Genesi e sviluppo della Democrazia (Arrigo Colombo)
Democrazia significa «potere di popolo»; significa che il potere politico, nella polis, cioè in una società giuridicamente ordinata, dalla legge e dal suo vincolo come dalla sua coazione; questo potere risiede nel popolo in quanto soggetto di diritto è originariamente la persona; e la polis, lo stato, solo per una cessione di diritto della persona, del cittadino, dell’intera cittadinanza; che lo cede per la propria tutela e promozione. Una cessione parziale, come precisa Beccaria, (Dei delitti e delle pene, §§ 2 e 28), la persona essendo e restando un soggetto di diritto; non totale, come pretende Rosseau, errando.
Questo punto, della genesi dello stato e del suo potere, questa sovranità popolare, si chiarisce definitivamente nel ‘700, con l’apporto di Beccaria, di Rousseau; essendo però già stata acquisita con la Rivoluzione inglese del Lungo Parlamento; acquisita e proclamata: «Il popolo […] è la sola fonte del proprio potere, e non può in alcun modo essere sottoposto al giogo ferreo di un potere dispotico». «Il popolo nel suo complesso è depositario delle leggi e dell’autorità, e dirige gli affari dello stato per mezzo dei parlamenti che esso stesso elegge, e degli altri organismi». «Il popolo dunque è l’inizio, il mezzo, e il fine di tutto». Parole di grande forza, e che esprimono una coscienza altamente illuminata, coscienza profetica (Patto del popolo, p. 170; Le leggi e le fondamentali libertà d’Inghilterra, pp. 194-195, tr. it. in U. Bonanate, I Puritani, Torino 1975).
La storia umana, quella che inizia con le civiltà, le città-civiltà rette dalla legge, e che «si attesta» con le opere monumentali e con la scrittura, e via via si sviluppa, e giunge sino a noi, è dominata dal dispotismo; cioè dal potere incondizionato di un solo, un monarca; e con esso dall’aristocrazia, la classe che possiede la terra, la millenaria fonte di ricchezza; più recentemente, dalla Rivoluzione francese in poi, dalla borghesia, che col commercio e poi con l’industria accumula una più grande e dinamica ricchezza. In ambedue i casi, l'accumula con lo sfruttamento del lavoro servile e popolare. Questo potere ingiusto tende a giustificarsi da un’origine divina in quanto il monarca è dio o figlio di dei, o riceve il potere direttamente da Dio e ne è investito dalla Chiesa. Una giustificazione ideologica (se per ideologia, in senso stretto, s’intende la distorsione dell’idea da parte appunto di un principio di potere, e al suo sostegno); ideologica e mitica.
In questa fase del dispotismo si fa tuttavia presente l’idea di un patto implicito col popolo, per il suo bene; per cui, quando il monarca diventa oppressivo, tradisce il patto, diventa tiranno, e può essere legittimamente rifiutato e deposto, o anche suppliziato. Si vedano in proposito le riflessioni di Cicerone in De republica (citato da Agostino in De civitate Dei, XIX, 21, 1: 23, 5 – PL 41, 648, 655), e le riflessioni di Agostino stesso in Confessiones, III, 8, 15 – 32, 689-690; un'idea che percorre poi il medioevo e il rinascimento.
Ma l’intera storia umana è percorsa da quello che può dirsi il progetto popolare implicito, di un popolo che vive nell’ingiustizia – povertà, sfruttamento, discriminazione, oppressione – ma è cosciente della sua dignità e del suo diritto, e proteso verso un ordinamento giusto. La cui riprova sta in tre ordini di eventi: la rivolta popolare, presente nell’intera storia umana; i processi di democratizzazione, in cui il popolo afferma e gestisce il suo potere sovrano; le rivoluzioni moderne (ho sviluppato questo tema in L’utopia. Rifondazione di un’idea e di una storia, Bari 1997, § 9).
I processi di democratizzazione sono dunque le prime apparizioni della democrazia. Il più antico e il più alto di essi, e anche il più duraturo, si attua ad Atene, la città ellenica per eccellenza. Dove la riforma di Solone (594 [591] a.C., provocata da una crisi sociale – l’indebitamento dei contadini che porta alla schiavitù per debiti, la lotta contro questa abiezione), l’uomo saggio chiamato come arconte a risolvere la crisi, porta ad un ordinamento censitario (quattro classi di reddito) in cui le cariche sono riservate ai possidenti ma il popolo partecipa all’amministrazione della città come membro dell’assemblea e dei tribunali (è l’inizio della democrazia, dice Aristotele). Dove la successiva riforma di Clistere (508 a.C.), che appartiene al partito popolare, dissolve il potere di classe come il potere tribale attraverso un ordinamento territoriale in 30 demoi o circoscrizioni (10 in città, 10 all’interno, 10 sulla costa) che poi formano 10 tribù per sorteggio (3 per ognuna); dove tutti i cittadini maschi costituiscono l’assemblea, che ha il supremo potere, della legge e del decreto; mentre il Consiglio dei 500 (10 per tribù) ne è l’esecutivo, oltre ad istruirne i lavori. Dove tutte le cariche sono a sorteggio (ma con esame previo e conclusivo), sono annuali e non rinnovabili (si ricoprono una volta in vita, affinché la più parte dei cittadini possa avvicendarvisi); e v’è l’ostracismo, l’esilio per i cittadini pericolosi alla democrazia (troppo potenti, potenziali tiranni – Plutarco, Vita di Solone, 13-14; Aristotele, Costituzione di Atene, 9).
