) 171:7.5 Gesù non era mai impaziente. Egli aveva tempo per confortare i suoi simili “mentre passava”. E faceva sempre sentire i suoi amici a proprio agio. Era un ascoltatore affascinante. Egli non s’impegnò mai in un’indagine indiscreta dell’anima dei suoi associati. Quando confortava delle menti affamate e curava delle anime assetate, i beneficiari della sua misericordia non avevano tanto l’impressione di confessarsi a lui quanto di conferire con lui. Essi avevano una fiducia illimitata in lui perché vedevano che egli aveva così tanta fede in loro.
(1875.1) 171:7.6 Egli non sembrò mai essere curioso verso la gente e non manifestò mai il desiderio di comandarli, di dirigerli o di approfittare di loro. Egli ispirava una profonda fiducia in se stessi ed un fermo coraggio in tutti coloro che godevano della sua associazione. Quando sorrideva ad un uomo, quel mortale sperimentava un’accresciuta capacità di risolvere i suoi molteplici problemi.
(1875.2) 171:7.7 Gesù amava così tanto e così saggiamente gli uomini che non esitava mai ad essere severo con loro quando la situazione esigeva tale disciplina. Frequentemente egli portava aiuto ad una persona chiedendogli aiuto. In questo modo egli suscitava interesse e faceva appello alle cose migliori della natura umana.
(1875.3) 171:7.8 Il Maestro seppe discernere la fede salvifica nella superstizione grossolana della donna che cercava la guarigione toccando il bordo della sua veste. Egli era sempre pronto e disposto ad interrompere un sermone o a fare attendere una moltitudine mentre provvedeva ai bisogni di una singola persona, anche di un bambino. Accaddero grandi cose non solo perché le persone avevano fede in Gesù, ma anche perché Gesù aveva così tanta fede in loro.
(1875.4) 171:7.9 La maggior parte delle cose realmente importanti che Gesù disse o fece sembrarono accadere per caso, “mentre egli passava”. Ci fu così poco di professionale, di prestabilito o di premeditato nel ministero terrestre del Maestro. Egli dispensò salute e sparse felicità con naturalezza e grazia mentre viaggiava attraverso la vita. Era letteralmente vero che “egli andava in giro facendo del bene”.
(1875.5) 171:7.10 E si conviene ai seguaci del Maestro che in tutte le ere imparino a curare mentre “passano” — a fare del bene disinteressato mentre si occupano dei loro doveri quotidiani.
(1875.6) 171:8.1 Essi non partirono da Gerico che poco prima di mezzogiorno, perché erano rimasti alzati fino a tardi la sera prima mentre Gesù insegnava a Zaccheo e alla sua famiglia il vangelo del regno. Circa a metà della strada che saliva verso Betania il gruppo si fermò per mangiare, mentre la moltitudine proseguiva per Gerusalemme, non sapendo che Gesù e gli apostoli stavano andando a trascorrere quella notte sul Monte degli Olivi.
(1875.7) 171:8.2 La parabola delle monete, contrariamente alla parabola dei talenti che era destinata a tutti i discepoli, fu raccontata più esclusivamente agli apostoli ed era largamente basata sull’esperienza di Archelao e sul suo futile tentativo di conquistare la sovranità del regno di Giudea. Questa è una delle poche parabole del Maestro basata su un personaggio storico reale. Non era strano che essi avessero pensato ad Archelao, poiché la casa di Zaccheo a Gerico era molto vicina all’adorno palazzo di Archelao, ed il suo acquedotto correva lungo la strada per la quale essi erano partiti da Gerico.
(1875.8) 171:8.3 Gesù disse: “Voi pensate che il Figlio dell’Uomo vada a Gerusalemme per ricevere un regno, ma io vi dichiaro che rimarrete delusi. Non vi ricordate di un certo principe che andò in un paese lontano per ricevere un regno, ma prima ancora che fosse tornato i cittadini della sua provincia, che lo avevano già respinto nel loro cuore, gli mandarono un’ambasceria dicendo: ‘Noi non vogliamo che quest’uomo regni su di noi’? Come questo re fu respinto nel governo temporale, così il Figlio dell’Uomo sarà respinto nel governo spirituale. Io vi dichiaro nuovamente che il mio regno non è di questo mondo; ma se al Figlio dell’Uomo fosse stato concesso il governo spirituale del suo popolo, egli avrebbe accettato questo regno di anime umane ed avrebbe regnato su tale dominio di cuori umani. Nonostante che essi respingano il mio governo spirituale su di loro, io tornerò di nuovo per ricevere da altri tale regno dello spirito che ora mi è negato. Voi vedrete il Figlio dell’Uomo ora respinto, ma in un’altra era ciò che i figli di Abramo ora respingono sarà accolto ed esaltato.
(1876.1) 171:8.4 “Ed ora, come il nobile respinto di questa parabola, vorrei convocare davanti a me i miei dodici servitori, i miei intendenti speciali, e dando a ciascuno di voi la somma di una mina, vorrei raccomandare ad ognuno di seguire bene le mie istruzioni per commerciare diligentemente con il denaro affidatovi durante la mia assenza, affinché abbiate di che giustificare la vostra gestione quando ritornerò, quando vi sarà richiesto un resoconto.
(1876.2) 171:8.5 “Ed anche se questo Figlio respinto non tornasse, un altro Figlio sarà inviato a ricevere questo regno, e questo Figlio manderà allora a cercarvi tutti per ricevere il vostro rapporto di gestione e per godere dei vostri guadagni.
(1876.3) 171:8.6 “E quando questi intendenti furono successivamente convocati per la resa dei conti, si fece avanti il primo dicendo: ‘Signore, con la tua mina ne ho guadagnate altre dieci.’ E il suo padrone gli disse: ‘Ben fatto; tu sei un buon servitore; poiché ti sei mostrato fedele in questo affare, ti darò autorità su dieci città.’ Poi venne il secondo dicendo: ‘La mina che mi hai affidato, Signore, ha prodotto cinque mine.’ E il padrone disse: ‘Di conseguenza ti farò capo di cinque città.’ E così di seguito per tutti gli altri fino a che l’ultimo dei servitori, chiamato a rendere conto, disse: ‘Signore, ecco la tua mina che ho conservato con cura avvolta in questo panno. Ho fatto ciò perché avevo paura di te; ho pensato che eri esigente, visto che raccogli dove non hai depositato e che cerchi di mietere dove non hai seminato.’ Allora il padrone disse: ‘Servo negligente ed infedele, ti giudicherò secondo le tue stesse parole. Tu sapevi che io raccolgo dove apparentemente non ho seminato; perciò sapevi che ti sarebbe stato richiesto questo rendiconto. Conoscendo ciò, avresti dovuto almeno consegnare il mio denaro al banchiere, affinché al mio ritorno io potessi averlo avuto con un interesse adeguato.’
(1876.4) 171:8.7 “E poi questo principe disse a coloro che stavano là: ‘Togliete il denaro a questo servo parassita e datelo a quello che ha dieci mine.’ E quando essi ricordarono al padrone che costui aveva già dieci mine, egli disse: ‘A chiunque ha sarà dato di più, ma a colui che non ha gli sarà tolto anche quello che ha.’ ”
(1876.5) 171:8.8 Allora gli apostoli cercarono di conoscere la differenza tra il significato di questa parabola e quello della precedente parabola dei talenti, ma Gesù disse soltanto, in risposta alle loro numerose domande: “Meditate bene queste parole nel vostro cuore mentre ciascuno di voi scopre il loro vero significato.”
(1876.6) 171:8.9 Fu Natanaele che insegnò così bene il significato di queste due parabole negli anni successivi, riassumendo i suoi insegnamenti in queste conclusioni:
(1876.7) 171:8.10 1. La capacità è la misura pratica delle opportunità della vita. Non sarete mai ritenuti responsabili del compimento di ciò che oltrepassa le vostre capacità.
(1876.8) 171:8.11 2. La fedeltà è la misura infallibile della credibilità umana. Colui che è fedele nelle piccole cose mostrerà similmente fedeltà anche in tutto ciò che è compatibile con le sue doti.
(1876.9) 171:8.12 3. Il Padrone concede una ricompensa minore per una fedeltà minore quando l’opportunità è uguale.
(1877.1) 171:8.13 4. Egli concede una ricompensa uguale per una fedeltà uguale quando l’opportunità è minore.
(1877.2) 171:8.14 Quando essi ebbero finito di mangiare, e dopo che la moltitudine di seguaci ebbe proseguito verso Gerusalemme, Gesù, alzatosi in piedi davanti agli apostoli all’ombra di una roccia a strapiombo sulla strada, con gioiosa dignità e graziosa maestà puntò il dito verso ovest dicendo: “Venite, fratelli miei, entriamo in Gerusalemme per ricevervi ciò che ci aspetta; compiremo così la volontà del Padre celeste in tutte le cose.”
(1877.3) 171:8.15 E così Gesù ed i suoi apostoli ripresero questo viaggio, l’ultimo del Maestro a Gerusalemme nelle sembianze della carne di un uomo mortale.
(1878.1) 172:0.1 GESÙ e gli apostoli arrivarono a Betania poco dopo le quattro del pomeriggio di venerdì 31 marzo dell’anno 30 d.C. Lazzaro, le sue sorelle ed i loro amici li stavano aspettando. E poiché veniva ogni giorno così tanta gente a parlare con Lazzaro della sua risurrezione, Gesù fu informato che era stato disposto che lui andasse ad alloggiare presso un vicino credente, un certo Simone, il cittadino più influente del piccolo villaggio dopo la morte del padre di Lazzaro.
(1878.2) 172:0.2 Quella sera Gesù ricevette molti visitatori, e la gente comune di Betania e di Betfage fecero del loro meglio perché egli si sentisse il benvenuto. Sebbene molti pensassero che Gesù stesse andando ora a Gerusalemme in totale dispregio del decreto di morte del Sinedrio, per proclamarsi re dei Giudei, la famiglia di Betania — Lazzaro, Marta e Maria — realizzarono più pienamente che il Maestro non era quel tipo di re; essi avevano la vaga sensazione che questa potesse essere la sua ultima visita a Gerusalemme e a Betania.
(1878.3) 172:0.3 I capi dei sacerdoti furono informati che Gesù alloggiava a Betania, ma ritennero preferibile non cercare d’impadronirsi di lui tra i suoi amici; essi decisero di aspettare che egli entrasse a Gerusalemme. Gesù conosceva tutto ciò, ma era maestosamente calmo; i suoi amici non l’avevano mai visto più sereno ed amabile. Anche gli apostoli rimasero stupiti nel vederlo così distaccato, mentre il Sinedrio aveva fatto appello a tutti gli Ebrei perché lo consegnassero nelle loro mani. Quella notte, mentre il Maestro dormiva, gli apostoli vigilarono su di lui due per volta, e molti di loro erano cinti di spada. L’indomani mattina presto essi furono svegliati da centinaia di pellegrini che erano venuti da Gerusalemme, anche nel giorno di sabato, per vedere Gesù e Lazzaro, che egli aveva risuscitato dalla morte.
(1878.4) 172:1.1 I pellegrini provenienti da fuori della Giudea, come pure le autorità ebraiche, si erano tutti chiesto: “Che cosa ne pensate? Gesù verrà alla festa?” Perciò, quando il popolo seppe che Gesù era a Betania fu felice, ma i capi dei sacerdoti e i Farisei furono un po’ perplessi. Essi erano contenti di averlo sotto la loro giurisdizione, ma erano leggermente sconcertati dalla sua audacia; si ricordarono che, durante la sua precedente visita a Betania, Lazzaro era stato risuscitato dalla morte, e Lazzaro stava divenendo un grosso problema per i nemici di Gesù.
(1878.5) 172:1.2 Sei giorni prima della Pasqua, la sera dopo il sabato, tutti gli abitanti di Betania e di Betfage si riunirono per celebrare l’arrivo di Gesù con un banchetto pubblico a casa di Simone. Questa cena era in onore sia di Gesù sia di Lazzaro; essa fu offerta sfidando il Sinedrio. Marta diresse il servizio del pasto; sua sorella Maria era tra le spettatrici, perché era contrario al costume degli Ebrei che una donna sedesse ad un banchetto pubblico. Gli agenti del Sinedrio erano presenti, ma temevano di arrestare Gesù in mezzo ai suoi amici.
(1879.1) 172:1.3 Gesù parlò con Simone del Giosuè di un tempo, di cui era omonimo, e raccontò come Giosuè e gli Israeliti fossero giunti a Gerusalemme passando per Gerico. Commentando la leggenda della caduta delle mura di Gerico, Gesù disse: “Io non m’interesso di queste mura di mattoni e di pietra; ma vorrei provocare il crollo delle mura del pregiudizio, dell’ipocrisia e dell’odio davanti a questa predicazione dell’amore del Padre per tutti gli uomini.”
(1879.2) 172:1.4 Il banchetto proseguì molto allegramente e normalmente, salvo che tutti gli apostoli erano insolitamente seri. Gesù era eccezionalmente gaio ed aveva giocato con i bambini fino al momento di mettersi a tavola.
(1879.3) 172:1.5 Non accadde nulla di straordinario sin verso la fine della festa quando Maria, la sorella di Lazzaro, uscì dal gruppo delle spettatrici, e avanzando fino a dove Gesù era sdraiato come ospite d’onore, aprì un grosso vasetto di alabastro contenente un unguento molto raro e costoso; e dopo avere unto la testa del Maestro, essa cominciò a versarne sui suoi piedi e sciolse i suoi capelli per asciugarglieli. Tutta la casa fu riempita del profumo dell’unguento, ed ognuno dei presenti rimase stupito per ciò che Maria aveva fatto. Lazzaro non disse nulla, ma quando alcuni del popolo mormorarono, indignati che un unguento così costoso fosse usato in questo modo, Giuda Iscariota si avvicinò a dove era sdraiato Andrea e disse: “Perché non si è venduto questo unguento e non si è dato il denaro per nutrire i poveri? Dovresti dire al Maestro di rimproverare un tale spreco.”
(1879.4) 172:1.6 Gesù, conoscendo ciò che pensavano e sentendo ciò che dicevano, pose la sua mano sulla testa di Maria inginocchiata al suo fianco e, con un’espressione dolce sul suo viso, disse: “Che ciascuno di voi la lasci in pace. Perché la tormentate per questo, visto che ha compiuto una buona azione in cuor suo? A voi che mormorate e dite che questo unguento avrebbe dovuto essere venduto e il denaro dato ai poveri, lasciatemi dire che voi avete sempre i poveri con voi, cosicché potete assisterli in ogni momento che vi sembri opportuno; ma io non sarò sempre con voi; andrò presto da mio Padre. Questa donna ha conservato a lungo questo unguento per ungere il mio corpo quando sarà sepolto, ed ora che gli è sembrato bene fare questa unzione in anticipo sulla mia morte, non le sarà negata questa soddisfazione. Facendo questo Maria vi ha rimproverati tutti, nel senso che con questo atto essa manifesta la sua fede in ciò che ho detto sulla mia morte e la mia ascensione al Padre che è nei cieli. Questa donna non sarà rimproverata per ciò che ha fatto questa sera; piuttosto dico a voi che nelle ere future, quando questo vangelo sarà predicato nel mondo intero, di ciò che essa ha fatto si parlerà in ricordo di lei.”
(1879.5) 172:1.7 Fu a causa di questo biasimo, che egli prese come un rimprovero personale, che Giuda Iscariota si decise definitivamente a cercare vendetta per i suoi sentimenti offesi. Egli aveva intrattenuto molte volte queste idee nel suo subcosciente, ma ora osava nutrire questi cattivi pensieri nella sua mente apertamente e coscientemente. E molti altri lo incoraggiavano in questo atteggiamento, poiché il costo di questo unguento equivaleva al salario di un uomo per un anno — abbastanza per fornire di pane cinquemila persone. Ma Maria amava Gesù; essa si era procurata questo prezioso unguento con cui imbalsamare il suo corpo dopo la morte, perché credette alle sue parole quando li preavvertì che egli doveva morire, e ciò non doveva esserle negato se essa aveva cambiato parere e scelto di fare questa offerta al Maestro mentre era ancora in vita.
(1879.6) 172:1.8 Lazzaro e Marta sapevano entrambi che Maria aveva risparmiato da lungo tempo il denaro con cui acquistare questo vasetto di nardo, ed approvavano totalmente che avesse agito come il suo cuore desiderava in questa materia, perché essi erano benestanti e potevano facilmente permettersi di fare una simile offerta.
(1880.1) 172:1.9 Quando i capi dei sacerdoti ebbero notizia di questa cena a Betania in onore di Gesù e di Lazzaro, cominciarono a consultarsi tra loro su che cosa si dovesse fare di Lazzaro. Ed essi decisero subito che anche Lazzaro doveva morire. Essi conclusero giustamente che sarebbe stato inutile mettere a morte Gesù se avessero permesso a Lazzaro, che egli aveva risuscitato dalla morte, di vivere.
(1880.2) 172:2.1 Questa domenica mattina, nello splendido giardino di Simone, il Maestro riunì i suoi dodici apostoli attorno a lui e diede loro le istruzioni finali preparatorie all’entrata a Gerusalemme. Egli disse loro che probabilmente avrebbe pronunciato molti discorsi e tenuto numerose lezioni prima di ritornare al Padre, ma raccomandò agli apostoli di astenersi da ogni atto pubblico durante questo soggiorno per la Pasqua a Gerusalemme. Egli ordinò loro di restare vicino a lui e di “vegliare e pregare”. Gesù sapeva che molti dei suoi apostoli e discepoli immediati portavano ancora delle spade nascoste su di loro, ma non fece alcuna allusione a questo fatto.
(1880.3) 172:2.2 Le istruzioni di questa mattina comprendevano un breve riassunto del loro ministero dal giorno della loro ordinazione vicino a Cafarnao fino a questo giorno in cui si stavano preparando ad entrare a Gerusalemme. Gli apostoli ascoltarono in silenzio; non posero alcuna domanda.
(1880.4) 172:2.3 Quel mattino presto Davide Zebedeo aveva rimesso a Giuda i fondi realizzati dalla vendita dell’equipaggiamento dell’accampamento di Pella, e Giuda, a sua volta, aveva consegnato la maggior parte di questo denaro a Simone, il loro ospite, perché lo conservasse in previsione delle necessità della loro entrata a Gerusalemme.
(1880.5) 172:2.4 Dopo la conferenza con gli apostoli, Gesù ebbe un colloquio con Lazzaro e gli raccomandò di evitare di sacrificare la sua vita al desiderio di vendetta del Sinedrio. Fu in obbedienza a questa raccomandazione che Lazzaro, alcuni giorni più tardi, fuggì a Filadelfia quando gli ufficiali del Sinedrio mandarono degli uomini per arrestarlo.
(1880.6) 172:2.5 In un certo senso tutti i seguaci di Gesù sentivano la crisi imminente, ma non riuscirono a realizzare pienamente la gravità per l’insolita allegria e l’eccezionale buonumore del Maestro.
(1880.7) 172:3.1 Betania era a quasi tre chilometri dal tempio, ed era l’una e mezza di quella domenica pomeriggio quando Gesù si preparò a partire per Gerusalemme. Egli nutriva dei sentimenti di profondo affetto per Betania e per la sua popolazione semplice. Nazaret, Cafarnao e Gerusalemme l’avevano respinto, ma Betania l’aveva accolto, aveva creduto in lui. E fu in questo piccolo villaggio, dove quasi ogni uomo, donna e bambino erano credenti, che egli scelse di compiere la più potente opera del suo conferimento terreno, la risurrezione di Lazzaro. Egli non risuscitò Lazzaro perché gli abitanti del villaggio potessero credere, ma piuttosto perché già credevano.
(1880.8) 172:3.2 Gesù aveva riflettuto tutta la mattina sulla sua entrata a Gerusalemme. Fino ad allora egli si era sempre sforzato d’impedire ogni acclamazione pubblica verso di lui come Messia, ma ora era diverso. Egli si stava avvicinando alla fine della sua carriera nella carne, la sua morte era stata decretata dal Sinedrio e nessun danno poteva derivare dal permettere ai suoi discepoli di dare libera espressione ai loro sentimenti, proprio come poteva accadere se avesse scelto di fare un’entrata ufficiale e pubblica nella città.
(1881.1) 172:3.3 Gesù non decise di fare questa entrata pubblica in Gerusalemme come ultimo appello al favore popolare né come presa finale del potere. Né fece questo solo per soddisfare i desideri umani dei suoi discepoli ed apostoli. Gesù non intratteneva alcuna delle illusioni di un sognatore fantasioso; egli sapeva bene quale sarebbe stato il risultato di questa visita.
(1881.2) 172:3.4 Avendo deciso di fare un’entrata pubblica in Gerusalemme, il Maestro fu posto di fronte alla necessità di scegliere un metodo appropriato per eseguire un tale proposito. Gesù passò in rivista le molte, più o meno contraddittorie, cosiddette profezie messianiche, ma sembrò che ce ne fosse soltanto una che fosse del tutto idonea ad essere seguita da lui. La maggior parte di queste espressioni profetiche descrivevano un re, figlio e successore di Davide, un liberatore temporale audace ed aggressivo di tutto Israele dal giogo della dominazione straniera. Ma c’era una Scrittura che era stata talvolta associata al Messia da coloro che erano maggiormente legati al concetto spirituale della sua missione, che Gesù ritenne potesse coerentemente essere presa come guida per la sua progettata entrata in Gerusalemme. Questa Scrittura si trovava in Zaccaria e diceva: “Gioisci grandemente, o figlia di Sion; grida di gioia, o figlia di Gerusalemme. Ecco, il tuo re viene a te. Egli è giusto e porta la salvezza. Viene umilmente, montato su un asino, su un somarello, il puledro di un’asina.”
(1881.3) 172:3.5 Un re guerriero entrava sempre in una città montato su un cavallo; un re in missione di pace e di amicizia entrava sempre montato su un asino. Gesù non voleva entrare a Gerusalemme montato su un cavallo, ma era intenzionato ad entrare pacificamente e con buona disposizione come Figlio dell’Uomo, montato su un asino.
(1881.4) 172:3.6 Gesù aveva tentato a lungo d’imprimere con l’insegnamento diretto nei suoi apostoli e nei suoi discepoli che il suo regno non era di questo mondo, che si trattava di una questione puramente spirituale; ma non ebbe successo in questo sforzo. Ora, ciò che non era riuscito a fare con il suo insegnamento chiaro e personale, egli voleva tentare di compiere con un appello simbolico. Di conseguenza, subito dopo il pasto di mezzogiorno Gesù chiamò Pietro e Giovanni, e dopo aver ordinato loro di andare a Betfage, un villaggio vicino situato poco a lato della strada maestra e a breve distanza a nordovest di Betania, disse ancora: “Andate a Betfage, e quando arriverete all’incrocio delle strade, troverete il puledro di un’asina legato là. Staccate il somarello e conducetelo con voi. Se qualcuno vi chiede perché fate questo, dite semplicemente: ‘Il Maestro ne ha bisogno.’ ” E quando i due apostoli furono andati a Betfage come il Maestro aveva ordinato, trovarono il somarello legato vicino a sua madre in strada e accanto ad una casa d’angolo. Mentre Pietro cominciava a staccare il somarello, arrivò il proprietario e chiese perché facessero questo, e quando Pietro gli rispose come Gesù aveva comandato, l’uomo disse: “Se il vostro Maestro è Gesù di Galilea, il somarello è a sua disposizione.” E così essi ritornarono conducendo il somarello con loro.
(1881.5) 172:3.7 In questo momento parecchie centinaia di pellegrini si erano riuniti attorno a Gesù e ai suoi apostoli. A partire da metà mattina i visitatori di passaggio che andavano alla Pasqua si erano fermati. Nel frattempo Davide Zebedeo ed alcuni dei suoi precedenti messaggeri associati s’incaricarono di scendere in fretta a Gerusalemme, dove sparsero efficacemente la notizia, tra le folle di pellegrini che visitavano il tempio, che Gesù di Nazaret avrebbe fatto un’entrata trionfale nella città. Di conseguenza parecchie migliaia di questi visitatori si radunarono fuori per salutare colui di cui si era tanto parlato come di un profeta ed autore di prodigi, che alcuni credevano essere il Messia. Questa moltitudine, uscita da Gerusalemme, incontrò Gesù e la folla che si dirigevano verso la città subito dopo che avevano superato la sommità dell’Oliveto ed iniziato a scendere verso la città.
(1882.1) 172:3.8 Quando la processione partì da Betania c’era grande entusiasmo tra la folla festante di discepoli, di credenti e di pellegrini visitatori, molti dei quali provenienti dalla Galilea e dalla Perea. Poco prima che essi partissero, le dodici donne del corpo femminile iniziale, accompagnate da alcune delle loro associate, arrivarono sulla scena e si unirono a questa straordinaria processione che si dirigeva gioiosamente verso la città.
(1882.2) 172:3.9 Prima della partenza i gemelli Alfeo misero i loro mantelli sull’asino e lo condussero mentre il Maestro lo cavalcava. Mentre la processione procedeva verso la sommità dell’Oliveto, la folla festante gettava le vesti per terra e portava dei rami presi dagli alberi vicini per fare un tappeto d’onore per l’asino che portava il Figlio regale, il Messia promesso. Mentre la folla felice avanzava verso Gerusalemme, cominciò a cantare, o piuttosto a gridare all’unisono, il Salmo: “Osanna al figlio di Davide; benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei cieli. Benedetto sia il regno che scende dal cielo.”
(1882.3) 172:3.10 Gesù fu allegro e contento durante il tragitto fino a che giunse sulla sommità dell’Oliveto, da dove si aveva una vista completa della città e delle torri del tempio; là il Maestro fermò la processione ed un grande silenzio scese su tutti quando lo videro piangere. Guardando giù verso la vasta moltitudine che usciva dalla città per venirgli incontro, il Maestro, con molta emozione e con voce rotta, disse: “O Gerusalemme, se solo avessi conosciuto anche tu, almeno in questo tuo giorno, le cose che appartengono alla tua pace e che avresti potuto avere così largamente! Ma ora queste glorie stanno per essere nascoste ai tuoi occhi. Tu stai per respingere il Figlio della Pace e per voltare le spalle al vangelo della salvezza. Verranno presto i giorni in cui i tuoi nemici scaveranno una trincea attorno a te e ti assedieranno da ogni lato; essi ti distruggeranno completamente, in modo che non sarà lasciata pietra su pietra. E tutto ciò ti succederà perché non hai riconosciuto il tempo della tua visitazione divina. Tu stai per respingere il dono di Dio, e tutti gli uomini respingeranno te.”
(1882.4) 172:3.11 Quando essi ebbero finito di parlare, cominciarono a scendere dall’Oliveto e furono subito raggiunti dalla moltitudine di visitatori che erano venuti da Gerusalemme agitando rami di palma, gridando osanna ed esprimendo in altri modi allegria e cordialità. Il Maestro non aveva programmato che queste folle uscissero da Gerusalemme incontro a loro; ciò fu opera di altri. Egli non premeditò mai alcunché di teatrale.
(1882.5) 172:3.12 Assieme alla moltitudine che uscì per dare il benvenuto al Maestro vennero anche molti Farisei ed altri suoi nemici. Essi furono talmente sconcertati da questa esplosione improvvisa ed inattesa di acclamazione popolare che ebbero paura di arrestarlo, per timore che tale azione precipitasse in un’aperta rivolta del popolino. Essi temevano grandemente il comportamento del gran numero di visitatori che avevano sentito parlare molto di Gesù, e numerosi dei quali credevano in lui.
(1882.6) 172:3.13 Via via che si avvicinavano a Gerusalemme la folla diveniva più tumultuante, al punto che alcuni dei Farisei si avvicinarono a Gesù e dissero: “Maestro, dovresti rimproverare i tuoi discepoli ed esortarli a comportarsi più decorosamente.” Gesù rispose: “È del tutto appropriato che questi figli diano il benvenuto al Figlio della Pace, che i capi dei sacerdoti hanno respinto. Sarebbe inutile fermarli, per timore che al loro posto gridino queste pietre dal ciglio della strada.”
(1882.7) 172:3.14 I Farisei si affrettarono a precedere la processione per raggiungere il Sinedrio, che era allora in sessione nel tempio, e riferirono ai loro associati: “Ecco, tutto ciò che facciamo non serve a nulla; noi siamo confusi da questo Galileo. Il popolo è diventato pazzo di lui; se non fermiamo questi ignoranti, il mondo intero lo seguirà.”
(1883.1) 172:3.15 In realtà non c’era un significato profondo da attribuire a questa esplosione superficiale e spontanea di entusiasmo popolare. Questa accoglienza, benché gioiosa e sincera, non denotava alcuna convinzione reale o profondamente radicata nei cuori di questa moltitudine festante. Questa stessa folla fu altrettanto pronta a respingere Gesù più tardi in questa settimana quando il Sinedrio ancora una volta prese una posizione ferma e risoluta contro di lui, e quando essi furono disillusi — quando si resero conto che Gesù non avrebbe instaurato il regno secondo le loro aspettative a lungo nutrite.
(1883.2) 172:3.16 Ma tutta la città fu fortemente scossa, al punto che ciascuno chiedeva: “Chi è quest’uomo?” E la moltitudine rispondeva: “È il profeta della Galilea, Gesù di Nazaret.”
(1883.3) 172:4.1 Mentre i gemelli Alfeo riportavano l’asino al suo proprietario, Gesù e i dieci apostoli si separarono dai loro associati immediati e gironzolarono nei pressi del tempio, osservando i preparativi per la Pasqua. Non fu fatto alcun tentativo di molestare Gesù perché il Sinedrio temeva grandemente il popolo, e questa fu, dopo tutto, una delle ragioni per le quali Gesù aveva permesso alla moltitudine di acclamarlo in questo modo. Gli apostoli non comprendevano che questa era l’unica procedura umana che avrebbe efficacemente impedito l’immediato arresto di Gesù al suo ingresso in città. Il Maestro desiderava dare agli abitanti di Gerusalemme, elevati ed umili, come pure alle decine di migliaia di partecipanti alla Pasqua, quest’ultima ulteriore occasione di ascoltare il vangelo e di ricevere, se volevano, il Figlio della Pace.
(1883.4) 172:4.2 Ed ora, mentre si avvicinava la sera e le folle andavano in cerca di cibo, Gesù ed i suoi discepoli immediati furono lasciati soli. Che strana giornata era stata! Gli apostoli erano pensierosi, ma taciturni. Mai, negli anni della loro associazione con Gesù, essi avevano assistito ad una giornata simile. Si sedettero un istante vicino alla tesoreria del tempio, osservando le persone che vi versavano il loro contributo: il ricco che metteva molto nella cassetta delle offerte e tutti che davano qualcosa secondo le loro possibilità. Alla fine arrivò una povera vedova, miseramente vestita, ed essi notarono che gettò due soldini (piccole monete di cuoio) nella tubo a tromba. Ed allora Gesù disse, richiamando l’attenzione degli apostoli sulla vedova: “Tenete bene a mente ciò che avete appena visto. Questa povera vedova ha dato più di tutti gli altri, perché tutti gli altri hanno offerto in dono una piccola parte del loro superfluo, ma questa povera donna invece, malgrado sia nell’indigenza, ha dato tutto ciò che aveva, anche il suo necessario.”
(1883.5) 172:4.3 Mentre cadeva la sera, essi camminarono in silenzio nei cortili del tempio, e dopo che Gesù ebbe osservato ancora una volta queste scene familiari, ricordando le emozioni legate alle sue precedenti visite, non escluse le prime, disse: “Saliamo a Betania a riposarci.” Gesù, con Pietro e Giovanni, andò a casa di Simone, mentre gli altri apostoli alloggiarono presso loro amici a Betania e a Betfage.
(1883.6) 172:5.1 Questa domenica sera, mentre tornavano a Betania, Gesù camminò davanti agli apostoli. Non fu detta alcuna parola fino al momento in cui si separarono dopo essere arrivati alla casa di Simone. Dodici esseri umani non avevano mai sperimentato delle emozioni così diverse ed inesplicabili come quelle che sorgevano ora nella mente e nell’anima di questi ambasciatori del regno. Questi robusti Galilei erano confusi e sconcertati; essi non sapevano che cosa aspettarsi; erano troppo sorpresi per essere molto spaventati. Essi non sapevano nulla dei piani del Maestro per il giorno successivo e non posero alcuna domanda. Andarono ai loro alloggi, anche se non dormirono molto, salvo i gemelli. Ma essi non montarono la guardia armata su Gesù a casa di Simone.
(1884.1) 172:5.2 Andrea era completamente disorientato, quasi confuso. Egli fu il solo apostolo che non s’impegnò a valutare seriamente l’esplosione popolare delle acclamazioni. Egli era troppo preoccupato con il pensiero della sua responsabilità come capo del corpo apostolico per abbandonarsi a serie considerazioni sul senso o sul significato dei chiassosi osanna della moltitudine. Andrea era impegnato a vegliare su alcuni dei suoi associati, che temeva si lasciassero trasportare dai loro sentimenti durante l’eccitazione, specialmente Pietro, Giacomo, Giovanni e Simone Zelota. Per tutto questo giorno e quelli che seguirono immediatamente, Andrea fu assalito da seri dubbi, ma non espresse mai alcuna di queste inquietudini ai suoi associati apostolici. Egli era preoccupato per l’atteggiamento di alcuni dei dodici che sapeva essere armati di spada; ma ignorava che suo fratello Pietro stesse portando una tale arma. E così la processione d’entrata a Gerusalemme fece un’impressione relativamente superficiale su Andrea; egli era troppo occupato con le responsabilità del suo incarico per essere toccato da altre cose.
(1884.2) 172:5.3 Simon Pietro fu dapprima quasi inebriato da questa manifestazione popolare d’entusiasmo; ma era considerevolmente lucido al momento in cui ritornarono a Betania quella sera. Pietro semplicemente non riusciva a capire le intenzioni del Maestro. Egli era terribilmente deluso dal fatto che Gesù non avesse approfittato di questa ondata di favore popolare per fare qualche tipo di annuncio. Pietro non riusciva a comprendere perché Gesù non parlò alla moltitudine quando arrivarono al tempio, o non permise almeno ad uno degli apostoli di parlare alla folla. Pietro era un grande predicatore e gli dispiacque di vedere sprecato un uditorio così vasto, ricettivo ed entusiasta. Gli sarebbe tanto piaciuto predicare il vangelo del regno a quella folla proprio qui nel tempio; ma il Maestro aveva specificamente ordinato loro di non insegnare o predicare mentre erano a Gerusalemme durante questa settimana di Pasqua. La reazione alla spettacolare processione di entrata in città fu disastrosa per Simon Pietro; alla sera egli era abbattuto ed inesprimibilmente triste.
(1884.3) 172:5.4 Per Giacomo Zebedeo questa domenica fu un giorno di perplessità e di profonda confusione; egli non riusciva a cogliere il senso di ciò che stava accadendo; non riusciva a comprendere il proposito del Maestro nel permettere queste sfrenate acclamazioni, rifiutando poi di dire una sola parola al popolo quando giunsero al tempio. Mentre la processione scendeva dall’Oliveto verso Gerusalemme, e più particolarmente quando incontrarono le migliaia di pellegrini che si riversarono fuori per accogliere il Maestro, Giacomo fu crudelmente lacerato dai suoi sentimenti contraddittori di esultanza e di soddisfazione per ciò che vedeva, e dal suo profondo senso di paura per ciò che sarebbe accaduto quando avessero raggiunto il tempio. E poi egli fu scoraggiato ed abbattuto dalla delusione quando Gesù scese dall’asino e si mise a passeggiare tranquillamente nei cortili del tempio. Giacomo non riusciva a comprendere perché egli avesse sprecato questa magnifica occasione per proclamare il regno. Alla sera la sua mente era saldamente stretta nella morsa di un’angosciante e terribile incertezza.
(1884.4) 172:5.5 Giovanni Zebedeo giunse quasi a comprendere perché Gesù fece questo; egli colse almeno in parte il significato spirituale di questa cosiddetta entrata trionfale in Gerusalemme. Mentre la moltitudine si dirigeva verso il tempio, e mentre osservava il suo Maestro a cavalcioni del somarello, Giovanni si ricordò di aver sentito Gesù citare una volta il passaggio delle Scritture, l’affermazione di Zaccaria, che descriveva la venuta del Messia come un uomo di pace che entrava a Gerusalemme su un asino. Mentre rifletteva su questa Scrittura, Giovanni cominciò a comprendere il significato simbolico di questa parata di domenica pomeriggio. O almeno egli colse abbastanza del significato di questa Scrittura da poter godere un po’ dell’episodio ed evitare di lasciarsi deprimere eccessivamente dalla fine apparentemente senza senso della processione trionfale. Giovanni aveva un tipo di mente che tendeva naturalmente a pensare e a sentire per simboli.
(1885.1) 172:5.6 Filippo fu completamente sconvolto dalla repentinità e spontaneità dell’esplosione. Egli non riuscì a raccogliere a sufficienza le sue idee mentre scendevano dall’Oliveto per giungere ad una conclusione precisa sul significato della dimostrazione. In un certo senso egli godeva dello spettacolo perché il suo Maestro veniva onorato. Quando arrivarono al tempio, egli fu turbato dal pensiero che Gesù potesse chiedergli di nutrire la moltitudine, cosicché la condotta di Gesù nell’allontanarsi tranquillamente dalla folla, che deluse così grandemente la maggior parte degli apostoli, fu un notevole sollievo per Filippo. Le moltitudini erano state talvolta una grande prova per l’intendente dei dodici. Dopo essere stato sollevato da questi timori personali concernenti i bisogni materiali della folla, Filippo si unì a Pietro nell’esprimere la sua delusione per il fatto che non si facesse niente per istruire la moltitudine. Quella sera Filippo ripensò a queste esperienze e fu tentato di mettere in dubbio l’intera idea del regno; egli si chiese onestamente che cosa significassero tutte queste cose, ma non espresse i suoi dubbi a nessuno; amava troppo Gesù. Egli aveva una grande fede personale nel Maestro.
(1885.2) 172:5.7 All’infuori degli aspetti simbolici e profetici, Natanaele fu il più vicino a comprendere la ragione del Maestro di assicurarsi il supporto popolare dei pellegrini della Pasqua. Prima che arrivassero al tempio, egli ragionò che, senza una tale entrata spettacolare a Gerusalemme, Gesù sarebbe stato arrestato dagli agenti del Sinedrio e gettato in prigione nel momento in cui avesse osato entrare in città. Egli non fu, dunque, minimamente sorpreso che il Maestro non si servisse più della folla entusiasta una volta che fu entrato dentro le mura della città e che ebbe impressionato così fortemente i dirigenti ebrei che essi si astennero dal porlo immediatamente in stato di arresto. Comprendendo la vera ragione del Maestro di entrare in città in questo modo, Natanaele naturalmente proseguì con maggior equilibrio e fu meno turbato e deluso dalla successiva condotta di Gesù rispetto agli altri apostoli. Natanaele aveva una grande fiducia nella comprensione di Gesù degli uomini, come pure nella sua sagacia e abilità nel trattare situazioni difficili.
(1885.3) 172:5.8 Matteo fu dapprima sconcertato dallo svolgimento di questa parata. Egli non comprese il significato di ciò che stavano vedendo i suoi occhi fino a che, anche lui, non ricordò la Scrittura in Zaccaria nella quale il profeta faceva allusione alla gioia di Gerusalemme perché il suo re era venuto a portare la salvezza cavalcando il puledro di un’asina. Mentre la processione si dirigeva verso la città e girava poi verso il tempio, Matteo era in estasi; egli era certo che sarebbe accaduto qualcosa di straordinario quando il Maestro fosse arrivato al tempio alla testa di questa moltitudine acclamante. Quando uno dei Farisei derise Gesù dicendo: “Osservate tutti, guardate chi viene qua, il re dei Giudei montato su un asino!” Matteo si trattenne dall’aggredirlo solo con un grande sforzo. Nessuno dei dodici era più depresso quella sera sulla strada del ritorno a Betania. Dopo Simon Pietro e Simone Zelota, fu lui che provò la maggior tensione nervosa e si trovò alla sera in uno stato di esaurimento. Ma il mattino dopo Matteo aveva ripreso coraggio; dopotutto egli era un buon giocatore.
(1886.1) 172:5.9 Tommaso fu il più sconcertato e perplesso dei dodici. Per la maggior parte del tempo egli si limitò a seguire gli altri, guardando lo spettacolo e chiedendosi onestamente quale poteva essere il motivo del Maestro per partecipare ad una tale insolita dimostrazione. Nel profondo del suo cuore egli considerava l’intero spettacolo come un po’ infantile, se non addirittura insensato. Egli non aveva mai visto Gesù fare qualcosa di simile ed era imbarazzato nello spiegarsi la sua strana condotta in questa domenica pomeriggio. Al momento in cui raggiunsero il tempio, Tommaso aveva concluso che lo scopo di questa dimostrazione popolare era di spaventare il Sinedrio al punto da non osare arrestare immediatamente il Maestro. Sulla strada di ritorno a Betania, Tommaso rifletté molto ma non disse nulla. Al momento di coricarsi, l’abilità del Maestro nell’organizzare la tumultuosa entrata a Gerusalemme aveva cominciato a fare un po’ appello al suo senso dell’umorismo, ed egli fu molto incoraggiato da questa reazione.
(1886.2) 172:5.10 Questa domenica era cominciata come un grande giorno per Simone Zelota. Egli aveva visioni di atti meravigliosi compiuti a Gerusalemme nei giorni successivi, ed in ciò aveva ragione, ma Simone sognava l’instaurazione della nuova sovranità nazionale degli Ebrei, con Gesù sul trono di Davide. Simone immaginò i nazionalisti entrare in azione appena fosse stato proclamato il regno, e lui stesso al comando supremo di tutte le forze militari del nuovo regno. Scendendo dall’Oliveto, egli immaginò anche che il Sinedrio e tutti i loro partigiani sarebbero morti prima del tramonto di quel giorno. Egli credeva realmente che qualcosa di grande stesse per accadere. Egli era l’uomo più rumoroso di tutta la moltitudine. Ma alle cinque di quel pomeriggio era un apostolo silenzioso, abbattuto e disilluso. Egli non si riprese mai del tutto dall’abbattimento che lo colpì a seguito dello shock di questo giorno; almeno non fino a molto tempo dopo la risurrezione del Maestro.
(1886.3) 172:5.11 Per i gemelli Alfeo questa fu una giornata perfetta. Essi la godettero realmente tutta, e non essendo presenti durante la tranquilla visita vicino al tempio, evitarono gran parte dello sgonfiamento della sollevazione popolare. Essi non riuscirono assolutamente a comprendere l’atteggiamento sconsolato degli apostoli quando ritornarono a Betania quella sera. Nei ricordi dei gemelli questo giorno fu sempre quello in cui si sentirono più vicini al cielo sulla terra. Questo giorno fu il culmine della soddisfazione in tutta la loro carriera di apostoli. Ed il ricordo dell’esaltazione di questa domenica pomeriggio li sostenne durante tutta la tragedia di questa memorabile settimana, fino all’ora della crocifissione. Era l’entrata più confacente ad un re che i gemelli potessero concepire; essi godettero ogni istante dell’intero spettacolo. Essi approvarono pienamente tutto ciò che videro e ne conservarono a lungo il ricordo.
(1886.4) 172:5.12 Tra tutti gli apostoli, Giuda Iscariota fu il più sfavorevolmente colpito da questa entrata processionale in Gerusalemme. La sua mente era in sgradevole fermento a causa del rimprovero del Maestro il giorno precedente, in connessione con l’unzione fatta da Maria alla festa in casa di Simone. Giuda fu disgustato da tutto lo spettacolo. Gli sembrò infantile, se non francamente ridicolo. Mentre questo apostolo vendicativo osservava quanto accadeva in questa domenica pomeriggio, Gesù gli sembrò somigliare più ad un clown che ad un re. Egli era profondamente risentito per l’intero avvenimento. Egli condivideva il punto di vista dei Greci e dei Romani, che biasimavano chiunque avesse acconsentito a montare un asino o un somarello. Nel momento in cui la processione trionfale entrò in città, Giuda era quasi convinto di abbandonare l’intera idea di un tale regno; era quasi deciso a rinunciare a tutti questi tentativi farseschi d’instaurare il regno dei cieli. E poi pensò alla risurrezione di Lazzaro e a molte altre cose, e decise di restare con i dodici, almeno per un altro giorno. Inoltre egli portava la borsa e non voleva disertare con i fondi apostolici in suo possesso. Sulla via del ritorno a Betania quella sera, la sua condotta non sembrò strana perché tutti gli apostoli erano ugualmente depressi e silenziosi.
(1887.1) 172:5.13 Giuda fu enormemente influenzato dalla derisione dei suoi amici Sadducei. Nessun altro singolo fattore esercitò un’influenza così potente su di lui, nella sua determinazione finale di abbandonare Gesù e gli altri compagni apostoli, quanto un episodio capitato proprio quando Gesù arrivò alla porta della città. Un eminente Sadduceo (un amico della famiglia di Giuda) si precipitò verso di lui con l’intenzione di canzonarlo, e dandogli un colpo sulle spalle disse: “Perché hai un’espressione così preoccupata, mio buon amico; fatti animo ed unisciti a noi nell’acclamare questo Gesù di Nazaret, il re dei Giudei, mentre varca le porte di Gerusalemme montato su un asino.” Giuda non aveva mai indietreggiato di fronte alle persecuzioni, ma non poté sopportare questo genere di derisione. Al sentimento di vendetta da tempo nutrito si mescolava ora questa fatale paura del ridicolo, quel sentimento terribile e spaventoso di vergognarsi del suo Maestro e dei suoi compagni apostoli. In cuor suo questo ambasciatore ordinato del regno era già un disertore; non gli restava che trovare qualche scusa plausibile per un’aperta rottura con il Maestro.
(1888.1) 173:0.1 LUNEDÌ mattina presto, come precedentemente convenuto, Gesù e gli apostoli si riunirono a casa di Simone a Betania e, dopo una breve riunione, partirono per Gerusalemme. I dodici restarono stranamente silenziosi durante il tragitto verso il tempio; essi non si erano ripresi dall’esperienza del giorno precedente. Erano ansiosi, timorosi e profondamente colpiti da un certo sentimento di distacco dovuto all’improvviso cambiamento di tattica del Maestro, unito al suo ordine che non dovevano impegnarsi in alcun insegnamento pubblico per tutta questa settimana di Pasqua.
(1888.2) 173:0.2 Mentre questo gruppo scendeva dal Monte Oliveto, Gesù stava davanti e gli apostoli lo seguivano da vicino in meditativo silenzio. C’era un solo pensiero dominante nella mente di tutti, salvo in quella di Giuda Iscariota, ed era: che cosa farà il Maestro oggi? Giuda era assorbito da un solo pensiero: che cosa farò io? Continuerò a rimanere con Gesù ed i miei associati o mi ritirerò? E se li lascio, come romperò?
(1888.3) 173:0.3 Erano circa le nove di questa splendida mattina quando questi uomini arrivarono al tempio. Essi andarono subito nel grande cortile dove Gesù aveva spesso insegnato, e dopo aver salutato i credenti che lo aspettavano, Gesù salì su una delle pedane riservate agli insegnanti e cominciò a parlare alla folla che si stava riunendo. Gli apostoli si allontanarono a breve distanza ed attesero gli sviluppi.
(1888.4) 173:1.1 Un enorme traffico commerciale si era sviluppato in connessione con i servizi e le cerimonie del culto nel tempio. C’era il commercio consistente nel fornire animali appropriati per i vari sacrifici. Sebbene fosse permesso ai fedeli di portare il proprio sacrificio, restava il fatto che questi animali dovevano essere esenti da ogni “difetto” nel senso della legge levitica e secondo l’interpretazione degli ispettori ufficiali del tempio. Molti fedeli avevano subito l’umiliazione di vedere il loro animale, ritenuto perfetto, respinto dagli esaminatori del tempio. Divenne perciò pratica generale acquistare gli animali sacrificali al tempio, e benché ci fossero parecchi allevamenti sul vicino Oliveto in cui potevano essere comperati, era divenuto costume acquistare questi animali direttamente nei recinti del tempio. Gradualmente si era sviluppato questo costume di vendere ogni sorta di animali sacrificali nei cortili del tempio. Era così sorto un esteso commercio da cui si traevano enormi profitti. Parte di questi guadagni era riservata al tesoro del tempio, ma la maggior parte tornava indirettamente nelle mani delle famiglie dell’alto sacerdozio che governava.
(1888.5) 173:1.2 Questa vendita di animali nel tempio prosperava perché, quando il fedele acquistava un tale animale, sebbene il prezzo fosse un po’ elevato, non c’erano più tasse da pagare e si era certi che il sacrificio presentato non sarebbe stato respinto sotto il pretesto di avere difetti reali o teorici. Di tanto in tanto venivano praticati al popolo comune esorbitanti aumenti di prezzo, specialmente durante le grandi feste nazionali. Ad un certo momento gli avidi sacerdoti arrivarono fino a chiedere l’equivalente di una settimana di lavoro per una coppia di piccioni che sarebbero stati venduti ai poveri per pochi soldi. I “figli di Anna” avevano già cominciato ad installare i loro bazar nei recinti del tempio, in quegli stessi luoghi di mercato che persisterono fino al momento della loro definitiva demolizione da parte del popolino tre anni prima della distruzione del tempio stesso.
(1889.1) 173:1.3 Ma il traffico di animali sacrificali e di mercanzie varie non era il solo modo in cui i cortili del tempio erano profanati. In quel periodo si era sviluppato un esteso sistema di scambi bancari e commerciali che era praticato nei recinti del tempio. E tutto ciò avvenne nel modo seguente: durante la dinastia degli Asmonei, gli Ebrei coniarono una loro moneta d’argento, e si era stabilita la pratica di esigere che la tassa del tempio di mezzo siclo e tutte le altre quote del tempio fossero pagate con questa moneta ebrea. Questa regola rese necessario che dei cambiavalute fossero autorizzati a cambiare i molti tipi di monete in circolazione in tutta la Palestina e nelle altre province dell’Impero Romano con questo siclo ortodosso di conio ebraico. La principale tassa del tempio, dovuta da tutti eccetto le donne, gli schiavi e i minori, era di mezzo siclo, una moneta della misura di un pezzo da dieci centesimi ma spessa il doppio. All’epoca di Gesù anche i sacerdoti erano stati esentati dal pagamento dell’imposta del tempio. Di conseguenza, dal 15 al 25 del mese precedente la Pasqua, dei cambiavalute accreditati erigevano le loro bancarelle nelle principali città della Palestina allo scopo di fornire agli Ebrei la moneta appropriata per pagare le tasse del tempio al loro arrivo a Gerusalemme. Dopo questo periodo di dieci giorni, questi cambiavalute andavano a Gerusalemme ed installavano i loro banchi di cambio nei cortili del tempio. Essi erano autorizzati a chiedere una commissione che andava da tre a quattro centesimi per il cambio di una moneta che valeva circa dieci centesimi, e nel caso fosse stata presentata per il cambio una moneta di valore superiore, era loro permesso chiedere il doppio. Questi banchieri del tempio traevano anche profitto dal cambio di tutto il denaro destinato all’acquisto degli animali sacrificali, al pagamento di voti e alle offerte.
(1889.2) 173:1.4 Questi cambiavalute del tempio non solo conducevano regolari affari di banca per trarre profitto dal cambio di più di venti tipi di monete che periodicamente i pellegrini in visita portavano a Gerusalemme, ma s’impegnavano anche in tutti gli altri tipi di transazioni connesse con l’attività bancaria. Il tesoro del tempio e i capi religiosi traevano immensi profitti da queste attività commerciali. Non era raro che il tesoro del tempio contenesse l’equivalente di più di dieci milioni di dollari, mentre il popolo comune languiva nella miseria e continuava a pagare queste tasse ingiuste.
(1889.3) 173:1.5 In mezzo a questa rumorosa aggregazione di cambiavalute, di venditori e di mercanti di bestiame, Gesù, questo lunedì mattina, tentò d’insegnare il vangelo del regno dei cieli. Egli non era il solo ad indignarsi per questa profanazione del tempio; il popolo comune, specialmente gli Ebrei in visita provenienti dalle province straniere, erano anch’essi profondamente risentiti per questo affarismo profanatore della loro casa nazionale di culto. In questo periodo il Sinedrio stesso teneva le sue riunioni ordinarie in una sala circondata da tutto questo vociare e questa confusione di commerci e di baratti.
(1890.1) 173:1.6 Nel momento in cui Gesù stava per iniziare il suo discorso, accaddero due fatti che attirarono la sua attenzione. Al banco di un vicino cambiavalute era sorta una violenta ed animata discussione circa una commissione ritenuta troppo elevata da un Ebreo di Alessandria, mentre contemporaneamente l’aria era lacerata dai muggiti di una mandria di un centinaio di buoi che stavano per essere trasferiti da una sezione dei recinti per il bestiame ad un’altra. Mentre Gesù si fermava, osservando silenziosamente ma pensierosamente questa scena di commercio e di confusione, notò vicino a lui un candido Galileo, un uomo con cui egli aveva parlato in passato ad Iron, che veniva deriso e spintonato da Giudei arroganti ed altezzosi; e tutto ciò si combinò per provocare nell’anima di Gesù uno di quegli strani periodici accessi d’indignata emozione.
(1890.2) 173:1.7 Con meraviglia dei suoi apostoli, che stavano nelle immediate vicinanze e che si astennero dal partecipare alla scena che seguì subito, Gesù scese dalla pedana d’insegnamento e, dirigendosi verso il ragazzo che stava conducendo il bestiame attraverso il cortile, gli tolse la frusta di corde e condusse immediatamente gli animali fuori del tempio. E questo non fu tutto; davanti agli sguardi meravigliati delle migliaia di persone riunite nel cortile del tempio egli avanzò maestosamente a grandi passi verso il recinto più lontano del bestiame e si mise ad aprire le porte di ogni stalla e a condurre fuori gli animali imprigionati. Allora i pellegrini riuniti furono galvanizzati, e con clamore tumultuoso andarono verso i bazar e cominciarono a rovesciare i tavoli dei cambiavalute. In meno di cinque minuti ogni commercio era stato spazzato via dal tempio. Nel momento in cui le vicine guardie romane apparvero sulla scena tutto era tranquillo e la folla si era calmata. Gesù, risalendo sulla pedana degli oratori, disse alla moltitudine: “Voi siete stati testimoni in questo giorno di ciò che sta scritto nelle Scritture: ‘La mia casa sarà chiamata una casa di preghiera per tutte le nazioni, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri.’ ”
(1890.3) 173:1.8 Ma prima che egli potesse pronunciare altre parole, la grande assemblea proruppe in osanna di lode, e subito un gruppo di giovani uscì dalla folla per cantare inni di riconoscenza perché i mercanti profani e speculatori erano stati cacciati dal tempio sacro. Nel frattempo erano arrivati sulla scena alcuni sacerdoti, e uno di loro disse a Gesù: “Non ascolti tu ciò che dicono i figli dei Leviti?” E il Maestro rispose: “Non hai mai letto tu: ‘La lode è uscita perfetta dalla bocca dei bambini e dei lattanti’?” E per tutto il resto di quel giorno, mentre Gesù insegnava, delle guardie incaricate dal popolo sorvegliarono ogni portico e non permisero a nessuno di trasportare nemmeno un recipiente vuoto attraverso i cortili del tempio.
(1890.4) 173:1.9 Quando i capi dei sacerdoti e gli Scribi seppero di questi avvenimenti, furono sbalorditi. Essi temettero ancora di più il Maestro e furono ancor più determinati ad ucciderlo. Ma erano perplessi. Essi non sapevano come portare a compimento la sua morte, perché temevano grandemente le moltitudini che avevano ora manifestato così apertamente la loro approvazione all’espulsione degli speculatori profani. E per tutto questo giorno, un giorno di quiete e di pace nei cortili del tempio, il popolo ascoltò l’insegnamento di Gesù e fu letteralmente sospeso alle sue labbra.
(1890.5) 173:1.10 Questo sorprendente atto di Gesù oltrepassò la comprensione dei suoi apostoli. Essi furono talmente colti di sorpresa da questa azione improvvisa ed inattesa del loro Maestro che rimasero per tutto l’episodio raggruppati vicino alla pedana degli oratori; essi non alzarono mai un dito per appoggiare questa purificazione del tempio. Se questo spettacolare avvenimento fosse accaduto il giorno prima, al momento dell’arrivo trionfale di Gesù al tempio al termine della tumultuosa processione attraverso le porte della città, acclamato senza sosta ad alta voce dalla moltitudine, essi sarebbero stati pronti ad agire, ma per il modo in cui ciò accadde, erano totalmente impreparati a parteciparvi.
(1891.1) 173:1.11 Questa purificazione del tempio rivelò l’atteggiamento del Maestro verso la commercializzazione delle pratiche religiose come pure la sua repulsione per tutte le forme d’ingiustizia e di speculazione a spese dei poveri e degli ignoranti. Questo episodio dimostrò anche che Gesù non approvava il rifiuto d’impiegare la forza per proteggere la maggioranza di un dato gruppo umano contro le pratiche inique e soggioganti di minoranze ingiuste capaci di trincerarsi dietro il potere politico, finanziario o ecclesiastico. Non si deve permettere a degli uomini astuti, perversi ed intriganti di organizzarsi per sfruttare ed opprimere coloro che, a causa del loro idealismo, non sono disposti a ricorrere alla forza per proteggersi o per mettere in esecuzione i loro lodevoli progetti di vita.
(1891.2) 173:2.1 L’entrata trionfale a Gerusalemme di domenica intimorì talmente i dirigenti ebrei che si astennero dall’arrestare Gesù. Oggi, questa purificazione spettacolare del tempio rinviò altrettanto efficacemente l’arresto del Maestro. Giorno dopo giorno i capi degli Ebrei divenivano sempre più determinati ad ucciderlo, ma ne erano impediti da due timori che concorrevano a ritardare il momento di colpire. I capi dei sacerdoti e gli Scribi non volevano arrestare Gesù in pubblico per timore che la folla potesse rivoltarsi contro di loro in preda al risentimento; essi paventavano anche la possibilità che le guardie romane fossero chiamate a reprimere una rivolta popolare.
(1891.3) 173:2.2 Nella sessione di mezzogiorno del Sinedrio fu deciso all’unanimità che Gesù doveva essere eliminato rapidamente, poiché nessuno degli amici del Maestro assisteva a questa riunione. Ma essi non riuscirono a mettersi d’accordo su quando e come egli sarebbe stato arrestato. Alla fine decisero di designare cinque gruppi che andassero tra la gente e cercassero di confonderlo nel suo insegnamento o di screditarlo in qualche altro modo agli occhi di coloro che ascoltavano la sua istruzione. Così, verso le due, quando Gesù aveva appena cominciato il suo discorso su “La libertà della filiazione”, un gruppo di questi anziani d’Israele si aprì un varco per avvicinarsi a Gesù e, interrottolo nella solita maniera, gli posero questa domanda: “Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato questa autorità?”
(1891.4) 173:2.3 Era del tutto appropriato che i dirigenti del tempio e i funzionari del Sinedrio ebreo ponessero questa domanda a chiunque pretendesse d’insegnare e di agire nel modo straordinario che era stato caratteristico di Gesù, specialmente per quanto concerneva la sua recente condotta nel purificare il tempio da ogni commercio. Questi mercanti e cambiavalute operavano tutti con licenza rilasciata direttamente dai dirigenti più elevati, e si supponeva che una percentuale dei loro guadagni andasse direttamente nel tesoro del tempio. Non dimenticate che autorità era la parola d’ordine di tutto il mondo ebraico. I profeti portavano sempre disordine perché pretendevano così audacemente d’insegnare senza autorità, senza essere stati debitamente istruiti nelle accademie rabbiniche ed essere poi regolarmente ordinati dal Sinedrio. L’assenza di questa autorità nell’insegnare ostentatamente in pubblico era considerata come denotante sia un’ignorante presunzione che un’aperta ribellione. In quest’epoca soltanto il Sinedrio poteva conferire l’ordinazione ad un anziano o ad un maestro, e una tale cerimonia doveva avvenire alla presenza di almeno tre persone che erano state precedentemente ordinate allo stesso modo. Questa ordinazione conferiva il titolo di “rabbi” all’insegnante e lo qualificava anche per agire come giudice “legando e sciogliendo le questioni che fossero state sottoposte a lui per essere giudicate”.
(1892.1) 173:2.4 I capi del tempio erano venuti davanti a Gesù a quest’ora del pomeriggio per sfidare non solo il suo insegnamento ma anche i suoi atti. Gesù sapeva bene che questi stessi uomini avevano insegnato a lungo pubblicamente che la sua autorità ad insegnare era satanica e che tutte le sue potenti opere erano state compiute con il potere del principe dei demoni. Perciò il Maestro cominciò la sua risposta alla loro domanda ponendo loro una controdomanda. Disse Gesù: “ Vorrei porvi anch’io una domanda, e se voi mi risponderete vi dirò anch’io con quale autorità compio queste opere. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Giovanni traeva la sua autorità dal cielo o dagli uomini?”
(1892.2) 173:2.5 E quando i suoi interroganti udirono ciò, si appartarono per consultarsi su quale risposta potessero dare. Essi avevano pensato di porre in imbarazzo Gesù davanti alla folla, ma ora si trovavano essi stessi molto confusi davanti a tutti coloro che erano riuniti in quel momento nel cortile del tempio. E la loro sconfitta fu ancora più evidente quando tornarono da Gesù dicendo: “Sul battesimo di Giovanni non possiamo rispondere; non lo sappiamo.” Ed essi risposero così al Maestro perché avevano ragionato tra di loro: se diremo che viene dal cielo, allora egli dirà: perché non gli avete creduto? E forse aggiungerà che egli ha ricevuto la sua autorità da Giovanni. E se diremo che viene dagli uomini, allora la folla potrebbe rivoltarsi contro di noi, perché la maggior parte di loro ritiene che Giovanni era un profeta. E così essi furono obbligati a tornare davanti a Gesù e al popolo confessando che essi, gli insegnanti religiosi e capi d’Israele, non potevano (o non volevano) esprimere un’opinione sulla missione di Giovanni. E quando essi ebbero parlato, Gesù, guardando in giù verso di loro disse: “Nemmeno io vi dirò con quale autorità faccio queste cose.”
(1892.3) 173:2.6 Gesù non aveva mai inteso appellarsi a Giovanni per la sua autorità; Giovanni non era mai stato ordinato dal Sinedrio. L’autorità di Gesù risiedeva in lui stesso e nella supremazia eterna di suo Padre.
(1892.4) 173:2.7 Impiegando questo metodo per trattare con i suoi avversari, Gesù non cercò di eludere la domanda. A prima vista può sembrare che egli sia stato colpevole di una magistrale elusione, ma non fu così. Gesù non fu mai disposto a trarre indebito vantaggio nemmeno dai suoi nemici. In questa apparente elusione egli fornì realmente a tutti i suoi ascoltatori la risposta alla domanda dei Farisei sull’autorità che stava dietro alla sua missione. Essi avevano affermato che egli operava con l’autorità del principe dei demoni. Gesù aveva ripetutamente asserito che tutto il suo insegnamento e le sue opere provenivano dal potere e dall’autorità di suo Padre celeste. I dirigenti ebrei rifiutavano di accettare ciò e cercavano di metterlo alle corde facendogli ammettere che egli era un insegnante irregolare poiché non era mai stato sanzionato dal Sinedrio. Rispondendo loro come fece, senza rivendicare autorità da Giovanni, egli soddisfece così il popolo con la conclusione che lo sforzo dei suoi nemici per prenderlo in trappola si era in effetti rivolto contro loro stessi e che fu molto il loro discredito agli occhi di tutti i presenti.
(1892.5) 173:2.8 Fu questo talento del Maestro nel trattare con i suoi avversari che li rese così timorosi di lui. Essi non tentarono più d’interrogarlo quel giorno; si ritirarono per consultarsi di nuovo tra di loro. Ma il popolo non ci mise molto a discernere la mancanza di onestà e di sincerità in queste domande poste dai dirigenti ebrei. Anche il popolo comune non poté fare a meno di distinguere tra la maestà morale del Maestro e l’ipocrisia intrigante dei suoi nemici. Ma la purificazione del tempio aveva portato i Sadducei al fianco dei Farisei nel perfezionare il piano per uccidere Gesù. E i Sadducei rappresentavano ora la maggioranza del Sinedrio.
(1893.1) 173:3.1 Mentre i cavillanti Farisei stavano là in silenzio davanti a Gesù, egli guardò giù verso di loro e disse: “Poiché voi dubitate della missione di Giovanni e siete ostili all’insegnamento e alle opere del Figlio dell’Uomo, ascoltate mentre vi racconto una parabola: Un grande e rispettato proprietario terriero aveva due figli, e desiderando l’aiuto dei suoi figli nella conduzione dei suoi vasti possedimenti, andò da uno di loro e disse: ‘Figlio, vai a lavorare oggi nel mio vigneto.’ E questo figlio sventato rispose a suo padre dicendo: ‘Non vi andrò’; ma poi si pentì a vi andò. Quando egli ebbe trovato suo figlio maggiore, disse anche a lui: ‘Figlio, vai a lavorare nel mio vigneto.’ E questo figlio ipocrita ed infedele rispose: ‘Sì, padre mio, ci andrò.’ Ma quando suo padre se ne fu andato, egli non ci andò. Io vi chiedo, quale di questi figli ha realmente fatto la volontà di suo padre?”
(1893.2) 173:3.2 Ed il popolo rispose unanimemente dicendo: “Il primo figlio.” Allora Gesù disse: “Proprio così; ed ora io dichiaro che i Pubblicani e le prostitute, anche se sembrano rifiutare l’appello al pentimento, vedranno l’errore della via intrapresa ed entreranno nel regno di Dio prima di voi, che avete tante pretese di servire il Padre che è nei cieli, mentre rifiutate di compiere le opere del Padre. Non eravate voi, Scribi e Farisei, che credevate a Giovanni, ma piuttosto i Pubblicani e i peccatori; e voi non credete nemmeno al mio insegnamento, ma il popolo comune ascolta le mie parole con gioia.”
(1893.3) 173:3.3 Gesù non rimproverava i Farisei e i Sadducei personalmente. Erano i loro sistemi d’insegnamento e di pratica che cercava di screditare. Egli non era ostile a nessuno, ma qui stava avvenendo l’inevitabile conflitto tra una religione nuova e vivente dello spirito e la vecchia religione di cerimonia, di tradizione e d’autorità.
(1893.4) 173:3.4 Per tutto questo tempo i dodici apostoli rimasero vicino al Maestro, ma non parteciparono in alcun modo a queste operazioni. Ciascuno dei dodici stava reagendo nel proprio modo particolare agli avvenimenti di questi ultimi giorni di ministero di Gesù nella carne, ed ognuno similmente rimaneva obbediente all’ingiunzione del Maestro di astenersi da ogni insegnamento e predicazione in pubblico durante questa settimana di Pasqua.
(1893.5) 173:4.1 Quando i capi dei Farisei e gli Scribi che avevano cercato d’intrappolare Gesù con le loro domande ebbero finito di ascoltare la storia dei due figli, si ritirarono per consultarsi di nuovo, e il Maestro, volgendo la sua attenzione alla folla che ascoltava, raccontò un’altra parabola:
(1893.6) 173:4.2 “C’era un uomo dabbene che possedeva una proprietà, e piantò un vigneto. Egli pose una siepe attorno ad esso, scavò una buca per il torchio e costruì una torre di controllo per le guardie. Poi diede in affitto questo vigneto e partì per un lungo viaggio in un altro paese. E quando si avvicinò la stagione della vendemmia, egli mandò dei servi dagli affittuari per riscuotere l’affitto. Ma essi si consultarono tra loro e rifiutarono di dare a questi servi i frutti dovuti al loro padrone; si gettarono invece sui suoi servi, percuotendone uno, lapidandone un altro e mandando via gli altri a mani vuote. Quando il proprietario seppe tutto ciò, mandò altri servi più fidati per trattare con questi malvagi affittuari, ma essi li ferirono e li trattarono anche in modo vergognoso. Allora il proprietario inviò il suo servo favorito, il suo intendente, ed essi lo uccisero. Ed ancora con pazienza e indulgenza egli mandò molti altri servi, ma essi non vollero riceverne alcuno. Ne percossero alcuni ed uccisero gli altri; e quando il proprietario fu trattato in questo modo, decise di mandare suo figlio a trattare con questi affittuari ingrati, dicendo a se stesso: ‘Essi possono maltrattare i miei servi, ma sicuramente mostreranno rispetto per il mio figlio prediletto.’ Ma quando questi impenitenti e malvagi affittuari videro il figlio, ragionarono tra loro: ‘Costui è l’erede; uccidiamolo ed allora l’eredità sarà nostra.’ Così lo presero, e dopo averlo buttato fuori dal vigneto, lo uccisero. Quando il padrone di questo vigneto saprà che essi hanno respinto ed ucciso suo figlio, che cosa farà egli a questi ingrati e malvagi fittavoli?”
(1894.1) 173:4.3 E quando il popolo ebbe ascoltato questa parabola e la domanda posta da Gesù, essi risposero: “Annienterà questi miserabili ed affitterà il suo vigneto ad altri onesti coltivatori che gli daranno i frutti alla loro stagione.” E quando alcuni di quelli che ascoltavano compresero che questa parabola si riferiva alla nazione ebraica e al modo in cui aveva trattato i profeti, e all’imminente ripudio di Gesù e del vangelo del regno, dissero tristemente: “Che Dio c’impedisca di continuare a fare queste cose.”
(1894.2) 173:4.4 Gesù vide che un gruppo di Sadducei e Farisei si apriva un varco tra la folla; si fermò un istante fino a che non furono vicini a lui e poi disse: “Voi sapete come i vostri padri hanno respinto i profeti e sapete bene che siete decisi in cuor vostro di respingere il Figlio dell’Uomo.” E poi, gettando uno sguardo inquisitore sui sacerdoti e gli anziani che stavano vicino a lui, Gesù disse: “Non avete mai letto nella Scrittura della pietra che i costruttori avevano scartato e che, quando il popolo la scoprì, divenne la pietra d’angolo? E così io vi avverto ancora una volta che, se continuerete a respingere questo vangelo, il regno di Dio vi sarà presto tolto e sarà dato ad un popolo disposto a ricevere la buona novella e a produrre i frutti dello spirito. E c’è un mistero su questa pietra, poiché chiunque inciampa su di essa, mentre sarà ridotto in pezzi, sarà salvato; ma colui sul quale questa pietra cadrà, sarà ridotto in polvere e le sue ceneri saranno disperse ai quattro venti.”
(1894.3) 173:4.5 Quando i Farisei udirono queste parole, compresero che Gesù si riferiva a loro stessi e agli altri dirigenti ebrei. Essi desideravano molto prenderlo seduta stante, ma avevano paura della folla. Tuttavia, erano talmente irritati dalle parole del Maestro che si ritirarono per consultarsi nuovamente tra di loro sul modo in cui potevano farlo morire. E quella sera i Sadducei e i Farisei si accordarono per prenderlo in trappola il giorno successivo.
(1894.4) 173:5.1 Dopo che gli Scribi e i dirigenti si furono ritirati, Gesù si rivolse di nuovo alla folla riunita e raccontò la parabola del banchetto di nozze. Egli disse:
(1894.5) 173:5.2 “Il regno dei cieli può essere paragonato ad un re che diede un banchetto di nozze per suo figlio e mandò dei messaggeri a chiamare coloro che erano stati precedentemente invitati alla festa, dicendo: ‘Tutto è pronto per il pranzo di nozze al palazzo del re.’ Ora, molti di coloro che avevano prima promesso di assistervi, adesso rifiutarono di venire. Quando il re venne a sapere di questi rifiuti al suo invito, mandò altri servi e messaggeri dicendo: ‘Dite a tutti coloro che erano invitati, di venire, perché, ecco, il mio pranzo è pronto. I miei buoi ed i miei animali grassi sono stati uccisi e tutto è pronto per la celebrazione dell’imminente matrimonio di mio figlio.’ Ma di nuovo gli scortesi invitati non dettero peso all’appello del loro re, e andarono uno alla sua fattoria, un altro alla sua fabbrica di ceramiche ed altri alle loro mercanzie. Altri ancora non si accontentarono di disdegnare in questo modo l’invito del re, ma in aperta ribellione presero i messaggeri del re e li maltrattarono in modo infame, anche uccidendo alcuni di loro. Quando il re apprese che i suoi invitati scelti, anche quelli che avevano accettato il suo invito preliminare ed avevano promesso di partecipare alla festa di matrimonio, avevano infine respinto la sua chiamata e, ribellatisi, avevano assalito ed ucciso i suoi messaggeri scelti, fu estremamente adirato. Ed allora questo re offeso mobilitò i suoi eserciti e gli eserciti dei suoi alleati e ordinò loro di annientare questi assassini ribelli e di bruciare la loro città.
(1895.1) 173:5.3 “E quando ebbe punito coloro che avevano respinto il suo invito, fissò un altro giorno per la festa di matrimonio e disse ai suoi messaggeri: ‘Quelli che erano invitati prima al matrimonio non erano degni; così andate ora ai crocevia delle strade e sulle strade maestre ed anche oltre i confini della città, ed invitate quanti troverete, anche gli stranieri, a venire ad assistere a questa festa di matrimonio.’ Ed allora questi servi andarono nelle strade maestre e nelle località lontane dalle strade e riunirono quanti trovarono, buoni e cattivi, ricchi e poveri, cosicché alla fine la sala del matrimonio fu riempita di convitati condiscendenti. Quando tutto fu pronto, il re entrò per esaminare i suoi ospiti, e con sua grande sorpresa vide che c’era un uomo senza la veste di nozze. Il re, poiché aveva generosamente fornito di vesti di nozze tutti i suoi invitati, rivolgendosi a quest’uomo disse: ‘Amico, come mai entri nella sala dei miei invitati in questa occasione senza una veste di nozze?’ E quest’uomo impreparato rimase senza parole. Allora il re disse ai suoi servi: ‘Buttate fuori questo ospite sconsiderato dalla mia casa a condividere la sorte di tutti coloro che hanno rifiutato la mia ospitalità e respinto la mia chiamata. Io non voglio nessuno qui eccetto coloro che sono felici di accettare il mio invito e che mi fanno l’onore d’indossare quelle vesti da invitati che ho così largamente fornito a tutti.’ ”
(1895.2) 173:5.4 Dopo aver raccontato questa parabola, Gesù stava per congedare la moltitudine quando un credente simpatizzante, facendosi avanti tra la folla verso di lui, chiese: “Ma, Maestro, come conosceremo queste cose? Come ci prepareremo per l’invito del re? Quale segno ci darai perché sappiamo che tu sei il Figlio di Dio?” E dopo che il Maestro ebbe udito ciò, disse: “Vi sarà dato soltanto un segno.” E poi, indicando il suo stesso corpo, continuò: “Distruggete questo tempio, ed in tre giorni io lo ricostruirò.” Ma essi non lo compresero, e disperdendosi parlavano tra di loro dicendo: “Ci sono voluti quasi cinquant’anni per costruire questo tempio, eppure egli dice che lo distruggerà e lo ricostruirà in tre giorni.” Anche i suoi apostoli non compresero il significato di questa espressione, ma successivamente, dopo la sua risurrezione, si ricordarono di ciò che aveva detto.
(1895.3) 173:5.5 Alle quattro circa di questo pomeriggio Gesù fece segno ai suoi apostoli e indicò loro di voler lasciare il tempio e andare a Betania per il loro pasto serale e per una notte di riposo. Sulla strada per l’Oliveto Gesù diede istruzioni ad Andrea, Filippo e Tommaso perché il giorno dopo stabilissero un campo più vicino alla città, che potessero occupare durante il resto della settimana di Pasqua. Conformemente a queste istruzioni, il mattino seguente essi piantarono le loro tende nella forra sul fianco della collina sovrastante il campeggio pubblico nel parco di Getsemani, su un appezzamento di terreno appartenente a Simone di Betania.
(1896.1) 173:5.6 Di nuovo ci fu un gruppo silenzioso di Ebrei che salì il versante occidentale dell’Oliveto questo lunedì sera. Questi dodici uomini stavano cominciando a percepire, come mai prima, che qualcosa di tragico stava per accadere. Mentre la spettacolare purificazione del tempio nelle prime ore del mattino aveva risvegliato le loro speranze di vedere il Maestro affermare se stesso e manifestare i suoi possenti poteri, gli avvenimenti dell’intero pomeriggio avevano operato solo come una delusione, nel senso che indicavano tutti il rifiuto certo dell’insegnamento di Gesù da parte delle autorità ebraiche. Gli apostoli erano avvinti dall’ansia ed erano tenuti nella forte presa di una terribile incertezza. Essi capivano che solo pochi brevi giorni potevano intercorrere tra gli avvenimenti del giorno appena trascorso e il disastro di un’imminente condanna. Essi sentivano tutti che stava per accadere qualcosa di tremendo, ma non sapevano che cosa aspettarsi. Essi andarono ai loro vari posti per riposare, ma dormirono molto poco. Anche i gemelli Alfeo giunsero infine a comprendere che gli avvenimenti della vita del Maestro si stavano rapidamente muovendo verso il loro epilogo finale.
(1897.1) 174:0.1 VERSO le sette di questo martedì mattina, Gesù riunì gli apostoli, il corpo delle donne e circa due dozzine di altri discepoli influenti nella casa di Simone. In questa riunione egli dette il saluto di addio a Lazzaro e gli diede le istruzioni che lo indussero a fuggire subito a Filadelfia, in Perea, dove si legò più tardi con il movimento missionario che aveva la sua sede in quella città. Gesù si congedò anche dal vecchio Simone e diede i suoi ultimi consigli al corpo femminile, perché non parlò mai più loro ufficialmente.
(1897.2) 174:0.2 Questa mattina egli salutò ognuno dei dodici con un saluto personale. Ad Andrea disse: “Non lasciarti scoraggiare dagli avvenimenti imminenti. Mantieni una ferma autorità sui tuoi fratelli e bada che non ti trovino abbattuto.” A Pietro disse: “Non riporre la tua fiducia né nel braccio di carne né nelle armi di acciaio. Stabilisciti sulle fondamenta spirituali delle rocce eterne.” A Giacomo disse: “Non vacillare a causa delle apparenze esteriori. Resta saldo nella tua fede e conoscerai presto la realtà di ciò che credi.” A Giovanni disse: “Sii garbato; ama anche i tuoi nemici; sii tollerante. E ricorda che ti ho affidato molte cose.” A Natanaele disse: “Non giudicare dalle apparenze; resta saldo nella tua fede quando tutto sembrerà svanire; sii fedele al tuo incarico di ambasciatore del regno.” A Filippo disse: “Non lasciarti scuotere dagli avvenimenti imminenti. Resta impassibile, anche quando non riesci a vedere la via. Sii fedele al tuo giuramento di consacrazione.” A Matteo disse: “Non dimenticare la misericordia che ti ha accolto nel regno. Non permettere a nessuno di defraudarti della tua ricompensa eterna. Poiché hai resistito alle tendenze della natura umana, sii propenso ad essere risoluto.” A Tommaso disse: “Per quanto difficile possa essere, ora tu devi camminare per mezzo della fede e non della vista. Non dubitare che io non sia capace di terminare l’opera che ho iniziato e che non vedrò alla fine tutti i miei fedeli ambasciatori nel regno dell’aldilà.” Ai gemelli Alfeo disse: “Non permettete che le cose che non comprendete vi schiaccino. Siate fedeli agli affetti del vostro cuore e non riponete la vostra fiducia nei grandi uomini o nell’atteggiamento mutevole del popolo. Restate con i vostri fratelli”. A Simone Zelota disse: “Simone, tu potrai essere schiacciato dalla delusione, ma il tuo spirito si eleverà al di sopra di tutto ciò che potrà capitarti. Quello che non sei riuscito ad imparare da me, te lo insegnerà il mio spirito. Cerca le vere realtà dello spirito e cessa di essere attratto da ombre irreali e materiali.” E a Giuda Iscariota disse: “Giuda, io ti ho amato e ho pregato perché tu amassi i tuoi fratelli. Non stancarti di fare il bene; e vorrei avvertirti di guardarti dai sentieri infidi della lusinga e dai dardi velenosi del ridicolo.”
(1897.3) 174:0.3 E quando ebbe completato questi saluti, egli partì per Gerusalemme con Andrea, Pietro, Giacomo e Giovanni, mentre gli altri apostoli si occupavano d’installare il campo di Getsemani, dove sarebbero andati quella sera e dove posero il loro quartier generale per il resto della vita incarnata del Maestro. Circa a metà discesa del versante dell’Oliveto, Gesù si fermò e si trattenne per più di un’ora con i quattro apostoli.
(1898.1) 174:1.1 Da parecchi giorni Pietro e Giacomo avevano cominciato a discutere delle loro divergenze d’opinione sull’insegnamento del Maestro riguardo al perdono dei peccati. Essi avevano convenuto di sottoporre la materia a Gesù, e Pietro colse quest’occasione come un’adeguata opportunità per ottenere il parere del Maestro. Di conseguenza, Simon Pietro interruppe la conversazione sulle differenze tra la preghiera e l’adorazione per chiedere: “Maestro, Giacomo ed io non siamo d’accordo riguardo ai tuoi insegnamenti sul perdono dei peccati. Giacomo afferma che tu insegni che il Padre ci perdona ancora prima che noi glielo chiediamo, ed io sostengo che il pentimento e la confessione devono precedere il perdono. Chi di noi ha ragione? Che cosa dici tu?”
(1898.2) 174:1.2 Dopo un breve silenzio Gesù guardò significativamente tutti e quattro gli apostoli e rispose: “Fratelli miei, vi sbagliate nelle vostre opinioni perché non comprendete la natura delle relazioni intime ed amorevoli tra la creatura e il Creatore, tra uomo e Dio. Voi non riuscite a cogliere la simpatia comprensiva che il genitore saggio ha per il suo figlio immaturo e talvolta sviato. È in verità dubbio che dei genitori intelligenti ed affettuosi siano mai chiamati a perdonare un figlio ordinario e normale. Rapporti comprensivi, associati ad atteggiamenti d’amore, prevengono efficacemente tutte quelle disaffezioni che necessitano poi di un raggiustamento di pentimento da parte del figlio con il perdono da parte del genitore.
(1898.3) 174:1.3 “Una parte di ciascun padre vive nel figlio. Il padre gode di priorità e di superiorità di comprensione in tutte le materie connesse con la relazione tra figlio e genitore. Il genitore è capace di considerare l’immaturità del figlio alla luce della maturità più avanzata di genitore, dell’esperienza più completa di partner più anziano. Nel caso del figlio terreno e del Padre celeste, il genitore divino possiede infinità e divinità di sensibilità e capacità per una comprensione amorevole. Il perdono divino è inevitabile; esso è insito e inalienabile nella comprensione infinita di Dio, nella sua conoscenza perfetta di tutto ciò che concerne il falso giudizio e la scelta errata del figlio. La giustizia divina è così eternamente equa da incorporare infallibilmente una misericordia comprensiva.
(1898.4) 174:1.4 “Quando un uomo saggio comprende gli impulsi interiori dei suoi simili, li amerà. E quando voi amate vostro fratello, l’avete già perdonato. Questa capacità di comprendere la natura dell’uomo e di perdonare le sue azioni apparentemente cattive è propria di Dio. Se siete genitori saggi, è così che amerete e comprenderete i vostri figli, perdonandoli anche quando delle incomprensioni temporanee vi hanno apparentemente separati. Il figlio, essendo immaturo e mancante della comprensione più completa della profondità della relazione tra figlio e padre, deve spesso provare un sentimento di separazione colpevole dalla piena approvazione di un padre, ma il vero padre non è mai cosciente di una tale separazione. Il peccato è un’esperienza della coscienza della creatura; non è parte della coscienza di Dio.
(1898.5) 174:1.5 “La vostra incapacità o riluttanza a perdonare i vostri simili è la misura della vostra immaturità, del vostro mancato raggiungimento di una sensibilità, di una comprensione e di un amore adulti. Voi mantenete dei rancori e nutrite delle idee di vendetta in proporzione diretta alla vostra ignoranza della natura interiore e dei veri desideri dei vostri figli e dei vostri simili. L’amore è la manifestazione dell’impulso vitale interiore e divino. Esso è fondato sulla comprensione, alimentato dal servizio disinteressato e reso perfetto nella saggezza.”
(1899.1) 174:2.1 Lunedì sera era stato tenuto un consiglio tra il Sinedrio ed una cinquantina di altri dirigenti scelti tra gli Scribi, i Farisei e i Sadducei. Fu opinione unanime di quest’assemblea che sarebbe stato pericoloso arrestare Gesù in pubblico a causa della sua presa sugli affetti del popolo comune. Fu anche opinione della maggioranza che si dovesse fare uno sforzo risoluto per screditarlo agli occhi della moltitudine prima che fosse arrestato e portato in giudizio. Di conseguenza, parecchi gruppi di eruditi furono designati per essere pronti il mattino seguente nel tempio a tentare d’irretirlo con domande difficili ed a cercare di metterlo in difficoltà in altri modi davanti al popolo. Alla fine, i Farisei, i Sadducei ed anche gli Erodiani erano tutti uniti in questo sforzo per screditare Gesù agli occhi delle moltitudini della Pasqua.
(1899.2) 174:2.2 Martedì mattina, quando Gesù arrivò nel cortile del tempio e cominciò ad insegnare, aveva pronunciato solo poche parole quando un gruppo di giovani studenti delle accademie, che erano stati preparati a tale scopo, si fecero avanti e, tramite il loro portavoce, chiesero a Gesù: “Maestro, sappiamo che tu sei un insegnante giusto, e sappiamo che proclami le vie della verità e che servi solo Dio, perché non temi nessun uomo e non fai eccezione di persone. Noi siamo soltanto degli studenti e vorremmo conoscere la verità su una questione che ci affligge. Il nostro problema è questo: È lecito per noi pagare il tributo a Cesare? Dobbiamo o non dobbiamo pagarlo?” Gesù, percependo la loro ipocrisia e la loro astuzia, disse loro: “Perché venite a tentarmi in questo modo? Mostratemi la moneta del tributo e vi risponderò.” E quando essi gli porsero un denaro, egli lo esaminò e disse: “Questa moneta di chi porta l’effigie e l’iscrizione?” E quando essi gli risposero: “Di Cesare”, Gesù disse: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e rendete a Dio ciò che è di Dio.”
(1899.3) 174:2.3 Quando egli ebbe risposto così ai giovani Scribi e ai loro complici Erodiani, essi si ritirarono dalla sua presenza, e il popolo, compresi i Sadducei, godettero per la loro sconfitta. Anche i giovani che avevano tentato di prenderlo in trappola si meravigliarono grandemente dell’inattesa sagacia della risposta del Maestro.
(1899.4) 174:2.4 Il giorno precedente i dirigenti avevano cercato d’indurlo in errore davanti alla folla su questioni di autorità ecclesiastica, e non essendovi riusciti, cercavano ora di coinvolgerlo in una discussione compromettente sull’autorità civile. Pilato ed Erode erano entrambi a Gerusalemme in questo momento, e i nemici di Gesù pensarono che, se egli avesse osato sconsigliare il pagamento del tributo a Cesare, sarebbero andati immediatamente dalle autorità romane per accusarlo di sedizione. D’altra parte, se egli avesse consigliato il pagamento del tributo con un lungo discorso, essi calcolavano giustamente che una tale dichiarazione avrebbe profondamente ferito l’orgoglio nazionale dei suoi ascoltatori ebrei, cosa che gli avrebbe alienato la benevolenza e l’affetto della moltitudine.
(1899.5) 174:2.5 In tutto ciò i nemici di Gesù furono sconfitti perché c’era un ben noto decreto del Sinedrio, fatto per il comportamento degli Ebrei dispersi tra le nazioni pagane, che il “diritto di battere moneta comportava il diritto di riscuotere delle imposte”. In tal modo Gesù evitò la loro trappola. Se avesse risposto “no” alla loro domanda sarebbe stato equivalente ad incitarli alla ribellione; se avesse risposto “sì” avrebbe colpito i sentimenti nazionalisti profondamente radicati di quel tempo. Il Maestro non eluse la domanda; impiegò semplicemente la saggezza di dare una doppia risposta. Gesù non fu mai evasivo, ma fu sempre accorto nel trattare con coloro che cercavano di molestarlo e di distruggerlo.
(1900.1) 174:3.1 Prima che Gesù potesse cominciare il suo insegnamento, un altro gruppo si fece avanti per interrogarlo; questa volta era un gruppo di Sadducei scaltri ed eruditi. Il loro portavoce, avvicinatosi a lui, disse: “Maestro, Mosè ha detto che, se un uomo sposato morisse senza lasciare figli, suo fratello dovrebbe sposare la moglie e generare una discendenza per suo fratello deceduto. Ora è accaduto un caso in cui un uomo che aveva sei fratelli morì senza figli; il fratello che veniva dopo di lui sposò sua moglie, ma presto morì anche lui senza lasciare figli. Similmente il secondo fratello sposò la moglie, ma anche lui morì senza lasciare discendenza. E così di seguito fino a che tutti e sei i fratelli non l’ebbero sposata e tutti e sei non furono morti senza lasciare figli. E poi, dopo tutti loro, morì anche la donna. Ora, quello che desideriamo chiederti è questo: Alla risurrezione di chi sarà moglie essa, visto che tutti e sette questi fratelli l’hanno sposata?”
(1900.2) 174:3.2 Gesù sapeva, e così il popolo, che questi Sadducei non erano sinceri nel porre questa domanda, perché era poco probabile che un tale caso potesse realmente accadere; inoltre, questa pratica dei fratelli di un morto di cercare di generare dei figli per lui era praticamente lettera morta in quest’epoca tra gli Ebrei. Ciononostante, Gesù accondiscese a rispondere alla loro insidiosa domanda. Egli disse: “Voi tutti vi sbagliate nel porre tali domande perché non conoscete né le Scritture né il potere vivente di Dio. Voi sapete che i figli di questo mondo possono sposarsi ed essere dati in matrimonio, ma non sembrate comprendere che coloro che sono ritenuti degni di raggiungere i mondi futuri mediante la risurrezione dei giusti, né si sposano né sono dati in matrimonio. Coloro che sperimentano la risurrezione dalla morte sono più simili agli angeli del cielo, e non muoiono mai. Questi risuscitati sono eternamente i figli di Dio; essi sono i figli della luce risuscitati nel progresso della vita eterna. Anche vostro padre Mosè comprese ciò, perché, in connessione con le sue esperienze presso il rovo ardente, udì il Padre dire: ‘Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe.’ E così, con Mosé, io dichiaro che mio Padre non è il Dio dei morti, ma dei viventi. In lui vivete tutti, vi riproducete e possedete la vostra esistenza di mortali.”
(1900.3) 174:3.3 Quando Gesù ebbe finito di rispondere a queste domande, i Sadducei si ritirarono, ed alcuni Farisei persero il controllo al punto da esclamare: “È vero, è vero Maestro, hai risposto bene a questi Sadducei miscredenti.” I Sadducei non osarono più porgli altre domande, e il popolo si meravigliò della saggezza del suo insegnamento.
(1900.4) 174:3.4 Gesù si richiamò solo a Mosè nel suo scontro con i Sadducei perché questa setta politico-religiosa riconosceva la validità solo dei cosiddetti cinque Libri di Mosè; essi non ammettevano che gli insegnamenti dei profeti potessero servire come base di dogmi dottrinali. Nella sua risposta il Maestro, anche se affermò positivamente il fatto della sopravvivenza delle creature mortali mediante la tecnica della risurrezione, non parlò in alcun senso con approvazione della credenza farisaica nella risurrezione del corpo umano fisico. Il punto che Gesù voleva evidenziare era che il Padre aveva detto: “Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”, non io ero il loro Dio.
(1900.5) 174:3.5 I Sadducei avevano pensato di sottoporre Gesù all’avvilente influenza del ridicolo, sapendo benissimo che una persecuzione in pubblico avrebbe molto certamente creato ulteriore simpatia per lui nelle menti della moltitudine.
(1901.1) 174:4.1 Un altro gruppo di Sadducei aveva ricevuto istruzioni di porre a Gesù delle domande imbarazzanti sugli angeli, ma quando videro la sorte dei loro compagni che avevano tentato di prenderlo in trappola con domande concernenti la risurrezione, essi decisero molto saggiamente di starsene tranquilli; si ritirarono senza porre una sola domanda. I Farisei, gli Scribi, i Sadducei e gli Erodiani coalizzati avevano progettato di occupare l’intera giornata con queste domande imbarazzanti, sperando così di screditare Gesù davanti al popolo e allo stesso tempo d’impedire efficacemente che avesse il tempo di proclamare i suoi insegnamenti perturbatori.
(1901.2) 174:4.2 Allora si fece avanti uno dei gruppi dei Farisei per porre delle domande insidiose, ed il portavoce, facendo segno a Gesù, disse: “Maestro, io sono un legista e vorrei chiederti qual è, a tuo avviso, il più grande comandamento?” Gesù rispose: “Non c’è che un solo comandamento, che è il più grande di tutti, e quel comandamento è: ‘Ascolta o Israele, il Signore Dio nostro, il Signore è uno; e tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.’ Questo è il primo e grande comandamento. E il secondo comandamento è simile al primo; in verità deriva direttamente da esso, ed è: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso.’ Non c’è nessun altro comandamento più grande di questi; su questi due comandamenti poggiano tutta la legge e i profeti.”
(1901.3) 174:4.3 Quando il legista percepì che Gesù aveva risposto non solo conformemente al concetto più elevato della religione ebraica, ma che aveva anche risposto saggiamente agli occhi della moltitudine riunita, pensò fosse meglio dar prova di coraggio lodando apertamente la risposta del Maestro. Di conseguenza egli disse: “In verità, Maestro, hai detto bene che Dio è uno e che non ce n’è nessun altro all’infuori di lui; e che amarlo con tutto il cuore, e con tutta l’intelligenza e con tutta la forza, ed anche amare il proprio prossimo come se stessi, è il primo e grande comandamento. Noi siamo d’accordo che questo grande comandamento deve essere molto più considerato di tutte le offerte e di tutti i sacrifici bruciati.” Quando il legista ebbe risposto così prudentemente, Gesù lo guardò e disse: “Amico mio, percepisco che non sei lontano dal regno di Dio.”
(1901.4) 174:4.4 Gesù diceva il vero quando si rivolse a questo legista come uno “non lontano dal regno”, perché quella stessa sera egli andò al campo del Maestro vicino a Getsemani, professò la sua fede nel vangelo del regno e fu battezzato da Giosia, uno dei discepoli di Abner.
(1901.5) 174:4.5 Due o tre altri gruppi di Scribi e di Farisei erano presenti ed avevano intenzione di porre delle domande, ma furono sia disarmati dalla risposta di Gesù al legista sia scoraggiati dalla sconfitta di tutti coloro che avevano tentato di prenderlo in fallo. Dopo di ciò nessuno osò più porgli un’altra domanda in pubblico.
(1901.6) 174:4.6 Quando non furono più poste delle domande e poiché l’ora di mezzogiorno era vicina, Gesù non riprese il suo insegnamento, ma si limitò a porre una domanda ai Farisei e ai loro associati. Disse Gesù: “Poiché non ponete più domande, vorrei porvene una io. Che cosa pensate del Liberatore? Cioè, di chi è egli figlio?” Dopo una breve pausa uno degli Scribi rispose: “Il Messia è il figlio di Davide.” E poiché Gesù sapeva che c’erano state numerose discussioni, anche tra i suoi stessi discepoli, sul fatto che egli fosse o meno il figlio di Davide, pose quest’altra domanda: “Se il Liberatore è veramente il figlio di Davide, come mai nel Salmo che voi attribuite a Davide, egli stesso, parlando secondo lo spirito, dice: ‘Il Signore disse al mio signore: siedi alla mia destra fino a che non farò dei tuoi nemici lo sgabello per i tuoi piedi.’ Se Davide lo chiama Signore, allora come può egli essere suo figlio?” I dirigenti, gli Scribi e i capi dei sacerdoti, oltre a non rispondere a questa domanda, si astennero anche dal porgli nuove domande per tentare di confonderlo. Essi non risposero mai a questa domanda che Gesù aveva posto loro, ma dopo la morte del Maestro tentarono di eludere la difficoltà cambiando l’interpretazione di questo Salmo in modo da riferirlo ad Abramo invece che al Messia. Altri tentarono di sfuggire al dilemma negando che Davide fosse l’autore di questo cosiddetto Salmo Messianico.
(1902.1) 174:4.7 Qualche momento prima i Farisei si erano rallegrati per la maniera in cui i Sadducei erano stati ridotti al silenzio dal Maestro; ora erano i Sadducei che provavano piacere per la sconfitta dei Farisei. Ma questa rivalità fu solo momentanea; essi dimenticarono rapidamente le loro vecchie divergenze nello sforzo congiunto di porre fine agli insegnamenti e alle azioni di Gesù. Ma nel corso di tutte queste esperienze il popolo comune ascoltò il Maestro con gioia.
(1902.2) 174:5.1 Verso mezzogiorno, mentre Filippo comperava delle provviste per il nuovo campo che quel giorno sarebbe stato istituito vicino a Getsemani, fu avvicinato da una delegazione di stranieri, un gruppo di credenti greci di Alessandria, di Atene e di Roma, il cui portavoce disse all’apostolo: “Ci sei stato segnalato da coloro che ti conoscono; così siamo venuti da te, signore, per chiederti di vedere Gesù, il tuo Maestro.” Filippo fu preso alla sprovvista incontrando in tal modo questi eminenti indagatori greci pagani sulla piazza del mercato, e poiché Gesù aveva così esplicitamente ordinato a tutti i dodici di non impegnarsi in alcun insegnamento pubblico durante la settimana di Pasqua, fu un po’ perplesso sul modo migliore di trattare la questione. Egli era anche sconcertato per il fatto che questi uomini erano dei Gentili stranieri. Se fossero stati Ebrei o Gentili vicini e conosciuti egli non avrebbe esitato in modo così marcato. Egli fece questo: chiese a questi Greci di rimanere dov’erano. Mentre egli si allontanava in fretta, essi supposero che fosse andato a cercare Gesù, ma in realtà egli corse a casa di Giuseppe, dove sapeva che Andrea e gli altri apostoli stavano mangiando, e chiamato fuori Andrea, gli spiegò il motivo della sua venuta e poi, accompagnato da Andrea, ritornò dai Greci in attesa.
(1902.3) 174:5.2 Poiché Filippo aveva quasi finito di acquistare le provviste, egli e Andrea ritornarono con i Greci a casa di Giuseppe, dove Gesù li ricevette. Essi si sedettero vicino a lui mentre parlava ai suoi apostoli e ad un certo numero di eminenti discepoli riuniti per questo pasto di mezzogiorno. Gesù disse:
(1902.4) 174:5.3 Mio Padre mi ha mandato in questo mondo per rivelare la sua amorevole benevolenza ai figli degli uomini, ma coloro presso i quali sono venuto per primi hanno rifiutato di ricevermi. In verità, molti di voi hanno creduto al mio vangelo da se stessi, ma i figli di Abramo e i loro capi stanno per respingermi, e facendo così respingeranno Colui che mi ha mandato. Io ho largamente proclamato il vangelo di salvezza a questo popolo; ho parlato loro della filiazione accompagnata dalla gioia, dalla libertà e da una vita più abbondante nello spirito. Mio Padre ha compiuto molte opere meravigliose tra questi figli degli uomini tormentati dalla paura. Il profeta Isaia si riferì con certezza a questo popolo quando scrisse: ‘Signore, chi ha creduto ai nostri insegnamenti? E a chi il Signore è stato rivelato?’ In verità i capi del mio popolo hanno deliberatamente chiuso i loro occhi per non vedere e indurito il loro cuore per timore di credere e di essere salvati. In tutti questi anni io ho cercato di guarirli dalla loro incredulità, perché ricevessero la salvezza eterna del Padre. So che non tutti mi hanno abbandonato; alcuni di voi hanno in verità creduto al mio messaggio. In questa sala vi sono ora una ventina di uomini che erano prima membri del Sinedrio o che hanno occupato alte posizioni nei consigli della nazione, sebbene alcuni di voi siano ancora restii a confessare apertamente la verità per paura di essere espulsi dalla sinagoga. Alcuni di voi sono tentati di preferire la gloria degli uomini alla gloria di Dio. Ma io sono costretto a mostrarmi indulgente, poiché temo per la sicurezza e la fedeltà persino di alcuni di coloro che sono stati così a lungo con me e che hanno vissuto così vicino al mio fianco.
(1903.1) 174:5.4 “In questa sala del banchetto percepisco che vi sono riuniti Ebrei e Gentili in numero quasi uguale, e vorrei rivolgermi a voi come al primo ed ultimo gruppo di tal genere che posso istruire sugli affari del regno prima di andare da mio Padre.”
(1903.2) 174:5.5 Questi Greci avevano seguito fedelmente l’insegnamento di Gesù nel tempio. Lunedì sera avevano tenuto una riunione a casa di Nicodemo, che era durata fino all’alba, e trenta di loro avevano deciso di entrare nel regno.
