Nuvo Testamento T.I.L.C.

Traduzione Inreconfessionale in Lingua Corrente

Atti degli Apostoli

Gesù promette lo Spirito Santo

Caro Teofilo, nel mio primo libro ho raccontato tutto quello che Gesù ha fatto e insegnato cominciando dagli inizi della sua attività, fino a quando fu portato in cielo. Prima di salire in cielo egli, per mezzo dello Spirito Santo aveva dato istruzioni a coloro che aveva scelto come apostoli. Dopo la sua morte Gesù si presentò loro, e in diverse maniere si mostrò vivo. Per quaranta giorni apparve ad essi più volte, parlando del regno di Dio. Un giorno, mentre erano a tavola, fece questa raccomandazione: «Non allontanatevi da Gerusalemme, ma aspettate il dono che il Padre ha promesso e del quale io vi ho parlato. Giovanni infatti ha battezzato con acqua; voi, invece, fra pochi giorni sarete battezzati con lo Spirito Santo».

Gesù sale al cielo

Allora quelli che si trovavano con Gesù gli domandarono: Signore, è questo il momento nel quale tu devi ristabilire il regno d'Israele? Gesù rispose: Non spetta a voi sapere quando esattamente ciò accadrà: solo il Padre può deciderlo. Ma riceverete su di voi la forza dello Spirito Santo, che sta per scendere. Allora diventerete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria e in tutto il mondo. Detto questo Gesù incominciò a salire in alto, mentre gli apostoli stavano a guardare. Poi venne una nube, ed essi non lo videro più. Mentre avevano ancora gli occhi fissi verso il cielo, dove Gesù era salito, due uomini, vestiti di bianco, si avvicinarono loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché ve ne state lì a guardare il cielo? Questo Gesù che vi ha lasciato per salire in cielo, un giorno ritornerà come lo avete visto partire».

Mattia prende il posto di Giuda

Allora gli apostoli lasciarono il monte degli Ulivi e ritornarono a Gerusalemme. Questo monte è molto vicino alla città: a mezz'ora di strada a piedi. Quando furono arrivati, salirono al piano superiore della casa dove abitavano. Ecco i nomi degli apostoli: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone che era stato del partito degli zeloti, e Giuda figlio di Giacomo. Erano tutti concordi, e si riunivano regolarmente per la preghiera con le donne, con Maria, la madre di Gesù, e con i suoi fratelli. In quei giorni, le persone radunate erano circa centoventi. Pietro si alzò in mezzo a tutti e disse: «Fratelli, era necessario che si realizzasse quello che lo Spirito Santo aveva detto nella Bibbia. Per mezzo di Davide egli aveva parlato di Giuda, che divenne la guida di coloro che arrestarono Gesù. Giuda era uno di noi, e come noi era stato scelto per questa missione. «Con i soldi ricavati dal suo delitto, Giuda comprò un campo e vi ha trovato la morte precipitando a capofitto: il suo corpo si è squarciato e le sue viscere si sono sparse.

Il fatto è così noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme che quel campo, nella loro lingua, essi lo chiamano Akeldamà, cioè campo del sangue. «Ricordate ciò che sta scritto nel libro dei Salmi: La sua casa diventi un deserto e nessuno più vi abiti. Sta pure scritto: il suo incarico lo prenda un altro.- «È necessario dunque che un altro si unisca a noi per farsi testimone della risurrezione del Signore Gesù. Deve essere uno di quelli che ci hanno accompagnato mentre il Signore Gesù è vissuto con noi, da quando Giovanni predicava e battezzava fino a quando Gesù è stato portato in cielo, mentre era con noi». Vennero allora presentati due uomini: un certo Giuseppe, detto Barsabba, o anche Giusto, e un certo Mattia. Poi pregarono così: «O Signore, tu che conosci il cuore di tutti, facci sapere quale di questi due tu hai scelto. Giuda ci ha lasciati ed è andato al suo destino. Chi di questi due dovrà prendere il suo posto e continuare la missione di apostolo?». Tirarono a sorte, e la scelta cadde su Mattia, che fu aggiunto al gruppo degli undici apostoli.

