Nuvo Testamento T.I.L.C.

Traduzione Inreconfessionale in Lingua Corrente

Allegati


4 secoli per arrivare alla traduzione TILC

La diffusione della Bibbia in Italia risente della situazione religiosa e culturale del nostro Paese, situazione che si è formata nel corso dei secoli e che, pur con i notevolissimi cambiamenti avvenuti nella società e nella stessa Chiesa in questi centocinquanta anni, estende i suoi effetti negativi fino a oggi.

Prima dell'Unità d’Italia
Col concilio di Trento, alla metà del Cinquecento, la Bibbia di fatto scompare dalle case degli italiani per circa quattro secoli1. Da allora le due traduzioni principali che avevano cominciato a circolare (Malermi 1471 e Brucioli 1532) sono state considerate fuorilegge, utilizzabili solo con particolari permessi. La versione latina Vulgata rimase come l’unica versione accettabile.

Da allora, e per due secoli, nessuna Bibbia in volgare ha avuto il permesso di essere pubblicata in Italia. È solo il catechismo che, dal concilio di Trento e per i secoli successivi, è per la gente comune la sola fonte, controllata e mediata, per la conoscenza di Dio. La Chiesa si mise decisamente tra Dio e gli uomini.

La vita di Gesù è ridotta quasi esclusivamente a ubbidiente contemplazione mistica, ascetica dei suoi ‘misteri’. La Bibbia, insomma, è fatta conoscere solo molto parzialmente e attraverso un’imponente mediazione del clero. Fecero “semi-eretiche” eccezioni Antonio Rosmini (1795-1855) che trovò nella lettura scientifica della Bibbia una delle fonti principali del suo pensiero e Giovanni Bosco (1815-1888), convinto del valore morale e educativo delle Scritture, fonte di vita spirituale e sollecitazione a riportare Dio tra la gente comune.

In seguito alle disposizioni di Papa Benedetto XIV, che espresse l’auspicio di una traduzione della Bibbia in italiano (1757), monsignor Antonio Martini, arcivescovo di Firenze dal 1781, scrisse una traduzione della Vulgata con spiegazioni teologiche, storiche e pastorali; diffusione che durò dall’Ottocento fino agli inizi del Novecento, anche se formalmente condannata da Pio VII (1820).

I pochi protestanti italiani fecero riferimento alla versione di Giovanni Diodati (1676-1649), professore all’Accademia di Calvino, pubblicata a Ginevra in prima edizione nel 1607, con molte note esplicative e più volte revisionata; sempre importata dall’estero ma mai stampata in Italia prima dell’Unità.

La Società Biblica Britannica e Forestiera (SBBF)
La Società biblica britannica pubblicò più volte il Nuovo Testamento del Martini, senza note: già nel 1817 furono stampate a Torino 1.000 copie e a Napoli 5.000 copie; nel 1849 a Firenze altre 3.000 copie, poi requisite per ordine del Granduca; finirono in parte bruciate, in parte vendute di nascoto. Successivamente pubblicò la versione Diodati e la diffuse nelle piccole quantità concesse dai tempi, dapprima con il beneplacito del vescovo di Messina (1812), ma presto, alla Restaurazione, la diffusione fu vietata. In segreto dunque le Bibbie cominciarono a penetrare in Italia da Londra, Malta e Gibilterra, ma anche da Basilea, finché non ne furono stampate alcune parti a Torino, a Napoli e poi a Livorno; quindi trasportate, specie via mare, nei consolati inglesi di Nizza, Genova, e Messina e fino a Trieste. Ma questa attività di divulgazione di origine inglese, fu vista con sospetto e considerata da Metternich uno dei fattori di «disordine» nell’Europa della Restaurazione o «un impegno diabolico» per il cardinale Consalvi.