Sarà chiamata democrazia diretta, cioè esercizio diretto del potere popolare, del popolo in assemblea, e il più possibile nelle magistrature e nei tribunali; non mediata, non delegata a un parlamento e ad altri organi. La forma più pura e più alta (anche se restavano escluse le donne e gli schiavi, due strutture del «blocco della società ingiusta») verso cui la storia futura sarà rivolta sempre. Due successivi processi di democratizzazione sono da annotare. Quello della plebe romana, della sua lotta secolare per prendere parte alla gestione della città; cui l’aristocrazia, e quindi il Senato, resiste ad oltranza, ammettendo al più strutture parallele (i comitia tributa e i tribuni della plebe) e non cedendo mai sulla base economica, la riforma agraria, l’assegnazione di terre al proletariato; il punto che porta alla morte dei Gracchi e di Druso (siamo nel 91 a.C.; possiamo far iniziare la lotta dalla secessione della plebe sul Monte Sacro nel 494). Un processo, dunque, che abortisce, ma in cui la coscienza popolare si esprime con una forza estrema.
La vicenda dei Comuni medievali, che dura circa tre secoli, dall’XI al XIV, ed esprime una coscienza, una volontà, una lotta analoga; ma anche un analogo insuccesso. Anche qui si giunge ad una doppia assemblea, un commune maius per aristocrazia e borghesia, un commune minus; e ad un «capitano del popolo»; ma per lo più si tratta del «popolo grasso», le arti maggiori; mentre il «popolo minuto» solo di rado riesce ad inserirsi nella gestione della città; pur premendo e lottando (a Firenze i lavoratori dell’arte della lana, col cosiddetto tumulto dei Ciompi, riescono ad entrare nel governo della città, ma solo per quattro anni, 1378-1382).
Solo in Occidente, e solo con la modernità la democrazia assume carattere storico-epocale, e quindi carattere universale, definitivo per l'umanità; i tre processi di cui sopra sono limitati, pur perdurando per secoli, episodici. Essi promanano però da quel progetto popolare implicito, quella coscienza di dignità e diritto, quella tensione etica che percorre e muove l’intera storia umana. Insieme al progetto popolare implicito rientrano nell’utopia, cioè nel progetto di liberazione dell'umanità, e nel processo liberatorio. O nella «nuova utopia», cioè nell’approfondirsi di questa parola, abitualmente significativa del progetto degli autori (Platone, Moro, Campanella e molti altri, oltre 300), nel progetto appunto dell'umanità; progetto che nella nostra ricostruzione s’imposta nel messianismo ebraico e nell’annunzio evangelico come società di giustizia e società fraterna; e passa poi dalla fase progettuale alla fase costruttiva con le rivoluzioni moderne; ed è tuttora in atto, l’umanità sta costruendo una società di giustizia.
Sua genesi e forma moderna: la forma politica
Parlavo della democrazia come modello universale e definitivo per l’umanità. Che si genera appunto nella modernità occidentale, e anzitutto nella Rivoluzione inglese del Lungo Parlamento (1640-1653). Dove – come si è visto – si afferma il principio di sovranità popolare, il popolo detentore del potere sovrano; da cui promana la legge come vincolo per tutti i cittadini; compreso il monarca, che vi può persistere ma perde il potere dispotico, di padrone dello stato, al disopra della legge stessa. Il principio del Parlamento eletto dal popolo come organo della legge. Il principio del giudizio giusto, cioè in base alla legge e nel rispetto della dignità e diritto della persona. Questo ordinamento è visibile nei fondamentali documenti della Rivoluzione, in parte già citati: i Dibattiti di Putney, il Patto del popolo (in particolare la prima stesura), Le leggi e le fondamentali libertà d'Inghilterra, l’Habeas corpus, il Bill of rights.
Il modello democratico s'imposta qui nella forma mediata e parlamentare perché la rivoluzione è condotta dal parlamento e dal suo esercito, l'Esercito di nuovo modello, formato da volontari altamente qualificati e disciplinati, il cui condottiero è Cromwell. Questa forma viene ripresa nella rivolta delle colonie inglesi d'America, che hanno la stessa matrice puritana, e che formeranno gli Usa. Ed è ripresa dalla Rivoluzione francese che anch’essa si muove su base parlamentare, gli Stati generali anzitutto, che si trasformano in Assemblea Nazionale in quanto si affermano come rappresentanti della nazione; poi in Assemblea Costituente che vara la Costituzione del 1791; quindi, decisa la decadenza della monarchia, viene eletta da tutti i cittadini la Convenzione Nazionale che varerà la nuova Costituzione repubblicana del 1793, la più avanzata, quella che richiede per ogni legge la sanzione popolare attraverso i comuni. Termidoro, il crinale recessivo della Rivoluzione, porta alla caduta del movimento popolare che operava nelle Sezioni del Comune di Parigi, e del partito giacobino che lo esprimeva, di Robespierre e Saint-Just; si vara la Costituzione del 1795 che introduce un parlamento bicamerale e un Direttorio come suo esecutivo. Questa forma mediata e parlamentare è ripresa poi nel successivo processo di democratizzazione, diventa egemone ed è in atto tuttora.
L'altra forma che s'imposta in questo processo moderno è quella elettorale ridotta, per cui elettori sono solo i maschi adulti e possidenti; per cui la sovranità è riconosciuta all’intero popolo (salva sempre l’emarginazione della donna), ma il suo esercizio solo al possidente, cioè al popolo borghese. Il principio e potere borghese si afferma e diventa prevaricatore. Questo punto, del suffragio universale (maschile), è il tema della grande discussione attestata dai Dibattiti di Putney (una discussione di tre giorni in seno all’esercito rivoluzionario) e in cui il partito del possesso prevale; prevale il principio affermato da Ireton, e con lui da Cromwell, che «solo chi abbia un interesse permanente fisso in questo paese» (e cioè la terra, il commercio) può partecipare al suo ordinamento e alla scelta di chi stabilirà le leggi; principio falso perché il povero ha nel buon ordinamento dello stato un interesse ancora più grande; anche quando non è in grado di esprimerlo (V. Gabrieli, Puritanesimo e libertà, Torino 1956, pp. 69-70).