(1903.3) 174:5.6 Mentre Gesù stava davanti a loro in questo momento, percepì la fine di una dispensazione e l’inizio di un’altra. Volgendo la sua attenzione verso i Greci, il Maestro disse:
(1903.4) 174:5.7 “Colui che crede in questo vangelo, crede non solo in me ma in Colui che mi ha mandato. Quando guardate me, vedete non solo il Figlio dell’Uomo, ma anche Colui che mi ha mandato. Io sono la luce del mondo, e chiunque crederà nel mio insegnamento non dimorerà più nelle tenebre. Se voi Gentili mi ascolterete, riceverete le parole di vita ed entrerete subito nella gioiosa libertà della verità della filiazione con Dio. Se i miei compatrioti, gli Ebrei, scelgono di respingermi e di rifiutare i miei insegnamenti, non sederò in giudizio contro di loro, perché io non sono venuto a giudicare il mondo, ma ad offrirgli la salvezza. Ciononostante, coloro che mi respingono e rifiutano di ricevere il mio insegnamento saranno tradotti in giudizio a tempo debito da mio Padre e da coloro che egli ha incaricato di sedere in giudizio contro tale rifiuto del dono della misericordia e delle verità della salvezza. Ricordatevi, voi tutti, che io non parlo da me stesso, ma che vi ho fedelmente proclamato ciò che il Padre mi ha comandato di rivelare ai figli degli uomini. E queste parole che il Padre mi ha ordinato di dire al mondo sono parole di verità divina, di misericordia perenne e di vita eterna.
(1903.5) 174:5.8 “Ma sia agli Ebrei che ai Gentili io dichiaro che è quasi giunta l’ora in cui il Figlio dell’Uomo sarà glorificato. Voi sapete bene che, se un grano di frumento non cade nella terra e muore, resta isolato; ma se muore in un terreno buono, esso sorge di nuovo alla vita e dà molti frutti. Colui che ama egoisticamente la sua vita è in pericolo di perderla; ma colui che è disposto a sacrificare la sua vita per amore mio e per il vangelo godrà di un’esistenza più abbondante sulla terra e della vita eterna in cielo. Se volete veramente seguirmi, anche dopo che sarò andato da mio Padre, allora diverrete miei discepoli e i servitori fedeli dei vostri simili mortali.
(1903.6) 174:5.9 “So che la mia ora si sta avvicinando, e sono turbato. Percepisco che il mio popolo è determinato a respingere il regno, ma sono felice di ricevere questi Gentili ricercatori della verità che sono qui oggi per informarsi sulla via della luce. Tuttavia il mio cuore sente pietà per il mio popolo, e la mia anima è sconvolta per ciò che mi aspetta. Che cosa dirò mentre guardo avanti e discerno ciò che sta per accadermi? Dirò: Padre preservami da quest’ora tremenda? No! Per questo stesso proposito sono venuto nel mondo e sono rimasto fino a quest’ora. Dirò piuttosto, e pregherò perché voi vi uniate a me: Padre, glorifica il tuo nome; sia fatta la tua volontà.”
(1904.1) 174:5.10 Quando Gesù ebbe parlato così, l’Aggiustatore Personalizzato che l’aveva abitato prima del suo battesimo apparve davanti a lui, e mentre egli s’interruppe in modo evidente, questo spirito ora potente che rappresentava il Padre, parlò a Gesù di Nazaret dicendo: “Ho glorificato molte volte il mio nome nei tuoi conferimenti, e lo glorificherò ancora una volta.”
(1904.2) 174:5.11 Mentre gli Ebrei e i Gentili qui riuniti non udirono alcuna voce, non mancarono di discernere che il Maestro si era fermato di parlare mentre un messaggio gli perveniva da qualche fonte superumana. Essi dissero tutti, ciascuno a quello che era vicino a lui: “Un angelo gli ha parlato.”
(1904.3) 174:5.12 Poi Gesù continuò a dire: “Tutto ciò non è accaduto a beneficio mio, ma vostro. Io so con certezza che il Padre mi riceverà ed accetterà la mia missione in vostro favore, ma è necessario che voi siate incoraggiati e preparati alla rude prova che è imminente. Vi assicuro che la vittoria coronerà alla fine i nostri sforzi congiunti per illuminare il mondo e liberare l’umanità. Il vecchio ordine di cose si sta presentando al giudizio. Io ho abbattuto il Principe di questo mondo, e tutti gli uomini saranno liberati dalla luce dello spirito che spargerò su tutta la carne dopo che sarò asceso al Padre che è nei cieli.
(1904.4) 174:5.13 “Ed ora vi dichiaro che, se sarò elevato sulla terra e nella vostra vita, attirerò tutti gli uomini a me e nella comunità di mio Padre. Voi avete creduto che il Liberatore abitasse sulla terra per sempre, ma io vi dichiaro che il Figlio dell’Uomo sarà respinto dagli uomini e che ritornerà al Padre. Io sarò con voi soltanto per poco; soltanto per poco tempo la luce vivente resterà tra questa generazione ottenebrata. Camminate mentre avete questa luce, affinché le tenebre e la confusione incombenti non vi sorprendano. Colui che cammina nelle tenebre non sa dove va; ma se voi scegliete di camminare nella luce, in verità diverrete tutti dei figli di Dio liberati. Ed ora, tutti voi, venite con me mentre ritorno al tempio per dire delle parole di addio ai capi dei sacerdoti, agli Scribi, ai Farisei, ai Sadducei, agli Erodiani e ai dirigenti ottenebrati d’Israele.”
(1904.5) 174:5.14 Dopo aver parlato così, Gesù s’incamminò in testa nelle strette vie di Gerusalemme per ritornare al tempio. Essi avevano appena sentito il Maestro dire che questo sarebbe stato il suo discorso di addio nel tempio, e lo seguirono in silenzio e in profonda meditazione.
(1905.1) 175:0.1 POCO dopo le due di questo martedì pomeriggio, Gesù, accompagnato da undici apostoli, da Giuseppe d’Arimatea, dai trenta Greci e da alcuni altri discepoli, arrivò al tempio e cominciò a pronunciare il suo ultimo discorso nei cortili del sacro edificio. Questo discorso intendeva essere il suo ultimo appello al popolo ebreo e l’accusa finale contro i suoi veementi nemici che cercavano di distruggerlo — gli Scribi, i Farisei, i Sadducei ed i principali dirigenti d’Israele. Per tutta la mattinata i vari gruppi avevano avuto l’opportunità d’interrogare Gesù; questo pomeriggio nessuno gli pose una domanda.
(1905.2) 175:0.2 Quando il Maestro cominciò a parlare, il cortile del tempio era tranquillo e ordinato. I cambiavalute ed i mercanti non avevano osato entrare di nuovo nel tempio dopo che Gesù e la folla eccitata li avevano cacciati fuori il giorno precedente. Prima di cominciare il discorso, Gesù guardò con tenerezza questo uditorio che avrebbe ascoltato tra poco il suo misericordioso saluto pubblico di addio all’umanità, unito alla sua ultima denuncia dei falsi educatori e dei capi settari degli Ebrei.
(1905.3) 175:1.1 “Sono stato a lungo con voi, andando su e giù per il paese a proclamare l’amore del Padre per i figli degli uomini, e molti hanno visto la luce e, grazie alla fede, sono entrati nel regno dei cieli. In connessione con questo insegnamento e con questa predicazione il Padre ha compiuto molte opere meravigliose, persino la risurrezione dalla morte. Molti ammalati ed afflitti sono stati risanati perché credevano; ma tutta questa proclamazione della verità e questa guarigione di malattie non hanno aperto gli occhi di coloro che rifiutano di vedere la luce, di coloro che sono determinati a respingere questo vangelo del regno.
(1905.4) 175:1.2 “In ogni modo compatibile con il compimento della volontà di mio Padre, io ed i miei apostoli abbiamo fatto l’impossibile per vivere in pace con i nostri fratelli, per conformarci alle esigenze ragionevoli delle leggi di Mosè e delle tradizioni d’Israele. Abbiamo persistentemente cercato la pace, ma i capi d’Israele non vogliono averla. Respingendo la verità di Dio e la luce del cielo, essi si stanno schierando dalla parte dell’errore e delle tenebre. Non può esservi pace tra la luce e le tenebre, tra la vita e la morte, tra la verità e l’errore.
(1905.5) 175:1.3 “Molti di voi hanno osato credere ai miei insegnamenti e sono già entrati nella gioia e nella libertà della coscienza della filiazione con Dio. E voi mi renderete testimonianza che io ho offerto questa stessa filiazione con Dio a tutta la nazione ebrea, anche a questi stessi uomini che cercano ora la mia distruzione. Anche ora mio Padre riceverebbe questi educatori ciechi e questi capi ipocriti se solo volessero rivolgersi a lui ed accettare la sua misericordia. Anche ora non è troppo tardi perché questo popolo riceva la parola del cielo ed accolga favorevolmente il Figlio dell’Uomo.
(1906.1) 175:1.4 “Mio Padre ha trattato a lungo con misericordia questo popolo. Generazione dopo generazione noi abbiamo inviato i nostri profeti per istruirli ed avvertirli, e generazione dopo generazione essi hanno ucciso questi istruttori inviati dal cielo. Ed ora i vostri ostinati sommi sacerdoti ed i vostri capi testardi stanno per fare esattamente questa stessa cosa. Come Erode ha provocato la morte di Giovanni, voi similmente vi preparate ora ad uccidere il Figlio dell’Uomo.
(1906.2) 175:1.5 “Fintanto che c’è una possibilità che gli Ebrei si rivolgano a mio Padre e cerchino la salvezza, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe terrà le sue mani misericordiose tese verso di voi; ma una volta che avrete riempito la vostra coppa d’impenitenza e una volta che avrete definitivamente respinto la misericordia di mio Padre, questa nazione sarà abbandonata alle proprie decisioni e sarà rapidamente votata ad una fine ingloriosa. Questo popolo era chiamato a divenire la luce del mondo, a mostrare la gloria spirituale di una razza che conosce Dio, ma voi vi siete talmente allontanati dal compimento dei vostri privilegi divini che i vostri capi stanno per commettere la follia suprema di tutte le ere, nel senso che sono sul punto di respingere definitivamente il dono di Dio a tutti gli uomini e per tutte le ere — la rivelazione dell’amore del Padre che è nei cieli per tutte le sue creature sulla terra.
(1906.3) 175:1.6 “E quando avrete respinto questa rivelazione di Dio agli uomini, il regno dei cieli sarà dato ad altri popoli, a coloro che lo riceveranno con gioia e felicità. Nel nome del Padre che mi ha mandato, vi avverto solennemente che state per perdere la vostra posizione nel mondo come portabandiera della verità eterna e custodi della legge divina. Io vi sto offrendo ora la vostra ultima opportunità di farvi avanti e di pentirvi, di manifestare la vostra intenzione di cercare Dio con tutto il vostro cuore e di entrare, come dei bambini e con fede sincera, nella sicurezza e nella salvezza del regno dei cieli.
(1906.4) 175:1.7 “Mio Padre ha operato a lungo per la vostra salvezza, ed io sono sceso a vivere tra voi e a mostrarvi personalmente la via. Molti Ebrei e Samaritani, ed anche Gentili, hanno creduto al vangelo del regno, ma quelli che avrebbero dovuto essere i primi a farsi avanti ed accettare la luce del cielo hanno ostinatamente rifiutato di credere alla rivelazione della verità di Dio — Dio rivelato nell’uomo e l’uomo elevato a Dio.
(1906.5) 175:1.8 “Questo pomeriggio i miei apostoli stanno qui di fronte a voi in silenzio, ma sentirete presto le loro voci annunciare la chiamata alla salvezza e l’esortazione ad unirsi al regno celeste come figli del Dio vivente. Ed ora io chiamo a testimoni questi miei discepoli e credenti nel vangelo del regno, come pure i messaggeri invisibili al loro fianco, che ho offerto ancora una volta ad Israele e ai suoi capi la liberazione e la salvezza. Ma voi tutti vedete come la misericordia del Padre è disdegnata e come i messaggeri della verità sono respinti. Ciononostante, io vi avverto che questi Scribi e Farisei siedono ancora sul seggio di Mosè, e perciò, fino a che gli Altissimi che governano nei regni degli uomini non abbatteranno alla fine questa nazione e non distruggeranno il luogo in cui sono questi capi, vi chiedo di cooperare con questi anziani d’Israele. Non è necessario che vi uniate ai loro piani per distruggere il Figlio dell’Uomo, ma in tutto ciò che concerne la pace d’Israele voi dovrete sottomettervi a loro. In tutte queste materie fate tutto ciò che vi chiedono ed osservate i fondamenti della legge, ma non imitate le loro cattive azioni. Ricordatevi, il peccato di questi capi è questo: essi dicono ciò che è bene, ma non lo fanno. Voi sapete bene come questi capi legano pesanti fardelli sulle vostre spalle, fardelli gravosi da portare, e che non alzano nemmeno un dito per aiutarvi a portare questi pesanti fardelli. Essi vi hanno oppressi con cerimonie e resi schiavi per mezzo delle tradizioni.
(1907.1) 175:1.9 “Inoltre questi capi egocentrici si compiacciono di fare le loro buone opere in modo da essere visti dagli uomini. Essi ingrandiscono i loro filatteri ed allargano il bordo delle loro vesti ufficiali. Cercano i posti migliori nelle feste ed esigono i seggi più importanti nelle sinagoghe. Bramano saluti di elogio nelle piazze del mercato e desiderano essere chiamati rabbi da tutti gli uomini. E mentre cercano tutti questi onori dagli uomini, segretamente prendono le case delle vedove e traggono profitto dai servizi del tempio sacro. Per finzione questi ipocriti fanno lunghe preghiere in pubblico e danno elemosine per attirare l’attenzione dei loro concittadini.
(1907.2) 175:1.10 “Mentre dovreste onorare i vostri capi e riverire i vostri maestri, non dovreste chiamare nessun uomo Padre in senso spirituale, perché c’è uno solo che è vostro Padre, cioè Dio. Né dovreste cercare di tiranneggiare i vostri fratelli nel regno. Ricordatevi, io vi ho insegnato che colui che vorrebbe essere il più grande tra voi dovrebbe divenire il servitore di tutti. Se pretenderete di esaltarvi davanti a Dio, sarete certamente umiliati; ma chi veramente umilia se stesso sarà certamente esaltato. Nella vostra vita quotidiana cercate, non la vostra glorificazione, ma la gloria di Dio. Subordinate intelligentemente la vostra volontà alla volontà del Padre che è nei cieli.
(1907.3) 175:1.11 “Non fraintendete le mie parole. Io non ho malanimo contro questi sommi sacerdoti e dirigenti che anche ora cercano la mia distruzione; non ho rancore per questi Scribi e Farisei che respingono i miei insegnamenti. So che molti di voi credono in segreto, e so che professerete apertamente la vostra devozione al regno quando verrà la mia ora. Ma come si giustificheranno i vostri rabbini, poiché professano di parlare con Dio e poi osano respingere e distruggere colui che viene a rivelare il Padre ai mondi?
(1907.4) 175:1.12 “Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti! Voi vorreste chiudere le porte del regno dei cieli agli uomini sinceri perché si trovano nell’ignoranza nel senso del vostro insegnamento. Voi rifiutate di entrare nel regno e allo stesso tempo fate tutto quanto è in vostro potere per impedire agli altri di entrarvi. Voi girate le spalle alle porte della salvezza e lottate contro tutti coloro che vorrebbero entrarvi.
(1907.5) 175:1.13 “Guai a voi, Scribi e Farisei, ipocriti che siete! Perché in verità percorrete terra e mare per fare un proselito, e quando vi siete riusciti non siete soddisfatti fino a che non l’avete reso due volte peggiore che se fosse un figlio dei pagani.
(1907.6) 175:1.14 “Guai a voi, gran sacerdoti e dirigenti che v’impadronite delle proprietà dei poveri ed esigete pesanti imposte da coloro che vorrebbero servire Dio come loro credono abbia ordinato Mosè! Voi che rifiutate di mostrare misericordia, potete sperare misericordia nei mondi futuri?
(1907.7) 175:1.15 “Guai a voi, falsi insegnanti, guide cieche! Che cosa ci si può aspettare da una nazione quando il cieco conduce il cieco? Entrambi cadranno nell’abisso della distruzione.
(1907.8) 175:1.16 “Guai a voi che vi nascondete quando fate un giuramento! Voi siete degli imbroglioni poiché insegnate che un uomo può prestare giuramento per il tempio e rompere il suo giuramento, ma che chi ha giurato per l’oro del tempio deve rimanere obbligato. Voi siete tutti sciocchi e ciechi. Non siete nemmeno logici nella vostra disonestà, perché che cos’è più grande, l’oro o il tempio che si ritiene abbia santificato l’oro? Voi insegnate anche che se un uomo giura per l’altare, ciò non significa nulla; ma che se uno giura per il dono che è sull’altare, allora sarà ritenuto debitore. Anche in questo caso siete ciechi alla verità, perché che cos’è più grande, il dono o l’altare che santifica il dono? Come potete giustificare una tale ipocrisia e disonestà davanti al Dio del cielo?
(1908.1) 175:1.17 “Guai a voi, Scribi e Farisei e tutti gli altri ipocriti, che vi assicurate di donare la decima della menta, dell’anice e del cumino e allo stesso tempo trascurate le materie più importanti della legge — fede, misericordia e giudizio! A ragione avreste dovuto fare le prime, ma non avreste dovuto lasciare non fatte le altre. Voi siete veramente delle guide cieche e degli sciocchi educatori; voi filtrate il moscerino ed inghiottite il cammello.
(1908.2) 175:1.18 “Guai a voi, Scribi, Farisei ed ipocriti! Perché siete scrupolosi nel pulire l’esterno della coppa e del piatto, ma all’interno lasciate la sporcizia dell’estorsione, degli eccessi e dell’inganno. Voi siete spiritualmente ciechi. Non riconoscete quanto sarebbe molto meglio pulire prima l’interno della coppa, ed allora ciò che si spande fuori pulirebbe da se stesso l’esterno? Voi reprobi malvagi! Compite gli atti esteriori della vostra religione per conformarvi alla lettera della vostra interpretazione della legge di Mosè, mentre le vostre anime sono immerse nell’iniquità e sono piene d’intenzioni omicide.
(1908.3) 175:1.19 “Guai a voi tutti che respingete la verità e rifiutate la misericordia! Molti di voi sono simili a sepolcri imbiancati, che esternamente sembrano belli, ma all’interno sono pieni di ossa di uomini morti e di ogni sorta d’impurità. Così anche voi che rigettate coscientemente il consiglio di Dio apparite esteriormente agli uomini come santi e giusti, ma internamente il vostro cuore è pieno d’ipocrisia e d’iniquità.
(1908.4) 175:1.20 “Guai a voi, false guide di una nazione! Avete eretto laggiù un monumento ai profeti martirizzati di un tempo, mentre complottate di distruggere colui di cui essi hanno parlato. Voi ornate le tombe dei giusti e vi vantate che, se aveste vissuto ai tempi dei vostri padri, non avreste ucciso i profeti; e poi a fronte di questo pensiero farisaico vi preparate ad assassinare colui di cui i profeti hanno parlato, il Figlio dell’Uomo. Poiché fate queste cose, testimoniate verso voi stessi che siete i figli perversi di coloro che hanno ucciso i profeti. Continuate, dunque, e riempite fino all’orlo la coppa della vostra condanna!
(1908.5) 175:1.21 “Guai a voi, figli del male! Giovanni vi ha chiamati giustamente razza di vipere, ed io vi chiedo come potrete sfuggire al giudizio che Giovanni ha pronunciato contro di voi?
(1908.6) 175:1.22 “Ma anche ora io vi offro nel nome di mio Padre misericordia e perdono; anche ora vi tendo la mano amorevole della comunione eterna. Mio Padre vi ha mandato i saggi e i profeti; alcuni li avete perseguitati ed altri li avete uccisi. Allora apparve Giovanni proclamando la venuta del Figlio dell’Uomo, e voi l’avete ucciso dopo che molti avevano creduto al suo insegnamento. Ed ora vi preparate a versare ancora del sangue innocente. Non comprendete che verrà un terribile giorno di giudizio universale in cui il Giudice di tutta la terra esigerà da questo popolo un rendiconto per il modo in cui essi hanno respinto, perseguitato e ucciso questi messaggeri del cielo? Non comprendete che dovrete rendere conto di tutto questo sangue dei giusti, dal primo profeta ucciso fino ai tempi di Zaccaria, che fu assassinato tra il santuario e l’altare? Se voi perseverate nelle vostre cattive strade, questa resa dei conti può essere richiesta in questa stessa generazione.
(1908.7) 175:1.23 “O Gerusalemme e figli di Abramo, voi che avete lapidato i profeti e ucciso i maestri che vi furono mandati, anche ora vorrei riunire i vostri figli come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le sue ali, ma voi non lo volete!
(1908.8) 175:1.24 “Ed ora io mi congedo da voi. Voi avete ascoltato il mio messaggio e avete preso la vostra decisione. Coloro che hanno creduto al mio vangelo sono già salvi nel regno di Dio. A voi che avete scelto di respingere il dono di Dio, dico che non mi vedrete più insegnare nel tempio. La mia opera per voi è finita. Ecco, io esco ora con i miei figli, e la vostra casa è lasciata a voi nella desolazione!”
(1908.9) 175:1.25 E poi il Maestro fece segno ai suoi discepoli di lasciare il tempio.
(1909.1) 175:2.1 Il fatto che i dirigenti spirituali e gli insegnanti religiosi della nazione ebraica abbiano respinto un tempo gli insegnamenti di Gesù e cospirato per provocare la sua morte crudele, non incide in alcun modo sullo status del singolo Ebreo nella sua posizione davanti a Dio. E ciò non dovrebbe spingere coloro che professano di essere seguaci del Cristo a mantenere dei pregiudizi contro gli Ebrei come loro simili mortali. Gli Ebrei, come nazione, come gruppo sociopolitico, hanno pagato in pieno il terrible prezzo di aver respinto il Principe della Pace. Essi hanno cessato da lungo tempo di essere i portafiaccola spirituali della verità divina presso le razze dell’umanità, ma ciò non costituisce una ragione valida perché ai singoli discendenti di questi Ebrei di un tempo siano fatte patire le persecuzioni che sono state inflitte loro da intolleranti, indegni e settari professati seguaci di Gesù di Nazaret, che era, lui stesso, un Ebreo di nascita naturale.
(1909.2) 175:2.2 Molte volte quest’odio e questa persecuzione irragionevoli e indegni del modello di Cristo contro gli Ebrei contemporanei, sono terminati nella sofferenza e nella morte di un Ebreo innocente e inoffensivo, i cui antenati, al tempo di Gesù, avevano sinceramente accettato il suo vangelo ed erano subito morti stoicamente per quella verità alla quale credevano con tutto il cuore. Quale brivido d’orrore passa sugli esseri celesti che stanno osservando, quando vedono i pretesi seguaci di Gesù compiacersi nel perseguitare, molestare ed anche uccidere i discendenti successivi di Pietro, di Filippo, di Matteo e di altri Ebrei della Palestina che donarono così gloriosamente la loro vita come primi martiri del vangelo del regno dei cieli!
(1909.3) 175:2.3 Quanto è crudele e assurdo costringere dei figli innocenti a soffrire per i peccati dei loro progenitori, misfatti che essi ignorano completamente e di cui non possono in alcun modo essere responsabili! E si compiono tali cattive azioni nel nome di uno che ha insegnato ai suoi discepoli ad amare anche i loro nemici! È divenuto necessario, in questo racconto della vita di Gesù, descrivere il modo in cui taluni dei suoi compatrioti ebrei lo respinsero e cospirarono per provocare la sua morte infamante. Ma vorremmo avvertire tutti coloro che leggono questa narrazione, che la presentazione di un tale racconto storico non giustifica in alcun modo l’odio ingiusto, né perdona l’iniquo atteggiamento mentale che così tanti professati cristiani hanno mantenuto verso i singoli Ebrei per molti secoli. I credenti nel regno, coloro che seguono gli insegnamenti di Gesù, devono cessare di maltrattare il singolo Ebreo come fosse colpevole del ripudio e della crocifissione di Gesù. Il Padre e suo Figlio Creatore non hanno mai cessato di amare gli Ebrei. Dio non fa eccezione di persone, e la salvezza è per gli Ebrei quanto per i Gentili.
(1909.4) 175:3.1 La riunione decisiva del Sinedrio fu convocata per le otto di questo martedì sera. In molte occasioni precedenti questa corte suprema della nazione ebraica aveva ufficiosamente decretato la morte di Gesù. Molte volte questo augusto corpo dirigente aveva determinato di porre fine alla sua opera, ma mai prima aveva deciso di arrestarlo e di determinare la sua morte a qualsiasi costo. Fu poco prima di mezzanotte di questo martedì 4 aprile dell’anno 30 d.C. che il Sinedrio, qual era allora costituito, votò ufficialmente e all’unanimità d’infliggere la pena di morte sia a Gesù che a Lazzaro. Questa fu la risposta all’ultimo appello del Maestro ai dirigenti degli Ebrei, che egli aveva fatto nel tempio solo poche ore prima, e rappresentava la loro reazione di aspro risentimento verso l’ultima vigorosa accusa di Gesù contro questi stessi gran sacerdoti ed impenitenti Sadducei e Farisei. L’approvazione della condanna a morte del Figlio di Dio (prima ancora del suo giudizio) fu la replica del Sinedrio all’ultima offerta di misericordia celeste, da estendersi alla nazione ebraica in quanto tale.
(1910.1) 175:3.2 A partire da questo momento gli Ebrei furono lasciati terminare il loro breve periodo di vita nazionale in completa conformità con il loro status puramente umano tra le nazioni di Urantia. Israele aveva ripudiato il Figlio del Dio che aveva fatto un patto con Abramo, ed il piano destinato a fare dei figli di Abramo i portatori della luce della verità al mondo era stato distrutto. L’alleanza divina era stata abrogata e la fine della nazione ebraica si avvicinava a grandi passi.
(1910.2) 175:3.3 Gli ufficiali del Sinedrio ricevettero l’ordine di arrestare Gesù il mattino successivo presto, ma con istruzioni che non doveva essere preso in pubblico. Essi dovevano organizzarsi per arrestarlo in segreto, preferibilmente all’improvviso e di notte. Comprendendo che egli poteva non tornare quel giorno (mercoledì) per insegnare nel tempio, essi ordinarono a questi ufficiali del Sinedrio di “condurlo davanti all’alta corte ebraica al più tardi entro mezzanotte di giovedì”.
(1910.3) 175:4.1 Al termine dell’ultimo discorso di Gesù nel tempio, gli apostoli furono lasciati ancora una volta nella confusione e nella costernazione. Prima che il Maestro cominciasse la sua terribile requisitoria contro i dirigenti ebrei, Giuda era tornato al tempio, cosicché tutti i dodici ascoltarono questa seconda metà dell’ultimo discorso di Gesù nel tempio. È un peccato che Giuda Iscariota non avesse ascoltato la prima metà con la profferta di misericordia di questo discorso di addio. Egli non aveva ascoltato quest’ultima offerta di misericordia ai capi ebrei perché era ancora in riunione con un gruppo di parenti ed amici Sadducei con i quali aveva mangiato e con cui aveva conferito sul modo più appropriato di dissociarsi da Gesù e dai suoi compagni apostoli. Fu mentre ascoltava l’accusa finale del Maestro ai capi e ai dirigenti ebrei che Giuda decise di abbandonare definitivamente e completamente il movimento evangelico e di lavarsi le mani dell’intera impresa. Ciononostante egli lasciò il tempio in compagnia dei dodici, andò con loro sul Monte Oliveto, dove, con i suoi compagni apostoli, ascoltò il fatidico discorso sulla distruzione di Gerusalemme e sulla fine della nazione ebraica, e rimase con loro quel martedì notte nel nuovo campo vicino a Getsemani.
(1910.4) 175:4.2 La folla che ascoltò Gesù passare dal suo misericordioso appello ai dirigenti ebrei a quell’improvviso ed aspro rimprovero che rasentava una spietata accusa, rimase stordita e confusa. Quella sera, mentre il Sinedrio pronunciava la sentenza di morte contro Gesù, e mentre il Maestro stava con i suoi apostoli e alcuni dei suoi discepoli sul Monte degli Olivi predicendo la morte della nazione ebraica, tutta Gerusalemme si era impegnata nella seria e prudente discussione di una sola domanda: “Che cosa faranno di Gesù?”
(1910.5) 175:4.3 A casa di Nicodemo più di trenta eminenti Ebrei che credevano segretamente nel regno si riunirono e discussero quale condotta avrebbero dovuto seguire nel caso fosse avvenuta un’aperta rottura con il Sinedrio. Tutti i presenti furono d’accordo che avrebbero fatto aperta ammissione della loro devozione al Maestro nello stesso momento in cui avessero avuto notizia del suo arresto. E questo è proprio ciò che fecero.
(1911.1) 175:4.4 I Sadducei, che ora controllavano e dominavano il Sinedrio, erano desiderosi di sbarazzarsi di Gesù per le seguenti ragioni:
(1911.2) 175:4.5 1. Essi temevano che il crescente favore popolare con cui la moltitudine lo considerava minacciasse di compromettere l’esistenza della nazione ebraica per un possibile conflitto con le autorità romane.
(1911.3) 175:4.6 2. Il suo zelo per la riforma del tempio riduceva direttamente i loro profitti; la purificazione del tempio toccava le loro borse.
(1911.4) 175:4.7 3. Essi si sentivano responsabili della conservazione dell’ordine sociale e temevano le conseguenze dell’ulteriore espansione della strana e nuova dottrina di Gesù sulla fratellanza degli uomini.
(1911.5) 175:4.8 I Farisei avevano motivi differenti per desiderare di vedere Gesù messo a morte. Essi lo temevano perché:
(1911.6) 175:4.9 1. Egli si era schierato in fiera opposizione alla loro influenza tradizionale sul popolo. I Farisei erano ultraconservatori e si risentirono profondamente per questi attacchi ritenuti radicali contro il loro acquisito prestigio come insegnanti religiosi.
(1911.7) 175:4.10 2. Essi sostenevano che Gesù era un violatore della legge; che aveva mostrato un disprezzo totale per il sabato e per numerose altre prescrizioni legali e cerimoniali.
(1911.8) 175:4.11 3. Essi lo accusavano di bestemmia perché alludeva a Dio come fosse suo Padre.
(1911.9) 175:4.12 4. Ed ora essi erano fortemente irritati con lui a causa del suo ultimo discorso di dura accusa che aveva pronunciato in questo giorno nel tempio come parte conclusiva del suo saluto di addio.
(1911.10) 175:4.13 Il Sinedrio, avendo ufficialmente decretato la morte di Gesù ed avendo impartito gli ordini per il suo arresto, tolse la seduta questo martedì verso mezzanotte, dopo aver convenuto di riunirsi il mattino seguente alle dieci a casa del sommo sacerdote Caifa per formulare le accuse secondo le quali Gesù sarebbe stato portato in giudizio.
(1911.11) 175:4.14 Un piccolo gruppo di Sadducei aveva in effetti proposto di eliminare Gesù assassinandolo, ma i Farisei rifiutarono assolutamente di appoggiare un tale procedimento.
(1911.12) 175:4.15 Questa era la situazione a Gerusalemme e tra gli uomini in questo giorno movimentato, mentre un vasto concorso di esseri celesti si librava su questa memorabile scena terrena, ansiosi di fare qualcosa per aiutare il loro amato Sovrano, ma impossibilitati ad agire perché erano efficacemente impediti dai loro comandanti superiori.
(1912.1) 176:0.1 QUESTO martedì pomeriggio, mentre Gesù e gli apostoli uscivano dal tempio per andare al campo di Getsemani, Matteo, attirando l’attenzione sulla struttura del tempio, disse: “Maestro, osserva lo stile di queste costruzioni. Guarda le pietre massicce ed il magnifico ornamento; è possibile che questi edifici vengano distrutti?” Mentre proseguivano verso l’Oliveto, Gesù disse: “Voi vedete queste pietre e questo tempio massiccio; in verità, in verità vi dico che nei giorni che presto verranno non sarà lasciata una pietra sull’altra. Saranno tutte abbattute.” Questi commenti che descrivevano la distruzione del tempio sacro suscitarono la curiosità degli apostoli che camminavano dietro il Maestro; essi non riuscivano a concepire alcun evento, salvo la fine del mondo, che potesse causare la distruzione del tempio.
(1912.2) 176:0.2 Per evitare la folla che procedeva lungo la valle del Cedron verso Getsemani, Gesù ed i suoi associati pensarono di risalire per un breve tratto il versante occidentale dell’Oliveto e poi di seguire un sentiero che portava al loro campo privato vicino a Getsemani, situato poco sopra la zona del campeggio pubblico. Quando girarono per lasciare la strada che portava a Betania, essi contemplarono il tempio, glorificato dai raggi del sole che tramontava. E mentre sostavano sul monte, videro accendersi le luci della città ed ammirarono la bellezza del tempio illuminato; e là, sotto la dolce luce della luna piena, Gesù e i dodici si sedettero. Il Maestro parlò con loro e Natanaele pose subito questa domanda: “Dicci, Maestro, come sapremo quando staranno per accadere questi avvenimenti?”
(1912.3) 176:1.1 In risposta alla domanda di Natanaele, Gesù disse: “Sì, vi parlerò del tempo in cui questo popolo avrà riempito la coppa della sua iniquità, in cui la giustizia si abbatterà rapidamente su questa città dei nostri padri. Io sto per lasciarvi, vado dal Padre. Dopo che vi avrò lasciato, fate attenzione che nessuno v’inganni, perché molti verranno come liberatori e indurranno in errore molte persone. Quando sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre non siate turbati, perché, anche se accadranno tutte queste cose, la fine di Gerusalemme non sarà ancora imminente. Non allarmatevi per carestie o terremoti, né preoccupatevi quando sarete consegnati alle autorità civili e sarete perseguitati a causa del vangelo. Voi sarete espulsi dalla sinagoga e messi in prigione a causa mia, e alcuni di voi saranno uccisi. Quando sarete tradotti davanti ai governatori e ai capi, ciò sarà per testimoniare la vostra fede e per mostrare la vostra fermezza nel vangelo del regno. E quando comparirete davanti ai giudici, non preoccupatevi in anticipo di ciò che dovrete dire, perché lo spirito v’insegnerà in quello stesso momento ciò che dovrete rispondere ai vostri avversari. In questi giorni di travaglio, anche i vostri stessi parenti, sotto il comando di coloro che hanno respinto il Figlio dell’Uomo, vi consegneranno alla prigione e alla morte. Per un certo tempo voi potrete essere odiati da tutti gli uomini a causa mia, ma anche durante queste persecuzioni io non vi abbandonerò; il mio spirito non vi lascerà. Siate pazienti! Non abbiate dubbi sul fatto che questo vangelo del regno trionferà su tutti i nemici e, alla fine, sarà proclamato a tutte le nazioni.”
(1913.1) 176:1.2 Gesù s’interruppe mentre guardava giù sulla città. Il Maestro realizzò che il rifiuto del concetto spirituale del Messia, la determinazione di aggrapparsi ostinatamente e ciecamente alla missione materiale del liberatore atteso, avrebbe condotto presto gli Ebrei ad un conflitto diretto con le potenti armate romane, e che una tale contesa sarebbe terminata soltanto con la distruzione finale e completa della nazione ebraica. Quando il suo popolo respinse il suo conferimento spirituale e rifiutò di ricevere la luce del cielo che brillava così misericordiosamente su di esso, suggellò con ciò la sua rovina come popolo indipendente con una missione spirituale speciale sulla terra. Anche i dirigenti ebrei riconobbero successivamente che era stata questa idea laica del Messia a condurre direttamente ai disordini che causarono alla fine la loro distruzione.
(1913.2) 176:1.3 Poiché Gerusalemme doveva diventare la culla del movimento evangelico primitivo, Gesù non voleva che i suoi insegnanti e predicatori perissero nella terribile rovina del popolo ebreo in connessione con la distruzione di Gerusalemme; per questo egli diede queste istruzioni ai suoi seguaci. Gesù temeva molto che alcuni dei suoi discepoli fossero coinvolti in queste prossime rivolte e perissero così nella caduta di Gerusalemme.
(1913.3) 176:1.4 Allora Andrea chiese: “Ma, Maestro, se la Città Santa ed il tempio saranno distrutti, e se tu non sei qui a dirigerci, quando dovremo abbandonare Gerusalemme?” Gesù disse: “Voi potete rimanere nella città dopo la mia partenza, anche durante questi tempi di travaglio e di accanita persecuzione, ma quando vedrete alla fine Gerusalemme accerchiata dalle armate romane dopo la rivolta dei falsi profeti, allora saprete che la desolazione è vicina; allora dovrete fuggire sulle montagne. Che nessun abitante della città e dei sobborghi si attardi a salvare alcunché, né coloro che sono fuori osino entrarvi. Ci sarà una grande tribolazione, perché questi saranno i giorni della vendetta dei Gentili. E dopo che avrete abbandonato la città, questo popolo disobbediente sarà passato a fil di spada o inviato prigioniero in tutte le nazioni; e così Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili. Nel frattempo, vi avverto, non lasciatevi ingannare. Se un uomo viene da voi dicendo: ‘Guarda, il Liberatore è qui’, o ‘Guarda, egli è là’, non credeteci, perché sorgeranno molti falsi educatori e molte persone saranno indotte in errore. Ma voi non dovreste essere ingannati, perché vi ho annunciato tutto ciò in anticipo.”
(1913.4) 176:1.5 Gli apostoli rimasero seduti in silenzio per molto tempo sotto la luce della luna, mentre queste sconvolgenti predizioni del Maestro s’imprimevano nella loro mente disorientata. E fu in conformità a questo stesso avvertimento che praticamente l’intero gruppo di credenti e di discepoli fuggì da Gerusalemme alla prima apparizione delle truppe romane, trovando rifugio sicuro verso nord a Pella.
(1913.5) 176:1.6 Anche dopo questo avvertimento esplicito, molti seguaci di Gesù interpretarono queste predizioni come riferentisi ai cambiamenti che si sarebbero ovviamente prodotti in Gerusalemme quando la riapparizione del Messia avrebbe causato l’instaurazione della Nuova Gerusalemme e l’ampliamento della città per divenire la capitale del mondo. Nella loro mente questi Ebrei erano determinati a collegare la distruzione del tempio con la “fine del mondo”. Essi credevano che questa Nuova Gerusalemme avrebbe compreso tutta la Palestina; che la fine del mondo sarebbe stata seguita dall’apparizione immediata “dei nuovi cieli e della nuova terra”. E così non fu strano che Pietro dicesse: “Maestro, sappiamo che tutte le cose avranno fine quando appariranno i nuovi cieli e la nuova terra, ma come sapremo quando tu ritornerai per compiere tutto ciò?”
(1914.1) 176:1.7 Quando Gesù udì ciò, rimase pensieroso per qualche istante e poi disse: “Voi vi sbagliate continuamente perché tentate sempre di collegare il nuovo insegnamento al vecchio; siete determinati a fraintendere tutto il mio insegnamento; insistete nell’interpretare il vangelo secondo le vostre credenze stabilite. Ciononostante, tenterò d’illuminarvi.”
(1914.2) 176:2.1 In parecchie occasioni Gesù aveva fatto delle affermazioni che avevano indotto i suoi ascoltatori a dedurre che, sebbene egli intendesse lasciare presto questo mondo, sarebbe molto certamente ritornato per completare l’opera del regno dei cieli. Via via che cresceva nei suoi discepoli la convinzione che egli stesse per lasciarli, e dopo che fu partito da questo mondo, fu solo naturale che tutti i credenti si aggrappassero saldamente a queste promesse di ritorno. La dottrina della seconda venuta del Cristo fu così ben presto incorporata negli insegnamenti cristiani, e quasi tutte le generazioni successive di discepoli hanno devotamente creduto a questa verità ed atteso con fiducia che prima o poi egli venisse.
(1914.3) 176:2.2 Se dovevano essere separati dal loro Signore e Maestro, questi primi discepoli e gli apostoli si aggrapparono ancor più a questa promessa del ritorno, e non tardarono ad associare la predetta distruzione di Gerusalemme a questa seconda venuta promessa. Ed essi continuarono ad interpretare in tal modo le sue parole nonostante che il Maestro, per tutta questa serata d’istruzione sul Monte Oliveto, si fosse particolarmente sforzato di prevenire proprio un tale errore.
(1914.4) 176:2.3 Rispondendo ulteriormente alla domanda di Pietro, Gesù disse: “Perché vi aspettate ancora che il Figlio dell’Uomo sieda sul trono di Davide e sperate che i sogni materiali degli Ebrei saranno realizzati? Non vi ho detto in tutti questi anni che il mio regno non è di questo mondo? Le cose che voi ora osservate stanno per finire, ma ciò sarà un nuovo inizio dal quale il vangelo del regno si diffonderà nel mondo intero e questa salvezza sarà estesa a tutti i popoli. E quando il regno sarà giunto alla sua piena maturità, siate certi che il Padre celeste non mancherà di visitarvi con una rivelazione ampliata della verità e con un’accresciuta dimostrazione di rettitudine, come ha già conferito su questo mondo colui che è divenuto il principe delle tenebre, e poi Adamo, che fu seguito da Melchizedek, e in questi giorni dal Figlio dell’Uomo. E così mio Padre continuerà a manifestare la sua misericordia e a mostrare il suo amore, anche a questo mondo oscuro e perverso. Anch’io, dopo che mio Padre mi avrà investito di ogni potere ed autorità, continuerò a seguire la vostra sorte e a guidarvi negli affari del regno con la presenza del mio spirito, che sarà presto sparso su tutta la carne. Anche se io sarò presente così presso di voi in spirito, prometto che ritornerò un giorno su questo mondo, dove ho vissuto questa vita nella carne ed ho compiuto l’esperienza simultanea di rivelare Dio all’uomo e di condurre l’uomo a Dio. Molto presto io dovrò lasciarvi e riprendere il lavoro che il Padre mi ha affidato, ma abbiate coraggio, perché un giorno ritornerò. Nel frattempo, il mio Spirito della Verità di un universo vi conforterà e vi guiderà.
(1915.1) 176:2.4 “Voi mi vedete ora debole e nella carne, ma quando ritornerò sarà con potenza ed in spirito. L’occhio di carne vede il Figlio dell’Uomo nella carne, ma solo l’occhio dello spirito vedrà il Figlio dell’Uomo glorificato dal Padre e che apparirà sulla terra nel suo stesso nome.
(1915.2) 176:2.5 “Ma i tempi della riapparizione del Figlio dell’Uomo sono conosciuti soltanto nei consigli del Paradiso; nemmeno gli angeli del cielo sanno quando ciò avverrà. Tuttavia, voi dovreste comprendere che, quando questo vangelo del regno sarà stato proclamato a tutto il mondo per la salvezza di tutti i popoli, e quando sarà giunta la pienezza dell’era, il Padre vi manderà un altro conferimento dispensazionale, altrimenti il Figlio dell’Uomo ritornerà per giudicare l’era.
(1915.3) 176:2.6 “Ed ora, riguardo al travaglio di Gerusalemme di cui vi ho parlato, non passerà questa generazione senza che le mie parole siano compiute; ma per ciò che concerne i tempi del ritorno del Figlio dell’Uomo, nessuno in cielo o sulla terra può pretendere di parlarne. Ma voi dovreste essere accorti riguardo alla maturazione di un’era; dovreste essere vigili nel discernere i segni dei tempi. Voi sapete che quando il fico mostra i suoi rami teneri e fa uscire le sue foglie l’estate è vicina. Similmente, quando il mondo sarà passato per il lungo inverno della mentalità materialista e voi discernerete la venuta della primavera spirituale di una nuova dispensazione, saprete che l’estate di una nuova visitazione si avvicina.
(1915.4) 176:2.7 “Ma qual è il significato di questo insegnamento sulla venuta dei Figli di Dio? Non percepite che, quando ciascuno di voi sarà chiamato ad abbandonare la sua lotta per la vita e a passare per il portale della morte, vi troverete nella presenza immediata del giudizio e sarete faccia a faccia con i fatti di una nuova dispensazione di servizio nel piano eterno del Padre infinito? Ciò che il mondo intero deve affrontare come un fatto letterale alla fine di un’era, voi, come individui, dovrete ciascuno affrontare molto certamente come esperienza personale quando arriverete alla fine della vostra vita naturale e procederete così per essere confrontati con le condizioni e le esigenze inerenti alla rivelazione successiva della progressione eterna del regno del Padre.”
(1915.5) 176:2.8 Di tutti i discorsi che il Maestro fece ai suoi apostoli, nessuno mai generò in loro una confusione mentale maggiore di questo, pronunciato questo martedì sera sul Monte degli Olivi, sul duplice soggetto della distruzione di Gerusalemme e della sua seconda venuta. Vi fu, perciò, poca concordanza tra i successivi resoconti scritti basati sui ricordi di ciò che il Maestro disse in questa occasione straordinaria. Di conseguenza, quando gli scritti furono lasciati mancanti di gran parte di ciò che fu detto questo martedì sera, sorsero numerose tradizioni. All’inizio del secondo secolo, un’apocalisse ebrea sul Messia scritta da un certo Selta, che era addetto alla corte dell’imperatore Caligola, fu interamente inserita nel vangelo di Matteo e successivamente aggiunta (in parte) agli scritti di Marco e di Luca. Fu in questi scritti di Selta che apparve la parabola delle dieci vergini. Nessuna parte degli scritti evangelici soffrì mai di una tale ingannevole errata interpretazione come l’insegnamento di questa sera. Ma l’apostolo Giovanni non si lasciò mai confondere su questo punto.
(1915.6) 176:2.9 Quando questi tredici uomini ripresero il loro cammino verso il campo, erano muti e sotto una grande tensione emotiva. Giuda si era definitivamente deciso ad abbandonare i suoi associati. Era tardi quando Davide Zebedeo, Giovanni Marco ed un certo numero di discepoli eminenti accolsero Gesù e i dodici nel nuovo campo, ma gli apostoli non avevano voglia di dormire; essi volevano saperne di più sulla distruzione di Gerusalemme, sulla partenza del Maestro e sulla fine del mondo.
(1916.1) 176:3.1 Mentre una ventina di loro si riunivano attorno al fuoco del bivacco, Tommaso chiese: “Poiché tu devi ritornare per completare l’opera del regno, quale dovrà essere il nostro comportamento mentre sei lontano per occuparti degli affari del Padre?” Gesù, dopo averli guardati alla luce del fuoco, rispose:
(1916.2) 176:3.2 “Anche tu, Tommaso, non riesci a comprendere ciò che ho detto. Non vi ho insegnato per tutto questo tempo che la vostra connessione con il regno è spirituale e individuale, che è interamente una questione di esperienza personale nello spirito per mezzo della realizzazione per fede che siete figli di Dio? Che cosa devo dire di più? La caduta delle nazioni, il crollo degli imperi, la distruzione degli Ebrei non credenti, la fine di un’era, anche la fine del mondo, che cosa hanno a che fare queste cose con uno che crede in questo vangelo e che ha celato la sua vita nella sicurezza del regno eterno? Voi che conoscete Dio e che credete al vangelo avete già ricevuto le assicurazioni della vita eterna. Poiché la vostra vita è stata vissuta nello spirito e per il Padre, niente può inquietarvi seriamente. I costruttori del regno, i cittadini accreditati dei mondi celesti, non devono essere disturbati da sconvolgimenti temporali o preoccupati da cataclismi terrestri. Che cosa importa a voi che credete in questo vangelo del regno se delle nazioni vengono rovesciate, se l’era finisce o se tutte le cose visibili vanno in rovina, poiché sapete che la vostra vita è il dono del Figlio e che è eternamente sicura nel Padre? Avendo vissuto la vita temporale con fede ed avendo prodotto i frutti dello spirito nella forma di rettitudine del servizio amorevole verso i vostri simili, voi potete guardare con fiducia alla prossima tappa nella carriera eterna con la stessa fede nella sopravvivenza che vi ha accompagnato attraverso la vostra prima avventura terrena di filiazione con Dio.
(1916.3) 176:3.3 “Ogni generazione di credenti dovrebbe proseguire il suo lavoro, in vista del possibile ritorno del Figlio dell’Uomo, esattamente come ogni singolo credente prosegue il lavoro della sua vita in vista dell’inevitabile morte naturale sempre incombente. Una volta che vi siete stabiliti per fede come figli di Dio, nient’altro concerne la certezza della sopravvivenza. Ma non ingannatevi! Questa fede nella sopravvivenza è una fede vivente, e manifesta sempre più i frutti di quello spirito divino che l’ha ispirata inizialmente nel cuore umano. Il fatto che voi abbiate accettato una volta la filiazione nel regno celeste non vi salverà di fronte al rifiuto cosciente e persistente di quelle verità che concernono la fecondità spirituale progressiva dei figli di Dio nella carne. Voi che siete stati con me negli affari del Padre sulla terra, potete anche ora disertare il regno se costatate che non amate la via del servizio del Padre per l’umanità.
(1916.4) 176:3.4 “In quanto individui, e come generazione di credenti, ascoltate mentre vi racconto una parabola: c’era un uomo importante che, prima di partire per un lungo viaggio in un paese lontano, chiamò tutti i suoi servi di fiducia davanti a lui e mise nelle loro mani tutti i suoi beni. Ad uno diede cinque talenti, ad un altro due, e ad altro uno. E così di seguito, per l’intero gruppo di servi stimati, egli affidò a ciascuno i suoi beni secondo le loro diverse capacità; e poi partì per il suo viaggio. Quando il loro signore fu partito, i suoi servi si misero al lavoro per trarre profitto dalle ricchezze loro affidate. Colui che aveva ricevuto cinque talenti cominciò immediatamente a commerciare con essi e molto presto ebbe fatto un profitto di altri cinque talenti. Allo stesso modo colui che aveva ricevuto due talenti ne ebbe presto guadagnato altri due. E così tutti questi servi fecero dei guadagni per il loro padrone, salvo colui che aveva ricevuto un solo talento. Egli si allontanò da solo e scavò un buco per terra dove nascose il denaro del suo padrone. Subito dopo il padrone di quei servi ritornò all’improvviso e convocò i suoi intendenti per un rendiconto. E quando furono tutti riuniti davanti al loro padrone, colui che aveva ricevuto i cinque talenti si fece avanti con il denaro che gli era stato affidato e portò cinque talenti in aggiunta, dicendo: ‘Signore, tu mi hai dato cinque talenti da investire, e sono felice di porgerti altri cinque talenti come mio guadagno.’ Ed allora il padrone gli disse: ‘Ben fatto, buono e fedele servitore, tu sei stato fedele nel poco; ora io ti farò amministratore di molto; partecipa subito della gioia del tuo padrone.’ Poi si fece avanti colui che aveva ricevuto i due talenti, dicendo: ‘Signore, tu hai consegnato nelle mie mani due talenti; ecco, io ho guadagnato questi altri due talenti.’ Ed il suo padrone gli disse allora: ‘Ben fatto, buono e fedele amministratore; anche tu sei stato fedele nel poco, ed ora io t’incaricherò su molto; partecipa della gioia del tuo padrone.’ E poi venne a rendere conto colui che aveva ricevuto un solo talento. Questo servo si fece avanti dicendo: ‘Signore, io ti ho conosciuto ed ho capito che eri un uomo astuto, perché ti aspettavi dei guadagni dove non avevi personalmente lavorato; perciò io ho avuto paura di rischiare alcunché di ciò che mi era stato affidato. Ho nascosto al sicuro il tuo talento nella terra; eccolo, tu hai ora ciò che ti appartiene.’ Ma il padrone rispose: ‘Tu sei un amministratore indolente e parassita. Con le tue stesse parole confessi che sapevi che avrei preteso da te un rendiconto con un ragionevole profitto, come quello che i tuoi diligenti compagni servitori mi hanno presentato oggi. Sapendo ciò, avresti dovuto quindi almeno aver messo il mio denaro nelle mani dei banchieri, affinché al mio ritorno io potessi aver ricevuto il mio con gli interessi.’ Ed allora questo signore disse al capo degli amministratori: ‘Togli quest’unico talento a questo servitore infruttuoso a dallo a quello che ha i dieci talenti.’
(1917.1) 176:3.5 “A chiunque ha, sarà dato di più, e questi avrà in abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Non si può restare inoperosi negli affari del regno eterno. Mio Padre chiede a tutti i suoi figli di crescere in grazia e nella conoscenza della verità. Voi che conoscete queste verità, dovete produrre l’accrescimento dei frutti dello spirito e manifestare una devozione crescente al servizio disinteressato dei vostri simili che servono con voi. E ricordatevi che, nella misura in cui assistete il più umile dei miei fratelli, avrete reso questo servizio a me.
(1917.2) 176:3.6 “È così che dovreste occuparvi del lavoro degli affari del Padre, ora ed in seguito, ed anche per l’eternità. Proseguite fino al mio ritorno. Eseguite fedelmente ciò che vi è affidato, e sarete allora pronti per la chiamata di rendiconto alla vostra morte. Ed avendo vissuto così per la gloria del Padre e per la soddisfazione del Figlio, entrerete con gioia e con piacere estremo nel servizio perpetuo del regno eterno.”
(1917.3) 176:3.7 La verità è vivente; lo Spirito della Verità conduce sempre i figli della luce nei nuovi regni della realtà spirituale e del servizio divino. La verità non vi è data perché la cristallizziate in forme fisse, sicure ed onorate. La vostra rivelazione della verità deve essere elevata passando per la vostra esperienza personale, in modo che una nuova bellezza e reali guadagni spirituali saranno rivelati a tutti coloro che osservano i vostri frutti spirituali ed in conseguenza di ciò siano portati a glorificare il Padre che è nei cieli. Solo quei fedeli servitori che crescono in tal modo nella conoscenza della verità e che sviluppano così la capacità di apprezzamento divino delle realtà spirituali possono sperare di “partecipare pienamente della gioia del loro Signore”. Quale triste visione per le generazioni successive dei professati seguaci di Gesù il dire, a proposito della loro gestione della verità divina: “Ecco, Maestro, è la verità che ci hai affidato cento o mille anni fa. Non abbiamo perso nulla; abbiamo preservato fedelmente tutto ciò che ci hai dato; non abbiamo consentito alcun cambiamento a ciò che ci hai insegnato; ecco qui la verità che ci hai dato.” Ma una tale giustificazione concernente l’indolenza spirituale non giustificherà agli occhi del Padrone l’amministratore improduttivo della verità. Conformemente alla verità affidata alle vostre mani il Padrone della verità esigerà un resoconto.
(1918.1) 176:3.8 Nel prossimo mondo vi sarà chiesto di rendere conto delle vostre dotazioni e della gestione di questo mondo. Che i vostri talenti innati siano pochi o molti, si deve affrontare un rendiconto giusto e misericordioso. Se le doti sono usate soltanto per fini egoistici e non si concede alcuna attenzione al dovere superiore di ottenere un raccolto maggiore dei frutti dello spirito, quali sono manifestati nel servizio in continua espansione degli uomini e nell’adorazione di Dio, questi amministratori egoisti devono accettare le conseguenze della loro scelta deliberata.
(1918.2) 176:3.9 E quanto tutti i mortali egoisti assomigliano molto a questo servo infedele con un solo talento che incolpò della propria indolenza direttamente il suo padrone. Quanto è incline l’uomo, quando è posto di fronte agli errori del suo stesso agire, ad incolpare gli altri, spesse volte coloro che meno lo meritano!
(1918.3) 176:3.10 Gesù disse quella sera al momento di andare a riposare: “Voi avete ricevuto generosamente; perciò dovreste donare generosamente la verità del cielo, e nel donarla, questa verità si moltiplicherà e rivelerà la luce crescente della grazia salvifica, proprio mentre voi la dispenserete.”
(1918.4) 176:4.1 Di tutti gli insegnamenti del Maestro nessun aspetto è stato così mal compreso quanto la sua promessa di ritornare un giorno di persona in questo mondo. Non è strano che Micael fosse interessato a ritornare un giorno sul pianeta in cui ha fatto l’esperienza del suo settimo ed ultimo conferimento come mortale del regno. È del tutto naturale credere che Gesù di Nazaret, ora capo sovrano di un vasto universo, sia interessato a ritornare non solo una, ma anche molte volte, nel mondo in cui ha vissuto una vita così straordinaria ed ha infine conquistato per se stesso il dono illimitato del Padre del potere e dell’autorità sull’universo. Urantia resterà eternamente una delle sette sfere natali di Micael nella conquista della sovranità sul suo universo.
(1918.5) 176:4.2 Gesù ha dichiarato in numerose occasioni e a molte persone la sua intenzione di ritornare in questo mondo. Mentre i suoi discepoli si rendevano conto del fatto che il loro Maestro non avrebbe agito come liberatore temporale, ed ascoltavano le sue predizioni sulla distruzione di Gerusalemme e sul crollo della nazione ebraica, cominciarono molto naturalmente ad associare il suo ritorno promesso a questi avvenimenti catastrofici. Ma quando gli eserciti romani abbatterono le mura di Gerusalemme, distrussero il tempio e dispersero gli Ebrei della Giudea, ed ancora il Maestro non si rivelava in potere ed in gloria, i suoi discepoli cominciarono la formulazione di quella credenza che finì per associare la seconda venuta di Cristo alla fine dell’era, ed anche alla fine del mondo.
(1918.6) 176:4.3 Gesù promise di fare due cose dopo la sua ascensione al Padre e dopo che ogni potere in cielo e sulla terra erano stati posti nelle sue mani. Promise in primo luogo di mandare nel mondo, ed in sua vece, un altro insegnante, lo Spirito della Verità; e lo ha fatto nel giorno di Pentecoste. In secondo luogo, ha certamente promesso ai suoi discepoli che un giorno sarebbe tornato personalmente su questo mondo. Ma non ha detto come, dove e quando avrebbe rivisitato questo pianeta della sua esperienza di conferimento nella carne. In un’occasione dichiarò che, mentre l’occhio della carne lo aveva visto quando viveva qui nella carne, al suo ritorno (o almeno in una delle sue possibili visite) egli sarebbe stato percepito solo dall’occhio della fede spirituale.
(1919.1) 176:4.4 Molti di noi sono inclini a credere che Gesù ritornerà su Urantia molte volte nel corso delle ere future. Noi non abbiamo la sua promessa specifica che farà queste molteplici visite, ma sembra molto probabile che colui che porta tra i suoi titoli universali quello di Principe Planetario di Urantia visiterà molte volte il mondo la cui conquista gli valse un tale titolo straordinario.
(1919.2) 176:4.5 Noi crediamo molto fermamente che Micael verrà di nuovo in persona su Urantia, ma non abbiamo la minima idea di quando o in quale modo egli sceglierà di venire. La sua seconda venuta sulla terra sarà sincronizzata in modo da avvenire in connessione con il giudizio finale di quest’era, con o senza l’apparizione associata di un Figlio Magistrale? Verrà in connessione con la fine di qualche era successiva di Urantia? Verrà senza essere annunciato e come un avvenimento isolato? Noi non lo sappiamo. Di una sola cosa siamo certi, e cioè che quando ritornerà tutto il mondo probabilmente ne sarà informato, perché egli dovrà venire come capo supremo di un universo e non come l’oscuro neonato di Betlemme. Ma se ogni occhio dovrà vederlo, e se solo gli occhi spirituali percepiranno la sua presenza, allora la sua venuta dovrà essere a lungo differita.
(1919.3) 176:4.6 Voi fareste bene, quindi, a dissociare il ritorno personale del Maestro sulla terra da qualsiasi avvenimento stabilito o da epoche determinate. Noi siamo certi soltanto di una cosa: egli ha promesso di ritornare. Noi non abbiamo alcuna idea di quando egli adempirà a questa promessa o in quale connessione. Per quanto ne sappiamo, egli può apparire sulla terra in qualsiasi giorno, e può non venire fino a che ere ed ere non siano passate e non siano state debitamente giudicate dai suoi Figli associati del corpo del Paradiso.
(1919.4) 176:4.7 La seconda venuta di Micael sulla terra è un avvenimento di enorme valore sentimentale sia per gli intermedi che per gli umani; ma altrimenti essa non è di alcuna importanza immediata per gli intermedi e di alcuna maggiore importanza pratica per gli esseri umani rispetto all’avvenimento ordinario della morte naturale, che così improvvisamente precipita l’uomo mortale nella presa immediata di quella successione di avvenimenti universali che portano direttamente alla presenza di questo stesso Gesù, il capo sovrano del nostro universo. I figli della luce sono tutti destinati a vederlo, e non ha una grande importanza che noi andiamo da lui o che lui venga prima da noi. Siate quindi sempre pronti ad accoglierlo sulla terra, come lui è pronto ad accogliervi in cielo. Noi aspettiamo con fiducia la sua gloriosa apparizione, ed anche visite ripetute, ma ignoriamo completamente come, quando o in quale connessione egli sia destinato ad apparire.
(1920.1) 177:0.1 QUANDO il lavoro d’insegnamento al popolo non li pressava, era abitudine di Gesù e dei suoi apostoli riposarsi dai loro lavori ogni mercoledì. In questo particolare mercoledì essi fecero colazione un po’ più tardi del solito, ed il campo era pervaso da un sinistro silenzio; furono dette poche parole durante la prima metà di questo pasto mattutino. Alla fine Gesù disse: “Io desidero che oggi voi riposiate. Prendete del tempo per riflettere su tutto ciò che è avvenuto dopo il nostro arrivo a Gerusalemme e meditate su ciò che ci aspetta e di cui vi ho parlato chiaramente. Assicuratevi che la verità dimori nella vostra vita e che voi cresciate giornalmente in grazia.”
(1920.2) 177:0.2 Dopo la colazione, il Maestro informò Andrea che intendeva assentarsi per un giorno e suggerì che agli apostoli fosse permesso di trascorrere il tempo a loro piacimento, con la riserva che in nessuna circostanza avrebbero dovuto entrare in Gerusalemme.
(1920.3) 177:0.3 Quando Gesù fu pronto ad andare sulle colline da solo, Davide Zebedeo lo avvicinò dicendo: “Tu sai bene, Maestro, che i Farisei e i dirigenti cercano di distruggerti, e tuttavia ti appresti ad andare da solo sulle colline. Fare questo è una follia; manderò quindi tre uomini con te ben preparati a vegliare che non ti accada alcun male.” Gesù guardò i tre robusti e ben armati Galilei e disse a Davide: “La tua intenzione è buona, ma sbagli perché non comprendi che il Figlio dell’Uomo non ha bisogno di nessuno che lo difenda. Nessuno metterà le mani su di me prima dell’ora in cui sarò pronto ad abbandonare la mia vita in conformità alla volontà di mio Padre. Questi uomini non possono accompagnarmi. Io desidero andare da solo per comunicare con il Padre.”
(1920.4) 177:0.4 Dopo aver sentito queste parole, Davide e le sue guardie armate si ritirarono; ma mentre Gesù partiva da solo, Giovanni Marco si fece avanti con un piccolo cesto contenente cibo e acqua e suggerì che, se egli intendeva restare via tutto il giorno, avrebbe potuto avere fame. Il Maestro sorrise a Giovanni e allungò la mano per prendere il cesto.
(1920.5) 177:1.1 Mentre Gesù stava per prendere il cesto del pranzo dalle mani di Giovanni, il giovane si avventurò a dire: “Ma, Maestro, potresti posare il cesto mentre te ne vai a pregare e proseguire senza di esso. Inoltre, se io ti accompagnassi per portare il pranzo, tu saresti più libero di adorare, ed io starò sicuramente in silenzio. Io non porrò alcuna domanda e starò vicino al cesto quando andrai da solo a pregare.”
(1920.6) 177:1.2 Mentre diceva queste cose, la cui temerarietà stupì alcuni dei vicini che ascoltavano, Giovanni ebbe l’audacia di tenere stretto il cesto. Essi stavano là, Giovanni e Gesù, tenendo entrambi il cesto. Il Maestro lo lasciò andare subito, e guardando il ragazzo disse: “Poiché desideri con tutto il tuo cuore venire con me, ciò non ti sarà negato. Partiremo da soli e faremo una bella gita. Tu potrai pormi tutte le domande che sorgeranno nel tuo cuore, e ci conforteremo e consoleremo l’un l’altro. All’inizio tu porterai il pranzo, e quando sarai stanco io ti aiuterò. Seguimi.”
(1921.1) 177:1.3 Gesù ritornò al campo quella sera solo dopo il tramonto. Il Maestro trascorse questo ultimo giorno di tranquillità sulla terra insieme con questo giovane assetato di verità e parlando con suo Padre del Paradiso. Questo avvenimento fu conosciuto nell’alto come “il giorno che un giovane uomo trascorse con Dio sulle colline”. Questa occasione illustra per sempre la compiacenza del Creatore di fraternizzare con la creatura. Anche un giovane, se il desiderio del suo cuore è realmente supremo, può attirare l’attenzione e godere della compagnia affettuosa del Dio di un universo, può sperimentare effettivamente l’estasi indimenticabile di essere da solo con Dio sulle colline, e per un giorno intero. Questa fu la straordinaria esperienza di Giovanni Marco in questo mercoledì sulle colline della Giudea.
(1921.2) 177:1.4 Gesù s’intrattenne a lungo con Giovanni, parlando apertamente degli affari di questo mondo e di quello futuro. Giovanni disse a Gesù quanto gli dispiaceva di non essere stato vecchio abbastanza per essere uno degli apostoli, ed espresse la sua grande riconoscenza per essergli stato permesso di stare con loro fin dalla prima predicazione al guado del Giordano, vicino a Gerico, salvo che per il viaggio in Fenicia. Gesù avvertì il ragazzo di non lasciarsi scoraggiare dagli avvenimenti imminenti e lo assicurò che sarebbe divenuto un potente messaggero del regno.
(1921.3) 177:1.5 Giovanni Marco fu galvanizzato dal ricordo di questo giorno con Gesù sulle colline, ma non dimenticò mai l’ultima raccomandazione del Maestro, data al momento di ritornare al campo di Getsemani, quando gli disse: “Bene, Giovanni, abbiamo fatto una bella gita, un vero giorno di riposo, ma bada di non raccontare a nessuno le cose che ti ho detto.” E Giovanni Marco non rivelò mai nulla di ciò che era avvenuto in questo giorno che trascorse con Gesù sulle colline.
(1921.4) 177:1.6 Durante le rimanenti poche ore di vita terrena di Gesù, Giovanni Marco non lasciò mai che il Maestro fosse a lungo fuori dalla sua vista. Il ragazzo era sempre nascosto nelle vicinanze; egli dormiva soltanto quando dormiva Gesù.
(1921.5) 177:2.1 Nel corso dei colloqui di questo giorno con Giovanni Marco, Gesù passò un tempo considerevole a comparare le esperienze della loro infanzia e della loro adolescenza. Benché i genitori di Giovanni possedessero più beni terreni dei genitori di Gesù, c’era molta esperienza nella loro adolescenza che era assai simile. Gesù disse molte cose che aiutarono Giovanni a capire meglio i suoi genitori e gli altri membri della sua famiglia. Quando il ragazzo chiese al Maestro come poteva sapere che egli sarebbe divenuto un “potente messaggero del regno”, Gesù disse:
(1921.6) 177:2.2 “Io so che ti mostrerai fedele al vangelo del regno perché posso contare sulla tua fede e sul tuo amore presenti, poiché queste qualità sono basate su un’educazione iniziale quale hai ricevuto in famiglia. Tu sei il prodotto di una famiglia in cui i genitori hanno l’uno per l’altro un affetto sincero, e quindi tu non sei stato vezzeggiato al punto da esaltare nocivamente il concetto della tua importanza. Né la tua personalità ha subìto alterazioni in conseguenza dell’agire privo d’amore dei tuoi genitori, l’uno contro l’altro, per ottenere la tua fiducia e la tua fedeltà. Tu hai goduto di quell’amore genitoriale che assicura una lodevole fiducia in se stessi e che favorisce dei sentimenti normali di sicurezza. Ma tu hai anche avuto la fortuna che i tuoi genitori possedessero saggezza oltre che amore; ed è stata la saggezza che li ha portati a rinunciare alla maggior parte dei piaceri ed ai molti lussi che la ricchezza può procurare, mentre ti mandavano alla scuola della sinagoga con i tuoi compagni di gioco del vicinato, e ti hanno anche incoraggiato ad imparare come vivere in questo mondo permettendoti di avere un’esperienza originale. Tu sei venuto al Giordano, dove noi predicavamo e dove i discepoli di Giovanni battezzavano, col tuo giovane amico Amos. Voi desideravate entrambi venire con noi. Quando tu sei tornato a Gerusalemme, i tuoi genitori acconsentirono; i genitori di Amos rifiutarono; essi amavano il loro figlio al punto da negargli l’esperienza benedetta che tu hai avuto, e di cui godi anche in questo giorno. Se fosse fuggito di casa, Amos avrebbe potuto unirsi a noi, ma così facendo avrebbe ferito l’amore e sacrificato la fedeltà. Anche se un tale comportamento sarebbe stato saggio, il prezzo da pagare per l’esperienza, l’indipendenza e la libertà sarebbe risultato molto alto. Dei genitori accorti come i tuoi badano a che i loro figli non abbiano a ferire l’amore o a soffocare la fedeltà per sviluppare l’indipendenza e godere di una libertà fortificante quando hanno raggiunto la tua età.
(1922.1) 177:2.3 “L’amore, Giovanni, è la realtà suprema dell’universo quando è donato da esseri infinitamente saggi, ma è un fattore pericoloso e spesse volte semiegoistico quando è manifestato nell’esperienza dei genitori mortali. Quando sarai sposato ed avrai dei figli tuoi da allevare, assicurati che il tuo amore sia consigliato dalla saggezza e guidato dall’intelligenza.
(1922.2) 177:2.4 “Il tuo giovane amico Amos crede quanto te in questo vangelo del regno, ma io non posso contare pienamente su di lui; non sono certo di ciò che farà negli anni futuri. La sua infanzia in famiglia non è stata tale da produrre una persona totalmente affidabile. Amos assomiglia troppo ad uno degli apostoli che non ha goduto di un’educazione familiare normale, affettuosa e saggia. Tutta la tua vita successiva sarà più felice e affidabile perché tu hai trascorso i tuoi primi otto anni in una famiglia normale e ben regolata. Tu possiedi un carattere forte e ben equilibrato perché sei cresciuto in una famiglia in cui prevaleva l’amore e regnava la saggezza. Una tale educazione nell’infanzia produce un tipo di fedeltà che mi assicura che proseguirai nel cammino che hai iniziato.”
(1922.3) 177:2.5 Per più di un’ora Gesù e Giovanni continuarono questa discussione sulla vita di famiglia. Il Maestro spiegò a Giovanni come un figlio sia completamente dipendente dai suoi genitori e dalla vita di famiglia associata per tutti i suoi primi concetti di ogni cosa intellettuale, sociale, morale ed anche spirituale, poiché la famiglia rappresenta per il giovane figlio tutto ciò che può inizialmente sapere delle relazioni umane e divine. Il figlio deve derivare le sue prime impressioni sull’universo dalle cure della madre; egli dipende interamente da suo padre terreno per le sue prime idee sul Padre celeste. La vita successiva del figlio è resa felice o infelice, facile o difficile, in conformità con la sua iniziale vita mentale ed emotiva, condizionata da queste relazioni sociali e spirituali della famiglia. L’intera vita di adulto di un essere umano è enormemente influenzata da ciò che avviene durante i primi anni dell’esistenza.
(1922.4) 177:2.6 Noi crediamo sinceramente che l’insegnamento del vangelo di Gesù, fondato com’è sulla relazione tra padre e figlio, non potrà essere accettato dal mondo intero fino a quando la vita di famiglia dei popoli civilizzati moderni non conterrà più amore e maggiore saggezza. Nonostante che i genitori del ventesimo secolo posseggano grandi conoscenze e maggiore verità per migliorare l’ambiente familiare e nobilitare la vita di famiglia, resta un fatto che pochissime famiglie moderne sono luoghi validi in cui allevare dei figli e delle figlie come la famiglia di Gesù in Galilea e la famiglia di Giovanni Marco in Giudea, anche se l’accettazione del vangelo di Gesù porterà ad un miglioramento immediato della vita familiare. La vita affettuosa in un saggio ambiente familiare e la devozione fedele alla vera religione esercitano una profonda influenza reciproca. Una simile vita di famiglia dà risalto alla religione, e la vera religione glorifica sempre la famiglia.
(1923.1) 177:2.7 È vero che molte delle influenze deplorevoli che arrestano lo sviluppo ed altre caratteristiche restrittive di queste antiche famiglie ebree sono state praticamente eliminate in molte delle famiglie moderne meglio organizzate. C’è, in verità, più indipendenza spontanea e molta più libertà personale, ma questa libertà non è contenuta dall’amore, né motivata dalla fedeltà, né diretta dall’intelligente disciplina della saggezza. Fino a che noi insegniamo ai figli a pregare: “Padre nostro che sei nei cieli”, tutti i padri terreni avranno l’enorme responsabilità di vivere e di organizzare la loro famiglia in modo che la parola Padre sia degnamente conservata nella mente e nel cuore di tutti i figli che crescono.
(1923.2) 177:3.1 Gli apostoli passarono la maggior parte di questo giorno passeggiando sul Monte Oliveto ed intrattenendosi con i discepoli che erano accampati con loro, ma all’inizio del pomeriggio provarono il vivo desiderio di veder tornare Gesù. Mentre passavano le ore, essi erano sempre più preoccupati per la sua sicurezza; senza di lui si sentivano inesprimibilmente soli. Si discusse molto per tutto il giorno se era stato ragionevole lasciar andare il Maestro sulle colline da solo, accompagnato soltanto da un ragazzo. Sebbene nessuno esprimesse apertamente i suoi pensieri, non c’era nessuno di loro, salvo Giuda Iscariota, che non desiderasse trovarsi al posto di Giovanni Marco.
(1923.3) 177:3.2 Era circa metà pomeriggio quando Natanaele pronunciò il suo discorso sul “Desiderio supremo” ad una mezza dozzina di apostoli ed altrettanti discepoli, che terminò così: “Ciò che è sbagliato nella maggior parte di noi è che siamo purtroppo indifferenti. Noi non amiamo il Maestro come lui ama noi. Se avessimo desiderato tutti andare con lui quanto Giovanni Marco, egli ci avrebbe sicuramente portato tutti. Noi siamo rimasti là a guardare mentre il ragazzo si avvicinava al Maestro e gli offriva il cesto, ma quando il Maestro lo prese, il ragazzo non lo lasciò andare. E così il Maestro ci ha lasciati qui, mentre egli andava in collina con il paniere, il ragazzo e tutto il resto.”
(1923.4) 177:3.3 Verso le quattro vennero dei corrieri da Davide Zebedeo portandogli da Betsaida notizie di sua madre e della madre di Gesù. Parecchi giorni prima Davide si era convinto che i capi dei sacerdoti e i dirigenti stessero per uccidere Gesù. Davide sapeva che essi erano decisi a sopprimere il Maestro, ed era quasi convinto che Gesù non avrebbe né esercitato il suo potere divino per salvare se stesso né permesso ai suoi seguaci d’impiegare la forza per difenderlo. Essendo pervenuto a queste conclusioni, egli si affrettò ad inviare un messaggio a sua madre, esortandola a venire immediatamente a Gerusalemme e a portare Maria, la madre di Gesù, e tutti i membri della sua famiglia.
(1923.5) 177:3.4 La madre di Davide fece come suo figlio aveva chiesto, ed ora i corrieri tornavano da Davide portando la notizia che sua madre e tutta la famiglia di Gesù erano in viaggio per Gerusalemme e che sarebbero arrivati il giorno seguente a tarda ora o molto presto domani l’altro mattina. Poiché Davide aveva fatto questo di propria iniziativa, ritenne opportuno tenere la cosa per sé. Egli non disse a nessuno, quindi, che la famiglia di Gesù era in viaggio per Gerusalemme.
(1924.1) 177:3.5 Poco dopo mezzogiorno, più di venti dei Greci che si erano incontrati con Gesù e i dodici che erano a casa di Giuseppe d’Arimatea arrivarono al campo, e Pietro e Giovanni trascorsero parecchie ore in riunione con loro. Questi Greci, o almeno parecchi di loro, erano molto avanzati nella conoscenza del regno, essendo stati istruiti da Rodano ad Alessandria.
(1924.2) 177:3.6 Quella sera, dopo essere tornato al campo, Gesù si trattenne con i Greci, e se non fosse stato che un tale comportamento avrebbe grandemente disturbato i suoi apostoli e molti dei suoi principali discepoli, egli avrebbe ordinato questi venti Greci come aveva fatto con i settanta.
(1924.3) 177:3.7 Mentre avveniva tutto ciò al campo, a Gerusalemme i capi dei sacerdoti e gli anziani erano meravigliati che Gesù non tornasse per parlare alle moltitudini. In verità, il giorno prima, quando egli lasciò il tempio, aveva detto: “Lascio a voi la vostra casa desolata.” Ma essi non riuscivano a comprendere perché egli rinunciasse al grande vantaggio che si era assicurato con l’atteggiamento amichevole delle folle. Essi temevano che egli sollevasse un tumulto tra il popolo, anche se le ultime parole del Maestro alla moltitudine erano state un’esortazione a conformarsi in tutti i modi ragionevoli all’autorità di coloro “che siedono sul seggio di Mosè”. Ma fu un giorno movimentato nella città, perché essi si preparavano simultaneamente per la Pasqua e mettevano a punto i loro piani per sopprimere Gesù.
(1924.4) 177:3.8 Al campo non venne molta gente, perché il suo allestimento era rimasto un segreto ben custodito da tutti coloro che sapevano che Gesù contava di restare qui invece di andare ogni sera a Betania.
(1924.5) 177:4.1 Poco dopo che Gesù e Giovanni Marco ebbero lasciato il campo, Giuda Iscariota scomparve dal gruppo dei suoi fratelli e non tornò che nel tardo pomeriggio. Questo confuso e scontento apostolo, nonostante la specifica raccomandazione del suo Maestro di non entrare a Gerusalemme, si recò in fretta al suo appuntamento con i nemici di Gesù a casa del sommo sacerdote Caifa. Questa era una riunione informale del Sinedrio ed era stata fissata per poco dopo le dieci di quella mattina. Questa riunione fu convocata per discutere la natura delle accuse che dovevano essere presentate contro Gesù e per decidere la procedura da seguire per portarlo davanti alle autorità romane allo scopo di assicurarsi la necessaria conferma civile della sentenza di morte che essi avevano già pronunciato contro di lui.
(1924.6) 177:4.2 Il giorno precedente Giuda aveva rivelato ad alcuni dei suoi parenti ed a Sadducei amici della famiglia di suo padre che era giunto alla conclusione che, sebbene Gesù fosse un sognatore e un idealista ben intenzionato, non era il liberatore atteso d’Israele. Giuda disse che desiderava moltissimo trovare un qualche modo per ritirarsi con discrezione da tutto il movimento. I suoi amici lo assicurarono con lusinghe che il suo ritiro sarebbe stato salutato dai dirigenti ebrei come un grande avvenimento e che niente sarebbe stato troppo per lui. Essi lo portarono a credere che avrebbe ricevuto subito alti onori dal Sinedrio e che alla fine sarebbe stato in grado di cancellare l’ignominia della sua ben intenzionata ma “infelice associazione con dei Galilei ignoranti”.
(1924.7) 177:4.3 Giuda non riusciva affatto a credere che le potenti opere del Maestro fossero state compiute con il potere del principe dei demoni, ma era oramai pienamente convinto che Gesù non avrebbe esercitato il suo potere per esaltare se stesso. Era infine convinto che Gesù si sarebbe lasciato uccidere dai dirigenti ebrei, ed egli non poteva sopportare l’umiliante pensiero di essere identificato con un movimento sconfitto. Egli rifiutava di accettare l’idea di un apparente fallimento. Egli comprendeva pienamente la fermezza di carattere del suo Maestro e la perspicacia di quella mente maestosa e misericordiosa, ma provò piacere dall’accettare, seppure in parte, l’insinuazione di uno dei suoi parenti secondo la quale Gesù, pur essendo un fanatico ben intenzionato, era probabilmente non del tutto sano di mente; era sempre parso una persona strana ed incompresa.
(1925.1) 177:4.4 Ed ora, come mai prima, Giuda cominciava a provare uno strano risentimento perché Gesù non gli aveva mai assegnato una posizione di maggiore riguardo. Egli aveva sempre apprezzato l’onore di essere il tesoriere apostolico, ma ora cominciava a sentire che non era apprezzato, che le sue capacità non erano riconosciute. Egli fu subito preso da indignazione quando Pietro, Giacomo e Giovanni erano stati onorati da una stretta associazione con Gesù, ed in questo momento, mentre si dirigeva verso la casa del sommo sacerdote, era più propenso a prendersela proprio con Pietro, Giacomo e Giovanni che a pensare di tradire Gesù. Ma soprattutto e più di tutto, proprio allora un nuovo pensiero dominante cominciò ad occupare il primo posto nella sua mente cosciente: egli era partito per procurare onori per se stesso, e se ciò poteva essere assicurato prendendo contemporaneamente la sua rivincita su coloro che avevano contribuito alla più grande delusione della sua vita, tanto meglio. Egli era preda di un terribile insieme di confusione, di orgoglio, di disperazione e di determinazione. Così si deve chiarire che non fu per denaro che Giuda stava allora andando a casa di Caifa per concordare il tradimento di Gesù.
(1925.2) 177:4.5 Mentre Giuda si avvicinava alla casa di Caifa, giunse alla decisione finale di abbandonare Gesù e i suoi compagni apostoli; ed avendo così preso la risoluzione di disertare la causa del regno dei cieli, era determinato ad assicurarsi il massimo possibile di quell’onore e di quella gloria che aveva sperato un giorno di ottenere quando s’identificò per la prima volta con Gesù e con il nuovo vangelo del regno. Tutti gli apostoli avevano un tempo condiviso questa ambizione con Giuda, ma con il passare del tempo essi avevano imparato ad ammirare la verità e ad amare Gesù, almeno più di quanto fece Giuda.
(1925.3) 177:4.6 Il traditore fu presentato a Caifa e ai dirigenti ebrei da suo cugino, il quale spiegò che Giuda, avendo scoperto il suo errore nel consentire di essere sviato dal sottile insegnamento di Gesù, era arrivato al punto di desiderare di fare un ripudio pubblico ed ufficiale della sua associazione con il Galileo, e allo stesso tempo di chiedere di essere ristabilito nella fiducia e nella comunità dei suoi fratelli giudei. Questo portavoce di Giuda proseguì spiegando che Giuda riconosceva che era meglio per la pace d’Israele che Gesù fosse messo in prigione, e che, come prova del suo dispiacere per aver partecipato ad un tale movimento sbagliato e della sua sincerità a tornare ora agli insegnamenti di Mosè, era venuto ad offrirsi al Sinedrio come colui che poteva prendere accordi con il capitano che aveva ordine di arrestare Gesù, affinché potesse essere preso in custodia senza clamore, evitando così ogni pericolo di sollevare le folle o la necessità di rimandare il suo arresto fino a dopo la Pasqua.
(1925.4) 177:4.7 Quando suo cugino ebbe finito di parlare, presentò Giuda, il quale, avvicinatosi al sommo sacerdote, disse: “Tutto quello che mio cugino ha promesso io lo farò, ma che cosa avete intenzione di darmi per questo servizio?” Giuda non sembrò discernere l’espressione di sdegno ed anche di disgusto che passò sul viso dell’insensibile e vanitoso Caifa; il suo cuore era troppo occupato a vantarsi e a desiderare ardentemente di soddisfare l’esaltazione di se stesso.
(1926.1) 177:4.8 Allora Caifa guardò il traditore dicendo: “Giuda, va dal capitano delle guardie e prendi accordi con questo ufficiale perché ci conduca il tuo Maestro questa sera o domani sera, e quando egli sarà stato messo da te nelle nostre mani, riceverai la tua ricompensa per questo servizio.” Dopo aver udito ciò, Giuda lasciò i capi dei sacerdoti e i dirigenti per consigliarsi con il capitano delle guardie del tempio sul modo di catturare Gesù. Giuda sapeva che Gesù era allora assente dal campo e non aveva alcuna idea di quando sarebbe tornato quella sera, e così essi concordarono di arrestare Gesù la sera successiva (giovedì) dopo che il popolo di Gerusalemme e tutti i pellegrini in visita si fossero ritirati per la notte.
(1926.2) 177:4.9 Giuda ritornò al campo dai suoi associati inebriato di pensieri di grandezza e di gloria come non ne aveva avuto da lungo tempo. Egli si era unito a Gesù nella speranza di diventare un giorno un grande uomo nel nuovo regno. Alla fine si rese conto che non ci sarebbe stato alcun nuovo regno quale egli aveva sperato. Ma si compiacque di essere così sagace da barattare la sua delusione per non aver raggiunto la gloria in un nuovo regno sperato con la realizzazione immediata di onori e di ricompense nel vecchio ordine di cose, che ora egli credeva sarebbe sopravvissuto e che era certo avrebbe distrutto Gesù e tutto ciò che rappresentava. Nel suo ultimo movente d’intenzione cosciente, il tradimento di Gesù da parte di Giuda fu l’atto vile di un disertore egoista il cui solo pensiero era la propria sicurezza e glorificazione, indipendentemente dai risultati della sua condotta per il suo Maestro ed i suoi vecchi associati.
(1926.3) 177:4.10 Ma era sempre stato così. Giuda era impegnato da lungo tempo in questa coscienza deliberata, persistente, egoistica e vendicativa di accumulare progressivamente nelle sua mente, e di intrattenere nel suo cuore, questi desideri odiosi e perversi di vendetta e d’infedeltà. Gesù amava Giuda ed aveva fiducia in lui quanto amava e si fidava degli altri apostoli, ma Giuda non manifestava una fiducia leale e non provava un amore sincero in ricambio. E quanto dannosa può divenire l’ambizione quando si sposa totalmente con l’egocentrismo ed è supremamente motivata da un’astiosa vendetta covata a lungo! Quale cosa opprimente è la delusione nella vita di quelle persone insensate che, fissando il loro sguardo sulle attrattive illusorie ed evanescenti del tempo, divengono cieche al raggiungimento più elevato e più reale delle realizzazioni perpetue dei mondi eterni di valori divini e di vere realtà spirituali. Nella sua mente Giuda bramava gli onori terreni e finì per amare questo desiderio con tutto il suo cuore. Anche gli altri apostoli desideravano ardentemente questi stessi onori terreni nella loro mente, ma nel loro cuore essi amavano Gesù e stavano facendo del loro meglio per imparare ad amare le verità che insegnava loro.
(1926.4) 177:4.11 Giuda in questo momento non lo realizzava, ma egli aveva sempre criticato Gesù nel suo subcosciente da quando Giovanni il Battista era stato decapitato da Erode. Nel profondo del suo cuore Giuda si risentì sempre del fatto che Gesù non avesse salvato Giovanni. Non si deve dimenticare che Giuda era stato un discepolo di Giovanni prima di divenire un seguace di Gesù. E tutto questo insieme di risentimento umano e di amara delusione che Giuda aveva accumulato nel suo animo in forma di odio era ora ben organizzato nella sua mente subcosciente e pronto a balzare fuori per sommergerlo quando avesse osato separarsi dall’influenza sostenitrice dei suoi fratelli, esponendosi allo stesso tempo alle abili insinuazioni ed al sottile scherno dei nemici di Gesù. Ogni volta che Giuda aveva consentito alle sue speranze di librarsi in alto e che Gesù aveva fatto o detto qualcosa per distruggerle, era sempre rimasta nel cuore di Giuda una cicatrice di aspro risentimento. E via via che queste cicatrici si moltiplicavano, subito quel cuore, così spesso ferito, perse ogni affetto reale per colui che aveva inflitto questa esperienza spiacevole ad una personalità ben intenzionata, ma vile ed egocentrica. Giuda non lo realizzava, ma era un vile. Di conseguenza egli fu sempre incline ad attribuire alla codardia i motivi che portarono così spesso Gesù a rifiutare d’impadronirsi del potere o della gloria, quando erano apparentemente facili da raggiungere. Ed ogni mortale sa molto bene come l’amore, anche se è stato un tempo sincero, possa, a causa della delusione, della gelosia e di un risentimento covato a lungo, trasformarsi alla fine in vero odio.
(1927.1) 177:4.12 Finalmente i capi dei sacerdoti e gli anziani potevano respirare tranquillamente per qualche ora. Essi non volevano dover arrestare Gesù in pubblico, e la garanzia di Giuda come traditore alleato assicurava che Gesù non sarebbe sfuggito alla loro giurisdizione come aveva fatto molte volte in passato.
(1927.2) 177:5.1 Poiché era mercoledì, questa serata al campo fu un momento di socialità. Il Maestro cercò d’incoraggiare i suoi apostoli depressi, ma ciò fu quasi impossibile. Essi cominciavano tutti a comprendere che degli avvenimenti sconcertanti ed opprimenti erano imminenti. Non riuscirono ad essere allegri nemmeno quando il Maestro ricordò i loro anni di associazione movimentata ed amichevole. Gesù s’informò con cura sulle famiglie di tutti gli apostoli e rivolgendosi a Davide Zebedeo chiese se qualcuno avesse notizie recenti di sua madre, di sua sorella più giovane o degli altri membri della sua famiglia. Davide abbassò gli occhi; aveva paura di rispondere.
(1927.3) 177:5.2 Questa fu l’occasione in cui Gesù avvertì i suoi discepoli di non fidarsi del sostegno della moltitudine. Egli ricordò le loro esperienze in Galilea quando molte volte grandi folle li avevano seguiti con entusiasmo e poi si erano altrettanto ardentemente rivoltate contro di loro ed erano tornate ai loro modi di credere e di vivere precedenti. E poi egli disse: “Non dovete quindi lasciarvi ingannare dalle grandi folle che ci hanno ascoltato nel tempio e che sono sembrate credere ai nostri insegnamenti. Queste moltitudini ascoltano la verità e la credono superficialmente con la loro mente, ma pochi di loro permettono alla parola della verità di attecchire nel cuore con radici viventi. Coloro che conoscono il vangelo solo nella mente, e che non l’hanno sperimentato nel cuore, non possono essere affidabili quando sopravvengono difficoltà reali. Quando i dirigenti degli Ebrei si saranno accordati per uccidere il Figlio dell’Uomo, e quando raggiungeranno l’unanimità, vedrete la moltitudine fuggire spaventata o restare in silenzioso stupore mentre questi dirigenti furiosi e ciechi porteranno gli insegnanti della verità del vangelo alla loro morte. E poi, quando l’avversità e la persecuzione si abbatteranno su di voi, altri ancora che voi ritenete amino la verità si disperderanno, ed alcuni rinunceranno al vangelo e vi abbandoneranno. Certuni che sono stati molto vicini a noi hanno già deciso di disertare. Voi vi siete riposati oggi in preparazione di quei tempi che sono ora imminenti. Vegliate, dunque, e pregate affinché domani possiate essere fortificati per i giorni che ci aspettano.”
(1927.4) 177:5.3 L’atmosfera del campo era carica di una tensione inspiegabile. Messaggeri silenziosi andavano e venivano, comunicando solo con Davide Zebedeo. Prima della fine della sera alcuni sapevano che Lazzaro era fuggito precipitosamente da Betania. Giovanni Marco era sinistramente silenzioso dopo il suo ritorno al campo, nonostante avesse trascorso l’intera giornata in compagnia del Maestro. Ogni sforzo per persuaderlo a parlare rivelava solo chiaramente che Gesù gli aveva detto di non parlare.
(1928.1) 177:5.4 Anche il buonumore del Maestro e la sua insolita socialità li spaventavano Essi sentivano tutti l’avvicinarsi certo del terribile isolamento che realizzavano si stesse abbattendo su di loro con rovinosa subitaneità ed inevitabile terrore. Essi intuivano vagamente ciò che stava per succedere, e nessuno si sentiva pronto ad affrontare la prova. Il Maestro era rimasto assente tutto il giorno; era mancato loro terribilmente.
(1928.2) 177:5.5 Questo mercoledì sera segnò il livello più basso del loro status spirituale fino all’ora stessa della morte del Maestro. Benché il giorno successivo fosse un giorno ancora più vicino al tragico venerdì, egli tuttavia era ancora con loro, ed essi trascorsero queste ore d’ansia con maggior distensione.
(1928.3) 177:5.6 Era poco prima di mezzanotte quando Gesù, sapendo che questa sarebbe stata l’ultima notte in cui avrebbe potuto dormire con la famiglia da lui scelta sulla terra, disse, mentre li congedava per la notte: “Andate a dormire, fratelli miei, e che la pace sia su di voi fino a quando ci alzeremo domani, un altro giorno per fare la volontà del Padre e per provare la gioia di sapere che siamo figli suoi.”
(1929.1) 178:0.1 GESÙ progettò di passare questo giovedì, il suo ultimo giorno di libertà sulla terra come Figlio divino incarnato, con i suoi apostoli e con alcuni discepoli fedeli e devoti. Subito dopo l’ora di colazione in questa splendida mattina, il Maestro li condusse in un luogo appartato, situato a breve distanza poco sopra il loro campo, e là insegnò loro molte nuove verità. Anche se Gesù quel giorno rivolse altri discorsi agli apostoli durante le prime ore della sera, questo di giovedì mattina fu il suo discorso di addio al gruppo del campo che comprendeva gli apostoli e i discepoli scelti, sia Ebrei che Gentili. I dodici erano tutti presenti, salvo Giuda. Pietro e parecchi apostoli fecero dei commenti sulla sua assenza, ed alcuni di loro pensarono che Gesù l’avesse mandato in città per occuparsi di qualche questione, probabilmente per mettere a punto i dettagli della loro prossima celebrazione della Pasqua. Giuda non ritornò al campo che a metà pomeriggio, poco prima che Gesù conducesse i dodici a Gerusalemme per partecipare all’Ultima Cena.
(1929.2) 178:1.1 Gesù parlò ad una cinquantina di suoi discepoli fedeli per quasi due ore e rispose ad una ventina di domande riguardanti la relazione tra il regno dei cieli ed i regni di questo mondo, e concernenti il rapporto tra la filiazione con Dio e la cittadinanza nei governi terreni. Questo discorso, con le sue risposte alle domande, può essere riassunto e riesposto in linguaggio moderno come segue:
(1929.3) 178:1.2 I regni di questo mondo, essendo materiali, possono spesso trovare necessario impiegare la forza fisica per l’applicazione delle loro leggi ed il mantenimento dell’ordine. Nel regno dei cieli i veri credenti non ricorreranno all’impiego della forza fisica. Il regno dei cieli, essendo una fraternità spirituale di figli di Dio nati dallo spirito, può essere promulgato soltanto dal potere dello spirito. Questa distinzione di procedura si riferisce alle relazioni tra il regno dei credenti ed i regni del governo secolare, e non annulla il diritto dei gruppi sociali di credenti di mantenere l’ordine nelle loro fila e di disciplinare i loro membri ribelli e indegni.
(1929.4) 178:1.3 Non c’è niente d’incompatibile tra la filiazione nel regno spirituale e la cittadinanza nel governo secolare o civile. È dovere del credente rendere a Cesare le cose che sono di Cesare e a Dio le cose che sono di Dio. Non può esservi alcun disaccordo tra queste due esigenze, l’una essendo materiale e l’altra spirituale, a meno che non avvenga che un Cesare pretenda di usurpare le prerogative di Dio e non esiga che gli si renda un omaggio spirituale ed un culto supremo. In tal caso voi adorerete soltanto Dio, mentre cercherete d’illuminare questi capi terreni sviati portandoli così anche a riconoscere il Padre che è nei cieli. Voi non renderete un culto spirituale ai capi terreni; né impiegherete le forze fisiche di governi terreni, i cui capi possono un giorno divenire dei credenti, nel compito di far progredire la missione del regno spirituale.
(1930.1) 178:1.4 La filiazione nel regno, dal punto di vista di una civiltà in progresso, dovrebbe aiutarvi a divenire i cittadini ideali dei regni di questo mondo, poiché la fratellanza ed il servizio sono le pietre angolari del vangelo del regno. L’appello all’amore del regno spirituale dovrebbe rivelarsi come il distruttore efficace della spinta all’odio dei cittadini non credenti e bellicosi dei regni terreni. Ma questi figli materialisti che vivono nelle tenebre non conosceranno mai la vostra luce spirituale di verità se voi non vi accostate strettamente a loro con quel servizio sociale disinteressato che è il risultato naturale della produzione dei frutti dello spirito nell’esperienza di vita di ogni singolo credente.
(1930.2) 178:1.5 In quanto uomini mortali e materiali, voi siete in verità cittadini dei regni terreni, e dovreste essere buoni cittadini, i migliori essendo voi divenuti figli spirituali rinati del regno celeste. In quanto figli del regno dei cieli illuminati dalla fede e liberati dallo spirito, voi siete di fronte ad una duplice responsabilità, il dovere verso gli uomini e il dovere verso Dio, mentre assumete volontariamente un terzo obbligo sacro, quello di servire la fraternità dei credenti che conoscono Dio.
(1930.3) 178:1.6 Voi non potete adorare i vostri capi temporali, e non dovreste impiegare il potere temporale per far progredire il regno spirituale; ma dovreste manifestare il retto ministero di servizio amorevole sia verso i credenti che i non credenti. Nel vangelo del regno risiede il possente Spirito della Verità, ed io spargerò presto questo stesso spirito su tutta la carne. I frutti dello spirito, il vostro servizio sincero ed amorevole, sono la potente leva sociale per sollevare le razze dalle tenebre, e questo Spirito della Verità diverrà il vostro fulcro che moltiplica il potere.
(1930.4) 178:1.7 Mostratevi saggi e date prova di sagacia nei vostri rapporti con i capi civili non credenti. Con discrezione, mostrate di essere abili nell’appianare dissensi minori e nel comporre piccoli malintesi. In ogni modo possibile — purché non sia intaccata la vostra devozione spirituale ai capi dell’universo — cercate di vivere in pace con tutti gli uomini. Siate sempre accorti come i serpenti, ma inoffensivi come le colombe.
(1930.5) 178:1.8 Voi dovreste diventare tutti i cittadini migliori del governo secolare come risultato di divenire figli illuminati del regno; allo stesso modo i capi dei governi terreni dovranno diventare i migliori capi negli affari civili come risultato di credere a questo vangelo del regno dei cieli. La disposizione al servizio disinteressato dell’uomo e all’adorazione intelligente di Dio dovrebbe rendere tutti i credenti nel regno i cittadini migliori del mondo, mentre l’atteggiamento di cittadino onesto e di devozione sincera al proprio dovere temporale dovrebbe contribuire a rendere tali cittadini più facilmente accessibili all’appello spirituale alla filiazione nel regno celeste.
(1930.6) 178:1.9 Fino a che i capi dei governi terreni cercano di esercitare l’autorità di dittatori religiosi, voi che credete in questo vangelo potete aspettarvi solo difficoltà, persecuzioni ed anche la morte. Ma la luce stessa che voi portate al mondo, ed anche la maniera stessa in cui soffrirete e morirete per questo vangelo del regno, illumineranno alla fine, da se stesse, il mondo intero e porteranno al divorzio graduale della politica dalla religione. La predicazione persistente di questo vangelo del regno porterà un giorno a tutte le nazioni una liberazione nuova ed incredibile, la libertà intellettuale e la libertà religiosa.
(1931.1) 178:1.10 Sotto le persecuzioni imminenti da parte di coloro che odiano questo vangelo di gioia e di libertà, voi vi svilupperete ed il regno prospererà. Ma voi vi troverete in grande pericolo in tempi successivi, quando la maggior parte degli uomini parleranno bene dei credenti nel regno e molti che occupano posizioni importanti accetteranno nominalmente il vangelo del regno celeste. Imparate ad essere fedeli al regno anche in tempi di pace e di prosperità. Non tentate gli angeli che esercitano la supervisione su di voi a portarvi in vie difficili come amorevole disciplina destinata a salvare le vostre anime indolenti.
(1931.2) 178:1.11 Ricordate che voi siete incaricati di predicare questo vangelo del regno — il desiderio supremo di fare la volontà del Padre, unito alla gioia suprema di realizzare per fede la filiazione con Dio — e che non dovete permettere ad alcunché di distogliere la vostra consacrazione a quest’unico dovere. Che tutta l’umanità tragga beneficio dalla profusione del vostro ministero spirituale amorevole, dalla vostra comunione intellettuale illuminante e dal vostro servizio sociale edificante; ma a nessuna di queste opere umanitarie, né al loro insieme, dovrà essere permesso di sostituire la proclamazione del vangelo. Questi potenti ministeri sono i sottoprodotti sociali dei ministeri e delle trasformazioni ancor più potenti e sublimi compiuti nel cuore del credente al regno dallo Spirito della Verità vivente e dalla realizzazione personale che la fede di un uomo nato dallo spirito gli conferisce l’assicurazione di una comunione vivente con il Dio eterno.