Condanna delle società bibliche
Le società bibliche vengono dunque condannate apertamente in una serie di encicliche e lettere papali della prima metà dell’Ottocento da Pio VII (1816), da Pio VIII che nella Traditi humilitati (1829) si esprime contro «quelle Società che pubblicano nuove traduzioni dei libri santi», e a Gregorio XVI che nell’enciclica Inter praecipuas machinationes (1844) scriveva «condanniamo nuovamente con autorità apostolica tutte le Società bibliche […] si fanno rei di gravissima colpa innanzi a Dio e alla Chiesa tutti coloro che ardiscono iscriversi a qualcuna di queste Società o collaborare con esse o favorirle. Confermiamo inoltre e rinnoviamo con autorità apostolica le già antecedenti prescrizioni circa lo stampare, divulgare, leggere o tenere i libri delle sacre Scritture tradotti in volgare»; coloro che le diffondono «benché si professino alieni dall’eccitare sedizioni civili, pur confessano che dal rendere comune ad ognuno del popolo l’arbitrio di interpretare le Scritture e dal diffondere così fra gli italiani quella che essi chiamano totale libertà di coscienza, ne verrà spontaneamente anche la libertà politica dell’Italia».

La conoscenza diretta delle Sacre Scritture faceva correre il rischio alla Chiesa di averne ripudiato la mediazione e quindi il suo magistero così che Pio IX rincarò la dose affermando nella Qui pluribus (1846) che le «astutissime Società Bibliche, rinnovando l’antica arte degli eretici, traducono le Sacre Scritture nelle lingue volgari, contro le più sante regole della Chiesa […] distribuendole a tutti affinché tutti, respinta la divina tradizione […] e l’autorità della Chiesa cattolica, interpretino a loro arbitrio le parole di Dio», condannandone nuovamente l’attività: “damnatas esse volumus”.

Tuttavia a Roma, durante la Repubblica romana, quale segno di libertà religiosa e civile da parte di un pastore francese (Theodore Paul), furono stampate 4.000 copie della Diodati. Questa edizione fu presentata a Mazzini, che sentiva nel Vangelo «un mormorio di fratellanza universale» e fu iniziata la distribuzione. Ma alla restaurazione pontificia del 1814 (che seguì alla caduta di Napoleone e riportò i pontefici sul trono dello Stato della Chiesa) le 3.600 copie ancora in deposito presso il console americano Nicholas Browne furono subito sequestrate e bruciate in un cortile interno del Vaticano. Libertà politica e fede evangelica, che nella Repubblica erano fiorite insieme, insieme furono represse. Negli anni immediatamente precedenti all’Unità, la Bibbia, considerata foriera di rivendicazioni di libertà religiosa e di diritti costituzionali, è al bando, vietata per legge e ricercata dalla polizia fin nelle case dei privati per essere sequestrata.

Dal 1861 al 1900
Con la proclamazione dell’Unità d’Italia e l’estensione dello Statuto albertino a tutto lo Stato, la situazione, da un punto di vista giuridico, venne modificata, rimanendo però un fatto di costume la repressione degli editori della Bibbia (anche negli anni successivi all’Unità si registrano ancora processi contro la diffusione della Bibbia), testi che nonostante tutto avevano cominciato a girare per ogni angolo d’Italia.

La resistenza della Chiesa alla pubblicazione della Bibbia fu ulteriormente riaffermata da sillabo del 1864 che condannava come errori le richieste del mondo moderno, tanto che il concilio Vaticano I (1870) affermò che «non è lecito a nessuno interpretare la Sacre Scrittura contro il senso indicato da santa madre chiesa» inasprendo così la tensione tra laici e clero.

Porta Pia
Il 20 settembre 1870 l’esercito italiano entrava in Roma sconfiggendo a Porta Pia l’ultima resistenza pontificia e due anni dopo, nel 1872 fu fondata la Società Biblica Italiana che pubblicò per la prima volta in Italia la Diodati, ma dopo il primo momento di entusiasmo la Società non ebbe il successo che si poteva sperare e conobbe breve durata. Tuttavia con la caduta del potere temporale non vi fu un’ondata di risveglio spirituale come ci saremmo aspettati: la Bibbia poteva certamente essere venduta senza restrizioni, ma i cattolici italiani rimasero come prima sotto l’influenza del clero, che non perdeva né il suo prestigio né il suo ascendente sulla popolazione. La forza della tradizione religiosa, l’abitudine al rito, secoli di potere temporale e d’ignoranza avevano affievolito il senso critico: gli italiani non erano pronti, allora come ora, ad accogliere una fede sostenuta e alimentata dalla sola Parola di Dio.