Lo Spirito Santo scende sugli apostoli

Quando venne il giorno della Pentecoste, i credenti erano riuniti tutti insieme nello stesso luogo. All'improvviso si sentì un rumore in cielo, come quando tira un forte vento, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Allora videro qualcosa di simile a lingue di fuoco che si separavano e si posavano sopra ciascuno di loro. Tutti furono riempiti di Spirito Santo e si misero a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo concedeva loro di esprimersi. A Gerusalemme c'erano Ebrei, uomini molto religiosi, venuti da tutte le parti del mondo. Appena si sentì quel rumore, si radunò una gran folla, e non sapevano che cosa pensare.

Ciascuno infatti li sentiva parlare nella propria lingua, per cui erano pieni di meraviglia e di stupore e dicevano: «Questi uomini che parlano sono tutti Galilei? Come mai allora li sentiamo parlare nella nostra lingua nativa? Noi apparteniamo a popoli diversi: Parti, Medi e Elamiti. Alcuni di noi vengono dalla Mesopotamia, dalla Giudea e dalla Cappadocia, dal Ponto e dall'Asia, dalla Frigia e dalla Panfilia, dall'Egitto e dalla Cirenaica, da Creta e dall'Arabia. C'è gente che viene perfino da Roma: alcuni sono nati ebrei, altri invece si sono convertiti alla religione ebraica. Eppure tutti li sentiamo annunziare, ciascuno nella sua lingua, le grandi cose che Dio ha fatto». Se ne stavano li pieni di meraviglia e non sapevano che cosa pensare. Dicevano gli uni agli altri: «Che significato avrà tutto questo?». Altri invece ridevano e dicevano: «Sono completamente ubriachi».

Pietro annunzia la risurrezione di Gesù

Allora Pietro si alzò insieme con gli altri undici apostoli. A voce alta parlò così: «Uomini di Giudea e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme: ascoltate attentamente le mie parole e saprete che cosa sta accadendo. Questi uomini non sono affatto ubriachi, come voi pensate, tra l'altro è presto: sono solo le nove del mattino. Si realizza invece quello che Dio aveva annunziato per mezzo del profeta Gioele.  Ecco dice Dio ciò che accadrà negli ultimi giorni: manderò il mio Spirito su tutti gli uomini: i vostri figli e le vostre figlie saranno profeti, i vostri giovani avranno visioni, i vostri anziani avranno sogni. Su tutti quelli che mi servono, uomini e donne, in quei giorni io manderò il mio Spirito ed essi parleranno come profeti. Farò cose straordinarie lassù in cielo e prodigi giù sulla terra: sangue, fuoco e nuvole di fumo. Il sole si oscurerà e la luna diventerà rossa come il sangue. prima che venga il giorno grande e glorioso del Signore.

Allora, chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo. «Uomini d'Israele, ascoltate ciò che sto per dire. Gesù di Nazaret era un uomo mandato da Dio per voi. Dio gli ha dato autorità con miracoli, con prodigi e con segni. È stato Dio stesso a compierli per mezzo di lui fra voi. E voi lo sapete bene! Quest'uomo, secondo le decisioni e il piano prestabilito da Dio, è stato messo nelle vostre mani e voi, con la complicità di uomini malvagi, lo avete ucciso inchiodandolo a una croce. Ma Dio l'ha fatto risorgere, liberandolo dal potere della morte. Era impossibile infatti che Gesù rimanesse schiavo della morte.