(1931.3) 178:1.12 Voi non dovete cercare di promulgare la verità né di stabilire la rettitudine con il potere dei governi civili o con l’applicazione di leggi secolari. Voi potete sempre operare per persuadere la mente degli uomini, ma non dovete mai osare di costringerla. Non dovete dimenticare la grande legge dell’equità umana che vi ho insegnato in forma positiva: qualunque cosa vorreste che gli uomini facessero a voi, fatela a loro.
(1931.4) 178:1.13 Quando un credente nel regno è chiamato a servire il governo civile, che svolga tale servizio come cittadino temporale di tale governo; tuttavia questo credente dovrebbe manifestare nel suo servizio civile tutte le sue qualità ordinarie di cittadino, quali sono state elevate dall’illuminazione spirituale risultante dall’associazione nobilitante della sua mente di uomo mortale con lo spirito interiore del Dio eterno. Se il non credente può qualificarsi come un funzionario civile superiore, dovreste chiedervi seriamente se le radici della verità nel vostro cuore non siano morte per mancanza delle acque viventi della comunione spirituale congiunta al servizio sociale. La coscienza della filiazione con Dio dovrebbe animare l’intera vita di servizio di ogni uomo, donna e bambino che è divenuto possessore di tale potente stimolo di tutti i poteri insiti in una personalità umana.
(1931.5) 178:1.14 Non siate mistici passivi od asceti indifferenti; non diventate dei sognatori e degli indolenti che sperano supinamente in una Provvidenza fittizia che provveda anche al necessario per vivere. Siate in verità gentili nei vostri rapporti con i mortali sviati, pazienti nei vostri contatti con gli ignoranti e tolleranti in caso di provocazione; ma siate anche intrepidi nella difesa della rettitudine, potenti nella promulgazione della verità ed energici nella predicazione di questo vangelo del regno, sino ai confini stessi della terra.
(1931.6) 178:1.15 Questo vangelo del regno è una verità vivente. Io vi ho detto che è simile al lievito nella pasta, simile al grano di senape; ed ora dichiaro che è simile al seme dell’essere vivente, che di generazione in generazione, pur rimanendo lo stesso seme vivente, si manifesta infallibilmente in nuove espressioni e cresce accettabilmente in canali di nuovo adattamento alle necessità e condizioni peculiari di ogni generazione successiva. La rivelazione che vi ho fatto è una rivelazione vivente, e desidero che essa produca dei frutti appropriati in ogni individuo ed in ogni generazione, conformemente alle leggi della crescita spirituale, dell’incremento e dello sviluppo di adattamento. Di generazione in generazione questo vangelo deve mostrare una vitalità crescente e manifestare una profondità maggiore di potere spirituale. Non deve essergli consentito di divenire un semplice ricordo sacro, una mera tradizione a proposito di me e dei tempi in cui noi ora viviamo.
(1932.1) 178:1.16 E non dimenticate: noi non abbiamo attaccato direttamente né le persone né l’autorità di coloro che siedono sul seggio di Mosè; abbiamo solo offerto loro la nuova luce che essi hanno così energicamente respinto. Noi li abbiamo attaccati solo denunciando la loro slealtà spirituale verso le verità stesse che essi professano d’insegnare e di salvaguardare. Siamo entrati in conflitto con questi dirigenti stabiliti e questi capi riconosciuti solo quando essi si sono opposti direttamente alla predicazione del vangelo del regno ai figli degli uomini. Ed anche ora non siamo noi che attacchiamo loro, ma sono essi che cercano la nostra distruzione. Non dimenticate che voi siete incaricati di andare a predicare solo la buona novella. Non dovete attaccare i vecchi modi di vivere; dovete mettere abilmente il lievito della nuova verità in mezzo alle antiche credenze. Lasciate che lo Spirito della Verità faccia il proprio lavoro. Avviate delle controversie solo quando ne siete costretti da coloro che disprezzano la verità. Ma quando vi attacca il non credente ostinato, non esitate a difendere energicamente la verità che vi ha salvato e santificato.
(1932.2) 178:1.17 In tutte le vicissitudini della vita ricordatevi sempre di amarvi gli uni con gli altri. Non combattete contro gli uomini, nemmeno contro i non credenti. Mostrate misericordia anche verso coloro che abusano perfidamente di voi. Mostrate di essere cittadini leali, artigiani onesti, vicini degni di lode, parenti devoti, genitori comprensivi e credenti sinceri nella fraternità del regno del Padre. Ed il mio spirito sarà su di voi, ora ed anche sino alla fine del mondo.
(1932.3) 178:1.18 Quando Gesù ebbe terminato il suo insegnamento era quasi l’una, ed essi tornarono immediatamente al campo, dove Davide ed i suoi associati avevano preparato da mangiare per loro.
(1932.4) 178:2.1 Non molti ascoltatori del Maestro riuscirono a capire, anche in parte, il suo discorso della mattina. Tra tutti quelli che lo ascoltarono, furono i Greci che lo compresero meglio. Anche gli undici apostoli furono sconcertati dalle sue allusioni a regni politici futuri e a generazioni successive di credenti nel regno. I discepoli più devoti di Gesù non riuscivano a conciliare la fine imminente del suo ministero terreno con questi riferimenti ad un esteso futuro di attività evangeliche. Alcuni di questi credenti ebrei stavano cominciando ad intuire che stava per verificarsi la più grande tragedia della terra, ma non riuscivano a conciliare tale imminente disastro né con il comportamento personale d’indifferente allegria del Maestro né con il suo discorso della mattina, in cui egli aveva fatto ripetute allusioni alle attività future del regno celeste, che si estendevano su vasti periodi di tempo ed abbracciavano relazioni con molti e successivi regni temporali sulla terra.
(1932.5) 178:2.2 A mezzodì di questo giorno tutti gli apostoli e i discepoli avevano saputo della fuga precipitosa di Lazzaro da Betania. Essi cominciavano a percepire la ferma determinazione dei dirigenti ebrei di sterminare Gesù ed i suoi insegnamenti.
(1932.6) 178:2.3 Davide Zebedeo, grazie al lavoro dei suoi agenti segreti a Gerusalemme, era pienamente informato sui progressi del piano per arrestare ed uccidere Gesù. Egli sapeva tutto sul ruolo di Giuda in questo complotto, ma non rivelò mai questa conoscenza agli altri apostoli né ad alcuno dei discepoli. Poco dopo il pranzo egli prese Gesù da parte e, facendosi coraggio, gli chiese se sapeva — ma non andò oltre con questa domanda. Il Maestro, alzando la mano, lo interruppe dicendo: “Sì, Davide, sono al corrente di tutto, e so che tu sai, ma bada di non parlarne a nessuno. Solo non dubitare nel tuo cuore che la volontà di Dio alla fine prevarrà.”
(1933.1) 178:2.4 Questa conversazione con Davide fu interrotta dall’arrivo di un messaggero proveniente da Filadelfia che portava la notizia che Abner aveva saputo del complotto per uccidere Gesù e chiedeva se doveva partire per Gerusalemme. Questo corriere ripartì in fretta per Filadelfia con questo messaggio per Abner: “Prosegui il tuo lavoro. Se io mi separo da voi nella carne, è solo per poter ritornare in spirito. Non vi abbandonerò. Sarò con voi sino alla fine.”
(1933.2) 178:2.5 In questo momento Filippo venne dal Maestro e chiese: “Maestro, visto che il tempo della Pasqua si avvicina, dove vorresti che preparassimo per mangiarla?” E quando Gesù ebbe ascoltato la domanda di Filippo, rispose: “Va a cercare Pietro e Giovanni, e vi darò delle istruzioni sulla cena che mangeremo insieme questa sera. Quanto alla Pasqua, la prenderete in considerazione dopo che abbiamo prima fatto questo.”
(1933.3) 178:2.6 Quando Giuda udì il Maestro parlare con Filippo di queste materie, si avvicinò in modo da poter ascoltare di nascosto la loro conversazione. Ma Davide Zebedeo, che stava lì vicino, si fece avanti ed intrattenne Giuda in conversazione mentre Filippo, Pietro e Giovanni andavano in disparte a parlare con il Maestro.
(1933.4) 178:2.7 Gesù disse ai tre: “Andate immediatamente a Gerusalemme, e come oltrepasserete la porta, incontrerete un uomo che porta una brocca d’acqua. Egli vi parlerà, e allora voi lo seguirete. Quando vi condurrà in una certa casa, seguitelo e chiedete al buon uomo di quella casa: ‘Dov’è la sala degli ospiti nella quale il Maestro mangerà la cena con i suoi apostoli?’ E quando vi sarete informati così, questo padrone della casa vi mostrerà una grande stanza al piano superiore tutta addobbata e pronta per noi.”
(1933.5) 178:2.8 Quando gli apostoli giunsero in città, incontrarono l’uomo con la brocca d’acqua vicino alla porta e lo seguirono fino alla casa di Giovanni Marco, dove il padre del ragazzo li accolse e mostrò loro la stanza al piano superiore preparata per il pasto della sera.
(1933.6) 178:2.9 E tutto ciò avvenne a seguito di un’intesa conclusa tra il Maestro e Giovanni Marco durante il pomeriggio del giorno precedente quando erano da soli sulle colline. Gesù voleva essere certo di prendere quest’ultimo pasto con i suoi apostoli senza essere disturbato, e pensando che se Giuda conosceva in anticipo il loro luogo d’incontro poteva accordarsi con i suoi nemici per catturarlo, fece questo accordo segreto con Giovanni Marco. In questo modo Giuda non seppe del loro luogo di riunione che più tardi, quando arrivò là in compagnia di Gesù e degli altri apostoli.
(1933.7) 178:2.10 Davide Zebedeo aveva molti affari da regolare con Giuda, cosicché questi fu facilmente impedito di seguire Pietro, Giovanni e Filippo, come desiderava tanto fare. Quando Giuda diede a Davide una certa somma di denaro per le provviste, Davide gli disse: “Giuda, non sarebbe opportuno, date le circostanze, che mi anticipassi un po’ di denaro per le mie necessità attuali?” E dopo che Giuda ebbe riflettuto un istante, rispose: “Sì, Davide, credo che sarebbe saggio. Infatti, viste le condizioni turbate di Gerusalemme, credo che sarebbe meglio per me consegnare a te tutto il denaro. Si complotta contro il Maestro, e nel caso mi accadesse qualcosa, tu non saresti in difficoltà.”
(1934.1) 178:2.11 E così Davide ricevette tutti i fondi apostolici in contanti e le ricevute di tutto il denaro in deposito. Gli apostoli non seppero di questa operazione fino alla sera del giorno dopo.
(1934.2) 178:2.12 Erano circa le quattro e mezzo quando i tre apostoli ritornarono ed informarono Gesù che tutto era pronto per la cena. Il Maestro si preparò immediatamente a condurre i suoi dodici apostoli sul sentiero che portava alla strada per Betania e fino a Gerusalemme. E questo fu l’ultimo viaggio che egli fece con tutti loro dodici.
(1934.3) 178:3.1 Cercando di nuovo di evitare le folle che passavano per la valle del Cedron andando e venendo tra il Parco di Getsemani e Gerusalemme, Gesù e i dodici camminarono sulla cresta occidentale del Monte Oliveto per raggiungere la strada che scendeva da Betania verso la città. Quando si avvicinarono al luogo in cui Gesù si era fermato le sera precedente per parlare della distruzione di Gerusalemme, essi fecero inconsciamente una sosta e stettero là guardando in silenzio la città. Poiché erano un po’ in anticipo, e poiché Gesù non voleva passare per la città prima del tramonto, disse ai suoi associati:
(1934.4) 178:3.2 “Sedetevi e riposatevi mentre vi parlo di ciò che deve accadere tra poco. Io ho vissuto tutti questi anni con voi come se foste dei fratelli, e vi ho insegnato la verità sul regno dei cieli e ve ne ho rivelato i misteri. E mio Padre ha in verità compiuto molte opere meravigliose in connessione con la mia missione sulla terra. Voi siete stati testimoni di tutto ciò ed avete partecipato all’esperienza di aver lavorato con Dio. E mi attesterete che da qualche tempo io vi ho avvertiti che presto dovrò tornare al compito che il Padre mi ha assegnato; vi ho chiaramente detto che devo lasciarvi nel mondo per portare avanti l’opera del regno. È stato per questa ragione che vi ho preso da parte sulle colline di Cafarnao. L’esperienza che avete avuto con me, ora dovete essere pronti a condividerla con altri. Come il Padre ha mandato me in questo mondo, così io sto per mandare voi a rappresentarmi e a completare l’opera che ho cominciato.
(1934.5) 178:3.3 “Voi guardate laggiù la città con tristezza, perché avete ascoltato le mie parole che annunciavano la fine di Gerusalemme. Io vi ho avvertiti in anticipo affinché non periate nella sua distruzione e non ritardiate così la proclamazione del vangelo del regno. Similmente vi avverto di fare attenzione a non esporvi inutilmente al pericolo quando verranno a prendere il Figlio dell’Uomo. Io devo andarmene, ma voi dovete rimanere per testimoniare questo vangelo quando io me ne sarò andato, così come ho ordinato a Lazzaro di fuggire dalla collera degli uomini per poter vivere e far conoscere la gloria di Dio. Se è volontà del Padre che io parta, voi non potete fare niente che possa contrastare il piano divino. Riguardatevi affinché essi non uccidano anche voi. Che le vostre anime difendano coraggiosamente il vangelo per mezzo del potere spirituale, ma non lasciatevi fuorviare da qualche folle tentativo di difendere il Figlio dell’Uomo. Io non ho bisogno di alcuna difesa dalla mano dell’uomo; le schiere del cielo sono anche ora vicine; ma io sono determinato a fare la volontà di mio Padre che è nei cieli, e perciò dobbiamo sottometterci a quello che ci accadrà così presto.
(1934.6) 178:3.4 “Quando vedrete questa città distrutta, non dimenticate che siete già entrati nella vita eterna di perpetuo servizio del regno in continuo progresso dei cieli, e anche del cielo dei cieli. Voi dovreste sapere che nell’universo di mio Padre e nel mio vi sono molte dimore, e che là attende i figli della luce la rivelazione di città il cui costruttore è Dio e di mondi le cui abitudini di vita sono la rettitudine e la gioia nella verità. Io vi ho portato il regno dei cieli qui sulla terra, ma dichiaro che tutti quelli di voi che vi entreranno per fede e vi resteranno grazie al servizio vivente della verità, ascenderanno sicuramente ai mondi superiori e sederanno con me nel regno spirituale di nostro Padre. Ma prima dovete prepararvi a completare l’opera che avete iniziato con me. Dovete prima passare per molte tribolazioni e soffrire molti dispiaceri — e queste prove sono ora imminenti — e quando avrete terminato la vostra opera sulla terra, entrerete nella mia gioia, così come io ho terminato l’opera di mio Padre sulla terra e sto per ritornare al suo abbraccio.”
(1935.1) 178:3.5 Quando il Maestro ebbe finito di parlare, si alzò, e tutti loro lo seguirono giù dall’Oliveto e dentro la città. Nessuno degli apostoli, salvo tre, sapeva dove stavano andando mentre proseguivano lungo le vie strette nell’approssimarsi dell’oscurità. La folla li urtava, ma nessuno li riconobbe né seppe che il Figlio di Dio stava passando per andare verso l’ultimo incontro di mortale con i suoi ambasciatori scelti del regno. E nemmeno gli apostoli sapevano che uno di loro era già entrato in una cospirazione per consegnare il Maestro nelle mani dei suoi nemici.
(1935.2) 178:3.6 Giovanni Marco li aveva seguiti per tutta la strada fin dentro la città, e dopo che ebbero superato la porta corse avanti per un’altra strada, cosicché li stava aspettando per accoglierli al loro arrivo a casa di suo padre.
(1936.1) 179:0.1 DURANTE il pomeriggio di questo giovedì, quando Filippo ricordò al Maestro che la Pasqua si avvicinava e s’informò sui suoi piani per celebrarla, pensava alla cena di Pasqua che doveva essere consumata la sera del giorno dopo, venerdì. Era costume cominciare i preparativi per la celebrazione della Pasqua non più tardi di mezzogiorno del giorno precedente. E poiché gli Ebrei contavano i giorni a partire dal tramonto, ciò significava che la cena del sabato di Pasqua doveva essere consumata il venerdì sera, poco prima di mezzanotte.
(1936.2) 179:0.2 Gli apostoli, quindi, non riuscivano a comprendere pienamente l’annuncio del Maestro che avrebbero celebrato la Pasqua un giorno prima. Essi pensarono, almeno alcuni di loro, che egli sapesse che sarebbe stato arrestato prima del momento della cena di Pasqua di venerdì sera e che li avesse perciò riuniti per una cena speciale questo giovedì sera. Altri pensarono che questa fosse semplicemente un’occasione particolare che precedeva la celebrazione regolare della Pasqua.
(1936.3) 179:0.3 Gli apostoli sapevano che Gesù aveva celebrato altre Pasque senza l’agnello; e sapevano che non partecipava personalmente ad alcun servizio sacrificale del sistema ebraico. Egli aveva mangiato molte volte l’agnello pasquale come invitato, ma quando era ospite non era mai servito agnello. Non sarebbe stata una grande sorpresa per gli apostoli aver visto omesso l’agnello anche la sera di Pasqua, e poiché questa cena aveva luogo un giorno prima, essi non pensarono nulla per la sua mancanza.
(1936.4) 179:0.4 Dopo aver ricevuto i saluti di benvenuto dal padre e dalla madre di Giovanni Marco, gli apostoli salirono immediatamente nella sala al piano superiore mentre Gesù si attardava a parlare con i familiari di Marco.
(1936.5) 179:0.5 Era stato convenuto in anticipo che il Maestro avrebbe celebrato questa festa da solo con i suoi dodici apostoli; perciò non era previsto alcun servitore per servirli.
(1936.6) 179:1.1 Quando gli apostoli furono condotti al piano superiore da Giovanni Marco, videro una vasta e comoda sala, completamente preparata per la cena, ed osservarono che il pane, il vino, l’acqua e le erbe erano tutti pronti ad un’estremità della tavola. Salvo che all’estremità su cui stava il pane e il vino, questa lunga tavola era circondata da tredici divani per stendersi, esattamente come sarebbe stata preparata per la celebrazione della Pasqua in una famiglia ebrea benestante.
(1936.7) 179:1.2 Mentre i dodici entravano in questa sala, notarono vicino alla porta le brocche d’acqua, le bacinelle e gli asciugamani per il lavaggio dei loro piedi impolverati; e poiché non era stato previsto alcun servitore per svolgere questo servizio, gli apostoli cominciarono a guardarsi l’uno l’altro non appena Giovanni Marco li ebbe lasciati, e ciascuno cominciò a pensare tra sé: Chi laverà i nostri piedi? E ciascuno pensò anche che non sarebbe stato lui che avrebbe svolto questo ruolo evidente di servitore degli altri.
(1937.1) 179:1.3 Mentre essi stavano là, riflettendo in cuor loro, diedero uno sguardo alla sistemazione dei posti a tavola, e notarono il divano più elevato dell’ospite d’onore con un divano alla destra e undici disposti attorno alla tavola, che terminavano di fronte a questo secondo seggio d’onore posto alla destra dell’ospite.
(1937.2) 179:1.4 Essi aspettarono per qualche momento l’arrivo del Maestro, ma erano incerti se sedersi o aspettare la sua venuta e contare su di lui per l’assegnazione dei loro posti. Mentre esitavano, Giuda avanzò verso il posto d’onore alla sinistra dell’ospite, e significò che intendeva sdraiarvisi come ospite preferito. Questo atto di Giuda provocò immediatamente un’accesa disputa tra gli altri apostoli. Giuda aveva appena preso possesso del seggio d’onore che Giovanni Zebedeo rivendicò l’altro seggio preferito, quello alla destra dell’ospite. Simon Pietro si arrabbiò talmente per questa pretesa di Giuda e di Giovanni di scegliere i posti che, sotto gli sguardi degli altri apostoli irritati, camminò deciso attorno alla tavola e prese posto sul divano meno importante, alla fine dell’ordine di posti ed esattamente di fronte a quello scelto da Giovanni Zebedeo. Poiché altri avevano occupato i posti più alti, Pietro pensò di scegliere il più basso, e fece questo non solo per protestare contro l’orgoglio indecoroso dei suoi fratelli, ma con la speranza che Gesù, quando fosse venuto e l’avesse visto nel posto di minor onore, l’avrebbe chiamato ad un posto più alto, spostando così uno che aveva preteso di onorarsi da solo.
(1937.3) 179:1.5 Con le posizioni più importanti e più umili così occupate, gli altri apostoli scelsero i loro posti, chi vicino a Giuda e chi vicino a Pietro, fino a che furono tutti accomodati. Essi erano seduti su questi divani attorno alla tavola a forma di U nell’ordine seguente: alla destra del Maestro, Giovanni; alla sinistra, Giuda, Simone Zelota, Matteo, Giacomo Zebedeo, Andrea, i gemelli Alfeo, Filippo, Natanaele, Tommaso e Simon Pietro.
(1937.4) 179:1.6 Essi sono riuniti per celebrare, almeno in spirito, un’istituzione che datava da prima di Mosè e che si riferiva ai tempi in cui i loro padri erano schiavi in Egitto. Questa cena è il loro ultimo incontro con Gesù, ed anche in tale quadro solenne, per la condotta di Giuda, gli apostoli sono portati ancora una volta a cedere alla loro vecchia predilezione per gli onori, la preferenza e l’esaltazione personale.
(1937.5) 179:1.7 Essi erano ancora impegnati in vocianti, irate recriminazioni quando il Maestro apparve sul vano della porta, dove esitò un istante, mentre un’espressione di disappunto appariva lentamente sul suo viso. Senza commenti egli andò al suo posto e non mutò la disposizione in cui essi si erano messi a sedere.
(1937.6) 179:1.8 Erano ora pronti ad iniziare la cena, salvo che i loro piedi non erano ancora lavati e che non erano affatto di buonumore. Quando arrivò il Maestro essi si stavano ancora rimproverando l’un l’altro senza tanti complimenti, per non parlare dei pensieri di alcuni di loro che avevano sufficiente controllo emotivo per astenersi dall’esprimere apertamente i loro sentimenti.
(1937.7) 179:2.1 Per alcuni istanti dopo che il Maestro ebbe preso posto non fu detta una parola. Gesù passò il suo sguardo su tutti loro e, mitigando la tensione con un sorriso, disse: “Ho desiderato grandemente mangiare questa Pasqua con voi. Volevo mangiare con voi ancora una volta prima di soffrire, e sapendo che è giunta la mia ora ho disposto di cenare con voi questa sera, perché, per quanto concerne domani, siamo tutti nelle mani del Padre, la cui volontà io sono venuto ad eseguire. Io non mangerò nuovamente con voi fino a che non sederete con me nel regno che mio Padre mi darà quando avrò compiuto ciò per cui mi ha mandato in questo mondo.”
(1938.1) 179:2.2 Dopo che il vino e l’acqua furono stati mescolati, essi portarono la coppa a Gesù, il quale, quando l’ebbe ricevuta dalle mani di Taddeo, la tenne mentre rendeva grazie. E quando ebbe finito di rendere grazie, disse: “Prendete questa coppa e dividetela tra di voi e, quando ne berrete, realizzate che io non berrò ancora con voi il frutto della vite, poiché questa è la nostra ultima cena. Quando sederemo di nuovo in questo modo, sarà nel regno futuro.”
(1938.2) 179:2.3 Gesù cominciò a parlare così ai suoi apostoli perché sapeva che la sua ora era giunta. Egli comprendeva che era arrivato il momento in cui doveva ritornare dal Padre, e che la sua opera sulla terra era quasi terminata. Il Maestro sapeva che aveva rivelato sulla terra l’amore del Padre, che aveva proclamato la sua misericordia all’umanità e che aveva completato ciò per cui era venuto nel mondo, fino a ricevere tutto il potere e l’autorità nel cielo e sulla terra. Similmente egli sapeva che Giuda Iscariota aveva deciso pienamente di consegnarlo quella sera nelle mani dei suoi nemici. Egli realizzava perfettamente che questo tradimento era opera di Giuda, ma che esso faceva piacere anche a Lucifero, a Satana e a Caligastia, il principe delle tenebre. Ma egli non temeva nessuno di coloro che cercavano la sua sconfitta spirituale, non più di quanto temeva coloro che cercavano di attuare la sua morte fisica. Il Maestro aveva una sola preoccupazione, ed era per la sicurezza e la salvezza dei suoi discepoli scelti. E così, con la piena conoscenza che il Padre aveva posto ogni cosa sotto la sua autorità, il Maestro si preparò ora a porre in atto la parabola dell’amore fraterno.
(1938.3) 179:3.1 Dopo aver bevuto la prima coppa della Pasqua, era costume ebraico che l’ospite si alzasse da tavola e si lavasse le mani. Più avanti nel corso del pasto e dopo la seconda coppa, si alzavano similmente tutti gli invitati e si lavavano le mani. Poiché gli apostoli sapevano che il loro Maestro non osservava mai questi riti di lavaggio cerimoniale delle mani, erano molto curiosi di sapere che cosa intendeva fare quando, dopo che ebbero tutti bevuto da questa prima coppa, egli si alzò da tavola e si diresse in silenzio verso la porta presso la quale erano stati posti le brocche d’acqua, le bacinelle e gli asciugamani. E la loro curiosità si mutò in stupore quando videro il Maestro togliersi la sopravveste, cingersi di un asciugamano e cominciare a versare dell’acqua in una delle bacinelle per i piedi. Immaginate la meraviglia di questi dodici uomini, che avevano appena rifiutato di lavarsi l’un l’altro i piedi, e che si erano impegnati in tali indecorose dispute suoi posti d’onore a tavola, quando lo videro avviarsi attorno all’estremità non occupata della tavola verso il posto più basso del banchetto, dove stava Simon Pietro, e, inginocchiatosi nell’atteggiamento di un servo, prepararsi a lavare i piedi di Simone. Come il Maestro s’inginocchiò, tutti i dodici si alzarono in piedi come un solo uomo; anche il traditore Giuda dimenticò per un momento la sua infamia al punto di alzarsi con i suoi compagni apostoli in questa espressione di sorpresa, di rispetto e di profondo stupore.
(1938.4) 179:3.2 Simon Pietro stava là, guardando il viso rivolto in su del suo Maestro. Gesù non disse nulla; non era necessario che parlasse. Il suo atteggiamento rivelava chiaramente che aveva intenzione di lavare i piedi di Simon Pietro. Nonostante le sue debolezze umane, Pietro amava il Maestro. Questo pescatore galileo fu il primo essere umano a credere con tutto il cuore nella divinità di Gesù e a fare piena e pubblica confessione di questa credenza. E Pietro da allora non aveva mai più realmente dubitato della natura divina del Maestro. Poiché Pietro riveriva ed onorava in tal modo Gesù nel suo cuore, non c’era da stupirsi che la sua anima si risentisse all’idea che Gesù fosse inginocchiato là davanti a lui nell’atteggiamento di un comune servitore e si proponesse di lavare i suoi piedi come avrebbe fatto uno schiavo. Quando Pietro subito dopo si riprese a sufficienza per rivolgersi al Maestro, espresse i sentimenti affettuosi di tutti i suoi compagni apostoli.
(1939.1) 179:3.3 Dopo i pochi istanti di questo grande imbarazzo, Pietro disse: “Maestro, hai veramente intenzione di lavarmi i piedi?” Ed allora, guardando in viso Pietro, Gesù disse: “Tu puoi non comprendere pienamente ciò che sto per fare, ma in seguito conoscerai il significato di tutte queste cose.” Allora Simon Pietro, tirando un lungo respiro, disse: “Maestro, tu non laverai mai i miei piedi!” E ciascuno degli apostoli manifestò con un cenno del capo la loro approvazione alla ferma dichiarazione di Pietro di rifiuto a consentire a Gesù di umiliarsi in questo modo davanti a loro.
(1939.2) 179:3.4 Il drammatico appello di questa scena insolita toccò inizialmente anche il cuore di Giuda Iscariota; ma quando il suo vanitoso intelletto giudicò lo spettacolo, concluse che questo gesto di umiltà era semplicemente un ulteriore episodio che provava definitivamente che Gesù non sarebbe mai stato qualificato per essere il liberatore d’Israele, e che lui non aveva commesso alcun errore nel decidere di abbandonare la causa del Maestro.
(1939.3) 179:3.5 Mentre stavano tutti là stupefatti col fiato sospeso, Gesù disse: “Pietro, io dichiaro che, se non lavo i tuoi piedi, tu non parteciperai con me a quello che sto per compiere.” Quando Pietro udì questa dichiarazione, unita al fatto che Gesù continuava a rimanere là inginocchiato ai suoi piedi, egli prese una di quelle decisioni di cieco consenso in adesione al desiderio di colui che rispettava ed amava. Quando Simon Pietro cominciò a rendersi conto che era attribuito a questo progettato atto di servizio un significato che determinava il proprio futuro legame con l’opera del Maestro, egli non solo si rassegnò all’idea di permettere a Gesù di lavargli i piedi ma, nella sua caratteristica ed impetuosa maniera, disse: “Allora, Maestro, non lavarmi soltanto i piedi ma anche le mani e la testa.”
(1939.4) 179:3.6 Mentre il Maestro si accingeva ad iniziare il lavaggio dei piedi di Pietro, disse: “Colui che è già puro ha bisogno soltanto di avere lavati i suoi piedi. Voi che sedete con me questa sera siete puri — ma non tutti. Ma la polvere dei vostri piedi avrebbe dovuto essere lavata prima che vi sedeste a tavola con me. Inoltre, vorrei compiere questo servizio per voi come una parabola per illustrare il significato di un nuovo comandamento che presto vi darò.”
(1939.5) 179:3.7 Allo stesso modo il Maestro fece il giro della tavola, in silenzio, lavando i piedi dei suoi dodici apostoli, senza escludere Giuda. Quando ebbe finito di lavare i piedi dei dodici, Gesù indossò la sua sopravveste, ritornò al suo posto di ospite, e dopo aver guardato gli apostoli sconcertati, disse:
(1939.6) 179:3.8 “Comprendete veramente ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro, e dite bene, perché lo sono. Se dunque il Maestro ha lavato i vostri piedi, come mai voi non eravate disposti a lavarvi i piedi l’un l’altro? Quale lezione dovreste imparare da questa parabola in cui il Maestro svolge così volentieri quel servizio che i suoi fratelli non hanno voluto fare l’uno per l’altro? In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone; né colui che è mandato è più grande di colui che lo manda. Voi avete visto il modo di servire nella mia vita tra di voi, e benedetti sono coloro che avranno la grazia ed il coraggio di servire così. Ma perché siete così lenti a capire che il segreto della grandezza del regno spirituale non è simile ai metodi di potere del mondo materiale?
(1940.1) 179:3.9 “Quando sono entrato in questa sala stasera, non eravate contenti di rifiutare orgogliosamente di lavarvi i piedi l’un l’altro, ma dovevate anche abbassarvi a disputare tra di voi su chi avrebbe avuto i posti d’onore alla mia tavola. Questi onori li cercano i Farisei e i figli di questo mondo, ma non dovrebbe essere così tra gli ambasciatori del regno celeste. Non sapete che non ci può essere alcun posto di preferenza alla mia tavola? Non comprendete che io amo ciascuno di voi quanto gli altri? Non sapete che il posto più vicino a me, secondo come gli uomini considerano tali onori, può non significare nulla riguardo alla vostra posizione nel regno dei cieli? Voi sapete che i re dei Gentili hanno la sovranità sui loro sudditi, e che coloro che esercitano questa autorità sono talvolta chiamati benefattori. Ma non sarà così nel regno dei cieli. Colui che vuole essere grande tra di voi, che divenga il più piccolo, e colui che vuole essere capo, che divenga come uno che serve. Chi è più grande, colui che siede a tavola o colui che serve? Non si considera comunemente che chi siede a tavola sia il più grande? Ma voi osserverete che io sono tra di voi come uno che serve. Se voi siete intenzionati a divenire dei servitori con me nel compimento della volontà del Padre, nel regno futuro sederete con me in potenza, continuando a fare la volontà del Padre nella gloria futura.”
(1940.2) 179:3.10 Quando Gesù ebbe finito di parlare, i gemelli Alfeo portarono il pane ed il vino, con le erbe amare e la pasta di frutta secca, per la successiva portata dell’Ultima Cena.
(1940.3) 179:4.1 Per alcuni minuti gli apostoli mangiarono in silenzio, ma sotto l’influenza del buonumore del Maestro si misero presto a conversare, ed il pasto proseguì come se niente d’insolito avesse interferito nella buona disposizione e nell’armonia sociale di questa occasione straordinaria. Dopo un po’, verso la metà di questa seconda portata del pasto, Gesù, passando il suo sguardo su di loro, disse: “Vi ho detto quanto desideravo molto fare questa cena con voi, e sapendo come le forze maligne delle tenebre hanno cospirato per provocare la morte del Figlio dell’Uomo, ho deciso di mangiare questa cena con voi in questa stanza segreta un giorno in anticipo sulla Pasqua, poiché domani sera a quest’ora io non sarò con voi. Vi ho detto ripetutamente che devo tornare dal Padre. Adesso la mia ora è venuta, ma non era necessario che uno di voi mi tradisse per consegnarmi nelle mani dei miei nemici.”
(1940.4) 179:4.2 Quando i dodici udirono ciò, essendo già stati privati di molta della loro arroganza e fiducia in se stessi dalla parabola del lavaggio dei piedi e dal successivo discorso del Maestro, cominciarono a guardarsi l’un l’altro mentre in tono sorpreso chiedevano con esitazione: “Sono io?” E quando essi ebbero tutti posto la stessa domanda, Gesù disse: “Anche se è necessario che io ritorni dal Padre, non c’era bisogno che uno di voi divenisse un traditore per compiere la volontà del Padre. Questa è la maturazione del male nascosto nel cuore di uno che non è riuscito ad amare la verità con tutta la sua anima. Quanto è ingannevole l’orgoglio intellettuale che precede la rovina spirituale! Il mio amico di lunga data, che sta ora mangiando il mio pane, sarà pronto a tradirmi, anche mentre intinge la sua mano con me nel piatto.”
(1940.5) 179:4.3 Quando Gesù ebbe parlato in questo modo, tutti loro cominciarono a chiedere di nuovo: “Sono io?” E quando Giuda, seduto alla sinistra del suo Maestro, chiese di nuovo: “Sono io?” Gesù, intingendo il pane nel piatto di erbe, lo porse a Giuda dicendo: “Tu l’hai detto.” Ma gli altri non udirono Gesù parlare a Giuda. Giovanni, che era sdraiato alla destra di Gesù, si sporse e chiese al Maestro: “Chi è? Noi vorremmo sapere chi è che si è mostrato infedele al suo impegno.” Gesù rispose: “Ve l’ho già detto, è colui al quale ho dato il pezzo di pane intinto.” Ma era così naturale per l’ospite dare un pezzo di pane intinto a chi sedeva alla sua sinistra che nessuno di loro vi aveva prestato attenzione, benché il Maestro avesse parlato così chiaramente. Ma Giuda fu dolorosamente cosciente del significato delle parole del Maestro associate al suo atto, e temé che i suoi compagni si rendessero ora similmente conto che il traditore era lui.
(1941.1) 179:4.4 Pietro era estremamente turbato da ciò che era stato detto, e sporgendosi sulla tavola disse a Giovanni: “Chiedigli chi è, o se te l’ha rivelato, dimmi chi è il traditore.”
(1941.2) 179:4.5 Gesù mise fine al loro mormorio dicendo: “Sono addolorato che questa cattiva azione si sia verificata ed ho sperato fino a questo momento che il potere della verità potesse trionfare sull’inganno del male, ma tali vittorie non si conquistano senza la fede di un sincero amore della verità. Io non avrei voluto dirvi queste cose a questa nostra ultima cena, ma desidero avvertirvi di questi dispiaceri e prepararvi così a ciò che ci aspetta. Vi ho parlato di ciò perché desidero che ricordiate, dopo che me ne sarò andato, che conoscevo tutti questi perfidi complotti e che vi ho preavvertiti che sarei stato tradito. E faccio tutto ciò solo perché possiate essere fortificati in vista delle tentazioni e delle prove imminenti.”
(1941.3) 179:4.6 Dopo aver parlato così, Gesù si piegò verso Giuda e disse: “Ciò che hai deciso di fare, fallo subito.” E quando Giuda udì queste parole, si alzò da tavola e lasciò in fretta la sala, uscendo nella notte per fare quello che aveva deciso di compiere. Quando gli altri apostoli videro Giuda uscire in fretta dopo che Gesù gli aveva parlato, pensarono che fosse andato a prendere dell’altro cibo per la cena o a fare qualche altra commissione per il Maestro, poiché supponevano che egli portasse ancora la borsa.
(1941.4) 179:4.7 Gesù sapeva che oramai non c’era più nulla da fare per impedire a Giuda di tradire. Egli aveva cominciato con dodici apostoli — ora ne aveva undici. Egli aveva scelto sei di questi apostoli, e benché Giuda fosse tra quelli nominati dai suoi apostoli scelti per primi, il Maestro l’aveva accettato e, fino a questo stesso momento, aveva fatto tutto il possibile per santificarlo e salvarlo, proprio come aveva lavorato per la pace e la salvezza degli altri.
(1941.5) 179:4.8 Questa cena, con i suoi episodi di affetto ed i toni mitigati, fu l’ultimo appello di Gesù al disertore Giuda, ma non servì a nulla. Una volta che l’amore è veramente morto, l’avvertimento, anche quando è dato con il massimo tatto e trasmesso nello spirito più amichevole, di regola intensifica solo l’odio ed accende la cattiva determinazione a portare a compimento i propri progetti egoisti.
(1941.6) 179:5.1 Quando essi portarono a Gesù la terza coppa di vino, la “coppa della benedizione”, egli si alzò dal divano e, prendendo la coppa nelle sue mani, la benedisse dicendo: “Prendete questa coppa e bevetene tutti. Questa sarà la coppa del mio ricordo. Questa è la coppa della benedizione di una nuova dispensazione di grazia e di verità. Essa sarà per voi il simbolo dell’effusione e del ministero dello Spirito della Verità divino. Ed io non berrò nuovamente questa coppa con voi fino a quando non ne berrò nella nuova forma con voi nel regno eterno del Padre.”
(1942.1) 179:5.2 Gli apostoli intuirono tutti che qualcosa di straordinario stava per accadere mentre bevevano da questa coppa di benedizione con profondo rispetto ed in perfetto silenzio. La vecchia Pasqua commemorava l’emersione dei loro padri da uno stato di schiavitù razziale alla libertà individuale. Ora il Maestro stava istituendo una nuova cena del ricordo come simbolo della nuova dispensazione in cui l’individuo asservito emerge dalla schiavitù del cerimonialismo e dell’egoismo alla gioia spirituale della fratellanza e della comunione dei figli del Dio vivente liberati dalla fede.
(1942.2) 179:5.3 Quando essi ebbero finito di bere questa nuova coppa del ricordo, il Maestro prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo ruppe in pezzi e, ordinando loro di passarselo, disse: “Prendete questo pane del ricordo e mangiatelo. Vi ho detto che io sono il pane della vita. E questo pane della vita è la vita congiunta del Padre e del Figlio in un solo dono. La parola del Padre, qual è rivelata nel Figlio, è in verità il pane di vita.” Quando essi si furono distribuiti il pane del ricordo, il simbolo della parola vivente della verità incarnata nelle sembianze della carne mortale, si sedettero tutti di nuovo.
(1942.3) 179:5.4 Istituendo questa cena del ricordo, il Maestro, com’era sempre sua abitudine, fece ricorso a parabole e a simboli. Egli impiegò dei simboli perché voleva insegnare certe grandi verità spirituali in maniera tale da rendere difficile ai suoi successori attribuire delle interpretazioni precise e dei significati definiti alle sue parole. In questo modo egli cercò d’impedire alle generazioni successive di cristallizzare il suo insegnamento e di legare i suoi significati spirituali alle catene morte delle tradizioni e dei dogmi. Stabilendo l’unica cerimonia, o sacramento, associata all’intera missione della sua vita, Gesù ebbe molta cura di suggerire i suoi significati piuttosto che impegnarsi in definizioni precise. Egli non desiderava distruggere il concetto individuale di comunione divina stabilendo una forma precisa; né desiderava limitare l’immaginazione spirituale del credente comprimendola formalmente. Egli cercava piuttosto di rendere libera l’anima umana rinata sulle ali gioiose di una libertà spirituale nuova e vivente.
(1942.4) 179:5.5 Nonostante lo sforzo del Maestro d’istituire così questo nuovo sacramento del ricordo, coloro che vennero dopo di lui nei secoli successivi badarono a che il suo espresso desiderio fosse efficacemente contrastato, riducendo il suo semplice simbolismo spirituale di quell’ultima sera nella carne a delle interpretazioni rigorose e sottoponendolo alla precisione quasi matematica di una formula fissa. Di tutti gli insegnamenti di Gesù, nessuno è divenuto più standardizzato dalla tradizione.
(1942.5) 179:5.6 Questa cena del ricordo, quando vi partecipano coloro che credono nel Figlio e che conoscono Dio, non ha bisogno di essere associata ad alcun simbolismo di puerili errate interpretazioni umane sul significato della presenza divina, perché in tutte queste occasioni il Maestro è realmente presente. La cena del ricordo è l’incontro simbolico del credente con Micael. Quando voi divenite in tal modo coscienti in spirito, il Figlio è effettivamente presente, ed il suo spirito fraternizza con il frammento interiore di suo Padre.
(1942.6) 179:5.7 Dopo che essi ebbero meditato per alcuni istanti, Gesù proseguì a dire: “Quando farete queste cose, ricordatevi della vita che ho vissuto sulla terra tra di voi e rallegratevi che io stia continuando a vivere sulla terra con voi e a servire tramite voi. Come individui, non litigate tra di voi su chi sarà il più grande. Siate tutti come fratelli. E quando il regno crescerà al punto da inglobare grandi gruppi di credenti, astenetevi similmente dal lottare per la grandezza o dal cercare degli onori tra questi gruppi.”
(1943.1) 179:5.8 E questo grandioso avvenimento ebbe luogo nella sala al piano superiore di un amico. Non vi fu alcuna forma sacra o consacrazione cerimoniale concernenti la cena o la casa. La cena del ricordo fu istituita senza approvazione ecclesiastica.
(1943.2) 179:5.9 Dopo che Gesù ebbe istituito così la cena del ricordo, disse agli apostoli: “Tutte le volte che farete questo, fatelo in memoria di me. E quando vi ricorderete di me, riandate prima alla mia vita nella carne, ricordatevi che sono stato un tempo con voi, e poi, per mezzo della fede, discernete che cenerete tutti un giorno con me nel regno eterno del Padre. Questa è la nuova Pasqua che lascio a voi, il ricordo stesso della mia vita di conferimento, la parola di vita eterna e del mio amore per voi, l’effusione del mio Spirito della Verità su tutta la carne.”
(1943.3) 179:5.10 E poi essi terminarono questa celebrazione dell’antica ma incruenta Pasqua, in connessione con l’inaugurazione della nuova cena del ricordo, cantando tutti insieme il Salmo centodiciotto.
(1944.1) 180:0.1 DOPO aver cantato il Salmo alla conclusione dell’Ultima Cena, gli apostoli pensarono che Gesù intendesse ritornare immediatamente al campo, ma egli fece segno che si sedessero. Il Maestro disse:
(1944.2) 180:0.2 “Vi ricordate bene quando vi ho mandato in missione senza borsa né bisaccia e vi ho anche raccomandato di non portare con voi alcuna veste di ricambio. E vi ricorderete tutti che non vi è mancato nulla. Ma ora sono sopraggiunti tempi difficili. Voi non potrete più contare sulla buona volontà delle folle. D’ora in poi chi ha una borsa la porti con sé. Quando andrete nel mondo a proclamare questo vangelo, prendete tante provviste per il vostro mantenimento quante vi sembrerà più opportuno. Io sono venuto a portare la pace, ma essa non apparirà prima di un certo tempo.
(1944.3) 180:0.3 “È giunta l’ora per il Figlio dell’Uomo di essere glorificato, ed il Padre sarà glorificato in me. Amici miei, io sarò con voi soltanto per poco. Presto mi cercherete, ma non mi troverete, perché sto andando in un luogo dove voi non potete in questo momento venire. Ma quando avrete terminato la vostra opera sulla terra come io ho ora terminato la mia, allora verrete da me, così come io mi preparo ora ad andare da mio Padre. Tra poco tempo vi lascerò, voi non mi vedrete più sulla terra, ma mi vedrete tutti nell’era futura quando ascenderete al regno che mio Padre mi ha dato.”
(1944.4) 180:1.1 Dopo pochi istanti di conversazione informale, Gesù si alzò e disse: “Quando vi ho rappresentato una parabola indicante come dovreste essere disposti a servirvi l’un l’altro, ho detto che desideravo darvi un nuovo comandamento; e vorrei farlo ora che sto per lasciarvi. Voi conoscete bene il comandamento che ordina di amarvi l’un l’altro; di amare il vostro prossimo come voi stessi. Ma io non sono pienamente soddisfatto nemmeno di questa devozione sincera da parte dei miei figli. Vorrei vedervi compiere degli atti d’amore ancora più grandi nel regno della fraternità dei credenti. E così vi do questo nuovo comandamento: che vi amiate l’un l’altro come io ho amato voi. E da ciò tutti gli uomini sapranno che siete miei discepoli, se vi amate così l’un l’altro.
(1944.5) 180:1.2 Dandovi questo nuovo comandamento, io non pongo alcun fardello nuovo sulle vostre anime; vi porto piuttosto una nuova gioia e vi do la possibilità di provare un nuovo piacere conoscendo le delizie dell’effusione dell’affetto del vostro cuore sui vostri simili. Io sto per provare la gioia suprema, pur soffrendo di afflizioni esteriori, nell’effusione del mio affetto su di voi e sui vostri simili mortali.
(1944.6) 180:1.3 “Quando v’invito ad amarvi l’un l’altro, così come io ho amato voi, vi presento la misura suprema del vero affetto, perché nessuno può avere un amore più grande di questo: di essere disposto a dare la sua vita per i suoi amici. Ed ora, voi siete miei amici e continuerete ad esserlo se siete disposti a fare ciò che vi ho insegnato. Voi mi avete chiamato Maestro, ma io non vi chiamo servi. Se solo vi amerete l’un l’altro come io amo voi, sarete miei amici ed io vi dirò sempre ciò che il Padre mi rivela.
(1945.1) 180:1.4 “Non soltanto voi avete scelto me, ma anch’io ho scelto voi, e vi ho ordinato di andare nel mondo a produrre i frutti del servizio amorevole verso i vostri simili, come io ho vissuto tra voi e vi ho rivelato il Padre. Il Padre ed io lavoreremo entrambi con voi, e voi sperimenterete la pienezza divina della gioia se solo obbedirete al mio comando di amarvi l’un l’altro così come io ho amato voi.”
(1945.2) 180:1.5 Se volete condividere la gioia del Maestro dovrete condividere il suo amore. E condividere il suo amore significa aver condiviso il suo servizio. Una tale esperienza d’amore non vi libera dalle difficoltà di questo mondo; essa non crea un mondo nuovo, ma con tutta certezza rende il vecchio mondo nuovo.
(1945.3) 180:1.6 Ricordatevi che è la fedeltà e non il sacrificio che Gesù chiede. La coscienza del sacrificio implica l’assenza di quell’affetto sincero che avrebbe fatto di un tale servizio amorevole una gioia suprema. L’idea del dovere significa che siete intenzionati a servire e quindi non provate la potente eccitazione di compiere il vostro servizio come un amico e per un amico. L’impulso dell’amicizia trascende ogni convinzione del dovere, ed il servizio di un amico per un amico non può mai essere qualificato un sacrificio. Il Maestro aveva insegnato agli apostoli che sono i figli di Dio. Egli li aveva chiamati fratelli, ed ora, prima di lasciarli, li chiama suoi amici.
(1945.4) 180:2.1 Poi Gesù si alzò di nuovo e continuò ad istruire i suoi apostoli: “Io sono la vera vite e mio Padre è il coltivatore. Io sono la vite e voi siete i tralci. Ed il Padre mi chiede solo che voi portiate molti frutti. La vite viene potata solo per accrescere la produttività dei suoi tralci. Ogni tralcio uscito da me che non porta frutto, il Padre lo taglierà. Ogni tralcio che porta frutto sarà purificato dal Padre affinché possa dare più frutti. Voi siete già purificati dalla parola che io ho pronunciato, ma dovete continuare ad essere puri. Voi dovete dimorare in me ed io in voi; il tralcio morirà se viene separato dalla vite. Come il tralcio non può portare frutti se non dimora nella vite, così voi non potete produrre i frutti del servizio amorevole se non dimorate in me. Ricordatevi: io sono la vera vite e voi siete i tralci viventi. Colui che vive in me, ed io in lui, porterà molti frutti dello spirito e sperimenterà la gioia suprema di produrre questa messe spirituale. Se voi manterrete questa connessione spirituale vivente con me, porterete frutti in abbondanza. Se voi dimorate in me e le mie parole vivono in voi, sarete capaci di comunicare liberamente con me, ed allora il mio spirito vivente potrà impregnarvi in modo tale che potrete chiedere qualunque cosa il mio spirito vuole, e fare tutto ciò con la certezza che il Padre accoglierà la nostra petizione. Il Padre è glorificato in questo: che la vite abbia molti tralci viventi e che ogni tralcio porti molti frutti. E quando il mondo vedrà questi tralci che portano frutti — i miei amici che si amano l’un l’altro così come io ho amato loro — tutti gli uomini sapranno che voi siete veramente miei discepoli.
(1945.5) 180:2.2 “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Vivete nel mio amore così come io vivo nell’amore del Padre. Se fate come vi ho insegnato, dimorerete nel mio amore così come io ho mantenuto la parola del Padre e dimoro eternamente nel suo amore.”
(1946.1) 180:2.3 Gli Ebrei avevano insegnato da lungo tempo che il Messia sarebbe stato “un tralcio originato dalla vite” degli antenati di Davide, ed in commemorazione di questo antico insegnamento un grande emblema del grappolo attaccato alla vite decorava l’entrata del tempio di Erode. Tutti gli apostoli si ricordarono di queste cose mentre il Maestro parlava loro questa sera nella sala al piano superiore.
(1946.2) 180:2.4 Ma grandi disagi seguirono più tardi all’errata interpretazione delle conclusioni del Maestro riguardo alla preghiera. Questi insegnamenti avrebbero comportato poca difficoltà se fossero state ricordate la sue parole esatte e se successivamente fossero state trascritte correttamente. Ma per come ne fu fatta la trascrizione, i credenti finirono per considerare la preghiera in nome di Gesù come una sorta di magia suprema, pensando che avrebbero ricevuto dal Padre qualunque cosa avessero chiesto. Per secoli anime oneste hanno continuato a far naufragare la loro fede contro questo scoglio. Quanto tempo ci vorrà al mondo dei credenti per comprendere che la preghiera non è un processo per ottenere ciò che si vuole, ma piuttosto un programma per seguire la via di Dio, un’esperienza per imparare a riconoscere e ad eseguire la volontà del Padre? È interamente vero che, quando la vostra volontà si è veramente allineata alla sua, voi potete chiedere qualunque cosa concepita da quell’unione di volontà, e ciò sarà accordato. E tale unione di volontà è effettuata da e attraverso Gesù, così come la vita della vite fluisce dentro e attraverso i tralci viventi.
(1946.3) 180:2.5 Quando esiste questa connessione vivente tra la divinità e l’umanità, se l’umanità prega in modo insensato ed ignorante per comodità egoiste e per compimenti vanitosi, può esservi soltanto una risposta divina: che vi sia una maggiore produzione di frutti dello spirito sugli steli dei tralci viventi. Quando il tralcio della vite è vivente, ci può essere soltanto una risposta a tutte le sue petizioni: maggiore produzione d’uva. Infatti, il tralcio esiste solo per portare frutti, per produrre uva, e non può fare nient’altro. Allo stesso modo il vero credente esiste solo allo scopo di portare i frutti dello spirito: amare l’uomo come lui è stato amato da Dio — amarci l’un l’altro, così come Gesù ha amato noi.
(1946.4) 180:2.6 E quando la mano della disciplina del Padre è stesa sulla vite, ciò viene fatto per amore, affinché i tralci possano portare molti frutti. Ed un coltivatore accorto taglia soltanto i tralci morti e sterili.
(1946.5) 180:2.7 Gesù ebbe grande difficoltà a portare i suoi stessi apostoli a riconoscere che la preghiera è una funzione dei credenti nati dallo spirito nel regno dominato dallo spirito.
(1946.6) 180:3.1 Gli undici avevano appena cessato i loro commenti sul discorso della vite e dei tralci quando il Maestro, indicando che desiderava parlare loro ancora e sapendo che gli restava poco tempo, disse: “Quando vi avrò lasciati, non scoraggiatevi per l’inimicizia del mondo. Non abbattetevi nemmeno quando dei credenti codardi si rivolteranno contro di voi e si uniranno ai nemici del regno. Se il mondo vi odierà, non dimenticate che ha odiato me prima ancora di odiare voi. Se voi foste di questo mondo, allora il mondo amerebbe ciò che è suo, ma poiché non lo siete, il mondo rifiuta di amarvi. Voi siete in questo mondo, ma le vostre vite non saranno vissute alla maniera del mondo. Io vi ho scelti dal mondo per rappresentare lo spirito di un altro mondo presso questo stesso mondo da cui siete stati scelti. Ma ricordatevi sempre ciò che vi ho detto: il servo non è più grande del suo padrone. Se essi osano perseguitare me, perseguiteranno anche voi. Se le mie parole offendono i non credenti, anche le vostre parole offenderanno i malvagi. Ed essi vi faranno tutto ciò perché non credono né in me né in Colui che mi ha mandato; così voi subirete molte cose a causa del mio vangelo. Ma quando soffrirete queste tribolazioni, ricordatevi che anch’io ho sofferto prima di voi a causa di questo vangelo del regno dei cieli.
(1947.1) 180:3.2 “Molti di coloro che vi assaliranno ignorano la luce del cielo, ma ciò non è vero per certuni che ora ci perseguitano. Se non avessimo insegnato loro la verità, essi potrebbero fare molte cose strane senza incorrere nella condanna, ma ora, poiché hanno conosciuto la luce ed hanno osato respingerla, non hanno alcuna scusa per il loro comportamento. Chi odia me odia mio Padre. Non può essere altrimenti; la luce che vi salverebbe se accettata, può solo condannarvi se coscientemente respinta. E che cosa ho fatto io a questi uomini perché mi odino con un astio così terribile? Nulla, se non offrire loro fratellanza sulla terra e salvezza in cielo. Ma non avete letto nella Scrittura il versetto: ‘Ed essi mi hanno odiato senza una causa’?
(1947.2) 180:3.3 “Ma io non vi lascerò soli nel mondo. Molto presto, dopo che me ne sarò andato, vi manderò un aiutante spirituale. Avrete con voi uno che prenderà il mio posto tra di voi, uno che continuerà ad insegnarvi la via della verità, ed anche che vi consolerà.
(1947.3) 180:3.4 “Che il vostro cuore non sia turbato. Voi credete in Dio; continuate a credere anche in me. Benché io debba lasciarvi, non sarò lontano da voi. Vi ho già detto che nell’universo di mio Padre vi sono molti luoghi di sosta. Se ciò non fosse vero, non vi avrei ripetutamente parlato di essi. Io sto per tornare in questi mondi di luce, in queste stazioni nel cielo del Padre alle quali ascenderete un giorno. Da tali luoghi io sono venuto in questo mondo, ed ora è vicino il momento in cui dovrò tornare all’opera di mio Padre nelle sfere del cielo.
(1947.4) 180:3.5 “Se io vi precedo così nel regno celeste del Padre, vi manderò certamente a cercare affinché possiate essere con me nei luoghi che sono stati preparati per i figli mortali di Dio prima che questo mondo fosse. Anche se io devo lasciarvi, sarò presente con voi in spirito, e alla fine voi sarete con me in persona quando sarete ascesi a me nel mio universo, così come io sto per ascendere a mio Padre nel suo universo più grande. E ciò che vi ho detto è vero ed eterno, benché voi non possiate comprenderlo pienamente. Io vado dal Padre, e sebbene voi non possiate seguirmi ora, mi seguirete certamente nelle epoche future.”
(1947.5) 180:3.6 Quando Gesù si sedette, Tommaso si alzò e disse: “Maestro, noi non sappiamo dove tu stai andando; quindi certamente non ne conosciamo la via. Ma ti seguiremo da questa sera stessa se ci mostrerai la via.”
(1947.6) 180:3.7 Dopo aver ascoltato Tommaso, Gesù rispose: “Tommaso, io sono la via, la verità e la vita. Nessuno va al Padre se non attraverso me. Tutti coloro che trovano il Padre, prima trovano me. Se conoscete me, conoscete la via che porta al Padre. E voi mi conoscete, perché avete vissuto con me ed ora mi vedete.”
(1947.7) 180:3.8 Ma questo insegnamento era troppo profondo per molti degli apostoli, e specialmente per Filippo, il quale, dopo aver detto alcune parole a Natanaele, si alzò e disse: “Maestro. Mostraci il Padre, e tutto ciò che hai detto diverrà chiaro.”
(1947.8) 180:3.9 E quando Filippo ebbe parlato, Gesù disse: “Filippo, sono stato così a lungo con te ed ancora non mi conosci? Dichiaro di nuovo che chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi allora dire: mostraci il Padre? Non credi che io sia nel Padre ed il Padre in me? Non ti ho insegnato che le parole che dico non sono parole mie ma le parole del Padre? Io parlo per il Padre e non da me stesso. Io sono in questo mondo per fare la volontà del Padre, e ciò ho fatto. Mio Padre dimora in me ed opera attraverso me. Credetemi quando dico che il Padre è in me e che io sono nel Padre, oppure credetemi per la vita stessa che ho vissuto — per le mie opere.”
(1948.1) 180:3.10 Mentre il Maestro si allontanava per rinfrescarsi con dell’acqua, gli undici si misero a discutere animatamente su questi insegnamenti, e Pietro si stava preparando a fare un lungo discorso quando Gesù ritornò e fece loro segno di sedersi.
(1948.2) 180:4.1 Gesù continuò ad insegnare dicendo: “Quando sarò andato dal Padre, e dopo che egli avrà pienamente accettato l’opera che ho compiuto per voi sulla terra, e dopo che avrò ricevuto la sovranità finale sul mio stesso dominio, dirò a mio Padre: Avendo lasciato i miei figli da soli sulla terra, è conforme alla mia promessa inviare loro un nuovo maestro. E quando il Padre approverà, spargerò lo Spirito della Verità su tutta la carne. Lo Spirito di mio Padre è già nel vostro cuore, e quando verrà questo giorno avrete anche me con voi così come avete ora il Padre. Questo nuovo dono è lo spirito della verità vivente. I non credenti inizialmente non ascolteranno gli insegnamenti di questo spirito, ma i figli della luce lo accoglieranno tutti con gioia e con tutto il cuore. E voi conoscerete questo spirito quando verrà, così come avete conosciuto me, e riceverete questo dono nel vostro cuore, ed esso dimorerà in voi. Percepite dunque che io non sto per lasciarvi senza aiuto e senza guida. Non vi lascerò nella desolazione. Oggi posso essere con voi soltanto in persona. Nei tempi futuri sarò con voi e con tutti gli altri uomini che desiderano la mia presenza, ovunque siate e con ciascuno di voi simultaneamente. Non discernete che è meglio che io me ne vada; che vi lasci fisicamente in modo da poter essere meglio e più completamente con voi in spirito?
(1948.3) 180:4.2 “Tra poche ore il mondo non mi vedrà più, ma voi continuerete a conoscermi nel vostro cuore fino a quando vi manderò questo nuovo maestro, lo Spirito della Verità. Come ho vissuto con voi in persona, allora vivrò in voi; sarò uno con la vostra esperienza personale nel regno dello spirito. E quando avverrà questo, saprete sicuramente che io sono nel Padre, e che, mentre la vostra vita è celata con il Padre in me, anch’io sono in voi. Io ho amato il Padre ed ho osservato la sua parola; voi avete amato me ed osserverete la mia parola. Come mio Padre mi ha donato il suo spirito, così io vi darò il mio spirito. E questo Spirito della Verità che spargerò su di voi vi guiderà, vi consolerà e alla fine vi condurrà in tutta la verità.
(1948.4) 180:4.3 “Vi dico queste cose mentre sono ancora con voi, affinché siate meglio preparati a sopportare le prove che sono oramai imminenti. E quando sorgerà questo nuovo giorno voi sarete abitati dal Figlio così come dal Padre. E questi doni del cielo agiranno sempre l’uno con l’altro, così come il Padre ed io abbiamo operato sulla terra e davanti ai vostri stessi occhi come una sola persona, il Figlio dell’Uomo. E questo spirito amico vi porterà a ricordare tutto ciò che vi ho insegnato.”
(1948.5) 180:4.4 Mentre il Maestro faceva una breve pausa, Giuda Alfeo si azzardò a porre una delle rare domande che lui o suo fratello avessero mai rivolte a Gesù in pubblico. Giuda disse: “Maestro, tu hai sempre vissuto tra di noi come un amico; come ti conosceremo quando non ti manifesterai più a noi se non tramite questo spirito? Se il mondo non ti vede, come saremo certi di te? Come ti mostrerai a noi?”
(1949.1) 180:4.5 Gesù guardò tutti loro, sorrise, e disse: “Miei piccoli figli, io me ne sto andando, ritorno da mio Padre. Tra poco non mi vedrete come adesso qui, in carne ed ossa. Molto presto vi manderò il mio spirito, esattamente simile a me, salvo che per questo corpo materiale. Questo nuovo istruttore è lo Spirito della Verità che vivrà con ciascuno di voi, nel vostro cuore, e così tutti i figli della luce saranno fatti uno e saranno attratti l’uno verso l’altro. Ed in questo stesso modo mio Padre ed io potremo vivere nell’anima di ciascuno di voi ed anche nel cuore di tutti gli altri uomini che ci amano e che rendono reale quell’amore nelle loro esperienze amandosi l’un l’altro, così come io ora amo voi.”
(1949.2) 180:4.6 Giuda Alfeo non comprese pienamente ciò che disse il Maestro, ma afferrò la promessa del nuovo maestro, e dall’espressione del viso di Andrea egli percepì che la sua domanda aveva ricevuto una risposta soddisfacente.
(1949.3) 180:5.1 Il nuovo aiutante che Gesù promise di mandare nel cuore dei credenti, di spargere su tutta la carne, è lo Spirito della Verità. Questo dono divino non è la lettera o la legge della verità, né è destinato a funzionare come forma o come espressione della verità. Il nuovo maestro è la convinzione della verità, la coscienza e l’assicurazione dei veri significati su livelli spirituali reali. E questo nuovo maestro è lo spirito della verità vivente e crescente, della verità che si espande, si rivela e si adatta.
(1949.4) 180:5.2 La verità divina è una realtà vivente percepita dallo spirito. La verità esiste solo sui livelli spirituali elevati di realizzazione della divinità e di coscienza della comunione con Dio. Voi potete conoscere la verità e potete vivere la verità; potete sperimentare la crescita della verità nell’anima e godere la libertà della sua illuminazione nella mente, ma non potete imprigionare la verità in formule, codici, credo, o modelli intellettuali di condotta umana. Quando intraprendete la formulazione umana della verità divina, essa muore rapidamente. Il salvataggio postumo della verità imprigionata, anche nel migliore dei casi, può risolversi solo nella realizzazione di una forma particolare di saggezza glorificata intellettualizzata. La verità statica è una verità morta, e solo la verità morta può essere considerata una teoria. La verità vivente è dinamica e può godere solo di un’esistenza esperienziale nella mente umana.
(1949.5) 180:5.3 L’intelligenza si sviluppa da un’esistenza materiale che è illuminata dalla presenza della mente cosmica. La saggezza comporta la coscienza della conoscenza elevata a nuovi livelli di significato e attivata dalla presenza della dotazione universale dell’aiuto della saggezza. La verità è un valore di realtà spirituale di cui fanno l’esperienza solo gli esseri dotati di spirito che funzionano sui livelli supermateriali di coscienza universale, e che, dopo la realizzazione della verità, permettono al suo spirito attivatore di vivere e di regnare nella loro anima.
(1949.6) 180:5.4 Il vero figlio dotato di percezione universale cerca lo Spirito della Verità vivente in ogni saggia affermazione. L’individuo che conosce Dio eleva costantemente la saggezza ai livelli della verità vivente di compimento divino; l’anima spiritualmente non progressiva trascina costantemente la verità vivente ai livelli sterili della saggezza e nel dominio di una semplice conoscenza esaltata.
(1949.7) 180:5.5 La regola d’oro, quando è priva della percezione superumana dello Spirito della Verità, diviene niente di più che una regola di condotta altamente etica. La regola d’oro, quando è interpretata alla lettera, può diventare uno strumento di grande offesa verso i propri simili. Senza un discernimento spirituale della regola d’oro della saggezza, voi potete ragionare che, poiché desiderate che tutti gli uomini vi dicano la piena e franca verità della loro mente, voi dovreste perciò dire pienamente e francamente tutto ciò che pensate ai vostri simili. Una tale interpretazione non spirituale della regola d’oro può portare ad infelicità indicibili e a dispiaceri senza fine.
(1950.1) 180:5.6 Certe persone intendono ed interpretano la regola d’oro come un’affermazione puramente intellettuale della fratellanza umana. Altri sperimentano questa espressione di rapporto umano come una gratificazione emotiva dei delicati sentimenti della personalità umana. Altri mortali prendono questa stessa regola d’oro come metro per misurare tutte le relazioni sociali, come criterio di condotta sociale. Altri ancora la considerano come l’ingiunzione positiva di un grande insegnante morale che ha incorporato in questa enunciazione il più alto concetto dell’obbligo morale riguardo a tutte le relazioni fraterne. Nella vita di tali esseri morali la regola d’oro diviene il centro e la circonferenza della saggezza di tutta la loro filosofia.
(1950.2) 180:5.7 Nel regno della fraternità credente di coloro che amano la verità e che conoscono Dio, questa regola d’oro acquisisce qualità viventi di realizzazione spirituale su quei livelli superiori d’interpretazione che portano i figli mortali di Dio a considerare questa ingiunzione del Maestro come la richiesta che essi si relazionino con i propri simili in modo che questi stessi traggano il maggior beneficio possibile dal loro contatto con i credenti. Questa è l’essenza della vera religione: che amiate il vostro prossimo come voi stessi.
(1950.3) 180:5.8 Ma la realizzazione più elevata e l’interpretazione più vera della regola d’oro consiste nella coscienza dello spirito della verità della realtà permanente e vivente di una tale dichiarazione divina. Il vero significato cosmico di questa regola della relazione universale è rivelato soltanto nella sua realizzazione spirituale, nell’interpretazione della legge di condotta da parte dello spirito del Figlio verso lo spirito del Padre che dimora nell’anima dell’uomo mortale. Quando questi mortali guidati dallo spirito realizzano il vero significato di questa regola d’oro, traboccano della certezza di essere cittadini di un universo amichevole, ed i loro ideali della realtà spirituale sono soddisfatti soltanto quando amano i loro simili come Gesù ha amato tutti noi; e ciò è la realtà della realizzazione dell’amore di Dio.
(1950.4) 180:5.9 Questa stessa filosofia della flessibilità vivente e dell’adattabilità cosmica della verità divina alle esigenze individuali e alla capacità di ciascun figlio di Dio deve essere percepita prima che voi possiate sperare di comprendere adeguatamente l’insegnamento e la pratica del Maestro circa la non resistenza al male. L’insegnamento del Maestro è fondamentalmente un proclama spirituale. Anche le implicazioni materiali della sua filosofia non possono essere utilmente considerate al di fuori delle loro correlazioni spirituali. Lo spirito dell’ingiunzione del Maestro consiste nella non resistenza di tutte le reazioni egoistiche all’universo, unita al raggiungimento attivo e progressivo di livelli di rettitudine di veri valori spirituali: bellezza divina, bontà infinita e verità eterna — conoscere Dio e divenire sempre più simili a lui.
(1950.5) 180:5.10 L’amore, l’altruismo, deve subire una costante e vivente interpretazione riadattativa delle relazioni in conformità alle direttive dello Spirito della Verità. L’amore deve afferrare così i concetti in continuo mutamento ed ampliamento del bene cosmico più elevato dell’individuo che è amato. E poi l’amore prosegue assumendo questo stesso atteggiamento verso tutti gli altri individui suscettibili di essere influenzati dalla relazione crescente e vivente dell’amore di un mortale guidato dallo spirito per gli altri cittadini dell’universo. E tutto questo adattamento vivente dell’amore deve essere effettuato tenendo conto sia delle circostanze del male presente che del fine eterno della perfezione del destino divino.
(1950.6) 180:5.11 E così dobbiamo riconoscere chiaramente che né la regola d’oro né l’insegnamento della non resistenza possono essere correttamente compresi come dogmi o precetti. Essi possono essere compresi solo vivendoli, realizzando i loro significati nell’interpretazione vivente dello Spirito della Verità, che ordina il contatto affettuoso di un essere umano con un altro.
(1951.1) 180:5.12 E tutto ciò indica chiaramente la differenza tra la vecchia religione e la nuova. La vecchia religione insegnava il sacrificio di se stessi; la nuova religione insegna solo l’altruismo, eleva l’autorealizzazione nel servizio sociale congiunto e nella comprensione dell’universo. La vecchia religione era motivata dalla coscienza della paura; il nuovo vangelo del regno è dominato dalla convinzione della verità, lo spirito della verità eterna ed universale. E nessun ammontare di pietà o di fedeltà ad un credo può compensare l’assenza, nell’esperienza di vita dei credenti al regno, di quella spontanea, generosa e sincera benevolenza che caratterizza i figli del Dio vivente nati dallo spirito. Né la tradizione né un sistema cerimoniale di culto ufficiale possono compensare la mancanza di una compassione sincera per i propri simili.
(1951.2) 180:6.1 Dopo che Pietro, Giacomo, Giovanni e Matteo ebbero posto al Maestro numerose domande, egli continuò il suo discorso di addio dicendo: “Vi sto raccontando tutto questo prima di lasciarvi affinché possiate essere preparati a ciò che sta per accadervi, così che non cadiate in gravi errori. Le autorità non si accontenteranno di espellervi dalle sinagoghe; vi avverto che si avvicina l’ora in cui coloro che vi uccideranno penseranno di stare facendo un servizio a Dio. E faranno tutte queste cose a voi e a coloro che porterete nel regno dei cieli perché non conoscono il Padre. Essi hanno rifiutato di conoscere il Padre rifiutando di ricevere me; e rifiutano di ricevere me quando respingono voi, purché voi abbiate osservato il mio nuovo comandamento di amarvi l’un l’altro così come io ho amato voi. Vi sto dicendo in anticipo queste cose affinché, quando verrà la vostra ora, come adesso è venuta la mia, possiate essere fortificati nella conoscenza che io sapevo tutto e che il mio spirito sarà con voi in tutte le vostre sofferenze per causa mia e del vangelo. È per questo motivo che vi ho parlato così chiaramente fin dall’inizio. Vi ho anche avvertiti che nemici di un uomo possono essere i membri della propria famiglia. Sebbene questo vangelo del regno non manchi mai di portare una grande pace nell’anima del singolo credente, esso non porterà la pace sulla terra fino a che l’uomo non sarà disposto a credere di tutto cuore al mio insegnamento e ad istituire la pratica di fare la volontà del Padre come fine principale di vivere la vita di mortale.
(1951.3) 180:6.2 “Ora che sto per lasciarvi, poiché è giunta l’ora che io ritorni dal Padre, sono sorpreso che nessuno di voi mi abbia chiesto: perché ci lasci? Tuttavia, so che vi ponete queste domande nel vostro cuore. Vi parlerò chiaramente, da amico ad amico. È veramente utile per voi che io me ne vada. Se non me ne andassi, il nuovo maestro non potrebbe venire nel vostro cuore. Bisogna che io sia spogliato di questo corpo mortale e sia ristabilito al mio posto nell’alto prima che possa mandare questo insegnante spirituale a vivere nella vostra anima e a condurre il vostro spirito nella verità. E quando il mio spirito verrà a dimorare in voi, illuminerà la differenza tra il peccato e la rettitudine e vi renderà capaci di giudicare saggiamente nel vostro cuore al loro riguardo.
(1951.4) 180:6.3 “Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete sopportarne di più. Tuttavia, quando lo Spirito della Verità verrà, vi guiderà alla fine in tutta la verità via via che passerete per le numerose dimore nell’universo di mio Padre.
(1951.5) 180:6.4 “Questo spirito non parlerà da se stesso, ma vi proclamerà ciò che il Padre ha rivelato al Figlio, e vi mostrerà anche le cose future; egli glorificherà me così come io ho glorificato mio Padre. Questo spirito è uscito da me e vi rivelerà la mia verità. Tutto ciò che il Padre possiede in questo dominio è ora mio; per ciò vi ho detto che questo nuovo istruttore avrebbe preso da ciò che è mio e l’avrebbe rivelato a voi.
(1952.1) 180:6.5 “Molto presto io vi lascerò per breve tempo. Successivamente, quando mi rivedrete, sarò già in cammino verso il Padre, cosicché anche allora non mi vedrete a lungo.”
(1952.2) 180:6.6 Mentre egli faceva una breve pausa, gli apostoli cominciarono a dire tra di loro: “Che cos’è che ci racconta? ‘Tra poco vi lascerò’, e ‘quando mi rivedrete non sarà per lungo tempo, perché sarò in cammino verso il Padre.’ Che cosa vuol dire con questo ‘tra poco’ e ‘non per molto tempo’? Noi non riusciamo a comprendere ciò che ci sta dicendo.”
(1952.3) 180:6.7 E poiché Gesù sapeva che essi si ponevano queste domande, disse: “Voi vi chiedete che cosa ho inteso quando ho detto che tra poco non sarei più stato con voi, e che, quando mi avreste rivisto io sarei stato in cammino verso il Padre? Vi ho detto chiaramente che il Figlio dell’Uomo deve morire, ma che risusciterà. Non riuscite allora a discernere il significato delle mie parole? Sarete prima rattristati, ma in seguito vi rallegrerete con molti che comprenderanno queste cose dopo che saranno avvenute. In verità una donna è ansiosa nell’ora del suo travaglio, ma una volta che ha dato alla luce suo figlio essa dimentica immediatamente la sua angustia nella gioia di sapere che un essere umano è nato nel mondo. E così è per voi che siete dispiaciuti per la mia partenza, ma io vi rivedrò presto, ed allora il vostro dolore si trasformerà in gioia e vi sarà data una nuova rivelazione della salvezza di Dio che nessun uomo potrà mai togliervi. E tutti i mondi saranno benedetti in questa stessa rivelazione della vita che trionfa sulla morte. Fino ad ora voi avete formulato tutte le vostre richieste nel nome di mio Padre. Dopo che mi avrete rivisto, voi potrete chiedere anche in nome mio, ed io vi ascolterò.
(1952.4) 180:6.8 “Quaggiù io vi ho insegnato con proverbi e vi ho parlato in parabole. Ho fatto questo perché spiritualmente voi eravate solo dei bambini; ma sta per giungere il momento in cui vi parlerò apertamente del Padre e del suo regno. E farò questo perché il Padre stesso vi ama e desidera esservi rivelato più pienamente. L’uomo mortale non può vedere il Padre spirito; per questo io sono venuto nel mondo a mostrare il Padre ai vostri occhi di creature. Ma quando sarete divenuti perfetti nella crescita spirituale, allora vedrete il Padre stesso.”
(1952.5) 180:6.9 Dopo che gli undici l’ebbero ascoltato parlare, si dissero l’un l’altro: “Ecco, egli ci parla chiaramente. Certamente il Maestro è venuto da Dio. Ma perché dice che deve tornare dal Padre?” E Gesù vide che essi ancora una volta non l’avevano compreso. Questi undici uomini non riuscivano a separarsi dalle loro idee a lungo nutrite del concetto ebraico del Messia. Più essi credevano pienamente in Gesù come il Messia, più divenivano inopportune queste nozioni profondamente radicate sul glorioso trionfo materiale del regno sulla terra.
(1953.1) 181:0.1 DOPO la conclusione del discorso di addio agli undici, Gesù si trattenne informalmente con loro e ricordò molte esperienze che li riguardavano come gruppo e come individui. Alla fine cominciò a farsi evidente a questi Galilei che il loro amico e maestro stava per lasciarli, e la loro speranza si aggrappava alla promessa che, poco tempo dopo, egli sarebbe stato di nuovo con loro, ma essi erano inclini a dimenticare che questa visita di ritorno sarebbe stata anch’essa di breve durata. Molti degli apostoli e dei principali discepoli credevano realmente che questa promessa di tornare per breve tempo (il breve intervallo tra la risurrezione e l’ascensione) indicasse che Gesù se ne stava andando solo per una breve visita a suo Padre, dopo di che sarebbe tornato per instaurare il regno. Una tale interpretazione del suo insegnamento era conforme sia alle loro credenze preconcette che alle loro ardenti speranze. Poiché le loro antiche credenze e speranze di vedere realizzati i loro voti erano in tal modo corrisposte, non fu difficile per loro trovare un’interpretazione delle parole del Maestro che giustificasse i loro intensi desideri.
(1953.2) 181:0.2 Dopo che il discorso di addio fu analizzato e cominciò ad essere assimilato dalla loro mente, Gesù riunì di nuovo gli apostoli per comunicare le sue ultime esortazioni ed avvertimenti.
(1953.3) 181:1.1 Quando gli undici ebbero ripreso il loro posto, Gesù si alzò e disse loro: “Fintanto che io sono con voi nella carne, posso essere solo un individuo tra voi o nel mondo intero. Ma quando sarò stato liberato da questo rivestimento di natura mortale, sarò in grado di ritornare come dimoratore spirituale di ciascuno di voi e di tutti gli altri credenti in questo vangelo del regno. In tal modo il Figlio dell’Uomo diverrà un’incarnazione spirituale nell’anima di tutti i veri credenti.
(1953.4) 181:1.2 “Quando sarò ritornato a vivere in voi e ad operare attraverso voi, potrò condurvi nel miglior modo possibile in questa vita e guidarvi attraverso le numerose dimore della vita futura nel cielo dei cieli. La vita nella creazione eterna del Padre non è un riposo senza fine nell’inattività e nelle proprie comodità, ma piuttosto una progressione incessante in grazia, in verità ed in gloria. Ognuna delle numerosissime stazioni nella casa di mio Padre è un luogo di sosta, una vita destinata a prepararvi per quella successiva. E così i figli della luce proseguiranno di gloria in gloria fino a raggiungere lo stato divino in cui saranno spiritualmente resi perfetti, così come il Padre è perfetto in tutte le cose.
(1953.5) 181:1.3 “Se voleste seguirmi quando vi lascerò, fate i vostri sforzi più ferventi per vivere conformemente allo spirito dei miei insegnamenti e all’ideale della mia vita — il compimento della volontà di mio Padre. Fate questo invece di tentare d’imitare la mia vita naturale nella carne quale mi è stata chiesta, per necessità, di vivere in questo mondo.
(1954.1) 181:1.4 “Il Padre mi ha mandato in questo mondo, ma solo pochi di voi hanno scelto di accogliermi pienamente. Io spargerò il mio spirito su tutta la carne, ma non tutti gli uomini sceglieranno di ricevere questo nuovo istruttore come guida e consigliere della loro anima. Ma tutti quelli che lo riceveranno saranno illuminati, purificati e confortati. E questo Spirito della Verità diverrà in loro una sorgente d’acqua viva che zampillerà fino alla vita eterna.
(1954.2) 181:1.5 “Ed ora, mentre sto per lasciarvi, vorrei pronunciare delle parole di conforto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Vi faccio questi doni non alla maniera del mondo — con parsimonia — io do a ciascuno di voi tutto ciò che vuole ricevere. Che il vostro cuore non sia turbato, né timoroso. Io ho vinto il mondo, ed in me voi trionferete tutti per mezzo della fede. Vi ho avvertiti che il Figlio dell’Uomo sarà ucciso, ma vi assicuro che ritornerò prima di andare dal Padre, anche se sarà solo per poco. E dopo che sarò asceso al Padre, vi manderò certamente il nuovo maestro perché stia con voi e dimori nel vostro stesso cuore. E quando vedrete accadere tutto ciò, non spaventatevi, ma piuttosto credete, poiché avete conosciuto tutto ciò in anticipo. Io vi ho amato con grande affetto e non vorrei lasciarvi, ma questa è la volontà di mio Padre. La mia ora è venuta.
(1954.3) 181:1.6 “Non dubitate di alcuna di queste verità, anche dopo che sarete dispersi dalle persecuzioni ed abbattuti per i molti dispiaceri. Quando vi sentirete soli nel mondo, io saprò del vostro isolamento così come, quando sarete dispersi ciascuno per conto proprio, lasciando il Figlio dell’Uomo nelle mani dei suoi nemici, voi saprete del mio. Ma io non sono mai solo; il Padre è sempre con me. Anche in un tale momento io pregherò per voi. Io vi ho detto tutte queste cose perché possiate avere la pace ed averla più abbondantemente. In questo mondo voi avrete delle tribolazioni, ma abbiate coraggio; io ho trionfato nel mondo e vi ho mostrato la via per la gioia eterna ed il servizio perpetuo.”
(1954.4) 181:1.7 Gesù dona la pace a chi compie con lui la volontà di Dio, ma non per le gioie e le soddisfazioni di questo mondo materiale. I materialisti e fatalisti non credenti possono sperare di godere soltanto due tipi di pace e di conforto dell’anima: devono essere o stoici, con una ferma risoluzione ad affrontare l’inevitabile e a sopportare il peggio; oppure devono essere ottimisti, indulgendo sempre a quella speranza che sgorga eternamente nel seno degli uomini, desiderando vanamente una pace che in realtà non viene mai.
(1954.5) 181:1.8 Una certa quantità di stoicismo e di ottimismo sono utili per vivere una vita sulla terra, ma nessuno dei due ha niente a che fare con quella pace stupenda che il Figlio di Dio diffonde sui suoi fratelli incarnati. La pace che Micael dona ai suoi figli terreni è quella pace stessa che ha riempito la sua anima quando egli ha vissuto la vita mortale nella carne in questo stesso mondo. La pace di Gesù è la gioia e la soddisfazione di una persona che conosce Dio e che è giunta al trionfo d’imparare pienamente come fare la volontà di Dio mentre vive la vita mortale nella carne. La pace mentale di Gesù era fondata su una fede umana assoluta nella realtà della saggia ed affettuosa attenzione del Padre divino. Gesù ebbe delle difficoltà sulla terra, fu anche chiamato a torto “l’uomo dei dolori”, ma in tutte queste esperienze, ed attraverso esse, egli godette del conforto di quella fiducia che gli permise sempre di proseguire nel proposito della sua vita con la piena certezza che stava compiendo la volontà del Padre.
(1954.6) 181:1.9 Gesù era determinato, perseverante ed interamente consacrato al compimento della sua missione, ma non era uno stoico insensibile e indurito; egli cercava sempre gli aspetti incoraggianti delle sue esperienze di vita, ma non era un ottimista cieco ed autoilluso. Il Maestro conosceva tutto ciò che lo aspettava, e non lo temeva. Dopo aver diffuso questa pace su ciascuno dei suoi discepoli, egli poteva coerentemente dire: “Che il vostro cuore non sia turbato, né abbia timore.”
(1955.1) 181:1.10 La pace di Gesù è allora la pace e la certezza di un figlio che crede fermamente che la sua carriera nel tempo e nell’eternità sia pienamente e sicuramente nella cura e nella custodia di un Padre spirituale infinitamente saggio, infinitamente amorevole ed onnipotente. E questa è, in verità, una pace che trascende la comprensione di una mente mortale, ma che può essere goduta pienamente dal cuore umano che crede.
(1955.2) 181:2.1 Il Maestro aveva terminato di dare le sue istruzioni di commiato e d’impartire le sue esortazioni finali agli apostoli come gruppo. Egli si accinse ora a salutarli individualmente e a dare a ciascuno dei consigli personali, assieme alla sua benedizione di congedo. Gli apostoli erano ancora seduti a tavola nell’ordine in cui si erano posti all’inizio per partecipare all’Ultima Cena, e via via che il Maestro girò attorno alla tavola per parlare loro, ciascuno si alzò in piedi quando Gesù si rivolse a lui.
(1955.3) 181:2.2 A Giovanni, Gesù disse: “Tu, Giovanni, sei il più giovane dei miei fratelli. Tu sei stato molto vicino a me, e pur amandovi tutti con lo stesso amore che un padre conferisce ai suoi figli, tu fosti designato da Andrea come uno dei tre che dovevano rimanere sempre vicino a me. Inoltre, tu hai agito in vece mia, e devi continuare a farlo, in molte questioni concernenti la mia famiglia terrena. Ed io vado dal Padre, Giovanni, con la piena fiducia che tu continuerai ad aver cura di coloro che sono miei nella carne. Bada a che la loro attuale confusione riguardo alla mia missione non t’impedisca in alcun modo di accordare loro ogni comprensione, consiglio ed aiuto, come sai che avrei fatto io se fossi rimasto nella carne. E quando giungeranno tutti a vedere la luce e ad entrare pienamente nel regno, mentre voi tutti li accoglierete con gioia, conto su di te, Giovanni, per dar loro il benvenuto da parte mia.
(1955.4) 181:2.3 “Ed ora, mentre entro nelle ore finali della mia carriera terrena, restami vicino affinché io possa lasciarti qualche messaggio riguardante la mia famiglia. Quanto all’opera affidatami dal Padre, è ora compiuta salvo la mia morte nella carne, ed io sono pronto a bere quest’ultima coppa. Ma per quanto concerne le responsabilità lasciatemi da mio padre terreno, Giuseppe, mentre le ho assunte durante la mia vita, devo ora contare su di te perché tu agisca in vece mia in tutte queste materie. Ed ho scelto te per fare ciò per me, Giovanni, perché tu sei il più giovane e perciò vivrai molto probabilmente più a lungo di questi altri apostoli.
(1955.5) 181:2.4 “Un tempo chiamavamo te e tuo fratello figli del tuono. Tu hai cominciato con noi autoritario ed intollerante, ma sei molto cambiato dal giorno in cui volevi che facessi scendere il fuoco sulla testa di non credenti sciocchi ed ignoranti. E devi cambiare ancora di più. Tu dovresti diventare l’apostolo del nuovo comandamento che vi ho dato questa sera. Consacra la tua vita ad insegnare ai tuoi fratelli come amarsi l’un l’altro, così come io ho amato voi.”
(1955.6) 181:2.5 Mentre Giovanni Zebedeo stava là in piedi nella sala al piano superiore, con le lacrime che scendevano sulle sue guance, guardò in viso il Maestro e disse: “E così farò, mio Maestro, ma come posso imparare ad amare di più i miei fratelli?” Ed allora Gesù rispose: “Imparerai ad amare di più i tuoi fratelli quando imparerai prima ad amare di più il loro Padre che è nei cieli, e dopo essere divenuto veramente più interessato al loro benessere nel tempo e nell’eternità. E tutto questo interesse umano è nutrito da una comprensione affettuosa, un servizio disinteressato ed un perdono illimitato. Nessuno dovrebbe disprezzare la tua giovinezza, ma ti esorto sempre a tenere in debita considerazione il fatto che l’età rappresenta spesso l’esperienza, e che negli affari umani nulla può prendere il posto di un’effettiva esperienza. Sforzati di vivere in pace con tutti gli uomini, specialmente con i tuoi amici nella fraternità del regno celeste. E, Giovanni, ricordati sempre di non lottare con le anime che vorresti conquistare al regno.”
(1956.1) 181:2.6 “E poi il Maestro, girando attorno al proprio posto, si fermò un istante vicino a quello di Giuda Iscariota. Gli apostoli erano piuttosto sorpresi che Giuda non fosse ancora tornato, ed erano molto curiosi di conoscere il significato della triste espressione di Gesù mentre stava vicino al posto vuoto del traditore. Ma nessuno di loro, salvo forse Andrea, sospettava minimamente che il loro tesoriere fosse andato a tradire il suo Maestro, come Gesù aveva annunciato loro all’inizio della serata e durante la cena. Erano successe così tante cose che, per il momento, essi avevano completamente dimenticato l’annuncio del Maestro che uno di loro l’avrebbe tradito.
(1956.2) 181:2.7 Gesù si avvicinò poi a Simone Zelota, che si alzò ed ascoltò questa esortazione: “Tu sei un vero figlio di Abramo, ma quanto ci è voluto per fare di te un figlio di questo regno celeste. Io ti amo e così ti amano tutti i tuoi fratelli. Io so che mi ami, Simone, e che ami anche il regno, ma tu sei ancora fermo all’idea di rendere questo regno conforme al tuo gradimento. So benissimo che alla fine afferrerai la natura ed il significato spirituali del mio vangelo, e che lavorerai valorosamente alla sua proclamazione, ma sono preoccupato per ciò che potrà succederti dopo la mia partenza. Mi piacerebbe sapere che non vacillerai; sarei felice se potessi sapere che, dopo che sarò andato dal Padre, non cesserai di essere mio apostolo, e che ti comporterai in modo accettabile come ambasciatore del regno celeste.”
(1956.3) 181:2.8 Gesù aveva appena finito di parlare a Simone Zelota che il fiero patriota, asciugandosi gli occhi, rispose: “Maestro, non temere per la mia fedeltà. Ho girato le spalle a tutto per poter consacrare la mia vita all’instaurazione del tuo regno sulla terra, e non vacillerò. Fino ad ora sono sopravvissuto a tutte le delusioni, e non ti abbandonerò.”
(1956.4) 181:2.9 Ed allora, posando la sua mano sulla spalla di Simone, Gesù disse: “In verità è confortante sentirti parlare così, specialmente in un momento come questo, ma, mio buon amico, tu non sai ancora di che cosa stai parlando. Io non dubito per un solo istante della tua fedeltà, della tua devozione; so che non esiteresti a lanciarti nella battaglia e a morire per me, come farebbero tutti gli altri” (ed essi fecero tutti un vigoroso cenno di approvazione), “ma ciò non ti sarà richiesto. Ti ho detto ripetutamente che il mio regno non è di questo mondo e che i miei discepoli non combatteranno per la sua instaurazione. Ti ho detto questo molte volte, Simone, ma tu rifiuti di guardare in faccia la verità. Io non sono preoccupato per la tua fedeltà a me ed al regno, ma che cosa farai quando io sarò partito e tu infine ti sveglierai alla realizzazione che non avevi colto il significato del mio insegnamento, e che devi aggiustare le tue errate interpretazioni alla realtà di un altro ordine spirituale degli affari del regno?”
(1956.5) 181:2.10 Simone voleva parlare ancora, ma Gesù alzò la mano per fermarlo e proseguì a dire: “Nessuno dei miei apostoli è più sincero ed onesto di cuore di te, ma nessuno di loro sarà così sconvolto ed abbattuto come te dopo la mia partenza. In tutto il tuo scoraggiamento il mio spirito dimorerà in te, e questi tuoi fratelli non ti abbandoneranno. Non dimenticare ciò che ti ho insegnato sui rapporti tra la cittadinanza sulla terra e la filiazione nel regno spirituale del Padre. Rifletti bene su tutto ciò che ti ho detto circa il rendere a Cesare le cose che sono di Cesare e a Dio le cose che sono di Dio. Consacra la tua vita, Simone, a mostrare come un uomo mortale può adempiere accettabilmente la mia ingiunzione concernente il riconoscimento simultaneo del dovere temporale verso i poteri civili e del servizio spirituale nella fraternità del regno. Se tu accetterai di essere istruito dallo Spirito della Verità, non ci sarà mai conflitto tra le esigenze della cittadinanza sulla terra e la filiazione nel cielo, a meno che i capi temporali non pretendano di esigere da te l’omaggio e l’adorazione che spettano solo a Dio.
(1957.1) 181:2.11 E poi, Simone, quando alla fine vedrai tutto ciò, e dopo che ti sarai liberato della tua depressione e sarai partito per proclamare questo vangelo con grande potenza, non dimenticare mai che io ero con te in tutti i tuoi periodi di scoraggiamento, e che sarò con te sino alla fine. Tu sarai sempre mio apostolo, e dopo che avrai accettato di vedere con l’occhio dello spirito e di sottomettere più pienamente la tua volontà alla volontà del Padre che è nei cieli, allora tornerai a lavorare come mio ambasciatore, e nessuno ti toglierà l’autorità che ti ho conferito a causa della tua lentezza a comprendere le verità che ti ho insegnato. E così, Simone, ti avverto ancora una volta che coloro che combattono con la spada periscono di spada, mentre coloro che lavorano nello spirito ottengono la vita eterna nel regno futuro con la gioia e la pace nel regno presente. E quando il lavoro che ti è affidato sarà terminato sulla terra, tu, Simone, sederai con me nel mio regno dell’aldilà. Tu vedrai realmente il regno che hai ardentemente desiderato, ma non in questa vita. Continua a credere in me ed in ciò che ti ho rivelato, e riceverai il dono della vita eterna.”
(1957.2) 181:2.12 Quando Gesù ebbe finito di parlare a Simone Zelota, andò da Matteo Levi e disse: “Tu non avrai più il compito di provvedere alla tesoreria del gruppo apostolico. Presto, molto presto, voi sarete tutti dispersi; non vi sarà permesso di godere dell’associazione confortante e sostenitrice di nessuno dei vostri fratelli. Mentre proseguite la predicazione di questo vangelo del regno, dovrete trovarvi dei nuovi associati. Io vi ho fatto uscire a due a due durante i periodi della vostra formazione, ma ora che vi sto lasciando, dopo che vi sarete ripresi dallo shock, uscirete da soli e sino ai confini della terra proclamando questa buona novella: che i mortali vivificati dalla fede sono i figli di Dio.”
(1957.3) 181:2.13 Allora Matteo disse: “Ma, Maestro, chi ci manderà e come sapremo dove andare? Andrea ci mostrerà la via?” E Gesù rispose: “No, Levi, Andrea non vi guiderà più nella proclamazione del vangelo. Egli continuerà, in verità, ad essere vostro amico e consigliere fino al giorno in cui verrà il nuovo maestro, ed allora lo Spirito della Verità guiderà ciascuno di voi lontano a lavorare per l’espansione del regno. Molti cambiamenti sono avvenuti in te dal giorno in cui eri nell’ufficio della dogana e cominciasti per la prima volta a seguirmi; ma devi subirne molti altri prima che tu possa avere la visione di una fraternità in cui il Gentile siede accanto all’Ebreo in associazione fraterna. Ma continua con il tuo bisogno di conquistare i tuoi fratelli ebrei fino a che non sarai pienamente soddisfatto, e poi rivolgiti con potenza verso i Gentili. Di una cosa puoi essere certo, Levi: tu hai conquistato la fiducia e l’affetto dei tuoi fratelli; essi ti amano tutti. (E tutti e dieci manifestarono il loro assenso alle parole del Maestro.)
(1958.1) 181:2.14 “Levi, io so molto delle tue preoccupazioni, dei tuoi sacrifici e dei tuoi sforzi per rifornire la tesoreria che i tuoi fratelli non sanno, e sono contento che, sebbene colui che portava la borsa sia assente, l’ambasciatore pubblicano sia qui alla mia riunione di addio con i messaggeri del regno. Io prego affinché tu possa discernere il significato del mio insegnamento con gli occhi dello spirito. E quando il nuovo maestro verrà nel tuo cuore, seguilo dove ti condurrà e fa vedere ai tuoi fratelli — e al mondo intero — ciò che il Padre può fare per un esattore d’imposte odiato che ha osato seguire il Figlio dell’Uomo e credere nel vangelo del regno. Fin dall’inizio, Levi, io ti ho amato come ho amato questi altri Galilei. Sapendo allora così bene che né il Padre né il Figlio fanno eccezione di persone, bada di non fare tali distinzioni tra coloro che diverranno credenti al vangelo grazie al tuo ministero. E così, Matteo, consacra tutta la tua vita futura di servizio a mostrare a tutti gli uomini che Dio non fa eccezione di persone; che agli occhi di Dio e nella comunità del regno tutti gli uomini sono uguali, tutti i credenti sono figli di Dio.”
(1958.2) 181:2.15 Poi Gesù andò da Giacomo Zebedeo, che stette in piedi in silenzio mentre il Maestro si rivolgeva a lui dicendo: “Giacomo, quando tu e tuo fratello più giovane siete venuti un giorno da me per chiedere di essere preferiti negli onori del regno, ed io vi ho detto che spettava al Padre dispensare tali onori, vi ho chiesto se eravate capaci di bere la mia coppa, ed entrambi avete risposto di sì. Anche se non eravate capaci allora e se non siete capaci ora, sarete presto pronti per un tale servizio grazie all’esperienza per la quale state per passare. Con tale condotta tu hai irritato i tuoi fratelli in quel momento. Se essi non ti hanno già interamente perdonato, lo faranno quando ti vedranno bere la mia coppa. Che il tuo ministero sia lungo o breve, mantieni calma la tua anima. Quando verrà il nuovo maestro, lascia che egli t’insegni l’equilibrio della compassione e quella tolleranza affettuosa che nasce dalla sublime fiducia in me e dalla perfetta sottomissione alla volontà del Padre. Consacra la tua vita alla dimostrazione di quell’affetto umano congiunto alla dignità divina del discepolo che conosce Dio e che crede nel Figlio. E tutti coloro che vivono così riveleranno il vangelo anche nel loro modo di morire. Tu e tuo fratello Giovanni seguirete vie diverse, ed uno di voi potrà sedere con me nel regno eterno molto prima dell’altro. Ti aiuterebbe molto se imparassi che la vera saggezza include il discernimento così come il coraggio. Dovresti imparare ad accompagnare la sagacia alla tua aggressività. Arriveranno quei momenti supremi in cui i miei discepoli non esiteranno a sacrificare la loro vita per questo vangelo, ma in tutte le circostanze ordinarie sarebbe molto meglio placare la collera dei non credenti affinché possiate vivere e continuare a predicare la buona novella. Per quanto è in tuo potere, vivi a lungo sulla terra affinché la tua vita di molti anni possa conquistare molte anime al regno celeste.”
(1958.3) 181:2.16 Quando il Maestro ebbe finito di parlare a Giacomo Zebedeo, girò attorno all’estremità della tavola dov’era seduto Andrea, e guardando il suo fedele aiutante negli occhi disse: “Andrea, tu mi hai rappresentato fedelmente come capo aggiunto degli ambasciatori del regno celeste. Sebbene tu abbia talvolta dubitato ed in altri momenti manifestato una timidezza pericolosa, tuttavia sei sempre stato sinceramente giusto ed eminentemente equo nei rapporti con i tuoi associati. Dopo l’ordinazione di te e dei tuoi fratelli come messaggeri del regno, tu hai agito in modo autonomo in tutti gli affari amministrativi del gruppo, salvo che ti ho designato come capo aggiunto di questi uomini scelti. In nessun’altra materia temporale ho agito per dirigere od influenzare le tue decisioni. Ed ho fatto questo allo scopo di preparare un capo che dirigesse tutte le vostre successive deliberazioni di gruppo. Nel mio universo, e nell’universo degli universi di mio Padre, i nostri fratelli figli sono trattati come individui in tutte le loro relazioni spirituali, ma in tutte le relazioni di gruppo noi stabiliamo invariabilmente un capo definito. Il nostro regno è un regno d’ordine, e dove agiscono in cooperazione due o più creature dotate di volontà, è sempre prevista l’autorità di un capo.
(1959.1) 181:2.17 “Ed ora, Andrea, poiché tu sei il capo dei tuoi fratelli in virtù dell’autorità che ti ho conferito, e poiché hai servito in tale ruolo come mio rappresentante personale, e visto che sto per lasciarvi per andare da mio Padre, ti sciolgo da ogni responsabilità per quanto concerne questi affari temporali ed amministrativi. D’ora in poi non potrai esercitare alcuna giurisdizione sui tuoi fratelli, salvo quella che ti sei meritato con la tua capacità come capo spirituale, e che i tuoi fratelli quindi riconosceranno liberamente. Da questo momento tu non potrai esercitare alcuna autorità sui tuoi fratelli, a meno che essi non ti rimettano tale giurisdizione con un loro atto legislativo formale dopo che io sarò tornato dal Padre. Ma questa liberazione dalla responsabilità di capo amministrativo di questo gruppo non sminuisce in alcun modo la tua responsabilità morale di fare quanto è in tuo potere per tenere uniti i tuoi fratelli con mano ferma ed amorevole durante le ore difficili che stanno per giungere, quei giorni che devono intercorrere tra la mia partenza nella carne e l’invio del nuovo maestro che vivrà nel vostro cuore e che alla fine vi condurrà a tutta la verità. Mentre mi preparo a lasciarvi, vorrei liberarti da ogni responsabilità amministrativa che ha il suo inizio e la sua autorità nella mia presenza come uno tra di voi. D’ora in poi io eserciterò su di voi e tra di voi solo un’autorità spirituale.