La situazione cominciò a modificarsi con papa Leone XIII, che con l’enciclica Providentissimus Deus (1893) promuoveva gli studi biblici in campo cattolico, invitando gli esegeti cattolici a farsi una forte competenza scientifica così da misurarsi col mondo moderno, segnando una storica inversione di atteggiamento nel campo dello studio e della diffusione della Bibbia. Successivamente Leone XIII dà vita alla Pontificia commissione biblica (1902), un organo di promozione per gli studi biblici. Sulla scia di questa inversione di marcia, un gruppo di ecclesiastici fondò la Pia Società San Girolamo (1902) per rendere accessibile la lettura della Bibbia in italiano. Il volumetto con Vangeli e Atti a cura di Giuseppe Clementi, padre Giovanni Gnocchi e padre Giovanni Semeria, avrà cinque edizioni per un totale di 150.000 copie.

«L’Osservatore romano» del 16 maggio 1902 pubblicò un bell’articolo: «La lettura del vangelo svela il segreto delle disuguaglianze sociali […] è tempo di renderne popolare la lettura […] in ogni famiglia cattolica penetri il libro divino e col libro la brama di saperne il contenuto»; «L’Avvenire d’Italia» scriveva nel 1905 che «Le edizioni popolari del vangelo cominciano a correre fra le mani del popolo […] ma prima che noi siamo arrivati a distribuire tante copie quante sono le Bibbie che distribuisce la Società biblica inglese ci vorrà ancora molto tempo».

Ma dopo il tentativo di produrre una Bibbia intera, la San Girolamo fu vista con sospetto e le alte sfere ecclesiastiche negarono il loro appoggio al progetto che finì nel 1906. La situazione fu aggravata dalla crisi del modernismo quando Pio X, spaventato dal fatto che il mutamento dei tempi, potesse mutare anche la nozione stessa di «verità» (verità che doveva essere in evoluzione, come in evoluzione dovevano essere i dogmi, diventando la coscienza personale il centro di tutto), condannava la capacità di autodeterminazione della modernità come «sintesi di tutte le eresie».

Due encicliche papali segnano il cambio di passo della Chiesa a riguardo della diffusione delle Sacre Scritture: la Spiritus Paraclitus (1920) con la quale Benedetto XV interpreta, con attenzione pastorale, il valore della Bibbia nella Chiesa, fonte di nutrimento per la vita spirituale e base fondamentale della teologia, e la Divino Afflante Spiritu (1943) di Pio XII, di carattere apologetico, che difende l’esegesi cattolica e apre alla critica testuale «come la Parola sostanziale di Dio si è fatta simile agli uomini in tutti i punti eccetto il peccato, così le parole di Dio, espresse in linguaggio umano, si sono fatte simili al linguaggio umano in tutti i punti, eccetto l’errore». È un principio fondamentale espresso al più alto livello e quindi di grande importanza che «riconcilia l’autorità della Chiesa con i ricercatori».

Associazione Biblica Italiana (ABI)
Da questa maggiore sensibilizzazione nasce nel 1948 l’Associazione Biblica che coinvolse diverse categorie di persone (studiosi, clero, laici, insegnanti), assicurando una maggiore apertura e coordinando il lavoro biblico scientifico italiano. È «un’associazione privata di fedeli a carattere nazionale, riconosciuta dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI)» che (dallo statuto del 1999): «si propone di promuovere la conoscenza della Sacra Scrittura attraverso la ricerca scientifica e la divulgazione della Parola di Dio secondo le direttive della Chiesa espresse soprattutto dal Concilio Vaticano II». Dal 1955 promuove il movimento Leggere la Bibbia, che prelude al concilio Vaticano II. Pubblica due riviste specializzate: «Rivista Biblica» (dal 1953), che raccoglie le ricerche scientifiche di biblisti italiani, e «Parole di Vita» (dal 1956), di carattere pastorale, con articoli di tipo più divulgativo.

