I Dieci Comandamenti

Ottavo Comandamento


8) Non rubare


Commento:

L'ottavo comandamento rientra in quei precetti indispensabili per avere la vita eterna. Si legge nel Vangelo di Matteo: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19,17-19).

Il comandamento di non rubare è fondato su un principio che scende nell'intimo: "Non desiderare la casa del tuo prossimo... né alcuna delle cose sue" (Es. 20,17). Si tratta di una legge spirituale, che mira all'anima, sorgente dei pensieri e dei propositi. Secondo la frase del Signore: "Dal cuore partono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adultèri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze" (Mt.15,19). La giustizia deve essere, amata, vissuta nell'intimo del cuore, perché sia vissuta anche nelle opere. Occorre amare la giustizia per essere giusti. Il comportamento usuale di questo tempo, autorizza ad approfittare dell'ingenuità, debolezza, distrazione del prossimo per imbrogliarlo, al solo scopo del massimo guadagno economico.

Il rubare è propriamente un impossessarsi delle proprietà altrui contro la ragionevole volontà del padrone ed è un'offesa alla giustizia e, ancor più, alla carità. Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Il furto si può perpetrare in molti modi. Quello per eccellenza è la rapina, ma ci sono anche altre forme meno comuni come il non osservare pienamente i contratti, le convenzioni, gli obblighi professionali, sia con frode o per negligenza, sia per imperizia. Particolarmente facile è la tentazione quando si tratta di contratti commerciali, compra-vendite, locazioni, o di contratti professionali come ad esempio quelli per cure mediche o di avvocati.

Commettono furto anche quelli che carpiscono denaro con parole finte e simulate, o con falsa mendicità; anzi il peccato di costoro è più grave, perché aggiungono al furto la menzogna. Anche quelli che non danno la giusta paga dovuta agli operai, impiegati e dipendenti sono rapinatori e San Giacomo li invita alla penitenza con queste parole: "Piangete, o ricchi, ululando sulle sciagure che vi piangeranno addosso" (Gc 5,1).

Il furto non è solo di cose, di denaro, di proprietà, di lavoro. Esso può anche riguardare il pensiero, la libertà, il cuore, la fede, la pace, l'amore. Così, è furto levare l'onore a un uomo, la dignità a una donna, la tranquillità a un familiare, la fede a un credente, l'innocenza a un bambino, la paternità o la maternità a un nato, la speranza a un anziano, la moglie a un marito, l'affetto a un bisognoso.

Il pentimento implica la restituzione del mal tolto ed è l'unica garanzia del perdono di Dio. Non soltanto chi ha commesso il furto deve restituire il maltolto a chi ha derubato, ma anche tutti coloro che hanno partecipato al furto sono obbligati alla restituzione. Chi, potendo restituire il mal tolto non ridà, non può illudersi di essere perdonato del male fatto e di ottenere il perdono divino della sua colpa.

"Chi rubava, ormai non rubi più; piuttosto lavori operando con le proprie mani quel che è buono, per avere di che dare il necessario a chi soffre" (Ef 4,2-8). Esclama il profeta Amos: "Ascoltate, voi che calpestate il povero e fate perire i miseri della terra dicendo: Quando passerà il mese e venderemo le mercanzie? Allora potremo diminuire la misura, aumentare il siclo e usare stadere ingannevoli" (Am 8,4-5).

Se abbiamo fatto un male a qualcuno, Dio ci ordina di riparare come possiamo al danno arrecato e di non farlo più. In questo modo otteniamo perdono dal Signore, perché, c'è vero pentimento, solo quando c'è buon proponimento. Così fece anche Zaccheo: "Se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto" (Lc 19,8).