Un salmo di Davide infatti dice di lui: Vedevo continuamente il Signore davanti a me: egli mi sostiene perché io non abbia a cadere. Per questo io sono pieno di gioia e posso cantare la mia felicità. Pur essendo mortale, vivrò nella speranza, perché tu non mi abbandonerai nel mondo dei morti e non permetterai che il tuo santo vada in corruzione. Tu mi hai mostrato i sentieri che portano alla vita e con la tua presenza mi riempirai di gioia. «Fratelli, devo parlarvi molto chiaramente riguardo al nostro patriarca Davide. Egli è morto e fu sepolto, e la sua tomba si trova ancor oggi in mezzo a noi. Egli però era profeta, e sapeva bene quel che Dio gli aveva promesso con giuramento: "metterò sul tuo trono uno del tuo sangue". «Davide dunque vide in anticipo ciò che doveva accadere, e queste sue parole si riferiscono alla risurrezione del Messia: Egli non è stato abbandonato nel mondo dei morti e il suo corpo non è andato in corruzione. «Questo Gesù, Dio lo ha fatto risorgere, e noi tutti ne siamo testimoni. Egli è stato innalzato accanto a Dio e ha ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che era stato promesso. Ora egli ci dona quello stesso Spirito come anche voi potete vedere e udire. Davide infatti non è salito in cielo; eppure egli dice: Il Signore ha detto al mio Signore: siedi accanto a me finché io porrò i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi. «Tutto il popolo d'Israele deve dunque saperlo con certezza: questo Gesù che voi avete crocifisso, Dio lo ha fatto Signore e Messia».

All'udire queste parole, i presenti si sentirono come trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: Fratelli, che cosa dobbiamo fare? Pietro rispose: Cambiate vita e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù. Riceverete il perdono dei vostri peccati e il dono dello Spirito Santo. In realtà, ciò che Dio ha promesso vale per voi, per i vostri figli e per quelli che sono lontani: tutti quelli che il Signore, Dio nostro, chiamerà. Pietro disse anche molte altre cose per convincerli e per esortarli. Tra l'altro diceva: «Mettetevi in salvo dal castigo che sta per venire sopra questa generazione perversa!». Alcuni ascoltarono le parole di Pietro e furono battezzati. Così, in quel giorno, circa tremila persone si aggiunsero al gruppo dei credenti.

La vita della comunità

Essi ascoltavano con assiduità l'insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme. Dio faceva molti miracoli e prodigi per mezzo degli apostoli: per questo ognuno era preso da timore. Tutti i credenti vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che possedevano. Vendevano le loro proprietà e i loro beni e distribuivano i soldi fra tutti, secondo le necessità di ciascuno. Ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il tempio. Spezzavano il pane nelle loro case e mangiavano con gioia e semplicità di cuore. Lodavano Dio, ed erano benvisti da tutta la gente. Di giorno in giorno il Signore faceva crescere il numero di quelli che giungevano alla salvezza.

Pietro guarisce uno storpio

Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio. Erano le tre del pomeriggio, l'ora della preghiera. Presso la porta del tempio che si chiamava la "Porta Bella" vi era un uomo, storpio fin dalla nascita. Lo portavano là ogni giorno, ed egli chiedeva l'elemosina a tutti quelli che entravano nel tempio. Appena vide Pietro e Giovanni che stavano per entrare, domandò loro l'elemosina. Ma Pietro, insieme a Giovanni, lo fissò negli occhi e disse: «Guardaci!». Quell'uomo li guardò, sperando di ricevere da loro qualcosa.

Pietro invece gli disse: «Soldi non ne ho, ma quello che ho te lo do volentieri: nel nome di Gesù, il Nazareno, alzati e cammina». Poi lo prese per la mano destra e lo aiutò ad alzarsi. In quell'istante le gambe e le caviglie del malato diventarono robuste. Con un salto si mise in piedi e cominciò a camminare. Poi entrò nel tempio con gli apostoli: camminava, anzi saltava per la gioia e lodava Dio. Vedendolo camminare e lodare Dio, tutta la gente lo riconobbe: era proprio lui, quello che stava alla "Porta Bella" del tempio. Così rimasero tutti pieni di stupore e di meraviglia per quello che gli era accaduto.

Pietro annunzia la potenza di Gesù risorto

Mentre quell'uomo cercava di trattenere Pietro e Giovanni, tutta la gente, piena di meraviglia, corse verso di loro nel portico detto di Salomone. Vedendo ciò, Pietro si rivolse alla folla con queste parole: «Uomini d'Israele, perché vi meravigliate di questa guarigione? Voi ci guardate come se fossimo stati noi a far camminare quest'uomo, noi con le nostre forze e con le nostre preghiere. Invece è stato Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri. Con questa guarigione Dio ha manifestato il glorioso potere di Gesù, suo servo; proprio quel Gesù che voi avete consegnato alle autorità e avete accusato ingiustamente anche davanti a Pilato, anche se lui aveva deciso di liberarlo. «Voi avete fatto condannare il Santo e il Giusto e avete preferito chiedere la liberazione di un criminale. Così voi avete messo a morte Gesù, che dà la vita a tutti. Ma Dio lo ha fatto risorgere dai morti, e noi ne siamo testimoni. Ed è per la fede in Gesù che quest'uomo che voi vedete e conoscete ha riacquistato le forze. Gesù gli ha dato la fede e con la sua potenza lo ha completamente guarito alla presenza di tutti voi.