(1959.2) 181:2.18 “Se i tuoi fratelli desiderano mantenerti come loro consigliere, ti ordino di fare tutto il possibile, in tutte le questioni temporali e spirituali, per promuovere la pace e l’armonia tra i vari gruppi di credenti sinceri al vangelo. Dedica il resto della tua vita a promuovere gli aspetti pratici dell’amore fraterno tra i tuoi fratelli. Sii benevolo con i miei fratelli di sangue quando giungeranno a credere pienamente a questo vangelo; manifesta una devozione affettuosa ed imparziale verso i Greci ad occidente e verso Abner ad oriente. Anche se questi miei apostoli dovranno presto disperdersi ai quattro angoli della terra per proclamarvi la buona novella di salvezza della filiazione con Dio, spetta a te tenerli uniti durante le ore difficili imminenti, quel periodo d’intensa prova durante il quale dovrete imparare a credere in questo vangelo senza la mia presenza personale, mentre aspettate pazientemente l’arrivo del nuovo maestro, lo Spirito della Verità. E così, Andrea, benché possa non spettare a te compiere le grandi opere dal punto di vista umano, accontentati di essere l’insegnante ed il consigliere di coloro che compiono tali cose. Prosegui il tuo lavoro sulla terra sino alla fine, e poi continuerai questo ministero nel regno eterno, perché non ti ho detto molte volte che ho altre pecore che non sono di questo gregge?”
(1959.3) 181:2.19 Gesù andò poi dai gemelli Alfeo e stando tra di loro disse: “Miei piccoli figli, voi siete una delle tre coppie di fratelli che hanno scelto di seguirmi. Tutti e sei avete fatto bene a lavorare in pace con il vostro fratello di sangue, ma nessuno l’ha fatto meglio di voi. Ci attendono momenti duri. Voi potete non comprendere tutto ciò che accadrà a voi e ai vostri fratelli, ma non dubitate mai di essere stati chiamati un giorno a lavorare per il regno. Per qualche tempo non vi saranno moltitudini da guidare, ma non scoraggiatevi; quando il lavoro della vostra vita sarà terminato, io vi riceverò nell’alto, dove in gloria racconterete della vostra salvezza alle schiere serafiche e alle moltitudini dei Figli elevati di Dio. Consacrate la vostra vita all’esaltazione del duro lavoro ordinario. Mostrate a tutti gli uomini sulla terra e agli angeli del cielo come un uomo mortale può ritornare con gioia e coraggio al suo lavoro di prima, dopo essere stato chiamato a lavorare per un certo tempo nel servizio speciale di Dio. Se per il momento il vostro lavoro negli affari esterni del regno fosse completato, dovreste ritornare alle vostre occupazioni precedenti con la nuova illuminazione dell’esperienza della filiazione con Dio e con la realizzazione elevata che, per colui che conosce Dio, non esiste né lavoro banale né fatica secolare. Per voi che avete lavorato con me, tutte le cose sono divenute sacre, ed ogni lavoro terreno è divenuto un servizio anche per Dio il Padre. E quando sentirete parlare delle opere dei vostri vecchi associati apostolici, gioite con loro e continuate il vostro lavoro quotidiano come coloro che aspettano Dio e servono mentre aspettano. Voi siete stati miei apostoli e lo sarete sempre, ed io mi ricorderò di voi nel regno futuro.”
(1960.1) 181:2.20 Poi Gesù andò da Filippo, il quale, alzatosi, ascoltò questo messaggio dal suo Maestro: “Filippo, tu mi hai posto molte domande insensate, ed io ho fatto quanto possibile per rispondere a ciascuna di esse, ed ora vorrei rispondere all’ultima di queste domande che è sorta nella tua mente molto onesta ma poco spirituale. Mentre giravo attorno alla tavola per venire da te, ti stavi chiedendo: ‘Che cosa farò se il Maestro se ne va e ci lascia soli nel mondo?’ O uomo di poca fede! Eppure ne hai quasi quanto quella di molti dei tuoi fratelli. Tu sei stato un buon amministratore, Filippo. Hai sbagliato solo poche volte, ed abbiamo utilizzato uno di questi errori per manifestare la gloria del Padre. Il tuo servizio d’intendente sta per finire. Dovrai presto svolgere più pienamente il lavoro che eri stato chiamato a compiere — la predicazione di questo vangelo del regno. Filippo, tu hai sempre voluto delle dimostrazioni, e molto presto vedrai grandi cose. Sarebbe stato molto meglio che tu avessi visto tutto ciò per mezzo della fede, ma poiché eri sincero anche nelle tue vedute materiali, vivrai per vedere il compimento delle mie parole. E poi, quando sarai stato benedetto dalla visione spirituale, va a fare il tuo lavoro consacrando la tua vita alla causa di guidare l’umanità alla ricerca di Dio e delle realtà eterne con l’occhio della fede spirituale e non con gli occhi della mente materiale. Ricordati, Filippo, che tu hai una grande missione sulla terra, perché il mondo è pieno di coloro che guardano alla vita esattamente come hai avuto tendenza a fare tu. Tu hai un importante lavoro da svolgere, e quando esso sarà compiuto nella fede, verrai da me nel mio regno ed io proverò grande piacere a mostrarti ciò che l’occhio non ha visto, l’orecchio non ha udito, né la mente mortale ha concepito. Nel frattempo divieni come un bambino nel regno dello spirito e permettimi, in quanto spirito del nuovo maestro, di guidarti verso il regno spirituale. Ed in questo modo potrò fare per te molte cose che non ho potuto compiere quando soggiornavo con te come mortale del regno. E ricordati sempre, Filippo, che chi ha visto me ha visto il Padre.”
(1960.2) 181:2.21 Poi il Maestro andò da Natanaele. Quando Natanaele si alzò, Gesù lo pregò di rimanere seduto e, sedutosi al suo fianco, disse: “Natanaele, tu hai imparato a vivere al di sopra dei pregiudizi e a praticare una tolleranza accresciuta dopo che sei divenuto mio apostolo. Ma hai ancora molto da imparare. Tu sei stato una benedizione per i tuoi compagni perché essi sono stati sempre esortati dalla tua perseverante sincerità. Dopo la mia partenza può darsi che la tua franchezza t’impedisca di andare d’accordo con i tuoi fratelli, sia vecchi che nuovi. Dovresti imparare che anche l’espressione di un pensiero buono deve essere modulata in armonia con lo status intellettuale e lo sviluppo spirituale dell’ascoltatore. La sincerità è maggiormente utile nell’opera del regno quando è unita al discernimento.
(1961.1) 181:2.22 “Se tu imparassi a lavorare con i tuoi fratelli, potresti compiere delle opere più durevoli, ma se vai in cerca di coloro che la pensano come te, in tal caso consacra la tua vita a provare che il discepolo che conosce Dio può diventare un costruttore del regno anche quando è solo nel mondo e totalmente isolato dai suoi compagni credenti. Io so che sarai fedele sino alla fine, e ti accoglierò un giorno nel servizio più esteso del mio regno nell’alto.”
(1961.2) 181:2.23 Allora Natanaele parlò, ponendo a Gesù questa domanda: “Ho ascoltato il tuo insegnamento fin dal momento in cui mi hai chiamato al servizio di questo regno, ma onestamente non riesco a comprendere il pieno significato di tutto ciò che ci dici. Io non so che cosa devo aspettarmi, e credo che la maggior parte dei miei fratelli siano ugualmente disorientati, ma che esitino a confessare la loro confusione. Puoi tu aiutarmi?” Gesù, ponendo la sua mano sulla spalla di Natanaele, disse: “Amico mio, non c’è da sorprendersi che tu sia imbarazzato nel tentare di cogliere il significato dei miei insegnamenti spirituali dal momento che sei talmente condizionato dalle tue idee preconcette della tradizione ebraica e così confuso dalla tua persistente tendenza ad interpretare il mio vangelo secondo gli insegnamenti degli Scribi e dei Farisei.
(1961.3) 181:2.24 “Io vi ho insegnato molte cose con la parola ed ho vissuto la mia vita tra di voi. Ho fatto tutto il possibile per illuminare la vostra mente e per liberare la vostra anima, e ciò che non siete stati capaci di trarre dai miei insegnamenti e dalla mia vita dovete ora prepararvi ad acquisire dalla mano del maestro di tutti gli insegnanti — l’esperienza reale. Ed in tutta questa nuova esperienza che ora vi aspetta, io vi precederò e lo Spirito della Verità sarà con voi. Non temete; ciò che ora non comprendete, il nuovo maestro, quando sarà venuto, ve lo rivelerà per tutto il resto della vostra vita sulla terra ed oltre durante la vostra preparazione nelle ere eterne.”
(1961.4) 181:2.25 E poi il Maestro, rivolgendosi a tutti loro, disse: “Non siate costernati perché non riuscite a cogliere il pieno significato del vangelo. Voi siete solo degli esseri finiti, degli uomini mortali, e ciò che vi ho insegnato è infinito, divino ed eterno. Siate pazienti ed abbiate coraggio, poiché avete le ere eterne davanti a voi nelle quali continuare il vostro conseguimento progressivo dell’esperienza di divenire perfetti, così come vostro Padre in Paradiso è perfetto.”
(1961.5) 181:2.26 E poi Gesù andò da Tommaso, il quale, alzatosi in piedi, lo ascoltò dire: “Tommaso, hai spesso mancato di fede; tuttavia, quando hai avuto i tuoi momenti di dubbio, non hai mai mancato di coraggio. So bene che i falsi profeti e gli insegnanti illegittimi non t’inganneranno. Dopo la mia partenza i tuoi fratelli apprezzeranno di più il tuo modo critico di considerare i nuovi insegnamenti. E quando sarete tutti dispersi ai confini della terra nei tempi futuri, ricordati che sei ancora mio ambasciatore. Consacra la tua vita alla grande opera di mostrare come la mente critica materiale dell’uomo può trionfare sull’inerzia del dubbio intellettuale quando si trova di fronte alla dimostrazione della manifestazione della verità vivente quale opera nell’esperienza degli uomini e delle donne nati dallo spirito, che producono i frutti dello spirito nella loro vita e che si amano l’un l’altro, così come io ho amato voi. Tommaso, sono felice che ti sia unito a noi, e so che dopo un breve periodo di perplessità continuerai nel servizio del regno. I tuoi dubbi hanno confuso i tuoi fratelli, ma non hanno mai turbato me. Io ho fiducia in te e ti precederò sino ai confini estremi della terra.”
(1962.1) 181:2.27 Poi il Maestro andò da Simon Pietro, che si alzò in piedi mentre Gesù gli diceva: “Pietro, so che mi ami e che consacrerai la tua vita alla proclamazione pubblica di questo vangelo del regno agli Ebrei e ai Gentili, ma sono addolorato che i tuoi anni di una tale stretta associazione con me non ti abbiano aiutato di più a riflettere prima di parlare. Per quale esperienza devi passare per imparare a mettere un freno alle tue labbra? Quante difficoltà ci hai causato con il tuo parlare impulsivo, con la tua presuntuosa fiducia in te stesso! E sei destinato ad attirarti ancora maggiori difficoltà se non domini questo difetto. Tu sai che i tuoi fratelli ti amano malgrado questa debolezza, e dovresti anche comprendere che questo difetto non intacca minimamente il mio affetto per te, ma esso diminuisce la tua utilità e non cessa mai di procurarti delle noie. Ma tu riceverai senza dubbio un grande aiuto dall’esperienza per la quale passerai questa notte stessa. E ciò che dico ora a te, Simon Pietro, lo dico anche a tutti i tuoi fratelli qui riuniti: questa sera sarete tutti in grande pericolo di vacillare riguardo a me. Voi sapete che sta scritto: ‘Il pastore sarà percosso e le pecore saranno disperse.’ Quando sarò assente, ci sarà grande pericolo che alcuni di voi soccombano ai dubbi e vacillino a causa di ciò che accade a me. Ma vi prometto ora che ritornerò da voi per breve tempo e che poi vi precederò in Galilea.”
(1962.2) 181:2.28 Allora Pietro, ponendo la sua mano sulla spalla di Gesù, disse: “Poco importa se tutti i miei fratelli dovessero soccombere ai dubbi nei tuoi confronti; io prometto che non vacillerò su qualunque cosa tu potrai fare. Io verrò con te e se necessario morirò per te.”
(1962.3) 181:2.29 Mentre Pietro stava là davanti al suo Maestro, tutto tremante d’intensa emozione e straripante d’amore sincero per lui, Gesù lo guardò diritto nei suoi occhi umidi di lacrime e disse: “Pietro, in verità, in verità ti dico, questa notte il gallo non canterà prima che tu non mi abbia rinnegato tre o quattro volte. E così ciò che non hai imparato dalla pacifica associazione con me, lo imparerai attraverso molte difficoltà e grandi dispiaceri. E dopo che avrai realmente imparato questa indispensabile lezione, dovrai fortificare i tuoi fratelli e continuare a vivere una vita consacrata a predicare questo vangelo, anche se potrai essere messo in prigione e forse seguirmi nel pagare il prezzo supremo del servizio amorevole nell’edificazione del regno del Padre.
(1962.4) 181:2.30 “Ma ricordati la mia promessa: quando sarò risuscitato, mi fermerò con voi per qualche tempo prima di andare dal Padre. E questa sera stessa supplicherò il Padre di fortificare ciascuno di voi per le prove che dovrete affrontare tra breve. Io vi amo tutti con l’amore con cui il Padre ama me, e quindi voi dovreste amarvi d’ora innanzi l’un l’altro, così come io ho amato voi.”
(1962.5) 181:2.31 E poi, dopo aver cantato un inno, essi partirono per il campo sul Monte degli Olivi.
(1963.1) 182:0.1 ERANO circa le dieci di questo giovedì sera quando Gesù condusse gli undici apostoli dalla casa di Elia e di Maria Marco sulla via del ritorno al campo di Getsemani. Da quel giorno sulle colline, Giovanni Marco si era assunto l’incarico di tenere un occhio vigile su Gesù. Giovanni, avendo bisogno di dormire, aveva riposato parecchie ore mentre il Maestro era rimasto con i suoi apostoli nella sala al piano superiore, ma sentendoli scendere, egli si alzò e, buttatosi in fretta sulle spalle un mantello di lino, li seguì attraverso la città, passò il torrente Cedron, e proseguì fino al loro accampamento privato adiacente al Parco di Getsemani. E Giovanni Marco rimase talmente vicino al Maestro per tutta questa notte ed il giorno successivo, che fu testimone di ogni cosa ed ascoltò di nascosto gran parte di ciò che il Maestro disse da questo momento fino all’ora della crocifissione.
(1963.2) 182:0.2 Mentre Gesù e gli undici tornavano al campo, gli apostoli cominciarono ad interrogarsi sul significato della prolungata assenza di Giuda, e discussero tra di loro sulla predizione del Maestro che uno di loro l’avrebbe tradito, e per la prima volta sospettarono che non tutto andasse bene con Giuda Iscariota. Ma essi non s’impegnarono in aperti commenti su Giuda prima di raggiungere il campo e costatare che egli non era là ad aspettare per accoglierli. Quando assediarono tutti Andrea per sapere che cosa era successo di Giuda, il loro capo si limitò a rispondere: “Non so dove sia Giuda, ma temo che ci abbia abbandonato.”
(1963.3) 182:1.1 Alcuni istanti dopo il loro arrivo al campo, Gesù disse loro: “Amici e fratelli miei, il mio tempo con voi è ora pochissimo, e desidero che ci appartiamo per pregare nostro Padre che è nei cieli di darci la forza per sostenerci in quest’ora e per il futuro in tutta l’opera che dobbiamo compiere in nome suo.”
(1963.4) 182:1.2 Dopo aver parlato così, egli li condusse a breve distanza sull’Oliveto, ed in piena vista di Gerusalemme li invitò ad inginocchiarsi su una larga roccia piatta in cerchio attorno a lui, come avevano fatto nel giorno della loro ordinazione; e poi, mentre egli stava là in piedi in mezzo a loro glorificato nella dolce luce lunare, alzò gli occhi al cielo e pregò:
(1963.5) 182:1.3 “Padre, la mia ora è venuta; glorifica ora tuo Figlio affinché il Figlio possa glorificare te. So che mi hai dato piena autorità su tutte le creature viventi del mio regno, ed io darò la vita eterna a tutti coloro che diverranno figli di Dio per fede. E questa è la vita eterna: che le mie creature ti conoscano come il solo vero Dio e Padre di tutti, e che credano in colui che hai mandato in questo mondo. Padre, io ti ho esaltato sulla terra ed ho portato a termine l’opera che mi hai dato da compiere. Ho quasi terminato il mio conferimento ai figli da noi stessi creati; non mi rimane che abbandonare la mia vita nella carne. Ed ora, o Padre mio, glorificami con la gloria che avevo presso di te prima che questo mondo fosse ed accoglimi ancora una volta alla tua destra.
(1964.1) 182:1.4 “Io ti ho manifestato agli uomini che hai scelto dal mondo e che mi hai dato. Essi sono tuoi — come tutta la vita è nelle tue mani — tu me li hai dati ed io ho vissuto tra di loro, insegnando loro la via della vita, ed essi hanno creduto. Questi uomini stanno imparando che tutto ciò che io ho proviene da te, e che la vita che vivo nella carne è destinata a far conoscere mio Padre ai mondi. La verità che tu mi hai dato io l’ho rivelata a loro. Questi miei amici ed ambasciatori hanno sinceramente accettato di ricevere la tua parola. Ho detto loro che sono provenuto da te, che tu mi hai mandato in questo mondo e che sto per ritornare da te. Padre, io prego per questi uomini scelti. E prego per loro non come pregherei per il mondo, ma come per coloro che ho scelto dal mondo per rappresentarmi nel mondo dopo che sarò ritornato alla tua opera, così come io ho rappresentato te in questo mondo durante il mio soggiorno nella carne. Questi uomini sono miei; tu me li hai dati; ma tutte le cose che sono mie sono sempre tue, e tutto ciò che era tuo tu hai ora ordinato che sia mio. Tu sei stato esaltato in me, ed ora io prego di poter essere onorato in questi uomini. Io non posso rimanere più a lungo in questo mondo; sto per ritornare al lavoro che mi hai dato da compiere. Devo lasciare indietro questi uomini a rappresentare noi ed il nostro regno tra gli uomini. Padre, preserva fedeli questi uomini mentre io mi preparo ad abbandonare la mia vita nella carne. Aiuta questi miei amici ad essere uno in spirito, così come noi siamo uno. Finché potevo stare con loro, potevo vegliare su di loro e guidarli, ma ora sto per partire. Rimani vicino a loro, Padre, finché non possiamo inviare il nuovo maestro a confortarli e fortificarli.
(1964.2) 182:1.5 “Tu mi hai dato dodici uomini, ed io li ho conservati tutti salvo uno, il figlio della vendetta, che non ha voluto rimanere ancora con noi. Questi uomini sono deboli e fragili, ma so che possiamo avere fiducia in loro; io li ho messi alla prova; essi mi amano, così come riveriscono te. Benché essi debbano soffrire molto a causa mia, io desidero che siano anche ripieni di gioia nella certezza della filiazione nel regno celeste. Ho dato la tua parola a questi uomini ed ho insegnato loro la verità. Il mondo può odiarli, così come ha odiato me, ma io non chiedo che tu li porti fuori dal mondo, ma solo che li preservi dal male che è nel mondo. Santificali nella verità; la tua parola è verità. E come tu hai mandato me in questo mondo, così io sto per mandare questi uomini nel mondo. Per loro io ho vissuto tra gli uomini ed ho consacrato la mia vita al tuo servizio per poterli ispirare e perché fossero purificati attraverso la verità che ho insegnato loro e all’amore che ho rivelato loro. So bene, Padre mio, che non ho bisogno di chiederti di vegliare su questi fratelli dopo che me ne sarò andato; so che tu li ami quanto me, ma faccio questo perché essi possano comprendere meglio che il Padre ama gli uomini mortali come li ama il Figlio.
(1964.3) 182:1.6 “Ed ora, Padre mio, vorrei pregare non solo per questi undici uomini, ma anche per tutti gli altri che ora credono, o che potranno credere in seguito nel vangelo del regno grazie alla parola del loro futuro ministero. Io desidero che tutti loro siano uno, così come tu ed io siamo uno. Tu sei in me ed io in te, ed io desidero che questi credenti siano anch’essi in noi; che entrambi i nostri spiriti dimorino in loro. Se i miei figli sono uno come noi siamo uno, e se essi si amano l’un l’altro come io li ho amati, allora tutti gli uomini crederanno che io provengo da te ed accetteranno di ricevere la rivelazione della verità e della gloria che io ho fatto. La gloria che tu mi hai dato io l’ho rivelata a questi credenti. Come tu hai vissuto con me in spirito, così io ho vissuto con loro nella carne. Come tu sei stato uno con me, così io sono stato uno con loro, e così il nuovo maestro sarà sempre uno con loro ed in loro. Ed ho fatto tutto ciò perché i miei fratelli nella carne possano sapere che il Padre li ama quanto li ama il Figlio, e che tu ami loro come ami me. Padre, opera con me per salvare questi credenti, affinché possano presto venire a stare con me in gloria e proseguire poi per unirsi a te nell’abbraccio del Paradiso. Coloro che servono con me nell’umiliazione li vorrei con me in gloria, affinché possano vedere tutto quello che tu hai posto nelle mie mani come messe eterna del seme del tempo nelle sembianze della carne mortale. Io desidero ardentemente mostrare ai miei fratelli terreni la gloria che avevo con te prima della fondazione di questo mondo. Questo mondo conosce molto poco di te, o Padre giusto, ma io ti conosco e ti ho fatto conoscere a questi credenti, ed essi faranno conoscere il tuo nome ad altre generazioni. Ed ora io prometto loro che tu sarai con loro nel mondo come sei stato con me — così sia.”
(1965.1) 182:1.7 Gli undici rimasero inginocchiati in questo cerchio attorno a Gesù per parecchi minuti prima di alzarsi e di ritornare in silenzio al campo vicino.
(1965.2) 182:1.8 Gesù pregò per l’unità tra i suoi discepoli, ma egli non desiderava l’uniformità. Il peccato crea un livello sterile d’inerzia cattiva, ma la rettitudine nutre lo spirito creativo dell’esperienza individuale nelle realtà viventi della verità eterna e nella comunione progressiva degli spiriti divini del Padre e del Figlio. Nella comunione spirituale del figlio credente con il Padre divino non ci può mai essere finalità dottrinale e superiorità settaria di coscienza di gruppo.
(1965.3) 182:1.9 Nel corso di questa preghiera finale con i suoi apostoli il Maestro fece allusione al fatto che egli aveva manifestato il nome del Padre al mondo. E questo è veramente ciò che egli fece rivelando Dio mediante la sua vita perfezionata nella carne. Il Padre che è nei cieli aveva cercato di rivelarsi a Mosè, ma non poté andare oltre che fosse detto “IO SONO”. E quando fu pressato per una maggiore rivelazione di se stesso, fu solo svelato: “IO SONO ciò che IO SONO”. Ma quando Gesù ebbe terminato la sua vita terrena, questo nome del Padre era stato talmente rivelato che il Maestro, che era il Padre incarnato, poteva veramente dire:
(1965.4) 182:1.10 Io sono il pane della vita.
(1965.5) 182:1.11 Io sono l’acqua vivente.
(1965.6) 182:1.12 Io sono la luce del mondo.
(1965.7) 182:1.13 Io sono il desiderio di tutte le ere.
(1965.8) 182:1.14 Io sono la porta aperta alla salvezza eterna.
(1965.9) 182:1.15 Io sono la realtà della vita senza fine.
(1965.10) 182:1.16 Io sono il buon pastore.
(1965.11) 182:1.17 Io sono il sentiero della perfezione infinita.
(1965.12) 182:1.18 Io sono la risurrezione e la vita.
(1965.13) 182:1.19 Io sono il segreto della sopravvivenza eterna.
(1965.14) 182:1.20 Io sono la via, la verità e la vita.
(1965.15) 182:1.21 Io sono il Padre infinito dei miei figli finiti.
(1965.16) 182:1.22 Io sono la vera vite; voi siete i tralci.
(1965.17) 182:1.23 Io sono la speranza di tutti coloro che conoscono la verità vivente.
(1965.18) 182:1.24 Io sono il ponte vivente da un mondo all’altro.
(1965.19) 182:1.25 Io sono il legame vivente tra il tempo e l’eternità.
(1965.20) 182:1.26 In tal modo Gesù ampliò la rivelazione vivente del nome di Dio per tutte le generazioni. Come l’amore divino rivela la natura di Dio, la verità eterna svela il suo nome in proporzioni sempre maggiori.
(1966.1) 182:2.1 Gli apostoli furono grandemente sorpresi quando tornarono al campo e non trovarono Giuda. Mentre gli undici erano impegnati in un’accesa discussione sul loro compagno apostolo traditore, Davide Zebedeo e Giovanni Marco presero Gesù da parte e gli rivelarono che avevano tenuto Giuda sotto osservazione per parecchi giorni, e che sapevano che egli intendeva consegnarlo nelle mani dei suoi nemici. Gesù li ascoltò, ma disse solo: “Amici miei, niente può accadere al Figlio dell’Uomo a meno che il Padre che è nei cieli non lo voglia. Che il vostro cuore non sia turbato; tutte le cose lavoreranno insieme per la gloria di Dio e la salvezza degli uomini.”
(1966.2) 182:2.2 L’atteggiamento gioioso di Gesù stava scemando. Con il passare del tempo egli diveniva sempre più serio, persino triste. Gli apostoli, essendo molto agitati, erano restii a ritornare nelle loro tende anche quando il Maestro stesso li invitò a farlo. Al ritorno dal suo incontro con Davide e Giovanni, egli rivolse le sue ultime parole a tutti gli undici dicendo: “Amici miei, andate a riposare. Preparatevi per il lavoro di domani. Ricordatevi che dovremmo sottometterci tutti alla volontà del Padre che è nei cieli. Vi lascio la mia pace.” E dopo aver parlato così, egli fece loro cenno di andare alle loro tende, ma mentre vi andavano, chiamò Pietro, Giacomo e Giovanni, dicendo loro: “Desidero che voi restiate con me per qualche momento.”
(1966.3) 182:2.3 Gli apostoli si addormentarono solo perché erano letteralmente esausti; dal loro arrivo a Gerusalemme essi avevano dormito poco. Prima che andassero nei loro singoli alloggi a dormire, Simone Zelota li portò tutti nella sua tenda, dove erano conservate le spade ed altre armi, e fornì a ciascuno di loro questo equipaggiamento da combattimento. Tutti loro ricevettero queste armi e se ne cinsero, salvo Natanaele. Natanaele, rifiutando di armarsi, disse: “Fratelli miei, il Maestro ci ha detto ripetutamente che il suo regno non è di questo mondo e che i suoi discepoli non dovrebbero combattere con la spada per determinarne l’instaurazione. Io credo a ciò; non penso che il Maestro abbia bisogno che noi usiamo la spada per difenderlo. Abbiamo visto tutti il suo enorme potere e sappiamo che potrebbe difendersi dai suoi nemici se lo volesse. Se egli non vuole resistere ai suoi nemici, deve essere perché questa linea di condotta rappresenta il suo tentativo di compiere la volontà di suo Padre. Io pregherò, ma non brandirò la spada.” Dopo che ebbe ascoltato il discorso di Natanaele, Andrea restituì la sua spada a Simone Zelota. E così nove di loro erano armati quando si separarono per la notte.
(1966.4) 182:2.4 Il risentimento per il fatto che Giuda era un traditore eclissava per il momento ogni altra cosa nella mente degli apostoli. Il commento del Maestro su Giuda, fatto nel corso dell’ultima preghiera, aveva aperto i loro occhi sul fatto che egli li aveva abbandonati.
(1966.5) 182:2.5 Dopo che gli otto apostoli si furono infine ritirati nelle loro tende, e mentre Pietro, Giacomo e Giovanni erano pronti a ricevere gli ordini del Maestro, Gesù disse a Davide Zebedeo: “Mandami il tuo messaggero più veloce e fidato.” Quando Davide condusse dal Maestro un certo Giacobbe, un tempo corriere nel servizio dei messaggeri notturni tra Gerusalemme e Betsaida, Gesù, rivolgendosi a lui, disse: “Recati in tutta fretta da Abner a Filadelfia e digli: ‘Il Maestro ti manda i suoi saluti di pace e dice che è venuta l’ora in cui egli sarà consegnato nelle mani dei suoi nemici che lo metteranno a morte, ma che risusciterà dalla morte e ti apparirà presto, prima di andare dal Padre, e ti darà allora le direttive sul momento in cui il nuovo maestro verrà a vivere nel vostro cuore.’” E dopo che Giacobbe ebbe ripetuto questo messaggio con soddisfazione del Maestro, Gesù lo sollecitò a partire dicendo: “Non temere che qualcuno possa farti qualcosa, Giacobbe, perché questa notte un messaggero invisibile correrà al tuo fianco.”
(1967.1) 182:2.6 Poi Gesù si rivolse al capo dei visitatori greci che erano accampati con loro e disse: “Fratello mio, non essere turbato da ciò che sta per accadere, poiché ti ho già preavvertito. Il Figlio dell’Uomo sarà messo a morte per istigazione dei suoi nemici, i capi dei sacerdoti e i dirigenti ebrei, ma io risusciterò per restare un po’ di tempo con voi prima di andare dal Padre. E quando avrai visto accadere tutto ciò, glorifica Dio e fortifica i tuoi fratelli.”
(1967.2) 182:2.7 In circostanze ordinarie gli apostoli avrebbero augurato personalmente la buona notte al Maestro, ma questa sera erano talmente preoccupati per la realizzazione improvvisa della diserzione di Giuda, ed erano così commossi per la natura insolita della preghiera di commiato del Maestro, che si limitarono ad ascoltare il suo saluto di addio e andarono via in silenzio.
(1967.3) 182:2.8 Gesù disse questo ad Andrea quando lo lasciò quella notte: “Andrea, fa ciò che puoi per tenere uniti i tuoi fratelli fino a quando ritornerò da voi dopo aver bevuto questa coppa. Fortifica i tuoi fratelli, poiché ti ho già detto tutto. La pace sia con te.”
(1967.4) 182:2.9 Nessuno degli apostoli si aspettava che capitasse qualcosa di straordinario quella notte perché era già molto tardi. Essi cercarono di dormire per potersi alzare presto il mattino dopo ed essere preparati al peggio. Essi pensavano che i capi dei sacerdoti avrebbero tentato d’impadronirsi del loro Maestro il mattino presto, perché nessun lavoro profano veniva mai fatto dopo il mezzogiorno nella giornata di preparazione alla Pasqua. Solo Davide Zebedeo e Giovanni Marco compresero che i nemici di Gesù sarebbero venuti con Giuda quella notte stessa.
(1967.5) 182:2.10 Davide aveva disposto di stare di guardia quella notte sulla pista superiore che portava alla strada da Betania a Gerusalemme, mentre Giovanni Marco doveva vegliare lungo la strada che saliva dal Cedron verso Getsemani. Prima di partire per il suo incarico volontario di servizio esterno, Davide prese congedo da Gesù dicendo: “Maestro, ho provato grande gioia nel mio servizio con te. I miei fratelli sono tuoi apostoli, ma io ho provato piacere nel fare le cose più piccole come dovevano essere fatte, e ti rimpiangerò con tutto il mio cuore quando sarai partito”. Ed allora Gesù disse a Davide: “Davide, figlio mio, gli altri hanno fatto ciò che era stato loro ordinato di fare, ma questo servizio tu l’hai fatto di tua iniziativa, ed ho notato la tua devozione. Anche tu un giorno servirai con me nel regno eterno.”
(1967.6) 182:2.11 Ed allora, mentre si preparava ad andare a montare di guardia sulla pista superiore, Davide disse a Gesù: “Tu sai, Maestro, che ho mandato a chiamare la tua famiglia, ed ho notizia da un messaggero che essi sono questa notte a Gerico. Saranno qui domani mattina presto, perché sarebbe stato rischioso per loro salire di notte questo sentiero pericoloso.” E Gesù, guardando Davide, disse solo: “Così sia, Davide.”
(1967.7) 182:2.12 Quando Davide fu salito sull’Oliveto, Giovanni Marco si mise di guardia vicino alla strada che scendeva lungo il torrente verso Gerusalemme. E Giovanni sarebbe rimasto in questo posto se non fosse stato per il suo grande desiderio di essere vicino a Gesù e di sapere ciò che stava accadendo. Poco dopo che Davide l’ebbe lasciato, e dopo che Giovanni Marco ebbe notato Gesù ritirarsi con Pietro, Giacomo e Giovanni in una forra vicina, fu talmente sopraffatto dalla devozione unita alla curiosità che abbandonò il suo posto di sentinella e li seguì, nascondendosi nei cespugli, da dove vide e sentì tutto ciò che accadde durante quegli ultimi momenti nel giardino e poco prima che Giuda e le guardie armate apparissero per arrestare Gesù.
(1968.1) 182:2.13 Mentre avveniva tutto questo al campo del Maestro, Giuda Iscariota stava conferendo con il capitano delle guardie del tempio, che aveva riunito i suoi uomini in vista di partire, sotto la guida del traditore, per arrestare Gesù.
(1968.2) 182:3.1 Quando tutto fu silenzioso e tranquillo nel campo, Gesù, con Pietro, Giacomo e Giovanni, raggiunse a breve distanza una vicina forra dove egli era andato spesso in precedenza a pregare e a comunicare. I tre apostoli non poterono fare a meno di costatare che egli era profondamente depresso; essi non avevano mai visto prima il loro Maestro così triste ed abbattuto. Quando giunsero sul luogo delle sue devozioni, egli invitò i tre a sedersi e a vegliare con lui mentre si allontanava ad un tiro di sasso per pregare. Dopo essere caduto faccia a terra, egli pregò: “Padre mio, io sono venuto in questo mondo per fare la tua volontà, e così ho fatto. So che è giunta l’ora di sacrificare questa vita nella carne, e non mi sottraggo a ciò, ma vorrei sapere se è tua volontà che io beva questa coppa. Dammi l’assicurazione che ti soddisferò nella mia morte così come ho fatto nella mia vita.”
(1968.3) 182:3.2 Il Maestro rimase in atteggiamento di preghiera per alcuni istanti, e poi, tornato verso i tre apostoli, li trovò profondamente addormentati, perché le loro pupille erano pesanti e non riuscivano a rimanere svegli. Dopo averli svegliati, Gesù disse: “Come! Non potete vegliare con me nemmeno per un’ora? Non riuscite a vedere che la mia anima è estremamente triste, di una tristezza mortale, e che desidero ardentemente la vostra compagnia?” Dopo che i tre si furono destati dal loro torpore, il Maestro si appartò di nuovo e, prostratosi a terra, pregò ancora: “Padre, so che è possibile evitare questa coppa — tutto è possibile per te — ma io sono venuto a fare la tua volontà, e benché questa coppa sia amara, la berrò se tale è la tua volontà.” E dopo che ebbe pregato così, un angelo possente discese al suo fianco e, parlandogli, lo toccò e lo fortificò.
(1968.4) 182:3.3 Quando Gesù tornò a parlare con i tre apostoli, li trovò di nuovo profondamente addormentati. Egli li svegliò e disse: “In un tale momento ho bisogno che vegliate e preghiate con me — ancor più avete bisogno di pregare per non soccombere alla tentazione — perché vi addormentate quando vi lascio?”
(1968.5) 182:3.4 E poi, per una terza volta, il Maestro si ritirò e pregò: “Padre, tu vedi i miei apostoli addormentati; abbi misericordia di loro. In verità lo spirito è pronto, ma la carne è debole. Ed ora, o Padre, se questa coppa non può essere allontanata, allora la berrò. Sia fatta non la mia, ma la tua volontà.” E quando ebbe finito di pregare, egli rimase per un momento prostrato al suolo. Quando si alzò e ritornò dai suoi apostoli, ancora una volta li trovò addormentati. Egli li osservò e, con un gesto di pietà, disse teneramente: “Continuate a dormire ora e riposatevi; il momento della decisione è passato. È ormai prossima l’ora in cui il Figlio dell’Uomo sarà tradito nelle mani dei suoi nemici.” Mentre si piegò per scuoterli e svegliarli, egli disse: “Alzatevi, ritorniamo al campo, perché, ecco, colui che mi tradisce è vicino, ed è giunta l’ora in cui il mio gregge sarà disperso. Ma io vi ho già parlato di queste cose.”
(1968.6) 182:3.5 Durante gli anni che Gesù visse tra i suoi discepoli, essi ebbero in verità molte prove della sua natura divina, ma proprio ora essi stanno per avere nuove prove della sua umanità. Giusto prima della più grande di tutte le rivelazioni della sua divinità, la sua risurrezione, devono ora venire le prove più grandi della sua natura mortale, la sua umiliazione e la sua crocifissione.
(1969.1) 182:3.6 Ogni volta che egli aveva pregato nel giardino, la sua umanità si era appoggiata fermamente, mediante la fede, sulla sua divinità; la sua volontà umana divenne più completamente una con la volontà divina di suo Padre. Tra le altre parole dettegli dal possente angelo c’era il messaggio che il Padre desiderava che suo Figlio terminasse il suo conferimento terreno passando per l’esperienza della morte come creatura, proprio come tutte le creature mortali devono fare l’esperienza della dissoluzione materiale passando dall’esistenza del tempo alla progressione dell’eternità.
(1969.2) 182:3.7 A tarda sera non era sembrato così difficile bere la coppa, ma quando il Gesù umano disse addio ai suoi apostoli e li mandò a riposare, la prova divenne più terribile. Gesù provava quel naturale flusso e riflusso di sentimenti che è comune ad ogni esperienza umana, ed in questo momento egli era stanco per il lavoro, spossato dalle lunghe ore di strenua fatica e di penosa ansietà per la sicurezza dei suoi apostoli. Benché nessun mortale possa pretendere di comprendere i pensieri e i sentimenti del Figlio di Dio incarnato in un momento come questo, noi sappiamo che egli provò una grande angoscia e soffrì di una tristezza indicibile, perché il sudore colava a grosse gocce sul suo viso. Egli era alla fine convinto che il Padre intendeva lasciare che gli eventi naturali seguissero il loro corso; era pienamente deciso a non impiegare alcuno dei suoi sovrani poteri di capo supremo di un universo per salvare se stesso.
(1969.3) 182:3.8 Le schiere riunite di una vasta creazione si stavano ora librando su questa scena sotto il comando congiunto temporaneo di Gabriele e dell’Aggiustatore Personalizzato di Gesù. I comandanti di divisione di queste armate celesti sono stati ripetutamente avvertiti di non interferire in queste operazioni sulla terra a meno che Gesù stesso non ordinasse loro d’intervenire.
(1969.4) 182:3.9 L’esperienza di separarsi dagli apostoli esercitava una grande tensione sul cuore umano di Gesù; questo dispiacere d’amore si abbatté su di lui e gli rese più difficile affrontare una morte come quella che egli sapeva bene che lo attendeva. Egli realizzò quanto deboli ed ignoranti fossero i suoi apostoli, ed aveva paura a lasciarli soli. Egli sapeva bene che era giunto il momento della sua partenza, ma il suo cuore umano cercava ardentemente di scoprire se non ci potesse essere una qualche via d’uscita legittima per sfuggire a questa terribile situazione di sofferenza e di tristezza. E dopo che ebbe cercato così una scappatoia, senza riuscirvi, egli accettò di bere la coppa. La mente divina di Micael sapeva che aveva fatto del suo meglio per i dodici apostoli, ma il cuore umano di Gesù desiderava che fosse stato fatto di più per loro prima che fossero lasciati soli nel mondo. Il cuore di Gesù stava per essere spezzato; egli amava veramente i suoi fratelli. Egli era isolato dalla sua famiglia carnale; uno dei suoi associati scelti lo stava tradendo. Il popolo di suo padre Giuseppe l’aveva respinto ed aveva con ciò suggellato il proprio destino come popolo con una missione speciale sulla terra. La sua anima era torturata dall’amore deluso e dalla misericordia respinta. Era proprio uno di quei terribili momenti umani in cui ogni cosa sembra abbattersi con una crudeltà schiacciante ed un’angoscia terribile.
(1969.5) 182:3.10 L’umanità di Gesù non era insensibile a questa situazione di solitudine personale, d’infamia pubblica e di apparente fallimento della sua causa. Tutti questi sentimenti lo schiacciavano con un’oppressione indescrivibile. In questa grande tristezza la sua mente ritornò ai giorni della sua fanciullezza a Nazaret ed ai suoi primi lavori in Galilea. Nel momento di questa grande prova sorsero nella sua mente molte di quelle scene piacevoli del suo ministero terreno. E fu grazie a questi vecchi ricordi di Nazaret, di Cafarnao, del Monte Hermon e del sorgere e tramontare del sole sul scintillante Mare di Galilea che egli si calmò al punto da rendere il suo cuore umano forte e pronto ad incontrare il rinnegato che doveva di lì a poco tradirlo.
(1970.1) 182:3.11 Prima che arrivassero Giuda ed i soldati, il Maestro aveva completamente ripreso il suo equilibrio abituale; lo spirito aveva trionfato sulla carne; la fede si era affermata su tutte le tendenze umane alla paura o ad avere dei dubbi. La prova suprema della piena realizzazione della natura umana era stata affrontata ed accettabilmente superata. Ancora una volta il Figlio dell’Uomo era pronto ad affrontare i suoi nemici con serenità e nella piena assicurazione della sua invincibilità come uomo mortale votato senza riserve a fare la volontà di suo Padre.
(1971.1) 183:0.1 DOPO che Gesù ebbe infine svegliato Pietro, Giacomo e Giovanni, suggerì loro di tornare alle loro tende e di cercare di dormire per prepararsi agli impegni del giorno dopo. Ma oramai i tre apostoli erano del tutto svegli; essi erano stati ristorati dai loro brevi sonnellini, ed inoltre erano stimolati ed eccitati dall’arrivo sulla scena di due messaggeri agitati che chiesero di Davide Zebedeo e partirono in fretta alla sua ricerca quando Pietro li informò dov’era di guardia.
(1971.2) 183:0.2 Sebbene otto degli apostoli fossero profondamente addormentati, i Greci che erano accampati vicino a loro erano più timorosi di disordini, al punto che avevano posto una sentinella che desse l’allarme in caso di pericolo. Quando questi due messaggeri entrarono di corsa nel campo, la sentinella greca procedette a svegliare tutti i suoi compatrioti, i quali uscirono dalle loro tende completamente vestiti ed armati. Tutto il campo era ora sveglio salvo gli otto apostoli. Pietro desiderava chiamare i suoi compagni, ma Gesù glielo impedì decisamente. Il Maestro esortò dolcemente tutti a ritornare nelle loro tende, ma essi erano riluttanti a seguire il suo invito.
(1971.3) 183:0.3 Non essendo riuscito a disperdere i suoi discepoli, il Maestro li lasciò e scese verso il frantoio vicino all’entrata del Parco di Getsemani. Sebbene i tre apostoli, i Greci e gli altri membri del campo esitassero a seguirlo da vicino, Giovanni Marco fece in fretta il giro attraverso gli olivi e si nascose in una piccola baracca vicino al frantoio. Gesù si allontanò dal campo e dai suoi amici affinché coloro che erano venuti a prenderlo, quando fossero arrivati, potessero arrestarlo senza disturbare i suoi apostoli. Il Maestro temeva che i suoi apostoli fossero svegli e presenti al momento del suo arresto affinché lo spettacolo di Giuda che lo tradiva non suscitasse la loro animosità al punto da farli resistere ai soldati e da essere portati in prigione con lui. Egli temeva che, se fossero stati arrestati con lui, potessero anche morire con lui.
(1971.4) 183:0.4 Anche se Gesù sapeva che il piano per farlo morire aveva la sua origine nei consigli dei dirigenti ebrei, era anche consapevole che tutti questi nefasti progetti avevano le piena approvazione di Lucifero, di Satana e di Caligastia. E sapeva bene che questi ribelli dei regni sarebbero stati felici di vedere anche tutti gli apostoli sterminati con lui.
(1971.5) 183:0.5 Gesù si sedette da solo sul frantoio, dove attese l’arrivo del traditore, ed era visto in questo momento solo da Giovanni Marco e da una schiera innumerevole di osservatori celesti.
(1971.6) 183:1.1 C’è un grande pericolo di fraintendere il significato di numerose affermazioni e di molti avvenimenti associati alla fine della carriera del Maestro nella carne. Il trattamento crudele di Gesù da parte dei servi ignoranti e dei soldati insensibili, la condotta iniqua del suo giudizio e l’atteggiamento spietato dei capi religiosi riconosciuti, non devono essere confusi con il fatto che Gesù, sottoponendosi pazientemente a tutte queste sofferenze ed umiliazioni, stava compiendo veramente la volontà del Padre del Paradiso. Era di fatto ed in verità volontà del Padre che suo Figlio bevesse fino in fondo la coppa dell’esperienza dei mortali dalla nascita alla morte, ma il Padre celeste non ebbe assolutamente nulla a che fare con la provocazione della barbara condotta di questi esseri umani presunti civilizzati che torturarono così brutalmente il Maestro e riversarono così orribilmente successive offese sulla sua persona che non opponeva resistenza. Queste esperienze disumane e scioccanti che Gesù fu chiamato a subire nelle ultime ore della sua vita di mortale non facevano parte in alcun senso della volontà divina del Padre, che la sua natura umana si era così trionfalmente impegnata a compiere al momento del rendiconto finale dell’uomo a Dio, come espresso nella triplice preghiera che egli formulò nel giardino mentre i suoi apostoli stanchi dormivano il sonno della spossatezza fisica.
(1972.1) 183:1.2 Il Padre che è nei cieli desiderava che il Figlio di conferimento terminasse la sua carriera terrena in modo naturale, proprio come tutti i mortali devono terminare la loro vita sulla terra e nella carne. Gli uomini e le donne ordinari non possono aspettarsi che le loro ultime ore sulla terra ed il susseguente episodio della morte siano facilitati da una dispensa speciale. Di conseguenza Gesù scelse di abbandonare la sua vita nella carne nella maniera conforme al corso degli eventi naturali, e rifiutò fermamente di svincolarsi dalle grinfie crudeli di una perfida cospirazione di avvenimenti disumani che lo portavano con orribile certezza verso la sua incredibile umiliazione e la sua morte ignominiosa. Ed ogni elemento di tutta questa stupefacente manifestazione di odio e di questa dimostrazione senza precedenti di crudeltà fu opera di uomini cattivi e di mortali malvagi. Dio nei cieli non ha voluto questo, né è stato ordinato dai nemici accaniti di Gesù, sebbene essi avessero fatto molto per assicurarsi che dei mortali ottusi e malvagi respingessero così il Figlio conferitosi. Anche il padre del peccato distolse il suo sguardo dallo straziante orrore della scena della crocifissione.
(1972.2) 183:2.1 Dopo che Giuda lasciò così bruscamente la tavola mentre partecipava all’Ultima Cena, andò direttamente a casa di suo cugino e poi i due andarono di filato dal capitano delle guardie del tempio. Giuda chiese al capitano di riunire le guardie e lo informò che era pronto a condurli da Gesù. Essendo Giuda apparso sulla scena un po’ prima di quanto fosse atteso, ci fu qualche ritardo per essere pronti a partire per la casa di Marco, dove Giuda si aspettava di trovare Gesù ancora in riunione con gli apostoli. Il Maestro e gli undici lasciarono la casa di Elia Marco esattamente quindici minuti prima dell’arrivo del traditore e delle guardie. Al momento in cui il plotone raggiunse la casa di Marco, Gesù e gli undici erano ben fuori delle mura della città ed in cammino verso il campo dell’Oliveto.
(1972.3) 183:2.2 Giuda fu molto turbato per non aver trovato Gesù a casa di Marco ed in compagnia degli undici uomini, soltanto due dei quali erano armati per resistere. Gli era capitato di sapere che, nel pomeriggio in cui avevano lasciato il campo, solo Simon Pietro e Simone Zelota si erano cinti di spada. Giuda aveva sperato di prendere Gesù quando la città era tranquilla e quando c’erano poche possibilità di resistenza. Il traditore temeva che, se li aspettava al loro ritorno al campo, avrebbe dovuto affrontare più di sessanta discepoli devoti, e sapeva anche che Simone Zelota disponeva di un’ampia scorta di armi. Giuda stava diventando sempre più nervoso pensando a quanto gli undici apostoli leali l’avrebbero detestato, e temeva che avrebbero cercato tutti di ucciderlo. Egli non solo era sleale, ma in cuor suo era anche un vero codardo.
(1973.1) 183:2.3 Quando non trovarono Gesù nella sala al piano superiore, Giuda chiese al capitano delle guardie di ritornare al tempio. A quest’ora i dirigenti avevano cominciato a riunirsi a casa del sommo sacerdote per prepararsi a ricevere Gesù, visto che il loro accordo con il traditore comportava l’arresto di Gesù entro la mezzanotte di quel giorno. Giuda spiegò ai suoi associati che essi avevano mancato Gesù alla casa di Marco, e che sarebbe stato necessario andare a Getsemani per arrestarlo. Il traditore proseguì precisando che più di sessanta discepoli devoti erano accampati con lui e che erano tutti bene armati. I capi degli Ebrei ricordarono a Giuda che Gesù aveva sempre predicato la non resistenza, ma Giuda replicò che non si poteva contare che tutti i discepoli di Gesù obbedissero a tale insegnamento. Egli temeva realmente per se stesso e perciò osò chiedere una compagnia di quaranta soldati armati. Poiché le autorità ebraiche non avevano una tale forza di uomini armati sotto la loro giurisdizione, andarono subito alla fortezza di Antonia e chiesero al comandante romano di fornire loro questa guardia; ma quando sentì che intendevano arrestare Gesù, egli rifiutò immediatamente di acconsentire alla loro richiesta e li mandò dal suo ufficiale superiore. In tal modo fu persa più di un’ora per andare da un’autorità all’altra, fino a che essi furono infine costretti ad andare da Pilato stesso per ottenere l’autorizzazione ad impiegare le guardie armate romane. Era tardi quando arrivarono a casa di Pilato, ed egli si era ritirato con sua moglie nelle proprie stanze private. Egli esitò ad immischiarsi minimamente in questa faccenda, tanto più perché sua moglie gli aveva chiesto di non aderire alla richiesta. Ma poiché era presente il presidente del Sinedrio ebreo per chiedere personalmente questa assistenza, il governatore ritenne saggio aderire alla petizione, pensando di poter rettificare successivamente qualsiasi cattiva azione che essi avessero intenzione di commettere.
(1973.2) 183:2.4 Di conseguenza, quando Giuda Iscariota partì dal tempio, verso le undici e mezzo, era accompagnato da più di sessanta persone — guardie del tempio, soldati romani e servi curiosi dei capi dei sacerdoti e dei dirigenti.
(1973.3) 183:3.1 Mentre questa compagnia di soldati e di guardie armate, portando torce e lanterne, si avvicinava al giardino, Giuda camminava molto avanti al gruppo per essere pronto ad identificare rapidamente Gesù in modo che gli incaricati di arrestarlo potessero facilmente mettere le mani su di lui prima che i suoi associati avessero il tempo di radunarsi in sua difesa. E c’era anche un’altra ragione perché Giuda scelse di precedere i nemici del Maestro: egli pensava che sarebbe sembrato che fosse arrivato sulla scena prima dei soldati, cosicché gli apostoli e gli altri riuniti attorno a Gesù potevano non collegarlo direttamente con le guardie armate che lo seguivano così da vicino. Giuda aveva anche pensato di presentarsi come se si fosse affrettato ad avvertirli della venuta delle guardie per arrestarlo, ma questo piano fu frustrato dal modo sdegnoso di Gesù di salutare il traditore. Anche se il Maestro parlò a Giuda amabilmente, lo salutò come un traditore.
(1973.4) 183:3.2 Appena Pietro, Giacomo e Giovanni, con una trentina di loro compagni campeggiatori, videro il gruppo armato munito di torce che superava la cima della collina, capirono che questi soldati stavano venendo ad arrestare Gesù, e scesero tutti precipitosamente verso il frantoio dove il Maestro stava seduto da solo al chiaro di luna. Mentre la compagnia di soldati si avvicinava da un lato, i tre apostoli e i loro associati si avvicinavano dall’altro. Quando Giuda si fece avanti per avvicinarsi al Maestro, i due gruppi si fermarono, immobili, con il Maestro tra di loro, e Giuda che si preparava ad imprimere il bacio traditore sulla sua fronte.
(1974.1) 183:3.3 Il traditore aveva sperato, dopo aver condotto le guardie a Getsemani, di poter semplicemente indicare Gesù ai soldati o tutt’al più di mantenere la promessa di salutarlo con un bacio e poi ritirarsi velocemente dalla scena. Giuda temeva grandemente che gli apostoli fossero tutti presenti e concentrassero il loro attacco su di lui per punirlo d’aver osato tradire il loro amato maestro. Ma quando il Maestro l’accolse come un traditore, egli fu talmente confuso che non fece alcun tentativo di fuggire.
(1974.2) 183:3.4 Gesù fece un ultimo sforzo per evitare a Giuda di tradirlo effettivamente; prima che il traditore lo raggiungesse, fece qualche passo di lato, e rivolgendosi al primo soldato sulla sinistra, il capitano dei Romani, disse: “Chi cerchi?” Il capitano rispose: “Gesù di Nazaret.” Allora Gesù si pose immediatamente davanti all’ufficiale e, stando là nella serena maestà del Dio di tutta questa creazione, disse: “Sono io.” Molti di questo gruppo armato avevano sentito Gesù insegnare nel tempio, altri avevano inteso parlare delle sue potenti opere, e quando lo sentirono annunciare così coraggiosamente la sua identità, quelli delle prime file indietreggiarono subito. Essi furono sopraffatti dalla sorpresa di fronte al suo calmo e maestoso annuncio della sua identità. Non c’era, dunque, alcun bisogno che Giuda proseguisse nel suo piano di tradimento. Il Maestro si era coraggiosamente rivelato ai suoi nemici, ed essi avrebbero potuto prenderlo senza l’assistenza di Giuda. Ma il traditore doveva fare qualcosa per giustificare la sua presenza con questa truppa armata, ed inoltre voleva dare una dimostrazione di compiere la sua parte dell’accordo di tradimento fatto con i capi degli Ebrei, al fine di meritare le grosse ricompense e i grandi onori di cui sperava essere colmato a compenso della sua promessa di consegnare Gesù nelle loro mani.
(1974.3) 183:3.5 Mentre le guardie si riprendevano dalla loro iniziale esitazione alla vista di Gesù e al suono della sua voce straordinaria, e mentre gli apostoli e i discepoli si avvicinavano, Giuda avanzò verso Gesù e, dandogli un bacio sulla sua fronte, disse: “Salve, Signore e Maestro.” E quando Giuda abbracciò in questo modo il suo Maestro, Gesù disse: “Amico, non ti basta fare questo! Vuoi anche tradire il Figlio dell’Uomo con un bacio?”
(1974.4) 183:3.6 Gli apostoli e i discepoli erano letteralmente sbalorditi da ciò che vedevano. Per un istante nessuno si mosse. Poi Gesù, liberandosi dall’abbraccio traditore di Giuda, avanzò verso le guardie e i soldati e chiese di nuovo: “Chi cercate?” E di nuovo il capitano disse: “Gesù di Nazaret.” E di nuovo Gesù rispose: “Ti ho detto che sono io. Se dunque cerchi me, lascia che questi altri vadano per la loro strada. Io sono pronto a seguirti.”
(1974.5) 183:3.7 Gesù era pronto a ritornare a Gerusalemme con le guardie, e il capitano dei soldati era pienamente disposto a permettere ai tre apostoli e ai loro associati di andare in pace per la loro strada. Ma prima che essi avessero potuto ripartire, mentre Gesù stava là aspettando gli ordini del capitano, un certo Malchus, la guardia del corpo siriana del sommo sacerdote, avanzò verso Gesù e si preparò a legargli le mani dietro la schiena, benché il capitano romano non avesse ordinato che Gesù fosse legato in tal modo. Quando Pietro e i suoi associati videro il loro Maestro sottoposto a questo affronto, non riuscirono più a trattenersi. Pietro trasse la sua spada e si precipitò avanti con gli altri per colpire Malchus. Ma prima che i soldati potessero accorrere in difesa del servo del sommo sacerdote, Gesù alzò una mano verso Pietro in un gesto d’interdizione, e parlandogli aspramente disse: “Pietro, rinfodera la tua spada. Coloro che prendono la spada moriranno di spada. Non comprendi che è volontà del Padre che io beva questa coppa? Non sai nemmeno che anche ora potrei comandare più di dodici legioni di angeli e di loro associati, che mi libererebbero dalle mani di questi pochi uomini?”
(1975.1) 183:3.8 Benché Gesù avesse posto fine così a questa dimostrazione di resistenza fisica da parte dei suoi discepoli, ciò fu sufficiente per suscitare la paura del capitano delle guardie che ora, con l’aiuto dei suoi soldati, mise le sue forti mani su Gesù e lo legò rapidamente. E mentre essi gli legavano le mani con delle robuste corde, Gesù disse loro: “Perché uscite contro di me con spade e con bastoni come se doveste prendere un ladro? Sono stato tutti i giorni con voi nel tempio, insegnando pubblicamente al popolo e non avete fatto alcun tentativo di prendermi.”
(1975.2) 183:3.9 Quando Gesù fu legato, il capitano, temendo che i discepoli del Maestro tentassero di liberarlo, diede ordine che fossero arrestati; ma i soldati non furono abbastanza rapidi perché, avendo sentito gli ordini del capitano di arrestarli, i discepoli di Gesù fuggirono in fretta nella forra. Per tutto questo tempo Giovanni Marco era rimasto rinchiuso nella vicina baracca. Quando le guardie ripartirono per Gerusalemme con Gesù, Giovanni Marco tentò di uscire furtivamente dalla baracca per raggiungere gli apostoli e i discepoli che stavano fuggendo; ma proprio mentre usciva, uno degli ultimi soldati che tornavano dall’aver inseguito i discepoli in fuga stava passando vicino, e vedendo questo giovane nella sua tunica di lino, gli diede la caccia, riuscendo quasi a prenderlo. In effetti, il soldato arrivò abbastanza vicino a Giovanni da afferrare la sua tunica, ma il giovane si liberò della veste, fuggendo nudo mentre il soldato teneva la tunica vuota. Giovanni Marco si recò in tutta fretta da Davide Zebedeo sulla pista superiore. Quando ebbe raccontato a Davide ciò che era successo, ritornarono entrambi velocemente alle tende degli apostoli che dormivano ed informarono tutti gli otto del tradimento e dell’arresto del Maestro.
(1975.3) 183:3.10 Nel momento in cui gli otto apostoli stavano per essere svegliati, quelli che erano fuggiti nella forra stavano tornando, e si radunarono tutti vicino al frantoio per discutere su che cosa si dovesse fare. Nel frattempo Simon Pietro e Giovanni Zebedeo, che si erano nascosti tra gli olivi, erano già partiti per seguire il gruppo di soldati, guardie e servi che stavano ora conducendo Gesù a Gerusalemme come avrebbero condotto un criminale inveterato. Giovanni seguiva la marmaglia da vicino, e Pietro seguiva più lontano. Dopo che Giovanni Marco era fuggito dalle grinfie del soldato, si era coperto con un mantello che aveva trovato nella tenda di Simon Pietro e di Giovanni Zebedeo. Egli sospettava che le guardie stessero andando a portare Gesù a casa di Anna, il sommo sacerdote emerito; così egli fece un lungo giro attraverso gli oliveti ed arrivò là prima del gruppo, nascondendosi vicino alla porta d’entrata del palazzo del sommo sacerdote.
(1975.4) 183:4.1 Giacomo Zebedeo si trovò separato da Simon Pietro e da suo fratello Giovanni, cosicché si unì ora agli altri apostoli e ai loro compagni campeggiatori presso il frantoio per decidere che cosa si dovesse fare riguardo all’arresto del Maestro.
(1975.5) 183:4.2 Andrea era stato sciolto da ogni responsabilità nella direzione del gruppo dei suoi compagni apostoli; di conseguenza, nella più grande di tutte le crisi della loro vita, egli rimase in silenzio. Dopo una breve discussione informale, Simone Zelota salì su un muretto di pietra del frantoio e, facendo un’appassionata perorazione a favore della fedeltà al Maestro e alla causa del regno, esortò i suoi compagni apostoli e gli altri discepoli a correre dietro alla marmaglia per liberare Gesù. La maggior parte del gruppo sarebbe stata disposta a seguire la sua condotta aggressiva se non fosse stato per il parere di Natanaele, il quale si alzò quando Simone ebbe finito di parlare e richiamò la loro attenzione sui ripetuti insegnamenti di Gesù circa la non resistenza. Egli ricordò loro inoltre che quella stessa notte Gesù aveva ordinato loro di preservare la loro vita per i tempi in cui fossero andati nel mondo a proclamare la buona novella del vangelo del regno celeste. E Natanaele fu incoraggiato in questo atteggiamento da Giacomo Zebedeo, il quale raccontò ora come Pietro ed altri avevano sfoderato le loro spade per impedire l’arresto del Maestro, e come Gesù invitò Simon Pietro ed i suoi compagni armati a rinfoderare le loro lame. Anche Matteo e Filippo parlarono, ma niente di preciso uscì da questa discussione fino a che Tommaso, richiamando la loro attenzione sul fatto che Gesù aveva consigliato a Lazzaro di non esporsi alla morte, fece notare che essi non potevano fare niente per salvare il loro Maestro, poiché egli aveva rifiutato di consentire ai suoi amici di difenderlo e poiché persisteva nell’astenersi dall’usare i suoi poteri divini per contrastare i suoi nemici umani. Tommaso li persuase a disperdersi, ciascuno per conto proprio, con l’intesa che Davide Zebedeo restasse al campo per mantenere un punto di riferimento ed un quartier generale di messaggeri per il gruppo. Verso le due e mezzo di quel mattino il campo veniva abbandonato; solo Davide restava a disposizione con tre o quattro messaggeri, avendo spedito gli altri a raccogliere informazioni sul luogo in cui era stato portato Gesù e su che cosa stessero facendo di lui.
(1976.1) 183:4.3 Cinque degli apostoli, Natanaele, Matteo, Filippo e i gemelli, andarono a nascondersi a Betfage e a Betania. Tommaso, Andrea, Giacomo e Simone Zelota si nascosero in città. Simon Pietro e Giovanni Zebedeo proseguirono verso la casa di Anna.
(1976.2) 183:4.4 Poco dopo l’alba, Simon Pietro, una mesta immagine di profonda disperazione, ritornò al campo di Getsemani. Davide lo fece accompagnare da un messaggero perché raggiungesse suo fratello Andrea, che era a casa di Nicodemo a Gerusalemme.
(1976.3) 183:4.5 Sino alla fine estrema della crocifissione, Giovanni Zebedeo rimase sempre vicino, come Gesù gli aveva ordinato, e fu lui che fornì ora per ora ai messaggeri di Davide le informazioni che essi portavano a Davide al campo del giardino, e che erano poi ritrasmesse agli apostoli nascosti e alla famiglia di Gesù.
(1976.4) 183:4.6 Certo, il pastore è percosso e le pecore sono disperse! Mentre essi realizzano vagamente che Gesù li ha preavvertiti di questa stessa situazione, sono troppo duramente colpiti dall’improvvisa scomparsa del Maestro per essere capaci di utilizzare normalmente la loro mente.
(1976.5) 183:4.7 Fu appena dopo l’alba e poco dopo che Pietro era stato mandato a raggiungere suo fratello, che Giuda, il fratello carnale di Gesù, arrivò al campo quasi senza fiato e in anticipo sul resto della famiglia di Gesù, per sapere solo che il Maestro era già stato posto in stato d’arresto; ed egli si affrettò a ridiscendere la strada di Gerico per portare questa informazione a sua madre e ai suoi fratelli e sorelle. Davide Zebedeo mandò a dire alla famiglia di Gesù, tramite Giuda, di riunirsi a casa di Marta e Maria a Betania e di aspettare là le notizie che i suoi messaggeri avrebbero regolarmente portato loro.
(1976.6) 183:4.8 Questa era la situazione durante la seconda metà della notte di giovedì e le prime ore del mattino di venerdì riguardo agli apostoli, ai principali discepoli e alla famiglia terrena di Gesù. E tutti questi gruppi e questi individui rimanevano in contatto tra di loro tramite il servizio di messaggeri che Davide Zebedeo continuava a far funzionare dal suo quartier generale al campo di Getsemani.
(1977.1) 183:5.1 Prima di partire dal giardino con Gesù, si accese una disputa tra il capitano ebreo delle guardie del tempio e il capitano romano della compagnia di soldati su dove dovessero portare Gesù. Il capitano delle guardie del tempio diede ordine che fosse portato da Caifa, il sommo sacerdote in carica. Il capitano dei soldati romani ordinò che Gesù fosse condotto al palazzo di Anna, il precedente sommo sacerdote e suocero di Caifa. Ed egli fece questo perché i Romani avevano l’abitudine di trattare direttamente con Anna tutte le questioni concernenti l’applicazione delle leggi ecclesiastiche ebraiche. E gli ordini del capitano romano furono eseguiti; essi portarono Gesù a casa di Anna per un interrogatorio preliminare.
(1977.2) 183:5.2 Giuda camminava vicino ai capitani, udendo tutto ciò che veniva detto, ma senza prendere parte alla disputa, perché sia il capitano ebreo che l’ufficiale romano non volevano nemmeno parlare al traditore — talmente essi lo disprezzavano.
(1977.3) 183:5.3 In questo momento Giovanni Zebedeo, ricordandosi le istruzioni del suo Maestro di restare sempre nelle vicinanze, si portò vicino a Gesù che camminava tra i due capitani. Il comandante delle guardie del tempio, vedendo Giovanni venirgli vicino, disse al suo assistente: “Prendi quest’uomo e legalo. È uno dei discepoli di costui.” Ma quando il capitano romano udì ciò e, voltatosi vide Giovanni, diede ordine che l’apostolo venisse vicino a lui e che nessuno lo molestasse. Poi il capitano romano disse al capitano ebreo: “Quest’uomo non è né un traditore né un codardo. Io l’ho visto nel giardino, ed egli non ha tirato fuori la spada per resisterci. Egli ha il coraggio di farsi avanti per stare con il suo Maestro e nessuno metterà le mani su di lui. La legge romana permette che ogni prigioniero possa avere almeno un amico che l’accompagni alla sbarra del tribunale, e non sarà impedito a quest’uomo di restare a fianco del suo Maestro, il prigioniero.” E quando Giuda udì ciò, ebbe tale vergogna ed umiliazione che si ritirò dietro al gruppo, arrivando al palazzo di Anna da solo.
(1977.4) 183:5.4 Ciò spiega perché Giovanni Zebedeo poté restare vicino a Gesù per tutta la durata delle sue dure esperienze questa notte ed il giorno successivo. Gli Ebrei temevano di dire alcunché a Giovanni o di molestarlo in qualunque modo perché aveva un po’ lo status di un consigliere romano designato ad agire come osservatore delle operazioni del tribunale ecclesiastico ebreo. La posizione di privilegio di Giovanni fu tanto più sicura quando, consegnando Gesù al capitano delle guardie del tempio alla porta del palazzo di Anna, il capitano romano, rivolgendosi al suo assistente, disse: “Accompagna questo prigioniero e vedi che questi Ebrei non lo uccidano senza il consenso di Pilato. Bada che essi non lo assassinino e vedi che il suo amico, il Galileo, possa stargli vicino ed osservare tutto ciò che accade.” E così Giovanni fu in grado di essere vicino a Gesù fino al momento della sua morte sulla croce, mentre gli altri dieci apostoli furono costretti a rimanere nascosti. Giovanni era sotto la protezione romana e gli Ebrei non osarono molestarlo fino a dopo la morte del Maestro.
(1977.5) 183:5.5 E per tutto il tragitto fino al palazzo di Anna, Gesù non aprì bocca. Dal momento del suo arresto fino alla sua apparizione davanti ad Anna, il Figlio dell’Uomo non disse una parola.
(1978.1) 184:0.1 DEGLI incaricati di Anna avevano ordinato segretamente al capitano dei soldati romani di condurre immediatamente Gesù al palazzo di Anna dopo il suo arresto. Il vecchio sommo sacerdote desiderava mantenere il suo prestigio come principale autorità ecclesiastica degli Ebrei. Egli aveva anche un altro scopo trattenendo Gesù a casa sua per alcune ore, ed era di consentire di convocare legalmente il tribunale del Sinedrio. Era illegale riunire il tribunale del Sinedrio prima dell’offerta del sacrificio mattutino nel tempio, e questo sacrificio era offerto verso le tre del mattino.
(1978.2) 184:0.2 Anna sapeva che un tribunale di Sinedristi era in attesa nel palazzo di suo genero, Caifa. Una trentina di membri del Sinedrio si erano riuniti a casa del sommo sacerdote verso mezzanotte per essere pronti a giudicare Gesù quando fosse stato condotto davanti a loro. Erano stati convocati solo quei membri che erano fortemente ed apertamente contrari a Gesù e ai suoi insegnamenti, poiché ne bastavano soltanto ventitré per costituire una corte di giudizio.
(1978.3) 184:0.3 Gesù passò circa tre ore al palazzo di Anna sul Monte Oliveto, non lontano dal giardino di Getsemani, dove fu arrestato. Giovanni Zebedeo era libero e sicuro nel palazzo di Anna, non solo a causa della parola del capitano romano, ma anche perché lui e suo fratello Giacomo erano ben conosciuti dai servitori più anziani, essendo stati molte volte ospiti a palazzo, in quanto il vecchio sommo sacerdote era un lontano parente della loro madre, Salomè.
(1978.4) 184:1.1 Anna, arricchito dalle entrate del tempio, con suo genero sommo sacerdote in carica, e per le sue relazioni con le autorità romane, era veramente la personalità più potente di tutto il mondo ebraico. Egli era garbato e abile nei suoi piani e nei suoi intrighi. Egli desiderava prendere in mano la questione dell’eliminazione di Gesù; temeva di affidare una tale importante operazione interamente al suo rude ed aggressivo genero. Anna voleva essere certo che il giudizio del Maestro restasse nelle mani dei Sadducei; temeva la possibile simpatia di alcuni Farisei, perché praticamente tutti quei membri del Sinedrio che avevano sposato la causa di Gesù erano Farisei.
(1978.5) 184:1.2 Anna non aveva visto Gesù da parecchi anni, dall’epoca in cui il Maestro venne a casa sua e andò via immediatamente notando la sua freddezza ed il riserbo nel riceverlo. Anna aveva pensato di fare assegnamento su questa vecchia conoscenza per tentare di persuadere Gesù ad abbandonare le sue pretese e a lasciare la Palestina. Egli era riluttante a partecipare all’uccisione di un uomo per bene ed aveva pensato che Gesù potesse scegliere di lasciare il paese piuttosto che subire la morte. Ma quando Anna si trovò davanti il forte e risoluto Galileo, si rese subito conto che sarebbe stato inutile fare tali proposte. Gesù era ancora più maestoso e padrone di sé di quanto Anna lo ricordasse.
(1979.1) 184:1.3 Quando Gesù era giovane, Anna si era molto interessato a lui, ma ora le sue entrate erano minacciate da ciò che Gesù aveva recentemente fatto cacciando i cambiavalute e gli altri commercianti dal tempio. Questo atto aveva suscitato l’inimicizia del vecchio sommo sacerdote molto più di quanto avessero fatto gli insegnamenti di Gesù.
(1979.2) 184:1.4 Anna entrò nella sua spaziosa sala delle udienze, si sedette su una grande poltrona e ordinò che Gesù fosse condotto davanti a lui. Dopo aver osservato il Maestro in silenzio per alcuni istanti, egli disse: “Tu comprendi che si deve fare qualcosa riguardo al tuo insegnamento, poiché stai turbando la pace e l’ordine del nostro paese.” Mentre Anna gettava uno sguardo indagatore su Gesù, il Maestro lo guardò dritto negli occhi ma non diede alcuna risposta. Anna riprese a dire: “Quali sono i nomi dei tuoi discepoli, oltre a Simone Zelota, l’agitatore?” Di nuovo Gesù lo guardò, ma non rispose.
(1979.3) 184:1.5 Anna fu molto seccato dal rifiuto di Gesù di rispondere alle sue domande, al punto che gli disse: “Non ti preoccupa affatto che io sia o meno ben disposto verso di te? Non hai alcuna considerazione per il potere di cui dispongo per determinare l’esito del tuo prossimo giudizio?” Quando Gesù sentì ciò, disse: “Anna, tu sai che non potresti avere alcun potere su di me senza il permesso di mio Padre. Alcuni vorrebbero uccidere il Figlio dell’Uomo perché sono ignoranti; essi non conoscono niente di meglio, ma tu, amico, sai ciò che stai facendo. Come puoi, dunque, respingere la luce di Dio?”
(1979.4) 184:1.6 L’amabile maniera con cui Gesù parlò ad Anna quasi lo sconcertò. Ma egli aveva già deciso nella sua mente che Gesù dovesse lasciare la Palestina o morire; così fece appello al suo coraggio e chiese: “Che cos’è esattamente che stai tentando d’insegnare al popolo? Che cosa pretendi di essere?” Gesù rispose: “Tu sai molto bene che ho parlato apertamente al mondo. Ho insegnato nelle sinagoghe e molte volte nel tempio, dove tutti gli Ebrei e molti dei Gentili mi hanno ascoltato. Io non ho detto nulla in segreto; perché allora m’interroghi sul mio insegnamento? Perché non convochi coloro che mi hanno ascoltato e non chiedi a loro? Ecco, tutta Gerusalemme ha ascoltato ciò che ho detto, anche se non hai ascoltato tu stesso questi insegnamenti.” Ma prima che Anna avesse potuto rispondere, il capo degli intendenti del palazzo, che si trovava vicino, colpì Gesù in viso con la mano dicendo: “Come osi rispondere in questo modo al sommo sacerdote?” Anna non fece alcun rimprovero al suo intendente, ma Gesù si rivolse a lui dicendo: “Amico mio, se ho parlato male, testimonia contro il male; ma se ho detto la verità, perché allora mi colpisci?”
(1979.5) 184:1.7 Benché Anna fosse dispiaciuto che il suo intendente avesse colpito Gesù, era troppo orgoglioso per dare peso alla cosa. Nella sua confusione egli andò in un’altra stanza, lasciando Gesù da solo con i servi della casa e le guardie del tempio per quasi un’ora.
(1979.6) 184:1.8 Quando ritornò, avvicinatosi al Maestro, egli disse: “Tu pretendi di essere il Messia, il liberatore d’Israele?” Gesù disse: “Anna, mi hai conosciuto dai tempi della mia giovinezza. Tu sai che io non pretendo di essere nient’altro che ciò che mio Padre ha stabilito, e che sono stato mandato a tutti gli uomini, sia Gentili che Ebrei.” Allora Anna disse: “Mi è stato detto che hai preteso di essere il Messia; è vero?” Gesù guardò Anna, ma rispose soltanto: “Così tu hai detto.”
(1980.1) 184:1.9 In quel momento arrivarono dal palazzo di Caifa dei messaggeri per sapere quando Gesù sarebbe stato condotto davanti al tribunale del Sinedrio, e poiché era quasi l’alba, Anna pensò fosse meglio mandare Gesù, legato e in custodia alle guardie del tempio, da Caifa. Egli stesso li seguì poco dopo.
(1980.2) 184:2.1 Mentre il gruppo di guardie e di soldati si avvicinava all’entrata del palazzo di Anna, Giovanni Zebedeo camminava a fianco del capitano dei soldati romani. Giuda era rimasto dietro ad una certa distanza, e Simon Pietro seguiva da lontano. Dopo che Giovanni fu entrato nel cortile del palazzo con Gesù e le guardie, Giuda arrivò al portone ma, vedendo Gesù e Giovanni, proseguì verso la casa di Caifa, dove sapeva che avrebbe avuto luogo più tardi il vero giudizio del Maestro. Subito dopo che Giuda se ne fu andato, arrivò Simon Pietro, e mentre stava davanti al portone, Giovanni lo vide proprio nel momento in cui stavano per condurre Gesù dentro il palazzo. La portinaia che aprì il portone conosceva Giovanni, e quando si rivolse a lei, chiedendole di far entrare Pietro, essa acconsentì di buon grado.
(1980.3) 184:2.2 Entrato nel cortile, Pietro si diresse verso il fuoco di carbone di legna e cercò di riscaldarsi, perché la notte era fredda. Egli si sentiva molto fuori posto qui tra i nemici di Gesù, ed in verità non era al suo posto. Il Maestro non gli aveva ordinato di restare nelle vicinanze come aveva chiesto a Giovanni. Pietro faceva parte degli altri apostoli, che erano stati espressamente avvertiti di non mettere in pericolo la loro vita durante questi momenti del giudizio e della crocifissione del loro Maestro.
(1980.4) 184:2.3 Pietro si era sbarazzato della sua spada poco prima di arrivare al portone del palazzo, cosicché entrò nel cortile di Anna disarmato. La sua mente era in un turbine di confusione; egli non riusciva a concepire che Gesù fosse stato arrestato. Non arrivava a cogliere la realtà della situazione — che egli era qui, nel cortile di Anna, a scaldarsi accanto ai servi del sommo sacerdote. Egli si chiedeva che cosa stessero facendo gli altri apostoli, e rimuginando nella sua mente come Giovanni avesse potuto essere ammesso a palazzo, concluse che era perché era conosciuto dai servi, poiché aveva chiesto alla portinaia di lasciarlo entrare.
(1980.5) 184:2.4 Poco dopo che la portinaia ebbe consentito a Pietro di entrare, e mentre egli si stava scaldando vicino al fuoco, essa si avvicinò a lui e disse maliziosamente: “Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?” Ora Pietro non avrebbe dovuto essere sorpreso da questo riconoscimento, perché era stato Giovanni che aveva chiesto alla donna di lasciarlo passare per il portone del palazzo; ma egli era in un tale stato di tensione nervosa che questa identificazione come discepolo gli fece perdere il suo controllo, e con un solo pensiero dominante nella sua mente — quello di uscire vivo — rispose prontamente alla domanda della serva dicendo: “Non lo sono.”
(1980.6) 184:2.5 Subito dopo un’altra serva si avvicinò a Pietro e gli chiese: “Non ti ho visto nel giardino quando hanno arrestato quest’uomo? Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?” Pietro era ora completamente spaventato; egli non vedeva alcun modo per fuggire sano e salvo da questi accusatori; così negò con veemenza ogni connessione con Gesù, dicendo: “Non conosco quest’uomo, né sono uno dei suoi discepoli.”
(1980.7) 184:2.6 In questo momento la portinaia trasse Pietro da parte e disse: “Io sono sicura che tu sei un discepolo di questo Gesù, non solo perché uno dei suoi seguaci mi ha chiesto di lasciarti entrare nel cortile, ma anche perché mia sorella qui ti ha visto nel tempio con quest’uomo. Perché neghi ciò?” Quando Pietro sentì la serva accusarlo, negò di conoscere Gesù con molte imprecazioni e giuramenti, dicendo nuovamente: “Io non sono un discepolo di quest’uomo; non lo conosco nemmeno; non ho mai sentito parlare di lui prima.”
(1981.1) 184:2.7 Pietro si allontanò dal fuoco per qualche istante e camminò nel cortile. Egli avrebbe desiderato fuggire, ma temeva di attirare l’attenzione su di lui. Avendo freddo, ritornò presso il fuoco, ed uno degli uomini che si trovavano vicino a lui disse: “Certamente tu sei uno dei discepoli di quest’uomo. Questo Gesù è un Galileo e il tuo modo di parlare ti tradisce, perché anche tu parli come un Galileo.” E di nuovo Pietro negò ogni connessione con il suo Maestro.
(1981.2) 184:2.8 Pietro era talmente agitato che cercò di evitare il contatto con i suoi accusatori allontanandosi dal fuoco e mettendosi per conto suo sotto il portico. Dopo più di un’ora di questo isolamento, la portinaia e sua sorella lo incontrarono per caso ed entrambe lo accusarono di nuovo in modo molesto di essere un discepolo di Gesù. E di nuovo egli negò l’accusa. Proprio quando egli ebbe negato ancora una volta ogni connessione con Gesù, il gallo cantò, e Pietro ricordò le parole di avvertimento dettegli dal suo Maestro in precedenza quella stessa notte. Mentre egli stava là, con il cuore greve ed oppresso dal senso di colpa, le porte del palazzo si aprirono ed uscirono le guardie per condurre Gesù da Caifa. Mentre il Maestro passava vicino a Pietro, vide, alla luce delle torce, l’espressione di disperazione sul viso del suo vecchio apostolo sicuro di sé e superficialmente coraggioso, e si voltò a guardare Pietro. Pietro non dimenticò mai quello sguardo finché visse. Era un tale sguardo misto di pietà e d’amore quale un uomo mortale non aveva mai visto sul viso del Maestro.
(1981.3) 184:2.9 Dopo che Gesù e le guardie ebbero oltrepassato le porte del palazzo, Pietro li seguì, ma solo per un breve tratto. Non riuscì ad andare oltre. Egli si sedette sul lato della strada e pianse amaramente. E dopo aver versato queste lacrime di angoscia, riprese il cammino verso il campo, sperando di trovarvi suo fratello Andrea. Arrivato al campo, egli trovò solo Davide Zebedeo, il quale mandò un messaggero a guidarlo fino al luogo in cui suo fratello era andato a nascondersi a Gerusalemme.
(1981.4) 184:2.10 L’intera esperienza di Pietro ebbe luogo nel cortile del palazzo di Anna sul Monte Oliveto. Egli non seguì Gesù al palazzo del sommo sacerdote Caifa. Il fatto che Pietro sia stato indotto a rendersi conto di aver ripetutamente rinnegato il suo Maestro dal canto di un gallo indica che tutto ciò accadde fuori di Gerusalemme, poiché era contro la legge tenere del pollame all’interno della città vera e propria.
(1981.5) 184:2.11 Finché il canto del gallo non ebbe riportato Pietro al suo buon senso, egli aveva soltanto pensato, mentre camminava su e giù sotto il portico per riscaldarsi, a come aveva abilmente eluso le accuse dei servi e al modo in cui aveva frustrato il loro proposito d’identificarlo con Gesù. Per il momento egli aveva soltanto considerato che questi servi non avevano alcun diritto morale o legale d’interrogarlo in quel modo, e si congratulò realmente con se stesso per il modo in cui credeva di avere evitato di essere identificato e forse arrestato ed imprigionato. Fino al canto del gallo Pietro non si rese conto di aver rinnegato il suo Maestro. Fino a che Gesù non lo guardò, egli non realizzò di non aver tenuto fede ai suoi privilegi di ambasciatore del regno.
(1981.6) 184:2.12 Dopo aver fatto il primo passo sul sentiero del compromesso e della minima resistenza, Pietro non vide altra soluzione che proseguire la linea di condotta che aveva adottato. Ci vuole un grande e nobile carattere, dopo aver cominciato male, per tornare indietro e prendere la via giusta. Troppo spesso la nostra mente tende a giustificare la prosecuzione sulla via dell’errore una volta che vi è entrata.
(1982.1) 184:2.13 Pietro non credette mai totalmente che sarebbe stato perdonato fino a che non incontrò il suo Maestro dopo la risurrezione e vide che era accolto esattamente come prima delle esperienze di questa tragica notte dei dinieghi.
(1982.2) 184:3.1 Erano circa le tre e mezzo di questo venerdì mattina quando il sommo sacerdote Caifa riunì il tribunale d’inchiesta del Sinedrio per chiedere che Gesù fosse condotto davanti a loro per il suo giudizio formale. In tre precedenti occasioni il Sinedrio, a larga maggioranza di voti, aveva decretato la morte di Gesù; aveva deciso che era meritevole di morte sotto l’imputazione ufficiosa di violazione della legge, di bestemmia e di disprezzo delle tradizioni dei padri d’Israele.
(1982.3) 184:3.2 Questa non era una riunione del Sinedrio convocata regolarmente e non fu tenuta nel luogo abituale, la sala di pietra tagliata nel tempio. Questa era una corte di giudizio speciale composta da una trentina di Sinedristi e fu riunita nel palazzo del sommo sacerdote. Giovanni Zebedeo era presente con Gesù per tutto questo cosiddetto giudizio.
(1982.4) 184:3.3 Quanto questi capi dei sacerdoti, Scribi, Sadducei ed alcuni Farisei si compiacevano che Gesù, il disturbatore della loro posizione e lo sfidante della loro autorità, fosse ora al sicuro nelle loro mani! Ed essi erano decisi a non lasciarlo fuggire vivo dalle loro grinfie vendicative.
(1982.5) 184:3.4 Ordinariamente gli Ebrei, quando giudicavano qualcuno su un’accusa capitale, procedevano con grande prudenza e fornivano ogni garanzia di equità nella scelta dei testimoni e nell’intera condotta del giudizio. Ma in questa occasione Caifa fu più un accusatore che un giudice imparziale.
(1982.6) 184:3.5 Gesù comparve davanti a questo tribunale vestito delle sue vesti abituali e con le mani legate dietro la schiena. Tutta la corte rimase impressionata ed un po’ turbata dalla sua apparenza maestosa. Essi non avevano mai visto un simile prigioniero né erano stati testimoni di una tale compostezza in un uomo in giudizio per la sua vita.
(1982.7) 184:3.6 La legge ebraica esigeva che almeno due testimoni fossero d’accordo su un punto qualunque prima che potesse essere portata un’accusa contro il prigioniero. Giuda non poteva essere usato come testimone contro Gesù perché la legge ebraica proibiva specificamente la testimonianza di un traditore. Più di una ventina di falsi testimoni furono pronti a testimoniare contro Gesù, ma la loro testimonianza fu così contraddittoria e così evidentemente inventata che gli stessi Sinedristi si vergognarono molto dell’accaduto. Gesù stava là, guardando benignamente questi spergiuri, e la sua stessa calma sconcertava i testimoni menzogneri. Durante tutte queste false testimonianze il Maestro non disse mai una parola; non replicò alcunché alle loro numerose false accuse.
(1982.8) 184:3.7 La prima volta che due dei loro testimoni si avvicinarono ad una parvenza di concordanza fu quando due uomini testimoniarono di aver sentito Gesù dire, nel corso di uno dei suoi discorsi nel tempio, che egli avrebbe “distrutto questo tempio fatto da mani ed in tre giorni avrebbe costruito un altro tempio senza mani.” Questo non era esattamente ciò che aveva detto Gesù, indipendentemente dal fatto che egli si riferiva al suo stesso corpo quando fece il commento citato.
(1982.9) 184:3.8 Benché il sommo sacerdote avesse gridato a Gesù: “Non rispondi ad alcuna di queste accuse?”, Gesù non aprì bocca. Egli stette là in silenzio mentre tutti questi falsi testimoni portavano la loro testimonianza. Odio, fanatismo ed esagerazione senza scrupoli caratterizzavano talmente le parole di questi spergiuri che le loro testimonianze cadevano nelle loro stesse reti. La confutazione migliore alle loro false accuse era la calma ed il maestoso silenzio del Maestro.
(1983.1) 184:3.9 Poco dopo l’inizio della testimonianza dei falsi testimoni arrivò Anna e prese posto accanto a Caifa. Anna si alzò ora e sostenne che questa minaccia di Gesù di distruggere il tempio era sufficiente a garantire tre capi d’accusa contro di lui:
(1983.2) 184:3.10 1. Che era un pericoloso diffamatore del popolo. Che insegnava loro delle cose impossibili e che li ingannava in altro modo.
(1983.3) 184:3.11 2. Che era un fanatico rivoluzionario, nel senso che propugnava di usare la violenza contro il tempio sacro, altrimenti come avrebbe potuto distruggerlo?
(1983.4) 184:3.12 3. Che insegnava la magia in quanto aveva promesso di costruire un nuovo tempio, e ciò senza mani.
(1983.5) 184:3.13 Tutti i Sinedristi erano già d’accordo che Gesù era colpevole di trasgressioni delle legge ebraica che meritavano la morte, ma ora erano più preoccupati di sviluppare delle accuse riguardo alla sua condotta ed ai suoi insegnamenti che potessero giustificare Pilato a pronunciare la sentenza di morte nei confronti del loro prigioniero. Essi sapevano che dovevano ottenere il consenso del governatore romano prima che Gesù potesse essere messo legalmente a morte. Ed Anna era intenzionato a procedere secondo la linea di condotta tendente a far apparire Gesù come un insegnante troppo pericoloso per essere lasciato libero tra il popolo.
(1983.6) 184:3.14 Ma Caifa non riuscì a sopportare più a lungo la vista del Maestro che stava là in perfetta compostezza e in continuo silenzio. Egli pensò di conoscere almeno un modo in cui il prigioniero poteva essere indotto a parlare. Di conseguenza si precipitò accanto a Gesù e, agitando il suo dito accusatore in faccia al Maestro, disse: “T’impongo, nel nome del Dio vivente, di dirci se tu sei il Liberatore, il Figlio di Dio.” Gesù rispose a Caifa: “Lo sono. Presto andrò dal Padre, e subito il Figlio dell’Uomo sarà rivestito del potere e regnerà di nuovo sulle schiere del cielo.”
(1983.7) 184:3.15 Quando il sommo sacerdote udì Gesù pronunciare queste parole, si arrabbiò moltissimo, e stracciandosi le vesti esclamò: “Abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito tutti la bestemmia di quest’uomo. Che cosa pensate ora che si debba fare di questo violatore della legge e bestemmiatore?” Ed essi risposero tutti all’unisono: “È meritevole di morte; che sia crocefisso.”
(1983.8) 184:3.16 Gesù non manifestò alcun interesse alle domande postegli davanti ad Anna o ai Sinedristi, salvo alla domanda relativa alla sua missione di conferimento. Quando gli fu chiesto se egli era il Figlio di Dio, rispose subito ed inequivocabilmente in modo affermativo.
(1983.9) 184:3.17 Anna desiderava che il giudizio proseguisse ancora e che fossero formulate delle accuse di natura precisa riguardo ai rapporti di Gesù con la legge romana e le istituzioni romane, per essere presentate poi a Pilato. I consiglieri erano ansiosi di portare a termine rapidamente questa faccenda, non solo perché era il giorno di preparazione alla Pasqua e nessun lavoro profano doveva essere fatto dopo il mezzogiorno, ma anche perché essi temevano che in qualsiasi momento Pilato tornasse a Cesarea, capitale romana della Giudea, poiché era venuto a Gerusalemme solo per la celebrazione della Pasqua.
(1983.10) 184:3.18 Ma Anna non riuscì a mantenere il controllo della corte. Dopo che Gesù ebbe risposto a Caifa in modo così inaspettato, il sommo sacerdote si fece avanti e lo colpì in viso con la mano. Anna fu veramente scioccato quando gli altri membri della corte, nell’uscire dalla sala, sputarono in faccia a Gesù, e molti di loro, schernendolo, lo colpirono con il palmo della loro mano. Così, nel disordine ed in una tale confusione senza precedenti, questa prima sessione del giudizio di Gesù da parte dei Sinedristi terminò alle quattro e mezzo.
(1984.1) 184:3.19 Trenta falsi giudici prevenuti ed accecati dalla tradizione, assieme ai loro falsi testimoni, stavano osando giudicare il virtuoso Creatore di un universo. E questi accusatori infiammati sono esasperati dal maestoso silenzio e dal magnifico portamento di questo Dio-uomo. Il suo silenzio è terribile da sopportare; le sue parole sono una sfida intrepida. Egli resta impassibile alle loro minacce ed imperterrito ai loro assalti. Gli uomini giudicano Dio, ma anche allora egli li ama e vorrebbe salvarli se potesse.
(1984.2) 184:4.1 La legge ebraica esigeva che, quando si doveva emettere una sentenza di morte, vi fossero due sessioni della corte. Questa seconda sessione si doveva tenere il giorno dopo la prima, e l’intervallo doveva essere passato dai membri della corte nel digiuno e nel cordoglio. Ma questi uomini non potevano aspettare il giorno successivo per confermare la loro decisione che Gesù doveva morire. Essi aspettarono soltanto un’ora. Nel frattempo Gesù fu lasciato nella sala delle udienze sotto la custodia delle guardie del tempio, le quali, con i servi del sommo sacerdote, si divertirono a riversare ogni sorta di offese sul Figlio dell’Uomo. Essi si burlarono di lui, sputarono su di lui e lo schiaffeggiarono crudelmente. Essi lo colpivano in viso con una verga e poi dicevano: “Profetizzaci, tu il Liberatore, chi è stato a colpirti.” Ed essi continuarono così per un’ora intera, insultando e maltrattando quest’uomo di Galilea che non opponeva resistenza.
(1984.3) 184:4.2 Durante questa tragica ora di sofferenze e di scherni davanti alle guardie e ai servi ignoranti ed insensibili, Giovanni Zebedeo attendeva terrorizzato da solo in una sala adiacente. Quando cominciarono questi maltrattamenti, Gesù indicò a Giovanni con un cenno della testa che si ritirasse. Il Maestro sapeva bene che, se avesse permesso al suo apostolo di restare nella stanza ad assistere a questi oltraggi, Giovanni avrebbe provato un tale risentimento da provocare uno scoppio d’indignata protesta che avrebbe probabilmente portato alla sua morte.
(1984.4) 184:4.3 Per tutta questa terribile ora Gesù non pronunciò una parola. Per quest’anima umana delicata e sensibile, unita in relazione di personalità con il Dio di tutto questo universo, non vi fu parte più amara della sua coppa di umiliazione di questa terribile ora alla mercé di queste guardie e servi ignoranti e crudeli, che erano stati incitati a maltrattarlo dall’esempio dei membri di questo cosiddetto tribunale del Sinedrio.
(1984.5) 184:4.4 Il cuore umano non può concepire il fremito d’indignazione che percorse un vasto universo, mentre le intelligenze celesti assistevano a questo spettacolo del loro amato Sovrano che si sottometteva alla volontà delle sue creature ignoranti e fuorviate sulla sfortunata sfera di Urantia offuscata dal peccato.
(1984.6) 184:4.5 Che cos’è questo tratto dell’animalità nell’uomo che lo porta a desiderare d’insultare ed assalire fisicamente ciò che non può raggiungere spiritualmente o compiere intellettualmente? Nell’uomo semicivilizzato si cela ancora una brutalità perversa che cerca di sfogarsi su coloro che gli sono superiori in saggezza e in compimento spirituale. Osservate la malvagia rudezza e la brutale ferocia di questi uomini reputati civilizzati che traevano una certa forma di piacere animale da questa aggressione fisica al Figlio dell’Uomo che non opponeva resistenza. Mentre questi insulti, sarcasmi e percosse cadevano su Gesù, egli non si difendeva, ma non era senza difesa. Gesù non era vinto; semplicemente non lottava in senso materiale.
(1985.1) 184:4.6 Questi sono i momenti delle più grandi vittorie del Maestro in tutta la sua lunga e movimentata carriera di creatore, di sostenitore e di salvatore di un vasto ed esteso universo. Avendo vissuto nella sua pienezza una vita di rivelazione di Dio agli uomini, Gesù era ora impegnato a fare una nuova rivelazione senza precedenti dell’uomo a Dio. Gesù sta ora rivelando ai mondi il trionfo finale su tutte le paure dell’isolamento della personalità delle creature. Il Figlio dell’Uomo ha finalmente raggiunto la realizzazione della sua identità in quanto Figlio di Dio. Gesù non esita ad affermare che lui ed il Padre sono uno; e sulla base del fatto e della verità di questa esperienza suprema e celeste, egli esorta ogni credente al regno a divenire uno con lui, così come lui e suo Padre sono uno. L’esperienza vivente nella religione di Gesù diviene così la tecnica sicura e certa con cui i mortali della terra spiritualmente isolati e cosmicamente soli possono sottrarsi all’isolamento della personalità, con tutte le sue implicazioni di paure e di sentimenti associati d’impotenza. Nelle realtà fraterne del regno dei cieli i figli di Dio per fede trovano la liberazione definitiva dall’isolamento del sé, sia personale che planetario. Il credente che conosce Dio sperimenta sempre più l’estasi e la grandiosità della socializzazione spirituale su scala universale — la cittadinanza celeste associata alla realizzazione eterna del destino divino di raggiungimento della perfezione.
(1985.2) 184:5.1 Alle cinque e mezzo del mattino la corte si riunì nuovamente, e Gesù fu portato nella sala adiacente, dove stava aspettando Giovanni. Qui il soldato romano e le guardie del tempio sorvegliarono Gesù mentre la corte cominciava la formulazione delle accuse che dovevano essere presentate a Pilato. Anna chiarì ai suoi associati che l’accusa di bestemmia non avrebbe avuto alcun peso su Pilato. Giuda era presente durante questa seconda riunione della corte, ma non fornì alcuna testimonianza.
(1985.3) 184:5.2 Questa sessione della corte durò soltanto una mezz’ora, e quando l’aggiornarono per andare da Pilato, essi avevano redatto l’imputazione di Gesù come meritevole di morte sotto tre capi d’accusa:
(1985.4) 184:5.3 1. Che era un pervertitore della nazione ebraica; ingannava il popolo e lo incitava alla ribellione.
(1985.5) 184:5.4 2. Che insegnava al popolo a rifiutare di pagare il tributo a Cesare.
(1985.6) 184:5.5 3. Che, pretendendo di essere un re e il fondatore di una nuova sorta di regno, incitava al tradimento contro l’imperatore.
(1985.7) 184:5.6 Tutta questa procedura era irregolare e totalmente contraria alle leggi ebraiche. Non vi erano stati due testimoni d’accordo su un punto qualunque, salvo quelli che avevano testimoniato sull’affermazione di Gesù che avrebbe distrutto il tempio e lo avrebbe ricostruito in tre giorni. Ed anche su quel punto nessun testimone aveva parlato a favore della difesa e neppure era stato chiesto a Gesù di spiegare che cosa intendesse dire.
(1985.8) 184:5.7 Il solo punto sul quale la corte avrebbe potuto giudicarlo coerentemente era quello di bestemmia, e ciò si sarebbe basato interamente sulla sua stessa testimonianza. Anche riguardo alla bestemmia, essi non avevano proceduto ad una votazione ufficiale sulla pena di morte.
(1985.9) 184:5.8 Ed ora si permettevano di formulare tre accuse con cui presentarsi davanti a Pilato, sulle quali nessun testimone era stato ascoltato e sulle quali si erano accordati mentre il prigioniero accusato era assente. Quando ciò fu fatto, tre dei Farisei si ritirarono; essi volevano che Gesù fosse ucciso, ma non volevano formulare delle accuse contro di lui senza testimoni ed in sua assenza.
(1986.1) 184:5.9 Gesù non comparve più davanti al tribunale dei Sinedristi. Essi non volevano rivedere il suo viso mentre sedevano per giudicare la sua vita innocente. Gesù non conobbe (come uomo) le loro accuse ufficiali fino a quando non le sentì recitare da Pilato.
(1986.2) 184:5.10 Mentre Gesù era nella sala con Giovanni e le guardie, e mentre la corte era in seconda sessione, alcune delle donne vicine al palazzo del sommo sacerdote vennero con i loro amici a vedere lo strano prigioniero, ed una di loro gli chiese: “Sei tu il Messia, il Figlio di Dio?” E Gesù rispose: “Se te lo dico, tu non mi crederai; e se te lo chiedo, tu non risponderai.”
(1986.3) 184:5.11 Alle sei di quel mattino Gesù fu portato via dalla casa di Caifa per comparire davanti a Pilato per la conferma della sentenza di morte che questa corte di Sinedristi aveva così ingiustamente ed irregolarmente decretato.
(1987.1) 185:0.1 POCO dopo le sei di questo venerdì mattina, 7 aprile dell’anno 30 d.C., Gesù fu condotto davanti a Pilato, il procuratore romano che governava la Giudea, la Samaria e l’Idumea sotto la supervisione diretta del legato della Siria. Il Maestro fu portato alla presenza del governatore romano dalle guardie del tempio, legato, ed era accompagnato da una cinquantina di suoi accusatori, inclusi i membri del tribunale di Sinedristi (principalmente Sadducei), da Giuda Iscariota, dal sommo sacerdote Caifa e dall’apostolo Giovanni. Anna non comparve davanti a Pilato.
(1987.2) 185:0.2 Pilato era alzato e pronto a ricevere questo gruppo di visitatori mattinieri, essendo stato informato da coloro che avevano ottenuto la sera prima il suo consenso ad impiegare i soldati romani per arrestare il Figlio dell’Uomo che Gesù sarebbe stato portato il mattino presto davanti a lui. Era stato disposto che questo giudizio si tenesse davanti al pretorio, una costruzione annessa alla fortezza di Antonia, dove Pilato e sua moglie stabilivano il loro quartier generale quando si fermavano a Gerusalemme.