Con la Rivoluzione francese, dopo che l’aristocrazia ha rinunziato al suo privilegio e potere politico, la borghesia è il nuovo ceto egemone, in lotta col movimento popolare, e che si afferma con Termidoro. Il suffragio universale maschile è presente nella Costituzione del '93 (art. 8-10); ricompare in quella del 1948 (art. 24-25). Ma sul suo pieno adempimento premono il principio di sovranità popolare e il principio di dignità e diritto della persona umana; la lotta continua lungo il secolo e raggiunge verso la sua fine i primi traguardi: Nuova Zelanda 1893, Australia 1902, due stati anglosassoni; Inghilterra nel 1918; Francia e Italia solo nel 1946, nelle nuove costituzioni che seguono la Seconda guerra mondiale e il fascismo; gli Usa solo nel 1966, lungo la lotta per i diritti civili della minoranza nera che proviene dalla schiavitù. La discriminazione della donna è ancora diffusa, in particolare nella costellazione islamica.
Una ulteriore mediazione è quella partitica. Presente già nella Rivoluzione inglese, anche se in forma più fluida: un potente nucleo presbiteriano, che esprime il capitale e controlla all’inizio il parlamento; gl’indipendenti, che lo soppiantano nell’egemonia del movimento e ne esprimono il leader, Cromwell, in quanto esprimono la gentry (la piccola nobiltà) ma soprattutto la borghesia economicamente più dinamica dei mercanti, dei produttori; i levellers, il partito popolare, il più avanzato in fatto di eguaglianza e giustizia, di attacco alla proprietà; i diggers, la punta estrema, che invoca il possesso comune della terra e la comunità fraterna.
Famosi i club che operano nella Rivoluzione francese: Cordiglieri, Montagnardi, Giacobini, che esprimono il movimento popolare e anche operano in più o meno stretto contatto con le sezioni del Comune di Parigi. E i Girondini, espressione della borghesia, di quella bordolese in particolare, apparentemente annientati. In realtà è il partito borghese che finisce per dominare la rivoluzione; anche se dopo Termidoro lo scontro è tra repubblicani e realisti, ancora molto forti.
Il ruolo dei partiti come organizzatori del consenso popolare si accresce in seguito. In due forme prevalenti: quella anglosassone di un prevalente bipartitismo su base prevalentemente pragmatica e con prevalente funzione elettorale; con carattere liberale l’uno, conservatore l’altro; quindi in realtà il partito dei possidenti e della ricchezza, del capitale; e il partito del proletariato e del lavoro (in Inghilterra il Labour party). Si parla sempre dei ceti medi come di una importante forza intermedia: il ceto artigiano, commerciante, impiegatizio, i ceti di formazione della cultura della ricerca dell’arte delle professioni; ceti che in parte tendono ad identificarsi con la borghesia, in parte col proletariato; ma gran parte di essi sono in una condizione economicamente proletaria, vivono cioè del loro lavoro quotidiano con solo un margine di risparmio.
L'altra forma è quella europea del multipartitismo su base ideologica, che si sviluppa specialmente dalla nascita del socialismo congiunta col movimento operaio; quindi un partito socialista, comunista, cristiano-democratico, liberale, nazionalista, un partito ecologico. Dove però l‘implodere del modello sovietico, che avrebbe dovuto liberare degli autentici partiti socialisti e comunisti (essendo quel modello comunista solo di nome), ne segna invece un complesso itinerario dissolutivo che porta a forme di bipartitismo; specie là dove s’introduce una clausola elettiva, del 5% anzitutto. In realtà queste due forme si collegano a due sistemi elettorali, il proporzionale e il maggioritario. Dove da un lato l’elezione si ha in stretta ragione dei voti ricevuti; dall'altro chi ha più voti si prende il collegio, elidendo gli altri. Da un lato un sistema più autenticamente democratico ma più dispersivo e che dà luogo a maggioranze più difficili e più instabili; dall’altro un sistema che favorisce i partiti più forti e rende i governi più sicuri. Donde la tendenza ad abbandonare il proporzionale, a correggerlo in vario modo (la soglia del 5%, il premio di maggioranza), a introdurre forme di presidenzialismo.
Ma il vizio maggiore è quella che viene detta partitocrazia, cioè un potere di partito che si aggiunge a quello del parlamento e che domina il parlamento stesso, frustrando ulteriormente la sovranità popolare. È il partito che sceglie i candidati, che magari li impone attraverso liste bloccate. Gli eletti sfuggono poi ad ogni controllo dei loro elettori in quanto si afferma il principio che essi rappresentano la Nazione e non il collegio (principio che s’introduce con la Rivoluz. franc., Costituz. del 1791, Tit. III, Cap. I, Sez. 3, art. 7; nella nostra Costituz. all'art. 67). I partiti, poi, ottenuta la maggioranza, dominano il parlamento con decisioni che vengono prese nelle loro segreterie; penetrano la pubblica amministrazione – e anche la ingolfano – attraverso le loro clientele; avendo molto bisogno di denaro per la loro complessa organizzazione (sezioni, stampa, televisione, scuole e corsi, feste), tendono a favorire il capitale, cioè il sistema ingiusto; si curano della formazione dei loro adepti, non della formazione politica popolare.
La partitocrazia forma una classe politica che tende ad occupare in permanenza il parlamento, come pure i consigli e le cariche politiche in genere. In particolare i leader l’occupano a vita – come già notavo – come in Italia Andreotti, D’Alema e molti altri. Ritengono indispensabile la loro presenza, il loro acume politico, la loro azione. Avviene qui l‘opposto di quella felice coscienza e costume ateniese, quel fondato e forte principio per cui, appartenendo il potere politico al popolo, il popolo lo dovesse esercitare il più possibile; sì che – a parte l’assemblea che apparteneva a tutti – le magistrature di ogni tipo dovessero essere ricoperte per un solo anno e una sola volta in vita; sì che tutti il più possibile potessero avvicendarvisi.