Tuttavia nonostante questo avvio di promozione biblica e di alcune edizioni cattoliche di rilievo, all’inizio della seconda metà del Novecento la popolazione era impreparata ad affrontare l’argomento religioso in maniera critica e la Bibbia rimase un libro poco noto, quasi assente dalle case degli italiani. La Bibbia, in minima parte, si poteva conoscere a messa, ma, dal concilio di Trento fino alle disposizioni del concilio Vaticano II, per quattro secoli, ne veniva letta solo una minima parte, in un ciclo annuale e in latino.
Dopo il 1965
Con Giovanni XXIII e il concilio Vaticano II si assiste, come è noto, a un’innovazione profonda della Chiesa cattolica. La Pacem in terris (1963) e la Dignitatis humanae (1965) accoglievano i diritti dell’uomo e consentivano la libertà religiosa: era effettivamente un superamento del passato. Nell’attuare però questi decreti, sono intervenuti diversi problemi a partire dalla loro posizione giuridica all’interno della Chiesa, tanto più che l’interpretazione non fu uniforme e generale come per il concilio di Trento.

Inoltre Paolo VI ne diede successivamente un’interpretazione restrittiva: l’autonomia dell’uomo è delimitata (Gaudium et spes, 1965), c’è un giudizio morale, un controllo sugli indirizzi della vita personale, sociale e civile che spetta alla competenza dell’autorità ecclesiastica (Humanae vitae, 1968).

Lo stesso Giovanni Paolo II (1978-2005) interpretò i testi conciliari come riaffermazione che i principi del mondo moderno andavano mediati dalla Chiesa poiché ne era la più sicura garante, essendo la depositaria della rivelazione.

E Benedetto XVI descrisse (Dominus Jesus, 2000) il rapporto tra Chiesa e modernità come un problema non ancora risolto.

Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente
Ma il Concilio Vaticano II segna un vero spartiacque tra il passato e il nuovo desiderio della diffusione e lo studio della Bibbia nella Chiesa cattolica che apriva dunque le porte alle traduzioni della Bibbia dai testi originali nelle lingue nazionali, e quindi in italiano, e alla reale collaborazione con i protestanti tanto che poco dopo, nel 1968, vennero firmati tra l’allora Segretariato pontificio per l’unità dei cristiani e l’Alleanza Biblica Universale (ABU) i “Guiding Principles for Interconfessional Cooperation in Translating the Bible”, documento che venne revisionato come Guidelines for Interconfessional Cooperation in Translating the Bible nel 1987: si stabilivano le linee generali di traduzione, i testi originali ebraico e greco cui attingere, la collocazione dei libri deuterocanonici; inoltre si specificava il criterio «senza note, né commenti dottrinali».

È il più importante accordo della storia tra cristiani di diverse confessioni per la traduzione della Bibbia; nella sua prefazione si avverte che: «il chiaro scopo di questo lavoro interconfessionale è quello di produrre edizioni della Sacra Scrittura che forniscano, a tutti coloro che parlano una stessa lingua, un testo comune. Ciò renderà possibile, spesso per la prima volta, una testimonianza comune alla Parola di Dio nel mondo di oggi».

In Italia i pronunciamenti della costituzione dogmatica Dei Verbum (promulgata da papa Paolo VI il 18 novembre 1965, in seguito all'approvazione dei vescovi riuniti in assemblea con 2.344 voti favorevoli e 6 contrari) vengono progressivamente accolti e messi in pratica, cominciando a modificare la situazione precedente nella misura in cui estendevano la loro influenza su tutte le diocesi. Si diede dunque il via alla traduzione della CEI e alla Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente (TILC): fu un passo decisivo per la diffusione della Bibbia. Venne quindi istituita, per iniziativa di Paolo VI e del cardinal Agostino Bea, la Federazione Biblica Cattolica (1969) per coordinare l’apostolato biblico delle Conferenze Episcopali nazionali. La CEI entrava a farvi parte, rappresentata dall’ABI (1988). Contemporaneamente (1989) l’Ufficio catechistico nazionale della CEI creò un settore per l’Apostolato biblico che orienta e sostiene l’attività a favore della Bibbia.

L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa
La Pontificia commissione biblica pubblicò un importante documento, notevole e complesso, “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” (1993) che ricapitolava tutti «i diversi aspetti della situazione attuale in materia d’interpretazione biblica, precisando l’orientamento che meglio corrisponde alla missione dell’esegesi nella chiesa cattolica», indicando la legittimità degli studi moderni sullo studio della Bibbia, anche accettando i dati raggiunti dalle altre ricerche e quindi di fatto legittimando il metodo storico-critico senza atteggiamenti forzatamente difensivi o polemici, ma con sincero ascolto, con valutazione critica e serena della collaborazione fraterna. Il documento promuoveva inoltre l’uso della Bibbia nella liturgia, nella famiglia e nella lectio divina, la celebrazione della parola di Dio, rilanciata, quest’ultima, ufficialmente, da Giovanni Paolo II (Novo millennio ineunte, 2000) e da Benedetto XVI.

