I Dieci Comandamenti

Decimo Comandamento


10) Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo


Commento:

Questo comandamento riguarda l'intenzione del cuore e quindi riassume tutti i precetti della Legge. San Paolo afferma: "Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste" (Gal 5,16-17).

"La lucerna del corpo è l'occhio. Quando il tuo occhio è semplice, anche tutto il tuo corpo è luminoso; ma se è cattivo, anche il tuo corpo è tenebroso. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra"
(Lc 11,34-35). Il desiderio precede sempre l'azione, come la volontà precede sempre l'opera, specialmente nel campo sentimentale: il desiderio, se accettato dalla mente, difficilmente può essere bloccato. Occorre quindi imporsi di non volere e cercare di avere a tutti i costi ciò che non ci appartiene. La prudenza, se messa in atto, ci aiuta a non sbagliare.

Questo comando si collega al settimo, nel quale è condannato l'adulterio. Se, infatti, è peccato prendere la moglie di un altro, è peccato anche il desiderio di prenderla, poiché il voler compiere un'azione è appena di poco inferiore all'azione compiuta.

Il comandamento ci impone di non desiderare la moglie del nostro prossimo. Molto spesso si passa dallo sguardo al desiderio, poi alla seduzione, all'accordo e infine all'atto. Come fece il re Davide con Betsabea, moglie di Uria. "Un pomeriggio Davide alzatosi dal letto, passeggiava sulla terrazza della reggia, quando vide dall'alto della terrazza una donna che si lavava. La donna aveva un aspetto molto bello. Davide mandò a prendere informazioni sulla donna e gli fu risposto: è Betsabea, figlia di Eliàm, moglie di Uria l'Hittita. Davide mandò messaggeri per prenderla. Lei andò da lui ed egli dormì con lei, che si era appena purificata dalla sua immondezza; poi fece ritorno a casa sua. La donna concepì e mandò a informare Davide: Sono incinta" (2 Sm. 11). Davide inviò poi Uria sul fronte della battaglia più dura affinché fosse ucciso e così avvenne. Il Signore gli mandò a dire attraverso il profeta Natan: "Ma ora non si allontanerà mai più la spada dalla tua casa".

Il Signore ci comanda di "non desiderare" perché conosce le nostre debolezze e il confine tenue tra desiderio e volontà. Non solamente l'atto compiuto, ma anche il desiderio di esaudirlo è peccato, perché s'inizia col desiderio, poi si prosegue con la seduzione, poi si esegue l'atto. Da uno sguardo impuro subentra la malizia nella mente che eccita, attraverso la fantasia, le brame del corpo; per questo occorre essere prudenti, casti e semplici come i bambini. Il desiderio non è una colpa quando è buono e non offende nessuno. Dio vuole che impariamo a cercare il vero bene, la vera bellezza, la vera felicità, il vero amore. Il vero amore non è mai egoistico e ristretto, bensì generoso e aperto. Il vero amore non si costruisce nel ricevere, ma nel dare.

L'obiettivo del comandamento è la fedeltà reciproca tra uomo e donna nel matrimonio, la loro fedeltà sarà completa solamente se sapranno essere fedeli l'uno all'altra nel pensiero e nel desiderio, e sapranno giungere a una trasparenza totale tra di loro. L'ammonimento di Dio si rivolge ai desideri legati non alle necessità ma all'invidia, all'ingordigia del possesso, all'avidità, alla cupidigia, che portano di conseguenza all'infelicità, all'odio e a coltivare la mala pianta dell'egoismo e della superbia. Tutto ciò porta lontano dall'amore e da Dio.

È importante saper apprezzare quello che gli altri hanno perché ci fa sentire umili, stimola la collaborazione e ci fa essere soddisfatti di quello che Dio ci ha dato. L'invidia è la porta verso l'infelicità, in quanto stimola enormemente il desiderio di possedere tutto ciò che hanno gli altri. La rabbia si scaglia allora verso il destino e verso Dio. "Perché non posso avere ciò che hanno gli altri più di me?". Sembra un'ingiustizia grave, un'offesa per quello che riteniamo giusto avere e l'orgoglio ferito, geme. La mente, ossessionata dalla gelosia, non si ferma su quello che già abbiamo e che, talvolta, è veramente tanto, così, il germe sottile dell'invidia ci toglie ogni serenità e gioia. Allora ci si dimentica di ringraziare Dio per tutto ciò che ci ha donato, ignorando che un giorno dovremo rendergli conto. Occorre ricordare che l'invidia è provocata dal desiderio smodato dei beni altrui, con la volontà di appropriarsene con mezzi illeciti e talora violenti.

Il desiderio quando è buono e onesto, è una fonte di energia e di progresso per la vita. Dio ci raccomanda solo di non desiderare a tal punto le cose degli altri da volercene appropriare ingiustamente. Ci invita a non desiderare il male che porta al peccato e che rovina la nostra anima. Occorre sempre vigilare con la ragione e la volontà su ogni desiderio perché potrebbe trasformarsi in avidità e in cupidigia. Non bisogna voler appropriarsi dei beni degli altri, perché le cose materiali sono il mezzo della vita, non il fine. Il corpo è a servizio dell'anima, non l'anima a servizio del corpo. Chi desidera avidamente le cose del suo prossimo, si lascia prendere dagli affanni della vita e dimentica il grande valore della povertà. L'esaltazione della ricchezza e dell'apparenza inquinano il cuore dell'uomo, così come, l'indifferenza e la superbia, procurano nel mondo e nelle case sofferenza e divisione.

Gesù ci ammonisce: "Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarlo e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarlo né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché, dov'è il tuo tesoro, la sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,19-21); e San Paolo aggiunge: "L'avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti" (1 Tm 6,10).

Guai a chi è avido e ingiusto, che per ingordigia toglie di bocca il pane ai propri fratelli portando via il necessario della loro vita. Arriverà il giorno che ne dovrà rendere conto al Signore, già sapendo che Dio non sopporta l'avido e il corrotto.