(1987.3) 185:0.3 Anche se Pilato condusse gran parte dell’interrogatorio di Gesù dentro le sale del pretorio, il giudizio pubblico avvenne fuori sui gradini che portavano all’entrata principale. Questa fu una concessione agli Ebrei, che rifiutavano di entrare in qualsiasi costruzione dei Gentili dove poteva essere impiegato del lievito in questo giorno di preparazione alla Pasqua. Tale condotta non solo li avrebbe resi cerimonialmente impuri e quindi esclusi dalla partecipazione alle celebrazioni pomeridiane di ringraziamento, ma sarebbero stati anche costretti a sottoporsi alle cerimonie di purificazione dopo il tramonto, prima di essere ammessi a partecipare alla cena della Pasqua.
(1987.4) 185:0.4 Benché questi Ebrei non avessero assolutamente la coscienza turbata mentre complottavano per compiere l’assassinio legale di Gesù, erano tuttavia scrupolosi su tutte queste materie di purezza cerimoniale e di regolarità tradizionale. E questi Ebrei non sono stati i soli a non riconoscere gli alti e santi obblighi di natura divina, mentre accordavano una meticolosa attenzione a cose di poca importanza per il benessere umano sia nel tempo che nell’eternità.
(1987.5) 185:1.1 Se Ponzio Pilato non fosse stato un governatore sufficientemente valido delle province minori, Tiberio avrebbe difficilmente permesso che restasse procuratore della Giudea per dieci anni. Benché egli fosse un amministratore abbastanza bravo, era moralmente un codardo. Non era un uomo abbastanza grande da comprendere la natura del suo compito di governatore degli Ebrei. Egli non colse il fatto che questi Ebrei avevano una religione reale, una fede per la quale erano disposti a morire, e che milioni e milioni di loro, sparsi qua e là in tutto l’impero, consideravano Gerusalemme come il luogo sacro della loro fede e rispettavano il Sinedrio come il più alto tribunale della terra.
(1988.1) 185:1.2 Pilato non amava gli Ebrei, e quest’odio profondo cominciò presto a manifestarsi. Di tutte le province romane, nessuna era più difficile da governare quanto la Giudea. Pilato non comprese mai veramente i problemi che comportava l’amministrazione degli Ebrei, e quindi, sin dall’inizio della sua esperienza di governatore, fece una serie di errori gravi quasi fatali e pressoché suicidi. E furono questi gravi errori che diedero agli Ebrei un tale potere su di lui. Quando volevano influenzare le sue decisioni, essi non dovevano che minacciare una rivolta, e Pilato capitolava rapidamente. Questa evidente incertezza, o mancanza di coraggio morale, del procuratore era principalmente dovuta al ricordo di un certo numero di controversie che egli aveva avuto con gli Ebrei e al fatto che ogni volta essi avevano avuto la meglio. Gli Ebrei sapevano che Pilato aveva paura di loro, che temeva per la sua posizione di fronte a Tiberio, ed essi utilizzarono questa conoscenza con grande svantaggio del governatore in numerose occasioni.
(1988.2) 185:1.3 Lo sfavore di Pilato presso gli Ebrei era il risultato di numerosi incontri sfortunati. In primo luogo egli non aveva preso sul serio il loro pregiudizio profondamente radicato contro le immagini quali simboli di adorazione idolatra. Perciò egli permise ai suoi soldati di entrare in Gerusalemme senza togliere le effigi di Cesare dai loro stendardi, come i soldati romani erano soliti fare sotto il suo predecessore. Una numerosa delegazione di Ebrei fece visita a Pilato per cinque giorni, implorandolo di far rimuovere queste effigi dagli stendardi militari. Egli rifiutò seccamente di accogliere la loro richiesta e li minacciò di morte immediata. Essendo uno scettico, Pilato non comprendeva come degli uomini di forti sentimenti religiosi non esitassero a morire per le loro convinzioni religiose; e perciò rimase sgomento quando questi Ebrei si disposero davanti al suo palazzo in gesto di sfida, si prostrarono faccia a terra e gli fecero sapere che erano pronti a morire. Pilato comprese allora di aver fatto una minaccia che non era disposto a mettere in atto. Egli cedette, ordinò che le effigi fossero rimosse dagli stendardi dei suoi soldati a Gerusalemme, e si trovò da quel giorno sottomesso in larga misura ai capricci dei dirigenti ebrei, che avevano in tal modo scoperto la sua debolezza nel fare delle minacce che aveva paura di porre in esecuzione.
(1988.3) 185:1.4 Pilato decise successivamente di riguadagnare questo prestigio perduto, e di conseguenza fece apporre gli stemmi dell’imperatore, quali erano comunemente impiegati per adorare Cesare, sulle mura del palazzo di Erode a Gerusalemme. Quando gli Ebrei protestarono, egli si mostrò inflessibile. Quando egli rifiutò di ascoltare le loro proteste, essi si appellarono prontamente a Roma, e l’imperatore ordinò altrettanto prontamente di rimuovere gli stemmi offensivi. Ed allora Pilato fu tenuto in ancora minor considerazione di prima.
(1988.4) 185:1.5 Un’altra cosa che lo portò in grande sfavore agli occhi degli Ebrei fu che egli osò prelevare del denaro dal tesoro del tempio per pagare la costruzione del nuovo acquedotto per fornire più acqua ai milioni di visitatori di Gerusalemme nei periodi delle grandi feste religiose. Gli Ebrei ritenevano che soltanto il Sinedrio potesse disporre dei fondi del tempio, ed essi non avevano mai cessato d’inveire contro Pilato per questa decisione presuntuosa. La sua decisione provocò non meno di una ventina di sommosse e molti massacri. L’ultima di queste gravi insurrezioni provocò la strage di un numeroso gruppo di Galilei mentre erano in adorazione presso l’altare.
(1988.5) 185:1.6 È significativo che, mentre questo capo romano esitante sacrificò Gesù alla sua paura degli Ebrei e alla salvaguardia della sua posizione personale, alla fine fu deposto a seguito dell’inutile massacro di Samaritani in connessione con le pretese di un falso Messia che condusse una folla sul Monte Garizim, dove egli affermava che erano sepolti dei vasi del tempio. Violenti tumulti scoppiarono quando egli non riuscì a rivelare il luogo in cui erano nascosti i vasi sacri, come aveva promesso. In seguito a questo episodio, il legato della Siria ordinò a Pilato di recarsi a Roma. Tiberio morì mentre Pilato era in viaggio per Roma, ed egli non fu riconfermato procuratore della Giudea. Pilato non si riprese mai completamente dall’incresciosa decisione di avere acconsentito alla crocifissione di Gesù. Non trovando favore agli occhi del nuovo imperatore, egli si ritirò nella provincia di Losanna, dove in seguito si suicidò.
(1989.1) 185:1.7 Claudia Procula, la moglie di Pilato, aveva sentito parlare molto di Gesù dalla sua cameriera personale, che era una credente fenicia al vangelo del regno. Dopo la morte di Pilato, Claudia svolse un ruolo importante nella diffusione della buona novella.
(1989.2) 185:1.8 E tutto ciò spiega gran parte di quello che avvenne in questo tragico venerdì mattina. È facile comprendere perché gli Ebrei si permisero di dare ordini a Pilato — di farlo alzare alle sei del mattino per giudicare Gesù — ed anche perché non esitarono a minacciare di accusarlo di tradimento davanti all’imperatore se avesse osato respingere le loro richieste di mettere a morte Gesù.
(1989.3) 185:1.9 Un degno governatore romano che non fosse stato sfavorevolmente coinvolto verso i dirigenti Ebrei non avrebbe mai permesso a questi fanatici religiosi assetati di sangue di causare la morte di un uomo che lui stesso aveva dichiarato innocente delle loro false accuse e senza colpa. Roma fece un grande errore, un errore dalle conseguenze profonde negli affari terreni, quando mandò il mediocre Pilato a governare la Palestina. Tiberio avrebbe fatto meglio ad inviare agli Ebrei il migliore amministratore provinciale dell’impero.
(1989.4) 185:2.1 Quando Gesù e i suoi accusatori furono riuniti davanti alla sala di giudizio di Pilato, il governatore romano uscì e, rivolgendosi alla compagnia riunita, chiese: “Quale accusa portate contro quest’uomo?” I Sadducei e i consiglieri che si erano incaricati di sbarazzarsi di Gesù avevano deciso di andare davanti a Pilato a chiedere conferma della sentenza di morte pronunciata contro Gesù senza portare delle accuse precise. Perciò il portavoce della corte sinedrista rispose a Pilato: “Se quest’uomo non fosse un malfattore non te l’avremmo consegnato.”
(1989.5) 185:2.2 Quando Pilato notò che erano restii a formulare le loro accuse contro Gesù, sebbene sapesse che erano stati impegnati tutta la notte a deliberare sulla sua colpevolezza, rispose loro: “Poiché non siete d’accordo su delle accuse precise, perché non portate via quest’uomo e lo giudicate in conformità alle vostre leggi?”
(1989.6) 185:2.3 Allora il cancelliere del tribunale del Sinedrio disse a Pilato: “Noi non abbiamo il diritto di mettere a morte un uomo, e questo perturbatore della nostra nazione è meritevole di morte per le cose che ha detto e fatto. Perciò siamo venuti davanti a te per la conferma di questa decisione.”
(1989.7) 185:2.4 Venire davanti al governatore romano per cercare una scappatoia rivelò il malanimo e la stizza dei Sinedristi verso Gesù, come pure la loro mancanza di rispetto per l’equità, l’onore e la dignità di Pilato. Quale sfrontatezza da parte di questi cittadini sottomessi comparire davanti al loro governatore provinciale per chiedere un decreto d’esecuzione contro un uomo prima di avergli assicurato un giudizio equo e senza presentare delle accuse precise di crimine contro di lui!
(1989.8) 185:2.5 Pilato conosceva qualcosa dell’opera di Gesù tra gli Ebrei, e suppose che le accuse che potevano essere portate contro di lui concernessero infrazioni alle leggi ecclesiastiche ebree; cercò quindi di rinviare il caso al loro stesso tribunale. Inoltre, Pilato provò piacere a far confessare loro pubblicamente che erano impotenti a pronunciare ed eseguire la sentenza di morte anche contro un membro della loro stessa razza, che erano giunti a disprezzare con un odio profondo e carico d’invidia.
(1990.1) 185:2.6 Fu qualche ora addietro, poco prima di mezzanotte e dopo che ebbe autorizzato l’impiego dei soldati romani per arrestare segretamente Gesù, che Pilato aveva ricevuto ulteriori informazioni su Gesù e sul suo insegnamento da sua moglie, Claudia, che era parzialmente convertita al Giudaismo e che divenne più tardi totalmente credente nel vangelo di Gesù.
(1990.2) 185:2.7 Pilato avrebbe voluto rinviare questa udienza, ma vide che i dirigenti ebrei erano decisi a procedere con il caso. Egli sapeva che questa era non solo la mattina di preparazione alla Pasqua, ma che questo giorno, essendo venerdì, era anche il giorno di preparazione al sabato ebreo di riposo e di adorazione.
(1990.3) 185:2.8 Pilato, essendo fortemente urtato dalla maniera irriverente con cui questi Ebrei l’avevano contattato, non era intenzionato ad accogliere le loro richieste di condannare Gesù a morte senza un giudizio. Perciò, dopo aver atteso alcuni istanti per consentire loro di presentare le loro accuse contro il prigioniero, si rivolse loro e disse: “Non condannerò a morte quest’uomo senza un giudizio; né consentirò che sia interrogato prima che abbiate presentato le vostre accuse contro di lui per iscritto.”
(1990.4) 185:2.9 Quando il sommo sacerdote e gli altri udirono Pilato dire questo, fecero segno al cancelliere del tribunale, il quale consegnò a Pilato le accuse scritte contro Gesù. E queste accuse erano:
(1990.5) 185:2.10 “Noi troviamo nel tribunale del Sinedrio che quest’uomo è un malfattore ed un perturbatore della nostra nazione per il fatto che è colpevole di:
(1990.6) 185:2.11 “1. Pervertire la nostra nazione ed incitare il nostro popolo alla ribellione.
(1990.7) 185:2.12 “2. Vietare al popolo di pagare il tributo a Cesare.
(1990.8) 185:2.13 “3. Qualificare se stesso re dei Giudei ed insegnare la fondazione di un nuovo regno.”
(1990.9) 185:2.14 Gesù non era stato regolarmente giudicato né legalmente riconosciuto colpevole di alcuna di queste accuse. Egli non aveva nemmeno ascoltato queste accuse quando furono formulate per la prima volta, ma Pilato lo fece portare dal pretorio, dove si trovava sotto la custodia delle guardie, ed insisté che queste accuse fossero ripetute davanti a Gesù.
(1990.10) 185:2.15 Quando Gesù udì queste accuse, sapeva bene che non era stato ascoltato su questi argomenti davanti al tribunale ebreo, e lo sapevano Giovanni Zebedeo ed i suoi accusatori, ma egli non replicò alle loro false accuse. Anche quando Pilato lo pregò di rispondere ai suoi accusatori, egli non aprì bocca. Pilato fu così stupito dall’ingiustizia dell’intero procedimento e così impressionato dal silenzio e dalla serena condotta di Gesù che decise di portare il prigioniero dentro all’aula e d’interrogarlo in privato.
(1990.11) 185:2.16 Pilato aveva la mente confusa, in cuor suo era timoroso degli Ebrei e fortemente scosso nel suo spirito dallo spettacolo di Gesù che stava là maestosamente davanti ai suoi accusatori assetati di sangue, guardandoli non in silenzioso disprezzo, ma con un’espressione di sincera pietà e di addolorato affetto.
(1991.1) 185:3.1 Pilato condusse Gesù e Giovanni Zebedeo in una stanza privata, lasciando le guardie fuori nella sala, ed invitato il prigioniero a sedersi, gli si sedette accanto e gli pose parecchie domande. Pilato cominciò il suo colloquio con Gesù assicurandolo che egli non credeva alla prima accusa contro di lui, cioè che fosse un pervertitore della nazione e che incitasse alla ribellione. Poi gli chiese: “Hai mai insegnato che si doveva rifiutare il tributo a Cesare?” Gesù, indicando Giovanni, disse: “Chiedi a lui o a qualsiasi altra persona che ha ascoltato il mio insegnamento.” Allora Pilato interrogò Giovanni su questa faccenda del tributo, e Giovanni testimoniò sull’insegnamento del suo Maestro e spiegò che Gesù e i suoi apostoli pagavano le imposte sia a Cesare che al tempio. Dopo che Pilato ebbe interrogato Giovanni, disse: “Non dire a nessuno che ho parlato con te.” E Giovanni non rivelò mai questo episodio.
(1991.2) 185:3.2 Pilato si volse poi per interrogare ancora Gesù, dicendo: “Ed ora circa la terza accusa contro di te, sei tu il re dei Giudei?” Poiché c’era nella voce di Pilato un tono di domanda assolutamente sincero, Gesù sorrise al procuratore e disse: “Pilato, chiedi questo da te stesso o fai questa domanda per conto dei miei accusatori?” Al che, con tono di parziale indignazione, il governatore rispose: “Sono io un Ebreo? Il tuo stesso popolo e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me e mi hanno chiesto di condannarti a morte. Io contesto la validità delle loro accuse e sto solo tentando di scoprire per me stesso ciò che hai fatto. Dimmi, hai tu detto di essere il re dei Giudei ed hai cercato di fondare un nuovo regno?”
(1991.3) 185:3.3 Allora Gesù disse a Pilato: “Non percepisci che il mio regno non è di questo mondo? Se il mio regno fosse di questo mondo, certamente i miei discepoli si sarebbero battuti perché io non fossi consegnato nelle mani degli Ebrei. La mia presenza qui davanti a te in questi ceppi è sufficiente a mostrare a tutti gli uomini che il mio regno è un dominio spirituale, la fraternità stessa degli uomini che, grazie alla fede e all’amore, sono divenuti figli di Dio. E questa salvezza è per i Gentili così come per gli Ebrei.”
(1991.4) 185:3.4 “Allora tu sei un re dopotutto?” disse Pilato. E Gesù rispose: “Sì, io sono un re di questo genere, e il mio regno è la famiglia dei figli per fede di mio Padre che è nei cieli. Per questo proposito io sono nato in questo mondo, proprio per rivelare mio Padre a tutti gli uomini e testimoniare la verità di Dio. Ed anche ora ti dichiaro che chiunque ama la verità sente la mia voce.”
(1991.5) 185:3.5 Allora Pilato disse, metà ironicamente e metà sinceramente: “Verità, che cos’è la verità — chi la conosce?”
(1991.6) 185:3.6 Pilato non era in grado di penetrare le parole di Gesù, non era capace di comprendere la natura del suo regno spirituale, ma ora era certo che il prigioniero non aveva fatto nulla che meritasse la morte. Un solo sguardo a Gesù, faccia a faccia, fu sufficiente per convincere anche Pilato che quest’uomo mite e stanco, ma maestoso ed onesto, non era un turbolento e pericoloso rivoluzionario che aspirava a stabilirsi sul trono temporale d’Israele. Pilato pensò di aver compreso qualcosa di ciò che Gesù intendeva dire quando qualificò se stesso un re, perché conosceva gli insegnamenti degli Stoici, i quali proclamavano che “l’uomo saggio è un re”. Pilato fu pienamente convinto che, invece di essere un pericoloso fautore di sedizione, Gesù non era né più né meno che un visionario inoffensivo, un fanatico innocente.
(1991.7) 185:3.7 Dopo aver interrogato il Maestro, Pilato ritornò dai capi dei sacerdoti e dagli accusatori di Gesù e disse: “Ho interrogato quest’uomo e non trovo nessuna colpa in lui. Io non penso che sia colpevole delle accuse che avete formulato contro di lui; penso che dovrebbe essere liberato.” E quando gli Ebrei udirono ciò, furono colti da grande furore, al punto da gridare sfrenatamente che Gesù doveva morire; e uno dei Sinedristi salì audacemente accanto a Pilato dicendo: “Quest’uomo agita il popolo, a cominciare dalla Galilea e continuando in tutta la Giudea. È un seminatore di disordine e un malfattore. Lo rimpiangerai a lungo se rimetterai quest’uomo perverso in libertà.”
(1992.1) 185:3.8 Pilato era in grave difficoltà non sapendo che cosa fare di Gesù; perciò, quando li sentì dire che aveva cominciato la sua opera in Galilea, pensò di sfuggire alla responsabilità di decidere il caso, o quantomeno di guadagnare tempo per riflettere, mandando Gesù a comparire davanti ad Erode, che si trovava allora nella città per assistere alla Pasqua. Pilato pensò anche che questo gesto sarebbe servito da antidoto all’aspro sentimento che era esistito per qualche tempo tra lui ed Erode a seguito di numerosi malintesi su questioni di giurisdizione.
(1992.2) 185:3.9 Pilato, chiamate le guardie, disse: “Quest’uomo è un Galileo. Conducetelo immediatamente da Erode, e quando egli l’avrà interrogato, riferitemi le sue conclusioni.” Ed essi condussero Gesù da Erode.
(1992.3) 185:4.1 Quando Erode Antipa si fermava a Gerusalemme, abitava nell’antico palazzo maccabeo di Erode il Grande, e fu in questa casa dell’antico re che Gesù fu ora condotto dalle guardie del tempio, e fu seguito dai suoi accusatori e da una folla sempre crescente. Erode aveva sentito parlare da lungo tempo di Gesù ed era molto curioso di conoscerlo. Quando il Figlio dell’Uomo fu davanti a lui questo venerdì mattina, il perfido Idumeo non si ricordò nemmeno per un istante del ragazzo di un tempo che era comparso davanti a lui a Sefforis chiedendo una giusta decisione circa il denaro dovuto a suo padre, che era rimasto ucciso accidentalmente mentre lavorava ad uno degli edifici pubblici. Per quanto ne sapeva Erode, non aveva mai visto Gesù, sebbene avesse avuto molte preoccupazioni a causa sua quando l’attività del Maestro era stata concentrata in Galilea. Ora che egli era in custodia di Pilato e dei Giudei, Erode era desideroso di vederlo, sentendosi sicuro contro qualsiasi disordine dovuto a lui in futuro. Erode aveva sentito parlare molto dei miracoli operati da Gesù e sperava realmente di vederlo compiere qualche prodigio.
(1992.4) 185:4.2 Quando condussero Gesù davanti ad Erode, il tetrarca fu colpito dal suo portamento solenne e dalla serena compostezza del suo volto. Per una quindicina di minuti Erode pose delle domande a Gesù, ma il Maestro non volle rispondere. Erode lo derise e lo sfidò a compiere un miracolo, ma Gesù non volle replicare alle sue numerose domande né rispondere ai suoi sarcasmi.
(1992.5) 185:4.3 Allora Erode si rivolse ai capi dei sacerdoti e ai Sadducei e, prestando orecchio alle loro accuse, ascoltò tutto ciò che era stato detto a Pilato, e ancora di più, sui pretesi misfatti del Figlio dell’Uomo. Alla fine, convinto che Gesù non avrebbe né parlato né compiuto un prodigio per lui, Erode, dopo essersi beffato di lui per qualche tempo, lo rivestì di una vecchia veste regale di porpora e lo rimandò da Pilato. Erode sapeva di non avere alcuna giurisdizione su Gesù in Giudea. Sebbene fosse felice di credere che stava finalmente per essere liberato da Gesù in Galilea, egli era contento che fosse Pilato ad avere la responsabilità di metterlo a morte. Erode non si era mai pienamente ripreso dalla paura che lo perseguitava come una maledizione per avere fatto uccidere Giovanni il Battista. In certi momenti Erode aveva anche temuto che Gesù fosse Giovanni risuscitato dalla morte. Ora egli era liberato da quella paura perché notò che Gesù era un tipo di persona molto differente dallo schietto e focoso profeta che aveva osato svelare e denunciare la sua vita privata.
(1993.1) 185:5.1 Quando le guardie ebbero ricondotto Gesù da Pilato, questi uscì sui gradini del pretorio, dove era stato posto il suo seggio di giudizio, e riuniti i capi dei sacerdoti e i Sinedristi disse loro: “Avete condotto quest’uomo davanti a me con l’accusa di pervertire il popolo, d’impedire il pagamento delle imposte e di proclamarsi re dei Giudei. Io l’ho interrogato e non l’ho trovato colpevole di tali accuse. In effetti, non trovo alcuna colpa in lui. Allora l’ho mandato da Erode, e il tetrarca deve essere giunto alla stessa conclusione, poiché ce l’ha rimandato. Certamente niente che meriti la morte è stato commesso da quest’uomo. Se voi pensate ancora che egli debba essere disciplinato, sono disposto a punirlo prima di rilasciarlo.”
(1993.2) 185:5.2 Proprio nel momento in cui gli Ebrei stavano iniziando a gridare le loro proteste contro il rilascio di Gesù, una grande folla venne verso il pretorio per chiedere a Pilato di liberare un prigioniero in onore della festa di Pasqua. Da qualche tempo era divenuto costume dei governatori romani di concedere alla popolazione di scegliere un prigioniero o un condannato per essere amnistiato nel periodo della Pasqua. Ed ora che questa folla era venuta davanti a lui a chiedere il rilascio di un prigioniero, e poiché Gesù era stato così recentemente in grande favore presso le moltitudini, venne in mente a Pilato che poteva forse trarsi fuori dalla difficile situazione proponendo a questo gruppo di rilasciare loro quest’uomo di Galilea come segno di buona volontà in occasione della Pasqua, visto che Gesù era attualmente detenuto davanti al suo seggio di giudizio.
(1993.3) 185:5.3 Mentre la folla si ammassava sui gradini del palazzo, Pilato li sentì gridare il nome di un certo Barabba. Barabba era un noto agitatore politico e un ladro assassino, figlio di un sacerdote, che era stato recentemente arrestato in flagrante delitto di rapina e di omicidio sulla strada di Gerico. Quest’uomo era stato condannato a morire appena fossero passate le festività della Pasqua.
(1993.4) 185:5.4 Pilato si alzò in piedi e spiegò alla folla che Gesù gli era stato portato dai capi dei sacerdoti, i quali chiedevano che fosse messo a morte sulla base di certe accuse, e che egli non riteneva che l’uomo fosse meritevole di morte. Pilato disse: “Chi, dunque, preferireste che io vi rilasciassi, questo Barabba, l’assassino, o questo Gesù di Galilea?” E quando Pilato ebbe parlato così, i capi dei sacerdoti e i consiglieri del Sinedrio gridarono insieme con tutta la loro voce: “Barabba, Barabba!” E quando il popolo vide che i capi dei sacerdoti volevano che Gesù fosse messo a morte, si unì subito alla richiesta della sua esecuzione mentre chiedeva a gran voce il rilascio di Barabba.
(1993.5) 185:5.5 Pochi giorni prima questa moltitudine aveva soggezione di Gesù, ma la plebaglia non aveva più considerazione per uno che, dopo aver affermato di essere il Figlio di Dio, si trovava ora prigioniero dei capi dei sacerdoti e dei dirigenti, e tradotto in giudizio davanti a Pilato in pericolo di morte. Gesù poteva essere un eroe agli occhi della popolazione quando stava cacciando dal tempio i cambiavalute e i mercanti, ma non quando era un prigioniero inerme nelle mani dei suoi nemici ed in giudizio per la sua vita.
(1993.6) 185:5.6 Pilato andò in collera vedendo che i capi dei sacerdoti chiedevano ad alta voce il perdono di un noto assassino mentre urlavano per ottenere il sangue di Gesù. Egli vide la loro malizia e il loro odio e percepì il loro pregiudizio e la loro invidia. Perciò disse loro: “Come potete scegliere la vita di un assassino rispetto a quella di quest’uomo, il cui peggior crimine consiste nel qualificarsi simbolicamente re dei Giudei?” Ma questa non fu un’affermazione saggia da parte di Pilato. I Giudei erano un popolo fiero, allora sottomesso al giogo politico romano, ma fiducioso nella venuta di un Messia che li avrebbe liberati dalla schiavitù dei Gentili con un grande spiegamento di potenza e di gloria. Essi si risentirono più di quanto Pilato potesse immaginare per l’affermazione che questo insegnante di strane dottrine, dal comportamento mite, ora in arresto ed incolpato di crimini meritevoli di morte, fosse definito “il re dei Giudei”. Essi presero questa osservazione come un insulto verso tutto ciò che consideravano sacro ed onorevole nella loro esistenza nazionale, e perciò si lasciarono andare tutti a grandi clamori per il rilascio di Barabba e la morte di Gesù.
(1994.1) 185:5.7 Pilato sapeva che Gesù era innocente delle accuse portate contro di lui, e se fosse stato un giudice giusto e coraggioso, l’avrebbe assolto e rilasciato. Ma egli aveva paura di sfidare questi Giudei irritati, e mentre esitava a fare il proprio dovere, arrivò un messaggero e gli consegnò un messaggio sigillato di sua moglie, Claudia.
(1994.2) 185:5.8 Pilato indicò a coloro che erano riuniti davanti a lui che desiderava leggere la comunicazione che aveva appena ricevuto prima di proseguire l’esame della questione in corso. Quando Pilato aprì questa lettera inviata da sua moglie, lesse: “Ti supplico di non avere niente a che fare con quest’uomo innocente e giusto che chiamano Gesù. Ho molto sofferto in un sogno questa notte a causa sua.” Questa nota di Claudia non solo turbò grandemente Pilato e ritardò così la definizione della questione, ma sfortunatamente fornì anche ai dirigenti ebrei un tempo considerevole per circolare liberamente tra la folla ed incitare il popolo a chiedere il rilascio di Barabba e a reclamare a gran voce la crocifissione di Gesù.
(1994.3) 185:5.9 Infine Pilato tornò ad occuparsi della soluzione del problema che gli stava davanti, chiedendo all’assemblea mista di dirigenti ebrei e di persone che chiedevano un’amnistia: “Che cosa farò di colui che è chiamato il re dei Giudei?” Essi gridarono tutti all’unisono: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!” L’unanimità di questa richiesta da parte della moltitudine eterogenea spaventò ed allarmò Pilato, giudice ingiusto e dominato dalla paura.
(1994.4) 185:5.10 Allora Pilato disse ancora una volta: “Perché vorreste crocifiggere quest’uomo? Che male ha fatto? Chi verrà a testimoniare contro di lui?” Ma quando sentirono Pilato parlare in difesa di Gesù, essi si limitarono a gridare di nuovo: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”
(1994.5) 185:5.11 Allora Pilato fece di nuovo appello a loro circa il rilascio del prigioniero per la Pasqua, dicendo: “Vi chiedo ancora una volta, quale di questi prigionieri vi rilascerò per questo vostro periodo di Pasqua?” E di nuovo la folla gridò: “Dacci Barabba!”
(1994.6) 185:5.12 Allora Pilato disse: “Se rilascio l’assassino Barabba, che cosa farò di Gesù?” E ancora una volta la moltitudine gridò all’unisono: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”
(1994.7) 185:5.13 Pilato fu terrorizzato dal clamore insistente della plebaglia, che agiva sotto la guida diretta dei capi dei sacerdoti e dei consiglieri del Sinedrio; ciononostante, egli decise di fare almeno un ulteriore tentativo di calmare la folla e di salvare Gesù.
(1994.8) 185:6.1 A tutto ciò che sta avvenendo questo venerdì mattina presto davanti a Pilato stanno partecipando solo i nemici di Gesù. I suoi numerosi amici o non sanno ancora del suo arresto notturno e del suo giudizio nelle prime ore del mattino, o si nascondono per paura di essere anch’essi presi e condannati a morte perché credenti agli insegnamenti di Gesù. Tra la moltitudine che grida ora per la morte del Maestro si trovano soltanto suoi nemici giurati e la popolazione sconsiderata e facile da manovrare.
(1995.1) 185:6.2 Pilato volle fare un ultimo appello alla loro pietà. Avendo paura di sfidare il clamore di questa plebaglia sviata che reclamava il sangue di Gesù, egli ordinò alle guardie ebree e ai soldati romani di prendere Gesù e di flagellarlo. Questa era in se stessa una procedura ingiusta e illegale, perché la legge romana prevedeva che solo i condannati a morte mediante crocifissione fossero assoggettati così alla flagellazione. Le guardie condussero Gesù nel cortile aperto del pretorio per questo supplizio. Anche se i suoi nemici non assisterono a questa flagellazione, vi assisté Pilato, e prima che avessero portato a termine questo flagrante abuso, egli ordinò ai flagellatori di fermarsi e fece segno che Gesù fosse condotto da lui. Prima che i flagellatori calassero i loro nodosi scudisci su Gesù, dopo che fu legato al palo della flagellazione, essi lo rivestirono con la veste di porpora, e intrecciata una corona di spine gliela posero sulla fronte. E dopo avergli messo una canna nella mano come finto scettro, s’inginocchiarono davanti a lui e lo beffeggiarono dicendo: “Salve, re dei Giudei!” E sputarono su di lui e lo colpirono in viso con le mani. E uno di loro, prima di ricondurlo da Pilato, gli prese la canna dalla mano e lo colpì sulla testa.
(1995.2) 185:6.3 Poi Pilato condusse fuori questo prigioniero sanguinante e lacero, e presentandolo alla folla variopinta disse: “Ecco l’uomo! Di nuovo io vi dichiaro che non trovo alcuna colpa in lui, e dopo averlo flagellato vorrei rilasciarlo.”
(1995.3) 185:6.4 Gesù di Nazaret stava là, vestito di una vecchia veste regale purpurea, con una corona di spine che trafiggeva la sua fronte serena. Il suo viso era macchiato di sangue e il suo corpo piegato dalla sofferenza e dall’angoscia. Ma niente può smuovere il cuore insensibile di coloro che sono vittime di un intenso odio emotivo e schiavi di pregiudizi religiosi. Questo spettacolo trasmise un profondo fremito d’orrore nei regni di un vasto universo, ma non toccò il cuore di coloro che avevano deciso nella loro mente di distruggere Gesù.
(1995.4) 185:6.5 Dopo che si furono ripresi dallo shock iniziale alla vista della condizione del Maestro, essi ripresero a gridare più forte e più a lungo: “Crocifiggilo! Crocifiggilo! Crocifiggilo!”
(1995.5) 185:6.6 Ed ora Pilato comprese che era futile appellarsi ai loro ipotetici sentimenti di pietà. Egli si fece avanti e disse: “Percepisco che siete determinati che quest’uomo debba morire, ma che cosa ha fatto per meritare la morte? Chi vuole dichiarare il suo crimine?”
(1995.6) 185:6.7 Allora il sommo sacerdote stesso si fece avanti e, salito da Pilato, dichiarò con irritazione: “Noi abbiamo una legge sacra, e secondo tale legge quest’uomo dovrebbe morire perché ha lui stesso proclamato di essere il Figlio di Dio.” Quando Pilato udì ciò, ebbe ancora più paura, non solo degli Ebrei, ma ricordando il messaggio di sua moglie e la mitologia greca degli dei che scendono sulla terra, egli tremava ora al pensiero che Gesù potesse essere un personaggio divino. Egli fece un cenno con la mano alla folla per farla tacere, mentre prese Gesù per il braccio e lo ricondusse all’interno dell’edificio per poterlo interrogare ancora. Pilato era ora confuso dalla paura, sconcertato dalla superstizione e turbato dall’ostinato atteggiamento della plebaglia.
(1995.7) 185:7.1 Mentre Pilato, tremante di paura e d’emozione, si sedeva accanto a Gesù, chiese: “Da dove vieni? Chi sei realmente? Com’è che dicono che sei il Figlio di Dio?”
(1996.1) 185:7.2 Ma Gesù non poteva rispondere a queste domande poste da un giudice timoroso degli uomini, debole e titubante, che era stato così ingiusto da farlo fustigare anche dopo averlo dichiarato innocente di ogni delitto e prima di essere stato debitamente condannato a morte. Gesù guardò Pilato diritto negli occhi, ma non gli rispose. Allora Pilato disse: “Rifiuti di parlarmi? Non comprendi che ho ancora il potere di rilasciarti o di crocifiggerti?” Allora Gesù disse: “Tu non avresti alcun potere su di me se ciò non fosse permesso dall’alto. Tu non potresti esercitare alcuna autorità sul Figlio dell’Uomo se il Padre che è nei cieli non lo permettesse. Ma tu non sei così colpevole, poiché ignori il vangelo. Colui che mi ha tradito e colui che mi ha consegnato a te, essi hanno commesso il peccato più grande.”
(1996.2) 185:7.3 Quest’ultimo colloquio con Gesù terrorizzò del tutto Pilato. Questo codardo morale e giudice debole penava ora sotto il duplice fardello del timore superstizioso di Gesù e della paura mortale dei dirigenti ebrei.
(1996.3) 185:7.4 Pilato comparve di nuovo davanti alla folla dicendo: “Io sono certo che quest’uomo è soltanto un trasgressore religioso. Dovreste prenderlo e giudicarlo secondo la vostra legge. Perché vi aspettate che io acconsenta alla sua morte per il fatto che è entrato in conflitto con le vostre tradizioni?”
(1996.4) 185:7.5 Pilato era sul punto di liberare Gesù quando Caifa, il sommo sacerdote, si avvicinò al codardo giudice romano e, agitando un dito vendicatore in faccia a Pilato, disse con parole di collera che tutta la moltitudine poté udire: “Se rilasci quest’uomo non sei amico di Cesare, e vedrò che l’imperatore sappia tutto.” Questa minaccia pubblica fu troppo per Pilato. Il timore per la sua posizione personale eclissò ora ogni altra considerazione, e il codardo governatore ordinò che Gesù fosse portato davanti al seggio del giudizio. Mentre il Maestro stava là davanti a loro, egli lo indicò col dito e disse sarcasticamente: “Ecco il vostro re.” E gli Ebrei risposero: “Portalo via. Crocifiggilo!” Ed allora Pilato disse con molta ironia e sarcasmo: “Crocifiggerò il vostro re?” E gli Ebrei risposero: “Sì, crocifiggilo! Non abbiamo altro re che Cesare.” Ed allora Pilato si rese conto che non c’era alcuna speranza di salvare Gesù, poiché non era disposto a sfidare gli Ebrei.
(1996.5) 185:8.1 Il Figlio di Dio incarnato come Figlio dell’Uomo stava là. Era stato arrestato senza colpa; accusato senza prove; giudicato senza testimoni; punito senza un verdetto; ed ora stava per essere condannato a morte da un giudice ingiusto che confessava di non riuscire a trovare alcuna colpa in lui. Se Pilato aveva pensato di appellarsi al loro patriottismo chiamando Gesù “re dei Giudei”, aveva completamente sbagliato. Gli Ebrei non stavano aspettando un tale re. La dichiarazione dei capi dei sacerdoti e dei Sadducei “non abbiamo altro re che Cesare” fu uno shock anche per la popolazione ignorante, ma oramai era troppo tardi per salvare Gesù anche se il popolino avesse osato sposare la causa del Maestro.
(1996.6) 185:8.2 Pilato temeva un tumulto o una rivolta. Egli non osò rischiare di avere tali disordini durante il periodo della Pasqua a Gerusalemme. Aveva ricevuto recentemente un rimprovero da Cesare e non voleva rischiarne un altro. Il popolino applaudì quando egli ordinò il rilascio di Barabba. Poi egli fece portare una bacinella e dell’acqua, e là davanti alla moltitudine si lavò le mani dicendo: “Io sono innocente del sangue di quest’uomo. Voi siete determinati a che egli muoia, ma io non ho trovato alcuna colpa in lui. Occupatevene voi. I soldati lo condurranno via.” Ed allora il popolino applaudì e rispose: “Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli.”
(1997.1) 186:0.1 QUANDO Gesù e i suoi accusatori partirono per andare da Erode, il Maestro si rivolse all’apostolo Giovanni e gli disse: “Giovanni, non puoi fare più nulla per me. Va da mia madre e conducila a vedermi prima che io muoia.” Quando Giovanni sentì la richiesta del suo Maestro, sebbene fosse riluttante a lasciarlo da solo tra i suoi nemici, si avviò in fretta verso Betania, dove tutta la famiglia di Gesù era riunita in attesa a casa di Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro che Gesù aveva risuscitato dalla morte.
(1997.2) 186:0.2 Parecchie volte durante la mattinata dei messaggeri avevano portato a Marta e Maria notizie sugli sviluppi del processo a Gesù. Ma la famiglia di Gesù era giunta a Betania solo pochi minuti prima che arrivasse Giovanni portando la richiesta di Gesù di vedere sua madre prima di essere messo a morte. Dopo che Giovanni Zebedeo ebbe raccontato loro tutto ciò che era successo dopo l’arresto di Gesù a mezzanotte, Maria sua madre partì subito in compagnia di Giovanni per vedere suo figlio primogenito. Nel momento in cui Maria e Giovanni raggiunsero la città, Gesù, accompagnato dai soldati romani che dovevano crocifiggerlo, era già arrivato al Golgota.
(1997.3) 186:0.3 Quando Maria madre di Gesù partì con Giovanni per andare da suo figlio, la sorella Rut rifiutò di restare indietro con il resto della famiglia. Poiché essa era decisa ad accompagnare sua madre, suo fratello Giuda partì con lei. Il resto della famiglia del Maestro rimase a Betania sotto la direzione di Giacomo, e quasi ogni ora i messaggeri di Davide Zebedeo portavano loro notizie concernenti lo svolgimento di quella terribile vicenda, la messa a morte del loro fratello maggiore, Gesù di Nazaret.
(1997.4) 186:1.1 Erano circa le otto e mezzo di questo venerdì mattina quando l’udienza di Gesù davanti a Pilato fu terminata e il Maestro fu consegnato ai soldati romani che dovevano crocifiggerlo. Appena i Romani presero possesso di Gesù, il capitano delle guardie ebree ritornò con i suoi uomini al loro quartier generale al tempio. Il sommo sacerdote ed i suoi associati Sinedristi seguirono da vicino le guardie, andando direttamente al loro usuale luogo di riunione nella sala di pietra tagliata del tempio. Qui essi trovarono numerosi altri membri del Sinedrio che aspettavano di sapere che cosa era stato fatto di Gesù. Mentre Caifa si apprestava a fare il suo rapporto al Sinedrio sul giudizio e la condanna di Gesù, Giuda comparve davanti a loro reclamando la sua ricompensa per il ruolo che aveva svolto nell’arresto e nella condanna a morte del suo Maestro.
(1997.5) 186:1.2 Tutti questi Ebrei detestavano Giuda; essi avevano per il traditore solo sentimenti di totale disprezzo. Per tutto il giudizio di Gesù davanti a Caifa e durante la sua comparizione davanti a Pilato, Giuda provò rimorso nella sua coscienza per la sua condotta di traditore. Ed egli cominciava ad essere anche un po’ disilluso circa la ricompensa che avrebbe ricevuto come pagamento dei suoi servizi per aver tradito Gesù. Egli non amava la freddezza e il distacco delle autorità ebraiche; ciò nonostante, si aspettava di essere largamente ricompensato per la sua vile condotta. Egli si aspettava di essere chiamato davanti a tutto il Sinedrio per ascoltare il proprio elogio mentre gli conferivano degli onori appropriati quale compenso del grande servizio che si compiaceva di aver reso alla sua nazione. Immaginate quindi la grande sorpresa di questo traditore egoista quando un servo del sommo sacerdote, battendogli sulla spalla, lo chiamò fuori dalla sala e gli disse: “Giuda, sono stato incaricato di pagarti per il tradimento di Gesù. Ecco la tua ricompensa.” Così dicendo il servo di Caifa consegnò a Giuda una borsa contenente trenta pezzi d’argento — il prezzo corrente di un buon schiavo valido.
(1998.1) 186:1.3 Giuda rimase stordito, muto di stupore. Egli si precipitò per rientrare nella sala, ma ne fu impedito dal guardiano della porta. Egli voleva appellarsi al Sinedrio, ma essi rifiutarono di riceverlo. Giuda non poteva credere che questi dirigenti degli Ebrei gli avessero permesso di tradire i suoi amici e il suo Maestro per offrirgli poi come ricompensa trenta pezzi d’argento. Egli era umiliato, disilluso e completamente distrutto. Si allontanò dal tempio, per così dire, in trance. Fece cadere come un automa la borsa del denaro nella sua tasca profonda, la stessa tasca in cui aveva portato così a lungo la borsa contenente i fondi apostolici. Ed errò per la città seguendo la folla che stava andando ad assistere alle crocifissioni.
(1998.2) 186:1.4 Da lontano Giuda vide che rizzavano la croce su cui era inchiodato Gesù, e a questa vista egli ritornò precipitosamente al tempio, superò di forza il guardiano della porta e si trovò in presenza del Sinedrio, che era ancora in sessione. Il traditore era quasi senza fiato e profondamente sconvolto, ma riuscì a balbettare queste parole: “Io ho peccato per aver tradito del sangue innocente. Voi mi avete insultato. Mi avete offerto come ricompensa per il mio servizio del denaro — il prezzo di uno schiavo. Io mi pento di avere fatto questo; ecco il vostro denaro. Voglio sottrarmi alla colpa di questo atto.”
(1998.3) 186:1.5 Dopo che i dirigenti ebrei ebbero ascoltato Giuda, si fecero beffe di lui. Uno di loro seduto accanto a dove stava Giuda lo invitò a lasciare la sala e disse: “Il tuo Maestro è già stato messo a morte dai Romani, e quanto alla tua colpa, che cosa ce ne importa? Arrangiati — e vattene!”
(1998.4) 186:1.6 Lasciando la sala del Sinedrio, Giuda tolse i trenta pezzi d’argento dalla borsa e li gettò sul pavimento del tempio. Quando il traditore lasciò il tempio era quasi fuori di sé. Giuda stava ora passando per l’esperienza della realizzazione della vera natura del peccato. L’attrattiva, il fascino e l’ebbrezza della cattiva azione erano tutti svaniti. Ora il malfattore era solo, faccia a faccia con il verdetto del giudizio della sua anima disincantata e delusa. Il peccato era stato ammaliante ed avventuroso nel commetterlo, ma ora egli doveva affrontare la messe dei fatti nudi e crudi e privi di romanticismo.
(1998.5) 186:1.7 Questo, un tempo ambasciatore del regno dei cieli sulla terra, errava ora per le strade di Gerusalemme solo e abbandonato. La sua disperazione era enorme e quasi assoluta. Egli proseguì attraverso la città e uscì dalle mura, fino al terribile luogo solitario della valle di Hinnom, dove salì su delle rocce scoscese e, presa la cintura della sua veste, ne fissò un’estremità ad un piccolo albero, annodò l’altra attorno al suo collo, e si gettò nel precipizio. Prima che fosse morto, il nodo che avevano fatto le sue mani nervose si sciolse, e il corpo del traditore si sfracellò cadendo sulle sottostanti rocce appuntite.
(1999.1) 186:2.1 Quando Gesù fu arrestato, sapeva che la sua opera sulla terra nelle sembianze della carne mortale era terminata. Egli comprendeva pienamente il genere di morte di cui sarebbe morto, e non si preoccupò affatto dei dettagli dei suoi cosiddetti giudizi.
(1999.2) 186:2.2 Davanti al tribunale del Sinedrio, Gesù rifiutò di rispondere alle testimonianze di testimoni spergiuri. Ci fu una sola domanda che provocò sempre una risposta, fosse essa posta da amici o da nemici, e fu quella concernente la natura e la divinità della sua missione sulla terra. Quando gli chiesero se era il Figlio di Dio, egli rispose immancabilmente. Egli rifiutò fermamente di parlare in presenza del curioso ed iniquo Erode. Davanti a Pilato parlò soltanto quando pensò che Pilato o qualche altra persona sincera potevano essere aiutati a conoscere meglio la verità da ciò che diceva. Gesù aveva insegnato ai suoi apostoli l’inutilità di gettare le loro perle ai porci, ed egli ora osava praticare ciò che aveva insegnato. La sua condotta in questo momento esemplificava la paziente sottomissione della natura umana, unita al maestoso silenzio e alla solenne dignità della natura divina. Egli era del tutto disposto a discutere con Pilato qualsiasi questione concernente le accuse politiche portate contro di lui — qualsiasi questione che egli riconosceva come pertinente alla giurisdizione del governatore.
(1999.3) 186:2.3 Gesù era convinto che fosse volontà del Padre che egli si sottomettesse al corso naturale e ordinario degli eventi umani, proprio come deve fare ogni altra creatura mortale, e perciò rifiutò d’impiegare anche i suoi poteri puramente umani di eloquenza persuasiva per influenzare l’esito delle macchinazioni dei suoi simili mortali socialmente miopi e spiritualmente ciechi. Sebbene Gesù sia vissuto e morto su Urantia, tutta la sua carriera umana, dall’inizio alla fine, fu uno spettacolo destinato ad influenzare e ad istruire l’intero universo che aveva creato ed incessantemente sostenuto.
(1999.4) 186:2.4 Questi Ebrei miopi urlavano scompostamente per chiedere la morte del Maestro, mentre egli stava là in terribile silenzio osservando la scena della morte di una nazione — dello stesso popolo di suo padre terreno.
(1999.5) 186:2.5 Gesù aveva acquisito quel tipo di carattere umano che può conservare la sua padronanza ed affermare la sua dignità di fronte ad insulti continuati e gratuiti. Egli non poteva essere intimidito. Quando fu assalito la prima volta dal servo di Anna, egli aveva soltanto suggerito l’opportunità di chiamare dei testimoni che potessero testimoniare debitamente contro di lui.
(1999.6) 186:2.6 Dall’inizio alla fine del suo cosiddetto giudizio davanti a Pilato, le schiere celesti in osservazione non poterono trattenersi dal diffondere all’universo la descrizione della scena di “Pilato in giudizio davanti a Gesù”.
(1999.7) 186:2.7 Davanti a Caifa, e dopo che ogni testimonianza spergiura era crollata, Gesù non esitò a rispondere alla domanda del sommo sacerdote, fornendo così con la sua stessa testimonianza ciò che essi desideravano come base per giudicarlo colpevole di bestemmia.
(1999.8) 186:2.8 Il Maestro non manifestò mai il minimo interesse per gli sforzi ben intenzionati ma tiepidi di Pilato per giungere al suo rilascio. Egli aveva realmente pietà di Pilato e si sforzò sinceramente d’illuminare la sua mente ottenebrata. Egli rimase totalmente passivo a tutti gli appelli del governatore romano agli Ebrei perché ritirassero le loro accuse criminali contro di lui. Durante l’intera triste prova egli si comportò con una dignità semplice ed una maestà senza ostentazione. Egli non volle nemmeno fare delle insinuazioni sull’insincerità di coloro che volevano assassinarlo quando gli chiesero se era “re dei Giudei”. Con un minimo adeguato chiarimento egli accettò la designazione, sapendo che, avendo essi scelto di respingerlo, egli sarebbe stato l’ultimo ad offrire loro una reale guida nazionale, anche in senso spirituale.
(2000.1) 186:2.9 Gesù parlò poco durante questi processi, ma disse abbastanza per mostrare a tutti i mortali il genere di carattere umano che l’uomo può perfezionare in associazione con Dio, e per rivelare a tutto l’universo il modo in cui Dio può divenire manifesto nella vita della creatura quando tale creatura sceglie veramente di fare la volontà del Padre, divenendo così un figlio attivo del Dio vivente.
(2000.2) 186:2.10 Il suo amore per i mortali ignoranti è pienamente rivelato dalla sua pazienza e dalla sua grande padronanza di sé di fronte agli scherni, alle percosse e agli schiaffi dei rozzi soldati e dei servi sciocchi. Egli non si irritò nemmeno quando lo bendarono e, colpendolo con derisione in viso, esclamavano: “Profetizzaci chi ti ha colpito”.
(2000.3) 186:2.11 Pilato era più vicino al vero di quanto pensasse quando, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo presentò alla folla esclamando: “Ecco l’uomo!” In verità, il governatore romano dominato dalla paura non immaginava affatto che proprio in quel momento l’universo fosse sul chi vive, contemplando questa scena unica del suo amato Sovrano assoggettato in modo così umiliante ai sarcasmi e alle percosse dei suoi sudditi mortali ottenebrati e degradati. E mentre Pilato parlava, riecheggiò in tutto Nebadon: “Ecco Dio e l’uomo!” In tutto un universo, innumerevoli milioni di creature hanno da quel giorno sempre continuato a contemplare quell’uomo, mentre il Dio di Havona, il capo supremo dell’universo degli universi, accetta l’uomo di Nazaret come soddisfacimento dell’ideale delle creature mortali di questo universo locale del tempo e dello spazio. Nella sua vita incomparabile egli non mancò mai di rivelare Dio all’uomo. Ora, in questi episodi finali della sua carriera di mortale e nella sua morte successiva, egli fece una rivelazione nuova e commovente dell’uomo a Dio.
(2000.4) 186:3.1 Poco dopo che Gesù era stato riconsegnato ai soldati romani a conclusione dell’udienza davanti a Pilato, un distaccamento delle guardie del tempio partì in fretta per Getsemani per disperdere o arrestare i discepoli del Maestro. Ma molto prima del loro arrivo questi discepoli si erano sparpagliati. Gli apostoli si erano ritirati in nascondigli prestabiliti; i Greci si erano separati ed erano andati in differenti case a Gerusalemme; gli altri discepoli erano pure spariti. Davide Zebedeo riteneva che i nemici di Gesù sarebbero tornati, cosicché trasferì subito cinque o sei tende più in alto nella forra, vicino al luogo in cui il Maestro si era ritirato così spesso a pregare e adorare. Egli si proponeva di nascondersi qui e di mantenere allo stesso tempo un centro, o stazione di coordinamento, per il suo servizio di messaggeri. Davide aveva appena lasciato il campo quando giunsero le guardie del tempio. Non trovando nessuno sul posto, essi si accontentarono d’incendiare il campo e di ritornare poi in fretta al tempio. Ascoltando il loro rapporto, il Sinedrio fu rassicurato che i discepoli di Gesù erano così completamente spaventati e soggiogati che non vi sarebbe stato alcun pericolo di sommossa o possibile tentativo di liberare Gesù dalle mani dei suoi carnefici. Essi potevano finalmente respirare tranquilli, e così si separarono, andando ciascuno per la propria strada a prepararsi per la Pasqua.
(2000.5) 186:3.2 Appena Gesù fu riconsegnato ai soldati romani da Pilato per essere crocifisso, un messaggero partì in fretta per Getsemani per informare Davide, e nello spazio di cinque minuti dei corrieri erano in viaggio per Betsaida, Pella, Filadelfia, Sidone, Sichem, Hebron, Damasco e Alessandria. E questi messaggeri portavano la notizia che Gesù stava per essere crocifisso dai Romani su insistente richiesta dei dirigenti degli Ebrei.
(2001.1) 186:3.3 Per tutta questa tragica giornata, fino a quando partì l’ultimo messaggio che il Maestro era stato deposto nella tomba, Davide inviò circa ogni mezz’ora dei messaggeri con rapporti per gli apostoli, i Greci e la famiglia terrena di Gesù, riunita a casa di Lazzaro a Betania. Quando i messaggeri partirono con la notizia che Gesù era stato sepolto, Davide congedò il suo corpo di corrieri locali per la celebrazione della Pasqua e il riposo del sabato successivo, ordinando loro di presentarsi in modo discreto a lui la domenica mattina a casa di Nicodemo, dove si proponeva di andare a nascondersi per alcuni giorni con Andrea e Simon Pietro.
(2001.2) 186:3.4 Questo Davide Zebedeo dalla mente particolare fu il solo tra i principali discepoli di Gesù che fu incline ad avere una visione chiara e precisa dell’affermazione del Maestro che sarebbe morto e “risuscitato il terzo giorno”. Davide l’aveva inteso una volta fare questa predizione, ed essendo di mente pratica, si proponeva ora di riunire i suoi messaggeri domenica mattina presto a casa di Nicodemo perché fossero pronti a diffondere la notizia nel caso Gesù fosse risuscitato dalla morte. Davide non tardò a scoprire che nessuno dei discepoli di Gesù si aspettava che tornasse così presto dalla tomba. Perciò egli parlò poco della sua credenza e non disse nulla sulla mobilitazione di tutto il suo gruppo di messaggeri per domenica mattina presto, salvo ai corrieri che erano stati mandati il venerdì mattina nelle città lontane e nei centri dei credenti.
(2001.3) 186:3.5 E così questi discepoli di Gesù, sparsi in tutta Gerusalemme e nei suoi dintorni, quella notte condivisero la Pasqua e il giorno successivo rimasero nascosti.
(2001.4) 186:4.1 Dopo che Pilato si fu lavato le mani davanti alla moltitudine, cercando così di sfuggire alla colpa di aver consegnato un innocente per essere crocifisso solo perché egli aveva paura di resistere al clamore dei dirigenti ebrei, ordinò che il Maestro fosse consegnato ai soldati romani e diede istruzioni al loro capitano che fosse crocifisso immediatamente. Dopo aver preso in consegna Gesù, i soldati lo ricondussero nel cortile del pretorio, e dopo avergli levato la veste che Erode gli aveva messo, lo vestirono con le sue vesti. Questi soldati si burlarono di lui e lo derisero, ma non gli inflissero altre punizioni fisiche. Gesù era ora solo con questi soldati romani. I suoi amici erano nascosti; i suoi nemici erano andati per la loro strada; anche Giovanni Zebedeo non era più al suo fianco.
(2001.5) 186:4.2 Erano da poco passate le otto del mattino quando Pilato consegnò Gesù ai soldati, e poco meno delle nove quando essi partirono per la scena della crocifissione. Durante questo periodo di più di mezz’ora Gesù non disse una parola. Gli affari amministrativi di un grande universo erano praticamente fermi. Gabriele e i principali dirigenti di Nebadon erano riuniti qui su Urantia, oppure erano in vigile attesa dei rapporti spaziali degli arcangeli per essere informati su ciò che stava accadendo al Figlio dell’Uomo su Urantia.
(2001.6) 186:4.3 Al momento in cui i soldati furono pronti a partire con Gesù per il Golgota, avevano cominciato ad essere impressionati dalla sua eccezionale compostezza e dalla sua straordinaria dignità, dal suo rassegnato silenzio.
(2001.7) 186:4.4 Gran parte del ritardo nel condurre Gesù al luogo della crocifissione fu dovuto ad una decisione del capitano, presa all’ultimo momento, di condurre anche due ladri che erano stati condannati a morte; poiché Gesù doveva essere crocifisso quella mattina, il capitano romano pensò che questi due potevano anch’essi morire con lui piuttosto che attendere la fine delle festività pasquali.
(2002.1) 186:4.5 Appena i ladri poterono essere pronti, furono portati nel cortile, dove guardarono Gesù, uno di loro per la prima volta, ma l’altro l’aveva spesso sentito parlare sia nel tempio che molti mesi prima al campo di Pella.
(2002.2) 186:5.1 Non c’è alcuna relazione diretta tra la morte di Gesù e la Pasqua ebraica. È vero, il Maestro sacrificò la sua vita nella carne in questo giorno, il giorno della preparazione alla Pasqua ebraica, e press’a poco nel momento in cui si sacrificavano gli agnelli pasquali nel tempio. Ma la coincidenza casuale di questi avvenimenti non indica in alcun modo che la morte del Figlio dell’Uomo sulla terra abbia una qualche connessione con il sistema sacrificale ebraico. Gesù era un Ebreo, ma come Figlio dell’Uomo era un mortale dei regni. Gli avvenimenti già narrati e sfocianti in quest’ora dell’imminente crocifissione del Maestro sono sufficienti ad indicare che la sua morte in questo periodo fu un evento puramente naturale e dovuto all’uomo.
(2002.3) 186:5.2 Fu l’uomo e non Dio che progettò ed eseguì la morte di Gesù sulla croce. È vero, il Padre rifiutò d’interferire nello svolgersi degli eventi umani su Urantia, ma il Padre del Paradiso non decretò, né pretese o richiese la morte di suo Figlio quale avvenne sulla terra. È un fatto che in qualche modo, presto o tardi, Gesù avrebbe dovuto svestirsi del suo corpo mortale, della sua incarnazione nella carne, ma avrebbe potuto eseguire tale compito in innumerevoli modi senza morire su una croce tra due ladroni. Tutto ciò fu opera dell’uomo, non di Dio.
(2002.4) 186:5.3 Al momento del suo battesimo il Maestro aveva già completato la tecnica dell’esperienza richiesta sulla terra e nella carne necessaria per completare il suo settimo ed ultimo conferimento nell’universo. In questo stesso momento il compito di Gesù sulla terra era terminato. Tutta la vita che egli visse poi, ed anche il modo in cui morì, furono un ministero puramente personale da parte sua per il benessere e l’elevazione delle sue creature mortali su questo mondo e su altri mondi.
(2002.5) 186:5.4 Il vangelo della buona novella che l’uomo mortale può, per mezzo della fede, divenire spiritualmente cosciente di essere figlio di Dio, non dipende dalla morte di Gesù. È vero, tutto questo vangelo del regno è stato straordinariamente illuminato dalla morte del Maestro, ma lo è stato ancor più dalla sua vita.
(2002.6) 186:5.5 Tutto ciò che il Figlio dell’Uomo disse o fece sulla terra abbellì grandemente le dottrine della filiazione con Dio e della fratellanza degli uomini, ma queste essenziali relazioni tra Dio e gli uomini sono insite nei fatti universali dell’amore di Dio per le sue creature e dell’innata misericordia dei Figli divini. Queste relazioni toccanti e divinamente belle tra l’uomo e il suo Creatore su questo mondo e su tutti gli altri mondi dell’intero universo degli universi sono esistite dall’eternità. Ed esse non dipendono in alcun senso dall’effettuazione di questi periodici conferimenti dei Figli Creatori di Dio, che assumono così la natura e le sembianze delle intelligenze create da loro come parte del prezzo che devono pagare per l’acquisizione definitiva della sovranità illimitata sui loro rispettivi universi locali.
(2002.7) 186:5.6 Il Padre che è nei cieli amava l’uomo mortale della terra prima della vita e della morte di Gesù su Urantia, tanto quanto dopo questa manifestazione trascendente della co-associazione di uomo e Dio. Questa potente operazione dell’incarnazione del Dio di Nebadon come uomo su Urantia non poteva accrescere gli attributi del Padre eterno, infinito ed universale, ma arricchì ed illuminò tutti gli altri amministratori e creature dell’universo di Nebadon. Mentre il Padre che è nei cieli non ci ama maggiormente a causa di questo conferimento di Micael, tutte le altre intelligenze celesti lo fanno. E ciò in quanto Gesù non solo fece una rivelazione di Dio all’uomo, ma fece anche parimenti una nuova rivelazione dell’uomo a Dio e alle intelligenze celesti dell’universo degli universi.
(2003.1) 186:5.7 Gesù non sta per morire a titolo di sacrificio per il peccato. Non sta andando a fare ammenda della colpa morale innata della razza umana. L’umanità non ha una tale colpa razziale al cospetto di Dio. La colpa è una mera questione di peccato personale e di ribellione cosciente e deliberata contro la volontà del Padre e l’amministrazione dei suoi Figli.
(2003.2) 186:5.8 Il peccato e la ribellione non hanno niente a che fare con il fondamentale piano di conferimento dei Figli Paradisiaci di Dio, sebbene sembri a noi che il piano di salvezza sia un aspetto diretto del piano di conferimento.
(2003.3) 186:5.9 La salvezza di Dio per i mortali di Urantia sarebbe stata altrettanto efficace ed infallibilmente certa se Gesù non fosse stato messo a morte dalle crudeli mani di mortali ignoranti. Se il Maestro fosse stato accolto favorevolmente dai mortali della terra e fosse partito da Urantia per abbandono volontario della sua vita nella carne, il fatto dell’amore di Dio e della misericordia del Figlio — il fatto della filiazione con Dio — non sarebbe stato intaccato in alcun modo. Voi mortali siete i figli di Dio, e solo una cosa è richiesta per rendere fattuale tale verità nella vostra esperienza personale, ed è la vostra fede nata dallo spirito.
(2004.1) 187:0.1 DOPO che i due briganti furono stati preparati, i soldati, sotto il comando di un centurione, partirono per la scena della crocifissione. Il centurione che comandava questi dodici soldati era lo stesso capitano che aveva condotto i soldati romani la notte precedente per arrestare Gesù a Getsemani. I Romani avevano l’abitudine di assegnare quattro soldati ad ogni persona che doveva essere crocifissa. I due briganti furono debitamente flagellati prima di essere portati via per essere crocifissi, ma Gesù non subì nuove punizioni fisiche; senza dubbio il capitano riteneva che egli fosse già stato sufficientemente flagellato prima ancora della sua condanna.
(2004.2) 187:0.2 I due ladri crocifissi con Gesù erano associati di Barabba e avrebbero dovuto essere messi a morte più tardi con il loro capo se questi non fosse stato rilasciato in virtù del perdono di Pilato per la Pasqua. Gesù fu così crocifisso al posto di Barabba.
(2004.3) 187:0.3 Ciò che Gesù sta ora per fare, sottomettersi alla morte sulla croce, lo fa di sua libera volontà. Predicendo questa esperienza egli disse: “Il Padre mi ama e mi sostiene perché sono disposto ad abbandonare la mia vita. Ma io la riprenderò. Nessuno può togliermi la vita — io l’abbandono da me stesso. Io ho l’autorità per abbandonarla ed ho l’autorità per riprenderla. Ho ricevuto tale comandamento da mio Padre.”
(2004.4) 187:0.4 Era poco prima delle nove di questa mattina quando i soldati condussero Gesù dal pretorio verso il Golgota. Essi erano seguiti da molti che simpatizzavano segretamente per Gesù, ma la maggior parte di questo gruppo di duecento o più persone erano suoi nemici o fannulloni curiosi che desideravano semplicemente godere l’emozione di assistere alle crocifissioni. Soltanto alcuni dei dirigenti ebrei andarono a vedere Gesù morire sulla croce. Sapendo che era stato consegnato da Pilato ai soldati romani, e che era condannato a morire, essi si occuparono della loro riunione nel tempio, dove discussero che cosa si dovesse fare dei suoi discepoli.
(2004.5) 187:1.1 Prima di lasciare il cortile del pretorio, i soldati posero la trave trasversale sulle spalle di Gesù. Era costume obbligare il condannato a portare la trave trasversale fino al luogo della crocifissione. Tale condannato non portava tutta la croce, ma soltanto questa grossa trave più corta. I pezzi di trave verticali e più lunghi per le tre croci erano già stati trasportati sul Golgota e, quando arrivarono i soldati e i loro prigionieri, erano stati saldamente piantati nel terreno.
(2004.6) 187:1.2 Conformemente al costume, il capitano condusse la processione portando delle assicelle bianche su cui erano stati scritti a carboncino i nomi dei criminali e la natura dei crimini per i quali erano stati condannati. Per i due ladri il centurione aveva dei cartelli che indicavano i loro nomi, sotto i quali era scritta la sola parola: “Brigante”. Era costume, dopo che la vittima era stata inchiodata sulla trave trasversale e issata al suo posto sulla trave verticale, d’inchiodare questo cartello sulla sommità della croce, appena sopra la testa del criminale, affinché tutti i testimoni potessero sapere per quale crimine il condannato era crocifisso. La didascalia che il centurione portò per metterlo sulla croce di Gesù era stata scritta da Pilato stesso in latino, in greco e in aramaico, e diceva: “Gesù di Nazaret — il Re dei Giudei.”
(2005.1) 187:1.3 Alcune delle autorità ebraiche che erano ancora presenti quando Pilato scrisse questa didascalia protestarono vigorosamente contro la qualifica di Gesù quale “re dei Giudei”. Ma Pilato ricordò loro che tale accusa faceva parte dell’imputazione che aveva portato alla sua condanna. Quando i Giudei videro che non avrebbero potuto influire su Pilato per fargli cambiare idea, chiesero che essa fosse almeno modificata in: “Egli ha detto: ‘Io sono il re dei Giudei.’ ” Ma Pilato fu inflessibile e non volle modificare lo scritto. A tutte le suppliche successive egli si limitò a rispondere: “Ciò che ho scritto, ho scritto.”
(2005.2) 187:1.4 Ordinariamente era costume andare al Golgota per la via più lunga, affinché un gran numero di persone potessero vedere il criminale condannato, ma questo giorno essi presero la via più diretta per la porta di Damasco, che portava fuori della città verso nord, e seguendo questo percorso, essi arrivarono presto al Golgota, il luogo ufficiale delle crocifissioni a Gerusalemme. Oltre il Golgota c’erano le ville dei ricchi, e dall’altra parte della strada c’erano le tombe di molti Ebrei benestanti.
(2005.3) 187:1.5 La crocifissione non era un genere di punizione ebrea. I Greci e i Romani appresero questo metodo d’esecuzione dai Fenici. Anche Erode, con tutta la sua crudeltà, non faceva ricorso alla crocifissione. I Romani non crocifissero mai un cittadino romano; soltanto schiavi e popoli assoggettati erano sottoposti a questo genere di morte disonorevole. Durante l’assedio di Gerusalemme, giusto quarant’anni dopo la crocifissione di Gesù, tutto il Golgota fu coperto da migliaia e migliaia di croci sulle quali, giorno per giorno, periva il fior fiore della razza ebraica. Un terribile raccolto, in verità, della semina di questo giorno.
(2005.4) 187:1.6 Mentre la processione funebre passava lungo le strette vie di Gerusalemme, molte donne ebree dal cuore tenero che avevano ascoltato le parole d’incoraggiamento e di compassione di Gesù, e che conoscevano la sua vita di ministero amorevole, non seppero trattenersi dal piangere quando lo videro condotto verso una morte tanto ignobile. Al suo passaggio molte di queste donne piangevano e si lamentavano. E quando alcune di loro osarono anche seguirlo camminando al suo fianco, il Maestro si volse verso di loro e disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete piuttosto per voi stesse e per i vostri figli. La mia opera è quasi terminata — presto io andrò da mio Padre — ma i tempi di terribili afflizioni per Gerusalemme stanno per cominciare. Ecco, stanno per giungere giorni in cui direte: benedette le sterili e quelle il cui seno non ha mai allattato i loro piccoli. In quei giorni voi pregherete le rocce delle colline di cadere su di voi per essere liberate dal terrore delle vostre pene.”
(2005.5) 187:1.7 Queste donne di Gerusalemme furono veramente coraggiose a manifestare simpatia per Gesù, perché era severamente proibito dalla legge mostrare sentimenti amichevoli ad uno che stava per essere condotto alla crocifissione. Era solo permesso alla folla schernire, beffeggiare e canzonare il condannato, ma non era permesso esprimere alcuna simpatia. Anche se Gesù apprezzò la manifestazione di simpatia in quest’ora oscura in cui i suoi amici erano nascosti, non volle che queste donne di buon cuore incorressero nel rigore delle autorità per aver osato mostrare compassione nei suoi confronti. Anche in un momento come questo Gesù non pensava affatto a se stesso, ma solo ai terribili giorni di tregenda che aspettavano Gerusalemme e l’intera nazione ebrea.
(2006.1) 187:1.8 Mentre il Maestro avanzava faticosamente verso la crocifissione, si sentì molto affaticato; era quasi esausto. Egli non aveva ricevuto né cibo né bevanda dall’Ultima Cena a casa di Elia Marco; né gli era stato permesso di godere di un istante di sonno. Inoltre c’era stato un interrogatorio dopo l’altro fino all’ora della sua condanna, senza menzionare le flagellazioni abusive con le loro conseguenti sofferenze fisiche e perdite di sangue. Sovrapposti a tutto ciò c’erano la sua estrema angoscia mentale, la sua acuta tensione spirituale ed un terribile sentimento di solitudine umana.
(2006.2) 187:1.9 Poco dopo aver oltrepassato la porta che conduceva fuori della città, mentre Gesù barcollava portando la trave trasversale, le sue forze fisiche vennero momentaneamente meno ed egli cadde sotto il peso del suo pesante fardello. I soldati inveirono contro di lui e gli diedero dei calci, ma egli non riusciva ad alzarsi. Quando il capitano vide ciò, sapendo quello che Gesù aveva già subito, comandò ai soldati di desistere. Poi ordinò ad un passante, un certo Simone di Cirene, di togliere la trave trasversale dalle spalle di Gesù e lo costrinse a portarla per il resto della strada sino al Golgota.
(2006.3) 187:1.10 Questo Simone aveva percorso tutta la strada da Cirene, nell’Africa del Nord, per assistere alla Pasqua. Egli si era fermato con altri Cirenei appena fuori le mura della città e si stava recando in città ad assistere ai servizi del tempio quando il capitano romano gli ordinò di portare la trave trasversale di Gesù. Simone si trattenne per tutto il periodo della morte del Maestro sulla croce, parlando con molti dei suoi amici e con i suoi nemici. Dopo la risurrezione e prima di lasciare Gerusalemme, egli divenne un intrepido credente nel vangelo del regno, e quando ritornò a casa fece entrare la sua famiglia nel regno celeste. I suoi due figli, Alessandro e Rufo, divennero degli insegnanti molto efficaci del nuovo vangelo in Africa. Ma Simone non seppe mai che Gesù, di cui aveva portato il fardello, ed il precettore ebreo che un tempo aveva soccorso suo figlio ferito, erano la stessa persona.
(2006.4) 187:1.11 Erano da poco passate le nove quando la processione di morte arrivò al Golgota, e i soldati romani si misero all’opera per inchiodare i due briganti e il Figlio dell’Uomo sulle loro rispettive croci.
(2006.5) 187:2.1 I soldati legarono prima le braccia del Maestro alla trave trasversale con delle corde, e poi inchiodarono le sue mani al legno. Quando ebbero issato questa trave trasversale sul montante, e dopo averla solidamente inchiodata sulla trave verticale della croce, essi legarono e inchiodarono i suoi piedi al legno usando un solo chiodo lungo per forare entrambi i piedi. La trave verticale aveva un grosso piolo inserito ad altezza adeguata, che serviva come una specie di sellino per sostenere il peso del corpo. La croce non era alta; i piedi del maestro erano solo a circa un metro dal suolo. Egli fu perciò in grado di udire tutto ciò che fu detto di lui per deriderlo e di distinguere bene l’espressione del viso di tutti coloro che si burlarono così irriguardosamente di lui. Ed anche coloro che erano presenti poterono udire facilmente tutto ciò che Gesù disse durante queste ore di prolungata tortura e di morte lenta.
(2007.1) 187:2.2 Era costume togliere tutti i vestiti a coloro che stavano per essere crocifissi, ma poiché gli Ebrei si opponevano grandemente all’esposizione pubblica della figura umana nuda, i Romani mettevano sempre un’apposita fascia ai fianchi di tutte le persone crocifisse a Gerusalemme. Di conseguenza, dopo che furono tolte le vesti a Gesù, egli fu cinto in tal modo prima di essere messo sulla croce.
(2007.2) 187:2.3 Si ricorreva alla crocifissione per infliggere una punizione crudele e prolungata; la vittima talvolta non moriva che dopo parecchi giorni. A Gerusalemme c’era un considerevole sentimento di opposizione alla crocifissione, ed esisteva un’associazione di donne ebree che mandava sempre una rappresentante alle crocifissioni per offrire alla vittima del vino drogato per diminuire le sue sofferenze. Ma quando Gesù assaggiò questo vino narcotizzato, benché egli fosse assetato, rifiutò di berlo. Il Maestro scelse di conservare la sua coscienza umana fino all’estremo. Egli voleva affrontare la morte, anche sotto questa forma crudele e disumana, e vincerla con la sottomissione volontaria alla piena esperienza umana.
(2007.3) 187:2.4 Prima che Gesù fosse messo sulla sua croce, i due briganti erano già stati posti sulle loro croci, maledicendo continuamente i loro carnefici e sputando su di loro. Le sole parole di Gesù mentre lo inchiodavano sulla trave trasversale furono: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.” Egli non avrebbe potuto intercedere con tanta misericordia ed amore per i suoi carnefici se questi pensieri di devozione affettuosa non fossero stati il movente principale di tutta la sua vita di servizio altruista. Le idee, i moventi e i desideri ardenti di tutta una vita si rivelano apertamente in una crisi.
(2007.4) 187:2.5 Dopo che il Maestro fu issato sulla croce, il capitano inchiodò il titolo sopra la sua testa, e vi si leggeva in tre lingue: “Gesù di Nazaret — il Re dei Giudei.” I Giudei erano infuriati per questo presunto insulto. Ma Pilato era irritato per le loro maniere irriverenti; egli sentiva di essere stato intimidito e umiliato, e adottò questo metodo per ottenere una meschina vendetta. Egli avrebbe potuto scrivere: “Gesù, un ribelle.” Ma egli sapeva bene quanto questi Ebrei di Gerusalemme detestavano il nome stesso di Nazaret, ed era determinato ad umiliarli in questo modo. Egli sapeva anche che essi sarebbero stati feriti proprio nel vivo vedendo chiamare questo Galileo giustiziato “il Re dei Giudei”.
(2007.5) 187:2.6 Molti dirigenti ebrei, quando seppero come Pilato aveva cercato di prenderli in giro ponendo questa iscrizione sulla croce di Gesù, si affrettarono ad andare sul Golgota, ma non osarono tentare di rimuoverla perché i soldati romani montavano la guardia. Non potendo rimuovere il titolo, questi capi si mescolarono alla folla e fecero tutto il possibile per incitare alla derisione e allo scherno, per timore che qualcuno prendesse sul serio l’iscrizione.
(2007.6) 187:2.7 L’apostolo Giovanni, con Maria madre di Gesù, Rut e Giuda, arrivò sulla scena subito dopo che Gesù era stato issato nella sua posizione sulla croce, e nel momento in cui il capitano stava inchiodando il titolo sopra la testa del Maestro. Giovanni fu il solo degli undici apostoli ad assistere alla crocifissione, ed anche lui non fu presente per tutto il tempo, perché corse a Gerusalemme per condurre qui sua madre e le sue amiche subito dopo aver condotto sulla scena la madre di Gesù.
(2007.7) 187:2.8 Quando Gesù vide sua madre con Giovanni, suo fratello e sua sorella, sorrise ma non disse nulla. Nel frattempo i quattro soldati assegnati alla crocifissione del Maestro avevano diviso, secondo il costume, le sue vesti tra di loro: uno prese i sandali, uno il turbante, uno la cintura e il quarto il mantello. Restava la tunica, o veste senza cintura che scendeva quasi fino alle ginocchia, da essere tagliata in quattro pezzi, ma quando i soldati videro quanto fosse insolita questa veste, decisero di trarla a sorte. Gesù li osservava mentre essi si dividevano i suoi vestiti e la folla irriverente si burlava di lui.
(2008.1) 187:2.9 Fu un bene che i soldati romani si fossero impossessati delle vesti del Maestro. Altrimenti, se i suoi discepoli avessero preso possesso di queste vesti, sarebbero stati tentati di farne delle reliquie oggetto di adorazione superstiziosa. Il Maestro desiderava che i suoi discepoli non avessero niente di materiale da associare alla sua vita terrena. Egli voleva lasciare all’umanità soltanto il ricordo di una vita umana dedicata all’alto ideale spirituale di essere consacrato a fare la volontà del Padre.
(2008.2) 187:3.1 Verso le nove e mezzo di questo venerdì mattina Gesù fu appeso alla croce. Prima delle undici più di mille persone si erano riunite per assistere a questo spettacolo della crocifissione del Figlio dell’Uomo. Durante queste ore terribili le schiere invisibili di un universo stavano ad osservare in silenzio questo fenomeno straordinario del Creatore che stava morendo della morte della creatura, addirittura della morte più infamante di un criminale condannato.
(2008.3) 187:3.2 Vicino alla croce, in un momento o in altro durante la crocifissione, ci furono Maria, Rut, Giuda, Giovanni, Salomè (madre di Giovanni) ed un gruppo di donne sincere credenti tra cui Maria, la moglie di Clopa e sorella della madre di Gesù, Maria Maddalena e Rebecca, un tempo abitante a Sefforis. Questi ed altri amici di Gesù rimasero in silenzio ad osservare la sua grande pazienza e forza d’animo e videro le sue intense sofferenze.
(2008.4) 187:3.3 Molti passanti scuotevano la testa e, inveendo contro di lui, dicevano: “Tu che volevi distruggere il tempio e ricostruirlo in tre giorni, salva te stesso. Se sei il Figlio di Dio, perché non scendi dalla tua croce?” In maniera analoga alcuni dirigenti ebrei si burlavano di lui dicendo: “Ha salvato gli altri, ma non può salvare se stesso.” Altri dicevano: “Se sei il re dei Giudei, scendi dalla croce e crederemo in te.” E più tardi si burlarono ancora di più di lui dicendo: “Si è affidato a Dio perché lo liberi. Ha anche affermato di essere il Figlio di Dio — guardatelo ora — crocifisso tra due ladri.” Anche i due ladri inveirono contro di lui e lo riempirono d’insulti.
(2008.5) 187:3.4 Poiché Gesù non replicava alcunché ai loro sarcasmi, e poiché si avvicinava il mezzodì di questo giorno speciale di preparazione, alle undici e mezzo la maggior parte della folla che lo derideva e beffeggiava se n’era andata; rimasero sulla scena meno di cinquanta persone. I soldati si prepararono ora a mangiare il loro pasto e a bere il loro vino aspro e scadente, disponendosi per la lunga veglia ai moribondi. Mentre bevevano il loro vino, essi fecero un brindisi derisorio a Gesù dicendo: “Salute e buona fortuna! Al re dei Giudei.” Ed essi furono stupiti nel vedere l’espressione tollerante del Maestro di fronte alle loro derisioni e alle loro beffe.
(2008.6) 187:3.5 Quando Gesù li vide mangiare e bere, guardò verso di loro e disse: “Ho sete.” Quando il capitano della guardia udì Gesù dire “ho sete”, prese un po’ di vino dalla sua bottiglia e, appuntando il tappo spugnoso impregnato sull’estremità di un giavellotto, lo alzò fino a Gesù perché potesse inumidire le sue labbra inaridite.
(2008.7) 187:3.6 Gesù aveva deciso di vivere senza ricorrere al suo potere soprannaturale, e similmente scelse di morire sulla croce come un mortale ordinario. Egli era vissuto come un uomo e voleva morire come un uomo — facendo la volontà del Padre.
(2008.8) 187:4.1 Uno dei briganti inveì contro Gesù dicendo: “Se tu sei il Figlio di Dio, perché non salvi te stesso e noi?” Ma quando ebbe rimproverato Gesù, l’altro ladro, che aveva ascoltato molte volte il Maestro insegnare, disse: “Non hai paura nemmeno di Dio? Non vedi che noi stiamo soffrendo giustamente per le nostre azioni, ma che quest’uomo soffre ingiustamente? Faremmo meglio a cercare il perdono per i nostri peccati e la salvezza per la nostra anima.” Quando Gesù udì il ladro dire questo, volse il suo viso verso di lui e sorrise in segno di approvazione. Quando il malfattore vide il viso di Gesù girato verso di lui, fece appello al suo coraggio, ravvivò la fiamma tremolante della sua fede e disse: “Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno.” Ed allora Gesù disse: “In verità, in verità ti dico oggi, tu sarai un giorno con me in Paradiso.”
(2009.1) 187:4.2 Il Maestro ebbe il tempo, in mezzo ai tormenti della morte mortale, di ascoltare la confessione di fede del brigante credente. Quando questo ladro cercò la salvezza, trovò la liberazione. Molte volte in precedenza egli era stato tentato di credere in Gesù, ma solo in queste ultime ore di coscienza si volse con tutto il suo cuore verso l’insegnamento del Maestro. Quando vide il modo in cui Gesù affrontava la morte sulla croce, questo ladro non poté resistere più a lungo alla convinzione che questo Figlio dell’Uomo era in verità il Figlio di Dio.
(2009.2) 187:4.3 Durante questo episodio della conversione e dell’accoglimento del ladro nel regno da parte di Gesù, l’apostolo Giovanni era assente, essendo andato in città per condurre sua madre e le sue amiche sulla scena della crocifissione. Luca seppe successivamente questa storia dal capitano romano delle guardie convertito.
(2009.3) 187:4.4 L’apostolo Giovanni parlò della crocifissione come ricordava il fatto dopo due terzi di secolo dall’avvenimento. Le altre esposizioni furono basate sul racconto del centurione romano di servizio il quale, a causa di ciò che vide e udì, credette successivamente in Gesù ed entrò pienamente nella comunità del regno dei cieli sulla terra.
(2009.4) 187:4.5 Questo giovane uomo, il brigante pentito, era stato portato ad una vita di violenza e di misfatti da coloro che esaltavano una tale carriera di ruberie come un’efficace protesta patriottica contro l’oppressione politica e l’ingiustizia sociale. Questo genere d’insegnamento, aggiunto allo stimolo per l’avventura, portò molti giovani altrimenti ben intenzionati ad arruolarsi in queste audaci spedizioni di ruberie. Questo giovane aveva considerato Barabba un eroe. Ora vedeva che si era ingannato. Qui sulla croce accanto a lui vedeva un uomo realmente grande, un vero eroe. Qui c’era un eroe che infiammava il suo zelo ed ispirava le sue più alte idee di dignità morale, e ravvivava i suoi ideali di coraggio, di risolutezza e di audacia. Osservando Gesù, crebbe nel suo cuore un sentimento irresistibile d’amore, di lealtà e di autentica grandezza.
(2009.5) 187:4.6 E se qualche altra persona tra la folla che scherniva avesse sentito nascere la fede nella sua anima ed avesse fatto appello alla misericordia di Gesù, sarebbe stata accolta con la stessa affettuosa considerazione mostrata verso il brigante credente.
(2009.6) 187:4.7 Subito dopo che il ladro pentito udì la promessa del Maestro che si sarebbero incontrati un giorno in Paradiso, Giovanni ritornò dalla città conducendo con lui sua madre ed un gruppo di una dozzina di donne credenti. Giovanni riprese il suo posto accanto a Maria, madre di Gesù, sostenendola. Suo figlio Giuda stava dall’altra parte. Quando Gesù posò il suo sguardo su questa scena era mezzogiorno, e disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio!” E parlando a Giovanni disse: “Figlio mio, ecco tua madre!” Poi si rivolse ad entrambi dicendo: “Desidero che vi allontaniate da questo luogo.” E così Giovanni e Giuda condussero via Maria dal Golgota. Giovanni portò la madre di Gesù nel luogo in cui egli alloggiava a Gerusalemme e poi si affrettò a ritornare alla scena della crocifissione. Dopo la Pasqua, Maria ritornò a Betsaida, dove visse a casa di Giovanni per il resto della sua vita terrena. Maria non visse neanche un anno dopo la morte di Gesù.
(2010.1) 187:4.8 Dopo che Maria si fu allontanata, le altre donne si ritirarono a breve distanza e rimasero in attesa fino a che Gesù spirò sulla croce, ed esse erano ancora là quando il corpo del Maestro fu tirato giù per essere sepolto.
(2010.2) 187:5.1 Benché fosse presto in questa stagione per un tale fenomeno, poco dopo le dodici il cielo si oscurò a ragione della sabbia fine nell’aria. La popolazione di Gerusalemme sapeva che ciò significava l’arrivo di una di quelle tempeste di sabbia con vento caldo provenienti dal deserto d’Arabia. Prima dell’una il cielo era talmente buio da oscurare il sole, e il resto della folla si affrettò a rientrare in città. Quando il Maestro abbandonò la sua vita poco dopo quest’ora, erano presenti meno di trenta persone, soltanto i tredici soldati romani e un gruppo di una quindicina di credenti. Questi credenti erano tutti donne eccetto due, Giuda, il fratello di Gesù e Giovanni Zebedeo, che era tornato sulla scena poco prima che il Maestro spirasse.
(2010.3) 187:5.2 Poco dopo l’una, tra la crescente oscurità della violenta tempesta di sabbia, Gesù cominciò a perdere la sua coscienza umana. Le sue ultime parole di misericordia, di perdono e di esortazione erano state pronunciate. Il suo ultimo desiderio — concernente la cura di sua madre — era stato espresso. Durante quest’ora dell’approssimarsi della morte, la mente umana di Gesù ricorse alla ripetizione di molti passaggi delle Scritture ebraiche, particolarmente dei Salmi. L’ultimo pensiero cosciente del Gesù umano riguardò la ripetizione mentale di una parte del Libro dei Salmi ora conosciuta come Salmi ventesimo, ventunesimo e ventiduesimo. Mentre le sue labbra si muovevano spesso, egli era troppo debole per pronunciare le parole mentre questi passaggi, che conosceva così bene a memoria, passavano per la sua mente. Solo poche volte coloro che si trovavano vicino afferrarono qualche citazione, quale: “So che il Signore salverà il suo unto”, “La tua mano scoprirà tutti i miei nemici” e “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù non ebbe per un solo istante il minimo dubbio di aver vissuto conformemente alla volontà del Padre, e non dubitò mai che stava abbandonando ora la sua vita nella carne conformemente alla volontà di suo Padre. Egli non pensava che il Padre l’avesse abbandonato; stava soltanto recitando nella sua coscienza che svaniva numerose Scritture, tra cui questo Salmo ventiduesimo, che comincia con “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” E capitò che questo fu uno dei tre passaggi che furono pronunciati con sufficiente chiarezza da essere uditi da coloro che stavano vicino.
(2010.4) 187:5.3 L’ultima richiesta che il Gesù mortale fece ai suoi simili fu formulata verso l’una e mezzo quando, una seconda volta, disse: “Ho sete”, e lo stesso capitano della guardia umettò di nuovo le sue labbra con la stessa spugna impregnata nel vino aspro, in quel tempo comunemente chiamato aceto.
(2010.5) 187:5.4 La tempesta di sabbia crebbe d’intensità e il cielo si oscurò sempre di più. I soldati e il piccolo gruppo di credenti stavano là. I soldati si rannicchiarono vicino alla croce, raggomitolati insieme per proteggersi dalla sabbia sferzante. La madre di Giovanni ed altre persone osservavano a distanza da un luogo in cui erano un po’ riparate da una roccia sovrastante. Quando il Maestro rese infine il suo ultimo respiro, erano presenti ai piedi della sua croce Giovanni Zebedeo, Giuda fratello di Gesù, sua sorella Rut, Maria Maddalena e Rebecca, un tempo dimorante a Sefforis.
(2011.1) 187:5.5 Era poco prima delle tre quando Gesù esclamò ad alta voce: “È finita! Padre, rimetto il mio spirito nelle tue mani.” E dopo che ebbe parlato così, reclinò il capo e abbandonò la lotta per la vita. Quando il centurione romano vide come Gesù era morto, si batté il petto e disse: “Questo era davvero un uomo retto; deve essere stato veramente un Figlio di Dio.” E da quel momento egli cominciò a credere in Gesù.
(2011.2) 187:5.6 Gesù morì realmente — così come aveva vissuto. Egli ammise francamente la sua regalità e rimase padrone della situazione per tutto quel tragico giorno. Andò volontariamente verso la sua morte infamante, dopo aver provveduto alla salvezza dei suoi apostoli scelti. Egli impedì saggiamente a Pietro di causare disordini con la sua violenza e fece in modo che Giovanni potesse restare vicino a lui sino alla fine della sua esistenza di mortale. Rivelò la sua vera natura al crudele Sinedrio e ricordò a Pilato la fonte della sua autorità sovrana come Figlio di Dio. Egli partì per il Golgota portando la sua trave trasversale e terminò il suo conferimento d’amore rimettendo il suo spirito che aveva acquisito come mortale al Padre del Paradiso. Dopo una tale vita — e al momento di una tale morte — il Maestro poté veramente dire: “È finita.”
(2011.3) 187:5.7 Poiché questo era il giorno della preparazione sia alla Pasqua che al sabato, gli Ebrei non volevano che questi corpi rimanessero esposti sul Golgota. Perciò essi andarono da Pilato per chiedere che le gambe di questi tre uomini fossero spezzate e che fosse dato loro il colpo di grazia, in modo che potessero essere tolti dalla croce e gettati nelle fosse funebri penali prima del tramonto. Quando Pilato udì questa richiesta, mandò subito tre soldati a spezzare le gambe e a dare il colpo di grazia a Gesù e ai due briganti.
(2011.4) 187:5.8 Quando questi soldati arrivarono al Golgota, agirono di conseguenza sui due ladri, ma, con loro grande sorpresa, trovarono Gesù già morto. Tuttavia, per essere certi della sua morte, uno dei soldati trafisse il suo fianco sinistro con la lancia. Sebbene fosse comune per le vittime della crocifissione rimanere in vita sulla croce per due o tre giorni, l’opprimente agonia emotiva e l’acuta angoscia spirituale di Gesù provocarono la fine della sua vita mortale nella carne in poco meno di cinque ore e mezza.
(2011.5) 187:6.1 In mezzo all’oscurità della tempesta di sabbia, verso le tre e mezzo, Davide Zebedeo mandò l’ultimo dei messaggeri a portare la notizia della morte del Maestro. Egli inviò l’ultimo dei suoi corrieri a casa di Marta e di Maria a Betania, dove supponeva che la madre di Gesù si trovasse con il resto della sua famiglia.
(2011.6) 187:6.2 Dopo la morte del Maestro, Giovanni mandò le donne, sotto la guida di Giuda, a casa di Elia Marco, dove esse stettero fino al giorno dopo il sabato. Quanto a Giovanni, essendo ormai ben conosciuto dal centurione romano, rimase sul Golgota fino a quando arrivarono sulla scena Giuseppe e Nicodemo con un ordine di Pilato che li autorizzava a prendere possesso del corpo di Gesù.
(2011.7) 187:6.3 Così terminò un giorno di tragedia e di dolore per un vasto universo, le cui miriadi d’intelligenze erano rabbrividite di fronte allo scioccante spettacolo della crocifissione dell’incarnazione umana del loro amato Sovrano; esse erano sconvolte da questa esibizione d’insensibilità mortale e di perversità umana.
(2012.1) 188:0.1 IL GIORNO e mezzo in cui il corpo mortale di Gesù rimase nella tomba di Giuseppe, il periodo tra la sua morte sulla croce e la sua risurrezione, è un capitolo della carriera terrena di Micael che ci è poco noto. Noi possiamo narrare la sepoltura del Figlio dell’Uomo ed inserire in questo resoconto gli avvenimenti associati alla sua risurrezione, ma non possiamo fornire molte informazioni di natura autentica su ciò che accadde realmente durante questo periodo di circa trentasei ore, dalle tre del pomeriggio di venerdì alle tre di domenica mattina. Questo periodo della carriera del Maestro cominciò poco prima che fosse tolto dalla croce dai soldati romani. Egli rimase sulla croce per circa un’ora dopo la sua morte. Ne sarebbe stato tolto più presto se non fosse stato per il ritardo dovuto a dare il colpo di grazia ai due briganti.
(2012.2) 188:0.2 I dirigenti degli Ebrei avevano progettato che il corpo di Gesù fosse gettato nelle fosse aperte di sepoltura della Geenna, a sud della città; era costume sbarazzarsi in tal modo delle vittime della crocifissione. Se questo piano fosse stato seguito, il corpo del Maestro sarebbe stato abbandonato alle bestie feroci.
(2012.3) 188:0.3 Nel frattempo, Giuseppe d’Arimatea, accompagnato da Nicodemo, era andato da Pilato e chiese che il corpo di Gesù fosse consegnato loro per un’adeguata sepoltura. Non era raro che gli amici delle persone crocifisse offrissero delle regalie alle autorità romane per avere il privilegio di entrare in possesso di tali corpi. Giuseppe si presentò a Pilato con una forte somma di denaro, nel caso fosse stato necessario pagare per l’autorizzazione a trasportare il corpo di Gesù in una tomba funebre privata. Ma Pilato non volle accettare del denaro per questo. Dopo aver ascoltato la richiesta, egli scrisse rapidamente l’ordine che autorizzava Giuseppe a recarsi al Golgota e a prendere immediato e pieno possesso del corpo del Maestro. Nel frattempo, essendo la tempesta di sabbia considerevolmente diminuita, un gruppo di Ebrei rappresentanti il Sinedrio era partito per il Golgota per assicurarsi che il corpo di Gesù fosse portato con quelli dei briganti nelle fosse pubbliche aperte di sepoltura.
(2012.4) 188:1.1 Quando Giuseppe e Nicodemo arrivarono al Golgota, trovarono i soldati che tiravano giù Gesù dalla croce e i rappresentanti del Sinedrio presenti per vedere che nessuno dei discepoli di Gesù impedisse che il suo corpo fosse gettato nelle fosse di sepoltura dei criminali. Quando Giuseppe presentò al centurione l’ordine di Pilato per il corpo del Maestro, gli Ebrei sollevarono un tumulto e protestarono per il suo possesso. Nella loro furia, essi cercarono d’impadronirsi con la forza del corpo, e quando fecero questo, il centurione chiamò quattro dei suoi soldati al suo fianco, e con le spade sguainate si posero a cavalcioni del corpo del Maestro che giaceva là al suolo. Il centurione ordinò agli altri soldati di abbandonare i due ladri e di respingere questa marmaglia adirata di Ebrei infuriati. Quando l’ordine fu ristabilito, il centurione lesse agli Ebrei l’autorizzazione di Pilato e, facendosi da parte, disse a Giuseppe: “Questo corpo è tuo per farne ciò che ritieni opportuno. Io e i miei soldati ti accompagneremo per assicurarci che nessuno interferisca.”
(2013.1) 188:1.2 Una persona crocifissa non poteva essere sepolta in un cimitero ebreo; c’era una legge severa contro tale procedura. Giuseppe e Nicodemo conoscevano questa legge, e andando al Golgota avevano deciso di seppellire Gesù nella nuova tomba di famiglia di Giuseppe, scavata nella solida roccia e situata a breve distanza, a nord del Golgota, dall’altro lato della strada che portava in Samaria. Nessuno era mai stato sepolto in questa tomba, ed essi ritennero appropriato che il Maestro riposasse là. Giuseppe credeva realmente che Gesù sarebbe risuscitato dalla morte, ma Nicodemo era molto scettico. Questi vecchi membri del Sinedrio avevano mantenuto la loro fede in Gesù più o meno segreta, benché i loro colleghi Sinedristi li avessero sospettati da lungo tempo, ancor prima che si ritirassero dal consiglio. Da questo momento in poi essi furono i discepoli più espliciti di Gesù in tutta Gerusalemme.
(2013.2) 188:1.3 Verso le quattro e mezzo la processione funebre di Gesù di Nazaret partì dal Golgota per la tomba di Giuseppe dall’altro lato della strada. Il corpo era avvolto in un lenzuolo di lino e portato da quattro uomini, seguiti dalle fedeli donne di Galilea rimaste a vegliare. I mortali che portarono il corpo materiale di Gesù alla tomba erano: Giuseppe, Nicodemo, Giovanni e il centurione romano.
(2013.3) 188:1.4 Essi portarono il corpo nella tomba, una camera quadrata di circa tre metri di lato, dove lo prepararono in fretta per la sepoltura. Gli Ebrei in realtà non seppellivano i loro morti; essi di fatto li imbalsamavano. Giuseppe e Nicodemo avevano portato con loro grandi quantità di mirra e di aloe, ed avvolsero ora il corpo con delle bende impregnate di queste soluzioni. Quando l’imbalsamazione fu completata, essi legarono una benda attorno al viso, avvolsero il corpo in un lenzuolo di lino e lo posarono rispettosamente su un ripiano della tomba.
(2013.4) 188:1.5 Dopo aver posto il corpo nella tomba, il centurione fece segno ai suoi soldati di aiutare a rotolare la pietra di chiusura davanti all’entrata della tomba. I soldati partirono poi per la Geenna con i corpi dei due ladri, mentre gli altri ritornarono tristemente a Gerusalemme per celebrare la festa della Pasqua in conformità alle leggi di Mosè.
(2013.5) 188:1.6 Ci fu una considerevole fretta e furia nella sepoltura di Gesù perché questo era il giorno di preparazione, ed il sabato si avvicinava velocemente. Gli uomini si affrettarono a tornare in città, ma le donne si attardarono vicino alla tomba fino a che fu molto buio.
(2013.6) 188:1.7 Mentre si svolgeva tutto ciò, le donne si erano nascoste nelle vicinanze, cosicché videro tutto ed osservarono dove il Maestro era stato posto. Esse si tenevano nascoste così perché non era permesso alle donne di associarsi agli uomini in tali momenti. Queste donne non ritenevano che Gesù fosse stato convenientemente preparato per la sepoltura, e si misero d’accordo di tornare a casa di Giuseppe, di riposarsi tutto il sabato, di preparare degli aromi e degli unguenti, e di ritornare la domenica mattina per preparare adeguatamente il corpo del Maestro per il riposo funebre. Le donne che si attardarono così presso la tomba questo venerdì sera erano: Maria Maddalena, Maria moglie di Clopa, Marta (un’altra sorella della madre di Gesù) e Rebecca di Sefforis.
(2013.7) 188:1.8 All’infuori di Davide Zebedeo e di Giuseppe d’Arimatea, pochissimi discepoli di Gesù credettero realmente o compresero che egli doveva risuscitare il terzo giorno.
(2014.1) 188:2.1 Se i discepoli di Gesù si dimenticarono della sua promessa di risuscitare il terzo giorno, non lo fecero i suoi nemici. I capi dei sacerdoti, i Farisei e i Sadducei si ricordarono di aver ricevuto dei rapporti sulla sua dichiarazione che egli sarebbe risuscitato dalla morte.
(2014.2) 188:2.2 Questo venerdì sera verso mezzanotte, dopo la cena di Pasqua, un gruppo di dirigenti ebrei si riunì a casa di Caifa, dove discussero dei loro timori concernenti le asserzioni del Maestro che sarebbe risuscitato dalla morte il terzo giorno. Questa riunione terminò con la nomina di un comitato di Sinedristi che andasse da Pilato il giorno dopo presto, portando la richiesta ufficiale del Sinedrio che una guardia romana fosse posta davanti alla tomba di Gesù per impedire ai suoi amici di accedervi. Il portavoce di questo comitato disse a Pilato: “Signore, noi ricordiamo che questo imbroglione, Gesù di Nazaret, disse, mentre era ancora in vita: ‘Dopo tre giorni io risusciterò’. Noi siamo venuti perciò da te a chiederti d’impartire degli ordini tali da proteggere il sepolcro dai suoi discepoli, almeno fino a dopo il terzo giorno. Noi temiamo grandemente che i suoi discepoli vengano a portarlo via di notte per proclamare poi al popolo che egli è risuscitato dalla morte. Se noi permettessimo che avvenisse ciò, questo errore sarebbe ben maggiore che se gli avessimo permesso di vivere.”
(2014.3) 188:2.3 Dopo aver ascoltato questa richiesta dei Sinedristi, Pilato disse: “Vi darò una guardia di dieci soldati. Andate e proteggete la tomba.” Essi ritornarono al tempio, riunirono dieci delle loro guardie, e poi andarono alla tomba di Giuseppe con queste dieci guardie ebree e i dieci soldati romani, benché fosse sabato mattina, per metterli di guardia davanti alla tomba. Questi uomini rotolarono ancora un’altra pietra davanti alla tomba e apposero il sigillo di Pilato sopra e attorno a queste pietre, per paura che fossero spostate a loro insaputa. E questi venti uomini rimasero di guardia fino all’ora della risurrezione, e gli Ebrei portarono loro da mangiare e da bere.