Nella partitocrazia avviene un'appropriazione del potere popolare: il posto in parlamento e nei consigli, nelle altre magistrature in genere, è considerato come l’assunzione in proprio di un potere che fa potenti, che introduce nel rango dei potenti; è considerato un privilegio, non un servizio a quel popolo che lui solo è il vero detentore del potere. Perciò gli alti stipendi, che essi stessi si attribuiscono, mentre dovrebbero essere competenza di un organo terzo, ad esempio della Corte dei Conti: in Italia 19.150 euro al mese tutto compreso (stipendio base, indennità di carica, portaborse, affitto) e tutto esentasse. Perciò tutta una serie di esenzioni e di gratuità: ristorante; treno, aereo, autobus, metrò, autostrade; posta, cellulare; teatro, cinema, stadio, piscine e palestre; cliniche; assicurazione infortuni e morte. Pensione dopo soli 35 mesi, mentre i cittadini dopo 35 anni. E conservano diritti anche dopo essere usciti dal parlamento.
A questo punto l’esercizio della sovranità popolare si riduce al voto politico ogni quattro cinque anni, oltre che al voto amministrativo. Il referendum è poco diffuso: in Italia è previsto nella forma abrogativa (ma è stato inflazionato dal partito radicale, ed è decaduto); in Svizzera – la nazione più evoluta al riguardo – ogni legge o decreto confederale può essere sottoposto a referendum se lo richiedono almeno 50.000 cittadini; le modifiche costituzionali, poi, sono obbligatoriamente sottoposte a referendum; e vi sono anche referendum cantonali e locali. Di conseguenza la coscienza politica popolare s’indebolisce: subentra il disinteresse, l’assenteismo, la pseudocoscienza alienativa, quasi che il potere e mondo politico fosse qualcosa d’altro e di avverso ai cittadini. Qualcosa che appunto appartiene ai professionisti della politica, ai partitocrati, che così rafforzano la loro ingombrante presenza.
Nota sul presidenzialismo
La repubblica presidenziale costituisce una deformazione della democrazia, la quale ha al suo centro il parlamento come organo della legge; di cui il governo è l'esecutivo, che cioè pone in atto la legge stessa. Prendiamo il modello statunitense, che è il primo. Qui il presidente diventa l’altro dal parlamento, eletto com’esso dal popolo, che forma il suo governo (sia pur con l’approvazione del senato) e con esso gestisce lo stato; e ha anche un diritto di veto sulle leggi del parlamento (che richiedono in seguito una maggioranza di due terzi); mentre il parlamento può solo sfiduciarlo in caso di attentato alla costituzione, ma attraverso un processo giudiziario. Il presidente diventa l'espressione suprema dello stato, con anche una grandiosa visibilità mediatica; mentre il parlamento resta in ombra.
La forma presidenziale nasce negli Usa per un bisogno di unità, di un’espressione unitaria per le tredici colonie che formavano il nuovo stato ma erano ancora piuttosto divise e gelose tra loro (perciò vengono concessi a tutte due senatori, a prescindere dalla popolazione; anomalia tuttora presente, se si confronta ad es. il New Hampshire con la California). Il presidenzialismo si diffonde poi in tutta l’America Latina, via via che le colonie lungo l’800 si fanno indipendenti; più tardi, con la fine degl’imperi coloniali, in Africa e in Asia; e spesso degenera in forme dittatoriali.
Il sistema francese nasce nel 1958 dall’esperienza d’instabilità dei governi d’anteguerra, e in parte anche dall’autoritarismo gaullista, che mira a deprimere il parlamento; la nuova costituzione, tra l’altro, gli concede annualmente solo due sessioni di tre mesi l'una (art. 28). Il sistema è detto semipresidenziale perché il presidente non è anche capo dell’esecutivo, essendovi un premier; che è però di sua nomina; così come i ministri; e inoltre egli ne presiede le riunioni; ma questo esecutivo deve anche ottenere la fiducia dell’Assemblea nazionale, e può quindi appartenere all’opposizione. Una forma piuttosto ibrida.
Altrove – in Italia ad esempio – si sono introdotte forme larvali di presidenzialismo, spesso legate all'ambizione dei politici – come quella d’indicare sulla scheda elettorale il capo di una coalizione, che diventerà quindi capo del governo; ne viene che, in caso di difficoltà, egli invoca il mandato popolare per restare in sella. Ma per la Costituzione il premier è nominato dal Presidente della Repubblica; il quale ha anche il potere di sciogliere le camere quando venga meno la possibilità di una maggioranza di governo (art. 88, 92). Ma l’indicazione sulla scheda è stata introdotta anche per sindaci e presidenti di provincia e regione, che poi si costituiscono le loro giunte. Una forma d’individualismo e potere individuale che contrasta la collegialità del parlamento e dei consigli. La tendenza verso il presidenzialismo è forte, ed è dannosa per la democrazia.
Sua genesi e forma moderna: la forma sociale
Come potere di popolo, di un popolo nella stragrande maggioranza proletario e lavoratore, in un lavoro che comporta dipendenza salariale, sfruttamento, precarietà; come potere che s’instaura per la tutela e promozione di questo popolo, la democrazia si sviluppa presto nella forma di uno stato sociale o della provvidenza sociale o del benessere. Poiché la condizione popolare è stata sempre una condizione di duro lavoro (in gran parte lavoro contadino), scarsità, ignoranza e analfabetismo, impotenza di fronte alla malattia, all’invecchiamento, alla malasorte o catastrofe di natura. Il compenso di questa condizione inizia presto, e cioè dopo la Rivoluzione francese, che già aveva avanzato le prime rivendicazioni, concernenti la scuola e l’assistenza, pur senza riuscire a realizzarle. Avviene negli anni venti e trenta dell’800, anche perché nel frattempo è subentrato il lavoro associato dell’industria e si sono formate le prime associazioni di lavoratori (in Inghilterra le Trade Unions), che acquistano forza di fronte al padronato.