«Fratelli, so bene che voi e i vostri capi avete agito contro Gesù senza sapere quello che stavate facendo. Ma Dio, in questo modo, ha portato a compimento quello che aveva annunziato per mezzo dei profeti, e cioè che il suo Messia doveva soffrire. Cambiate vita, dunque, e ritornate a Dio, perché Dio perdoni i vostri peccati! «Così il Signore farà venire per voi i tempi della sua consolazione e vi manderà Gesù, il Messia, che egli vi aveva destinato. Tuttavia, per il momento, Gesù deve restare in cielo fino a quando non verrà il tempo nel quale tutte le cose saranno rinnovate, come aveva detto Dio stesso per mezzo dei suoi santi profeti.

«Mosè infatti disse: Il Signore, il vostro Dio, farà sorgere un profeta come me e sarà uno del vostro popolo. Dovrete ascoltare tutto ciò che vi dirà. Chiunque non ascolterà questo profeta sarà escluso dal popolo di Dio e distrutto. Inoltre, anche tutti i profeti che hanno parlato dopo Samuele hanno annunziato quello che è accaduto in questi giorni». «Per voi hanno parlato i profeti, per voi Dio ha fatto un patto di alleanza con i vostri padri quando disse ad Abramo: Attraverso i tuoi discendenti io benedirò tutti i popoli della terra. Per questo Dio ha fatto risorgere il suo servo Gesù e lo ha mandato a portarvi la sua salvezza, a voi prima che agli altri, perché ognuno si converta dalla sua vita cattiva».

Pietro e Giovanni davanti al tribunale

Pietro e Giovanni stavano ancora parlando al popolo, quando arrivarono i sacerdoti e i sadducei insieme al comandante delle guardie del tempio. Essi erano molto irritati per il fatto che gli apostoli insegnavano al popolo, ma soprattutto perché annunziavano che Gesù era risuscitato e che quindi i morti risorgono. Perciò li arrestarono e li gettarono in prigione fino al giorno successivo, perché ormai era sera. Tuttavia, molti di quelli che avevano ascoltato la predicazione degli apostoli credettero, e la comunità dei credenti aumentò di numero fino a circa cinquemila persone. Il giorno dopo a Gerusalemme si radunarono i capi degli Ebrei e del popolo e i maestri della legge. Erano presenti anche Anna, sommo sacerdote, e Caifa, Giovanni e Alessandro, e quanti appartenevano alla famiglia del sommo sacerdote.

Fecero venire gli apostoli e incominciarono a interrogarli: «Da dove o da chi avete ricevuto il potere di far questo?». Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, rispose loro: «Capi del popolo e anziani di questo tribunale, ascoltatemi. Voi oggi ci domandate conto del bene che abbiamo fatto a un povero malato e per di più volete sapere come mai quest'uomo ha potuto essere guarito. Ebbene, una cosa dovete sapere voi e tutto il popolo d'Israele: quest'uomo sta davanti a voi, guarito, perché abbiamo invocato Gesù, il Nazareno, quel Gesù che voi avete messo in croce e che Dio ha fatto risorgere dai morti. Il libro dei Salmi parla di lui quando dice: La pietra che voi, costruttori, avete eliminato è diventata la pietra più importante. Gesù, e nessun altro, può darci la salvezza: infatti non esiste altro uomo al mondo al quale Dio abbia dato il potere di salvarci». I membri del tribunale ebraico erano davvero stupiti dalla franchezza con la quale Pietro e Giovanni parlavano, tanto più che si trattava di persone molto semplici e senza cultura, e avevano dovuto riconoscere che erano stati seguaci di Gesù. In presenza di quell'uomo guarito, che stava accanto a loro, non sapevano che cosa dire.