(2014.4) 188:3.1 Per tutto questo giorno di sabato i discepoli e gli apostoli rimasero nascosti, mentre tutta Gerusalemme parlava della morte di Gesù sulla croce. C’era quasi un milione e mezzo di Ebrei presenti a Gerusalemme in questo periodo, provenienti da tutte le parti dell’Impero Romano e dalla Mesopotamia. Era l’inizio della settimana di Pasqua, e tutti questi pellegrini volevano essere nella città per avere notizie della risurrezione di Gesù e riportarle a casa loro.
(2014.5) 188:3.2 Nella tarda serata di sabato, Giovanni Marco invitò gli undici apostoli a venire segretamente a casa di suo padre, dove, poco prima di mezzanotte, essi erano tutti riuniti nella stessa sala al piano superiore in cui due sere prima avevano consumato l’Ultima Cena con il loro Maestro.
(2014.6) 188:3.3 Maria madre di Gesù, con Rut e Giuda, ritornarono a Betania per unirsi alla loro famiglia questo sabato sera poco prima del tramonto. Davide Zebedeo rimase a casa di Nicodemo, dove era d’accordo con i suoi messaggeri di riunirsi domenica mattina presto. Le donne di Galilea, che avevano preparato gli aromi per imbalsamare meglio il corpo di Gesù, si fermarono a casa di Giuseppe d’Arimatea.
(2014.7) 188:3.4 Noi non siamo in grado di spiegare pienamente ciò che accadde a Gesù di Nazaret durante questo periodo di un giorno e mezzo durante il quale si supponeva che egli stesse riposando nella nuova tomba di Giuseppe. Apparentemente egli morì sulla croce della stessa morte naturale di ogni altro mortale nelle stesse circostanze. Noi l’abbiamo sentito dire: “Padre, rimetto il mio spirito nelle tue mani.” Noi non comprendiamo pienamente il significato di tale affermazione, poiché il suo Aggiustatore di Pensiero era stato personalizzato da lungo tempo e manteneva così un’esistenza separata dall’essere mortale di Gesù. L’Aggiustatore Personalizzato del Maestro non poteva essere interessato in alcun senso dalla sua morte fisica sulla croce. Ciò che Gesù rimise nelle mani del Padre per il momento deve essere stata la contropartita spirituale del lavoro iniziale dell’Aggiustatore nello spiritualizzare la mente mortale in modo da provvedere per il trasferimento della trascrizione della sua esperienza umana sui mondi delle dimore. Ci deve essere stata qualche realtà spirituale nell’esperienza di Gesù che era analoga alla natura spirituale, o anima, dei mortali di fede crescente delle sfere. Ma questa è semplicemente la nostra opinione — noi non sappiamo in realtà ciò che Gesù affidò a suo Padre.
(2015.1) 188:3.5 Noi sappiamo che la forma fisica del Maestro rimase nella tomba di Giuseppe fino alle tre di domenica mattina, ma siamo totalmente incerti riguardo allo status della personalità di Gesù durante quel periodo di trentasei ore. Noi ci siamo talvolta azzardati a spiegarci queste cose un po’ come segue:
(2015.2) 188:3.6 1. La coscienza di Creatore di Micael deve essere stata totalmente libera e indipendente dalla sua mente umana associata all’incarnazione fisica.
(2015.3) 188:3.7 2. Noi sappiamo che l’Aggiustatore di Pensiero precedente di Gesù era stato presente sulla terra durante questo periodo e comandava personalmente le schiere celesti riunite.
(2015.4) 188:3.8 3. L’identità spirituale acquisita dall’uomo di Nazaret, che fu costruita durante la sua vita nella carne, prima mediante gli sforzi diretti del suo Aggiustatore di Pensiero e più tardi con il proprio perfetto aggiustamento tra le necessità fisiche e le esigenze spirituali dell’esistenza mortale ideale, quale fu raggiunto con la sua scelta di fare sempre la volontà del Padre, deve essere stata rimessa alla custodia del Padre del Paradiso. Se questa realtà spirituale sia ritornata o meno a far parte della personalità risuscitata, noi non lo sappiamo, ma crediamo di sì. Ma ci sono coloro nell’universo che sostengono che quest’anima-identità di Gesù riposi ora nel “seno del Padre”, e che sarà liberata successivamente per prendere il comando del Corpo della Finalità di Nebadon nel suo destino non rivelato, in connessione con gli universi non creati dei regni non organizzati dello spazio esterno.
(2015.5) 188:3.9 4. Noi pensiamo che la coscienza umana o mortale di Gesù dormì durante queste trentasei ore. Noi abbiamo ragione di credere che il Gesù umano non sapeva nulla di ciò che avveniva nell’universo durante questo periodo. La sua coscienza di mortale non registrò alcun intervallo di tempo; la risurrezione alla vita seguì istantaneamente il sonno della morte.
(2015.6) 188:3.10 E questo è quasi tutto ciò che possiamo inserire nell’esposizione riguardante lo status di Gesù durante questo periodo della tomba. Esiste un certo numero di fatti correlati ai quali possiamo alludere, benché noi non siamo affatto competenti ad interpretarli.
(2015.7) 188:3.11 Nel vasto cortile delle sale di risurrezione del primo mondo delle dimore di Satania si può osservare ora un magnifico edificio materiale-morontiale conosciuto come il “Monumento commemorativo di Micael”, che porta attualmente il sigillo di Gabriele. Questo monumento commemorativo fu creato poco dopo che Micael partì da questo mondo, ed esso porta questa iscrizione: “In commemorazione del transito mortale di Gesù di Nazaret su Urantia.”
(2016.1) 188:3.12 Esistono dei documenti che dimostrano che durante questo periodo il consiglio supremo di Salvington, composto di cento membri, tenne una riunione esecutiva su Urantia sotto la presidenza di Gabriele. Esistono anche dei documenti che dimostrano che durante questo periodo gli Antichi dei Giorni di Uversa comunicarono con Micael riguardo allo status dell’universo di Nebadon.
(2016.2) 188:3.13 Noi sappiamo che almeno un messaggio fu scambiato tra Micael ed Emanuele su Salvington mentre il corpo del Maestro giaceva nella tomba.
(2016.3) 188:3.14 Ci sono buone ragioni di credere che qualche personalità occupò il seggio di Caligastia nel consiglio sistemico dei Principi Planetari che si riunì su Jerusem mentre il corpo di Gesù riposava nella tomba.
(2016.4) 188:3.15 Gli archivi di Edentia indicano che il Padre della Costellazione di Norlatiadek era su Urantia, e che ricevette delle istruzioni da Micael durante questo periodo in cui era nella tomba.
(2016.5) 188:3.16 Ed esistono molte altre prove che indicano che non tutta la personalità di Gesù era addormentata ed incosciente durante questo periodo di evidente morte fisica.
(2016.6) 188:4.1 Sebbene Gesù non sia morto sulla croce per espiare la colpa razziale dell’uomo mortale, né per procurare una sorta di approccio effettivo ad un Dio altrimenti offeso ed implacabile; anche se il Figlio dell’Uomo non si è offerto come un sacrificio per placare la collera di Dio ed aprire ai peccatori la via della salvezza; nonostante che queste idee di espiazione e di propiziazione siano errate, tuttavia vi sono dei significati collegati a questa morte di Gesù sulla croce che non dovrebbero essere trascurati. È un fatto che Urantia è divenuto noto tra gli altri pianeti abitati come il “Mondo della Croce”.
(2016.7) 188:4.2 Gesù desiderava vivere una vita mortale completa nella carne su Urantia. La morte è ordinariamente una parte della vita. La morte è l’ultimo atto del dramma mortale. Nei vostri sforzi ben intenzionati per sfuggire agli errori superstiziosi della falsa interpretazione del significato della morte sulla croce, dovreste stare attenti a non commettere il grande errore di mancare di percepire il vero significato e l’autentica importanza della morte del Maestro.
(2016.8) 188:4.3 L’uomo mortale non era mai stato proprietà degli arcingannatori. Gesù non morì per riscattare l’uomo dalle grinfie dei dirigenti apostati e dei prìncipi decaduti delle sfere. Il Padre che è nei cieli non ha mai concepito la grossolana ingiustizia di condannare un’anima mortale a causa dei misfatti dei suoi antenati. Né la morte del Maestro sulla croce è stata un sacrificio consistente nello sforzo di pagare a Dio un debito che la razza umana aveva contratto verso di lui.
(2016.9) 188:4.4 Prima che Gesù fosse vissuto sulla terra, sareste forse stati giustificati a credere in un tale Dio, ma non dopo che il Maestro visse e morì tra i vostri mortali. Mosè insegnò la dignità e la giustizia di un Dio Creatore; ma Gesù descrisse l’amore e la misericordia di un Padre celeste.
(2016.10) 188:4.5 La natura animale — la tendenza a fare il male — può essere ereditaria, ma il peccato non è trasmesso da genitore a figlio. Il peccato è l’atto di ribellione cosciente e deliberata contro la volontà del Padre e le leggi del Figlio da parte di una singola creatura dotata di volontà.
(2017.1) 188:4.6 Gesù visse e morì per un universo intero, non soltanto per le razze di questo solo mondo. Mentre i mortali dei regni disponevano della salvezza anche prima che Gesù vivesse e morisse su Urantia, è tuttavia un fatto che il suo conferimento su questo mondo illuminò grandemente la via della salvezza; la sua morte contribuì molto a rendere per sempre evidente la certezza della sopravvivenza dei mortali dopo la morte nella carne.
(2017.2) 188:4.7 Benché non sia appropriato parlare di Gesù come di un sacrificatore, di un riscattatore o di un redentore, è del tutto corretto definirlo un salvatore. Egli rese per sempre la via della salvezza (della sopravvivenza) più chiara e certa; egli mostrò meglio e con più sicurezza la via della salvezza a tutti i mortali di tutti i mondi dell’universo di Nebadon.
(2017.3) 188:4.8 Una volta che avete afferrato l’idea di Dio come Padre vero e amorevole, il solo concetto che Gesù abbia mai insegnato, dovete immediatamente, in tutta coerenza, abbandonare completamente tutte quelle nozioni primitive su Dio di un monarca offeso, di un sovrano severo ed onnipotente il cui principale piacere è di scoprire i suoi sudditi mentre commettono delle cattive azioni e nel badare che siano adeguatamente puniti, a meno che un essere quasi uguale a lui non accetti volontariamente di soffrire per loro, di morire come un sostituto ed in loro vece. L’intera idea di redenzione e di espiazione è incompatibile con il concetto di Dio quale fu insegnato ed esemplificato da Gesù di Nazaret. L’amore infinito di Dio non è secondario a nulla nella natura divina.
(2017.4) 188:4.9 Tutto questo concetto di espiazione e di salvezza sacrificale è radicato e fondato nell’egoismo. Gesù insegnò che il servizio verso i propri simili è il concetto più elevato della fraternità dei credenti nello spirito. La salvezza dovrebbe essere considerata come acquisita da coloro che credono nella paternità di Dio. La principale preoccupazione del credente non dovrebbe essere il desiderio egoista della salvezza personale, ma piuttosto il bisogno altruista di amare, e perciò di servire, i propri simili, come Gesù ha amato e servito gli uomini mortali.
(2017.5) 188:4.10 I credenti sinceri non si preoccupano nemmeno tanto della punizione futura del peccato. Il vero credente s’interessa soltanto dell’attuale separazione da Dio. È vero, dei padri saggi possono castigare i loro figli, ma fanno tutto ciò con amore e a scopo correttivo. Essi non puniscono con collera, né castigano per punizione.
(2017.6) 188:4.11 Anche se Dio fosse il severo e legale monarca di un universo in cui la giustizia regna sovrana, certamente non sarebbe soddisfatto del piano infantile di sostituire una vittima innocente ad un trasgressore colpevole.
(2017.7) 188:4.12 La grande cosa circa la morte di Gesù, qual è connessa con l’arricchimento dell’esperienza umana e l’allargamento della via della salvezza, non è il fatto della sua morte, ma piuttosto il comportamento superbo e lo spirito incomparabile con cui egli affrontò la morte.
(2017.8) 188:4.13 L’intera idea del riscatto dell’espiazione pone la salvezza su un piano d’irrealtà; un tale concetto è puramente filosofico. La salvezza umana è reale; essa è basata su due realtà che possono essere colte dalla fede della creatura ed incorporate così nell’esperienza umana individuale: il fatto della paternità di Dio e la sua verità correlata, la fratellanza degli uomini. È vero, dopotutto, che vi saranno “rimessi i vostri debiti, così come voi li rimettete ai vostri debitori”.
(2017.9) 188:5.1 La croce di Gesù mostra la piena misura della devozione suprema del vero pastore ai membri, anche indegni, del suo gregge. Essa pone per sempre tutte le relazioni tra Dio e l’uomo sulla base della famiglia. Dio è il Padre; l’uomo è suo figlio. L’amore, l’amore di un padre per suo figlio, diviene la verità centrale delle relazioni nell’universo tra Creatore e creatura — non la giustizia di un re che cerca soddisfazione nelle sofferenze e nella punizione del suddito che commette il male.
(2018.1) 188:5.2 La croce dimostra per sempre che l’atteggiamento di Gesù verso i peccatori non era né una condanna né un’indulgenza, ma piuttosto la salvezza eterna e amorevole. Gesù è veramente un salvatore nel senso che la sua vita e la sua morte conquistano gli uomini alla bontà e ad una giusta sopravvivenza. Gesù ama talmente gli uomini che il suo amore suscita una risposta d’amore nel cuore umano. L’amore è veramente contagioso ed eternamente creativo. La morte di Gesù sulla croce dona l’esempio di un amore che è sufficientemente forte e divino da perdonare il peccato e da assorbire ogni malvagità. Gesù rivelò a questo mondo una qualità di rettitudine superiore alla giustizia — alla semplice tecnica del bene e del male. L’amore divino non si limita a perdonare i torti; li assorbe e li distrugge realmente. Il perdono d’amore trascende totalmente il perdono di misericordia. La misericordia attribuisce ad una sola parte la colpa di fare il male; ma l’amore distrugge per sempre il peccato ed ogni debolezza che ne deriva. Gesù portò un nuovo modo di vivere su Urantia. Egli non c’insegnò a resistere al male, ma a trovare tramite lui una bontà che distrugge efficacemente il male. Il perdono di Gesù non è un’indulgenza; esso è salvezza dalla condanna. La salvezza non ignora i torti; li corregge. Il vero amore non viene a compromesso con l’odio né lo perdona; esso lo distrugge. L’amore di Gesù non si accontenta mai del semplice perdono. L’amore del Maestro implica la riabilitazione, la sopravvivenza eterna. È del tutto corretto parlare di salvezza come di redenzione se s’intende questa riabilitazione eterna.
(2018.2) 188:5.3 Gesù, con il potere del suo amore personale per gli uomini, poté spezzare la presa del peccato e del male. Egli rese così gli uomini liberi di scegliere dei modi di vita migliori. Gesù presentò una liberazione dal passato che, in se stessa, prometteva un trionfo per il futuro. Il perdono procurava così la salvezza. La bellezza dell’amore divino, quando è pienamente accolta nel cuore umano, distrugge per sempre il fascino del peccato ed il potere del male.
(2018.3) 188:5.4 Le sofferenze di Gesù non furono limitate alla crocifissione. In realtà Gesù di Nazaret passò più di venticinque anni sulla croce di un’esistenza mortale reale ed intensa. Il vero valore della croce consiste nel fatto che essa fu l’espressione suprema e finale del suo amore, il completamento della rivelazione della sua misericordia.
(2018.4) 188:5.5 Su milioni di mondi abitati, migliaia di miliardi di creature in evoluzione che possono essere state tentate di rinunciare alla lotta morale e di abbandonare la buona battaglia della fede, hanno rivolto ancora una volta lo sguardo verso Gesù sulla croce e poi hanno ripreso ad andare avanti, ispirati dalla visione di Dio che abbandonava la sua vita incarnata in devozione al servizio disinteressato degli uomini.
(2018.5) 188:5.6 Il trionfo della morte sulla croce è tutto riassunto nello spirito dell’atteggiamento di Gesù verso coloro che lo aggredivano. Egli fece della croce un simbolo eterno del trionfo dell’amore sull’odio e della vittoria della verità sul male quando pregò: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.” Quella devozione d’amore fu contagiosa in tutto un vasto universo; i discepoli la presero dal loro Maestro. Il primo insegnante del suo vangelo che fu chiamato a donare la vita per questo servizio, disse, mentre lo lapidavano a morte: “Che questo peccato non ricada su di loro.”
(2018.6) 188:5.7 La croce fu un appello supremo a ciò che c’è di meglio nell’uomo perché rivela un essere che fu disposto a sacrificare la sua vita al servizio dei propri simili. Nessun uomo può avere un amore più grande di questo: essere disposto a donare la propria vita per gli amici — e Gesù aveva un tale amore da essere pronto a sacrificare la sua vita per i suoi nemici, un amore più grande di quanto fosse stato conosciuto fino ad allora sulla terra.
(2019.1) 188:5.8 Sugli altri mondi, così come su Urantia, questo spettacolo sublime della morte del Gesù umano sulla croce del Golgota risvegliò le emozioni dei mortali, mentre suscitò la più alta devozione degli angeli.
(2019.2) 188:5.9 La croce è quell’alto simbolo del servizio sacro, la consacrazione della propria vita al benessere e alla salvezza dei propri simili. La croce non è il simbolo del sacrificio del Figlio di Dio innocente che si sostituisce ai peccatori colpevoli allo scopo di placare la collera di un Dio offeso, ma essa si erge per sempre, sulla terra ed in tutto un vasto universo, come un sacro simbolo dei buoni che si dedicano ai cattivi e che così li salvano per mezzo di questa stessa devozione d’amore. La croce si erge come il simbolo della più alta forma di servizio disinteressato, della suprema devozione della donazione completa di una vita retta al servizio di un ministero svolto di tutto cuore, anche fino alla morte, alla morte della croce. E la vista stessa di questo grande simbolo della vita di conferimento di Gesù ispira veramente tutti quelli di noi che desiderano fare altrettanto.
(2019.3) 188:5.10 Quando degli uomini e delle donne riflessivi guardano a Gesù che offre la sua vita sulla croce, difficilmente si permetteranno di lamentarsi anche delle avversità più dure della vita, ed ancor meno dei futili fastidi e delle loro molte lagnanze puramente fittizie. La sua vita fu così gloriosa e la sua morte così trionfante che noi siamo tutti incitati alla propensione di condividere entrambe. C’è un vero potere d’attrazione in tutto il conferimento di Micael, dall’epoca della sua giovinezza fino a questo orribile spettacolo della sua morte sulla croce.
(2019.4) 188:5.11 Assicuratevi, quindi, quando guardate alla croce come ad una rivelazione di Dio, di non guardare con gli occhi dell’uomo primitivo, né secondo il punto di vista del barbaro successivo, poiché entrambi consideravano Dio come un Sovrano implacabile che esercitava una giustizia severa e che imponeva delle leggi rigide. Assicuratevi piuttosto di vedere nella croce la manifestazione finale dell’amore e della devozione di Gesù verso la missione di conferimento della sua vita sulle razze mortali del suo vasto universo. Vedete nella morte del Figlio dell’Uomo il punto culminante della rivelazione dell’amore divino del Padre per i suoi figli delle sfere mortali. La croce descrive così la devozione dell’affetto spontaneo e l’effusione della salvezza volontaria su coloro che sono disposti a ricevere tali doni e tale devozione. Non c’è nulla nella croce che il Padre avesse chiesto — soltanto ciò che Gesù diede così spontaneamente e che rifiutò di evitare.
(2019.5) 188:5.12 Se l’uomo non riesce ad apprezzare diversamente Gesù e a comprendere il significato del suo conferimento sulla terra, può almeno comprendere che ha condiviso con lui le sue sofferenze di mortale. Nessuno può mai temere che il Creatore non conosca la natura o l’estensione delle sue afflizioni temporali.
(2019.6) 188:5.13 Noi sappiamo che la morte sulla croce non avvenne per riconciliare l’uomo con Dio, ma per stimolare la realizzazione dell’uomo dell’amore eterno del Padre e della misericordia infinita di suo Figlio, e per diffondere queste verità universali in un universo intero.
(2020.1) 189:0.1 SUBITO dopo la sepoltura di Gesù venerdì pomeriggio, il capo degli arcangeli di Nebadon, allora presente su Urantia, riunì il suo consiglio preposto alla risurrezione delle creature dotate di volontà addormentate e cominciò a studiare una tecnica possibile per risuscitare Gesù. Questi figli riuniti dell’universo locale, creature di Micael, facevano questo sotto la loro stessa responsabilità; Gabriele non li aveva riuniti. Verso mezzanotte essi erano giunti alla conclusione che la creatura non poteva fare niente per facilitare la risurrezione del Creatore. Essi erano disposti ad accettare il consiglio di Gabriele, il quale li informò che, poiché Micael aveva “abbandonato la sua vita per sua libera scelta, aveva anche il potere di riprenderla secondo la propria determinazione”. Poco dopo l’aggiornamento di questo consiglio degli arcangeli, dei Portatori di Vita e dei loro vari associati nell’opera di riabilitazione della creatura e di creazione morontiale, l’Aggiustatore Personalizzato di Gesù, che comandava personalmente le schiere celesti allora riunite su Urantia, disse queste parole agli ansiosi osservatori in attesa:
(2020.2) 189:0.2 “Nessuno di voi può fare alcunché per aiutare il vostro Creatore-padre a ritornare in vita. Come mortale del regno egli ha sperimentato la morte del mortale; come Sovrano di un universo egli vive ancora. Ciò che voi osservate è il transito mortale di Gesù di Nazaret dalla vita nella carne alla vita nella morontia. Il transito spirituale di questo Gesù fu completato nel momento in cui io mi sono separato dalla sua personalità e sono divenuto il vostro direttore temporaneo. Il vostro Creatore-padre ha scelto di attraversare l’intera esperienza delle sue creature mortali, dalla nascita sui mondi materiali, passando per la morte naturale e la risurrezione morontiale, fino allo status della vera esistenza spirituale. Voi state osservando una certa fase di questa esperienza, ma non vi è permesso parteciparvi. Voi non potete fare per il Creatore quelle cose che fate ordinariamente per la creatura. Un Figlio Creatore ha in se stesso il potere di conferirsi nelle sembianze di qualunque dei suoi figli creati; ha in se stesso il potere di abbandonare la sua vita osservabile e di riprenderla, ed ha questo potere a causa del comando diretto del Padre del Paradiso, ed io so di che cosa parlo.”
(2020.3) 189:0.3 Dopo aver inteso l’Aggiustatore Personalizzato parlare così, essi assunsero tutti un atteggiamento di ansiosa aspettativa, da Gabriele fino al più umile cherubino. Essi vedevano il corpo mortale di Gesù nella tomba; scorgevano le prove dell’attività nell’universo del loro amato Sovrano; e non comprendendo tali fenomeni, aspettavano pazientemente gli sviluppi.
(2020.4) 189:1.1 Alle due e quarantacinque di domenica mattina, la commissione paradisiaca dell’incarnazione, composta da sette personalità paradisiache non identificate, arrivò sulla scena e si dispose immediatamente attorno alla tomba. Alle tre meno dieci, intense vibrazioni di attività congiunte materiali e morontiali cominciarono ad emanare dalla nuova tomba di Giuseppe, e due minuti dopo le tre, questa domenica mattina 9 aprile dell’anno 30 d.C., la forma e la personalità morontiali risuscitate di Gesù di Nazaret uscirono dalla tomba.
(2021.1) 189:1.2 Dopo che il Gesù risuscitato emerse dalla sua tomba funebre, il corpo di carne nel quale egli aveva vissuto e lavorato sulla terra per quasi trentasei anni giaceva ancora là nella nicchia del sepolcro, intatto ed avvolto nel lenzuolo di lino, esattamente com’era stato deposto il venerdì pomeriggio da Giuseppe e dai suoi associati. Né fu in alcun modo spostata la pietra posta davanti all’entrata della tomba; il sigillo di Pilato era ancora intatto; i soldati erano ancora di guardia. Le guardie del tempio erano state in servizio continuo; la guardia romana era stata cambiata a mezzanotte. Nessuno di questi sorveglianti sospettò che l’oggetto della loro vigilanza era risorto ad una nuova e più alta forma d’esistenza, e che il corpo che stavano custodendo era ora un involucro esteriore abbandonato, che non aveva più alcuna connessione con la personalità morontiale liberata e risuscitata di Gesù.
(2021.2) 189:1.3 L’umanità è lenta a percepire che, in tutto ciò che è personale, la materia è lo scheletro della morontia, e che entrambi sono l’ombra riflessa di una realtà spirituale duratura. Quanto tempo vi ci vorrà perché consideriate il tempo come l’immagine in movimento dell’eternità e lo spazio come l’ombra fugace delle realtà del Paradiso?
(2021.3) 189:1.4 Per quanto noi possiamo giudicare, nessuna creatura di questo universo né alcuna personalità di un altro universo ebbe niente a che fare con questa risurrezione morontiale di Gesù di Nazaret. Venerdì egli abbandonò la sua vita come mortale del regno; domenica mattina la riprese come essere morontiale del sistema di Satania in Norlatiadek. C’è molto circa la risurrezione di Gesù che noi non comprendiamo. Ma sappiamo che essa avvenne come abbiamo esposto e nei tempi indicati. Noi possiamo anche affermare che tutti i fenomeni conosciuti associati a questo transito mortale, o risurrezione morontiale, avvennero proprio là nella nuova tomba di Giuseppe, dove le spoglie mortali materiali di Gesù giacevano avvolte nelle vesti funebri.
(2021.4) 189:1.5 Noi sappiamo che nessuna creatura dell’universo locale partecipò a questo risveglio morontiale. Noi abbiamo percepito le sette personalità del Paradiso attorno alla tomba, ma non li abbiamo visti fare alcunché in connessione con il risveglio del Maestro. Appena Gesù apparve accanto a Gabriele, appena sopra la tomba, le sette personalità del Paradiso manifestarono la loro intenzione di partire immediatamente per Uversa.
(2021.5) 189:1.6 Permetteteci di chiarire per sempre il concetto della risurrezione di Gesù formulando le seguenti dichiarazioni:
(2021.6) 189:1.7 1. Il suo corpo materiale o fisico non faceva parte della sua personalità risuscitata. Quando Gesù uscì dalla tomba, il suo corpo di carne rimase intatto nel sepolcro. Egli emerse dalla tomba funebre senza spostare le pietre poste davanti all’entrata e senza rompere i sigilli di Pilato.
(2021.7) 189:1.8 2. Egli non emerse dalla tomba né come spirito né come Micael di Nebadon; non apparve nella forma del Creatore Sovrano, quale aveva avuto prima della sua incarnazione nelle sembianze della carne mortale su Urantia.
(2021.8) 189:1.9 3. Egli uscì da questa tomba di Giuseppe nelle stesse sembianze delle personalità morontiali di coloro che, come esseri ascendenti morontiali risuscitati, emergono dalle sale di risurrezione del primo mondo delle dimore di questo sistema locale di Satania. E la presenza del monumento commemorativo di Micael al centro del vasto cortile delle sale di risurrezione del mondo delle dimore numero uno ci porta a supporre che la risurrezione del Maestro su Urantia fu in qualche modo promossa su questo primo mondo delle dimore del sistema.
(2022.1) 189:1.10 Il primo atto di Gesù uscendo dalla tomba fu di salutare Gabriele e d’invitarlo a proseguire nell’incarico amministrativo degli affari dell’universo sotto Emanuele, e poi ordinò al capo dei Melchizedek di trasmettere i suoi saluti fraterni ad Emanuele. Egli chiese quindi agli Altissimi di Edentia la certificazione degli Antichi dei Giorni concernente il suo transito mortale; e rivolgendosi all’assemblea dei gruppi morontiali dei sette mondi delle dimore, qui riuniti per salutare il loro Creatore e per dargli il benvenuto come creatura del loro ordine, Gesù pronunciò le prime parole della sua carriera postmortale. Il Gesù morontiale disse: “Avendo terminato la mia vita nella carne, vorrei fermarmi qui per un breve periodo nella forma di transizione per conoscere più pienamente la vita delle mie creature ascendenti e per rivelare ulteriormente la volontà di mio Padre che è in Paradiso.”
(2022.2) 189:1.11 Dopo aver detto questo, Gesù fece un cenno all’Aggiustatore Personalizzato, e tutte le intelligenze dell’universo che si erano riunite su Urantia per assistere alla risurrezione furono immediatamente inviate alle loro rispettive assegnazioni nell’universo.
(2022.3) 189:1.12 Gesù cominciò ora i contatti del livello morontiale, prendendo conoscenza, come creatura, delle esigenze della vita che egli aveva scelto di vivere per un breve periodo su Urantia. Questa iniziazione al mondo morontiale richiese più di un’ora del tempo terrestre e fu interrotta due volte per il suo desiderio di comunicare con i suoi precedenti associati nella carne, venuti con stupore da Gerusalemme per guardare dentro la tomba vuota e scoprire ciò che essi consideravano come prova della sua risurrezione.
(2022.4) 189:1.13 Ora il transito mortale di Gesù — la risurrezione morontiale del Figlio dell’Uomo — è completata. L’esperienza transitoria del Maestro come personalità intermedia tra il materiale e lo spirituale è iniziata. Ed egli ha fatto tutto ciò con il potere insito in se stesso; nessuna personalità gli ha dato un qualche aiuto. Egli vive ora come Gesù di morontia, e mentre comincia questa vita morontiale, il suo corpo materiale di carne giace là intatto nella tomba. I soldati sono ancora di guardia ed il sigillo del governatore sulle pietre non è ancora stato rotto.
(2022.5) 189:2.1 Alle tre e dieci, mentre il Gesù risuscitato fraternizzava con le personalità morontiali riunite dei sette mondi delle dimore di Satania, il capo degli arcangeli — gli angeli della risurrezione — si avvicinò a Gabriele e gli chiese il corpo mortale di Gesù. Il capo degli arcangeli disse: “Noi non possiamo partecipare alla risurrezione morontiale dell’esperienza di conferimento del nostro sovrano Micael, ma vorremmo che le sue spoglie mortali ci fossero consegnate per dissolverle immediatamente. Non ci proponiamo d’impiegare la nostra tecnica di smaterializzazione; desideriamo semplicemente fare appello al processo di accelerazione del tempo. A noi basta aver visto il Sovrano vivere e morire su Urantia; risparmieremo alle schiere del cielo il ricordo di aver sopportato la vista della lenta decomposizione della forma umana del Creatore e Sostenitore di un universo. A nome delle intelligenze celesti di tutto Nebadon, io chiedo un mandato che mi affidi la custodia del corpo mortale di Gesù di Nazaret e che ci autorizzi a procedere alla sua immediata dissoluzione.”
(2023.1) 189:2.2 E dopo che Gabriele ebbe conferito con l’Altissimo senior di Edentia, l’arcangelo portavoce delle schiere celesti ricevette l’autorizzazione di disporre delle spoglie fisiche di Gesù a suo piacimento.
(2023.2) 189:2.3 Dopo che fu accolta la sua richiesta, il capo degli arcangeli chiamò in suo aiuto molti dei suoi compagni, assieme ad una numerosa schiera di rappresentanti di tutti gli ordini di personalità celesti, e poi, con l’assistenza degli intermedi di Urantia, procedette a prendere possesso del corpo fisico di Gesù. Questo corpo morto era una creazione puramente materiale; era letteralmente fisico; esso non poteva essere rimosso dalla tomba nel modo in cui la forma morontiale della risurrezione era stata in grado di uscire dal sepolcro sigillato. Con l’aiuto di alcune personalità morontiali ausiliarie, in certi momenti la forma morontiale può essere resa simile a quella spirituale, cosicché può divenire indifferente alla materia ordinaria, mentre in altri momenti può divenire discernibile e contattabile da esseri materiali quali i mortali del regno.
(2023.3) 189:2.4 Mentre essi si preparavano a rimuovere il corpo di Gesù dalla tomba in vista di disporne l’eliminazione in modo degno e rispettoso mediante una dissoluzione quasi istantanea, gli intermedi secondari di Urantia furono incaricati di spostare le due pietre dall’entrata della tomba. La più grossa di queste due pietre era un enorme blocco circolare molto simile ad una macina, e si spostava in una scanalatura intagliata nella roccia, in modo da poter essere rotolata avanti e indietro per aprire o chiudere la tomba. Quando le guardie ebree ed i soldati romani di sorveglianza videro, alla debole luce dell’alba, questa enorme pietra cominciare a rotolar via dall’entrata della tomba, apparentemente da sola — senza alcun mezzo visibile che spiegasse tale movimento — furono presi dalla paura e dal panico e fuggirono precipitosamente dalla scena. Gli Ebrei fuggirono alle loro case, dopo essere tornati nel tempio a riferire queste cose al loro capitano. I Romani fuggirono alla fortezza di Antonia e riferirono ciò che avevano visto al centurione appena questi giunse in servizio.
(2023.4) 189:2.5 I dirigenti ebrei avevano cominciato la sordida operazione con la quale ritenevano di sbarazzarsi di Gesù offrendo del denaro al traditore Giuda, ed ora, di fronte a questa imbarazzante situazione, invece di pensare di punire le guardie che avevano disertato il loro posto, ricorsero alla corruzione di queste guardie e dei soldati romani. Essi pagarono a ciascuno di questi venti uomini una somma di denaro e ordinarono loro di dire a tutti: “Mentre dormivamo durante la notte, i suoi discepoli ci hanno colti di sorpresa ed hanno portato via il corpo.” E i dirigenti ebrei promisero solennemente ai soldati di difenderli davanti a Pilato nel caso il governatore fosse venuto a conoscenza che essi avevano accettato del denaro.
(2023.5) 189:2.6 La credenza cristiana nella risurrezione di Gesù si è basata sul fatto della “tomba vuota”. Era in verità un fatto che la tomba era vuota, ma questa non è la verità della risurrezione. La tomba era veramente vuota quando arrivarono i primi credenti, e questo fatto, associato a quello dell’indubbia risurrezione del Maestro, portò alla formulazione di una credenza che non era vera: l’insegnamento che il corpo materiale e mortale di Gesù sia risuscitato dalla tomba. La verità che concerne realtà spirituali e valori eterni non può essere sempre costituita da una combinazione di fatti evidenti. Sebbene singoli fatti possano essere materialmente veri, non ne consegue che l’associazione di un gruppo di fatti debba necessariamente portare a conclusioni spirituali esatte.
(2023.6) 189:2.7 La tomba di Giuseppe era vuota, non perché il corpo di Gesù era stato rianimato o risuscitato, ma perché le schiere celesti avevano avuto l’autorizzazione richiesta di fargli subire una dissoluzione speciale ed unica, un ritorno della “polvere alla polvere”, senza l’intervento delle dilazioni del tempo e senza la messa in atto dei processi ordinari e visibili di decomposizione mortale e di corruzione materiale.
(2024.1) 189:2.8 Le spoglie mortali di Gesù hanno subito lo stesso processo naturale di disintegrazione elementale che caratterizza tutti i corpi umani sulla terra, salvo che, per quanto riguarda il tempo, questo metodo naturale di dissoluzione fu grandemente accelerato, affrettato al punto da divenire pressoché istantaneo.
(2024.2) 189:2.9 Le vere prove della risurrezione di Micael sono di natura spirituale, benché questo insegnamento sia corroborato dalla testimonianza di molti mortali del regno che incontrarono, riconobbero e comunicarono con il Maestro morontiale risuscitato. Egli divenne parte dell’esperienza personale di quasi mille esseri umani prima di lasciare infine Urantia.
(2024.3) 189:3.1 Poco dopo le quattro e mezzo di questa domenica mattina, Gabriele riunì gli arcangeli al suo fianco e si preparò ad inaugurare la risurrezione generale della fine della dispensazione adamica su Urantia. Quando la vasta schiera dei serafini e dei cherubini partecipanti a questo grande avvenimento fu disposta in formazione appropriata, il Micael morontiale apparve davanti a Gabriele dicendo: “Come mio Padre ha la vita in se stesso, così egli ha concesso a suo Figlio di avere la vita in se stesso. Benché io non abbia ancora ripreso pienamente l’esercizio della giurisdizione sul mio universo, questa limitazione autoimpostami non riduce in alcun modo l’effusione della vita sui miei figli addormentati; che l’appello nominale della risurrezione planetaria abbia inizio.”
(2024.4) 189:3.2 Il circuito degli arcangeli operò allora per la prima volta da Urantia. Gabriele e le schiere di arcangeli si recarono sul luogo della polarità spirituale del pianeta; e quando Gabriele diede il segnale, fu trasmessa come un lampo al primo mondo delle dimore del sistema la voce di Gabriele che diceva: “Per ordine di Micael, che i morti di una dispensazione di Urantia risuscitino!” Allora tutti i sopravvissuti delle razze umane di Urantia che erano addormentati dai tempi di Adamo, e che non erano ancora comparsi in giudizio, apparvero nelle sale di risurrezione del mondo delle dimore pronti per l’investitura morontiale. E in un istante i serafini e i loro associati si prepararono a partire per i mondi delle dimore. Ordinariamente questi custodi serafici, un tempo assegnati alla custodia collettiva di questi mortali sopravviventi, sarebbero stati presenti al momento del loro risveglio nelle sale di risurrezione del mondo delle dimore, ma essi si trovavano allora su questo mondo per la necessaria presenza qui di Gabriele in connessione con la risurrezione morontiale di Gesù.
(2024.5) 189:3.3 Nonostante che innumerevoli individui avessero custodi serafici personali e che coloro che avevano raggiunto il livello richiesto di progresso spirituale della personalità fossero andati sul mondo delle dimore durante le epoche successive ai tempi di Adamo ed Eva, e benché ci fossero state numerose risurrezioni speciali e millenarie di figli di Urantia, questo era il terzo degli appelli nominali planetari, o risurrezioni dispensazionali totali. Il primo avvenne al momento dell’arrivo del Principe Planetario, il secondo durante i tempi di Adamo, e questo, il terzo, celebrava la risurrezione morontiale, il transito mortale, di Gesù di Nazaret.
(2024.6) 189:3.4 Quando il segnale della risurrezione planetaria fu ricevuto dal capo degli arcangeli, l’Aggiustatore Personalizzato del Figlio dell’Uomo lasciò la sua autorità sulle schiere celesti riunite su Urantia, rimettendo tutti questi figli dell’universo locale alla giurisdizione dei loro rispettivi comandanti. E dopo aver fatto questo partì per Salvington per registrare presso Emanuele il completamento del transito mortale di Micael. Ed egli fu immediatamente seguito da tutte le schiere celesti non assegnate al servizio su Urantia. Ma Gabriele rimase su Urantia con il Gesù morontiale.
(2025.1) 189:3.5 Questo è il racconto degli avvenimenti della risurrezione di Gesù visti da coloro che ne furono testimoni nel momento in cui avvennero realmente, liberi dalle limitazioni della parziale e ristretta vista umana.
(2025.2) 189:4.1 Mentre ci avviciniamo al momento della risurrezione di Gesù in questa domenica mattina presto, bisognerebbe ricordare che dieci apostoli stavano soggiornando a casa di Elia e Maria Marco, dove dormivano nella sala al piano superiore, riposando sugli stessi divani in cui erano reclinati durante l’ultima cena con il loro Maestro. Questa domenica mattina essi erano tutti riuniti là, eccetto Tommaso. Tommaso era rimasto con loro pochi minuti nella tarda serata di sabato quando si erano appena riuniti, ma la vista degli apostoli, unita al pensiero di ciò che era accaduto a Gesù, fu troppo per lui. Egli gettò uno sguardo sui suoi compagni e lasciò immediatamente la stanza, recandosi a casa di Simone a Betfage, dove pensava di meditare sul suo dolore in solitudine. Gli apostoli soffrivano tutti, non tanto per il dubbio e la disperazione quanto per la paura, il dispiacere e la vergogna.
(2025.3) 189:4.2 A casa di Nicodemo si erano riuniti, con Davide Zebedeo e Giuseppe d’Arimatea, da dodici a quindici dei più importanti discepoli di Gesù di Gerusalemme. A casa di Giuseppe d’Arimatea si trovavano da quindici a venti delle principali donne credenti. Solo queste donne avevano dimorato nella casa di Giuseppe e vi erano rimaste nascoste durante le ore diurne e serali del sabato, cosicché ignoravano che un picchetto di soldati vigilasse sulla tomba; né sapevano che una seconda pietra fosse stata rotolata davanti alla tomba e che su entrambe queste pietre fosse stato apposto il sigillo di Pilato.
(2025.4) 189:4.3 Poco prima delle tre di questa domenica mattina, quando i primi segni dell’alba apparvero ad oriente, cinque delle donne partirono per la tomba di Gesù. Esse avevano preparato in abbondanza degli unguenti speciali per l’imbalsamazione, e portarono con loro molte bende di lino. Era loro intenzione imbalsamare meglio il corpo di Gesù ed avvolgerlo con maggior cura con le nuove bende.
(2025.5) 189:4.4 Le donne che partirono in questa missione per ungere il corpo di Gesù erano: Maria Maddalena, Maria madre dei gemelli Alfeo, Salomè madre dei fratelli Zebedeo, Giovanna moglie di Cuza e Susanna figlia di Ezra di Alessandria.
(2025.6) 189:4.5 Erano circa le tre e mezzo quando le cinque donne, cariche dei loro unguenti, arrivarono davanti alla tomba vuota. Al momento in cui uscirono per la porta di Damasco, esse incrociarono un gruppo di soldati che fuggivano in città più o meno presi dal panico, e ciò le spinse a fermarsi per alcuni minuti; ma vedendo che non succedeva più nulla, ripresero il loro cammino.
(2025.7) 189:4.6 Esse furono grandemente sorprese di vedere la pietra rotolata via dall’entrata della tomba, tanto più che si erano chieste tra di loro lungo la strada: “Chi ci aiuterà a rotolare via la pietra?” Esse deposero i loro fardelli e cominciarono a guardarsi l’un l’altra con timore e grande stupore. Mentre stavano là, tremanti di paura, Maria Maddalena si avventurò attorno alla pietra più piccola e osò entrare nel sepolcro aperto. Questa tomba di Giuseppe era situata nel suo giardino, sul pendio del lato orientale della strada, ed essa pure era rivolta ad est. A quest’ora l’alba del nuovo giorno dava giusto luce sufficiente per permettere a Maria di vedere il luogo in cui era stato posto il corpo del Maestro e per discernere che non c’era più. Nell’incavo di pietra dove era stato posto Gesù, Maria vide soltanto il panno piegato sul quale aveva riposato la sua testa e le bende con le quali era stato avvolto che giacevano intatte e stese come si trovavano sulla pietra prima che le schiere celesti rimuovessero il corpo. Il lenzuolo che lo copriva giaceva ai piedi della nicchia funebre.
(2026.1) 189:4.7 Dopo che Maria si fu fermata per qualche istante all’entrata della tomba (essa non vedeva distintamente appena entrata nella tomba), vide che il corpo di Gesù era scomparso e che al suo posto erano rimasti solo questi indumenti funebri, e mandò un grido d’allarme e d’angoscia. Tutte le donne erano estremamente nervose; esse avevano i nervi tesi da quando avevano incontrato i soldati in panico alla porta della città, e quando Maria mandò questo grido d’angoscia, esse furono colte da terrore e fuggirono precipitosamente. E non si fermarono prima d’aver percorso tutta la strada fino alla porta di Damasco. In questo momento Giovanna si ricordò che avevano abbandonato Maria; essa radunò le sue compagne e ripartirono per la tomba.
(2026.2) 189:4.8 Mentre si avvicinavano al sepolcro, l’impaurita Maria Maddalena, che fu ancor più presa da terrore quando non trovò le sue sorelle ad aspettarla all’uscita dalla tomba, si precipitò ora verso di loro, esclamando tutta eccitata: “Egli non è là — l’hanno portato via!” E poi le condusse alla tomba, ed esse entrarono tutte e videro che era vuota.
(2026.3) 189:4.9 Tutte le cinque donne si sedettero allora sulla pietra vicino all’entrata e discussero della situazione. Non era ancora venuto loro in mente che Gesù fosse risuscitato. Esse erano rimaste da sole tutto il sabato, e pensarono che il corpo fosse stato portato a riposare in un altro luogo. Ma quando rifletterono su tale soluzione del loro dilemma, non riuscirono a spiegarsi la disposizione ordinata degli indumenti funebri; come avrebbe potuto essere stato portato via il corpo se le bende stesse in cui era avvolto erano state lasciate sul posto ed apparentemente intatte sulla nicchia funebre?
(2026.4) 189:4.10 Mentre queste donne erano sedute là alle prime luci dell’alba di questo nuovo giorno, guardarono di lato e videro uno straniero silenzioso ed immobile. Per un momento esse ebbero di nuovo paura, ma Maria Maddalena, precipitandosi verso di lui e rivolgendosi a lui ritenendo che fosse il custode del giardino, disse: “Dove avete portato il Maestro? Dove l’hanno deposto? Diccelo affinché possiamo andare a prenderlo.” Quando lo straniero non rispose a Maria, essa si mise a piangere. Allora Gesù parlò loro dicendo: “Chi cercate?” Maria disse: “Cerchiamo Gesù che era stato messo a riposare nella tomba di Giuseppe, ma non c’è più. Tu sai dove l’hanno portato?” Allora Gesù disse: “Questo Gesù non vi ha detto, anche in Galilea, che sarebbe morto, ma che sarebbe risuscitato?” Queste parole stupirono le donne, ma il Maestro era talmente cambiato che esse non lo riconobbero con la schiena rivolta alla debole luce. E mentre meditavano le sue parole, egli si rivolse a Maddalena con voce familiare dicendo: “Maria.” E quando essa udì questa parola di simpatia ben conosciuta e di saluto affettuoso, riconobbe che era la voce del Maestro e si precipitò ad inginocchiarsi ai suoi piedi esclamando: “Mio Signore e mio Maestro!” E tutte le altre donne riconobbero che era il Maestro che stava davanti a loro in forma glorificata, e s’inginocchiarono subito davanti a lui.
(2027.1) 189:4.11 Questi occhi umani furono in grado di vedere la forma morontiale di Gesù a causa del ministero speciale dei trasformatori e degli intermedi in associazione con certe personalità morontiali che accompagnavano allora Gesù.
(2027.2) 189:4.12 Mentre Maria cercava di abbracciare i suoi piedi, Gesù disse: “Non toccarmi Maria, perché non sono quale mi hai conosciuto nella carne. In questa forma io rimarrò con voi per qualche tempo prima di ascendere al Padre. Ma andate tutte ora a raccontare ai miei apostoli — e a Pietro — che sono risuscitato e che avete parlato con me.”
(2027.3) 189:4.13 Dopo che queste donne si furono riprese dallo shock del loro stupore, tornarono in fretta in città a casa di Elia Marco, dove raccontarono ai dieci apostoli tutto ciò che era accaduto loro; ma gli apostoli non erano propensi a crederle. Essi pensarono prima che le donne avessero avuto una visione, ma quando Maria Maddalena ripeté le parole che Gesù aveva detto loro, e quando Pietro sentì il suo nome, uscì precipitosamente dalla stanza al piano superiore, seguito da vicino da Giovanni, per andare in gran fretta alla tomba a vedere queste cose lui stesso.
(2027.4) 189:4.14 Le donne ripeterono la storia del loro colloquio con Gesù agli altri apostoli, ma essi non vollero crederci; né vollero andare a rendersi conto da se stessi come fecero Pietro e Giovanni.
(2027.5) 189:5.1 Mentre i due apostoli correvano verso il Golgota e la tomba di Giuseppe, i pensieri di Pietro si alternavano tra il timore e la speranza; egli temeva d’incontrare il Maestro, ma la sua speranza era risvegliata dalla storia che Gesù aveva inviato un messaggio speciale a lui. Egli era a metà persuaso che Gesù fosse realmente vivo; si ricordò della promessa di risuscitare il terzo giorno. Strano a dirsi, egli non aveva più pensato a questa promessa dalla crocifissione fino a questo momento in cui correva verso nord attraverso Gerusalemme. Mentre Giovanni si precipitava fuori della città, una strana estasi di gioia e di speranza cresceva nella sua anima. Egli era a metà convinto che le donne avessero realmente visto il Maestro risorto.
(2027.6) 189:5.2 Giovanni, essendo più giovane di Pietro, corse più in fretta di lui e arrivò per primo alla tomba. Giovanni si fermò sulla porta, osservando la tomba, ed era proprio come Maria l’aveva descritta. Subito dopo arrivò di corsa Simon Pietro, ed entrato vide la stessa tomba vuota con gli indumenti funebri disposti in modo così particolare. E quando Pietro fu uscito, entrò anche Giovanni a vedere tutto ciò con i suoi occhi, e poi essi si sedettero sulla pietra per riflettere sul significato di ciò che avevano visto e udito. E mentre erano seduti là, essi meditarono a lungo su tutto quello che era stato detto loro di Gesù, ma non riuscirono a percepire chiaramente ciò che era accaduto.
(2027.7) 189:5.3 Pietro suggerì prima che la tomba fosse stata violata, che dei nemici avessero rubato il corpo e forse corrotto le guardie. Ma Giovanni ragionò che la tomba difficilmente sarebbe stata lasciata così in ordine se il corpo fosse stato rubato, e sollevò anche la questione di come le bende potessero essere state lasciate sul posto, e così evidentemente intatte. Essi tornarono entrambi nella tomba per esaminare più da vicino i sudari. Quando uscirono dalla tomba la seconda volta, essi trovarono Maria Maddalena che era tornata e piangeva davanti all’entrata. Maria era andata dagli apostoli con la convinzione che Gesù fosse risorto dalla tomba, ma quando essi rifiutarono tutti di credere al suo racconto, divenne scoraggiata e disperata. Essa desiderò ardentemente di tornare alla tomba, dove pensava di aver udito la voce familiare di Gesù.
(2027.8) 189:5.4 Mentre Maria si attardava dopo che Pietro e Giovanni se n’erano andati, il Maestro le apparve di nuovo dicendo: “Non dubitare; abbi il coraggio di credere a ciò che hai visto e udito. Ritorna dai miei apostoli e dì loro nuovamente che sono risorto, che apparirò loro e che presto li precederò in Galilea come ho promesso.”
(2028.1) 189:5.5 Maria tornò in fretta alla casa di Marco e raccontò agli apostoli che aveva parlato di nuovo con Gesù, ma essi rifiutarono di crederle. Ma quando tornarono Pietro e Giovanni, essi cessarono di canzonarla e furono presi da timore ed apprensione.
(2029.1) 190:0.1 IL GESÙ risorto si prepara ora a trascorrere un breve periodo su Urantia allo scopo di fare l’esperienza della carriera morontiale ascendente di un mortale dei regni. Benché questo periodo di vita morontiale sia trascorso sul mondo della sua incarnazione mortale, sarà tuttavia, sotto tutti gli aspetti, la contropartita dell’esperienza dei mortali di Satania che passano per la vita morontiale progressiva dei sette mondi delle dimore di Jerusem.
(2029.2) 190:0.2 Tutto questo potere che è innato in Gesù — la dotazione della vita — e che gli ha permesso di risuscitare dalla morte, è il dono stesso della vita eterna che egli effonde sui credenti al regno e che anche ora rende certa la loro risurrezione dai vincoli della morte naturale.
(2029.3) 190:0.3 I mortali dei regni si leveranno nel giorno della risurrezione con lo stesso tipo di corpo morontiale o di transizione che aveva Gesù quando uscì dalla tomba questa domenica mattina. Questi corpi non hanno circolazione sanguigna e tali esseri non mangiano cibo materiale ordinario; tuttavia, queste forme morontiali sono reali. Quando i vari credenti videro Gesù dopo la sua risurrezione, lo videro realmente; non erano vittime autoilluse di visioni o di allucinazioni.
(2029.4) 190:0.4 Una fede incrollabile nella risurrezione di Gesù fu la caratteristica cardinale della fede di tutti i rami dell’insegnamento iniziale del vangelo. A Gerusalemme, Alessandria, Antiochia e Filadelfia, tutti gli insegnanti del vangelo si unirono in questa fede implicita nella risurrezione del Maestro.
(2029.5) 190:0.5 Esaminando il ruolo preminente che svolse Maria Maddalena nella proclamazione della risurrezione del Maestro, bisognerebbe ricordare che Maria era la principale portavoce del corpo femminile, come Pietro lo era per gli apostoli. Maria non era a capo di queste donne che lavoravano per il regno, ma era la loro principale insegnante e portavoce pubblica. Maria era divenuta una donna di grande circospezione, cosicché la sua audacia nel rivolgersi ad un uomo che riteneva il sorvegliante del giardino di Giuseppe indica soltanto quanto fosse atterrita di trovare la tomba vuota. Furono la profondità e l’angoscia del suo amore, la pienezza della sua devozione, che le fecero dimenticare per un istante la convenzionale riservatezza dell’approccio di una donna ebrea ad uno straniero.
(2029.6) 190:1.1 Gli apostoli non volevano che Gesù li lasciasse; per questo essi avevano minimizzato tutte le sue dichiarazioni sulla sua morte, così come le sue promesse di risuscitare. Essi non si aspettavano la risurrezione nella maniera in cui avvenne, e rifiutarono di credervi fino a che non furono posti di fronte alla costrizione di una testimonianza irrefutabile e della prova assoluta delle loro stesse esperienze.
(2030.1) 190:1.2 Quando gli apostoli rifiutarono di credere al resoconto delle cinque donne che sostenevano di aver visto Gesù e di aver parlato con lui, Maria Maddalena ritornò alla tomba e le altre ritornarono a casa di Giuseppe, dove raccontarono le loro esperienze a sua figlia e alle altre donne. E le donne credettero al loro resoconto. Poco dopo le sei la figlia di Giuseppe d’Arimatea e le quattro donne che avevano visto Gesù andarono a casa di Nicodemo, dove raccontarono tutti questi avvenimenti a Giuseppe, a Nicodemo, a Davide Zebedeo e agli altri uomini ivi riuniti. Nicodemo e gli altri dubitarono della loro storia, dubitarono che Gesù fosse risuscitato dalla morte; essi congetturarono che gli Ebrei avessero portato via il corpo. Giuseppe e Davide erano disposti a credere al resoconto, cosicché corsero ad ispezionare la tomba e trovarono ogni cosa proprio come le donne avevano descritto. Ed essi furono gli ultimi a vedere così il sepolcro, perché il sommo sacerdote mandò il capitano delle guardie del tempio alla tomba alle sette e mezzo per portare via le bende funebri. Il capitano le avvolse tutte nel lenzuolo di lino e le gettò in un dirupo vicino.
(2030.2) 190:1.3 Dalla tomba Davide e Giuseppe andarono immediatamente a casa di Elia Marco, dove tennero una riunione con i dieci apostoli nella sala al piano superiore. Solo Giovanni Zebedeo fu disposto a credere, seppure debolmente, che Gesù fosse risuscitato dalla morte. Pietro aveva inizialmente creduto, ma quando non trovò il Maestro cadde in seri dubbi. Essi erano tutti inclini a credere che gli Ebrei avessero portato via il corpo. Davide non volle discutere con loro, ma andandosene disse: “Voi siete gli apostoli e dovreste comprendere queste cose. Io non discuterò con voi; in ogni modo, io torno ora a casa di Nicodemo, dove sono d’accordo con i messaggeri di trovarci questa mattina, e quando saranno tutti riuniti, li manderò a compiere la loro ultima missione quali annunciatori della risurrezione del Maestro. Ho sentito il Maestro dire che dopo la sua morte sarebbe risuscitato il terzo giorno, ed io gli credo.” E dopo aver parlato così ai tristi e sconsolati ambasciatori del regno, questo autonominatosi capo delle comunicazioni e delle informazioni si congedò dagli apostoli. Uscendo dalla stanza al piano superiore egli lasciò cadere la borsa di Giuda, contenente tutti i fondi apostolici, in grembo a Matteo Levi.
(2030.3) 190:1.4 Erano circa le nove e mezzo quando l’ultimo dei ventisei messaggeri di Davide arrivò a casa di Nicodemo. Davide li riunì subito nello spazioso cortile e disse loro:
(2030.4) 190:1.5 “Uomini e fratelli, per tutto questo tempo voi mi avete servito in conformità al vostro giuramento verso di me e tra di voi, e vi chiamo a testimoni che non vi ho mai dato finora false informazioni. Sto per inviarvi nella vostra ultima missione come messaggeri volontari del regno, e facendo ciò vi libero dal vostro giuramento e sciolgo il corpo dei messaggeri. Uomini, io vi dichiaro che abbiamo terminato il nostro lavoro. Il Maestro non ha più bisogno di messaggeri mortali; egli è risuscitato dalla morte. Prima del suo arresto egli ci ha detto che sarebbe morto e che sarebbe risuscitato il terzo giorno. Io ho visto la tomba — è vuota. Ho parlato con Maria Maddalena ed altre quattro donne che hanno parlato con Gesù. Io ora vi congedo, vi dico addio e vi mando alle vostre rispettive destinazioni, e il messaggio che porterete ai credenti è: ‘Gesù è risuscitato dalla morte; la tomba è vuota.’ ”
(2030.5) 190:1.6 La maggior parte di coloro che erano presenti tentarono di persuadere Davide a non fare questo. Ma non riuscirono ad influenzarlo. Essi cercarono allora di dissuadere i messaggeri, ma costoro non diedero ascolto alle loro parole di dubbio. E così, poco prima delle dieci di questa domenica mattina, questi ventisei corrieri partirono come primi annunciatori del potente fatto di verità che Gesù era risorto. Ed essi partirono per questa missione, come avevano fatto per tante altre, in osservanza al giuramento fatto a Davide Zebedeo e tra di loro. Questi uomini avevano grande fiducia in Davide. Essi partirono per questo incarico senza neppure fermarsi a parlare con coloro che avevano visto Gesù; essi credevano a Davide sulla parola. La maggior parte di loro credeva a ciò che Davide aveva detto loro, ed anche quelli che ne dubitavano un po’ portarono il messaggio altrettanto fedelmente ed altrettanto presto.
(2031.1) 190:1.7 Gli apostoli, il corpo spirituale del regno, in questo giorno sono riuniti nella sala al piano superiore, dove manifestano paura ed esprimono dubbi, mentre questi laici, che rappresentano il primo tentativo di socializzazione del vangelo del Maestro sulla fratellanza degli uomini, sotto gli ordini del loro intrepido ed efficiente capo vanno a proclamare il Salvatore risorto di un mondo e di un universo. Ed essi s’impegnano in questo importante servizio prima che i suoi rappresentanti scelti siano disposti a credere alla sua parola o ad accettare la prova delle testimonianze oculari.
(2031.2) 190:1.8 Questi ventisei furono inviati a casa di Lazzaro a Betania e a tutti i centri di credenti, da Bersabea nel sud fino a Damasco e a Sidone nel nord, e da Filadelfia ad est fino ad Alessandria ad ovest.
(2031.3) 190:1.9 Dopo aver lasciato i suoi fratelli, Davide andò a casa di Giuseppe a cercare sua madre, e poi partirono per Betania per raggiungere la famiglia di Gesù che li aspettava. Davide dimorò a Betania con Marta e Maria fino a quando esse ebbero liquidato i loro beni terreni, poi le accompagnò nel loro viaggio per unirsi al loro fratello Lazzaro a Filadelfia.
(2031.4) 190:1.10 Circa una settimana dopo Giovanni Zebedeo condusse Maria madre di Gesù a casa sua a Betsaida. Giacomo, il fratello maggiore di Gesù, rimase con la sua famiglia a Gerusalemme. Rut restò a Betania con le sorelle di Lazzaro. Il resto della famiglia di Gesù ritornò in Galilea. Davide Zebedeo partì da Betania con Marta e Maria per Filadelfia ai primi di giugno, il giorno dopo il suo matrimonio con Rut, la sorella più giovane di Gesù.
(2031.5) 190:2.1 Dal momento della risurrezione morontiale fino alla sua ascensione in spirito in cielo, Gesù fece diciannove apparizioni separate in forma visibile ai suoi credenti sulla terra. Egli non apparve ai suoi nemici né a coloro che non potevano fare un uso spirituale della sua manifestazione in forma visibile. La sua prima apparizione fu alle cinque donne presso la tomba; la seconda a Maria Maddalena, pure presso la tomba.
(2031.6) 190:2.2 La terza apparizione avvenne circa a mezzogiorno di questa domenica a Betania. Poco dopo mezzogiorno Giacomo, il fratello maggiore di Gesù, si trovava nel giardino di Lazzaro davanti alla tomba vuota del fratello risuscitato di Marta e Maria, meditando sulle notizie portate loro circa un’ora prima dal messaggero di Davide. Giacomo era sempre stato incline a credere nella missione di suo fratello maggiore sulla terra, ma aveva da lungo tempo perso contatto con l’opera di Gesù ed era caduto in seri dubbi riguardo alle affermazioni successive degli apostoli che Gesù era il Messia. Tutta la famiglia fu stupefatta e quasi confusa dalle notizie portate dal messaggero. Proprio mentre Giacomo stava davanti alla tomba vuota di Lazzaro, arrivò sulla scena Maria Maddalena e raccontò tutta eccitata alla famiglia le sue esperienze delle prime ore del mattino alla tomba di Giuseppe. Prima che essa avesse finito, arrivarono Davide Zebedeo e sua madre. Rut, naturalmente, credette al racconto, e così fece Giuda dopo che ebbe parlato con Davide e Salomè.
(2032.1) 190:2.3 Nel frattempo, mentre essi cercavano Giacomo e prima che lo trovassero, mentre egli stava là in giardino vicino alla tomba ebbe coscienza di una presenza vicina, come se qualcuno l’avesse toccato sulla spalla; e quando si girò per guardare vide la graduale apparizione di una forma strana accanto a lui. Egli era troppo stupefatto per parlare e troppo spaventato per fuggire. Ed allora la strana forma parlò e disse: “Giacomo, vengo a chiamarti al servizio del regno. Unisciti con impegno ai tuoi fratelli e seguimi.” Quando Giacomo udì pronunciare il suo nome, seppe che era suo fratello maggiore, Gesù, che si era rivolto a lui. Ebbero tutti più o meno difficoltà a riconoscere la forma morontiale del Maestro, ma pochi di loro ebbero qualche problema a riconoscere la sua voce o ad identificare altrimenti la sua personalità affascinante una volta che egli cominciava a comunicare con loro.
(2032.2) 190:2.4 Quando percepì che Gesù si rivolgeva a lui, Giacomo stava per cadere alle sue ginocchia esclamando: “Padre mio e fratello mio”, ma Gesù lo pregò di rimanere in piedi mentre parlava con lui. Ed essi camminarono nel giardino e parlarono per circa tre minuti; parlarono delle esperienze dei giorni precedenti e degli eventi previsti per il prossimo futuro. Mentre si avvicinavano alla casa, Gesù disse: “Addio, Giacomo, fino a quando vi saluterò tutti insieme.”
(2032.3) 190:2.5 Giacomo si precipitò in casa, proprio mentre essi lo cercavano a Betfage, esclamando: “Ho appena visto Gesù ed ho parlato con lui; siamo stati insieme. Egli non è morto; è risorto! È svanito davanti a me dicendo: ‘Addio fino a quando vi saluterò tutti insieme.’ ” Egli aveva appena finito di parlare quando ritornò Giuda, ed egli raccontò di nuovo per Giuda l’esperienza del suo incontro con Gesù nel giardino. Ed allora tutti loro cominciarono a credere nella risurrezione di Gesù. Giacomo annunciò ora che non sarebbe tornato in Galilea, e Davide esclamò: “Egli non è stato visto solo da donne eccitate; anche degli uomini coraggiosi hanno cominciato a vederlo. Mi aspetto di vederlo anch’io.”
(2032.4) 190:2.6 E Davide non aspettò a lungo, perché la quarta apparizione di Gesù al riconoscimento dei mortali avvenne poco prima delle due in questa stessa casa di Marta e di Maria, quando egli apparve visibilmente alla sua famiglia terrena e ai loro amici, venti persone in tutto. Il Maestro apparve sulla porta posteriore aperta, dicendo: “La pace sia su di voi. Saluti a coloro che furono un tempo vicini a me nella carne e cordialità per i miei fratelli e sorelle nel regno dei cieli. Come avete potuto dubitare? Perché avete atteso così a lungo prima di scegliere di seguire la luce della verità con tutto il cuore? Entrate dunque tutti nella comunità dello Spirito della Verità nel regno del Padre.” Mentre essi cominciavano a riprendersi dallo shock iniziale del loro stupore e ad avvicinarsi a lui come per abbracciarlo, egli scomparve dalla loro vista.
(2032.5) 190:2.7 Essi volevano tutti precipitarsi in città per raccontare agli apostoli dubbiosi ciò che era successo, ma Giacomo li trattenne. Solo a Maria Maddalena fu permesso di ritornare alla casa di Giuseppe. Giacomo proibì loro di divulgare il fatto di questa visita morontiale a causa di certe cose che Gesù gli aveva detto nel corso della loro conversazione in giardino. Ma Giacomo non rivelò mai di più sul suo incontro con il Maestro risorto in questo giorno a casa di Lazzaro a Betania.
(2033.1) 190:3.1 La quinta manifestazione morontiale di Gesù al riconoscimento di occhi mortali avvenne alla presenza di circa venticinque donne credenti riunite a casa di Giuseppe d’Arimatea, verso le quattro e un quarto di questa stessa domenica pomeriggio. Maria Maddalena era tornata a casa di Giuseppe giusto pochi minuti prima di questa apparizione. Giacomo, il fratello di Gesù, aveva chiesto che non si dicesse nulla agli apostoli sull’apparizione del Maestro a Betania. Egli non aveva chiesto a Maria di non riferire l’avvenimento alle sue sorelle credenti. Di conseguenza, dopo che Maria ebbe fatto giurare a tutte le donne di mantenere il segreto, procedette a raccontare ciò che era accaduto così recentemente mentre era con la famiglia di Gesù a Betania. Ed essa era nel bel mezzo di questo appassionante racconto quando un silenzio improvviso e solenne cadde su di loro; esse scorsero in mezzo a loro stesse la forma pienamente visibile del Gesù risorto. Egli le salutò dicendo: “La pace sia su di voi. Nella comunità del regno non vi sarà né Ebreo né Gentile, né ricco né povero, né libero né schiavo, né uomo né donna. Anche voi siete chiamate a diffondere la buona novella della liberazione dell’umanità mediante il vangelo della filiazione con Dio nel regno dei cieli. Andate in tutto il mondo a proclamare questo vangelo e a confermare i credenti nella fede in esso. E mentre fate questo, non dimenticate di curare gli ammalati e di fortificare coloro che sono pusillanimi e tormentati dalla paura. Ed io sarò sempre con voi, sino ai confini stessi della terra.” E dopo che ebbe parlato così, egli scomparve dalla loro vista, mentre le donne cadevano faccia a terra e adoravano in silenzio.
(2033.2) 190:3.2 Delle cinque apparizioni morontiali di Gesù avvenute fino a questo momento, Maria Maddalena ne aveva assistito a quattro.
(2033.3) 190:3.3 A seguito dell’invio dei messaggeri a metà mattinata e a causa dell’involontaria fuga di notizie concernenti questa apparizione di Gesù nella casa di Giuseppe, giunse voce ai dirigenti ebrei all’inizio della sera che si stava raccontando in città che Gesù era risorto e che numerose persone affermavano di averlo visto. I Sinedristi furono profondamente turbati da queste voci. Dopo una rapida consultazione con Anna, Caifa convocò una riunione del Sinedrio per le otto di quella sera. Fu in questa riunione che si decise di cacciare dalle sinagoghe qualsiasi persona che avesse fatto menzione della risurrezione di Gesù. Fu anche proposto che chiunque avesse affermato di averlo visto fosse messo a morte; questa proposta, tuttavia, non fu messa ai voti perché la riunione finì in una confusione che rasentava un reale panico. Essi avevano osato pensare di essersi liberati di Gesù. Stavano per scoprire che le loro vere difficoltà con l’uomo di Nazaret erano appena cominciate.
(2033.4) 190:4.1 Verso le quattro e mezzo, a casa di un certo Flavio, il Maestro fece la sua sesta apparizione morontiale ad una quarantina di credenti greci riuniti là. Mentre essi erano impegnati a discutere i resoconti sulla risurrezione del Maestro, egli si manifestò in mezzo a loro, nonostante che le porte fossero solidamente chiuse, e parlando loro disse: “La pace sia su di voi. Anche se il Figlio dell’Uomo è apparso sulla terra tra gli Ebrei, egli è venuto a portare il suo ministero a tutti gli uomini. Nel regno di mio Padre non vi saranno né Ebrei né Gentili; voi sarete tutti fratelli — i figli di Dio. Andate, dunque, in tutto il mondo a proclamare questo vangelo di salvezza quale l’avete ricevuto dagli ambasciatori del regno, ed io vi accoglierò nella fraternità dei figli della fede e della verità del Padre.” E dopo aver dato loro questo incarico, egli si congedò, ed essi non lo videro più. Essi rimasero nella casa tutta la sera; erano troppo presi da sgomento e da paura per avventurarsi fuori. Né alcuno di questi Greci dormì quella notte; essi rimasero svegli a discutere queste cose, sperando che il Maestro facesse loro una nuova visita. In mezzo a questo gruppo c’erano molti dei Greci che erano a Getsemani quando i soldati arrestarono Gesù e Giuda lo tradì con un bacio.
(2034.1) 190:4.2 Le voci della risurrezione di Gesù e i resoconti concernenti le numerose apparizioni ai suoi discepoli si stanno diffondendo rapidamente, e tutta la città è portata ad un alto grado di eccitazione. Il Maestro è già apparso alla sua famiglia, alle donne e ai Greci, e tra poco si manifesterà in mezzo agli apostoli. Il Sinedrio è prossimo a cominciare ad esaminare questi nuovi problemi che si sono imposti così improvvisamente ai dirigenti Ebrei. Gesù pensa molto ai suoi apostoli, ma desidera che siano lasciati soli ancora per qualche ora di solenne riflessione e di meditata considerazione prima di far loro visita.
(2034.2) 190:5.1 Ad Emmaus, situato a circa dieci chilometri ad ovest di Gerusalemme, vivevano due fratelli pastori che avevano trascorso la settimana di Pasqua a Gerusalemme assistendo ai sacrifici, alle cerimonie e alle feste. Cleopa, il maggiore, era parzialmente credente in Gesù; per questo almeno egli era stato cacciato dalla sinagoga. Suo fratello Giacobbe non era un credente, benché fosse molto incuriosito da ciò che aveva udito sugli insegnamenti e sulle opere del Maestro.
(2034.3) 190:5.2 In questa domenica pomeriggio, a circa cinque chilometri da Gerusalemme e pochi minuti prima delle cinque, mentre questi due fratelli camminavano faticosamente lungo la strada per Emmaus, parlavano molto seriamente di Gesù, dei suoi insegnamenti, delle sue opere, e più particolarmente delle voci che la sua tomba era vuota e che alcune donne avevano parlato con lui. Cleopa era a metà incline a credere a queste voci, ma Giacobbe insisteva che l’intera faccenda era probabilmente un imbroglio. Mentre essi ragionavano e discutevano in questo modo durante il viaggio di ritorno verso casa, la manifestazione morontiale di Gesù, la sua settima apparizione, venne accanto a loro mentre camminavano. Cleopa aveva spesso ascoltato Gesù insegnare ed aveva mangiato con lui a casa di credenti di Gerusalemme in parecchie occasioni. Ma egli non riconobbe il Maestro nemmeno quando parlò liberamente con loro.
(2034.4) 190:5.3 Dopo aver percorso un breve tratto con loro, Gesù disse: “Quali erano le parole che vi scambiavate così calorosamente quando mi sono avvicinato a voi?” E dopo che Gesù ebbe parlato, essi si fermarono e lo guardarono con triste sorpresa. Cleopa disse: “È possibile che tu soggiorni a Gerusalemme e non conosca gli avvenimenti che sono recentemente accaduti?” Allora il Maestro chiese: “Quali avvenimenti?” Cleopa replicò: “Se non conosci queste cose, sei il solo a Gerusalemme a non aver sentito queste voci concernenti Gesù di Nazaret, che era un profeta potente in parole ed in opere davanti a Dio e a tutto il popolo. I capi dei sacerdoti e i nostri dirigenti l’hanno consegnato ai Romani esigendo che lo crocifiggessero. Ora molti di noi avevano sperato che fosse colui che avrebbe liberato Israele dal giogo dei Gentili. Ma questo non è tutto. È ora il terzo giorno da quando egli è stato crocifisso, ed alcune donne ci hanno oggi stupito dichiarando che questa mattina molto presto sono andate alla sua tomba e l’hanno trovata vuota. E queste stesse donne insistono di aver parlato con quest’uomo; esse sostengono che è risuscitato dalla morte. E quando le donne hanno riferito ciò agli uomini, due dei suoi apostoli sono corsi alla tomba e l’hanno anch’essi trovata vuota” — e qui Giacobbe interruppe suo fratello per dire “ma essi non hanno visto Gesù”.
(2035.1) 190:5.4 Mentre proseguivano il loro cammino, Gesù disse loro: “Quanto siete lenti a comprendere la verità! Se mi dite che è sugli insegnamenti e sulle opere di quest’uomo che discutete, allora posso illuminarvi, perché ho più che familiarità con questi insegnamenti. Non vi ricordate che questo Gesù ha sempre insegnato che il suo regno non era di questo mondo, e che tutti gli uomini, essendo figli di Dio, dovrebbero trovare libertà e liberazione nella gioia spirituale della comunità della fratellanza del servizio amorevole in questo nuovo regno della verità dell’amore del Padre celeste? Non vi ricordate come questo Figlio dell’Uomo proclamò la salvezza di Dio per tutti gli uomini, curando gli ammalati e gli afflitti e rendendo liberi coloro che erano impediti dalla paura e schiavi del male? Non sapete che quest’uomo di Nazaret disse ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, essere consegnato ai suoi nemici, che lo avrebbero messo a morte, e che sarebbe risuscitato il terzo giorno? Non vi è stato detto tutto questo? E non avete mai letto nelle Scritture circa questo giorno di salvezza per gli Ebrei e i Gentili, dove è detto che in lui saranno benedette tutte le famiglie della terra; che egli ascolterà il grido dei bisognosi e salverà le anime dei poveri che lo cercano; che tutte le nazioni lo chiameranno benedetto? Che un tale Liberatore sarà come l’ombra di una grande roccia in un paese desertico. Che egli nutrirà il gregge come un vero pastore, raccogliendo gli agnelli nelle sue braccia e portandoli teneramente nel suo seno. Che aprirà gli occhi degli spiritualmente ciechi e che porterà i prigionieri della disperazione alla piena libertà e alla luce; che tutti coloro che sono nelle tenebre vedranno la grande luce della salvezza eterna. Che egli curerà i cuori spezzati, proclamerà la libertà ai prigionieri del peccato e aprirà la prigione a coloro che sono schiavi della paura e vincolati dal male. Che consolerà coloro che sono addolorati ed effonderà su di loro la gioia della salvezza al posto del dispiacere e dell’oppressione. Che sarà il desiderio di tutte le nazioni e la gioia perpetua di coloro che cercano la rettitudine. Che questo Figlio di verità e di rettitudine si ergerà sul mondo con una luce risanatrice ed un potere salvifico; ed anche che salverà il suo popolo dai suoi peccati; che cercherà realmente e salverà coloro che sono perduti. Che non distruggerà i deboli, ma porterà la salvezza a tutti coloro che hanno fame e sete di rettitudine. Che coloro che credono in lui avranno la vita eterna. Che egli spargerà il suo spirito su tutta la carne, e che questo Spirito della Verità sarà in ogni credente una sorgente d’acqua che zampillerà fino alla vita eterna. Non avete capito quanto grande era il vangelo del regno che quest’uomo vi ha dato? Non percepite quale grande salvezza è venuta su di voi?”
(2035.2) 190:5.5 In questo momento essi erano giunti vicino al villaggio in cui abitavano i due fratelli. Questi due uomini non avevano detto una parola da quando Gesù aveva cominciato ad insegnare loro mentre camminavano lungo la strada. Essi arrivarono presto davanti alla loro umile dimora, e Gesù stava per congedarsi da loro, proseguendo per la strada, ma essi lo costrinsero ad entrare e a restare con loro. Essi insisterono che era ormai l’imbrunire e che egli si fermasse con loro. Alla fine Gesù acconsentì, e poco dopo essere entrati in casa, si sedettero per mangiare. Essi gli diedero il pane da benedire, e mentre egli cominciava a romperlo e a porgerlo loro, i loro occhi si aprirono e Cleopa riconobbe che il loro ospite era il Maestro stesso. E quando egli disse: “È il Maestro”, il Gesù morontiale scomparve dalla loro vista.
(2036.1) 190:5.6 Ed allora si dissero l’un l’altro: “Non c’è da stupirsi che i nostri cuori ardessero in noi quando egli ci parlava mentre camminavamo lungo la strada! E mentre apriva alla nostra comprensione gli insegnamenti delle Scritture!”
(2036.2) 190:5.7 Essi non si fermarono a mangiare. Avevano visto il Maestro morontiale, e uscirono precipitosamente dalla casa ritornando in fretta a Gerusalemme per diffondere la buona novella del Salvatore risorto.
(2036.3) 190:5.8 Verso le nove di quella sera e poco prima che il Maestro apparisse ai dieci, questi due fratelli eccitati irruppero sugli apostoli nella sala al piano superiore dichiarando che avevano visto Gesù e che avevano parlato con lui. E raccontarono tutto ciò che Gesù aveva detto loro e come essi non avevano capito chi fosse fino al momento in cui spezzò il pane.
(2037.1) 191:0.1 LA DOMENICA della risurrezione fu un giorno terribile nella vita degli apostoli; dieci di loro trascorsero la maggior parte della giornata nella stanza di sopra dietro delle porte sbarrate. Essi avrebbero potuto fuggire da Gerusalemme, ma avevano paura di essere arrestati dagli agenti del Sinedrio se erano trovati fuori. Tommaso stava meditando sui suoi problemi da solo a Betfage. Egli avrebbe fatto meglio a rimanere con i suoi compagni apostoli, e li avrebbe aiutati ad orientare le loro discussioni in senso più proficuo.
(2037.2) 191:0.2 Per tutto il giorno Giovanni sostenne l’idea che Gesù era risuscitato dalla morte. Egli ricordò non meno di cinque differenti occasioni in cui il Maestro aveva affermato che sarebbe risuscitato, e almeno tre volte in cui aveva fatto allusione al terzo giorno. L’atteggiamento di Giovanni ebbe un’influenza considerevole su di loro, specialmente su suo fratello Giacomo e su Natanaele. Giovanni li avrebbe influenzati di più se non fosse stato il più giovane membro del gruppo.
(2037.3) 191:0.3 Il loro isolamento influiva molto sulle loro difficoltà. Giovanni Marco li teneva informati di quanto succedeva nel tempio e li informava sulle numerose voci che si sviluppavano nella città, ma non pensò di raccogliere notizie dai differenti gruppi di credenti ai quali Gesù era già apparso. Quello era il tipo di servizio reso fino ad allora dai messaggeri di Davide, ma essi erano tutti assenti per la loro ultima missione di annunciatori della risurrezione a quei gruppi di credenti che abitavano lontano da Gerusalemme. Per la prima volta in tutti questi anni gli apostoli realizzarono quanto erano dipesi dai messaggeri di Davide per la loro informazione quotidiana sugli affari del regno.
(2037.4) 191:0.4 Per tutto questo giorno Pietro oscillò emotivamente nel suo modo caratteristico tra la fede e il dubbio sulla risurrezione del Maestro. Pietro non riusciva a sottrarsi alla visione dei panni funebri che giacevano là nella tomba come se il corpo di Gesù fosse evaporato dal loro interno. “Ma”, ragionava Pietro, “se è risuscitato e può mostrarsi alle donne, perché non si mostra a noi, suoi apostoli?” Pietro diveniva triste quando pensava che forse Gesù non veniva da loro a causa della sua presenza tra gli apostoli, perché l’aveva rinnegato quella notte nel cortile di Anna. E poi trovava conforto nelle parole riportate dalle donne: “Andate a dire ai miei apostoli — e a Pietro.” Ma trarre incoraggiamento da questo messaggio implicava che egli doveva credere che le donne avessero realmente visto e udito il Maestro risorto. Pietro oscillò così l’intera giornata tra la fede e il dubbio, fino a poco dopo le otto della sera, quando si avventurò ad uscire in cortile. Pietro pensò di allontanarsi dagli apostoli per non impedire a Gesù di venire da loro a causa della sua rinnegazione del Maestro.
(2037.5) 191:0.5 Giacomo Zebedeo sostenne inizialmente di andare tutti alla tomba; egli era fermamente del parere di fare qualcosa per andare a fondo del mistero. Fu Natanaele che impedì loro di uscire in pubblico in risposta alle pressioni di Giacomo, e fece questo ricordando loro l’avvertimento di Gesù di non mettere indebitamente a repentaglio la loro vita in questo momento. Verso mezzogiorno Giacomo si era accordato con gli altri per una vigilante attesa. Egli parlava poco; era tremendamente deluso perché Gesù non appariva loro, e non sapeva delle numerose apparizioni del Maestro ad altri gruppi e a singole persone.
(2038.1) 191:0.6 Andrea ascoltò molto questo giorno. Egli era estremamente sconcertato dalla situazione ed aveva più che la sua parte di dubbi, ma godeva almeno di un certo senso di liberazione dalla responsabilità della guida dei suoi compagni apostoli. Egli era veramente contento che il Maestro l’avesse liberato dal fardello del comando prima che essi piombassero in questi momenti sconvolgenti.
(2038.2) 191:0.7 Più di una volta durante le lunghe e spossanti ore di questo tragico giorno, la sola influenza sostenitrice del gruppo fu il frequente contributo del consiglio filosofico caratteristico di Natanaele. Egli fu realmente l’influenza di controllo tra i dieci per tutta la giornata. Non una sola volta egli si espresse riguardo al credere o meno nella risurrezione del Maestro. Ma con il trascorrere del giorno egli divenne sempre più incline a credere che Gesù aveva mantenuto la sua promessa di risuscitare.
(2038.3) 191:0.8 Simone Zelota era troppo annientato per partecipare alle discussioni. Per la maggior parte del tempo egli rimase sdraiato su un divano in un angolo della stanza con il viso rivolto verso il muro; egli non parlò che una mezza dozzina di volte in tutto il giorno. Il suo concetto del regno era crollato e non riusciva a discernere che la risurrezione del Maestro poteva cambiare materialmente la situazione. La sua delusione era molto personale ed assolutamente troppo profonda per essere superata in breve tempo, anche davanti ad un fatto così stupefacente come la risurrezione.
(2038.4) 191:0.9 Strano a dirsi, Filippo, che di solito non si esprimeva, parlò molto per tutto il pomeriggio di questo giorno. Durante la mattina egli aveva detto poco, ma per tutto il pomeriggio pose delle domande agli altri apostoli. Pietro fu spesso annoiato dalle domande di Filippo, ma gli altri accettarono di buon grado il suo interrogatorio. Filippo era particolarmente desideroso di sapere, nel caso Gesù fosse realmente risorto dalla tomba, se il suo corpo portasse i segni fisici della crocifissione.
(2038.5) 191:0.10 Matteo era completamente confuso; egli ascoltò le discussioni dei suoi compagni, ma trascorse la maggior parte del tempo a riflettere sul problema delle loro future finanze. Indipendentemente dalla supposta risurrezione di Gesù, Giuda se n’era andato, Davide aveva sbrigativamente consegnato i fondi a lui, ed essi erano senza un capo con autorità. Prima che Matteo si convincesse a prendere in seria considerazione i loro argomenti sulla risurrezione, aveva già visto il Maestro faccia a faccia.
(2038.6) 191:0.11 I gemelli Alfeo presero poco parte a queste importanti discussioni; essi erano abbastanza occupati con i loro lavori abituali. Uno di loro espresse l’opinione di entrambi quando disse, in risposta ad una domanda di Filippo: “Noi non comprendiamo la faccenda della risurrezione, ma nostra madre dice che ha parlato con il Maestro, e noi le crediamo.”
(2038.7) 191:0.12 Tommaso attraversava uno dei suoi periodi tipici di sconfortante depressione. Egli dormì per una parte della giornata e passeggiò sulle colline per il resto del tempo. Egli sentiva il bisogno di unirsi ai suoi compagni apostoli, ma il desiderio di stare da solo era più forte.
(2038.8) 191:0.13 Il Maestro ritardò la prima apparizione morontiale agli apostoli per numerose ragioni. Primo, egli voleva che dopo avere avuto notizia della sua risurrezione essi avessero il tempo di riflettere bene su ciò che aveva detto loro sulla sua morte e risurrezione quando era ancora con loro nella carne. Il Maestro voleva che Pietro affrontasse direttamente alcuni suoi problemi particolari prima che egli si manifestasse a tutti loro. In secondo luogo desiderava che Tommaso fosse con loro al momento della sua prima apparizione. Giovanni Marco localizzò Tommaso a casa di Simone a Betfage questa domenica mattina presto, e ne informò gli apostoli verso le undici. Tommaso sarebbe tornato da loro in ogni momento di questo giorno se Natanaele o due altri apostoli fossero andati a cercarlo. Egli desiderava realmente tornare, ma per il modo in cui li aveva lasciati la sera prima, era troppo orgoglioso per tornare di propria iniziativa così presto. Il giorno seguente egli era talmente depresso che gli necessitò quasi una settimana per decidersi a ritornare. Gli apostoli l’aspettavano, e lui aspettava che i suoi fratelli lo venissero a cercare e gli chiedessero di tornare da loro. Tommaso rimase così lontano dai suoi associati fino al sabato sera successivo, quando, dopo che era scesa la notte, Pietro e Giovanni andarono a Betfage e lo ricondussero con loro. E questa è anche la ragione per cui essi non andarono immediatamente in Galilea dopo che Gesù fu loro apparso la prima volta; essi non volevano partire senza Tommaso.
(2039.1) 191:1.1 Erano quasi le otto e mezzo di questa domenica sera quando Gesù apparve a Simon Pietro nel giardino della casa di Marco. Questa era la sua ottava manifestazione morontiale. Pietro aveva vissuto sotto un pesante fardello di dubbio e di colpa dalla sua rinnegazione del Maestro. Per tutto il giorno di sabato e questa domenica egli aveva lottato contro la paura di non essere più, forse, un apostolo. Egli era rabbrividito d’orrore per la sorte di Giuda e credeva di avere anche lui tradito il suo Maestro. Per tutto questo pomeriggio egli pensò che poteva essere la sua presenza tra gli apostoli che impediva a Gesù di apparire loro, a condizione, beninteso, che fosse realmente risuscitato dalla morte. E fu a Pietro, in una tale disposizione mentale e in un tale stato d’animo, che Gesù apparve mentre lo scoraggiato apostolo gironzolava tra i fiori e gli arbusti.
(2039.2) 191:1.2 Quando Pietro pensò allo sguardo amorevole del Maestro mentre passava per il portico di Anna, e mentre meditava sul meraviglioso messaggio portatogli quella mattina presto dalle donne di ritorno dalla tomba vuota: “Andate a dire ai miei apostoli — e a Pietro” — mentre contemplava queste testimonianze di misericordia, la sua fede cominciò a vincere i suoi dubbi, ed egli si fermò, stringendo i pugni, e disse ad alta voce: “Io credo che egli è risuscitato dalla morte; andrò a dirlo ai miei fratelli.” E come disse queste parole, apparve improvvisamente davanti a lui la forma di un uomo che gli parlò in tono familiare dicendo: “Pietro, il nemico desiderava averti, ma io non ho voluto abbandonarti. Sapevo che non era dal cuore che mi avevi rinnegato; ti avevo dunque perdonato prima ancora che tu lo chiedessi; ma ora devi smettere di pensare a te stesso e alle difficoltà del momento e devi prepararti a portare la buona novella del vangelo a coloro che sono nelle tenebre. Non devi più preoccuparti di ciò che puoi ottenere dal regno, ma occupati piuttosto di ciò che puoi dare a coloro che vivono in una spaventosa miseria spirituale. Cingiti, o Simone, per la battaglia di un nuovo giorno, per la lotta contro le tenebre spirituali e i dubbi nefasti della mente naturale degli uomini.”
(2039.3) 191:1.3 Pietro e il Gesù morontiale camminarono nel giardino e parlarono di cose passate, presenti e future per quasi cinque minuti. Poi il Maestro scomparve dal suo sguardo dicendo: “Addio, Pietro, fino a quando ti vedrò con i tuoi fratelli.”
(2039.4) 191:1.4 Per un istante Pietro fu sopraffatto dalla realizzazione di aver parlato con il Maestro risorto e di poter essere certo di essere ancora un ambasciatore del regno. Egli aveva appena udito il Maestro glorificato esortarlo a proseguire la predicazione del vangelo. E con il cuore in subbuglio egli si precipitò nella sala di sopra alla presenza dei suoi compagni apostoli, esclamando ansante di eccitazione: “Ho visto il Maestro; era nel giardino. Ho parlato con lui, ed egli mi ha perdonato.”
(2040.1) 191:1.5 La dichiarazione di Pietro di aver visto Gesù nel giardino fece una profonda impressione sui suoi compagni apostoli, ed essi erano quasi pronti ad abbandonare i loro dubbi quando Andrea si alzò e li avvertì di non lasciarsi troppo influenzare dal resoconto di suo fratello. Andrea insinuò che Pietro aveva già visto delle cose irreali. Anche se Andrea non alluse direttamente alla visione della notte sul Mare di Galilea nella quale Pietro aveva affermato di aver visto il Maestro venire verso di loro camminando sull’acqua, disse abbastanza per lasciar intendere a tutti i presenti che si riferiva a questo incidente. Simon Pietro fu molto offeso dalle insinuazioni di suo fratello e cadde immediatamente in uno sconsolato silenzio. I gemelli furono molto dispiaciuti per Pietro e andarono ad esprimergli la loro simpatia e a dirgli che essi lo credevano, e a riaffermare che anche la loro madre aveva visto il Maestro.
(2040.2) 191:2.1 Poco dopo le nove di quella sera, dopo la partenza di Cleopa e di Giacobbe, mentre i gemelli Alfeo confortavano Pietro, e mentre Natanaele faceva delle rimostranze ad Andrea e i dieci apostoli erano riuniti nella stanza di sopra con tutte le porte chiuse per paura di essere arrestati, il Maestro apparve improvvisamente in mezzo a loro nella forma morontiale dicendo: “La pace sia su di voi. Perché siete così spaventati quando appaio, come se aveste visto uno spirito? Non vi ho parlato di queste cose quando ero presente con voi nella carne? Non vi avevo detto che i capi dei sacerdoti e i dirigenti mi avrebbero consegnato per essere ucciso, che uno di voi mi avrebbe tradito e che sarei risuscitato il terzo giorno? Perché allora tutti i vostri dubbi e tutta questa discussione sui resoconti delle donne, di Cleopa e di Giacobbe, ed anche di Pietro? Per quanto tempo dubiterete delle mie parole e rifiuterete di credere alle mie promesse? Ed ora che mi vedete realmente, crederete? Anche ora uno di voi è assente. Quando sarete ancora una volta tutti insieme, e dopo che saprete tutti con certezza che il Figlio dell’Uomo è risuscitato dalla tomba, partite da qui per la Galilea. Abbiate fede in Dio; abbiate fiducia l’uno nell’altro, ed entrerete così nel nuovo servizio del regno dei cieli. Io resterò a Gerusalemme con voi fino a che sarete pronti ad andare in Galilea. Vi lascio la mia pace.”
(2040.3) 191:2.2 Dopo che il Gesù morontiale ebbe parlato loro, svanì in un istante dalla loro vista. Ed essi caddero tutti faccia a terra, lodando Dio e venerando il loro Maestro scomparso. Questa fu la nona apparizione morontiale del Maestro.
(2040.4) 191:3.1 Il giorno successivo, lunedì, fu trascorso interamente con le creature morontiali allora presenti su Urantia. Per partecipare alle esperienze della transizione morontiale del Maestro erano venuti su Urantia più di un milione di direttori morontiali e di loro associati, assieme a mortali di transizione dei vari ordini provenienti dai sette mondi delle dimore di Satania. Il Gesù morontiale soggiornò con queste splendide intelligenze per quaranta giorni. Egli li istruì ed apprese dai loro direttori la vita di transizione morontiale qual è attraversata dai mortali dei mondi abitati di Satania quando passano per le sfere morontiali del sistema.
(2041.1) 191:3.2 Verso mezzanotte di questo lunedì la forma morontiale del Maestro fu adattata per la transizione al secondo stadio di progressione morontiale. Quando apparve successivamente ai suoi figli mortali sulla terra egli era un essere morontiale del secondo stadio. Via via che il Maestro progrediva nella carriera morontiale, diveniva tecnicamente sempre più difficile per le intelligenze morontiali ed i loro associati trasformatori rendere visibile il Maestro agli occhi mortali e materiali.
(2041.2) 191:3.3 Gesù effettuò il transito al terzo stadio morontiale venerdì 14 aprile; al quarto stadio lunedì 17; al quinto stadio sabato 22; al sesto stadio giovedì 27; al settimo stadio martedì 2 maggio; alla cittadinanza di Jerusem domenica 7; ed entrò nell’abbraccio degli Altissimi di Edentia domenica 14.
(2041.3) 191:3.4 In questo modo Micael di Nebadon completò il suo servizio di esperienza universale poiché aveva già, in connessione con i suoi conferimenti precedenti, pienamente sperimentato la vita dei mortali ascendenti del tempo e dello spazio, dal soggiorno nella capitale della costellazione fino al servizio, compreso, della capitale del superuniverso. E fu per mezzo di queste stesse esperienze morontiali che il Figlio Creatore di Nebadon completò realmente e terminò accettabilmente il suo settimo e finale conferimento nell’universo.
(2041.4) 191:4.1 La decima manifestazione morontiale di Gesù al riconoscimento dei mortali avvenne poco dopo le otto di martedì 11 aprile a Filadelfia, dove egli si mostrò ad Abner, a Lazzaro e a circa centocinquanta loro associati, inclusi più di cinquanta membri del corpo evangelico dei settanta. Questa apparizione avvenne appena dopo l’inizio di una riunione speciale nella sinagoga, che era stata convocata da Abner per discutere la crocifissione di Gesù ed il più recente resoconto della risurrezione che era stato portato dal messaggero di Davide. Poiché il Lazzaro risuscitato era ora un membro di questo gruppo di credenti, non era difficile per loro credere all’annuncio che Gesù era risuscitato dalla morte.
(2041.5) 191:4.2 La riunione nella sinagoga stava giusto per essere aperta da Abner e da Lazzaro, che erano insieme sul pulpito, quando tutto l’uditorio di credenti vide la forma del Maestro apparire improvvisamente. Egli si fece avanti dal luogo in cui era apparso tra Abner e Lazzaro, nessuno dei quali l’aveva notato, e salutando l’assemblea disse:
(2041.6) 191:4.3 “La pace sia su di voi. Voi tutti sapete che abbiamo un solo Padre in cielo e che c’è un solo vangelo del regno — la buona novella del dono della vita eterna che gli uomini ricevono grazie alla fede. Mentre gioite nella vostra fedeltà al vangelo, pregate il Padre della verità di spargere nel vostro cuore un nuovo e più grande amore per i vostri fratelli. Voi dovete amare tutti gli uomini come io ho amato voi; dovete servire tutti gli uomini come io ho servito voi. Con simpatia comprensiva ed affetto fraterno, accogliete nella comunità tutti i vostri fratelli che si dedicano alla proclamazione della buona novella, siano essi Ebrei o Gentili, Greci o Romani, Persiani o Etiopi. Giovanni ha proclamato il regno in anticipo; voi avete predicato il vangelo in potenza; i Greci insegnano già la buona novella; ed io manderò presto lo Spirito della Verità nell’anima di tutti questi miei fratelli che hanno consacrato così generosamente la loro vita all’illuminazione dei loro simili che sono immersi nelle tenebre spirituali. Voi siete tutti figli della luce; perciò non incespicate negli intrighi equivoci del sospetto mortale e dell’intolleranza umana. Se siete nobilitati dalla grazia della fede ad amare i non credenti, non dovreste amare altrettanto anche coloro che sono i vostri compagni credenti nella grandissima famiglia della fede? Ricordatevi, da come vi amate gli uni con gli altri tutti gli uomini sapranno che siete miei discepoli.
(2042.1) 191:4.4 “Andate dunque in tutto il mondo a proclamare questo vangelo della paternità di Dio e della fratellanza degli uomini a tutte le nazioni e razze, e siate sempre saggi nella vostra scelta dei metodi per presentare la buona novella alle differenti razze e tribù dell’umanità. Voi avete ricevuto liberalmente questo vangelo del regno, e darete liberalmente la buona novella a tutte le nazioni. Non temete la resistenza del male, perché io sono sempre con voi, sino alla fine stessa delle ere. E lascio con voi la mia pace.”
(2042.2) 191:4.5 Dopo aver detto “Lascio con voi la mia pace”, egli scomparve dalla loro vista. Ad eccezione di una delle sue apparizioni in Galilea, dove più di cinquecento credenti lo videro simultaneamente, questo gruppo di Filadelfia comprendeva il maggior numero di mortali che lo videro in una sola occasione.
(2042.3) 191:4.6 La mattina successiva presto, mentre gli apostoli si attardavano a Gerusalemme aspettando che Tommaso si rimettesse emotivamente, questi credenti di Filadelfia uscirono a proclamare che Gesù di Nazaret era risuscitato dalla morte.
(2042.4) 191:4.7 Il giorno dopo, mercoledì, Gesù lo trascorse senza interruzioni in compagnia dei suoi associati morontiali, e durante le ore di metà pomeriggio egli ricevette la visita dei delegati morontiali provenienti dai mondi delle dimore di ciascun sistema locale di sfere abitate di tutta la costellazione di Norlatiadek. E tutti loro furono felici di conoscere il loro Creatore come uno del loro stesso ordine d’intelligenze dell’universo.
(2042.5) 191:5.1 Tommaso trascorse una settimana isolato con se stesso sulle colline attorno all’Oliveto. Durante questo periodo egli vide soltanto coloro che erano a casa di Simone e Giovanni Marco. Erano circa le nove di sabato 15 aprile quando i due apostoli lo trovarono e lo ricondussero al loro luogo di ritrovo nella casa dei Marco. Il giorno dopo Tommaso ascoltò il racconto delle storie delle varie apparizioni del Maestro, ma rifiutò ostinatamente di credervi. Egli sostenne che Pietro li aveva entusiasmati portandoli a credere di aver visto il Maestro. Natanaele ragionò con lui, ma senza successo. C’era una cocciutaggine emotiva associata alla sua dubbiosità abituale, e questo stato mentale, unito al suo dispiacere di essersi allontanato da loro, contribuì a creare una situazione d’isolamento che anche Tommaso stesso non comprendeva pienamente. Egli si era allontanato dai suoi compagni, era andato per conto suo, ed ora, anche dopo essere tornato tra di loro, tendeva inconsciamente ad assumere un atteggiamento di disaccordo. Egli era lento ad arrendersi; non amava cedere. Senza averne l’intenzione, egli godeva veramente dell’attenzione che gli si portava; traeva un’inconsapevole soddisfazione dagli sforzi di tutti i suoi compagni per convincerlo e convertirlo. Egli era mancato loro per tutta una settimana, e traeva grande piacere dalle loro persistenti attenzioni.
(2042.6) 191:5.2 Essi stavano consumando il loro pasto della sera poco dopo le sei, con Pietro che sedeva da un lato di Tommaso e Natanaele dall’altro, quando l’incredulo apostolo disse: “Io non crederò prima di aver visto il Maestro con i miei stessi occhi ed aver messo il mio dito nel segno dei chiodi.” Mentre essi erano così seduti a cenare, e con le porte accuratamente chiuse e sbarrate, il Maestro morontiale apparve improvvisamente nel mezzo della curvatura della tavola, proprio di fronte a Tommaso, e disse:
(2043.1) 191:5.3 “La pace sia su di voi. Ho atteso una settimana intera per potervi apparire di nuovo quando foste tutti presenti per ascoltare ancora una volta l’incarico di andare in tutto il mondo a predicare questo vangelo del regno. Vi dico nuovamente: come il Padre ha mandato me nel mondo, così io mando voi. Come io ho rivelato il Padre, così voi rivelerete l’amore divino, non solo con parole, ma nel vostro vivere quotidiano. Io vi mando non per amare l’anima degli uomini, ma piuttosto per amare gli uomini. Voi non proclamerete soltanto le gioie del cielo, ma mostrerete anche nella vostra esperienza quotidiana queste realtà spirituali della vita divina, poiché voi avete già la vita eterna, come dono di Dio, grazie alla fede. Poiché voi avete la fede, quando il potere proveniente dall’alto, lo Spirito della Verità, sarà venuto su di voi, non nasconderete la vostra luce qui dietro le porte chiuse; voi farete conoscere l’amore e la misericordia di Dio a tutta l’umanità. Per paura voi fuggite ora dai fatti di un’esperienza spiacevole, ma quando sarete stati battezzati con lo Spirito della Verità andrete coraggiosamente e con gioia incontro alle nuove esperienze della proclamazione della buona novella della vita eterna nel regno di Dio. Voi potete fermarvi qui e in Galilea per un breve periodo mentre vi rimettete dallo shock della transizione dalla falsa sicurezza dell’autorità del tradizionalismo al nuovo ordine dell’autorità dei fatti, della verità e della fede nelle realtà supreme dell’esperienza vivente. La vostra missione nel mondo è basata sul fatto che io ho vissuto tra di voi una vita di rivelazione di Dio; sulla verità che voi e tutti gli altri uomini siete figli di Dio; e ciò consisterà nella vita che vivrete tra gli uomini — l’esperienza effettiva e vivente di amare gli uomini e di servirli, così come io ho amato e servito voi. Che la fede riveli la vostra luce al mondo; che la rivelazione della verità apra gli occhi accecati dalla tradizione; che il vostro servizio amorevole distrugga efficacemente i pregiudizi generati dall’ignoranza. Accostandovi così ai vostri simili con simpatia comprensiva e devozione disinteressata, li condurrete alla conoscenza salvifica dell’amore del Padre. Gli Ebrei hanno celebrato la bontà; i Greci hanno esaltato la bellezza; gli Indù predicano la devozione; i lontani asceti insegnano il rispetto; i Romani esigono fedeltà; ma io chiedo ai miei discepoli la vita, una vita di servizio amorevole per i vostri fratelli nella carne.”