A seguito del concilio, il cattolicesimo ha incoraggiato la svolta ecumenica, e l’intreccio tra Bibbia e ecumenismo è ora sempre più stretto (Discorso di Giovanni Paolo II sull’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 1993), e ha sostenuto le traduzioni interconfessionali di Bibbie (Enciclica Ut unum sint, 1995) e la CEI ha valutato positivamente la «felice collaborazione» con la SBI (Società Biblica Internazionale) per la pubblicazione della TILC.

Mentre nella prima metà del Novecento la Bibbia era rimasta un oggetto raro, non ignoto, ma quasi sospetto, dopo il concilio, la versione della CEI e la TILC, segnano importanti punti di arrivo. Eppure la diffusione della Bibbia nella prassi dei cattolici italiani rimane ancora marginale poiché praticamente disincentivata dai continui richiami del clero al fatto che comunque la Parola di Dio va ascoltata, mediata e interpretata solo nelle chiese.

Si può però affermare che il cambiamento, che ha trovato nella Dei Verbum il suo punto di riferimento, ha portato comunque la Chiesa cattolica a invertire la tendenza precedente, anche se con grossa difficoltà e lentezza, che risaliva al concilio di Trento e a tradurre la Bibbia, a diffonderla, e a collaborare sinceramente con le diverse Società di studi biblici.



Versioni italiane moderne della Bibbia
Le traduzioni in italiano più antiche risalgono al XIII secolo. Di seguito sono riportate solo alcune delle numerosissime edizioni di stampa.

• Bibbia Malermi (1471), a cura del monaco camaldolese Nicolò Malermi, tradotta dalla Vulgata. È la prima edizione a stampa in italiano.

• Bibbia di Giovanni Diodati (1607), realizzata sia sulla Vulgata sia sui testi ebraici. Questa traduzione e le successive edizioni (1641, 1712, 1744, 1819, 1821), sono il testo tradizionale del protestantesimo.

• Bibbia di Antonio Martini (1775-81), dalla Vulgata. È stata la traduzione in italiano più diffusa nella Chiesa cattolica italiana fino al XX secolo.

• Bibbia "Riveduta" del protestante Giovanni Luzzi (1921-30), riveduta sui testi critici in ebraico e greco.

• Bibbia CEI (Editio princeps 1971, editio minor 1974, revisione NT 1997, Nuova Bibbia CEI 2008): usata nella liturgia cattolica della messa in Italiano, mentre nella messa in latino il testo liturgico è la Nova Vulgata.

• Nuovissima versione della Bibbia, Edizioni Paoline, curata da un gruppo di biblisti (1967-1980).

• Bibbia TILC (Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente 1985, con revisione NT 2000), frutto di un lavoro di collaborazione interconfessionale.

• Bibbia di Gerusalemme 1986 (Riporta il testo della Bibbia CEI 1971 e solo le note della celebre versione francese).

• Bibbia TOB (1992 Elledici) testo CEI 1971 e note dalla bibbia francese "Traduction Oecuménique de la Bible" (1987) scritta puntando all'esegesi.

• I libri di Dio, Oscar Mondadori, 2000, 6 voll. È opera di un gruppo di giovani docenti e ricercatori di varie università pontificie.

• La Nuova Riveduta, la nuova traduzione in lingua contemporanea della "Riveduta" del teologo svizzero Giovanni Luzzi, sui testi in ebraico e greco.

• Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture 1967 (tradotta dalla versione inglese che per il testo greco si basa su Westcott e Hort, The New Testament in the Original Greek (1870) e per quello ebraico su Rudolph Kittel, Biblia Hebraica (1906), riveduta nel 1987 e nel 2013.

• Bibbia Ebraica Interlineare. Finora pubblicati Esodo, Deuteronomio, Levitico, Numeri, Genesi. A cura di Piergiorgio Beretta. San Paolo, 2001-2006.