Allora comandarono a Pietro e Giovanni di uscire dalla sala del tribunale e si misero a discutere tra di loro così: «Che cosa possiamo fare adesso con questi uomini? Ormai tutti gli abitanti di Gerusalemme sanno che essi hanno compiuto questo miracolo pubblicamente, e noi non possiamo certamente dire che non è vero. Tuttavia, dobbiamo proibire loro in modo assoluto di parlare nel nome di Gesù: così la notizia di questo miracolo non si diffonderà ancora di più fra la gente».

Li fecero chiamare di nuovo e comandarono loro di non parlare assolutamente di Gesù e di non insegnare più nel suo nome. Ma Pietro e Giovanni risposero: «Giudicate voi stessi che cosa è giusto davanti a Dio: dobbiamo ascoltare voi oppure dobbiamo ubbidire a Dio? Quanto a noi, non possiamo fare a meno di parlare di quelle cose che abbiamo visto e udito». Quelli del tribunale ebraico li minacciarono di nuovo, poi li lasciarono andare liberi, perché non riuscivano a trovare un motivo per punirli. Avevano anche paura del popolo: tutti infatti ringraziavano ancora Dio per il miracolo che avevano fatto. L'uomo che era stato miracolosamente guarito aveva già più di quarant'anni.

Come pregavano i primi cristiani

Pietro e Giovanni furono lasciati liberi, ritornarono dai loro compagni e raccontarono quello che avevano detto i capi dei sacerdoti e del popolo. Tutti ascoltarono; poi si riunirono a pregare Dio con queste parole: «O Dio, tu hai creato il cielo, la terra, il mare e tutto quello che essi contengono. Tu per mezzo dello Spirito Santo hai fatto dire a Davide, nostro padre e tuo servitore, queste parole profetiche: Perché i pagani si sono agitati con orgoglio? perché i popoli hanno fatto dei complotti inutili? I re della terra si sono messi in stato di allarme, e i capi di eserciti si sono accordati tra di loro contro il Signore e contro il suo Messia.

«E davvero qui a Gerusalemme Erode e Ponzio Pilato si sono messi d'accordo con gli stranieri e con il popolo d'Israele contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai scelto come Messia. «Così essi hanno eseguito quello che tu, o Signore, avevi deciso e stabilito. Ma ora, o Signore, guarda come ci minacciano e concedi a noi, tuoi servi, di poter annunziare la tua parola con grande coraggio. Fa' vedere la tua potenza e fa' in modo che avvengano ancora guarigioni, prodigi e miracoli, quando invochiamo Gesù, il tuo santo servo». Appena ebbero finito di pregare, il luogo nel quale erano radunati tremò: lo Spirito Santo venne su ciascuno di loro, e cominciarono ad annunziare la parola di Dio senza paura.

I primi cristiani mettono in comune i loro beni

La comunità dei credenti viveva unanime e concorde, e quelli che possedevano qualcosa non lo consideravano come proprio, ma tutto quello che avevano lo mettevano insieme. Gli apostoli annunziavano con convinzione e con forza che il Signore Gesù era risuscitato. Dio li sosteneva con la sua grazia. Tra i credenti nessuno mancava del necessario, perché quelli che possedevano campi o case li vendevano, e i soldi ricavati li mettevano a disposizione di tutti: li consegnavano agli apostoli e poi venivano distribuiti a ciascuno secondo le sue necessità. Ad esempio: un certo Giuseppe, un levita nato a Cipro che gli apostoli chiamavano Barnaba, aveva un campo, lo vendette e portò i soldi agli apostoli.