(2043.2) 191:5.4 Quando il Maestro ebbe parlato così, guardò in viso Tommaso e disse: “E tu, Tommaso, che hai detto che non avresti creduto se non mi avessi visto e non avessi messo il tuo dito nel segno dei chiodi delle mie mani, ora mi hai visto e hai udito le mie parole; e benché tu non veda alcun segno di chiodi sulle mie mani, poiché io sono risorto nella forma che anche tu avrai quando lascerai questo mondo, che cosa dirai ai tuoi fratelli? Tu riconoscerai la verità, perché nel tuo cuore avevi già cominciato a credere anche quando affermavi così risolutamente di non credere. I tuoi dubbi, Tommaso, s’impongono con sempre maggiore ostinazione proprio quando stanno per crollare. Tommaso, ti chiedo di non mancare di fede, ma di credere — ed io so che crederai, e con tutto il tuo cuore.”
(2043.3) 191:5.5 Quando Tommaso udì queste parole, cadde in ginocchio davanti al Maestro morontiale ed esclamò: “Io credo! Mio Signore e mio Maestro!” Allora Gesù disse a Tommaso: “Tu hai creduto, Tommaso, perché mi hai realmente visto e udito. Benedetti nelle ere future coloro che crederanno anche senza avere visto con l’occhio della carne né udito con l’orecchio mortale.”
(2043.4) 191:5.6 E poi, mentre la forma del Maestro si avvicinava all’estremità della tavola, egli si rivolse a tutti loro dicendo: “Ed ora andate tutti in Galilea, dove vi apparirò presto.” Dopo aver detto questo egli scomparve dalla loro vista.
(2044.1) 191:5.7 Gli undici apostoli erano ora pienamente convinti che Gesù era risuscitato dalla morte, e la mattina successiva molto presto, prima dell’alba, partirono per la Galilea.
(2044.2) 191:6.1 Mentre gli undici apostoli erano in cammino verso la Galilea e si avvicinavano al termine del loro viaggio, martedì 18 aprile, verso le otto e mezzo di sera, Gesù apparve a Rodano e a circa ottanta altri credenti ad Alessandria. Questa era la dodicesima apparizione del Maestro in forma morontiale. Gesù apparve davanti a questi Greci ed Ebrei alla conclusione del resoconto di un messaggero di Davide sulla crocifissione. Questo messaggero, il quinto dei corrieri sul tratto Gerusalemme-Alessandria, era arrivato ad Alessandria nel tardo pomeriggio, e dopo aver trasmesso il suo messaggio a Rodano, fu deciso di riunire tutti i credenti perché ricevessero questa tragica notizia dal messaggero stesso. Verso le otto il messaggero, Natan di Busiris, si presentò davanti a questo gruppo di credenti e raccontò loro in dettaglio tutto ciò che gli era stato detto dal precedente corriere. Natan terminò il suo toccante racconto con queste parole: “Ma Davide, che ci manda questa notizia, riferisce che il Maestro, annunciando in anticipo la sua morte, dichiarò che sarebbe risuscitato.” Proprio mentre Natan parlava, il Maestro morontiale apparve là alla vista di tutti. E dopo che Natan si fu seduto, Gesù disse:
(2044.3) 191:6.2 “La pace sia su di voi. Ciò che mio Padre mi ha mandato nel mondo ad instaurare non appartiene ad una razza, ad una nazione, o ad un gruppo speciale di educatori o di predicatori. Questo vangelo del regno appartiene all’Ebreo e al Gentile, al ricco e al povero, all’uomo libero e allo schiavo, al maschio e alla femmina, ed anche al bambino. E voi tutti proclamerete questo vangelo d’amore e di verità mediante la vita che vivete nella carne. Vi amerete l’un l’altro con un nuovo e sorprendente affetto, così come io ho amato voi. Servirete l’umanità con una nuova e stupefacente devozione, così come io ho servito voi. E quando gli uomini vedranno che voi li amate in tal modo, e quando osserveranno come li servite con fervore, essi percepiranno che siete divenuti membri per fede del regno dei cieli, e seguiranno lo Spirito della Verità che vedranno nella vostra vita, fino a trovare la salvezza eterna.
(2044.4) 191:6.3 “Come il Padre ha mandato me in questo mondo, così io ora mando voi. Voi siete tutti chiamati a portare la buona novella a coloro che sono nelle tenebre. Questo vangelo del regno appartiene a tutti coloro che credono in esso; esso non sarà affidato alla custodia dei soli sacerdoti. Presto lo Spirito della Verità verrà su di voi e vi condurrà in tutta la verità. Andate dunque in tutto il mondo a predicare questo vangelo, ed ecco, io sarò sempre con voi, sino alla fine stessa delle ere.”
(2044.5) 191:6.4 Dopo aver parlato così il Maestro scomparve dalla loro vista. Per tutta quella notte questi credenti rimasero là insieme, raccontando le loro esperienze di credenti al regno ed ascoltando a lungo Rodano ed i suoi associati. Ed essi credettero tutti che Gesù era risuscitato dalla morte. Immaginate la sorpresa dell’annunciatore di Davide della risurrezione, che arrivò due giorni dopo, quando essi risposero al suo annuncio dicendo: “Sì, lo sappiamo, perché lo abbiamo visto. Egli ci è apparso l’altro ieri.”
(2045.1) 192:0.1 NEL momento in cui gli apostoli lasciarono Gerusalemme per andare in Galilea, i dirigenti ebrei si erano considerevolmente calmati. Poiché Gesù era apparso soltanto alla sua famiglia di credenti al regno, e poiché gli apostoli erano nascosti e non predicavano in pubblico, i capi degli Ebrei conclusero che il movimento del vangelo, tutto sommato, era efficacemente annientato. Beninteso, essi erano sconcertati dalla crescente diffusione di voci che Gesù era risuscitato dalla morte, ma contavano sulle guardie corrotte per contrastare efficacemente tutti questi resoconti con la loro ripetizione della storia che una banda di suoi discepoli aveva portato via il corpo.
(2045.2) 192:0.2 Da questo momento in poi, fino a che gli apostoli furono dispersi dalla crescente marea di persecuzioni, Pietro fu il capo generalmente riconosciuto del corpo apostolico. Gesù non gli diede mai una tale autorità, ed i suoi compagni apostoli non lo elessero mai ufficialmente a tale posizione di responsabilità; egli l’assunse naturalmente e la conservò per comune consenso ed anche perché era il loro principale predicatore. D’ora in poi la predicazione pubblica divenne l’occupazione primaria degli apostoli. Dopo il loro ritorno dalla Galilea, Mattia, che essi scelsero per prendere il posto di Giuda, divenne il loro tesoriere.
(2045.3) 192:0.3 Durante la settimana in cui rimasero a Gerusalemme, Maria, la madre di Gesù, passò molto tempo con le donne credenti che si erano fermate a casa di Giuseppe d’Arimatea.
(2045.4) 192:0.4 Questo lunedì mattina presto, quando gli apostoli partirono per la Galilea, partì anche Giovanni Marco. Egli li seguì fuori della città, e quando essi furono ben oltre Betania, egli venne coraggiosamente in mezzo a loro, confidando che non lo avrebbero mandato di ritorno.
(2045.5) 192:0.5 Gli apostoli si fermarono parecchie volte sulla strada per la Galilea per raccontare la storia del loro Maestro risorto e perciò arrivarono a Betsaida solo mercoledì sera molto tardi. Venne mezzogiorno di giovedì prima che essi fossero tutti svegli e pronti per la prima colazione.
(2045.6) 192:1.1 Verso le sei di venerdì mattina 21 aprile, il Maestro morontiale fece la sua tredicesima apparizione, la prima in Galilea, ai dieci apostoli mentre il loro battello si avvicinava alla riva presso l’approdo abituale di Betsaida.
(2045.7) 192:1.2 Dopo che gli apostoli ebbero trascorso il pomeriggio e le prime ore della sera di giovedì in attesa a casa di Zebedeo, Simon Pietro suggerì di andare a pescare. Quando Pietro propose di andare a pesca, tutti gli apostoli acconsentirono. Per tutta la notte essi faticarono con le loro reti, ma non presero alcun pesce. A loro non importava molto di non riuscire a pescare, perché avevano molte esperienze interessanti di cui parlare, cose che erano così recentemente accadute loro a Gerusalemme. Ma quando giunse l’alba, essi decisero di ritornare a Betsaida. Nell’avvicinarsi alla riva, essi videro qualcuno sulla spiaggia, vicino al luogo di approdo, in piedi accanto ad un fuoco. Subito essi pensarono che fosse Giovanni Marco venuto ad accoglierli al ritorno dalla loro pesca, ma avvicinandosi di più alla riva, videro che si erano sbagliati — l’uomo era troppo alto per essere Giovanni. A nessuno di loro era venuto in mente che la persona sulla spiaggia fosse il Maestro. Essi non comprendevano affatto perché Gesù volesse incontrarsi con loro nei luoghi della loro iniziale associazione e fuori all’aperto a contatto con la natura, lontano dall’ambiente chiuso di Gerusalemme con le sue tragiche associazioni di paura, di tradimento e di morte. Egli aveva detto loro che, se fossero andati in Galilea, li avrebbe incontrati là, e stava per mantenere quella promessa.
(2046.1) 192:1.3 Mentre essi gettavano l’ancora e si preparavano a salire sulla piccola barca per andare a riva, l’uomo sulla spiaggia gridò verso di loro: “Ragazzi, avete preso qualcosa?” E quando essi risposero “No”, egli disse ancora: “Gettate la rete a destra del battello e troverete del pesce.” Non sapendo che era Gesù che aveva dato loro questo consiglio, tutti d’accordo essi gettarono la rete come era stato loro indicato, e immediatamente essa fu riempita al punto che riuscivano a malapena a tirarla su. Ora, Giovanni Zebedeo era svelto a capire, e quando vide la rete stracarica, percepì che era il Maestro che aveva parlato loro. Quando questo pensiero sorse nella sua mente, egli si piegò verso Pietro e gli sussurrò: “È il Maestro.” Pietro fu sempre un uomo dall’azione impulsiva e dalla devozione impetuosa; così quando Giovanni gli ebbe bisbigliato questo all’orecchio, egli si alzò di scatto e si gettò in acqua per raggiungere più presto il Maestro. I suoi fratelli lo seguirono da vicino, accostando con la piccola barca e tirando dietro a loro la rete piena di pesci.
(2046.2) 192:1.4 Nel frattempo Giovanni Marco si era alzato, e vedendo gli apostoli venire a riva con la rete strapiena, corse alla spiaggia per accoglierli. E quando vide undici uomini invece di dieci, egli sospettò che quello non conosciuto fosse Gesù risorto, e mentre i dieci stupiti stavano là in silenzio, il giovane si precipitò verso il Maestro e, inginocchiatosi ai suoi piedi, disse: “Mio Signore e mio Maestro.” Ed allora Gesù parlò, non come aveva fatto a Gerusalemme, dove li salutò con “La pace sia su di voi”, ma si rivolse in tono normale a Giovanni Marco dicendo: “Ebbene, Giovanni, sono felice di vederti di nuovo ed in questa Galilea priva di preoccupazioni, dove potremo avere un buon incontro. Resta con noi, Giovanni, e vieni a fare colazione.”
(2046.3) 192:1.5 Mentre Gesù parlava con il giovane, i dieci erano talmente stupiti e sorpresi che dimenticarono di tirare la rete con i pesci sulla spiaggia. Allora Gesù disse: “Portate i vostri pesci e preparatene alcuni per la colazione. Abbiamo già il fuoco e molto pane.”
(2046.4) 192:1.6 Mentre Giovanni Marco rendeva omaggio al Maestro, Pietro era rimasto sorpreso per un istante dalla vista delle braci che ardevano là sulla spiaggia; la scena gli ricordò molto vivamente il fuoco di carbone di legna di mezzanotte nel cortile di Anna, dove egli aveva rinnegato il Maestro, ma si riprese e, inginocchiatosi ai piedi del Maestro, esclamò: “Mio Signore e mio Maestro!”
(2046.5) 192:1.7 Poi Pietro si unì ai suoi compagni che tiravano su la rete. Dopo aver portato a terra la loro pesca, essi contarono i pesci e ce n’erano 153 di grossi. E di nuovo fu commesso l’errore di definire questa un’altra pesca miracolosa. Non ci fu alcun miracolo connesso con questo episodio. Fu semplicemente un atto di precognizione del Maestro. Egli sapeva che il pesce era là e indicò di conseguenza agli apostoli dove gettare la rete.
(2047.1) 192:1.8 Gesù parlò loro dicendo: “Ora venite tutti a far colazione. Anche i gemelli dovrebbero sedersi mentre m’intrattengo con voi; Giovanni Marco preparerà il pesce.” Giovanni Marco portò sette pesci di buona taglia, che il Maestro mise sul fuoco, e quando furono cotti il ragazzo li servì ai dieci. Poi Gesù spezzò il pane e lo passò a Giovanni, il quale a sua volta lo servì agli apostoli affamati. Dopo che furono stati tutti serviti, Gesù pregò Giovanni Marco di sedersi mentre lui stesso serviva il pesce e il pane al giovane. E mentre essi mangiavano, Gesù s’intrattenne con loro e raccontò loro numerose esperienze avvenute in Galilea e presso questo stesso lago.
(2047.2) 192:1.9 Questa era la terza volta che Gesù si era manifestato agli apostoli in gruppo. Quando Gesù si rivolse loro inizialmente, chiedendo se avessero del pesce, essi non sospettarono chi fosse perché era un’esperienza comune per questi pescatori del Mare di Galilea, quando si accostavano alla riva, essere avvicinati così dai mercanti di pesce di Tarichea, i quali di solito erano là per acquistare il pesce fresco per gli stabilimenti di essicazione.
(2047.3) 192:1.10 Gesù s’intrattenne con i dieci apostoli e Giovanni Marco per più di un’ora, e poi camminò su e giù per la spiaggia, parlando con loro a due a due — ma non alle stesse coppie che egli aveva all’inizio mandato insieme ad insegnare. Gli undici apostoli erano venuti tutti insieme da Gerusalemme, ma Simone Zelota si scoraggiò sempre di più a mano a mano che si avvicinavano alla Galilea, cosicché, quando giunsero a Betsaida, egli abbandonò i suoi fratelli e ritornò a casa sua.
(2047.4) 192:1.11 Prima di congedarsi da loro questa mattina, Gesù ordinò che due degli apostoli si offrissero volontari per andare a cercare Simone Zelota e a portarlo di ritorno quel giorno stesso. E Pietro e Andrea fecero così.
(2047.5) 192:2.1 Quando essi ebbero finito di far colazione, e mentre gli altri rimanevano seduti vicino al fuoco, Gesù fece segno a Pietro e a Giovanni di accompagnarlo per un breve giro sulla spiaggia. Mentre camminavano, Gesù disse a Giovanni: “Giovanni, mi ami tu?” E quando Giovanni ebbe risposto: “Sì, Maestro, con tutto il mio cuore”, il Maestro disse: “Allora, Giovanni, rinuncia alla tua intolleranza ed impara ad amare gli uomini come io ho amato te. Consacra la tua vita a provare che l’amore è la cosa più grande del mondo. È l’amore di Dio che spinge gli uomini a cercare la salvezza. L’amore è il progenitore di ogni bontà spirituale, l’essenza della verità e della bellezza.”
(2047.6) 192:2.2 Gesù si rivolse poi a Pietro e gli chiese: “Pietro, mi ami tu?” Pietro rispose: “Signore, tu sai che ti amo con tutta l’anima.” Allora Gesù disse: “Se mi ami, Pietro, nutri i miei agnelli. Non dimenticare di assistere i deboli, i poveri e i giovani. Predica il vangelo senza timore o preferenza; ricorda sempre che Dio non fa eccezione di persone. Servi i tuoi simili come io ho servito te; perdona i tuoi simili mortali come io ho perdonato te. Lascia che l’esperienza t’insegni il valore della meditazione ed il potere della riflessione intelligente.”
(2047.7) 192:2.3 Dopo che ebbero camminato ancora per un po’, il Maestro si rivolse a Pietro e chiese: “Pietro, mi ami realmente?” Ed allora Simone disse: “Sì, Signore, tu sai che ti amo.” E Gesù disse di nuovo: “Allora prenditi cura delle mie pecore. Sii un pastore buono e fedele per il gregge. Non tradire la fiducia da loro riposta in te. Non farti sorprendere dal nemico. Sta sempre all’erta — veglia e prega.”
(2047.8) 192:2.4 Dopo che ebbero fatto ancora qualche passo, Gesù si rivolse a Pietro e, per la terza volta, gli chiese: “Pietro, mi ami veramente?” Ed allora Pietro, un po’ rattristato perché il Maestro sembrava non aver fiducia in lui, disse con profonda emozione: “Signore, tu conosci ogni cosa, e perciò sai che ti amo realmente e veramente.” Allora Gesù disse: “Pasci le mie pecore. Non abbandonare il gregge. Sii di esempio e d’ispirazione a tutti i tuoi simili pastori. Ama il gregge come io ho amato te e consacrati al suo benessere come io ho consacrato la mia vita al tuo benessere. E seguimi sino alla fine.”
(2048.1) 192:2.5 Pietro prese quest’ultima raccomandazione alla lettera — che doveva continuare a seguirlo — e rivolgendosi a Gesù indicò Giovanni chiedendo: “Se io seguo te, che cosa farà quest’uomo?” Ed allora, percependo che Pietro aveva frainteso le sue parole, Gesù disse: “Pietro, non occuparti di ciò che faranno i tuoi fratelli. Se voglio che Giovanni resti dopo che tu sarai partito, anche fino a quando ritornerò, che cosa te ne importa? Assicurati solo che tu segua me.”
(2048.2) 192:2.6 Questa osservazione si diffuse tra i fratelli e fu accolta come una dichiarazione di Gesù che Giovanni non sarebbe morto prima che il Maestro fosse tornato, come molti pensavano e speravano, per instaurare il regno in potenza e in gloria. Fu questa interpretazione di ciò che disse Gesù che pesò molto sul ritorno in servizio di Simone Zelota e per mantenerlo al lavoro.
(2048.3) 192:2.7 Dopo essere tornati dagli altri, Gesù ripartì per passeggiare e conversare con Andrea e Giacomo. Quando ebbero percorso una breve distanza, Gesù disse ad Andrea: “Andrea, hai fiducia in me?” E quando il vecchio capo degli apostoli sentì Gesù porgli una tale domanda, si fermò e rispose: “Sì, Maestro, ho piena fiducia in te, e tu lo sai.” Allora Gesù disse: “Andrea, se hai fiducia in me, abbi più fiducia nei tuoi fratelli — anche in Pietro. Io ti ho affidato un tempo la direzione dei tuoi fratelli. Ora tu devi confidare negli altri mentre io vi lascio per andare dal Padre. Quando i tuoi fratelli cominceranno a disperdersi a causa delle accanite persecuzioni, sii un consigliere premuroso e saggio per Giacomo mio fratello nella carne, quando sarà caricato di pesanti fardelli che egli non è qualificato per esperienza a portare. E poi continua ad aver fiducia, perché io non ti abbandonerò. Quando avrai terminato sulla terra, verrai presso di me.”
(2048.4) 192:2.8 Poi Gesù si rivolse a Giacomo, chiedendogli: “Giacomo, hai fiducia in me?” E naturalmente Giacomo rispose: “Sì, Maestro, ho fiducia in te con tutto il mio cuore.” Allora Gesù disse: “Giacomo, se hai più fiducia in me sarai meno impaziente con i tuoi fratelli. Se avrai fiducia in me, questo ti aiuterà ad essere buono verso la fraternità dei credenti. Impara a pesare le conseguenze delle tue parole e dei tuoi atti. Ricordati che il raccolto è conforme alla semina. Prega per la tranquillità dello spirito e coltiva la pazienza. Queste grazie, con la fede vivente, ti sosterranno quando verrà l’ora di bere la coppa del sacrificio. Ma non scoraggiarti mai; quando avrai finito sulla terra, verrai anche tu a stare con me.”
(2048.5) 192:2.9 Gesù parlò poi con Tommaso e Natanaele. Egli disse a Tommaso: “Tommaso, mi servi tu?” Tommaso rispose: “Sì, Signore, ti servo ora e sempre.” Allora Gesù disse: “Se vuoi servirmi, servi i miei fratelli nella carne come io ho servito te. E non stancarti di operare in questo senso, ma persevera come uno che è stato ordinato da Dio per questo servizio d’amore. Quando avrai terminato il tuo servizio per me sulla terra, servirai con me nella gloria. Tommaso, tu devi smettere di dubitare; devi crescere in fede e in conoscenza della verità. Credi in Dio come un bambino, ma smetti di agire in maniera così infantile. Abbi coraggio; sii forte nella fede e potente nel regno di Dio.”
(2049.1) 192:2.10 Poi il Maestro disse a Natanaele: “Natanaele, mi servi tu?” E l’apostolo rispose: “Sì, Maestro, e con un affetto senza limiti.” Allora Gesù disse: “Se dunque tu mi servi con tutto il cuore, assicurati di consacrarti al benessere dei miei fratelli sulla terra con un affetto inesauribile. Unisci l’amicizia ai tuoi consigli e aggiungi l’amore alla tua filosofia. Servi i tuoi simili come io ho servito voi. Sii fedele agli uomini come io ho vegliato su di voi. Sii meno critico; conta meno su certi uomini e diminuirai così le tue delusioni. E quando la tua opera quaggiù sarà terminata, servirai con me in cielo.”
(2049.2) 192:2.11 Poi il Maestro parlò con Matteo e Filippo. A Filippo egli disse: “Filippo, mi ubbidisci tu?” Filippo rispose: “Sì, Signore, ti ubbidirò anche a prezzo della mia vita.” Allora Gesù disse: “Se vuoi ubbidirmi, allora va’ nei paesi dei Gentili a proclamare questo vangelo. I profeti ti hanno detto che è meglio obbedire che sacrificare. Per mezzo della fede tu sei divenuto un figlio del regno che conosce Dio. C’è una sola legge da osservare — ed è il comandamento di andare a proclamare il vangelo del regno. Cessa di temere gli uomini; non aver paura di predicare la buona novella della vita eterna ai tuoi simili che languiscono nelle tenebre ed hanno fame della luce della verità. Filippo, non ti occuperai più di denaro e di mercanzie. Tu sei ora libero di predicare la buona novella come lo sono i tuoi fratelli. Ed io ti precederò e sarò con te sino alla fine.”
(2049.3) 192:2.12 E poi, parlando con Matteo, il Maestro chiese: “Matteo, ci tieni ad obbedirmi?” Matteo rispose: “Sì, Signore, sono interamente consacrato a fare la tua volontà.” Allora il Maestro disse: “Matteo, se vuoi obbedirmi va’ ad insegnare a tutti i popoli questo vangelo del regno. Tu non servirai più ai tuoi fratelli le cose materiali della vita; oramai andrai anche tu a proclamare la buona novella della salvezza spirituale. D’ora in poi non pensare ad altro che ad eseguire il tuo incarico di predicare questo vangelo del regno del Padre. Come io ho fatto la volontà del Padre sulla terra, così tu eseguirai l’incarico divino. Ricordati, sia gli Ebrei che i Gentili sono tuoi fratelli. Non temere alcun uomo quando proclamerai le verità salvifiche del vangelo del regno dei cieli. E dove vado io, tu verrai presto.”
(2049.4) 192:2.13 Poi passeggiò e parlò con Giacomo e Giuda, i gemelli Alfeo, e rivolgendosi ad entrambi chiese: “Giacomo e Giuda, credete in me?” E dopo che entrambi ebbero risposto: “Sì, Maestro, noi crediamo”, egli disse: “Io vi lascerò presto. Voi vedete che vi ho già lasciati nella carne. Io resterò soltanto per breve tempo in questa forma prima di andare da mio Padre. Voi credete in me — siete miei apostoli e lo sarete sempre. Continuate a credere e a ricordare la vostra associazione con me quando io sarò partito e dopo che voi sarete, forse, tornati al lavoro che facevate prima di venire a vivere con me. Non lasciate mai che un cambiamento nel vostro lavoro esteriore influisca sulla vostra fedeltà. Abbiate fede in Dio sino alla fine dei vostri giorni sulla terra. Non dimenticate mai che, se siete figli di Dio per fede, ogni lavoro onesto del regno è sacro. Niente di ciò che un figlio di Dio fa può essere ordinario. D’ora innanzi, quindi, fate il vostro lavoro come se lo faceste per Dio. E quando avrete terminato su questo mondo, io ho altri mondi migliori in cui lavorerete allo steso modo per me. Ed in tutto questo lavoro, su questo mondo e su altri mondi, io lavorerò con voi e il mio spirito dimorerà in voi.”
(2049.5) 192:2.14 Erano quasi le dieci quando Gesù tornò dal suo incontro con i gemelli Alfeo, e lasciando gli apostoli, disse: “Addio, fino a quando vi rivedrò tutti sul monte della vostra ordinazione domani a mezzogiorno.” Dopo che egli ebbe parlato così, scomparve dalla loro vista.
(2050.1) 192:3.1 A mezzogiorno di sabato 22 aprile, gli undici apostoli si riunirono secondo gli ordini sulle colline vicino a Cafarnao, e Gesù apparve tra di loro. Questo incontro avvenne sullo stesso monte in cui il Maestro li aveva designati come suoi apostoli e come ambasciatori del regno del Padre sulla terra. E questa fu la quattordicesima manifestazione morontiale del Maestro.
(2050.2) 192:3.2 In questo momento gli undici apostoli s’inginocchiarono in cerchio attorno al Maestro e l’ascoltarono ripetere i loro incarichi e lo videro riprodurre la scena dell’ordinazione proprio come quando essi furono scelti la prima volta per lo speciale lavoro del regno. E tutto ciò fu per loro un ricordo della loro consacrazione precedente al servizio del Padre, salvo la preghiera del Maestro. Quando il Maestro — il Gesù morontiale — ora pregò, fu con un tono di maestà e con parole di potere tali che gli apostoli non avevano mai udito prima. Il loro Maestro parlava ora con i dirigenti degli universi come uno che, nel proprio universo, aveva avuto ogni potere ed autorità posti nelle sue mani. E questi undici uomini non dimenticarono mai questa esperienza della riconsacrazione morontiale ai loro precedenti incarichi di ambasciatori. Il Maestro trascorse un’ora esatta su questo monte con i suoi ambasciatori, e dopo aver dato loro un affettuoso addio, scomparve dalla loro vista.
(2050.3) 192:3.3 E nessuno vide Gesù per un’intera settimana. Gli apostoli in realtà non avevano alcuna idea di che cosa fare, non sapendo se il Maestro era andato dal Padre. In questo stato d’incertezza essi si fermarono a Betsaida. Essi temevano di andare a pescare per paura che egli venisse a trovarli e loro mancassero di vederlo. Per tutta questa settimana Gesù fu occupato con le creature morontiali che erano sulla terra e con le operazioni della transizione morontiale di cui stava facendo l’esperienza su questo mondo.
(2050.4) 192:4.1 La notizia delle apparizioni di Gesù si era diffusa in tutta la Galilea, e ogni giorno un numero crescente di credenti arrivava alla casa di Zebedeo per informarsi sulla risurrezione del Maestro e per scoprire la verità su queste pretese apparizioni. Pietro, all’inizio della settimana, fece sapere che un incontro pubblico avrebbe avuto luogo in riva al mare alle tre del pomeriggio del sabato successivo.
(2050.5) 192:4.2 Di conseguenza, sabato 29 aprile alle tre, più di cinquecento credenti provenienti dai dintorni di Cafarnao si riunirono a Betsaida per ascoltare Pietro predicare il suo primo sermone pubblico dopo la risurrezione. L’apostolo era al meglio della forma, e dopo che ebbe finito il suo attraente discorso, pochi dei suoi ascoltatori dubitavano che il Maestro fosse risuscitato dalla morte.
(2050.6) 192:4.3 Pietro terminò il suo sermone dicendo: “Noi affermiamo che Gesù di Nazaret non è morto; noi dichiariamo che è risuscitato dalla tomba; noi proclamiamo di averlo visto e di avere parlato con lui.” Appena egli ebbe finito di fare questa dichiarazione di fede, là al suo fianco, in piena vista di tutta questa gente, apparve il Maestro nella forma morontiale e, parlando loro in tono familiare, disse: “La pace sia su di voi, e lascio la mia pace con voi.” Dopo che egli fu apparso in questo modo ed ebbe parlato loro così, scomparve dalla loro vista. Questa fu la quindicesima manifestazione morontiale del Gesù risorto.
(2051.1) 192:4.4 A causa di certe cose dette agli undici mentre erano assieme al Maestro sul monte dell’ordinazione, gli apostoli avevano avuto l’impressione che il loro Maestro avrebbe fatto presto un’apparizione pubblica davanti ad un gruppo di credenti galilei, e che dopo aver fatto questo, essi avrebbero dovuto ritornare a Gerusalemme. Di conseguenza, il giorno successivo presto, domenica 30 aprile, gli undici lasciarono Betsaida per andare a Gerusalemme. Essi insegnarono e predicarono in modo considerevole sulla strada che scendeva lungo il Giordano, cosicché non arrivarono alla casa di Marco a Gerusalemme prima di mercoledì 3 maggio.
(2051.2) 192:4.5 Questo fu un triste ritorno a casa per Giovanni Marco. Proprio poche ore prima di arrivare a casa, suo padre, Elia Marco, era morto all’improvviso per un’emorragia cerebrale. Anche se il pensiero della certezza della risurrezione dei morti confortò molto gli apostoli nel loro cordoglio, allo stesso tempo essi erano veramente addolorati per la perdita del loro buon amico, che era stato il loro fedele sostenitore anche nei momenti di grande difficoltà e delusione. Giovanni Marco fece tutto ciò che poté per confortare sua madre, e parlando per lei invitò gli apostoli a continuare a ritenere la sua casa come la loro casa. E gli undici fecero della stanza al piano superiore il loro quartier generale fino al giorno dopo la Pentecoste.
(2051.3) 192:4.6 Gli apostoli erano intenzionalmente entrati a Gerusalemme dopo il calar della notte per non essere visti dalle autorità ebraiche. Né essi comparvero in pubblico in occasione dei funerali di Elia Marco. Per tutto il giorno successivo essi rimasero tranquillamente rinchiusi in questa stanza memorabile al piano superiore.
(2051.4) 192:4.7 Giovedì sera gli apostoli tennero una meravigliosa riunione in questa stanza superiore e s’impegnarono tutti ad uscire in pubblico per predicare il nuovo vangelo del Signore risorto, salvo Tommaso, Simone Zelota e i gemelli Alfeo. Già erano iniziati i primi passi della trasformazione del vangelo del regno — la filiazione con Dio e la fratellanza con gli uomini — in una proclamazione della risurrezione di Gesù. Natanaele si oppose a questo cambiamento nel contesto del loro messaggio pubblico, ma non riuscì a contrastare l’eloquenza di Pietro, né a vincere l’entusiasmo dei discepoli, specialmente quello delle donne credenti.
(2051.5) 192:4.8 E così, sotto la vigorosa direzione di Pietro e prima dell’ascensione del Maestro al Padre, i suoi rappresentanti ben intenzionati iniziarono quel sottile processo di cambiamento graduale e certo della religione di Gesù in una forma nuova e modificata di religione a proposito di Gesù.
(2052.1) 193:0.1 LA SEDICESIMA manifestazione morontiale di Gesù avvenne venerdì 5 maggio nel cortile di Nicodemo verso le nove di sera. Quella sera i credenti di Gerusalemme avevano fatto il loro primo tentativo di riunirsi dopo la risurrezione. In questo momento si trovavano qui riuniti gli undici apostoli, il corpo delle donne e le loro associate, ed una cinquantina di altri discepoli eminenti del Maestro, incluso un certo numero di Greci. Questo gruppo di credenti si era intrattenuto amichevolmente per più di mezz’ora quando, improvvisamente, apparve il Maestro morontiale in piena vista e cominciò immediatamente ad istruirli. Gesù disse:
(2052.2) 193:0.2 “La pace sia su di voi. Questo è il gruppo di credenti più rappresentativo — apostoli e discepoli, uomini e donne — al quale sono apparso dopo la mia liberazione dalla carne. Io vi chiamo ora a testimoniare che vi avevo detto in anticipo che il mio soggiorno tra voi doveva finire; vi ho detto che dovevo presto tornare dal Padre. E poi vi avevo detto chiaramente che i capi dei sacerdoti e i dirigenti degli Ebrei mi avrebbero consegnato per essere messo a morte, e che sarei risuscitato. Perché, allora, vi siete lasciati talmente turbare da tutte queste cose quando sono avvenute? E perché siete rimasti così sorpresi quando sono risuscitato il terzo giorno? Voi non mi avete creduto perché avete ascoltato le mie parole senza comprenderne il significato.
(2052.3) 193:0.3 “Ed ora dovreste prestare ascolto alle mie parole per non commettere di nuovo l’errore di ascoltare il mio insegnamento con la mente mentre nel vostro cuore non ne comprendete il significato. Dall’inizio del mio soggiorno come uno di voi, vi ho insegnato che il mio unico proposito era di rivelare mio Padre che è nei cieli ai suoi figli sulla terra. Ho vissuto il conferimento di rivelare Dio affinché possiate fare l’esperienza della carriera di conoscere Dio. Ho rivelato Dio come vostro Padre che è nei cieli; ho rivelato voi come figli di Dio sulla terra. È un fatto che Dio ama voi, suoi figli. Per mezzo della fede nelle mie parole questo fatto diviene una verità eterna e vivente nel vostro cuore. Se per mezzo della fede vivente voi divenite divinamente coscienti di Dio, allora siete nati dallo spirito quali figli della luce e della vita, anche della vita eterna grazie alla quale ascenderete l’universo degli universi e giungerete all’esperienza di trovare Dio il Padre in Paradiso.
(2052.4) 193:0.4 “Io vi esorto a ricordarvi sempre che la vostra missione tra gli uomini è di proclamare il vangelo del regno — la realtà della paternità di Dio e la verità della filiazione dell’uomo. Proclamate tutta la verità della buona novella, non solo una parte del vangelo salvifico. Il vostro messaggio non è cambiato dall’esperienza della mia risurrezione. La filiazione con Dio, per mezzo della fede, resta la verità salvifica del vangelo del regno. Voi andrete a predicare l’amore di Dio ed il servizio dell’uomo. Ciò che il mondo ha maggior bisogno di conoscere è che gli uomini sono i figli di Dio e che mediante la fede essi possono effettivamente realizzare questa verità nobilitante e farne l’esperienza quotidiana. Il mio conferimento dovrebbe aiutare tutti gli uomini a sapere che sono i figli di Dio, ma tale conoscenza non sarà sufficiente se essi non afferreranno personalmente per mezzo della fede la verità salvifica che sono i figli spirituali viventi del Padre eterno. Il vangelo del regno concerne l’amore del Padre ed il servizio dei suoi figli sulla terra.
(2053.1) 193:0.5 “Qui, tra voi, vi partecipate la conoscenza che io sono risuscitato dalla morte, ma ciò non è strano. Io ho il potere di abbandonare la mia vita e di riprenderla; il Padre dona tale potere ai suoi Figli Paradisiaci. Voi dovreste piuttosto essere eccitati nel vostro cuore dal sapere che i morti di un’era hanno iniziato l’ascensione eterna poco dopo che io ho lasciato la nuova tomba di Giuseppe. Io ho vissuto la mia vita nella carne per mostrarvi come voi potete, mediante il servizio amorevole, divenire rivelatori di Dio ai vostri simili proprio come, amandovi e servendovi, io sono divenuto un rivelatore di Dio a voi. Io ho vissuto tra di voi come Figlio dell’Uomo affinché voi, e tutti gli altri uomini, possiate sapere che siete tutti in verità i figli di Dio. Perciò, andate ora in tutto il mondo a predicare questo vangelo del regno dei cieli a tutti gli uomini. Amate tutti gli uomini come io ho amato voi; servite i vostri simili mortali come io ho servito voi. Voi avete ricevuto liberalmente, donate liberalmente. Restate qui a Gerusalemme soltanto mentre io vado dal Padre e fino a che vi manderò lo Spirito della Verità. Egli vi condurrà nella verità ampliata, ed io verrò con voi in tutto il mondo. Io sono con voi sempre, e lascio con voi la mia pace.”
(2053.2) 193:0.6 Dopo che il Maestro ebbe parlato loro, scomparve dalla loro vista. Venne quasi l’alba prima che questi credenti si disperdessero; essi rimasero insieme tutta la notte, discutendo con calore gli avvertimenti del Maestro e meditando su tutto ciò che era accaduto loro. Giacomo Zebedeo ed altri apostoli raccontarono anche le loro esperienze con il Maestro morontiale in Galilea ed esposero come egli era apparso loro tre volte.
(2053.3) 193:1.1 Sabato 13 maggio, verso le quattro del pomeriggio, il Maestro apparve a Nalda e a circa settantacinque credenti samaritani vicino al pozzo di Giacobbe, a Sicar. I credenti avevano l’abitudine di riunirsi in questo luogo, vicino a dove Gesù aveva parlato a Nalda dell’acqua di vita. In questo giorno, appena essi avevano finito di discutere la notizia della risurrezione, Gesù apparve improvvisamente davanti a loro dicendo:
(2053.4) 193:1.2 “La pace sia su di voi. Voi vi rallegrate di sapere che io sono la risurrezione e la vita, ma ciò non vi servirà a nulla se non siete prima nati dallo spirito eterno, che vi porterà a possedere, per mezzo della fede, il dono della vita eterna. Se voi siete i figli per fede di mio Padre non morirete mai; non perirete. Il vangelo del regno vi ha insegnato che tutti gli uomini sono figli di Dio. E questa buona novella concernente l’amore del Padre celeste per i suoi figli terreni deve essere portata a tutto il mondo. È giunto il momento di non adorare Dio né sul Garizim né a Gerusalemme, ma dove siete, come siete, in spirito ed in verità. È la vostra fede che salva la vostra anima. La salvezza è il dono di Dio a tutti coloro che credono di essere figli suoi. Ma non ingannatevi; benché la salvezza sia il dono gratuito di Dio e sia effuso su tutti coloro che lo accettano per fede, ne segue l’esperienza di portare i frutti di questa vita spirituale qual è vissuta nella carne. L’accettazione della dottrina della paternità di Dio implica che voi accettiate apertamente anche la verità associata della fratellanza degli uomini. E se un uomo è vostro fratello, egli è ancora più che il vostro prossimo, che il Padre esige voi amiate come voi stessi. Il vostro fratello, essendo della vostra stessa famiglia, non lo amerete soltanto con affetto familiare, ma lo servirete anche come servireste voi stessi. E voi amerete e servirete così vostro fratello perché, essendo miei fratelli, siete stati amati e serviti così da me. Andate, dunque, in tutto il mondo a proclamare questa buona novella a tutte le creature di ogni razza, tribù e nazione. Il mio spirito vi precederà, ed io sarò sempre con voi.”
(2054.1) 193:1.3 Questi Samaritani furono grandemente stupefatti da questa apparizione del Maestro, e partirono subito per le città ed i villaggi vicini, dove diffusero la notizia che avevano visto Gesù e che egli aveva parlato loro. E questa fu la diciassettesima apparizione morontiale del Maestro.
(2054.2) 193:2.1 La diciottesima apparizione morontiale del Maestro avvenne a Tiro, martedì 16 maggio, poco prima delle nove di sera. Egli apparve di nuovo al termine di una riunione di credenti, mentre essi stavano per separarsi, dicendo:
(2054.3) 193:2.2 “La pace sia su di voi. Voi vi rallegrate di sapere che il Figlio dell’Uomo è risuscitato dalla morte perché sapete con ciò che anche voi e i vostri fratelli sopravviverete alla morte mortale. Ma tale sopravvivenza dipende dal fatto che siate prima nati dallo spirito per cercare la verità e trovare Dio. Il pane della vita e l’acqua della vita sono dati soltanto a coloro che hanno fame di verità e sete di giustizia — di Dio. Il fatto che i morti risuscitino non è il vangelo del regno. Queste grandi verità e questi fatti universali sono tutti legati a questo vangelo perché fanno parte del risultato di credere alla buona novella, e sono inclusi nell’esperienza successiva di coloro che, per mezzo della fede, divengono di fatto e in verità i figli perpetui del Dio eterno. Mio Padre mi ha mandato nel mondo a proclamare questa salvezza della filiazione a tutti gli uomini. E così io mando voi lontano a predicare questa salvezza della filiazione. La salvezza è il dono spontaneo di Dio, ma coloro che sono nati dallo spirito cominceranno immediatamente a mostrare i frutti dello spirito nel servizio amorevole verso i loro simili creature. Ed i frutti dello spirito divino che sono prodotti nella vita dei mortali nati dallo spirito e che conoscono Dio sono: servizio amorevole, devozione disinteressata, fedeltà coraggiosa, sincera equità, onestà illuminata, speranza eterna, fiducia senza sospetti, ministero di misericordia, bontà inesauribile, tolleranza comprensiva e pace duratura. Se dei credenti professati non portano questi frutti dello spirito divino nella loro vita, sono morti; lo Spirito della Verità non è in loro; essi sono dei tralci inutili della vite vivente e saranno presto tagliati. Mio Padre chiede ai figli della fede di portare molti frutti dello spirito. Se quindi voi non portate frutti, egli scaverà attorno alle vostre radici e taglierà i vostri tralci improduttivi. Voi dovete produrre sempre più i frutti dello spirito via via che progredite verso il cielo nel regno di Dio. Voi potete entrare nel regno come dei bambini, ma il Padre esige che cresciate, per mezzo della grazia, fino alla completa statura di adulti spirituali. E quando andrete lontano a proclamare a tutte le nazioni la buona novella di questo vangelo, io vi precederò, ed il mio Spirito della Verità dimorerà nel vostro cuore. Lascio con voi la mia pace.”
(2054.4) 193:2.3 E poi il Maestro scomparve dalla loro vista. Il giorno successivo partirono da Tiro coloro che portarono questa storia a Sidone ed anche ad Antiochia e a Damasco. Gesù era stato con questi credenti quando era nella carne, ed essi lo riconobbero subito quando egli cominciò ad insegnare loro. Anche se i suoi amici non riuscivano a riconoscere prontamente la sua forma morontiale quando si rendeva visibile, non erano mai lenti ad identificare la sua personalità quando egli parlava loro.
(2055.1) 193:3.1 Giovedì mattina presto, 18 maggio, Gesù fece la sua ultima apparizione sulla terra come personalità morontiale. Mentre gli undici apostoli stavano per sedersi a colazione nella stanza al piano superiore della casa di Maria Marco, Gesù apparve loro e disse:
(2055.2) 193:3.2 “La pace sia su di voi. Vi ho chiesto di rimanere qui a Gerusalemme fino alla mia ascensione al Padre, e fino a quando vi manderò lo Spirito della Verità, che sarà presto sparso su tutta la carne e che vi conferirà un potere dall’alto.” Simone Zelota interruppe Gesù chiedendo: “Allora, Maestro, ristabilirai il regno e vedremo la gloria di Dio manifestata sulla terra?” Quando Gesù ebbe ascoltato la domanda di Simone, rispose: “Simone, tu resti ancora attaccato alle tue vecchie idee sul Messia degli Ebrei e sul regno materiale. Ma riceverai un potere spirituale dopo che lo spirito sarà disceso su di te, e andrai subito nel mondo intero a predicare questo vangelo del regno. Come il Padre ha mandato me nel mondo, così io mando voi. Io desidero che vi amiate e che abbiate fiducia l’uno nell’altro. Giuda non è più con voi perché il suo amore si era raffreddato e perché rifiutava di aver fiducia in voi, suoi fratelli leali. Non avete letto nelle Scritture dov’è scritto: ‘Non è bene per l’uomo essere solo. Nessuno vive per se stesso’? Ed anche dov’è detto: ‘Chi vuole avere degli amici deve mostrarsi amichevole’? Ed io non vi ho mandato ad insegnare a due a due affinché non vi sentiste soli e non cadeste nei mali e nelle sofferenze dell’isolamento? Voi sapete bene anche che, mentre ero nella carne, non mi sono mai permesso di restare da solo per lunghi periodi. Fin dall’inizio della nostra associazione ho sempre avuto due o tre di voi costantemente accanto a me o nelle vicinanze, anche quando comunicavo con il Padre. Abbiate fiducia, quindi, e confidate l’uno nell’altro. Tutto ciò è tanto più necessario oggi che sto per lasciarvi soli nel mondo. L’ora è venuta; io sono sul punto di andare dal Padre.”
(2055.3) 193:3.3 Dopo aver parlato, egli fece loro segno di seguirlo, e li condusse sul Monte degli Olivi, dove diede loro i suoi saluti di addio preliminari alla sua partenza da Urantia. Questo tragitto fino all’Oliveto fu solenne. Nessuna parola fu pronunciata da alcuno di loro da quando lasciarono la stanza al piano superiore fino al momento in cui Gesù si fermò con loro sul Monte degli Olivi.
(2055.4) 193:4.1 Fu nella prima parte del messaggio di addio del Maestro ai suoi apostoli che egli fece allusione alla perdita di Giuda e rilevò la tragica sorte del loro compagno di lavoro traditore come un solenne avvertimento contro i pericoli dell’isolamento sociale e fraterno. Può essere utile per i credenti, in questa era e nelle ere future, ripassare brevemente le cause della rovina di Giuda alla luce delle osservazioni del Maestro e dei chiarimenti accumulati nei secoli successivi.
(2055.5) 193:4.2 Se consideriamo retrospettivamente questa tragedia, concepiamo che Giuda ha agito male, in primo luogo perché era molto marcatamente una personalità isolata, una personalità chiusa e lontana dai contatti sociali ordinari. Egli rifiutò persistentemente di confidarsi con i suoi compagni apostoli o di fraternizzare apertamente con loro. Ma il fatto che fosse un tipo isolato di personalità non avrebbe causato di per sé un tale disastro per Giuda se non fosse stato che egli mancò anche di crescere in amore e in grazia spirituale. E poi, quasi a rendere peggiore una cosa cattiva, egli covò persistentemente del rancore e nutrì dei nemici psicologici quali la vendetta e il desiderio generalizzato di “vendicarsi” con qualcuno per tutte le sue delusioni.
(2056.1) 193:4.3 Questa sfortunata combinazione di peculiarità individuali e di tendenze mentali concorse a distruggere un uomo ben intenzionato che non era riuscito a soggiogare questi mali con l’amore, la fede e la fiducia. Che Giuda non dovesse necessariamente fallire è ben dimostrato dai casi di Tommaso e Natanaele, entrambi afflitti dallo stesso tipo di sospetto e di eccessiva tendenza all’individualismo. Anche Andrea e Matteo avevano forti propensioni in questa direzione; ma tutti questi uomini, con il passare del tempo, accrebbero e non diminuirono l’amore per Gesù e per i loro compagni apostoli. Essi crebbero in grazia e in conoscenza della verità. Essi divennero sempre più fiduciosi verso i loro fratelli e svilupparono lentamente l’attitudine a confidarsi con i loro compagni. Giuda rifiutò con persistenza di confidarsi con i suoi fratelli. Quando era costretto, per l’accumulo dei suoi conflitti emozionali, a cercare sollievo in uno sfogo, egli andava invariabilmente a chiedere il consiglio e a ricevere l’incauta consolazione dei suoi parenti non inclini allo spirito, o di quelle conoscenze occasionali che erano o indifferenti o addirittura ostili al benessere e al progresso delle realtà spirituali del regno dei cieli, di cui egli era uno dei dodici ambasciatori consacrati sulla terra.
(2056.2) 193:4.4 Giuda incontrò la sconfitta nelle sue battaglie della lotta terrena a causa dei seguenti fattori concernenti le sue tendenze personali e le sue debolezze di carattere:
(2056.3) 193:4.5 1. Egli era un tipo di essere umano solitario. Era altamente individualista e scelse di crescere come un inveterato tipo di persona “chiusa” e asociale.
(2056.4) 193:4.6 2. Da ragazzo la vita gli era stata resa troppo facile. Egli si risentiva aspramente se era contrastato. Pretendeva sempre di vincere; non sapeva assolutamente perdere.
(2056.5) 193:4.7 3. Egli non acquisì mai una tecnica filosofica per affrontare la delusione. Invece di accettare le delusioni come un avvenimento normale e corrente dell’esistenza umana, ricorreva infallibilmente alla pratica di biasimare qualcuno in particolare, o i suoi associati collettivamente, per tutte le sue difficoltà e le sue delusioni personali.
(2056.6) 193:4.8 4. Egli aveva tendenza a serbare rancore; nutriva sempre idee di vendetta.
(2056.7) 193:4.9 5. Egli non amava affrontare apertamente i fatti; era disonesto nel suo comportamento verso le situazioni della vita.
(2056.8) 193:4.10 6. Detestava discutere i suoi problemi personali con i suoi associati immediati; rifiutava di parlare delle sue difficoltà con i suoi veri amici e con coloro che l’amavano realmente. In tutti gli anni della loro associazione egli non andò una sola volta dal Maestro con un problema puramente personale.
(2056.9) 193:4.11 7. Egli non imparò mai che le ricompense reali di una vita nobile sono, dopotutto, dei premi spirituali che non sono sempre distribuiti durante questa sola breve vita nella carne.
(2056.10) 193:4.12 Come risultato del persistente isolamento della sua personalità, le sue lagnanze si moltiplicarono, i suoi dispiaceri si accrebbero, le sue ansietà aumentarono e la sua disperazione raggiunse una profondità quasi insopportabile.
(2057.1) 193:4.13 Anche se questo apostolo egocentrico e ultraindividualista ebbe molte afflizioni psichiche, emotive e spirituali, le sue maggiori difficoltà erano che: come personalità era isolato; mentalmente era sospettoso ed astioso; per temperamento era scontroso e vendicativo; emotivamente era senza amore ed implacabile; socialmente non era disponibile ed era quasi totalmente indipendente; in spirito divenne arrogante ed egoisticamente ambizioso; nella vita ignorava coloro che l’amavano, e nella morte non ebbe amici.
(2057.2) 193:4.14 Questi, dunque, sono i fattori mentali e le influenze negative che, prese nel loro insieme, spiegano perché un credente in Gesù un tempo ben intenzionato e sincero, anche dopo parecchi anni d’intima associazione con questa personalità trasformatrice, abbandonò i suoi compagni, ripudiò una causa sacra, rinunciò alla sua santa vocazione e tradì il suo divino Maestro.
(2057.3) 193:5.1 Erano quasi le sette e mezzo di questo giovedì mattina, 18 maggio, quando Gesù arrivò sul versante occidentale del Monte Oliveto con i suoi undici apostoli silenziosi ed un po’ sconcertati. Da questo luogo, a circa due terzi di strada dalla vetta, essi potevano vedere lontano Gerusalemme e sotto di loro Getsemani. Gesù si preparò ora a dare i suoi ultimi saluti di addio agli apostoli prima di lasciare Urantia. Mentre egli stava là davanti a loro, senza che glielo avesse ordinato essi s’inginocchiarono in cerchio attorno a lui, e il Maestro disse:
(2057.4) 193:5.2 “Vi ho chiesto di rimanere a Gerusalemme fino a che foste dotati di potere dall’alto. Io sono ora sul punto di lasciarvi; sto per ascendere a mio Padre, e presto, molto presto, noi manderemo a questo mondo dove ho soggiornato lo Spirito della Verità. E quando egli sarà venuto, voi comincerete la nuova proclamazione del vangelo del regno, prima a Gerusalemme e poi sino alle parti più lontane del mondo. Amate gli uomini con l’amore con cui io ho amato voi e servite i vostri simili mortali come io ho servito voi. Mediante i frutti spirituali della vostra vita spingete le anime a credere la verità che l’uomo è un figlio di Dio e che tutti gli uomini sono fratelli. Ricordatevi di tutto ciò che vi ho insegnato e della vita che ho vissuto tra di voi. Il mio amore vi copre con la sua ombra, il mio spirito abiterà in voi e la mia pace dimorerà su di voi. Addio.”
(2057.5) 193:5.3 Dopo che il Maestro morontiale ebbe parlato così, scomparve dalla loro vista. Questa cosiddetta ascensione di Gesù non fu in alcun senso differente dalle altre sue scomparse dalla vista mortale durante i quaranta giorni della sua carriera morontiale su Urantia.
(2057.6) 193:5.4 Il Maestro andò su Edentia passando per Jerusem, dove gli Altissimi, sotto la sorveglianza del Figlio del Paradiso, liberarono Gesù di Nazaret dallo stato morontiale e, attraverso i canali spirituali dell’ascensione, lo ristabilirono nello status di filiazione paradisiaca e di sovranità suprema su Salvington.
(2057.7) 193:5.5 Erano circa le sette e quarantacinque di questa mattina quando il Gesù morontiale scomparve dal campo d’osservazione dei suoi undici apostoli per iniziare l’ascensione alla destra di suo Padre, per ricevervi la conferma ufficiale del completamento della sua sovranità sull’universo di Nebadon.
(2057.8) 193:6.1 Agendo secondo le istruzioni di Pietro, Giovanni Marco ed altri andarono a convocare i discepoli più eminenti per una riunione a casa di Maria Marco. Alle dieci e mezzo centoventi dei principali discepoli di Gesù che vivevano a Gerusalemme si erano riuniti per ascoltare il resoconto del messaggio di addio del Maestro e per sapere della sua ascensione. In questo gruppo si trovava Maria la madre di Gesù. Essa era ritornata a Gerusalemme con Giovanni Zebedeo quando gli apostoli tornarono dal loro recente soggiorno in Galilea. Poco dopo la Pentecoste essa tornò a casa di Salomè a Betsaida. Giacomo, il fratello di Gesù, era anche lui presente a questa riunione, la prima dei discepoli del Maestro ad essere convocata dopo la fine della sua carriera planetaria.
(2058.1) 193:6.2 Simon Pietro s’incaricò di parlare a nome dei suoi compagni apostoli e fece un resoconto appassionante dell’ultimo incontro degli undici con il loro Maestro, e descrisse nella maniera più toccante il saluto di addio finale del Maestro e la sua scomparsa per l’ascensione. Non c’era mai stata prima una riunione simile in questo mondo. Questa parte della riunione durò meno di un’ora. Pietro spiegò poi che essi avevano deciso di scegliere un successore a Giuda Iscariota, e che vi sarebbe stata una pausa per consentire agli apostoli di decidere tra due uomini che erano stati proposti per questo posto, Mattia e Giusto.
(2058.2) 193:6.3 Gli undici apostoli scesero allora al pianterreno, dove si accordarono di trarre a sorte per determinare quale di questi uomini sarebbe divenuto apostolo per servire al posto di Giuda. La sorte cadde su Mattia, ed egli fu proclamato il nuovo apostolo. Egli fu debitamente insediato nel suo incarico e poi nominato tesoriere. Ma Mattia partecipò poco alle attività successive degli apostoli.
(2058.3) 193:6.4 Poco dopo la Pentecoste i gemelli ritornarono alle loro case in Galilea. Simone Zelota si isolò per qualche tempo prima di partire per andare a predicare il vangelo. Tommaso meditò per un periodo più breve e poi riprese il suo insegnamento. Natanaele dissentì sempre di più da Pietro circa la predicazione a proposito di Gesù invece di proclamare il precedente vangelo del regno. Questo disaccordo divenne così acuto verso la metà del mese seguente che Natanaele si ritirò e andò a Filadelfia a trovare Abner e Lazzaro. E dopo essere rimasto là per più di un anno, egli andò nei paesi situati oltre la Mesopotamia a predicare il vangelo come lo comprendeva lui.
(2058.4) 193:6.5 Ciò lasciò soltanto sei degli originali dodici apostoli per divenire attori sulla scena della proclamazione iniziale del vangelo a Gerusalemme: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo e Matteo.
(2058.5) 193:6.6 A mezzogiorno circa gli apostoli ritornarono dai loro fratelli nella stanza al piano superiore ed annunciarono che Mattia era stato scelto come nuovo apostolo. E poi Pietro invitò tutti i credenti a mettersi in preghiera per essere preparati a ricevere il dono dello spirito che il Maestro aveva promesso di mandare.
(2059.1) 194:0.1 VERSO l’una del pomeriggio, mentre i centoventi credenti stavano pregando, divennero tutti coscienti di una strana presenza nella stanza. Allo stesso tempo questi discepoli divennero coscienti di un nuovo e profondo senso di gioia, di sicurezza e di fiducia spirituali. Questa nuova coscienza di forza spirituale fu immediatamente seguita da un potente impulso ad uscire per proclamare pubblicamente il vangelo del regno e la buona novella che Gesù era risuscitato dalla morte.
(2059.2) 194:0.2 Pietro si alzò e dichiarò che questa doveva essere la venuta dello Spirito della Verità che il Maestro aveva promesso loro e propose di andare al tempio e di cominciare la proclamazione della buona novella affidata loro. Ed essi fecero ciò che Pietro aveva suggerito.
(2059.3) 194:0.3 Questi uomini erano stati preparati ed istruiti che il vangelo che dovevano predicare era la paternità di Dio e la filiazione dell’uomo, ma in questo particolare momento d’estasi spirituale e di trionfo personale la notizia migliore, la più importante alla quale questi uomini potevano pensare era il fatto del Maestro risorto. E così essi uscirono, dotati di un potere proveniente dall’alto, a predicare la felice novella al popolo — la salvezza attraverso Gesù — ma caddero involontariamente nell’errore di sostituire alcuni dei fatti associati al vangelo al messaggio stesso del vangelo. Pietro diede inconsapevolmente avvio a questo errore, ed altri lo seguirono fino a Paolo, che creò una nuova religione fondata su questa nuova versione della buona novella.
(2059.4) 194:0.4 Il vangelo del regno è: il fatto della paternità di Dio, associato alla verità risultante della filiazione-fratellanza degli uomini. Il Cristianesimo, quale s’è sviluppato da quel giorno, è: il fatto di Dio in quanto Padre del Signore Gesù Cristo, associato all’esperienza della credenza-comunione con il Cristo risorto e glorificato.
(2059.5) 194:0.5 Non è strano che questi uomini infusi di spirito abbiano colto questa opportunità per esprimere i loro sentimenti di trionfo sulle forze che avevano cercato di distruggere il loro Maestro e di porre fine all’influenza dei suoi insegnamenti. In un momento simile era più facile ricordare la loro associazione personale con Gesù ed essere galvanizzati dalla certezza che il Maestro viveva ancora, che la loro amicizia non era finita e che lo spirito era veramente venuto su di loro come egli aveva promesso.
(2059.6) 194:0.6 Questi credenti si sentirono improvvisamente trasportati in un altro mondo, in una nuova esistenza di gioia, di potenza e di gloria. Il Maestro aveva detto loro che il regno sarebbe venuto con potenza, e alcuni di loro credettero di cominciare a discernere ciò che egli intendeva.
(2059.7) 194:0.7 E dopo aver preso in considerazione tutto ciò, non è difficile comprendere come questi uomini giunsero a predicare un nuovo vangelo a proposito di Gesù al posto del loro messaggio iniziale della paternità di Dio e della fratellanza degli uomini.
(2060.1) 194:1.1 Gli apostoli erano rimasti nascosti per quaranta giorni. Questo giorno si trovò ad essere la festività ebraica di Pentecoste, e migliaia di visitatori provenienti da tutte le parti del mondo erano a Gerusalemme. Molti arrivarono per questa festa, ma la maggior parte si era fermata in città dalla Pasqua. Ora questi apostoli spaventati emersero dalle loro settimane di reclusione per mostrarsi coraggiosamente nel tempio, dove cominciarono a predicare il nuovo messaggio di un Messia risorto. E tutti i discepoli erano similmente coscienti di aver ricevuto una nuova dotazione spirituale di percezione e di potere.
(2060.2) 194:1.2 Erano circa le due quando Pietro si mise nello stesso posto in cui il suo Maestro aveva insegnato l’ultima volta in questo tempio e pronunciò quell’appassionato appello che riuscì a conquistare più di duemila anime. Il Maestro era partito, ma essi scoprirono subito che questa storia su di lui aveva una grande presa sul popolo. Nessuna meraviglia che essi abbiano continuato la proclamazione di ciò che giustificava la loro precedente devozione a Gesù e che allo stesso tempo costringeva gli uomini a credere in lui. Sei degli apostoli parteciparono a questa riunione: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo e Matteo. Essi parlarono per più di un’ora e mezza ed espressero i loro messaggi in greco, in ebraico e in aramaico, e pronunciarono alcune parole anche in altre lingue di cui avevano qualche nozione.
(2060.3) 194:1.3 I dirigenti degli Ebrei furono stupefatti dall’audacia degli apostoli, ma essi temevano di molestarli a causa del gran numero di persone che credevano al loro racconto.
(2060.4) 194:1.4 Verso le quattro e mezzo, più di duemila nuovi credenti seguirono gli apostoli alla piscina di Siloe dove Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni li battezzarono nel nome del Maestro. Ed era buio quando finirono di battezzare questa moltitudine.
(2060.5) 194:1.5 La Pentecoste era la grande festa del battesimo, il momento in cui si ammettevano alla comunità i proseliti della porta, quei Gentili che desideravano servire Yahweh. Era quindi più facile per un gran numero di Ebrei e di Gentili credenti sottoporsi al battesimo in questo giorno. Facendo ciò, essi non si staccavano in alcun modo dalla fede ebraica. Per qualche tempo i credenti in Gesù formarono anche una setta interna al Giudaismo. Tutti loro, compresi gli apostoli, erano ancora fedeli alle esigenze essenziali del sistema cerimoniale ebraico.
(2060.6) 194:2.1 Gesù visse ed insegnò sulla terra un vangelo che affrancò l’uomo dalla superstizione di essere un figlio del demonio e lo elevò alla dignità di figlio per fede di Dio. Il messaggio di Gesù, quale egli predicò e visse ai suoi giorni, risolveva in modo efficace le difficoltà spirituali dell’uomo al tempo della sua enunciazione. Ed ora che egli ha lasciato personalmente il mondo, invia al suo posto il suo Spirito della Verità che è destinato a vivere nell’uomo e a riaffermare il messaggio di Gesù per ogni nuova generazione, in modo che ogni nuovo gruppo di mortali che appare sulla faccia della terra abbia una versione nuova ed aggiornata del vangelo, quell’illuminazione personale e quella guida collettiva che permettono all’uomo di risolvere efficacemente le sue difficoltà spirituali sempre nuove e diverse.
(2060.7) 194:2.2 La prima missione di questo spirito, beninteso, è di sostenere e personalizzare la verità, perché è la comprensione della verità che costituisce la forma più elevata di libertà umana. Poi, il proposito di questo spirito è di distruggere la sensazione del credente di essere orfano. Poiché Gesù ha vissuto tra gli uomini, tutti i credenti proverebbero un senso di solitudine se lo Spirito della Verità non fosse venuto a dimorare nel cuore degli uomini.
(2061.1) 194:2.3 Questa effusione dello spirito del Figlio preparò efficacemente la mente di tutti gli uomini normali alla successiva effusione nell’universo dello spirito del Padre (l’Aggiustatore) su tutta l’umanità. In un certo senso, questo Spirito della Verità è lo spirito sia del Padre Universale che del Figlio Creatore.
(2061.2) 194:2.4 Non commettete l’errore di aspettarvi di acquisire una ferma coscienza intellettuale dello Spirito della Verità effuso. Lo spirito non crea mai una coscienza di se stesso, ma solo una coscienza di Micael, il Figlio. Fin dall’inizio Gesù insegnò che lo spirito non avrebbe parlato di se stesso. La prova della vostra comunione con lo Spirito della Verità non va cercata, quindi, nella vostra coscienza di questo spirito, ma piuttosto nella vostra esperienza di accresciuta comunione con Micael.
(2061.3) 194:2.5 Lo spirito è venuto anche per aiutare gli uomini a ricordarsi e a comprendere le parole del Maestro, come pure per illuminare e reinterpretare la sua vita sulla terra.
(2061.4) 194:2.6 Poi, lo Spirito della Verità è venuto ad aiutare il credente a testimoniare le realtà degli insegnamenti di Gesù e della sua vita, quale egli visse nella carne e quale vive ora di nuovo e daccapo nel singolo credente di ogni generazione successiva di figli di Dio ripieni dello spirito.
(2061.5) 194:2.7 Così è evidente che lo Spirito della Verità viene realmente a condurre tutti i credenti in tutta la verità, nella conoscenza sempre maggiore dell’esperienza della coscienza spirituale vivente e crescente della realtà della filiazione eterna ed ascendente con Dio.
(2061.6) 194:2.8 Gesù visse una vita che è una rivelazione dell’uomo sottomesso alla volontà del Padre, non un esempio che ciascuno dovrebbe tentare di seguire alla lettera. Questa vita nella carne, con la sua morte sulla croce e la risurrezione successiva, divennero subito un nuovo vangelo del riscatto che era stato pagato così per riscattare l’uomo dalla presa del maligno — dalla condanna di un Dio offeso. Ciò nonostante, benché il vangelo sia stato grandemente distorto, rimane il fatto che questo nuovo messaggio a proposito di Gesù conservò molte delle verità e degli insegnamenti fondamentali del vangelo iniziale del regno. E presto o tardi queste verità nascoste della paternità di Dio e della fratellanza degli uomini emergeranno per trasformare efficacemente la civiltà di tutta l’umanità.
(2061.7) 194:2.9 Ma questi errori intellettuali non interferirono in alcun modo con il grande progresso dei credenti nella crescita dello spirito. In meno di un mese dopo l’effusione dello Spirito della Verità, gli apostoli fecero maggiori progressi spirituali individuali che durante i loro quasi quattro anni di associazione personale ed affettuosa con il Maestro. Né questa sostituzione del fatto della risurrezione di Gesù alla verità del vangelo salvifico della filiazione con Dio interferì in alcun modo con la rapida diffusione dei loro insegnamenti; al contrario, questa eclissi del messaggio di Gesù da parte dei nuovi insegnamenti sulla sua persona e sulla sua risurrezione sembrò facilitare grandemente la predicazione della buona novella.
(2061.8) 194:2.10 L’espressione “battesimo dello spirito”, che divenne di uso così generale in questo tempo, significava semplicemente il ricevimento cosciente di questo dono dello Spirito della Verità ed il riconoscimento personale di questo nuovo potere spirituale come un accrescimento di tutte le influenze spirituali precedentemente sperimentate dalle anime che conoscevano Dio.
(2061.9) 194:2.11 A partire dall’effusione dello Spirito della Verità, l’uomo è soggetto all’insegnamento e alla guida di una triplice dotazione spirituale: lo spirito del Padre, l’Aggiustatore di Pensiero; lo spirito del Figlio, lo Spirito della Verità; lo spirito dello Spirito, lo Spirito Santo.
(2062.1) 194:2.12 In un certo senso l’umanità è soggetta alla duplice influenza della settupla attrazione delle influenze spirituali dell’universo. Le razze evoluzionarie primitive di mortali sono soggette al contatto progressivo dei sette spiriti aiutanti della mente dello Spirito Madre dell’universo locale. Via via che l’uomo progredisce sulla scala dell’intelligenza e della percezione spirituale, vengono infine a librarsi su di lui e a dimorare in lui le sette influenze spirituali superiori. E questi sette spiriti dei mondi in progresso sono:
(2062.2) 194:2.13 1. Lo spirito conferito dal Padre Universale — gli Aggiustatori di Pensiero.
(2062.3) 194:2.14 2. La presenza in spirito del Figlio Eterno — la gravità di spirito dell’universo degli universi ed il canale certo di ogni comunione spirituale.
(2062.4) 194:2.15 3. La presenza in spirito dello Spirito Infinito — lo spirito-mente universale di tutta la creazione, la fonte spirituale della parentela intellettuale di tutte le intelligenze progressive.
(2062.5) 194:2.16 4. Lo spirito del Padre Universale e del Figlio Creatore — lo Spirito della Verità, generalmente considerato come lo spirito del Figlio d’Universo.
(2062.6) 194:2.17 5. Lo spirito dello Spirito Infinito e dello Spirito Madre d’Universo — lo Spirito Santo, generalmente considerato come lo spirito dello Spirito d’Universo.
(2062.7) 194:2.18 6. Lo spirito-mente dello Spirito Madre d’Universo — i sette spiriti aiutanti della mente dell’universo locale.
(2062.8) 194:2.19 7. Lo spirito del Padre, dei Figli e degli Spiriti — lo spirito di nuovo nome dei mortali ascendenti dei regni dopo la fusione dell’anima mortale nata dallo spirito con l’Aggiustatore di Pensiero del Paradiso, e dopo il successivo raggiungimento della divinità e della glorificazione dello status del Corpo della Finalità del Paradiso.
(2062.9) 194:2.20 E così l’effusione dello Spirito della Verità portò al mondo e ai suoi popoli l’ultima delle dotazioni di spirito destinate ad aiutarli nella ricerca ascendente di Dio.
(2062.10) 194:3.1 Molti insegnamenti bizzarri e strani furono associati alle narrazioni iniziali del giorno di Pentecoste. In tempi successivi gli avvenimenti di questo giorno, in cui lo Spirito della Verità, il nuovo maestro, venne ad abitare l’umanità, sono divenuti confusi con le insensate esplosioni di straripante emotività. La principale missione di questo spirito sparso dal Padre e dal Figlio è di insegnare agli uomini le verità dell’amore del Padre e della misericordia del Figlio. Queste sono le verità della divinità che gli uomini possono comprendere più pienamente di tutti gli altri tratti divini del carattere. Lo Spirito della Verità è interessato in primo luogo alla rivelazione della natura spirituale del Padre e del carattere morale del Figlio. Il Figlio Creatore, nella carne, rivelò Dio agli uomini; lo Spirito della Verità, nel cuore, rivela il Figlio Creatore agli uomini. Quando un uomo produce nella sua vita i “frutti dello spirito”, mostra semplicemente i tratti che il Maestro manifestò nella sua vita terrena. Quando Gesù era sulla terra, visse la sua vita come una personalità unica — Gesù di Nazaret. Come spirito interiore del “nuovo maestro”, il Signore, dopo la Pentecoste, ha potuto vivere di nuovo la sua vita nell’esperienza di ogni credente istruito dalla verità.
(2062.11) 194:3.2 Molti avvenimenti che accadono nel corso di una vita umana sono duri da comprendere, difficili da conciliare con l’idea che questo è un universo in cui la verità prevale ed in cui la rettitudine trionfa. Sembra così spesso che la calunnia, la menzogna, la disonestà e l’iniquità — il peccato — prevalgano. La fede, dopotutto, trionfa sul male, sul peccato e sull’iniquità? Sì. E la vita e la morte di Gesù sono la prova eterna che la verità della bontà e la fede delle creature guidate dallo spirito saranno sempre giustificate. Essi si burlarono di Gesù sulla croce dicendo: “Vediamo se Dio verrà a liberarlo.” Il giorno della crocifissione sembrò buio, ma il mattino della risurrezione fu gloriosamente splendido; il giorno di Pentecoste fu ancora più brillante e gioioso. Le religioni della disperazione pessimistica cercano di liberarsi dei fardelli della vita; esse desiderano ardentemente l’annientamento nel sonno e nel riposo senza fine. Queste sono le religioni della paura e del timore primitivi. La religione di Gesù è un nuovo vangelo di fede da proclamare all’umanità in lotta. Questa nuova religione è fondata sulla fede, sulla speranza e sull’amore.
(2063.1) 194:3.3 A Gesù la vita mortale vibrò i suoi colpi più duri, più crudeli e più amari; e quest’uomo affrontò queste situazioni di disperazione con fede, coraggio ed incrollabile determinazione a fare la volontà di suo Padre. Gesù affrontò la vita in tutta la sua terribile realtà e la dominò — anche nella morte. Egli non si servì della religione come di una liberazione dalla vita. La religione di Gesù non cerca di sfuggire a questa vita per godere la beatitudine che vi attende in un’altra esistenza. La religione di Gesù procura la gioia e la pace di un’altra esistenza spirituale che eleva e nobilita la vita che gli uomini vivono ora nella carne.
(2063.2) 194:3.4 Se una religione è un sedativo per il popolo, non è la religione di Gesù. Sulla croce egli rifiutò di bere il narcotico che mitigava il dolore, ed il suo spirito, sparso su tutta la carne, è una potente influenza mondiale che eleva l’uomo e lo spinge a progredire. Lo stimolo al progresso spirituale è l’impulso più potente presente in questo mondo; il credente che apprende la verità è la sola anima progressiva e dinamica sulla terra.
(2063.3) 194:3.5 Nel giorno di Pentecoste la religione di Gesù ruppe tutte le restrizioni nazionali e i vincoli razziali. È eternamente vero che “Dov’è lo spirito del Signore, là c’è la libertà”. In questo giorno lo Spirito della Verità divenne il dono personale del Maestro ad ogni mortale. Questo spirito fu effuso allo scopo di qualificare i credenti a predicare più efficacemente il vangelo del regno, ma essi commisero l’errore di prendere l’esperienza di ricevere lo spirito sparso come una parte del nuovo vangelo che stavano inconsciamente formulando.
(2063.4) 194:3.6 Non dimenticate il fatto che lo Spirito della Verità fu effuso su tutti i credenti sinceri; questo dono dello spirito non venne soltanto sugli apostoli. I centoventi uomini e donne riuniti nella stanza al piano superiore ricevettero tutti il nuovo maestro, come tutti gli onesti di cuore del mondo intero. Questo nuovo maestro fu effuso sull’umanità, ed ogni anima lo ricevette secondo l’amore per la verità e la capacità di cogliere e di comprendere le realtà spirituali. Alla fine la vera religione è liberata dalla tutela dei sacerdoti e da tutte le classi sacre, e trova la sua manifestazione reale nelle singole anime degli uomini.
(2063.5) 194:3.7 La religione di Gesù favorisce il tipo più elevato di civiltà umana, nel senso che crea il tipo più elevato di personalità spirituale e proclama la sacralità di quella persona.
(2063.6) 194:3.8 La venuta dello Spirito della Verità alla Pentecoste rese possibile una religione che non è né radicale né conservatrice; essa non è né vecchia né nuova; essa non deve essere dominata né dai vecchi né dai giovani. Il fatto della vita terrena di Gesù fornisce un punto d’appoggio per l’ancora del tempo, mentre l’effusione dello Spirito della Verità assicura l’espansione perpetua e la crescita indefinita della religione che egli ha vissuto e del vangelo che ha proclamato. Lo spirito guida in tutta la verità; esso è l’insegnante di una religione in espansione ed in continua crescita di progresso senza fine e di rivelazione divina. Questo nuovo maestro svelerà perpetuamente ai credenti che cercano la verità ciò che fu così divinamente rivelato nella persona e nella natura del Figlio dell’Uomo.
(2064.1) 194:3.9 Le manifestazioni associate all’effusione del “nuovo maestro” e l’accoglimento della predicazione degli apostoli da parte degli uomini delle diverse razze e nazioni riunite a Gerusalemme, indicano l’universalità della religione di Gesù. Il vangelo del regno non doveva identificarsi con nessuna razza, cultura o lingua particolare. Questo giorno di Pentecoste segnò il grande sforzo dello spirito per liberare la religione di Gesù dai vincoli ebraici ereditati. Anche dopo questa dimostrazione di spargimento dello spirito su tutta la carne, gli apostoli si sforzarono in primo luogo d’imporre le esigenze del Giudaismo ai loro convertiti. Anche Paolo ebbe delle difficoltà con i suoi fratelli di Gerusalemme perché rifiutava di sottoporre i Gentili a queste pratiche ebraiche. Nessuna religione rivelata può diffondersi in tutto il mondo se commette il grave errore di lasciarsi permeare da qualche cultura nazionale o di associarsi a pratiche razziali, sociali o economiche stabilite.
(2064.2) 194:3.10 L’effusione dello Spirito della Verità fu indipendente da tutte le forme, cerimonie, luoghi sacri e abitudini particolari di coloro che ricevettero la pienezza della sua manifestazione. Quando lo spirito venne su coloro che erano riuniti nella stanza superiore, essi erano semplicemente seduti là, impegnati da poco in una preghiera silenziosa. Lo spirito fu effuso nella campagna come pure nella città. Gli apostoli non dovettero appartarsi in luoghi isolati per anni di solitaria meditazione al fine di ricevere lo spirito. La Pentecoste dissocia definitivamente l’idea di esperienza spirituale dalla nozione di ambienti particolarmente favorevoli.
(2064.3) 194:3.11 La Pentecoste, con la sua dotazione spirituale, era destinata a staccare per sempre la religione del Maestro da ogni dipendenza dalla forza fisica; gli insegnanti di questa nuova religione sono ora muniti di armi spirituali. Essi stanno per andare alla conquista del mondo con inesauribile indulgenza, ineguagliabile buona volontà e abbondante amore. Essi sono equipaggiati per trionfare sul male con il bene, per vincere l’odio con l’amore, per distruggere la paura con una fede coraggiosa e vivente nella verità. Gesù aveva già insegnato ai suoi seguaci che la sua religione non era mai passiva; i suoi discepoli dovevano essere sempre attivi e positivi nel loro ministero di misericordia e nelle loro manifestazioni d’amore. Questi credenti non consideravano più Yahweh come “il Signore degli Eserciti”. Essi consideravano ora la Deità eterna come il “Dio e Padre del Signore Gesù Cristo”. Essi fecero almeno questo progresso, anche se in qualche misura non arrivarono ad afferrare pienamente la verità che Dio è anche il Padre spirituale di ciascun individuo.
(2064.4) 194:3.12 La Pentecoste dotò l’uomo mortale del potere di perdonare le ingiurie personali, di conservarsi gentile in mezzo alle più gravi ingiustizie, di restare impassibile di fronte ai pericoli che atterriscono e di sfidare i mali dell’odio e della collera con intrepidi atti d’amore e di tolleranza. Urantia è passato attraverso le devastazioni di grandi guerre distruttive nella sua storia. Tutti i partecipanti a questi conflitti terribili sono stati sconfitti. È rimasto un solo vincitore; solo uno è uscito da queste lotte accanite con una reputazione accresciuta — Gesù di Nazaret e il suo vangelo del trionfo sul male con il bene. Il segreto di una civiltà migliore è contenuto negli insegnamenti del Maestro sulla fratellanza degli uomini, la buona disposizione all’amore e alla fiducia reciproca.
(2065.1) 194:3.13 Fino alla Pentecoste la religione aveva rivelato soltanto l’uomo che cerca Dio; dopo la Pentecoste l’uomo cerca ancora Dio, ma brilla sul mondo anche lo spettacolo di Dio che cerca l’uomo e che manda il suo spirito a dimorare in lui quando l’ha trovato.
(2065.2) 194:3.14 Prima degli insegnamenti di Gesù, che culminarono nella Pentecoste, le donne avevano poca o nessuna considerazione nelle dottrine delle religioni antiche. Dopo la Pentecoste, nella fraternità del regno la donna fu di fronte a Dio su un piano d’uguaglianza con l’uomo. Tra i centoventi che ricevettero questa visitazione speciale dello spirito c’erano molte delle donne discepole, ed esse condivisero queste benedizioni equamente con gli uomini credenti. L’uomo non può più pretendere di monopolizzare il ministero del servizio religioso. Il Fariseo poteva andare a ringraziare Dio per “non essere nato donna, lebbroso o Gentile”, ma tra i seguaci di Gesù le donne sono state liberate per sempre da ogni discriminazione religiosa basata sul sesso. La Pentecoste ha cancellato ogni discriminazione religiosa fondata sulla distinzione razziale, sulle differenze culturali, sulle caste sociali o sul pregiudizio del sesso. Non c’è da meravigliarsi che questi credenti nella nuova religione abbiano esclamato: “Dov’è lo spirito del Signore, là c’è la libertà.”
(2065.3) 194:3.15 La madre ed un fratello di Gesù erano presenti tra i centoventi credenti, e come membri di questo gruppo comune di discepoli ricevettero anch’essi lo spirito sparso. Essi non ricevettero questo valido dono in misura maggiore dei loro simili. Nessun dono speciale fu conferito ai membri della famiglia terrena di Gesù. La Pentecoste segnò la fine del sacerdozio speciale e di ogni credenza nelle famiglie sacre.
(2065.4) 194:3.16 Prima della Pentecoste gli apostoli avevano rinunciato a molte cose per Gesù. Essi avevano sacrificato le loro case, le famiglie, gli amici, i beni terreni e le loro posizioni. A partire dalla Pentecoste essi donarono se stessi a Dio, e il Padre ed il Figlio risposero donando se stessi agli uomini — mandando i loro spiriti a vivere negli uomini. Questa esperienza di perdere se stessi e di trovare lo spirito non fu nulla di emozionante; fu un atto di resa intelligente di sé e di consacrazione senza riserve.
(2065.5) 194:3.17 La Pentecoste fu la chiamata all’unità spirituale tra i credenti al vangelo. Quando lo spirito discese sui discepoli a Gerusalemme, la stessa cosa avvenne a Filadelfia, ad Alessandria ed in tutti gli altri luoghi in cui abitavano dei credenti sinceri. Fu letteralmente vero che “c’era un solo cuore ed una sola anima tra la moltitudine dei credenti”. La religione di Gesù è la più potente influenza unificatrice che il mondo abbia mai conosciuto.
(2065.6) 194:3.18 La Pentecoste era destinata a diminuire l’autoritarismo degli individui, dei gruppi, delle nazioni e delle razze. È questo spirito di autoaffermazione che cresce talmente di tensione al punto da scatenare periodicamente delle guerre distruttive. L’umanità può essere unificata soltanto dall’approccio spirituale, e lo Spirito della Verità è un’influenza mondiale che è universale.
(2065.7) 194:3.19 La venuta dello Spirito della Verità purifica il cuore umano e porta il beneficiario a formulare un solo proposito di vita verso la volontà di Dio ed il benessere degli uomini. Lo spirito materiale dell’egoismo è stato inghiottito in questo nuovo dono spirituale dell’altruismo. La Pentecoste, sia allora che ora, significa che il Gesù della storia è divenuto il Figlio divino dell’esperienza vivente. La gioia di questo spirito sparso, quando è coscientemente sperimentata nella vita umana, è un tonico per la salute, uno stimolo per la mente e un’energia inesauribile per l’anima.
(2065.8) 194:3.20 La preghiera non portò lo spirito nel giorno di Pentecoste, ma contribuì molto a determinare la capacità ricettiva che caratterizzò i singoli credenti. La preghiera non spinge il cuore divino a donarsi liberamente, ma apre spesso dei canali più larghi e profondi in cui i doni divini possono fluire verso il cuore e l’anima di coloro che si ricordano così di mantenere una comunione ininterrotta con il loro Creatore mediante la preghiera sincera e la vera adorazione.
(2066.1) 194:4.1 Quando Gesù fu arrestato così improvvisamente dai suoi nemici e così rapidamente crocifisso tra due ladri, i suoi apostoli e i suoi discepoli furono completamente demoralizzati. Il pensiero del Maestro arrestato, legato, flagellato e crocifisso era insopportabile anche per gli apostoli. Essi dimenticarono i suoi insegnamenti ed i suoi avvertimenti. Egli poteva, in verità, essere stato “un potente profeta in fatti e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo”, ma non poteva essere il Messia che essi avevano sperato restaurasse il regno d’Israele.
(2066.2) 194:4.2 Poi venne la risurrezione, con la sua liberazione dalla disperazione ed il ritorno della loro fede nella divinità del Maestro. A più riprese essi lo vedono e parlano con lui, ed egli li conduce sull’Oliveto, dove dà loro il suo saluto di addio e dice loro che sta tornando dal Padre. Egli disse loro di restare a Gerusalemme fino a quando fossero stati dotati di potere — fino a quando fosse venuto lo Spirito della Verità. E nel giorno di Pentecoste questo nuovo maestro arriva, ed essi escono immediatamente a predicare il loro vangelo con nuova potenza. Sono gli arditi e coraggiosi seguaci di un Signore vivente, non di un capo morto e sconfitto. Il Maestro vive nel cuore di questi evangelisti; Dio non è una dottrina nella loro mente; egli è divenuto una presenza vivente nella loro anima.
(2066.3) 194:4.3 “Giorno dopo giorno essi perseveravano risolutamente e di comune accordo nel tempio e spezzavano il pane in casa. Essi prendevano il loro cibo con gioia e unità di cuore, lodando Dio ed avendo il favore di tutto il popolo. Essi erano tutti ripieni dello spirito e proclamavano la parola di Dio con audacia. E le moltitudini di coloro che credevano erano un solo cuore e una sola anima; e nessuno di loro diceva che i beni che possedeva gli appartenevano, ed essi avevano tutte le cose in comune.”
(2066.4) 194:4.4 Che cosa è accaduto a questi uomini che Gesù aveva ordinato per andare a predicare il vangelo del regno, la paternità di Dio e la fratellanza degli uomini? Essi hanno un nuovo vangelo; ardono di una nuova esperienza; sono pieni di una nuova energia spirituale. Il loro messaggio si è improvvisamente spostato sulla proclamazione del Cristo risorto: “Gesù di Nazaret, un uomo che Dio approvò con opere e prodigi potenti; colui che, essendo stato consegnato conformemente al consiglio determinato e alla precognizione di Dio, voi avete crocifisso e ucciso. Le cose che Dio aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, egli le ha compiute. Questo Gesù, Dio l’ha risuscitato. Dio l’ha fatto Signore e Cristo. Essendo stato elevato alla destra di Dio ed avendo ricevuto dal Padre la promessa dello spirito, egli ha sparso ciò che vedete e udite. Pentitevi, affinché i vostri peccati possano essere cancellati; affinché il Padre possa mandare il Cristo, che è stato designato per voi, Gesù stesso, che i cieli devono accogliere fino al giorno del ristabilimento di tutte le cose.”
(2066.5) 194:4.5 Il vangelo del regno, il messaggio di Gesù, era stato improvvisamente cambiato nel vangelo del Signore Gesù Cristo. Essi proclamavano ora i fatti della sua vita, della sua morte e della sua risurrezione, e predicavano la speranza del suo sollecito ritorno in questo mondo per terminare l’opera che aveva cominciato. Così il messaggio dei primi credenti concerneva la predicazione sui fatti della sua prima venuta e l’insegnamento della speranza della sua seconda venuta, un avvenimento che essi ritenevano molto vicino.
(2067.1) 194:4.6 Il Cristo stava per divenire il credo della Chiesa in rapida formazione. Gesù vive; egli è morto per gli uomini; ha donato lo spirito; egli sta per tornare. Gesù occupò tutti i loro pensieri e determinò tutti i loro nuovi concetti di Dio e di ogni altra cosa. Essi erano troppo entusiasti della nuova dottrina in cui “Dio è il Padre del Signore Gesù” per occuparsi del vecchio messaggio in cui “Dio è il Padre amorevole di tutti gli uomini”, ed anche di ogni singolo individuo. È vero, una meravigliosa manifestazione d’amore fraterno e di buona volontà senza uguali nacque in queste prime comunità di credenti. Ma era una comunità di credenti in Gesù, non una comunità di fratelli nel regno familiare del Padre che è nei cieli. La loro buona volontà proveniva dall’amore nato dal concetto del conferimento di Gesù e non dal riconoscimento della fratellanza dei mortali. Tuttavia essi erano pieni di gioia e vivevano una vita così nuova e straordinaria che tutti gli uomini erano attratti dai loro insegnamenti su Gesù. Essi fecero il grande errore di utilizzare il commento vivente ed illustrativo del vangelo del regno al posto di quel vangelo, ma anche ciò rappresentava la più grande religione che l’umanità avesse mai conosciuto.
(2067.2) 194:4.7 Indubbiamente una nuova comunità stava nascendo nel mondo. “La moltitudine che credeva fermamente nell’insegnamento e nella comunione degli apostoli, rompendo il pane e pregando.” Essi si chiamavano l’un l’altro fratello e sorella; si salutavano l’un l’altro con un bacio santo; assistevano i poveri. Era una comunità di vita come pure di adorazione. Essi non vivevano in comunità per decreto, ma per il desiderio di spartire i loro beni con i loro compagni credenti. Essi aspettavano con fiducia che Gesù tornasse per completare l’instaurazione del regno del Padre durante la loro generazione. Questa spartizione spontanea dei beni terreni non era una caratteristica diretta dell’insegnamento di Gesù; essa si verificò perché questi uomini e queste donne credevano così sinceramente e fiduciosamente che egli sarebbe tornato da un momento all’altro per completare la sua opera e per instaurare il regno. Ma i risultati finali di questa esperienza ben intenzionata d’insensato amore fraterno furono disastrosi e causarono dei dispiaceri. Migliaia di credenti sinceri vendettero le loro proprietà e distribuirono tutti i loro capitali ed altri beni produttivi. Con il passare del tempo le decrescenti risorse della cristiana “equa spartizione” finirono per esaurirsi — ma non il mondo. Molto presto i credenti di Antiochia fecero una colletta per impedire ai loro compagni credenti di Gerusalemme di morire di fame.
(2067.3) 194:4.8 In quest’epoca essi celebravano la Cena del Signore nella maniera in cui era stata istituita; cioè si riunivano per un pasto sociale al fine di stare in compagnia e condividere il sacramento alla fine del pasto.
(2067.4) 194:4.9 All’inizio essi battezzavano nel nome di Gesù; fu circa venti anni dopo che cominciarono a battezzare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il battesimo era tutto ciò che era richiesto per l’ammissione alla comunità dei credenti. Essi non avevano ancora alcuna organizzazione; era semplicemente la confraternita di Gesù.
(2067.5) 194:4.10 Questa setta di Gesù stava crescendo rapidamente, e ancora una volta i Sadducei s’interessarono a loro. I Farisei erano poco risentiti dalla situazione, vedendo che nessuno degli insegnamenti interferiva minimamente con l’osservanza delle leggi ebraiche. Ma i Sadducei cominciarono a mettere in prigione i dirigenti della setta di Gesù, fino a che essi furono indotti ad accettare il consiglio di uno dei principali rabbini, Gamaliele, che ordinò loro: “Astenetevi dal toccare questi uomini e lasciateli tranquilli, perché se questo disegno o questo lavoro è degli uomini sarà ridotto al niente; ma se è di Dio non riuscirete a distruggerli, e forse vi troverete anche a lottare contro Dio.” Essi decisero di seguire il consiglio di Gamaliele, e ne seguì un periodo di pace e di tranquillità a Gerusalemme, durante il quale il nuovo vangelo su Gesù si diffuse rapidamente.
(2068.1) 194:4.11 E così tutto proseguì bene a Gerusalemme fino al momento in cui dei Greci vennero in gran numero da Alessandria. Due allievi di Rodano arrivarono a Gerusalemme e fecero molte conversioni tra gli Ellenisti. Tra i loro primi convertiti c’erano Stefano e Barnaba. Questi abili Greci non condividevano molto il punto di vista ebreo, e non si conformavano adeguatamente al sistema di adorazione ebraico e ad altre pratiche cerimoniali. E furono gli atti di questi credenti greci che misero fine ai rapporti pacifici tra la confraternita di Gesù, i Farisei e i Sadducei. Stefano e il suo compagno greco cominciarono a predicare più conformemente all’insegnamento di Gesù, e ciò li portò ad un immediato conflitto con i dirigenti ebrei. Durante uno dei sermoni pubblici di Stefano, quando egli giunse alla parte del discorso giudicata deplorevole, essi si ritennero dispensati da ogni formalità giuridica e lo lapidarono a morte sul posto.
(2068.2) 194:4.12 Stefano, il capo della colonia greca dei credenti in Gesù a Gerusalemme, divenne così il primo martire della nuova fede e la causa specifica dell’organizzazione ufficiale della Chiesa cristiana primitiva. Questa nuova crisi indusse i credenti a constatare che non potevano più continuare come una setta interna alla fede ebraica. Essi convennero che bisognava separarsi dai non credenti; e in capo ad un mese dalla morte di Stefano la Chiesa di Gerusalemme era stata organizzata sotto la direzione di Pietro, e Giacomo, il fratello di Gesù, ne era stato nominato capo titolare.
(2068.3) 194:4.13 Ed allora scoppiarono le nuove ed implacabili persecuzioni da parte degli Ebrei, cosicché gli insegnanti attivi della nuova religione su Gesù, che successivamente ad Antiochia fu chiamata Cristianesimo, si dispersero sino ai confini dell’impero proclamando Gesù. Nella diffusione di questo messaggio, prima dell’epoca di Paolo, la direzione fu in mano ai Greci; e questi primi missionari, così come i successivi, seguirono l’itinerario della marcia di Alessandro di un tempo, andando per la via di Gaza e Tiro ad Antiochia e poi per l’Asia Minore in Macedonia, poi a Roma e nelle parti più lontane dell’impero.
(2069.1) 195:0.1 I RISULTATI della predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste furono tali da decidere la politica futura, e da determinare i piani, della maggior parte degli apostoli nei loro sforzi per proclamare il vangelo del regno. Pietro fu il vero fondatore della Chiesa cristiana; Paolo portò il messaggio cristiano ai Gentili, e i credenti greci lo portarono in tutto l’Impero Romano.
(2069.2) 195:0.2 Anche se gli Ebrei legati alla tradizione e dominati dai sacerdoti, rifiutarono come popolo di accettare sia il vangelo di Gesù sulla paternità di Dio e sulla fratellanza degli uomini che la proclamazione di Pietro e di Paolo sulla risurrezione e l’ascensione di Cristo (il Cristianesimo successivo), il resto dell’Impero Romano fu incline ad accogliere gli insegnamenti cristiani in evoluzione. La civiltà occidentale in quest’epoca era intellettuale, stanca di guerre e completamente scettica su tutte le religioni esistenti e le filosofie universali. I popoli del mondo occidentale, beneficiari della cultura greca, avevano una tradizione riverita di un grande passato. Essi potevano contemplare l’eredità di grandi realizzazioni nella filosofia, nell’arte, nella letteratura e nel progresso politico. Ma con tutti questi conseguimenti essi non avevano una religione che soddisfacesse l’anima. I loro profondi desideri spirituali rimanevano insoddisfatti.
(2069.3) 195:0.3 Su un tale quadro della società umana, gli insegnamenti di Gesù contenuti nel messaggio cristiano furono proiettati all’improvviso. Un nuovo ordine di vita fu così presentato al cuore affamato di questi popoli occidentali. Questa situazione significava un conflitto immediato tra le pratiche religiose più vecchie e la nuova versione cristianizzata del messaggio di Gesù al mondo. Un tale conflitto doveva terminare o con una netta vittoria per il nuovo o per il vecchio, o con una qualche sorta di compromesso. La storia mostra che la lotta terminò in un compromesso. Il Cristianesimo ebbe la presunzione di abbracciare un programma troppo vasto perché un qualunque popolo lo assimilasse nello spazio di una o due generazioni. Esso non era un semplice appello spirituale, quale Gesù aveva presentato all’anima degli uomini; ben presto esso assunse un atteggiamento deciso su rituali religiosi, educazione, magia, medicina, arte, letteratura, legge, governo, morale, regolamentazione sessuale, poligamia e, in misura limitata, anche sulla schiavitù. Il Cristianesimo non emerse semplicemente come una nuova religione — come qualcosa che tutto l’Impero Romano e tutto l’Oriente stavano aspettando — ma come un nuovo ordine di società umana. E con tale pretesa esso precipitò rapidamente lo scontro sociomorale delle ere. Gli ideali di Gesù, quali furono reinterpretati dalla filosofia greca e socializzati nel Cristianesimo, sfidavano ora audacemente le tradizioni della razza umana incorporate nell’etica, nella moralità e nelle religioni della civiltà occidentale.
(2069.4) 195:0.4 In principio il Cristianesimo fece delle conversioni soltanto negli strati sociali ed economici più bassi. Ma con l’inizio del secondo secolo l’élite della cultura greco-romana si orientò sempre di più verso questo nuovo ordine di credenza cristiana, verso questo nuovo concetto della ragione del vivere e dello scopo dell’esistenza.
(2070.1) 195:0.5 Come fece questo nuovo messaggio di origine ebraica, che era quasi fallito nel suo paese natale, a conquistare così rapidamente ed efficacemente le menti migliori dell’Impero Romano? Il trionfo del Cristianesimo sulle religioni filosofiche e sui culti dei misteri fu dovuto ai seguenti fattori:
(2070.2) 195:0.6 1. L’organizzazione. Paolo era un grande organizzatore ed i suoi successori furono alla sua altezza.
(2070.3) 195:0.7 2. Il Cristianesimo era completamente ellenizzato. Esso inglobava il meglio della filosofia greca come pure la crema della teologia ebraica.
(2070.4) 195:0.8 3. Ma, più di tutto, esso conteneva un nuovo e grande ideale, l’eco della vita di conferimento di Gesù e il riflesso del suo messaggio di salvezza per tutta l’umanità.
(2070.5) 195:0.9 4. I dirigenti cristiani erano disposti a fare dei compromessi tali con il Mitraismo che la metà migliore dei suoi aderenti furono conquistati al culto di Antiochia.
(2070.6) 195:0.10 5. Similmente la generazione successiva, e quelle che seguirono, di dirigenti cristiani fecero tali ulteriori compromessi con il paganesimo che lo stesso imperatore romano Costantino fu conquistato alla nuova religione.
(2070.7) 195:0.11 Ma i cristiani fecero un patto accorto con i pagani, nel senso che adottarono l’apparato ritualistico pagano mentre costrinsero i pagani ad accettare la versione ellenizzata del Cristianesimo paolino. Essi fecero un patto migliore con i pagani che con il culto mitraico, ma anche in quel primo compromesso uscirono più che vincitori, nel senso che riuscirono ad eliminare le grossolane immoralità ed anche numerose altre pratiche riprovevoli dei misteri persiani.
(2070.8) 195:0.12 A torto o a ragione questi primi dirigenti del Cristianesimo accettarono deliberatamente di venire ad un compromesso sugli ideali di Gesù nello sforzo di salvare e di propagare molte delle sue idee. Ed essi riportarono grandi successi. Ma non ingannatevi! Questi ideali del Maestro oggetto di compromesso sono ancora latenti nel suo vangelo ed affermeranno alla fine il loro pieno potere sul mondo.
(2070.9) 195:0.13 Con questa paganizzazione del Cristianesimo il vecchio ordine di cose conquistò molte vittorie minori di natura ritualistica, ma i cristiani ebbero la meglio nel senso che:
(2070.10) 195:0.14 1. Fu suonata una nota nuova ed enormemente più elevata nella morale umana.
(2070.11) 195:0.15 2. Fu dato al mondo un concetto di Dio nuovo e considerevolmente ampliato.
(2070.12) 195:0.16 3. La speranza dell’immortalità divenne parte dell’assicurazione di una religione riconosciuta.
(2070.13) 195:0.17 4. Gesù di Nazaret fu offerto all’anima affamata dell’uomo.
(2070.14) 195:0.18 Molte delle grandi verità insegnate da Gesù furono quasi perdute in questi primi compromessi, ma esse dormono ancora in questa religione del Cristianesimo paganizzato, che era a sua volta la versione paolina della vita e degli insegnamenti del Figlio dell’Uomo. E il Cristianesimo, prima ancora di essere paganizzato, fu completamente ellenizzato. Il Cristianesimo deve molto, moltissimo ai Greci. Fu un Greco d’Egitto che si fece avanti così coraggiosamente a Nicea e sfidò questa assemblea con tale intrepidezza che essa non osò offuscare il concetto della natura di Gesù al punto che la verità stessa del suo conferimento corresse il pericolo di essere persa per il mondo. Il nome di questo greco era Attanasio, e senza l’eloquenza e la logica di questo credente, le persuasioni di Ario avrebbero trionfato.