Lo stato sociale si forma attraverso un insieme di leggi e di pubblici servizi che si stabiliscono nel tempo: leggi che garantiscono il lavoro, la sua stabilità, la dignità del suo reddito (il salario minimo garantito), la dignità delle sue condizioni, i limiti della giornata e settimana di lavoro; che garantiscono l’istruzione obbligatoria e gratuita di tutti i cittadini; garantiscono l’assistenza sanitaria e la previdenza per quando il lavoro cessa. Ed è così che nel corso di circa un secolo la condizione popolare muta profondamente, e in certa misura si capovolge: in dignità del lavoro, dignità del reddito, istruzione (anche se non ancora cultura), assistenza e previdenza, benessere.
Lo stato sociale è insieme uno stato dei servizi, che sono anzitutto quelli già detti: il servizio formativo e scientifico con tutta la sua rete di scuole e di università, d’istituti di ricerca; il servizio sanitario con la sua rete di ospedali, ambulatori, medici personali e di famiglia; il servizio previdenziale. Ma molti altri servizi si sviluppano con l'intento di offrire prestazioni al popolo a prezzi ridotti e a tutti attingibili: servizi di acqua, di energia; servizi ferroviari, stradali, marittimi, aerei; servizi di trasporto urbano e interurbano; servizi di telefonia, telegrafia, radio, televisione, rete. Lo stato dei servizi è una forma fondamentale della democrazia, cioè della tutela e promozione che è lo scopo della cessione di diritto che la costituisce, e che ad essa consegue.
Lo stato dei servizi dev'essere il più possibile tutelato, in particolare contro l’assalto del capitale che mira ad impadronirsene per farne una importante fonte di profitto; contro la teoria economica dello «stato minimo», che domina la modernità, e la cui matrice è capitalistica; contro l’ideologia delle privatizzazioni che a tutto questo consegue, e cui anche partiti socialdemocratici soggiacciono. I fondamentali servizi che lo stato democratico ha creato affinché tutti ne potessero usufruire, e che costituiscono una ridistribuzione della ricchezza a vantaggio del proletariato, non devono diventare fonte di profitto per il capitale privato. Lo stato dei servizi dev'essere gestito con competenza, dinamismo, onestà, sobrietà; non deve diventare il terreno operativo di una burocrazia oziosa e parassitaria, di un pubblico spreco. La burocrazia dev'essere formata ad un sommo rispetto del bene pubblico, che è il bene di tutti.
Suo universalizzarsi
Il 1848 può considerarsi l'anno i cui inizia il generalizzarsi del modello democratico con l’introdursi in alcuni stati europei della costituzione o legge fondamentale, che fonda tutto l’impianto legislativo; e del parlamento come organo della legge – e cioè nella stessa Francia della restaurazione, nel Regno delle Due Sicilie, nel Piemonte, a Vienna, Berlino, Budapest –. Il 1848 è considerato l’anno della Rivoluzione europea; anche se in alcuni di questi stati o imperi vi sarà un riflusso di assolutismo; non destinato però a durare. Del resto gl’imperi continentali cadranno con la Prima guerra mondiale (l’asburgico, il prussiano, il russo, l’ottomano; il cinese era caduto nel 1912 con la rivolta di Sun Yat-sen; il giapponese cadrà nel ‘45). Ci sarà il breve, anche se feroce intermezzo delle dittature fasciste; quello un po’ più esteso (circa 70 anni) delle dittature comuniste; dopo di che l’intera Europa sarà democratica. Così come il Nordamerica, essendo caduti anche gl’imperi coloniali; mentre il Sudamerica sarà travagliato da dittature varie.
Il modello democratico s’impone definitivamente in Occidente ma è universale, universalmente umano, destinato perciò all’umanità intera. Come già dicevo, il diritto e potere dello stato, potere vincolante e coattivo della legge, si genera da una cessione di diritto della persona umana che, in quanto dotata di autodominio – dominio di sé e dell'azione e di quanto dall'azione promana, azione creativa e fattiva – s’impone ad ogni altra, ogni persona ad ogni persona, e in tal senso la vincola; è questo lo statuto originario del diritto. E da questo diritto si genera, per una cessione ordinata alla tutela e promozione della persona stessa, il diritto dello stato. Che dunque ha come principio e soggetto, e quindi detentore, il cittadino, il popolo. È la sovranità popolare, il popolo sovrano; il potere di popolo, la democrazia. È l'unica forma legittima di stato; ogni altra è prevaricatrice, lesiva del fondamentale diritto della persona, di ogni persona: monarchia, aristocrazia, oligarchia, dittatura; ierocrazia: tutte forme della prevaricazione, dell’oppressione. In Occidente come in Oriente, al Nord come al Sud del Pianeta, ovunque vi siano esseri umani.
Isonomia, la legge per tutti eguale e in cui tutti sono eguali, «il nome di tutti più bello», dice Otane, nella discussione tra maggiorenti persiani sulla migliore forma di stato, in Erodoto. Democrazia, il potere riconosciuto al popolo, «la costituzione che è un modello per gli altri», dice Pericle nel famoso discorso ai funerali dei caduti, in Tucidide. Democrazia, la forma retta dalle leggi che garantiscono l’eguaglianza, il diritto, la sicurezza dei cittadini; mentre le altre forme sono rette dall’arbitrio, dice E schine (Erodoto, II, 80, 6; Tucidide, II, 37, 40; Eschine, Agorà, XV, 17, 43-64).