Anania e Saffira

Un certo Anania invece, d'accordo con sua moglie Saffira, vendette un campo ma tenne per sé una parte dei soldi ricavati e agli apostoli consegnò soltanto l'altra parte. Sua moglie sapeva tutto questo ed era pienamente d'accordo. Ma Pietro si accorse del fatto e disse: «Anania, come mai Satana ha potuto impadronirsi di te? Ti sei trattenuto una parte dei soldi ricavati dalla vendita, ma così facendo non sei stato sincero verso lo Spirito Santo! Prima che tu lo vendessi, il campo era tuo e anche dopo averlo venduto potevi benissimo tenere tutto il denaro per te: lo sai bene. Perché, invece, hai pensato di fare una simile azione? Tu non sei stato bugiardo verso gli uomini, ma verso Dio». Appena ebbe sentito queste parole, Anania cadde a terra morto. E tutti quelli che vennero a conoscenza di questo fatto furono presi da grande paura.

Poi, alcuni giovani avvolsero in un lenzuolo il corpo di Anania e lo portarono via per seppellirlo. Circa tre ore dopo arrivò anche la moglie di Anania. Essa non sapeva quel che era appena accaduto. Pietro le chiese: Dimmi, Saffira, il vostro campo l'avete venduto proprio a questo prezzo? Essa rispose: Sì, a questo prezzo! Allora Pietro le disse: Perché vi siete messi d'accordo, tutti e due, di sfidare lo Spirito del Signore? Ecco, stanno tornando quelli che hanno seppellito il corpo di tuo marito: ora essi porteranno via anche te. In quello stesso momento Saffira cadde a terra davanti a Pietro e mori. Quando i giovani entrarono la trovarono morta; allora la portarono via per seppellirla accanto al corpo di suo marito. Tutta la Chiesa e quelli che vennero a conoscenza di questo fatto furono presi da grande paura.

I miracoli degli apostoli

Gli apostoli facevano molti prodigi e miracoli in mezzo alla gente. I credenti, di solito, si riunivano sotto il portico di Salomone. Nessun altro osava unirsi a loro, eppure il popolo aveva grande stima di loro. La comunità cresceva sempre di più, perché aumentava il numero di uomini e di donne che credevano nel Signore. I malati venivano portati perfino nelle piazze: li mettevano sui giacigli e sulle barelle, per fare in modo che Pietro, passando, li potesse sfiorare almeno con l'ombra del suo corpo. Molta gente accorreva anche dai villaggi vicino a Gerusalemme: portavano i malati e quelli che erano tormentati da spiriti maligni; e tutti quanti venivano guariti.

Gli apostoli sono perseguitati dalle autorità

Allora il sommo sacerdote e tutti quelli che erano con lui, cioè quelli del partito dei sadducei, pieni di gelosia, fecero arrestare gli apostoli e li gettarono in prigione. Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione, li fece uscire e disse loro: «Andate nel tempio e predicate al popolo tutto quello che riguarda la nuova vita». Gli apostoli ubbidirono: di buon mattino andarono nel tempio e si misero a insegnare. Nel frattempo, il sommo sacerdote e quelli che erano con lui convocarono i capi del popolo ebraico per una seduta di tutto il loro tribunale. Intanto diedero ordine che gli apostoli fossero portati fuori del carcere dinanzi a loro. Ma quando le guardie arrivarono nella prigione non vi trovarono gli apostoli. Allora tornarono subito indietro e riferirono: «La prigione noi l'abbiamo trovata ben chiusa e le guardie stavano al loro posto davanti alle porte. Ma quando abbiamo aperto le porte, dentro non c'era più nessuno». Nel sentire queste cose il comandante delle guardie del tempio e i capi dei sacerdoti non sapevano cosa pensare e si domandavano cosa poteva essere accaduto. Allora si presentò un uomo e disse: «Ascoltate: quegli uomini che voi avete messo in prigione, ora si trovano nel tempio e stanno insegnando al popolo». Il comandante delle guardie partì subito con i suoi uomini per arrestare di nuovo gli apostoli, ma senza violenza, perché temevano di essere presi a sassate dalla gente. Li portarono via e li fecero comparire davanti al tribunale.