(2071.1) 195:1.1 L’ellenizzazione del Cristianesimo cominciò in realtà in quel giorno memorabile in cui l’apostolo Paolo si presentò davanti al consiglio dell’Areopago ad Atene e parlò agli Ateniesi su “il Dio Sconosciuto”. Là, all’ombra dell’Acropoli, questo cittadino romano proclamò ai Greci la sua versione della nuova religione che aveva avuto origine nel paese ebreo della Galilea. E c’era qualcosa di stranamente simile nella filosofia greca ed in molti insegnamenti di Gesù. Essi avevano uno scopo comune — entrambi miravano all’emersione dell’individuo. I Greci all’emersione sociale e politica; Gesù all’emersione morale e spirituale. I Greci insegnavano il liberalismo intellettuale che portava alla libertà politica; Gesù insegnava il liberalismo spirituale che portava alla libertà religiosa. Queste due idee messe insieme costituivano una nuova e potente carta della libertà umana; esse presagivano la libertà sociale, politica e spirituale dell’uomo.
(2071.2) 195:1.2 Il Cristianesimo venne all’esistenza e trionfò su tutte le religioni contendenti per due ragioni principali:
(2071.3) 195:1.3 1. La mente greca era disposta a mutuare idee nuove e buone anche dagli Ebrei.
(2071.4) 195:1.4 2. Paolo ed i suoi successori erano disposti solo ad astuti e sagaci compromessi; essi erano degli accorti negoziatori teologici.
(2071.5) 195:1.5 Nel momento in cui Paolo sorse ad Atene per predicare “Cristo e lui crocifisso”, i Greci erano spiritualmente affamati; essi erano indagatori, interessati, e cercavano effettivamente la verità spirituale. Non dimenticate mai che all’inizio i Romani combatterono il Cristianesimo, mentre i Greci l’abbracciarono, e che furono i Greci che forzarono letteralmente i Romani ad accettare successivamente questa nuova religione, qual era allora modificata, come parte della cultura greca.
(2071.6) 195:1.6 I Greci riverivano la bellezza, gli Ebrei la santità, ma entrambi i popoli amavano la verità. Per secoli i Greci avevano meditato seriamente e discusso assiduamente su tutti i problemi umani — sociali, economici, politici e filosofici — eccetto la religione. Pochi Greci avevano prestato molta attenzione alla religione; essi non prendevano molto sul serio nemmeno la loro stessa religione. Per secoli gli Ebrei avevano dimenticato questi altri campi del pensiero consacrando le loro menti alla religione. Essi prendevano la loro religione molto sul serio, troppo sul serio. Illuminato dal contenuto del messaggio di Gesù, il prodotto unificato di secoli del pensiero di questi due popoli divenne ora la forza motrice di un nuovo ordine di società umana e, in una certa misura, di un nuovo ordine di credenze e di pratiche religiose umane.
(2071.7) 195:1.7 L’influenza della cultura greca era già penetrata nei paesi del Mediterraneo occidentale quando Alessandro diffuse la civiltà ellenista nel mondo del Vicino Oriente. I Greci si trovarono molto bene con la loro religione e la loro politica fintantoché abitarono in piccole città-Stato, ma quando il re di Macedonia osò espandere la Grecia in un impero, che si estendeva dall’Adriatico all’Indo, cominciarono le difficoltà. L’arte e la filosofia della Grecia erano perfettamente all’altezza dell’espansione imperiale, ma non altrettanto l’amministrazione politica greca o la religione. Dopo che le città-Stato della Grecia si furono espanse in un impero, i loro dei piuttosto parrocchiali sembrarono un po’ bizzarri. I Greci erano realmente alla ricerca di un Dio unico, di un Dio più grande e migliore, quando la versione cristianizzata dell’antica religione ebrea pervenne loro.
(2072.1) 195:1.8 L’impero ellenistico, così com’era, non poteva durare. Il suo dominio culturale continuò, ma perdurò soltanto dopo aver acquisito dall’Occidente il genio politico romano per l’amministrazione dell’impero e dopo aver ottenuto dall’Oriente una religione il cui Dio unico possedeva una dignità imperiale.
(2072.2) 195:1.9 Nel primo secolo dopo Cristo la cultura greca aveva già raggiunto i suoi livelli più elevati; la sua regressione era cominciata; l’istruzione avanzava, ma il genio era in declino. Fu in questo preciso momento che le idee e gli ideali di Gesù, che erano parzialmente incorporati nel Cristianesimo, divennero parte del salvataggio della cultura e dell’istruzione greche.
(2072.3) 195:1.10 Alessandro aveva attaccato l’Oriente con il dono culturale della civiltà greca; Paolo assalì l’Occidente con la versione cristiana del vangelo di Gesù. Ed in qualunque parte dell’Occidente in cui prevalse la cultura greca, mise radici il Cristianesimo ellenizzato.
(2072.4) 195:1.11 La versione orientale del messaggio di Gesù, nonostante fosse rimasta più fedele ai suoi insegnamenti, continuò a seguire l’atteggiamento intransigente di Abner. Essa non progredì mai come la versione ellenizzata e finì per perdersi nel movimento islamico.
(2072.5) 195:2.1 I Romani adottarono in blocco la cultura greca, sostituendo il governo rappresentativo al governo tratto a sorte. E questo cambiamento favorì subito il Cristianesimo, nel senso che Roma portò in tutto il mondo occidentale una nuova tolleranza per le lingue, i popoli ed anche le religioni straniere.
(2072.6) 195:2.2 Gran parte delle prime persecuzioni contro i Cristiani a Roma fu dovuta unicamente al loro infelice impiego del termine “regno” nella loro predicazione. I Romani tolleravano ognuna e tutte le religioni, ma non sopportavano alcunché che sapesse di rivalità politica. E così, quando queste prime persecuzioni, così largamente dovute a dei malintesi, finirono, il campo per la propaganda religiosa fu completamente sgombro. I Romani erano interessati all’amministrazione politica; essi si occupavano poco dell’arte o della religione, ma erano straordinariamente tolleranti verso entrambe.
(2072.7) 195:2.3 La legge orientale era severa e arbitraria; la legge greca era fluida ed artistica; la legge romana era austera ed incuteva rispetto. L’educazione romana ingenerava una fedeltà incomparabile ed impavida. I primi Romani erano individui politicamente devoti e sublimemente consacrati. Essi erano onesti, zelanti ed attaccati ai loro ideali, ma senza una religione degna di tal nome. Non c’è da stupirsi che i loro insegnanti greci siano riusciti a persuaderli ad accettare il Cristianesimo di Paolo. E questi Romani erano un grande popolo. Essi poterono governare l’Occidente perché governavano se stessi. Tali impareggiabili onestà, devozione e forte autocontrollo erano il terreno ideale per la ricezione e la crescita del
(2072.8) 195:2.4 Cristianesimo.
(2072.9) 195:2.5 Era facile per questi Greco-Romani divenire tanto spiritualmente devoti ad una Chiesa istituzionale quanto erano politicamente devoti allo Stato. I Romani combatterono la Chiesa soltanto quando temerono che competesse con lo Stato. Roma, avendo poca filosofia nazionale o cultura indigena, fece propria la cultura greca e adottò decisamente Cristo come sua filosofia morale. Il Cristianesimo divenne la cultura morale di Roma, ma non divenne la sua religione nel senso di esperienza individuale di crescita spirituale per coloro che abbracciarono la nuova religione in modo così globale. È vero che molti individui penetrarono sotto la superficie di tutta questa religione di Stato e trovarono come nutrimento della loro anima i veri valori dei significati nascosti contenuti nelle verità latenti del Cristianesimo ellenizzato e paganizzato.
(2073.1) 195:2.6 Lo Stoico ed il suo vigoroso appello “alla natura e alla coscienza” aveva solo preparato meglio tutta Roma a ricevere Cristo, almeno in senso intellettuale. Il Romano era per natura e per educazione un legista; egli riveriva anche le leggi della natura. Ed ora, nel Cristianesimo, egli discerneva nelle leggi della natura le leggi di Dio. Un popolo che poteva produrre Cicerone e Virgilio era maturo per il Cristianesimo ellenizzato di Paolo.
(2073.2) 195:2.7 E così questi Greci romanizzati forzarono sia gli Ebrei che i Cristiani a rendere filosofica la loro religione, a coordinare le sue idee e a rendere sistematici i suoi ideali, ad adattare le pratiche religiose al corso di vita esistente. E tutto ciò fu enormemente aiutato dalla traduzione in greco delle Scritture ebraiche e dalla successiva redazione in lingua greca del Nuovo Testamento.
(2073.3) 195:2.8 Contrariamente agli Ebrei e a molti altri popoli, i Greci avevano a lungo provvisoriamente creduto nell’immortalità, in una sorta di sopravvivenza dopo la morte, e poiché questa era l’essenza stessa dell’insegnamento di Gesù, era certo che il Cristianesimo avrebbe esercitato una potente attrattiva su di loro.
(2073.4) 195:2.9 Una successione di vittorie della cultura greca e della politica romana aveva consolidato i paesi mediterranei in un solo impero, con una sola lingua e una sola cultura, ed aveva preparato il mondo occidentale ad un solo Dio. Il Giudaismo forniva questo Dio, ma il Giudaismo in quanto religione non era accettabile per questi Greci romanizzati. Filone ne aiutò alcuni a mitigare le loro obiezioni, ma il Cristianesimo rivelò loro un concetto ancora migliore di un Dio unico, ed essi lo abbracciarono prontamente.
(2073.5) 195:3.1 Dopo il consolidamento della sovranità politica romana e la diffusione del Cristianesimo, i cristiani si trovarono con un solo Dio, un grande concetto religioso, ma senza impero. I Greco-Romani si trovarono con un grande impero, ma senza un Dio che servisse da concetto religioso idoneo al culto e all’unificazione spirituale di un impero. I cristiani accettarono l’impero; l’impero adottò il Cristianesimo. I Romani fornirono un’unità di governo politico; i Greci un’unità di cultura e d’istruzione; il Cristianesimo un’unità di pensiero e di pratica religiosa.
(2073.6) 195:3.2 Roma trionfò sulla tradizione del nazionalismo con l’universalismo imperiale e per la prima volta nella storia rese possibile a differenti razze e nazioni di accettare, almeno nominalmente, una sola religione.
(2073.7) 195:3.3 Il Cristianesimo conquistò il favore di Roma nel momento in cui c’erano grandi contese tra i vigorosi insegnamenti degli Stoici e le promesse di salvezza dei culti dei misteri. Il Cristianesimo giunse con conforto ristoratore e potere liberatore ad un popolo spiritualmente affamato, il cui linguaggio non conteneva alcuna parola che significasse “altruismo”.
(2073.8) 195:3.4 Ciò che diede il più grande potere al Cristianesimo fu il modo in cui i suoi credenti vivevano una vita di servizio ed anche il modo in cui morirono per la loro fede durante i primi tempi di drastiche persecuzioni.
(2073.9) 195:3.5 L’insegnamento concernente l’amore di Cristo per i bambini mise presto fine alla pratica generalizzata di lasciare morire i figli quando non erano desiderati, in modo particolare le bambine.
(2074.1) 195:3.6 Le prime forme di culto cristiano furono largamente prese dalle sinagoghe ebree, modificate con il rituale mitraico; più tardi vi fu aggiunto molto apparato pagano. L’ossatura della Chiesa cristiana primitiva era composta da Greci cristianizzati proseliti del Giudaismo.
(2074.2) 195:3.7 Il secondo secolo dopo Cristo fu il periodo migliore in tutta la storia del mondo perché una buona religione potesse progredire nel mondo occidentale. Durante il primo secolo il Cristianesimo si era preparato, per mezzo di lotte e compromessi, a mettere radici e ad espandersi rapidamente. Il Cristianesimo adottò l’imperatore; più tardi egli adottò il Cristianesimo. Questa era una grande epoca per la diffusione di una nuova religione. C’era libertà religiosa; i viaggi erano universali ed il pensiero non incontrava ostacoli.
(2074.3) 195:3.8 Lo slancio spirituale del Cristianesimo ellenizzato nominalmente accettato giunse a Roma troppo tardi per impedire il suo declino morale molto avanzato o per compensare il deterioramento razziale già ben avviato e crescente. Questa nuova religione era una necessità culturale per la Roma imperiale, ed è veramente un peccato che non sia divenuta un mezzo di salvezza spirituale in un senso più ampio.
(2074.4) 195:3.9 Anche una buona religione non può salvare un grande impero dai risultati certi della mancanza di partecipazione degli individui negli affari di governo, da un eccesso di paternalismo, da supertassazione e da gravi abusi nella riscossione delle imposte, da un commercio squilibrato con il Levante che drenava l’oro, dalla follia dei piaceri, dalla standardizzazione romana, dalla degradazione delle donne, dalla schiavitù e dalla decadenza razziale, dalle afflizioni fisiche, e da una Chiesa di Stato che divenne istituzionalizzata al punto da rasentare la sterilità spirituale.
(2074.5) 195:3.10 Le condizioni, tuttavia, non erano altrettanto cattive ad Alessandria. Le prime scuole continuarono a conservare molto degli insegnamenti di Gesù liberi da compromessi. Panteno istruì Clemente, e poi seguì Natanaele nella proclamazione di Cristo in India. Benché alcuni degli ideali di Gesù fossero stati sacrificati nella costruzione del Cristianesimo, si dovrebbe prendere atto in tutta equità che, alla fine del secondo secolo, praticamente tutte le grandi menti del mondo greco-romano erano divenute cristiane. Il trionfo si stava avvicinando ad essere completo.
(2074.6) 195:3.11 E questo Impero Romano durò sufficientemente a lungo per assicurare la sopravvivenza del Cristianesimo anche dopo che l’impero crollò. Ma noi abbiamo spesso congetturato che cosa sarebbe accaduto a Roma e nel mondo se fosse stato il vangelo del regno ad essere accettato al posto del Cristianesimo greco.
(2074.7) 195:4.1 La Chiesa, essendo un’appendice della società e l’alleata della politica, era condannata a condividere il declino intellettuale e spirituale dei cosiddetti “secoli bui” dell’Europa. Durante questo periodo la religione divenne sempre più monasticizzata, asceticizzata e legalizzata. In senso spirituale il Cristianesimo era in ibernazione. Per tutto questo periodo vi fu, fianco a fianco con questa religione assopita e secolarizzata, una corrente continua di misticismo, un’esperienza spirituale fantastica che rasentava l’irrealtà e filosoficamente simile al panteismo.
(2074.8) 195:4.2 Durante questi secoli oscuri di disperazione, la religione ridivenne praticamente di secondaria importanza. L’individuo era quasi perduto di fronte all’autorità, alla tradizione, all’imposizione soverchiante della Chiesa. Una nuova minaccia spirituale sorse con la creazione di una galassia di “santi” che erano ritenuti avere un’influenza speciale presso i tribunali divini, e che perciò, se ci si appellava efficacemente a loro, avrebbero potuto intercedere a favore degli uomini davanti agli Dei.
(2075.1) 195:4.3 Benché impotente ad arrestare gli incombenti secoli bui, il Cristianesimo era sufficientemente socializzato e paganizzato da essere meglio preparato a sopravvivere a questo lungo periodo di oscurantismo morale e di stagnazione spirituale. Ed esso persisté durante la lunga notte della civiltà occidentale ed era ancora funzionante come influenza morale nel mondo all’aurora del Rinascimento. La riabilitazione del Cristianesimo, dopo che furono passati i secoli bui, ebbe come risultato di portare all’esistenza numerose sette d’insegnamento cristiano, credenze adatte a speciali tipi intellettuali, emotivi e spirituali della personalità umana. E molti di questi gruppi cristiani speciali, o famiglie religiose, persistono ancora al momento di effettuare questa presentazione.
(2075.2) 195:4.4 La storia mostra che il Cristianesimo è stato originato dalla trasformazione involontaria della religione di Gesù in una religione a proposito di Gesù. La storia mostra anche che esso ha subito l’ellenizzazione, la paganizzazione, la secolarizzazione, l’istituzionalizzazione, il deterioramento intellettuale, la decadenza spirituale, l’ibernazione morale, la minaccia di estinzione, la rigenerazione successiva, la frammentazione e la più recente riabilitazione relativa. Un tale curriculum è indicativo di un’innata vitalità e del possesso di vaste risorse di recupero. E questo stesso Cristianesimo è ora presente nel mondo civilizzato dei popoli occidentali ed è posto di fronte ad una lotta per l’esistenza che è ancora più minacciosa di quelle crisi memorabili che hanno caratterizzato le sue passate battaglie per il predominio.
(2075.3) 195:4.5 La religione è ora confrontata dalla sfida di una nuova era di menti scientifiche e di tendenze materialistiche. In questa lotta gigantesca tra il secolare e lo spirituale, la religione di Gesù alla fine trionferà.
(2075.4) 195:5.1 Il ventesimo secolo ha portato al Cristianesimo e a tutte le altre religioni nuovi problemi da risolvere. Più una civiltà si eleva, più s’impone il dovere di “cercare in primo luogo le realtà del cielo” in tutti gli sforzi dell’uomo per stabilizzare la società e facilitare la soluzione dei suoi problemi materiali.
(2075.5) 195:5.2 La verità diviene spesso disorientatrice e persino ingannevole quando è smembrata, frazionata, isolata e troppo analizzata. La verità vivente istruisce correttamente il cercatore di verità solo quando è abbracciata nella sua totalità e come una realtà spirituale vivente, non come un fatto della scienza materiale o come un’ispirazione dell’arte intermedia.
(2075.6) 195:5.3 La religione è la rivelazione all’uomo del suo destino divino ed eterno. La religione è un’esperienza puramente personale e spirituale, e deve perpetuamente essere distinta dalle altre forme superiori di pensiero umano, quali:
(2075.7) 195:5.4 1. L’atteggiamento logico dell’uomo nei confronti delle cose della realtà materiale.
(2075.8) 195:5.5 2. L’apprezzamento estetico dell’uomo della bellezza in contrasto con la bruttezza.
(2075.9) 195:5.6 3. Il riconoscimento etico dell’uomo degli obblighi sociali e del dovere politico.
(2075.10) 195:5.7 4. Anche il senso della moralità umana non è, in se stesso e da se stesso, religioso.
(2075.11) 195:5.8 La religione è destinata a trovare nell’universo quei valori che fanno appello alla fede, alla fiducia e all’assicurazione; la religione culmina nell’adorazione. La religione scopre per l’anima quei valori supremi che sono in contrasto con i valori relativi scoperti dalla mente. Tale percezione superumana si può ottenere soltanto attraverso un’esperienza religiosa autentica.
(2075.12) 195:5.9 Non è più possibile conservare un sistema sociale durevole senza una moralità fondata su realtà spirituali di quanto si possa mantenere un sistema solare senza gravità.
(2076.1) 195:5.10 Non tentate di soddisfare la curiosità o di appagare ogni desiderio latente d’avventura che sorge nell’anima in una sola breve vita nella carne. Siate pazienti! Non cedete alla tentazione di buttarvi sfrenatamente in avventure meschine e sordide. Imbrigliate le vostre energie e tenete a freno le vostre passioni; siate calmi mentre attendete lo svolgersi maestoso di una carriera senza fine di avventure progressive e di scoperte elettrizzanti.
(2076.2) 195:5.11 Nella confusione sull’origine dell’uomo, non perdete di vista il suo destino eterno. Non dimenticate che Gesù amava anche i bambini e che dimostrò per sempre il grande valore della personalità umana.
(2076.3) 195:5.12 Osservando il mondo, ricordatevi che le macchie oscure del male che voi vedete risaltano su uno sfondo chiaro di bene ultimo. Non vedete semplicemente delle macchie bianche di bene che risaltano miseramente su uno sfondo nero di male.
(2076.4) 195:5.13 Dal momento che c’è così tanta buona verità da rendere pubblica e da proclamare, perché gli uomini dovrebbero prestare tanta attenzione al male nel mondo solo perché esso appare essere un fatto? Le bellezze dei valori spirituali della verità sono più piacevoli ed esaltanti del fenomeno del male.
(2076.5) 195:5.14 Nella religione Gesù propugnò e seguì il metodo dell’esperienza, così come la scienza moderna persegue la tecnica sperimentale. Noi troviamo Dio mediante la guida dell’intuizione spirituale, ma ci accostiamo a questa intuizione dell’anima mediante l’amore del bello, la ricerca della verità, la fedeltà al dovere e l’adorazione della bontà divina. Ma tra tutti questi valori, l’amore è la vera guida all’intuizione reale.
(2076.6) 195:6.1 Gli scienziati hanno involontariamente precipitato l’umanità in un panico materialistico; essi hanno scatenato una corsa insensata alla banca morale delle ere, ma questa banca dell’esperienza umana dispone di vaste risorse spirituali; essa può far fronte alle richieste che gli vengono presentate. Soltanto gli uomini irriflessivi vengono presi dal panico riguardo all’attivo spirituale della razza umana. Quando il panico materialista-laico sarà passato, la religione di Gesù non avrà fatto bancarotta. La banca spirituale del regno dei cieli pagherà la fede, la speranza e la sicurezza morale a tutti coloro che ricorreranno ad essa “in Suo nome”.
(2076.7) 195:6.2 Quale che sia l’apparente conflitto tra il materialismo e gli insegnamenti di Gesù, potete star certi che nelle ere future gli insegnamenti del Maestro trionferanno pienamente. In realtà, una vera religione non può venire coinvolta in alcuna controversia con la scienza; essa non si occupa in alcun modo delle cose materiali. La religione è semplicemente indifferente verso la scienza, ma è favorevole ad essa, mentre s’interessa supremamente dello scienziato.
(2076.8) 195:6.3 La ricerca della mera conoscenza, non accompagnata dall’interpretazione della saggezza e dall’intuizione spirituale dell’esperienza religiosa, porta alla fine al pessimismo e alla disperazione umana. Una conoscenza limitata è veramente sconcertante.
(2076.9) 195:6.4 Al tempo del presente scritto, il peggio dell’era materialista è passato; sta già spuntando il giorno di una migliore comprensione. Le menti superiori del mondo scientifico non sono più completamente materialiste nella loro filosofia, ma il popolo comune propende ancora verso quella direzione a seguito degli insegnamenti precedenti. Ma quest’epoca di realismo fisico è solo un episodio transitorio nella vita dell’uomo sulla terra. La scienza moderna ha lasciato intatta la vera religione — gli insegnamenti di Gesù tradotti nella vita dei suoi credenti. Tutto ciò che la scienza ha fatto è di aver distrutto le illusioni infantili delle false interpretazioni della vita.
(2077.1) 195:6.5 Per quanto concerne la vita dell’uomo sulla terra, la scienza è un’esperienza quantitativa, la religione è un’esperienza qualitativa. La scienza si occupa dei fenomeni; la religione delle origini, dei valori e degli scopi. Indicare delle cause come spiegazione dei fenomeni fisici è confessare l’ignoranza degli scopi ultimi e alla fine porta solo lo scienziato a ritornare alla prima grande causa — il Padre Universale del Paradiso.
(2077.2) 195:6.6 Il passaggio violento da un’era di miracoli ad un’era di macchine si è rivelato del tutto sconvolgente per l’uomo. L’ingegnosità e la destrezza delle false filosofie del meccanicismo smentiscono le loro stesse tesi meccanicistiche. L’agilità fatalistica della mente di un materialista contraddice per sempre le sue affermazioni che l’universo è un fenomeno energetico cieco e senza scopo.
(2077.3) 195:6.7 Il naturalismo meccanicistico di certi uomini ritenuti istruiti ed il secolarismo insensato dell’uomo della strada si occupano entrambi esclusivamente di cose; essi sono privi di tutti i veri valori, sanzioni e soddisfazioni di natura spirituale, così come sono privi di fede, di speranza e di assicurazioni eterne. Uno dei grandi problemi della vita moderna è che l’uomo pensa di essere troppo occupato per trovare il tempo per la meditazione spirituale e la devozione religiosa.
(2077.4) 195:6.8 Il materialismo riduce l’uomo ad un automa senz’anima e lo rende semplicemente un simbolo aritmetico che svolge un ruolo passivo nella formula matematica di un universo senza romanticismo e meccanicistico. Ma da dove viene tutto questo vasto universo di matematica senza un Matematico Maestro? La scienza può dissertare sulla conservazione della materia, ma la religione convalida la conservazione delle anime degli uomini — essa concerne la loro esperienza con delle realtà spirituali e dei valori eterni.
(2077.5) 195:6.9 Il sociologo materialista contemporaneo osserva una comunità, fa un rapporto su di essa e lascia le persone come le ha trovate. Millenovecento anni fa, dei Galilei senza istruzione osservarono Gesù che donava la sua vita come contributo spirituale all’esperienza interiore dell’uomo e poi uscirono e misero sottosopra tutto l’Impero Romano.
(2077.6) 195:6.10 Ma i dirigenti religiosi commettono un grave errore quando tentano di chiamare l’uomo moderno alla battaglia spirituale con lo squillo delle trombe del Medio Evo. La religione deve dotarsi di slogan nuovi ed aggiornati. Né la democrazia né nessun’altra panacea politica prenderanno il posto del progresso spirituale. Le false religioni possono rappresentare un’evasione dalla realtà, ma Gesù nel suo vangelo ha presentato all’uomo mortale il vero ingresso ad una realtà eterna di progressione spirituale.
(2077.7) 195:6.11 Dire che la mente “emerse” dalla materia non spiega nulla. Se l’universo fosse semplicemente un meccanismo e la mente fosse non staccata dalla materia, non avremmo mai due interpretazioni differenti di un qualunque fenomeno osservato. I concetti di verità, di bellezza e di bontà non sono inerenti né alla fisica né alla chimica. Una macchina non può conoscere, e molto meno conoscere la verità, aver fame di rettitudine ed amare la bontà.
(2077.8) 195:6.12 La scienza può essere fisica, ma la mente dello scienziato che discerne la verità è allo stesso tempo supermateriale. La materia non conosce la verità, né può amare la misericordia o godere delle realtà spirituali. Le convinzioni morali basate sull’illuminazione spirituale e radicate nell’esperienza umana sono altrettanto reali e certe quanto le deduzioni matematiche basate su osservazioni fisiche, ma su un livello diverso e più elevato.
(2077.9) 195:6.13 Se gli uomini fossero soltanto delle macchine, reagirebbero più o meno uniformemente ad un universo materiale. L’individualità non esisterebbe, ed ancor meno la personalità.
(2077.10) 195:6.14 Il fatto del meccanismo assoluto del Paradiso al centro dell’universo degli universi, in presenza della volizione incondizionata della Seconda Sorgente e Centro, rende per sempre certo che le cause determinanti non sono la legge esclusiva del cosmo. Il materialismo c’è, ma non è esclusivo; il meccanicismo c’è, ma non è senza riserve; il determinismo c’è, ma non è solo.
(2078.1) 195:6.15 L’universo finito della materia diverrebbe alla fine uniforme e deterministico se non fosse per la presenza congiunta della mente e dello spirito. L’influenza della mente cosmica inietta costantemente spontaneità anche nei mondi materiali.
(2078.2) 195:6.16 La libertà o l’iniziativa in un qualunque regno dell’esistenza sono direttamente proporzionali al grado d’influenza spirituale e di controllo della mente cosmica; cioè, nell’esperienza umana, al grado in cui si compie effettivamente la “volontà del Padre”. E così, una volta che siete partiti alla ricerca di Dio, quella è la prova conclusiva che Dio ha già trovato voi.
(2078.3) 195:6.17 La ricerca sincera della bontà, della bellezza e della verità conduce a Dio. Ed ogni scoperta scientifica dimostra l’esistenza sia della libertà che dell’uniformità nell’universo. L’inventore era libero di fare la scoperta. La cosa scoperta è reale ed evidentemente uniforme, altrimenti non avrebbe potuto essere conosciuta come una cosa.
(2078.4) 195:7.1 Quanto è insensato per l’uomo di mente materiale permettere a delle teorie vulnerabili come quelle di un universo meccanicistico di privarlo delle vaste risorse spirituali dell’esperienza personale della vera religione. I fatti non sono mai in contrasto con la vera fede spirituale, le teorie possono esserlo. Sarebbe meglio che la scienza si dedicasse a distruggere la superstizione piuttosto che tentare di sconfiggere la fede religiosa — la credenza umana nelle realtà spirituali e nei valori divini.
(2078.5) 195:7.2 La scienza dovrebbe fare materialmente per l’uomo ciò che la religione fa spiritualmente per lui: estendere l’orizzonte della vita ed ampliare la sua personalità. La vera scienza non può avere alcun conflitto durevole con la vera religione. Il “metodo scientifico” è semplicemente un’unità di misura intellettuale con cui misurare le avventure materiali ed i compimenti fisici. Ma essendo materiale e totalmente intellettuale, esso è completamente inutile nella valutazione delle realtà spirituali e delle esperienze religiose.
(2078.6) 195:7.3 L’incoerenza del meccanicista moderno è: se questo fosse semplicemente un universo materiale e l’uomo soltanto una macchina, tale uomo sarebbe completamente incapace di riconoscere se stesso come una tale macchina, e similmente una tale macchina-uomo sarebbe totalmente incosciente del fatto dell’esistenza di un tale universo materiale. Lo sgomento materialistico e la disperazione di una scienza meccanicista non sono riusciti a riconoscere il fatto della mente abitata dallo spirito dello scienziato, la cui percezione supermateriale stessa formula questi concetti errati e contraddittori di un universo materialistico.
(2078.7) 195:7.4 I valori paradisiaci di eternità e d’infinità, di verità, di bellezza e di bontà, sono celati nei fatti dei fenomeni degli universi del tempo e dello spazio. Ma ci vuole l’occhio della fede di un mortale nato dallo spirito per scoprire e discernere questi valori spirituali.
(2078.8) 195:7.5 Le realtà ed i valori del progresso spirituale non sono una “proiezione psicologica” — un semplice sogno ad occhi aperti glorificato della mente materiale. Queste cose sono le previsioni spirituali dell’Aggiustatore interiore, lo spirito di Dio che vive nella mente dell’uomo. Non permettete a coloro che si dilettano con le scoperte a mala pena intraviste della “relatività” di turbare i vostri concetti dell’eternità e dell’infinità di Dio. Ed in ogni vostra sollecitazione concernente la necessità di esprimere il vostro sé non commettete l’errore di omettere l’espressione dell’Aggiustatore, la manifestazione del vostro sé reale e migliore.
(2079.1) 195:7.6 Se questo fosse soltanto un universo materiale, l’uomo materiale non sarebbe mai capace di giungere al concetto del carattere meccanicistico di una tale esistenza esclusivamente materiale. Questo stesso concetto meccanicistico dell’universo è in se stesso un fenomeno non materiale della mente, e ogni mente è di origine non materiale, indipendentemente dal fatto che possa sembrare essere completamente condizionata materialmente e controllata meccanicamente.
(2079.2) 195:7.7 Il meccanismo mentale parzialmente evoluto dell’uomo mortale non è sufficientemente dotato di coerenza e di saggezza. L’orgoglio dell’uomo supera spesso la sua ragione ed elude la sua logica.
(2079.3) 195:7.8 Il pessimismo stesso del materialista più pessimista è, in se stesso e per se stesso, una prova sufficiente che l’universo del pessimista non è totalmente materiale. L’ottimismo ed il pessimismo sono entrambi delle reazioni concettuali in una mente cosciente di valori come pure di fatti. Se l’universo fosse veramente ciò che il materialista ritiene che sia, l’uomo in quanto macchina umana sarebbe allora sprovvisto di ogni capacità di riconoscere coscientemente questo fatto stesso. Senza la coscienza del concetto di valori nella mente nata dallo spirito, il fatto del materialismo universale e del fenomeno meccanicistico del funzionamento dell’universo sarebbe totalmente non conosciuto dall’uomo. Una macchina non può essere cosciente della natura o del valore di un’altra macchina.
(2079.4) 195:7.9 Una filosofia meccanicista della vita e dell’universo non può essere scientifica, perché la scienza riconosce e tratta soltanto degli oggetti materiali e dei fatti. La filosofia è inevitabilmente superscientifica. L’uomo è un fatto materiale della natura, ma la sua vita è un fenomeno che trascende i livelli materiali della natura, nel senso che rivela gli attributi di controllo della mente e le qualità creative dello spirito.
(2079.5) 195:7.10 Lo sforzo sincero dell’uomo di divenire un meccanicista rappresenta il fenomeno tragico di quel futile tentativo dell’uomo di commettere un suicidio intellettuale e morale. Ma egli non ci riesce.
(2079.6) 195:7.11 Se l’universo fosse soltanto materiale e l’uomo soltanto una macchina, non ci sarebbe alcuna scienza a spingere lo scienziato a postulare questa meccanizzazione dell’universo. Le macchine non possono misurare, classificare, né valutare se stesse. Un tale tipo di lavoro scientifico potrebbe essere eseguito soltanto da un’entità con status di supermacchina.
(2079.7) 195:7.12 Se la realtà dell’universo è soltanto un’immensa macchina, allora l’uomo deve essere esterno all’universo e separato da esso per riconoscere un tale fatto e divenire cosciente della percezione di una tale valutazione.
(2079.8) 195:7.13 Se l’uomo è soltanto una macchina, per mezzo di quale tecnica quest’uomo giunge a credere o a pretendere di sapere che egli è solo una macchina? L’esperienza di valutare coscientemente se stessi non è mai un attributo di una semplice macchina. Un meccanicista dichiarato e cosciente di sé è la risposta migliore possibile al meccanicismo. Se il materialismo fosse un fatto, non ci sarebbe alcun meccanicista cosciente di sé. È vero anche che si deve essere una persona morale prima di poter compiere degli atti immorali.
(2079.9) 195:7.14 La pretesa stessa di materialismo implica una coscienza supermateriale della mente che pretende di affermare tali dogmi. Un meccanismo può deteriorarsi, ma non può mai progredire. Le macchine non pensano, né creano, né sognano, né aspirano, né idealizzano, né hanno fame di verità o sete di rettitudine. Esse non motivano la loro vita con la passione di servire altre macchine e di scegliere come scopo della loro progressione eterna il compito sublime di trovare Dio e di sforzarsi di essere simili a lui. Le macchine non sono mai intellettuali, emotive, estetiche, etiche, morali, o spirituali.
(2079.10) 195:7.15 L’arte prova che l’uomo non è meccanicista, ma non prova che egli sia spiritualmente immortale. L’arte è la morontia mortale, il campo intermedio tra l’uomo materiale e l’uomo spirituale. La poesia è un tentativo di fuggire dalle realtà materiali verso valori spirituali.
(2080.1) 195:7.16 In una civiltà elevata l’arte umanizza la scienza, mentre a sua volta essa è spiritualizzata dalla vera religione — la percezione dei valori spirituali ed eterni. L’arte rappresenta la valutazione umana della realtà del tempo-spazio. La religione è l’abbraccio divino dei valori cosmici ed implica la progressione eterna nell’ascensione e nell’espansione spirituali. L’arte del tempo è dannosa soltanto quando diviene cieca ai criteri spirituali degli archetipi divini che l’eternità riflette come ombre della realtà del tempo. L’arte vera è la manipolazione efficace delle cose materiali della vita; la religione è la trasformazione nobilitante dei fatti materiali della vita, e non cessa mai nella sua valutazione spirituale dell’arte.
(2080.2) 195:7.17 Quant’è sciocco presumere che un automa possa concepire una filosofia dell’automatismo, e quanto è ridicolo che esso possa presumere di formarsi un tale concetto di altri automi simili!
(2080.3) 195:7.18 Ogni interpretazione scientifica dell’universo materiale è senza valore se non comporta il debito riconoscimento dello scienziato. Nessun apprezzamento dell’arte è autentico se non accorda il riconoscimento dell’artista. Nessuna valutazione della morale è utile se non include il moralista. Nessun riconoscimento della filosofia è edificante se ignora il filosofo, e la religione non può esistere senza l’esperienza reale della persona religiosa che, grazie a questa stessa esperienza ed in essa, cerca di trovare Dio e di conoscerlo. Similmente l’universo degli universi è privo di significato al di fuori dell’IO SONO, il Dio infinito che l’ha creato e che incessantemente lo amministra.
(2080.4) 195:7.19 I meccanicisti — gli umanisti — tendono a lasciarsi trasportare dalle correnti materiali. Gli idealisti e gli spiritualisti osano impiegare le loro forze con intelligenza e vigore per modificare il corso, in apparenza puramente materiale, delle correnti d’energia.
(2080.5) 195:7.20 La scienza vive grazie ai matematici della mente; la musica esprime la cadenza delle emozioni. La religione è il ritmo spirituale dell’anima in armonia temporale-spaziale con le modulazioni melodiche superiori ed eterne dell’Infinità. L’esperienza religiosa è qualcosa di veramente supermatematico nella vita umana.
(2080.6) 195:7.21 Nel linguaggio un alfabeto rappresenta il meccanismo del materialismo, mentre le parole che esprimono il significato di mille pensieri, grandi idee e nobili ideali — d’amore e d’odio, di codardia e di coraggio — rappresentano le imprese della mente nell’ambito definito sia dalla legge materiale che dalla legge spirituale, guidati dall’affermazione della volontà della personalità e limitati dalle dotazioni proprie della situazione.
(2080.7) 195:7.22 L’universo non è simile alle leggi, ai meccanismi e alle costanti che lo scienziato scopre e che giunge a considerare come scienza, ma assomiglia piuttosto allo scienziato curioso, che pensa, che sceglie, che crea, che combina e che discrimina, il quale osserva così i fenomeni dell’universo e classifica i fatti matematici insiti nelle fasi meccaniche del lato materiale della creazione. L’universo non assomiglia nemmeno all’arte dell’artista, ma assomiglia piuttosto all’artista che lavora, sogna, aspira e progredisce, il quale cerca di trascendere il mondo delle cose materiali nello sforzo di raggiungere una meta spirituale.
(2080.8) 195:7.23 Lo scienziato, non la scienza, percepisce la realtà di un universo d’energia e di materia in evoluzione ed in progresso. L’artista, non l’arte, dimostra l’esistenza del mondo morontiale transitorio interposto tra l’esistenza materiale e la libertà spirituale. La persona religiosa, non la religione, prova l’esistenza delle realtà spirituali e dei valori divini che s’incontreranno nel progresso dell’eternità.
(2081.1) 195:8.1 Ma anche dopo che il materialismo ed il meccanicismo saranno stati più o meno vinti, l’influenza devastante del laicismo del ventesimo secolo danneggerà ancora l’esperienza spirituale di milioni di anime fiduciose.
(2081.2) 195:8.2 Il laicismo moderno è stato nutrito da due influenze mondiali. Il padre del laicismo fu l’atteggiamento gretto ed empio della cosiddetta scienza del diciannovesimo e del ventesimo secolo — la scienza atea. La madre del laicismo moderno fu la Chiesa cristiana totalitaria del Medio Evo. Il laicismo ebbe il suo inizio come protesta crescente contro la dominazione quasi totale della civiltà occidentale da parte della Chiesa cristiana istituzionalizzata.
(2081.3) 195:8.3 Al momento di questa rivelazione, il clima intellettuale e filosofico prevalente sia nella vita europea che in quella americana è decisamente laico — umanistico. Per trecento anni il pensiero occidentale è stato progressivamente laicizzato. La religione è divenuta sempre più un’influenza nominale, un esercizio largamente ritualistico. Per la maggior parte i cristiani professati della civiltà occidentale sono, senza saperlo, degli effettivi laicisti.
(2081.4) 195:8.4 C’è voluto un grande potere, una potente influenza, per liberare il pensiero e la vita dei popoli occidentali dalla stretta inaridente di una dominazione ecclesiastica totalitaria. Il laicismo ha rotto i ceppi del controllo della Chiesa ed ora minaccia a sua volta d’instaurare un nuovo tipo di dominazione atea nel cuore e nella mente dell’uomo moderno. Lo Stato politico tirannico e dittatoriale è il discendente diretto del materialismo scientifico e del laicismo filosofico. Non appena il laicismo libera l’uomo dalla dominazione della Chiesa istituzionalizzata, lo cede come schiavo allo Stato totalitario. Il laicismo libera l’uomo dalla schiavitù ecclesiastica soltanto per tradirlo consegnandolo alla tirannia della schiavitù politica ed economica.
(2081.5) 195:8.5 Il materialismo nega Dio, il laicismo semplicemente lo ignora; questo almeno fu il suo atteggiamento iniziale. Più recentemente il laicismo ha assunto un atteggiamento più militante, pretendendo di prendere il posto della religione alla cui schiavitù totalitaria aveva un tempo opposto resistenza. Il laicismo del ventesimo secolo tende ad affermare che l’uomo non ha bisogno di Dio. Ma attenzione! Questa filosofia atea della società umana porterà soltanto a tumulti, animosità, infelicità, guerre e disastri su scala mondiale.
(2081.6) 195:8.6 Il laicismo non può mai portare la pace all’umanità. Niente può prendere il posto di Dio nella società umana. Ma state attenti! Non affrettatevi ad abbandonare i benefici della rivolta laica contro il totalitarismo ecclesiastico. La civiltà occidentale gode oggi di molte libertà e soddisfazioni che provengono dalla rivolta laica. Il grande errore del laicismo fu il seguente: ribellandosi al controllo quasi totale della vita da parte dell’autorità religiosa, e dopo aver conseguito la liberazione da questa tirannia ecclesiastica, i laici hanno proseguito istituendo una rivolta contro Dio stesso, talvolta tacitamente e talvolta apertamente.
(2081.7) 195:8.7 È alla rivolta laica che si deve la stupefacente creatività dell’industria americana ed il progresso materiale senza precedenti della civiltà occidentale. E per il fatto che la rivolta laica è andata troppo lontano ed ha perso di vista Dio e la vera religione, ne è seguita anche una messe imprevista di guerre mondiali e di disordini internazionali.
(2081.8) 195:8.8 Non è necessario sacrificare la fede in Dio per godere i benefici della rivolta laica moderna: tolleranza, servizio sociale, governo democratico e libertà civili. Non era necessario che i laici si opponessero alla vera religione per promuovere la scienza e far progredire l’istruzione.
(2082.1) 195:8.9 Ma il laicismo non è il solo autore di tutte queste conquiste recenti nel miglioramento della vita. Dietro le conquiste del ventesimo secolo non c’è solo la scienza ed il laicismo, ma anche l’azione spirituale non palese e non conosciuta della vita e degli insegnamenti di Gesù di Nazaret.
(2082.2) 195:8.10 Senza Dio, senza religione, il laicismo scientifico non può mai coordinare le sue forze, armonizzare le sue divergenze e rivalità d’interessi, di razze e di nazionalismi. Questa società umana laicista, nonostante le sue incomparabili realizzazioni materiali, si sta lentamente disintegrando. La principale forza coesiva che resiste a questa disintegrazione di antagonismi è il nazionalismo. Ed il nazionalismo è il principale ostacolo alla pace mondiale.
(2082.3) 195:8.11 La debolezza insita nel laicismo è che esso scarta l’etica e la religione per la politica ed il potere. È semplicemente impossibile stabilire la fraternità degli uomini ignorando o negando la paternità di Dio.
(2082.4) 195:8.12 L’ottimismo secolare sociale e politico è un’illusione. Senza Dio, né la liberazione e la libertà, né la proprietà e la ricchezza porteranno alla pace.
(2082.5) 195:8.13 La laicizzazione completa della scienza, dell’educazione, dell’industria e della società può portare solo al disastro. Durante il primo terzo del ventesimo secolo gli Urantiani hanno ucciso più esseri umani di quanti ne furono uccisi a partire dalla dispensazione cristiana fino a quel momento. E questo è soltanto l’inizio della spaventosa messe del materialismo e del laicismo; distruzioni ancora più terribili stanno per giungere.
(2082.6) 195:9.1 Non dimenticate il valore della vostra eredità spirituale, il fiume di verità che scorre attraverso i secoli, sino ai tempi sterili di un’epoca materialista e secolare. In tutti i vostri sforzi meritevoli per liberarvi dei credo superstiziosi delle epoche passate, accertatevi di aggrapparvi saldamente alla verità eterna. Ma siate pazienti! Quando l’attuale rivolta contro la superstizione sarà finita, le verità del vangelo di Gesù persisteranno gloriosamente per illuminare una via nuova e migliore.
(2082.7) 195:9.2 Ma il Cristianesimo paganizzato e socializzato ha bisogno di un nuovo contatto con gli insegnamenti di Gesù non compromessi; esso languisce per la mancanza di una visione nuova della vita del Maestro sulla terra. Una rivelazione nuova e più completa della religione di Gesù è destinata a conquistare un impero di laicismo materialista e a rovesciare una corrente mondiale di naturalismo meccanicista. Urantia sta ora fremendo sul ciglio di una delle sue ere più stupefacenti ed affascinanti di riaggiustamento sociale, di stimolo morale e d’illuminazione spirituale.
(2082.8) 195:9.3 Gli insegnamenti di Gesù, anche se grandemente modificati, sono sopravvissuti ai culti dei misteri della loro epoca natale, all’ignoranza e alla superstizione dei secoli bui, ed ora stanno lentamente trionfando sul materialismo, sul meccanicismo e sul secolarismo del ventesimo secolo. E questi tempi di grandi prove e di sconfitte minacciose sono sempre tempi di grande rivelazione.
(2082.9) 195:9.4 La religione ha bisogno di nuovi dirigenti, di uomini e di donne spirituali che oseranno dipendere unicamente da Gesù e dai suoi incomparabili insegnamenti. Se il Cristianesimo persiste nel trascurare la propria missione spirituale per continuare ad occuparsi di problemi sociali e materiali, la rinascita spirituale dovrà attendere la venuta di questi nuovi insegnanti della religione di Gesù che si consacreranno esclusivamente alla rigenerazione spirituale degli uomini. Ed allora queste anime nate dallo spirito forniranno rapidamente la guida e l’ispirazione necessarie alla riorganizzazione sociale, morale, economica e politica del mondo.
(2083.1) 195:9.5 L’era moderna rifiuterà di accettare una religione che è incompatibile con i fatti e non armonizzata con i concetti più elevati della verità, della bellezza e della bontà. Sta scoccando l’ora di una riscoperta dei fondamenti veri ed originali del Cristianesimo oggi deformato e pieno di compromessi — la vita e gli insegnamenti reali di Gesù.
(2083.2) 195:9.6 L’uomo primitivo viveva una vita di asservimento superstizioso alla paura religiosa. Gli uomini civilizzati moderni tremano al pensiero di cadere sotto il dominio di forti convinzioni religiose. L’uomo riflessivo ha sempre temuto di essere legato da una religione. Quando una religione forte ed attiva minaccia di dominarlo, egli tenta invariabilmente di razionalizzarla, di farne una tradizione, d’istituzionalizzarla, sperando così di poterla controllare. Per mezzo di tale processo, anche una religione rivelata diviene stabilita dall’uomo e dominata dall’uomo. Gli intelligenti uomini e donne moderni rifuggono la religione di Gesù per i loro timori di ciò che essa farà a loro — e di loro. E tutti questi timori sono molto fondati. In verità, la religione di Gesù domina e trasforma i suoi credenti, esige che gli uomini consacrino la loro vita a cercare la conoscenza della volontà del Padre che è nei cieli e richiede che le energie della vita siano consacrate al servizio disinteressato della fratellanza degli uomini.
(2083.3) 195:9.7 Gli uomini e le donne egoiste semplicemente non vogliono pagare un tale prezzo nemmeno per il più grande tesoro spirituale mai offerto all’uomo mortale. Solo quando l’uomo sarà divenuto sufficientemente disingannato dalle tristi delusioni che accompagnano la ricerca insensata e ingannevole dell’egoismo, e che seguono alla scoperta della sterilità della religione formalizzata, sarà disposto a rivolgersi con tutto il cuore al vangelo del regno, alla religione di Gesù di Nazaret.
(2083.4) 195:9.8 Il mondo ha bisogno di una religione più di prima mano. Anche il Cristianesimo — la migliore delle religioni del ventesimo secolo — non è soltanto una religione a proposito di Gesù, ma è largamente una religione che gli uomini sperimentano di seconda mano. Essi prendono la loro religione interamente come è trasmessa dai loro insegnanti religiosi accettati. Quale risveglio sperimenterebbe il mondo se solo potesse vedere Gesù come è realmente vissuto sulla terra e conoscere di prima mano i suoi insegnamenti che donano la vita! Le parole che descrivono belle cose non possono emozionare quanto la vista di queste cose, né le parole di un credo possono ispirare l’anima degli uomini quanto l’esperienza di conoscere la presenza di Dio. Ma la fede in attesa terrà sempre aperta la porta della speranza dell’anima umana per l’entrata delle realtà spirituali eterne dei valori divini dei mondi dell’aldilà.
(2083.5) 195:9.9 Il Cristianesimo ha osato abbassare i suoi ideali davanti alla sfida della cupidigia umana, della follia della guerra e della sete di potere. Ma la religione di Gesù permane come un appello spirituale immacolato e trascendente, rivolto a quanto c’è di meglio nell’uomo per elevarlo al di sopra di tutte queste eredità dell’evoluzione animale e per raggiungere, mediante la grazia, le altezze morali del vero destino umano.
(2083.6) 195:9.10 Il Cristianesimo è minacciato di morte lenta dal formalismo, dall’eccesso di organizzazione, dall’intellettualismo e da altre tendenze non spirituali. La Chiesa cristiana moderna non è una fraternità di credenti dinamici come quella che Gesù aveva incaricato continuamente di effettuare la trasformazione spirituale delle generazioni successive dell’umanità.
(2083.7) 195:9.11 Il cosiddetto Cristianesimo è divenuto un movimento sociale e culturale come pure una credenza ed una pratica religiosa. La corrente del Cristianesimo moderno drena molto dell’antico acquitrino pagano e molto della palude barbarica; molti vecchi spartiacque culturali confluiscono in questa corrente culturale odierna, come pure degli altopiani della Galilea che sono considerati essere la sua sorgente esclusiva.
(2084.1) 195:10.1 Il Cristianesimo ha veramente reso un grande servizio a questo mondo, ma ciò che ora è più necessario è Gesù. Il mondo ha bisogno di vedere Gesù vivere di nuovo sulla terra nell’esperienza dei mortali nati dallo spirito che rivelano effettivamente il Maestro a tutti gli uomini. È futile parlare di ritorno al Cristianesimo primitivo; si deve andare avanti dal punto in cui ci si trova. La cultura moderna deve essere spiritualmente battezzata con una nuova rivelazione della vita di Gesù ed illuminata da una nuova comprensione del suo vangelo di salvezza eterna. E quando Gesù sarà elevato in questo modo, attirerà tutti gli uomini a sé. I discepoli di Gesù dovrebbero essere, più che dei conquistatori, delle sorgenti traboccanti d’ispirazione e di vita elevata per tutti gli uomini. La religione è soltanto un umanesimo elevato fino a che non è resa divina dalla scoperta della realtà della presenza di Dio nell’esperienza personale.
(2084.2) 195:10.2 La bellezza e la sublimità, l’umanità e la divinità, la semplicità e l’unicità della vita di Gesù sulla terra presentano un’immagine così straordinaria ed attraente della salvezza dell’uomo e della rivelazione di Dio che i teologi ed i filosofi di ogni tempo dovrebbero essere efficacemente impediti dall’arrischiarsi a formulare dei credo o a creare dei sistemi teologici di schiavitù spirituale partendo da una tale effusione trascendentale di Dio in forma umana. In Gesù l’universo ha prodotto un uomo mortale in cui lo spirito d’amore ha trionfato sugli ostacoli materiali del tempo ed ha superato il fatto della sua origine fisica.
(2084.3) 195:10.3 Ricordatevi sempre — Dio e l’uomo hanno bisogno l’uno dell’altro. Essi sono reciprocamente necessari per il raggiungimento pieno e finale dell’esperienza della personalità eterna nel destino divino della finalità dell’universo.
(2084.4) 195:10.4 “Il regno di Dio è dentro di voi” è stata probabilmente la più grande asserzione che Gesù abbia mai fatto, dopo la dichiarazione che suo Padre è uno spirito vivente ed amorevole.
(2084.5) 195:10.5 Nel conquistare delle anime al Maestro, non è il primo miglio di costrizione, di dovere o di convenzione che trasformerà l’uomo ed il suo mondo, ma piuttosto il secondo miglio di servizio spontaneo e di devozione amante della libertà, che denota il tendere la mano alla maniera di Gesù per capire suo fratello con amore e condurlo, sotto la guida spirituale, verso la meta superiore e divina dell’esistenza mortale. Anche oggi il Cristianesimo percorre di buon grado il primo miglio, ma l’umanità langue ed avanza a tentoni nelle tenebre morali perché vi sono così pochi percorritori sinceri del secondo miglio — troppo pochi professati seguaci di Gesù che vivono ed amano veramente come egli ha insegnato ai suoi discepoli a vivere, ad amare e a servire.
(2084.6) 195:10.6 La chiamata all’avventura di costruire una società umana nuova e trasformata per mezzo della rinascita spirituale della fraternità del regno di Gesù, dovrebbe stimolare tutti coloro che credono in lui quanto gli uomini non lo sono mai stati dall’epoca in cui andavano in giro sulla terra come suoi compagni nella carne.
(2084.7) 195:10.7 Nessun sistema sociale o regime politico che nega la realtà di Dio può contribuire in modo costruttivo e duraturo all’avanzamento della civiltà umana. Ma il Cristianesimo, qual è oggi suddiviso e laicizzato, presenta il più grande singolo ostacolo al suo ulteriore avanzamento; ciò è specialmente vero per quanto concerne l’Oriente.
(2084.8) 195:10.8 Il clericalismo è ora e per sempre incompatibile con la fede vivente, con lo spirito crescente e con l’esperienza di prima mano dei compagni di fede di Gesù nella fratellanza dell’uomo nell’associazione spirituale del regno dei cieli. Il desiderio lodevole di preservare le tradizioni dei conseguimenti passati porta spesso a difendere sistemi di adorazione superati. Il desiderio ben intenzionato di mantenere sistemi antichi di pensiero impedisce efficacemente di favorire modi e metodi nuovi ed appropriati destinati a soddisfare gli ardenti desideri spirituali della mente in sviluppo ed in progresso degli uomini moderni. Similmente, le Chiese cristiane del ventesimo secolo si ergono come immensi, ma del tutto inconsci, ostacoli al progresso immediato del vero vangelo — gli insegnamenti di Gesù di Nazaret.
(2085.1) 195:10.9 Molte persone sincere che vorrebbero offrire con gioia la loro fedeltà al Cristo del vangelo, trovano molto difficile sostenere con entusiasmo una Chiesa che mostra così poco dello spirito della sua vita e dei suoi insegnamenti, e che erroneamente ha insegnato loro di essere stata fondata da lui. Gesù non ha fondato la cosiddetta Chiesa cristiana, ma l’ha, in ogni modo compatibile con la sua natura, sostenuta come la migliore esponente esistente dell’opera della sua vita sulla terra.
(2085.2) 195:10.10 Se solo la Chiesa cristiana osasse sposare il programma del Maestro, migliaia di giovani apparentemente indifferenti correrebbero ad arruolarsi in questa impresa spirituale e non esiterebbero ad affrontare sino in fondo questa grande avventura.
(2085.3) 195:10.11 Il Cristianesimo è seriamente posto di fronte alla sentenza incorporata in uno dei suoi stessi slogan: “Una casa divisa contro se stessa non può sussistere.” Il mondo non cristiano difficilmente capitolerà davanti ad una cristianità divisa in sette. Il Gesù vivente è la sola speranza di una possibile unificazione del Cristianesimo. La vera Chiesa — la fraternità di Gesù — è invisibile, spirituale ed è caratterizzata dall’unità, non necessariamente dall’uniformità. L’uniformità è il marchio del mondo fisico di natura meccanicista. L’unità spirituale è il frutto dell’unione per fede con il Gesù vivente. La Chiesa visibile dovrebbe rifiutare di continuare ad ostacolare il progresso della fraternità invisibile e spirituale del regno di Dio. E questa fratellanza è destinata a diventare un organismo vivente in contrasto con un’organizzazione sociale istituzionalizzata. Essa può utilizzare benissimo tali organizzazioni sociali, ma non deve essere soppiantata da loro.
(2085.4) 195:10.12 Ma il Cristianesimo anche del ventesimo secolo non deve essere disprezzato. Esso è il prodotto del genio morale congiunto degli uomini che hanno conosciuto Dio di molte razze durante numerose ere, ed è stato veramente uno dei più grandi poteri benefici sulla terra, e perciò nessuno dovrebbe considerarlo alla leggera, nonostante i suoi difetti innati ed acquisiti. Il Cristianesimo riesce ancora a smuovere le menti di uomini riflessivi con potenti emozioni morali.
(2085.5) 195:10.13 Ma non c’è alcuna scusa per il coinvolgimento della Chiesa nel commercio e nella politica; tali alleanze sacrileghe sono un flagrante tradimento del Maestro. E gli amanti sinceri della verità saranno lenti a dimenticare che questa potente Chiesa istituzionalizzata ha spesso osato soffocare una fede appena nata e perseguitare dei portatori di verità cui è capitato di presentarsi in vesti non ortodosse.
(2085.6) 195:10.14 È assolutamente vero che una tale Chiesa non sarebbe sopravvissuta se non ci fossero stati nel mondo degli uomini che hanno preferito un tale tipo di adorazione. Molte anime spiritualmente indolenti desiderano ardentemente una religione antica ed autoritaria di rituali e di tradizioni sacre. L’evoluzione umana ed il progresso spirituale difficilmente sono sufficienti a permettere a tutti gli uomini di fare a meno di un’autorità religiosa. E la fratellanza invisibile del regno potrebbe includere bene questi gruppi familiari di classi sociali e di temperamento diversi se soltanto fossero veramente disposti a divenire figli di Dio guidati dallo spirito. Ma in questa fratellanza di Gesù non c’è posto per rivalità settarie, per acredini di gruppo, o per affermazioni di superiorità morale e d’infallibilità spirituale.
(2086.1) 195:10.15 Questi vari gruppi di cristiani possono servire per conciliare numerosi tipi differenti di uomini desiderosi di credere tra i diversi popoli della civiltà occidentale, ma una tale divisione della Cristianità presenta una grave debolezza quando tenta di portare il vangelo di Gesù ai popoli orientali. Queste razze non comprendono ancora che esiste una religione di Gesù separata ed un po’ distinta dal Cristianesimo, che è divenuto sempre di più una religione a proposito di Gesù.
(2086.2) 195:10.16 La grande speranza di Urantia risiede nella possibilità di una nuova rivelazione di Gesù, con una presentazione nuova ed ampliata del suo messaggio salvifico che unisca spiritualmente in un servizio amorevole le numerose famiglie dei suoi attuali professati seguaci.
(2086.3) 195:10.17 Anche l’educazione secolare potrebbe aiutare questa grande rinascita spirituale se volesse prestare più attenzione al compito d’insegnare ai giovani come impegnarsi nei progetti di vita e nella progressione del carattere. Lo scopo di tutta l’educazione dovrebbe essere di favorire e secondare il proposito supremo della vita, lo sviluppo di una personalità maestosa e ben equilibrata. C’è grande bisogno d’insegnare la disciplina morale al posto di tante soddisfazioni egoiste. Su tale base la religione può portare il contributo del suo stimolo spirituale all’allargamento e all’arricchimento della vita mortale, anche alla certezza e all’elevazione della vita eterna.
(2086.4) 195:10.18 Il Cristianesimo è una religione improvvisata, e perciò deve operare a velocità assai ridotta. Le prestazioni spirituali ad alta velocità devono attendere la nuova rivelazione e l’accettazione più generale della vera religione di Gesù. Ma il Cristianesimo è una religione potente, dal momento che i comuni discepoli di un carpentiere crocifisso hanno messo in moto quegli insegnamenti che hanno conquistato il mondo romano in trecento anni e poi hanno continuato a trionfare sui barbari che si sono abbattuti su Roma. Questo stesso Cristianesimo ha conquistato — assorbito ed esaltato — l’intera corrente della teologia ebraica e della filosofia greca. E poi, quando la religione cristiana divenne comatosa per più di mille anni a seguito di una dose eccessiva di misteri e di paganesimo, è risuscitata da se stessa ed ha praticamente riconquistato tutto il mondo occidentale. Il Cristianesimo contiene abbastanza degli insegnamenti di Gesù per divenire immortale.
(2086.5) 195:10.19 Se solo il Cristianesimo cogliesse maggiormente gli insegnamenti di Gesù, potrebbe aiutare molto di più l’uomo moderno a risolvere i suoi problemi nuovi e sempre più complessi.
(2086.6) 195:10.20 Il Cristianesimo soffre di un grande ostacolo perché è stato identificato nelle menti del mondo intero come una parte del sistema sociale, della vita industriale e dei criteri morali della civiltà occidentale. E così il Cristianesimo è sembrato involontariamente sostenere una società che vacilla sotto la colpa di tollerare una scienza senza idealismo, una politica senza principi, una ricchezza senza lavoro, un piacere senza limiti, una conoscenza senza carattere, un potere senza coscienza e un’industria senza moralità.
(2086.7) 195:10.21 La speranza del Cristianesimo moderno è di cessare di sostenere i sistemi sociali e la politica industriale della civiltà occidentale, inchinandosi umilmente davanti alla croce che esso esalta così valorosamente, per apprendere di nuovo da Gesù di Nazaret le più grandi verità che l’uomo mortale possa mai ascoltare — il vangelo vivente della paternità di Dio e della fratellanza degli uomini.
(2087.1) 196:0.1 GESÙ aveva una fede sublime e sincera in Dio. Egli sperimentò i normali alti e bassi dell’esistenza mortale, ma religiosamente non dubitò mai della certezza della cura e della guida di Dio. La sua fede era frutto della percezione nata dall’attività della presenza divina, il suo Aggiustatore interiore. La sua fede non era né tradizionale né semplicemente intellettuale; era totalmente personale e puramente spirituale.
(2087.2) 196:0.2 Il Gesù umano vedeva Dio santo, giusto e grande, come pure vero, bello e buono. Ed egli focalizzò tutti questi attributi di divinità nella sua mente come “volontà del Padre che è nei cieli”. Il Dio di Gesù era simultaneamente “Il Santo d’Israele” e “Il Padre vivente ed amorevole che è nei cieli”. Il concetto di Dio come Padre non era originale in Gesù, ma egli esaltò ed elevò l’idea ad un’esperienza sublime compiendo una nuova rivelazione di Dio e proclamando che ogni creatura mortale è un figlio di questo Padre d’amore, un figlio di Dio.
(2087.3) 196:0.3 Gesù non si aggrappò alla fede in Dio come un’anima che si batte in una guerra con l’universo ed in una lotta mortale contro un mondo ostile e peccatore; egli non fece ricorso alla fede soltanto come una consolazione in mezzo alle difficoltà o come un conforto alla minaccia della disperazione; la fede non era una semplice compensazione illusoria delle realtà spiacevoli e delle cose tristi della vita. Davanti a tutte le difficoltà naturali e alle contraddizioni temporali dell’esistenza mortale, egli sperimentava la tranquillità di una fiducia in Dio suprema e indiscussa e provava la straordinaria sensazione di vivere, grazie alla fede, alla presenza stessa del Padre celeste. E questa fede trionfante era un’esperienza vivente di un effettivo conseguimento spirituale. Il grande contributo di Gesù ai valori dell’esperienza umana non fu di aver rivelato così tante idee nuove sul Padre che è nei cieli, ma piuttosto di aver dimostrato così magnificamente ed umanamente un tipo nuovo e superiore di fede vivente in Dio. Su tutti i mondi di questo universo, nella vita di ciascun singolo mortale, Dio non divenne mai una tale realtà vivente come nell’esperienza umana di Gesù di Nazaret.
(2087.4) 196:0.4 Nella vita del Maestro su Urantia, questo e tutti gli altri mondi della creazione locale scoprono un tipo di religione nuovo e più elevato, una religione basata sulle relazioni spirituali personali con il Padre Universale ed interamente convalidata dall’autorità suprema di un’esperienza personale autentica. Questa fede vivente di Gesù era più che una riflessione intellettuale e non era una meditazione mistica.
(2087.5) 196:0.5 La teologia può fissare, formulare, definire e dogmatizzare la fede, ma nella vita umana di Gesù la fede era personale, vivente, originale, spontanea e puramente spirituale. Questa fede non era né rispetto per la tradizione né una semplice credenza intellettuale da considerare come un credo sacro, ma piuttosto un’esperienza sublime ed una profonda convinzione che lo rassicuravano. La sua fede era così reale ed onnicomprensiva che spazzò via completamente qualsiasi dubbio spirituale e distrusse efficacemente ogni desiderio conflittuale. Niente fu in grado di strapparlo dall’ancoraggio spirituale di questa fede fervente, sublime ed intrepida. Anche di fronte all’apparente sconfitta, o nell’angoscia della delusione e di un dispiacere incombente, egli stava tranquillo nella presenza divina, libero da paure e pienamente cosciente della sua invincibilità spirituale. Gesù godeva dell’assicurazione tonificante di possedere una fede inflessibile, ed in ciascuna delle situazioni difficili della vita egli mostrò infallibilmente una fedeltà assoluta alla volontà del Padre. E questa fede superba non fu scossa nemmeno dalla minaccia crudele ed opprimente di una morte ignominiosa.
(2088.1) 196:0.6 In un genio religioso, una forte fede spirituale porta molto spesso direttamente ad un fanatismo disastroso, all’esagerazione dell’ego religioso, ma non fu così per Gesù. Nella sua vita pratica egli non fu influenzato sfavorevolmente dalla sua fede straordinaria e dal suo conseguimento spirituale, perché questa esaltazione spirituale era un’espressione totalmente inconscia e spontanea dell’anima nella sua esperienza personale con Dio.
(2088.2) 196:0.7 La fede spirituale ardente e indomabile di Gesù non divenne mai fanatica, perché essa non tentò mai d’imporsi ai suoi giudizi intellettuali ben equilibrati concernenti i valori proporzionali delle situazioni pratiche e ordinarie della vita sociale, economica e morale. Il Figlio dell’Uomo era una personalità umana splendidamente unificata; egli era un essere divino perfettamente dotato; era anche magnificamente coordinato quale essere umano e divino congiunto, funzionante sulla terra come un’unica personalità. Il Maestro coordinava sempre la fede dell’anima con le sagge valutazioni di un’esperienza matura. La fede personale, la speranza spirituale e la devozione morale erano sempre correlate in un’incomparabile unità religiosa, armoniosamente associata alla percezione acuta della realtà e della sacralità di tutte le fedeltà umane — onore personale, amore per la famiglia, obbligo religioso, dovere sociale e necessità economica.
(2088.3) 196:0.8 La fede di Gesù visualizzava tutti i valori spirituali che si possono trovare nel regno di Dio; per questo egli disse: “Cercate prima il regno dei cieli.” Gesù vedeva nella comunità avanzata e ideale del regno la realizzazione ed il compimento della “volontà di Dio”. L’essenza della preghiera che egli insegnò ai suoi discepoli era: “Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà.” Avendo così concepito il regno come includente la volontà di Dio, egli si consacrò alla causa di realizzarlo con una stupefacente dimenticanza di sé ed un entusiasmo illimitato. Ma in tutta la sua intensa missione e per tutta la sua vita straordinaria non apparve mai l’accanimento del fanatico né l’esaltazione superficiale del religioso egocentrico.
(2088.4) 196:0.9 Tutta la vita del Maestro fu costantemente condizionata da questa fede vivente, da questa sublime esperienza religiosa. Questo atteggiamento spirituale dominava totalmente i suoi pensieri ed i suoi sentimenti, le sue credenze e le sue preghiere, il suo insegnamento e la sua predicazione. Questa fede personale di un figlio nella certezza e nella sicurezza della guida e della protezione del Padre celeste conferì alla sua vita straordinaria un profondo contenuto di realtà spirituale. E tuttavia, malgrado questa profondissima coscienza di stretta relazione con la divinità, questo Galileo, Galileo di Dio, quando si rivolsero a lui chiamandolo Buon Maestro, replicò immediatamente: “Perché mi chiami buono?” Quando ci troviamo di fronte a questa splendida dimenticanza di sé, noi cominciamo a comprendere come il Padre Universale trovò possibile manifestarsi così pienamente a lui e rivelarsi tramite lui ai mortali dei regni.
(2088.5) 196:0.10 Gesù portò a Dio, come uomo del regno, la più grande di tutte le offerte: la consacrazione e la dedizione della propria volontà al maestoso servizio di fare la volontà divina. Gesù interpretò sempre e concretamente la religione totalmente in termini di volontà del Padre. Quando studiate la carriera del Maestro, per quanto concerne la preghiera od ogni altro aspetto della vita religiosa, non guardate tanto a ciò che ha insegnato ma a ciò che ha fatto. Gesù non pregò mai per dovere religioso. Per lui la preghiera era un’espressione sincera dell’atteggiamento spirituale, una dichiarazione della fedeltà dell’anima, un’esposizione della devozione personale, un’espressione di ringraziamento, un sottrarsi alla tensione emotiva, un prevenire il conflitto, un’esaltazione dell’intelletto, una nobilitazione del desiderio, una rivendicazione delle decisioni morali, un arricchimento del pensiero, un rinvigorimento delle inclinazioni superiori, una consacrazione dell’impulso, un chiarimento del punto di vista, una dichiarazione di fede, una resa trascendentale della volontà, un’affermazione sublime della fiducia, una rivelazione del coraggio, la proclamazione di una scoperta, una confessione della devozione suprema, la conferma della consacrazione, una tecnica per appianare le difficoltà e la mobilitazione potente dei poteri congiunti dell’anima per resistere a tutte le tendenze umane all’egoismo, al male e al peccato. Egli visse giusto una tale vita di devota consacrazione a fare la volontà di suo Padre e terminò la sua vita trionfalmente proprio con una tale preghiera. Il segreto della sua incomparabile vita religiosa era questa coscienza della presenza di Dio; ed egli la raggiunse mediante preghiere intelligenti ed un’adorazione sincera — una comunione ininterrotta con Dio — e non in virtù di direttive, di voci, di visioni o di pratiche religiose straordinarie.
(2089.1) 196:0.11 Nella vita terrena di Gesù la religione fu un’esperienza vivente, un movimento diretto e personale dalla venerazione spirituale alla rettitudine pratica. La fede di Gesù portò i frutti trascendenti dello spirito divino. La sua fede non era né immatura e credulona come quella di un bambino, ma sotto molti aspetti assomigliava alla candida fiducia della mente infantile. Gesù nutriva fiducia in Dio in modo molto simile a quella di un bambino verso un genitore. Egli aveva una fiducia profonda nell’universo — una fiducia come quella che il bambino ha per il suo ambiente familiare. La fede sincera di Gesù nella bontà fondamentale dell’universo assomigliava moltissimo alla fiducia di un bambino nella sicurezza del suo ambiente terreno. Egli dipendeva dal Padre celeste come un bimbo si appoggia ai suoi genitori terreni, e la sua fede fervente non dubitò mai per un solo istante della certezza che il Padre celeste vegliasse su di lui. Egli non fu seriamente turbato da paure, da dubbi e da scetticismo. La non credenza non inibiva l’espressione libera ed originale della sua vita. Egli sommava il coraggio fermo ed intelligente di un uomo maturo con l’ottimismo sincero e fiducioso di un bambino che crede. La sua fede era cresciuta ad un tale grado di fiducia da essere priva di paura.
(2089.2) 196:0.12 La fede di Gesù raggiungeva la purezza della fiducia di un bambino. La sua fede era così assoluta e priva di dubbi che rispondeva al fascino del contatto con i suoi simili e alle meraviglie dell’universo. Il suo senso di dipendenza dal divino era così completo e fiducioso da procurargli la gioia e l’assicurazione di una sicurezza personale assoluta. Non c’era finzione esitante nella sua esperienza religiosa. In questo intelletto gigante di uomo maturo la fede del bambino regnava suprema in tutte le materie concernenti la coscienza religiosa. Non è strano che egli abbia detto una volta: “Se non divenite come bambini non entrerete nel regno.” Benché la fede di Gesù fosse simile a quella di un bambino, non era in alcun senso infantile.
(2089.3) 196:0.13 Gesù non chiede ai suoi discepoli di credere in lui, ma piuttosto di credere con lui, di credere nella realtà dell’amore di Dio e di accettare con piena fiducia la sicurezza dell’assicurazione della filiazione con il Padre celeste. Il Maestro desidera che tutti i suoi seguaci condividano pienamente la sua fede trascendente. Nel modo più toccante Gesù sfidò i suoi discepoli, non solo a credere a ciò che egli credeva, ma anche a credere come egli credeva. Questo è il pieno significato del suo unico comandamento supremo: “Seguimi.”
(2090.1) 196:0.14 La vita terrena di Gesù fu consacrata ad un solo grande proposito — fare la volontà del Padre, vivere la vita umana religiosamente e con fede. La fede di Gesù era fiduciosa, come quella di un bambino, ma era totalmente libera da presunzione. Egli prese decisioni ferme e virili, affrontò coraggiosamente molteplici delusioni, superò risolutamente difficoltà straordinarie e fece fronte senza cedimenti alle severe esigenze del dovere. Ci voleva una forte volontà ed una fiducia inesauribile per credere a ciò che Gesù credeva e come egli credeva.
(2090.2) 196:1.1 La devozione di Gesù alla volontà del Padre e al servizio dell’uomo era più che una decisione mortale e una determinazione umana; era una consacrazione sincera di se stesso a questa effusione d’amore incondizionata. Per quanto grande sia il fatto della sovranità di Micael, non si deve separare il Gesù umano dagli uomini. Il Maestro è asceso al cielo come uomo così come Dio; egli appartiene agli uomini; gli uomini appartengono a lui. Che peccato che la religione stessa sia così male interpretata da allontanare il Gesù umano dai mortali che si dibattono! Non fate che le discussioni sull’umanità o sulla divinità del Cristo oscurino la verità salvifica che Gesù di Nazaret era un uomo religioso che, per mezzo della fede, giunse a conoscere e a fare la volontà di Dio; egli fu veramente l’uomo più religioso che sia mai vissuto su Urantia.
(2090.3) 196:1.2 I tempi sono maturi per assistere alla risurrezione simbolica del Gesù umano dalla tomba delle tradizioni teologiche e dei dogmi religiosi di diciannove secoli. Gesù di Nazaret non deve più essere sacrificato nemmeno allo splendido concetto del Cristo glorificato. Quale servizio trascendente se, grazie a questa rivelazione, il Figlio dell’Uomo potesse essere recuperato dalla tomba della teologia tradizionale ed essere presentato come il Gesù vivente alla Chiesa che porta il suo nome e a tutte le altre religioni! La comunità cristiana dei credenti non esiterebbe certamente a fare i dovuti aggiustamenti di fede e di pratiche di vita in modo da poter “seguire” il Maestro nella dimostrazione della sua vita reale di devozione religiosa a fare la volontà di suo Padre e di consacrazione al servizio disinteressato degli uomini. I presunti Cristiani temono di svelare un’associazione supponente e non consacrata di rispettabilità sociale e di egoistico cattivo aggiustamento economico? Il Cristianesimo istituzionale teme che sia messa in pericolo, od anche rovesciata, l’autorità ecclesiastica tradizionale se il Gesù di Galilea viene ristabilito nella mente e nell’anima degli uomini mortali come l’ideale della vita religiosa personale? In verità, i raggiustamenti sociali, le trasformazioni economiche, le rigenerazioni morali e le revisioni religiose della civiltà cristiana sarebbero drastici e rivoluzionari se la religione vivente di Gesù soppiantasse improvvisamente la religione teologica a proposito di Gesù.
(2090.4) 196:1.3 Seguire Gesù” significa condividere personalmente la sua fede religiosa ed entrare nello spirito della vita del Maestro di servizio disinteressato verso l’uomo. Una delle cose più importanti della vita umana è scoprire ciò che Gesù credeva, scoprire i suoi ideali e sforzarsi di raggiungere lo scopo elevato della sua vita. Di tutta la conoscenza umana, ciò che è di maggior valore è conoscere la vita religiosa di Gesù ed il modo in cui egli l’ha vissuta.
(2090.5) 196:1.4 Le persone del popolo ascoltano Gesù con gioia, ed esse risponderanno di nuovo alla presentazione della sua vita umana sincera di motivazione religiosa consacrata, se tali verità saranno proclamate di nuovo al mondo. Il popolo lo ascolta volentieri perché egli era uno di loro, un laico senza pretese; il più grande maestro religioso del mondo era in verità un laico.
(2091.1) 196:1.5 L’aspirazione dei credenti al regno non dovrebbe essere quella d’imitare alla lettera la vita esteriore di Gesù nella carne, ma piuttosto di condividere la sua fede; di avere fiducia in Dio come egli aveva fiducia in Dio e di credere negli uomini come egli credeva negli uomini. Gesù non argomentò mai sulla paternità di Dio o sulla fratellanza degli uomini; egli era un’illustrazione vivente dell’una ed una manifestazione profonda dell’altra.
(2091.2) 196:1.6 Come gli uomini devono progredire dalla coscienza dell’umano alla realizzazione del divino, così Gesù ascese dalla natura dell’uomo alla coscienza della natura di Dio. Ed il Maestro effettuò questa grande ascesa dall’umano al divino mediante il compimento congiunto della fede del suo intelletto mortale e degli atti del suo Aggiustatore interiore. La realizzazione del fatto del raggiungimento della totalità di divinità (in ogni momento pienamente cosciente della realtà della sua umanità) avvenne attraverso sette stadi di coscienza per fede della sua divinizzazione progressiva. Questi stadi di autorealizzazione progressiva furono segnati dai seguenti avvenimenti straordinari nell’esperienza di conferimento del Maestro:
(2091.3) 196:1.7 1. L’arrivo dell’Aggiustatore di Pensiero.
(2091.4) 196:1.8 2. Il messaggero di Emanuele che gli apparve a Gerusalemme quando egli aveva circa dodici anni.
(2091.5) 196:1.9 3. Le manifestazioni che accompagnarono il suo battesimo.
(2091.6) 196:1.10 4. Le esperienze sul Monte della Trasfigurazione.
(2091.7) 196:1.11 5. La risurrezione morontiale.
(2091.8) 196:1.12 6. L’ascensione in spirito.
(2091.9) 196:1.13 7. L’abbraccio finale del Padre del Paradiso, che gli conferiva la sovranità illimitata sul suo universo.
(2091.10) 196:2.1 Un giorno una riforma nella Chiesa cristiana potrà incidere abbastanza a fondo da ricondurre agli insegnamenti religiosi non adulterati di Gesù, l’autore ed il rifinitore della nostra fede. Si può predicare una religione a proposito di Gesù, ma, necessariamente, si deve vivere la religione di Gesù. Nell’entusiasmo della Pentecoste, Pietro diede avvio senza volerlo ad una nuova religione, la religione del Cristo risorto e glorificato. L’apostolo Paolo trasformò più tardi questo nuovo vangelo nel Cristianesimo, una religione che incorpora i suoi punti di vista teologici e descrive la sua esperienza personale con il Gesù della strada di Damasco. Il vangelo del regno è fondato sull’esperienza religiosa personale del Gesù di Galilea; il Cristianesimo è fondato quasi esclusivamente sull’esperienza religiosa personale dell’apostolo Paolo. Quasi tutto il Nuovo Testamento è consacrato non alla descrizione della vita religiosa significativa ed ispirante di Gesù, ma alla disamina dell’esperienza religiosa di Paolo e alla descrizione delle sue convinzioni religiose personali. Le sole eccezioni di rilievo a questa affermazione, salvo alcune parti di Matteo, di Marco e di Luca, sono il Libro degli Ebrei e l’Epistola di Giacomo. Anche Pietro, nei suoi scritti, solo una volta è tornato sulla vita religiosa personale del suo Maestro. Il Nuovo Testamento è un superbo documento cristiano, ma riflette scarsamente la religione di Gesù.
(2091.11) 196:2.2 La vita di Gesù nella carne descrive una crescita religiosa trascendente dalle idee iniziali di primitivo timore reverenziale e di rispetto umano, passando per gli anni di comunione spirituale personale, sino ad arrivare infine a quello status avanzato ed esaltato della coscienza della sua unità con il Padre. E così, in una sola breve vita, Gesù passò per quell’esperienza di progressione spirituale religiosa che l’uomo inizia sulla terra e completa generalmente solo alla conclusione del suo lungo soggiorno nelle scuole di formazione spirituale dei livelli successivi della carriera preparadisiaca. Gesù progredì da una coscienza puramente umana delle certezze della fede di un’esperienza religiosa personale, fino alle altezze spirituali sublimi della realizzazione positiva della sua natura divina e fino alla coscienza della sua stretta associazione con il Padre Universale nell’amministrazione di un universo. Egli progredì dall’umile status di dipendenza mortale, che lo indusse a dire spontaneamente a colui che l’aveva chiamato Buon Maestro, “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio”, fino a quella sublime coscienza del raggiungimento della divinità che lo portò ad esclamare: “Chi di voi mi convince di peccato?” E questa ascesa progressiva dall’umano al divino fu un compimento esclusivamente mortale. E quando egli ebbe raggiunto così la divinità, era ancora lo stesso Gesù umano, il Figlio dell’Uomo così come il Figlio di Dio.
(2092.1) 196:2.3 Marco, Matteo e Luca conservano qualcosa del ritratto del Gesù umano, quale s’impegnò nella superba lotta per conoscere la volontà divina e per compiere quella volontà. Giovanni presenta un ritratto del Gesù trionfante, quale egli fu sulla terra nella piena coscienza della sua divinità. Il grande errore commesso da coloro che hanno studiato la vita del Maestro è che alcuni l’hanno concepito come interamente umano, mentre altri l’hanno immaginato come soltanto divino. Durante tutta la sua esperienza egli fu veramente sia umano che divino, come egli è ancora.
(2092.2) 196:2.4 Ma il più grande errore commesso fu che, mentre il Gesù umano era riconosciuto come avente una religione, il Gesù divino (Cristo) divenne una religione quasi dall’oggi al domani. Il Cristianesimo di Paolo assicurò l’adorazione del Cristo divino, ma perse di vista quasi completamente il valoroso e combattente Gesù umano di Galilea, il quale, mediante il valore della sua fede religiosa personale e l’eroismo del suo Aggiustatore interiore, ascese dai livelli più bassi dell’umanità per divenire uno con la divinità, divenendo così la via nuova e vivente per la quale tutti i mortali possono ascendere allo stesso modo dall’umanità alla divinità. In tutti gli stadi di spiritualità e su tutti i mondi, i mortali possono trovare nella vita personale di Gesù ciò che li fortificherà e li ispirerà mentre progrediscono dai livelli spirituali più bassi ai valori divini più elevati, dall’inizio sino alla fine di tutta l’esperienza religiosa personale.
(2092.3) 196:2.5 All’epoca in cui fu scritto il Nuovo Testamento, gli autori non solo credevano molto profondamente nella divinità del Cristo risorto, ma credevano anche devotamente e sinceramente nel suo ritorno immediato sulla terra per completare il regno dei cieli. Questa fede solida nel ritorno immediato del Signore contribuì molto alla tendenza di omettere negli scritti quei riferimenti che descrivevano le esperienze e gli attributi puramente umani del Maestro. L’intero movimento cristiano tese ad allontanarsi dal ritratto umano di Gesù di Nazaret per orientarsi verso l’esaltazione del Cristo risorto, il Signore Gesù Cristo glorificato che sarebbe presto tornato.
(2092.4) 196:2.6 Gesù fondò la religione dell’esperienza personale facendo la volontà di Dio e servendo la fratellanza umana; Paolo fondò una religione in cui il Gesù glorificato diveniva l’oggetto di adorazione e la fratellanza era costituita dai credenti nel Cristo divino. Nel conferimento di Gesù questi due concetti erano potenziali nella sua vita divina-umana, ed è veramente un peccato che i suoi seguaci non siano riusciti a creare una religione unificata che avesse dato un riconoscimento appropriato sia alla natura umana che alla natura divina del Maestro, quali erano inseparabilmente legate nella sua vita terrena e così gloriosamente espresse nel vangelo originale del regno.
(2093.1) 196:2.7 Voi non sareste né sorpresi né turbati da nessuna delle forti dichiarazioni di Gesù se soltanto ricordaste che egli era l’uomo religioso più sincero e devoto del mondo. Egli era un mortale interamente consacrato, dedito senza riserve a fare la volontà di suo Padre. Molte delle sue affermazioni apparentemente dure erano più una professione personale di fede e un pegno di devozione che dei comandi ai suoi discepoli. E furono queste stesse unità di proposito e devozione disinteressata che gli consentirono di compiere in una sola breve vita tali progressi straordinari nella conquista della mente umana. Molte delle sue dichiarazioni dovrebbero essere considerate come una confessione di ciò che egli esigeva da se stesso piuttosto di ciò che richiedeva da tutti i suoi discepoli. Nella sua devozione alla causa del regno Gesù bruciò tutti i ponti dietro di lui; sacrificò tutto ciò che gli impediva di fare la volontà di suo Padre.
(2093.2) 196:2.8 Gesù benediceva i poveri perché erano solitamente sinceri e devoti; condannava i ricchi perché erano solitamente licenziosi ed irreligiosi. Egli condannava egualmente il povero irreligioso e lodava il ricco consacrato e devoto.
(2093.3) 196:2.9 Gesù portò gli uomini a sentirsi a casa loro nel mondo; li liberò dalla schiavitù dei tabù ed insegnò loro che il mondo non era fondamentalmente cattivo. Egli non anelava a fuggire dalla sua vita terrena; mentre era nella carne s’impadronì di una tecnica per compiere in modo soddisfacente la volontà del Padre. Egli raggiunse una vita religiosa idealistica in mezzo ad un mondo realistico. Gesù non condivideva la visione pessimistica di Paolo sull’umanità. Il Maestro considerava gli uomini come figli di Dio e prevedeva un futuro eterno e stupendo per coloro che avessero scelto di sopravvivere. Egli non era uno scettico morale; guardava agli uomini positivamente, non negativamente. Egli considerava la maggior parte degli uomini deboli piuttosto che cattivi, più sviati che depravati. Ma qualunque fosse il loro status, essi erano tutti figli di Dio e suoi fratelli.
(2093.4) 196:2.10 Egli insegnò agli uomini ad attribuire un alto valore a se stessi nel tempo e nell’eternità. A causa di questa alta stima che Gesù aveva degli uomini, era pronto a porsi al servizio ininterrotto dell’umanità. E fu questo valore infinito del finito che fece della regola d’oro un fattore essenziale della sua religione. Quale mortale può non essere elevato dalla fede straordinaria che Gesù ha in lui?
(2093.5) 196:2.11 Gesù non offrì delle regole per il progresso sociale; la sua era una missione religiosa, e la religione è un’esperienza esclusivamente individuale. Lo scopo ultimo del compimento più avanzato della società non può mai sperare di trascendere la fratellanza degli uomini basata sul riconoscimento della paternità di Dio insegnata da Gesù. L’ideale di ogni conseguimento sociale può essere realizzato soltanto dalla venuta di questo regno divino.
(2093.6) 196:3.1 L’esperienza religiosa spirituale personale risolve efficacemente la maggior parte delle difficoltà mortali; essa seleziona, valuta ed aggiusta efficacemente tutti i problemi umani. La religione non rimuove né distrugge le difficoltà umane, ma le dissolve, le assorbe, le illumina e le trascende. La vera religione unifica la personalità per un efficace aggiustamento a tutte le necessità mortali. La fede religiosa — la guida positiva della presenza interiore divina — consente infallibilmente all’uomo che conosce Dio di gettare un ponte sull’abisso esistente tra la logica intellettuale che riconosce la Causa Prima Universale come Essa e quelle affermazioni positive dell’anima che dichiarano che questa Causa Prima è Lui, il Padre celeste del vangelo di Gesù, il Dio personale della salvezza umana.
(2094.1) 196:3.2 Vi sono esattamente tre elementi nella realtà universale: il fatto, l’idea e la relazione. La coscienza religiosa identifica queste realtà come scienza, filosofia e verità. La filosofia sarebbe incline a considerare queste attività come ragione, saggezza e fede — realtà fisica, realtà intellettuale e realtà spirituale. Noi siamo soliti designare queste realtà come cosa, significato e valore.
(2094.2) 196:3.3 La comprensione progressiva della realtà equivale ad avvicinarsi a Dio. La scoperta di Dio, la coscienza dell’identità con la realtà, equivale a fare l’esperienza del completamento di sé — dell’interezza di sé, della totalità di sé. Sperimentare la realtà totale è la piena realizzazione di Dio, la finalità dell’esperienza di conoscere Dio.
(2094.3) 196:3.4 La somma totale della vita umana è la conoscenza che l’uomo è educato dai fatti, nobilitato dalla saggezza e salvato — giustificato — dalla fede religiosa.
(2094.4) 196:3.5 La certezza fisica consiste nella logica della scienza; la certezza morale, nella saggezza della filosofia; la certezza spirituale, nella verità dell’esperienza religiosa autentica.
(2094.5) 196:3.6 La mente dell’uomo può raggiungere dei livelli elevati d’intuizione spirituale e sfere corrispondenti di divinità dei valori perché essa non è interamente materiale. C’è un nucleo spirituale nella mente dell’uomo — l’Aggiustatore della presenza divina. Vi sono tre prove distinte che questo spirito dimora nella mente umana:
(2094.6) 196:3.7 1. La comunione umanitaria — l’amore. La mente puramente animale può essere gregaria per proteggersi, ma soltanto l’intelletto abitato dallo spirito è disinteressatamente altruista ed incondizionatamente amorevole.
(2094.7) 196:3.8 2. L’interpretazione dell’universo — la saggezza. Solo la mente abitata dallo spirito può comprendere che l’universo è benevolo nei confronti dell’individuo.
(2094.8) 196:3.9 3. La valutazione spirituale della vita — l’adorazione. Solo l’uomo abitato dallo spirito può realizzare la presenza divina e cercare di raggiungere un’esperienza più completa in questo anticipo di divinità, e con esso.
(2094.9) 196:3.10 La mente umana non crea valori reali; l’esperienza umana non produce la percezione dell’universo. Per ciò che concerne la percezione, il riconoscimento di valori morali e il discernimento di significati spirituali, tutto ciò che la mente umana può fare è scoprire, riconoscere, interpretare e scegliere.
(2094.10) 196:3.11 I valori morali dell’universo divengono acquisizioni intellettuali mediante l’esercizio dei tre giudizi, o scelte, fondamentali della mente mortale:
(2094.11) 196:3.12 1. Il giudizio di sé — la scelta morale.
(2094.12) 196:3.13 2. Il giudizio sociale — la scelta etica.
(2094.13) 196:3.14 3. Il giudizio di Dio — la scelta religiosa.
(2094.14) 196:3.15 In tal modo risulta che ogni progresso umano avviene mediante una tecnica congiunta di evoluzione-rivelazione.
(2094.15) 196:3.16 Se un amante divino non vivesse nell’uomo, questi non potrebbe amare disinteressatamente e spiritualmente. Se un interprete non vivesse nella sua mente, l’uomo non potrebbe realizzare veramente l’unità dell’universo. Se un valutatore non dimorasse nell’uomo, non gli sarebbe possibile apprezzare i valori morali e riconoscere i significati spirituali. E questo amante viene dalla fonte stessa dell’amore infinito; questo interprete è parte dell’Unità Universale; questo valutatore è il figlio della Sorgente e Centro di tutti i valori assoluti della realtà divina ed eterna.
(2095.1) 196:3.17 La valutazione morale con un significato religioso — l’intuizione spirituale — implica la scelta dell’individuo tra il bene ed il male, tra la verità e l’errore, tra il materiale e lo spirituale, tra l’umano e il divino, tra il tempo e l’eternità. La sopravvivenza umana dipende in gran parte dalla consacrazione della volontà umana a scegliere quei valori vagliati da questo selezionatore dei valori spirituali — l’interprete e l’unificatore interiore. L’esperienza religiosa personale consiste in due fasi: la scoperta nella mente umana e la rivelazione da parte dello spirito divino interiore. Per eccessiva sofisticheria o a seguito della condotta irreligiosa di persone che si professano religiose, un uomo, od anche una generazione di uomini, possono scegliere di sospendere i loro sforzi per scoprire il Dio che dimora in loro; possono cessare di progredire nella rivelazione divina e di raggiungerla. Ma tali atteggiamenti di non progressione spirituale non possono persistere a lungo a causa della presenza e dell’influenza degli Aggiustatori di Pensiero interiori.
(2095.2) 196:3.18 Questa profonda esperienza della realtà della presenza divina interiore trascende per sempre la rozza tecnica materialistica delle scienze fisiche. Non si può mettere la gioia spirituale sotto un microscopio; non si può pesare l’amore su una bilancia; non si possono misurare i valori morali; né si può stimare la qualità dell’adorazione spirituale.
(2095.3) 196:3.19 Gli Ebrei avevano una religione di sublimità morale; i Greci evoluzionarono una religione di bellezza; Paolo ed i suoi confratelli fondarono una religione di fede, di speranza e di carità. Gesù rivelò ed esemplificò una religione d’amore: la sicurezza nell’amore del Padre, con la gioia e la soddisfazione risultanti dal condividere questo amore nel servizio della fratellanza umana.
(2095.4) 196:3.20 Ogni volta che un uomo fa una scelta morale meditata, fa immediatamente l’esperienza di una nuova invasione divina della sua anima. La scelta morale costituisce la religione come motivo di risposta interiore alle condizioni esteriori. Ma una tale vera religione non è un’esperienza puramente soggettiva. Essa significa che l’insieme della soggettività dell’individuo è impegnato in una risposta significativa ed intelligente all’obiettività totale — all’universo e al suo Autore.
(2095.5) 196:3.21 L’esperienza squisita e trascendente di amare e di essere amati non è soltanto un’illusione psichica perché è così puramente soggettiva. La sola realtà veramente divina e realmente oggettiva che è associata agli esseri mortali, l’Aggiustatore di Pensiero, funziona all’osservazione umana apparentemente come un fenomeno esclusivamente soggettivo. Il contatto dell’uomo con la realtà oggettiva più elevata, Dio, avviene soltanto attraverso l’esperienza puramente soggettiva di conoscerlo, di adorarlo e di realizzare la filiazione con lui.
(2095.6) 196:3.22 La vera adorazione religiosa non è un monologo futile di autoillusione. L’adorazione è una comunione personale con ciò che è divinamente reale, con ciò che è la fonte stessa della realtà. Per mezzo dell’adorazione l’uomo aspira ad essere migliore e a raggiungere così alla fine il meglio.
(2095.7) 196:3.23 L’idealizzazione della verità, della bellezza e della bontà, ed il tentativo di servirle, non è un sostituto dell’esperienza religiosa autentica — la realtà spirituale. La psicologia e l’idealismo non sono l’equivalente della realtà religiosa. Le proiezioni dell’intelletto umano possono in verità originare dei falsi dei — degli dei ad immagine dell’uomo — ma la vera coscienza di Dio non ha una tale origine. La coscienza di Dio risiede nello spirito interiore. Molti dei sistemi religiosi dell’uomo provengono dalle formulazioni dell’intelletto umano, ma la coscienza di Dio non è necessariamente una parte di questi grotteschi sistemi di schiavitù religiosa.
(2095.8) 196:3.24 Dio non è la semplice invenzione dell’idealismo dell’uomo; egli è la fonte stessa di tutti questi valori e percezioni superanimali. Dio non è un’ipotesi formulata per unificare i concetti umani della verità, della bellezza e della bontà; egli è la personalità d’amore da cui derivano tutte queste manifestazioni dell’universo. La verità, la bellezza e la bontà del mondo degli uomini sono unificate dalla spiritualità crescente dell’esperienza dei mortali che si elevano verso le realtà del Paradiso. L’unità della verità, della bellezza e della bontà può essere realizzata soltanto nell’esperienza spirituale della personalità che conosce Dio.
(2096.1) 196:3.25 La moralità è il terreno essenziale preesistente della coscienza personale di Dio, della realizzazione personale della presenza interiore dell’Aggiustatore, ma tale moralità non è la fonte dell’esperienza religiosa e l’intuizione spirituale che ne risulta. La natura morale è superanimale, ma subspirituale. La moralità equivale al riconoscimento del dovere, alla realizzazione dell’esistenza del bene e del male. La zona morale s’interpone tra il tipo di mente animale e quello umano, come la morontia funziona tra la sfera materiale e quella spirituale di compimento della personalità.
(2096.2) 196:3.26 La mente evoluzionaria è capace di scoprire la legge, la morale e l’etica; ma lo spirito conferito, l’Aggiustatore interiore, rivela alla mente umana in evoluzione il legislatore, il Padre-sorgente di tutto ciò che è vero, bello e buono; ed un tale uomo illuminato ha una religione ed è spiritualmente dotato per iniziare la lunga ed avventurosa ricerca di Dio.
(2096.3) 196:3.27 La moralità non è necessariamente spirituale; essa può essere interamente e puramente umana, benché la vera religione elevi tutti i valori morali e li renda più significativi. La moralità senza religione non riesce a rivelare la bontà ultima, né riesce ad assicurare la sopravvivenza nemmeno ai propri valori morali. La religione favorisce l’elevazione, la glorificazione, ed assicura la sopravvivenza di tutto ciò che la moralità riconosce ed approva.
(2096.4) 196:3.28 La religione sta sopra alla scienza, all’arte, alla filosofia, all’etica e alla morale, ma non è indipendente da esse. Esse sono tutte indissolubilmente interrelate nell’esperienza umana, personale e sociale. La religione è l’esperienza suprema dell’uomo nella sua natura mortale, ma il linguaggio finito rende per sempre impossibile alla teologia descrivere in maniera adeguata la vera esperienza religiosa.
(2096.5) 196:3.29 La percezione religiosa possiede il potere di trasformare una sconfitta in desideri superiori ed in nuove determinazioni. L’amore è la motivazione più elevata che l’uomo possa utilizzare nella sua ascensione nell’universo. Ma l’amore, quando è spogliato della verità, della bellezza e della bontà, è soltanto un sentimento, una deformazione filosofica, un’illusione psichica e un inganno spirituale. L’amore deve sempre essere ridefinito su livelli successivi di progressione morontiale e spirituale.
(2096.6) 196:3.30 L’arte ha origine dal tentativo dell’uomo di sfuggire alla mancanza di bellezza nel suo ambiente materiale; è un gesto verso il livello morontiale. La scienza è lo sforzo dell’uomo per risolvere gli enigmi apparenti dell’universo materiale. La filosofia è il tentativo dell’uomo di unificare l’esperienza umana. La religione è il gesto supremo dell’uomo, la sua magnifica tensione verso la realtà finale, la sua determinazione a trovare Dio e ad essere simile a lui.
(2096.7) 196:3.31 Nel regno dell’esperienza religiosa, la possibilità spirituale è una realtà potenziale. La spinta in avanti spirituale dell’uomo non è un’illusione psichica. Tutto il favoleggiare dell’uomo sull’universo può non corrispondere a dei fatti, ma molto, moltissimo, è verità.
(2096.8) 196:3.32 La vita di alcuni uomini è troppo grande e nobile per abbassarsi al livello di una semplice riuscita. L’animale deve adattarsi all’ambiente, ma l’uomo religioso trascende il suo ambiente ed in questo modo sfugge ai limiti del mondo materiale presente per mezzo di questa percezione dell’amore divino. Questo concetto dell’amore ingenera nell’anima dell’uomo quello sforzo superanimale per trovare la verità, la bellezza e la bontà; e quando le trova, egli è glorificato nel loro abbraccio; è consumato dal desiderio di viverle, di agire rettamente.
(2097.1) 196:3.33 Non scoraggiatevi; l’evoluzione umana sta ancora progredendo e la rivelazione di Dio al mondo, in Gesù e per mezzo di Gesù, non mancherà.
(2097.2) 196:3.34 La grande sfida per l’uomo moderno è di giungere ad una comunicazione migliore con il Monitore divino che dimora nella mente umana. La più grande avventura dell’uomo nella carne consiste nello sforzo ben equilibrato e sensato di avanzare oltre i confini dell’autocoscienza attraverso i regni indistinti della coscienza embrionale dell’anima, in uno sforzo sincero di raggiungere la zona di confine della coscienza dello spirito — il contatto con la presenza divina. Una tale esperienza costituisce la coscienza di Dio, un’esperienza che conferma potentemente la verità preesistente dell’esperienza religiosa di conoscere Dio. Questa coscienza dello spirito equivale alla coscienza della realtà della filiazione con Dio. Altrimenti, l’assicurazione della filiazione è l’esperienza della fede.
(2097.3) 196:3.35 E la coscienza di Dio equivale all’integrazione del sé con l’universo e sui suoi livelli più elevati della realtà spirituale. Solo il contenuto spirituale di un valore qualunque è imperituro. Anche ciò che è vero, bello e buono può non perire nell’esperienza umana. Se l’uomo non sceglie di sopravvivere, allora l’Aggiustatore sopravvivente conserva quelle realtà nate dell’amore e nutrite nel servizio. E tutte queste cose sono parte del Padre Universale. Il Padre è amore vivente, e questa vita del Padre è nei suoi Figli. E lo spirito del Padre è nei figli dei suoi Figli — negli uomini mortali. Quando tutto è detto e fatto, l’idea di Padre è ancora il concetto umano più elevato di Dio.