Punti per il futuro della democrazia politica
Si è visto dunque che la storia della democrazia di finora è breve: appena tre secoli, tre secoli e mezzo; mentre i millenni della storia umana sono dominati da quel «blocco della società ingiusta» al cui vertice sta il dispotismo, sta l’arbitrio di un solo o di una minoranza che tutto domina. La democrazia ha innanzitutto bisogno di espandersi e permeare per intero quell’umanità di cui è prerogativa e diritto. La condizione fondamentale per questa espansione è la crescita umana del suo popolo, la sua crescita al livello storico della cultura e del bisogno; crescita coscienziale e culturale, crescita economica; in cui possa esprimersi ed espandersi la dignità della persona, affermarsi il suo diritto. Mentre la condizione di povertà la blocca nell'assillo del bisogno, nella ricerca quotidiana di soddisfazione del bisogno primario. Perciò l'espansione della democrazia sembra esigere anzitutto la redenzione della povertà popolare; povertà e ignoranza e disinformazione. Ciò spiega le difficoltà della democrazia in America Latina, e ancor più in Africa.
Nella costellazione islamica permane un’impostazione teocratica in cui la coscienza politica popolare ha difficoltà a liberarsi; dal profeta-signore, dal califfo, il «successore» di lui come lui, dall’imam capo religioso e politico, dalla commistione dei due poteri (si veda il Trattato delle opinioni degli abitanti della città ideale di Al-Fārābi, tr. fr., Paris 1990). Nei paesi comunisti a modello sovietico permane quella dittatura di partito che ha sostituito la dittatura del proletariato (magari appaiata ad un capitalismo economico, come nell’ibrido regime cinese); e che può implodere come è implosa nell’URSS; ma resta il problema della maturazione popolare.
L'indifferenza e insensibilità popolare; o l’ignoranza-disinformazione-soggiacenza mediatica, quella che è stata segnalata dai demoscopi italiani nel successo del populismo berlusconiano, quando hanno indicato il suo preminente elettore nella «casalinga di Voghera». E però troviamo un fatto analogo nell'elezione di Bush Jr negli Usa, in quella di Reagan, nell’elezione di Schwarzenegger in California; il fatto che nelle elezioni presidenziali statunitensi prevalgano personaggi mediocri. Un grave problema di formazione o riformazione adulta. La diffusa indifferenza per il fatto politico, e in particolare l’astensionismo elettorale, è in parte già stato spiegato sia con lo scarso esercizio della sovranità popolare, con l’appropriazione dello stato da parte della partitocrazia, sia con la povertà e l’ignoranza. Così per i neri e i latini negli Usa; in Italia per il divario tra Nord e Sud.
Interviene qui il problema della formazione politica del cittadino, le carenze della scuola su questo punto, come già prima nella formazione della persona; l’erroneo impostarsi della scuola come fatto d’istruzione anziché di formazione. La formazione della persona nella sua dignità e nel suo diritto è un compito globale che deve improntare tutta l’attività scolastica. La formazione del cittadino vi dev’essere pure presente sempre, ma deve anche costituire una particolare disciplina; poiché si tratta di conoscere lo stato, la sua storia, la democrazia come unico modello politico legittimo, il suo retto articolarsi come la sua retta funzione, il proprio compito in essa, il compito di ciascuno. La formazione politica dell’adulto è di gran lunga più problematica. La legge dovrebbe affidarla ai comuni come impegno ad istituire corsi serali e domenicali, corsi intensivi, corsi per corrispondenza, con attestato finale, mirando ad essere realmente pervasivi. Volontari possono essere mobilitati per prendere contatto con le famiglie. Anche i partiti, il cui compito autentico è l’organizzazione della politicità e attività politica popolare, dovrebbero impegnarsi in questa formazione; e non al solo scopo di raccogliere consensi. L’esercizio della sovranità popolare può essere incentivato in più punti. Anzitutto con elezioni primarie generalizzate in cui gli elettori scelgono i candidati. Ogni tornata elettorale, di ogni tipo, dev’essere preceduta da elezioni primarie; la scelta dei candidati diventa prerogativa popolare; i partiti hanno una prerogativa di presentazione ma non esclusiva, ogni cittadino può presentarsi ed essere scelto.
L’altro punto è il mandato imperativo, di cui si è detto. Si tratta di reintrodurlo, in termini non perentori, supponendo sempre un più ampio mandato nazionale. E però rendendo l’eletto responsabile per tutto il suo operato di fronte al collegio che lo ha eletto; da cui riceve anche un mandato collegiale, per problemi che concernono il collegio, i suoi comuni, la provincia, la regione. Ma il punto importante è che questa responsabilità si esplica in incontri mensili nel collegio stesso, cui tutti gli elettori sono tenuti a partecipare, e in cui si sviluppa una discussione sull’attività politica dell’eletto, del parlamento o consiglio, del governo. Si sa che attualmente gli eletti sono sì responsabili di fronte alla nazione, che però diventa un’entità astratta e si traduce in un’irresponsabilità generale. Vi sono parlamentari assenti per oltre il 50% dalle sedute, fino ad oltre il 90%. Un fatto abnorme. Col mandato imperativo questo non potrà più accadere. Ma soprattutto l’incontro mensile potrà sollecitare mirabilmente l’interesse popolare e condurre a forme intense di formazione politica e di partecipazione. Perché poi l’eletto viene giudicato dai suoi elettori; e soprattutto sarà sottoposto ad un giudizio finale, di approvazione o di condanna, che potrà precludergli la rielezione.
Questo punto della rielezione è tuttavia problematico. Si è parlato dei leader di partito che siedono in parlamento per una vita intera; degli Andreotti, dei D’Alema; ma questo avviene ovunque. È certo un fatto abnorme. Si ritiene che i leader politici debbano sedere in parlamento, il segretario, il vice-segretario, i capicorrente, gli ex-premier, gli ex-ministri ecc. Si forma così una classe politica che non si rinnova, una classe abitudinaria, e che invecchia; una classe di detentori abusivi del potere popolare, anche se rieletti.