Il sommo sacerdote cominciò ad accusarli: «Noi vi avevamo severamente proibito di insegnare nel nome di quell'uomo, e voi invece avete diffuso il vostro insegnamento per tutta Gerusalemme. Per di più, volete far cadere su di noi la responsabilità della sua morte». Ma Pietro e gli apostoli risposero: «Si deve ubbidire prima a Dio che agli uomini. Ora, il Dio dei nostri padri ha fatto risorgere Gesù, quello che voi avete fatto morire inchiodandolo a una croce. Dio lo ha innalzato accanto a sé, come nostro capo e Salvatore per offrire al popolo d'Israele l'occasione di cambiar vita e di ricevere il perdono dei peccati. «Noi siamo testimoni di questi fatti: noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli ubbidiscono».

I giudici del tribunale ebraico, sentendo queste cose, furibondi volevano eliminare gli apostoli. Ma tra di loro vi era un fariseo, un certo Gamaliele: egli era anche un maestro della legge, molto stimato dal popolo. Si alzò in mezzo al tribunale e chiese che gli apostoli fossero condotti momentaneamente fuori della sala. Poi disse: «Voi, Israeliti, pensate bene a quello che avete intenzione di fare con questi uomini. Non molto tempo fa, ricordate, fece gran chiasso un certo Tèuda il quale diceva di essere un uomo importante, e aveva circa quattrocento seguaci. Ma poi egli fu ucciso e quelli che lo avevano seguito si dispersero fino a scomparire del tutto. Dopo di lui, all'epoca del censimento, si presentò un certo Giuda, oriundo della Galilea.

Egli persuase un gran numero di persone a seguirlo, ma anche lui fu ucciso, e tutti quelli che lo avevano seguito si dispersero. Per quanto riguarda il caso di oggi, ecco quello che vi dico: non occupatevi più di questi uomini, lasciateli andare: perché se la loro pretesa e la loro attività sono cose solamente umane scompariranno da sé; se invece Dio è dalla loro parte, non sarete certamente voi a mandarli in rovina. Non correte il rischio di dover combattere contro Dio». Quelli del tribunale ebraico seguirono il parere di Gamaliele. Fecero richiamare gli apostoli e li punirono facendoli frustare; poi comandarono loro di non parlare più nel nome di Gesù e finalmente li lasciarono liberi. Gli apostoli uscirono dal tribunale e se ne andarono tutti contenti, perché avevano avuto l'onore di essere maltrattati a causa del nome di Gesù. Ogni giorno, nel tempio o nelle case, continuavano a insegnare e ad annunziare che Gesù è il Messia.

Sette aiutanti per gli apostoli

Intanto a Gerusalemme cresceva il numero dei discepoli e accadde che i credenti di lingua greca si lamentarono di quelli che parlavano ebraico: succedeva che le loro vedove venivano trascurate nella distribuzione quotidiana dei viveri. I dodici apostoli allora riunirono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la predicazione della parola di Dio per occuparci della distribuzione dei viveri. Ecco dunque, fratelli, la nostra proposta: scegliete fra di voi sette uomini, stimati da tutti, pieni di Spirito Santo e di saggezza, e noi affideremo a loro questo incarico. Noi apostoli, invece, impegneremo tutto il nostro tempo a pregare e ad annunziare la parola di Dio». Questa proposta degli apostoli piacque all'assemblea. Allora scelsero Stefano, uomo ricco di fede e di Spirito Santo, e poi Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, uno straniero che proveniva da Antiochia. Presentarono poi questi sette uomini agli apostoli i quali pregarono e stesero le mani sopra di loro. Intanto la parola di Dio si diffondeva sempre di più. A Gerusalemme il numero dei discepoli cresceva notevolmente, e anche molti sacerdoti prestavano ascolto alla predicazione degli apostoli e credevano.

Stefano è arrestato

Dio era con Stefano e gli dava la forza di fare grandi miracoli e prodigi in mezzo al popolo. Ma alcuni individui gli si opposero: erano quelli della comunità ebraica detta dei liberti, insieme con altri di Cirene e di Alessandria, e altri della Cilicia e dell'Asia. Costoro si misero a discutere con Stefano, ma non potevano resistergli perché egli parlava con la saggezza che gli veniva dallo Spirito Santo. Allora pagarono alcuni uomini perché dicessero: «Noi abbiamo sentito costui dire bestemmie contro Mosè e contro Dio». Così misero in agitazione il popolo, i capi del popolo e i maestri della legge. Poi gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono in tribunale. Presentarono poi dei falsi testimoni, i quali dissero: «Quest'uomo continua a parlare contro il luogo santo, il tempio, e contro la nostra legge. Anzi lo abbiamo sentito affermare che Gesù il Nazareno distruggerà il tempio e cambierà le tradizioni che ci sono state date da Mosè». Tutti quelli che sedevano nella sala del tribunale fissarono gli occhi su di lui e videro il suo volto splendere come quello di un angelo.