Bisogna ricordare qui la sollecitudine ateniese a che la mansione politica non venisse appropriata da nessuno ma fosse il più possibile disponibile a tutti; perciò l’annualità delle magistrature, e la non-rieleggibilità. Una concezione severa e forte del potere popolare. Analogamente l’elezione al parlamento come ai diversi consigli dovrebb’essere per una sola legislatura, e non rinnovabile. Che nessuno s’impadronisca del potere popolare. D’altro canto in tutta l'amministrazione statale a nessuno dev’essere consentito il doppio o triplo incarico (magari con doppio o triplo stipendio); come ora avviene. Una riforma profonda s’impone qui e la Sinistra, cioè il partito del popolo – mentre la Destra è il partito dell'élite di ricchezza e potere – deve impegnarvisi.
Questa ripresa del potere popolare, con le elezioni primarie e col mandato imperativo, riduce la partitocrazia; e anche il mandato unico la riduce. V’è però anzitutto un fatto di coscienza, di retta comprensione del proprio compito: come servizio del popolo che si rappresenta, servizio della nazione. Un cittadino che adempie un servizio ai suoi concittadini. Un abito di modestia, di sobrietà. la consapevolezza che il compito è complesso e difficile, che si è lungi dal saperlo adempiere in misura adeguata. L’uso parco del denaro pubblico, quando si sa che lo stato sociale e i servizi esigono un grandioso impiego di mezzi, sì che la parità di bilancio – o anche solo il contenimento del debito pubblico – diventano un obiettivo di enorme impegno.
Sì che il profilo del politico si delinea in una persona che è lungi dall’essere tale per professione; riceve l’incarico per un periodo di tempo breve, quattro cinque anni, sa che il potere non è suo ma del popolo, e per il popolo in quel tempo lavora. Una persona intelligente e competente, ma profondamente modesta nella sua provvisorietà; e altrettanto sobria. Una persona consapevole che, per ciò stesso che rappresenta il popolo e opera per la nazione intera, sa che il suo comportamento dev'essere esemplare.
Perciò non devono poter entrare in parlamento e nei consigli e nelle altre magistrature persone indiziate di reato, che hanno ricevuto l’«avviso di garanzia». L’esemplarità dev’essere la più alta. E chi viene indiziato deve lasciare l’incarico. L'autorizzazione della Camera cui si appartiene, richiesta dalla Costituzione per i membri del parlamento (art. 68), è diventata strumento di gravi abusi e dovrebb’essere tolta: il parlamentare è un cittadino tenuto ad un comportamento ineccepibile, la procedura verso di lui dev’essere anche più severa.
Democrazia e capitalismo
La democrazia moderna, quella definitiva e universale in cui noi viviamo, nasce insieme col capitalismo, con la borghesia (in senso stretto, come detentrice del capitale) che lotta per quelle libertà politico-economiche che sono indispensabili alla sua attività imprenditoriale. Lotta e – lo si è visto – egemonizza le rivoluzioni moderne facendo della democrazia che ne nasce un potere del popolo possidente. Rivoluzioni nelle quali pure il popolo lavoratore lotta ancor più decisamente, sino a costruire, col suffragio universale, un potere di popolo globale, almeno formalmente, e uno stato sociale in cui i suoi fondamentali diritti sono riconosciuti, i suoi fondamentali bisogni possono essere soddisfatti.
Resta tuttavia una profonda contraddizione, e una condizione di profondo disagio e sofferenza. Una democrazia, un potere di popolo in cui la maggior parte del popolo si trova in condizione di semi-schiavitù, semi-servitù, soggiacenza al capitale: condizione di dipendenza nel lavoro, di scarsità salariale, di sfruttamento in cui si accumula la ricchezza dei pochi; di precarietà perché il posto di lavoro non è sicuro – precarietà del lavoratore, precarietà della famiglia –. Spesso è un contratto a termine, un part time, un lavoro stagionale, un lavoro cosiddetto flessibile (l’eufemismo mendace, quello della legge Biagi in Italia, che nessun politico ha ancora abrogato, nessun gruppo politico di Sinistra o Centro che sia, nessun parlamento eletto dal popolo). Spesso l'impresa fallisce, chiude, delocalizza, se ne va altrove dove può sfruttare meglio gente più povera. Il paradosso.
Poi le crisi, le indegne speculazioni di borsa cui nessuno ha ancora pensato di porre rimedio; in cui gli speculatori possono vendere e poi ricomprare anche ciò che non hanno, possono speculare anche sul nulla. Poi i debiti sovrani accumulati dagli sprechi e dall'inettitudine di politici sempre benestanti, o magari anche ricchi sfondati, eletti dal popolo povero e ignorante e disinformato, popolo ingannato dai potenti. Infine la povertà, non quella dei clochard che sono solo una piccola frangia, ma quella di milioni di persone il cui reddito è meno della metà del reddito medio, e che stentano la vita: 46,2 milioni in Usa che si dice sarebbero il paese più ricco del mondo (nel 2010 sec. il Census Bureau), 8 milioni in Italia.
Che cos'è allora questa democrazia, questo potere di popolo? in che consiste questo potere? in quel gesto che compie ogni quattro cinque anni, quel misero gesto del voto in cui elegge gente che poi non affronta nessuno di quei problemi? Forse dovrebbe essere più saggio il popolo sovrano, e dare quel voto a gente che lo gestisca veramente per la sua tutela e promozione. Alla Sinistra, certo non alla Destra e agli pseudomoderati del Centro; ma esiste oggi una Sinistra veramente popolare? non inquinata da ideologie capitalistiche e liberiste di vario tipo? è mai esistita? – non parliamo della pseudosinistra del modello sovietico e dei partiti comunisti che le erano legati –; e che può fare contro la potenza del capitalismo?
Una Sinistra che gestisca il denaro pubblico con sobrietà, sì da evitare gli sprechi e contenere il più possibile il debito? che, attraverso una gestione attenta e oculata dei posti di lavoro come dei redditi e della ricchezza, assicuri un lavoro stabile a tutti i cittadini? che assicuri a tutti un reddito minimo garantito di buona entità? Certo che se avesse le mani sulla ricchezza globale del paese e potesse ridistribuirla secondo equità, potrebbe risolvere questi problemi, e assicurare a tutti un reddito dignitoso in rapporto al livello storico dei bisogni e della cultura.
Ma la ricchezza sta nelle mani del capitale, i beni di produzione, i profitti, l’accumulo sempre crescente dei beni d’uso, della rendita, della finanza. Può la legge di un paese riuscire nella distribuzione dei profitti e della ricchezza? quando l’ideologia liberista domina ancora nel mondo? quando un paese come gli Usa è pervaso di liberismo, anziché di socialità e solidarietà? dove perfino l’istituzione di un servizio sanitario nazionale è stata un’impresa di grande difficoltà, osteggiata dal partito repubblicano come una follia socialista; sì che neppure ha potuto adempiersi e 50 milioni di persone ne sono rimaste escluse?
Ma poi capitalismo significa in ogni caso per il popolo lavoratore dipendenza nel lavoro, dipendenza nel reddito, sfruttamento, e ciò contrasta con la sua dignità di sovrano, la sua dignità di persona; significa discriminazione di ricchezza e povertà, e ciò è contro quella stessa dignità, e contro il principio di eguaglianza nella dignità e nel diritto. Il problema può essere risolto solo con la riappropriazione in solido del capitale da parte della comunità di lavoro, quindi con l’autopossesso e l’autogestione dell’impresa da parte di essa, e con l’equa distribuzione dei profitti nella comunità stessa. Solo col passaggio dal capitalismo, dall’individualismo ed egoismo capitalista, alla società solidale. Dove allora sì, il popolo è davvero sovrano.
Sul futuro della democrazia sociale e della democrazia come tale
L'umanità sta costruendo una società di giustizia. Questa ricomprensione dell’utopia, cioè del progetto dell’umanità e della storia umana, è stata introdotta all’inizio di questo discorso, sia pure in termini essenziali. La democrazia è il primo modello impostato in questo processo costruttivo, anzitutto nella sua parte politica, poi in quella sociale; altrove, anzi, per la parte sociale, ho parlato di un secondo modello, che però il discorso qui fatto riconduce al primo, cioè alla realtà e reale consistenza di un popolo sovrano che con la cessione di diritto ha costituito lo stato per la sua tutela e promozione. Il potere di popolo si stabilisce sì per la legge e la gestione della città nella legge; ma lo scopo di questa è la promozione in cui si realizza la sua dignità di persona umana, la sua ricca potenzialità di micro e macrocosmo, la sua vitalità e creatività, il suo benessere e la sua gioia di vivere. Cose tutte che a lungo gli furono radicalmente negate; e che anche oggi, pur nel riconoscimento della sua dignità, dei suoi diritti, della sua sovranità, il popolo nella sua globalità stenta a possedere.
Il modello democratico è stato impostato ma fatica a costruirsi; è ancora molto limitato e rozzo, anche in quelle che si considerano e vengono riconosciute come democrazie, o anche grandi democrazie. Il cammino da compiere è enorme; in particolare ha contro di sé la potenza del capitalismo e la sua diffusa e penetrante ideologia. Possiamo dire che tre grandi obiettivi s'impongono.
- Il primo e più ovvio è la purificazione della democrazia mediata e parlamentare, l’incentivazione in essa della coscienza politica popolare, delle presenza e dell’azione di popolo. Nei modi indicati e in altri.
- Il secondo è l’eliminazione del capitale attraverso la riappropriazione delle imprese al lavoro, l’autopossesso e l’autogestione dell’impresa da parte della comunità di lavoro; e con essa la ridistribuzione della ricchezza, la fine della discriminazione di ricco e povero. Il compito che assunse la Rivoluzione russa, la terza delle rivoluzioni moderne; e che mancò tramutandosi in una oligarchia di partito e in una dittatura; in un regime oppressivo, totalitario. Una tragedia per l’umanità, che così mancò il grande obiettivo. Un compito duro, di enorme portata. Ma anche l’aristocrazia, il ceto egemone che precedette la borghesia, e che per millenni dominò e oppresse l’umanità, si è estinta. Si rivela qui la potenza dell’evento storico, del processo di liberazione.
- IL terzo è la democrazia diretta, l’adempiersi del potere di popolo, che fa la legge e gestisce la città. Modello esemplare sempre presente nella storia e tensione umana. Così nella lotta secolare della plebe romana, nei comuni medievali; in Winstanley e nella Costituzione francese del 1793 come promulgazione popolare della legge; e ancora nella Comune di Parigi del 1871, e nella Grande Contestazione degli anni 1960-70. In momenti alti della progettualità popolare.
L’obiezione che sempre si fa alla democrazia diretta è la grandezza degli stati come delle città e metropoli. Ma si sa che il grande si compone dal piccolo: le grandi città e metropoli sono articolate in quartieri e dal quartiere, come dal comune più piccolo, può partire l’autogestione assembleare. Del resto anche ad Atene l’assemblea aveva un consiglio che ne istruiva le riunioni e curava poi l’adempimento della legge e del decreto attraverso le magistrature. Ma anche in questo l’umanità «troverà la sua prassi», come diceva Engels a proposito della famiglia del futuro.
La nostra fiducia ed attesa sta appunto nell’umanità e nella sua tensione etica – «uomo sii giusto, costruisci una città giusta» – quindi nel processo di umanizzazione in corso lungo tutta la sua storia, nella stessa fase del «blocco della società ingiusta»; nel processo di costruzione di una società di giustizia ormai in atto da tre secoli. Un processo che continua sempre, avanza sempre, anche se la sua linearità è solo globale: presenta delle soste, delle svolte, fors’anche degli arretramenti parziali.