Stefano si difende di fronte al tribunale ebraico

Il sommo sacerdote domandò a Stefano: «È vero quello che dicono i tuoi accusatori?». Stefano allora rispose: «Fratelli e padri, ascoltatemi! Il nostro Dio, al quale appartengono l'onore e la gloria, si manifestò ad Abramo, nostro antico padre, quando si trovava in Mesopotamia e non era ancora andato ad abitare nella terra di Carran. Gli disse: Esci dalla tua terra, lascia la tua famiglia e va' nella terra che io indicherò. «Abramo allora abbandonò la terra dei Caldei e andò ad abitare nella regione di Carran. Poi il padre di Abramo morì e Dio lo fece emigrare in questa terra nella quale adesso abitate voi. Ma in essa non gli diede alcun possesso, neppure un metro di terra; gli promise invece che l'avrebbe data in proprietà più tardi a lui e ai suoi discendenti: ma a quel tempo Abramo non aveva figli. Poi Dio gli disse: "I tuoi discendenti andranno ad abitare in una terra straniera: là saranno ridotti in schiavitù e oppressi per quattrocento anni. Ma io punirò quel popolo che li avrà fatti diventare schiavi. Allora potranno uscire e mi adoreranno in questo luogo".

«Così disse il Signore, poi fece con Abramo quell'alleanza che ha per segno la circoncisione. E così Abramo ebbe un figlio, Isacco, e lo circoncise l'ottavo giorno. Poi Isacco generò Giacobbe e Giacobbe generò i dodici patriarchi. «I patriarchi erano invidiosi di uno di loro, Giuseppe; lo vendettero come schiavo e fu portato in Egitto. Ma Dio era con lui, e lo liberò da tutte le sue tribolazioni: lo fece diventare sapiente e lo rese simpatico al faraone, re d'Egitto, il quale perciò nominò Giuseppe governatore dell'Egitto e amministratore di tutti i suoi beni. Poi, in tutto l'Egitto e nella terra di Canaan ci fu una grande carestia. La miseria era grande e i nostri padri non trovavano nulla da mangiare.  Giacobbe, però, aveva saputo che in Egitto c'era ancora del grano: allora vi mandò i nostri padri a comprano. Quando tornarono la seconda volta, Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli, e così il faraone venne a sapere di che stirpe era Giuseppe. Giuseppe allora mandò a chiamare Giacobbe suo padre e tutta la sua parentela: settantacinque persone in tutto. Giacobbe si recò in Egitto e più tardi morì, lui e tutti i nostri antenati. I loro corpi furono trasportati nella città di Sichem e furono deposti nel sepolcro che Abramo aveva comprato e pagato in denaro dai figli di Emor, in Sichem. «Mentre si avvicinava il tempo nel quale Dio avrebbe realizzato la promessa fatta ad Abramo, il popolo cresceva e si moltiplicava in Egitto. Un giorno un nuovo re, che non sapeva nulla di Giuseppe, salì sul trono d'Egitto. Questo re perseguitò la nostra gente e agì astutamente contro di essa: costrinse i nostri padri ad abbandonare i loro bambini per farli morire.

Mosè e la figlia del Faraone

In quel tempo nacque Mosè, un bambino straordinariamente bello. Per tre mesi fu allevato nella casa di suo padre. Ma quando fu abbandonato, la figlia del faraone lo raccolse e lo allevò come fosse suo figlio. Così Mosè imparò tutte le scienze degli Egiziani e divenne un uomo importante, sia per quel che diceva sia per quel che faceva. «Quando giunse all'età di quarant'anni, Mosè sentì il desiderio di conoscere la sua gente, il popolo d'Israele. Andò da loro e vide uno che veniva maltrattato da un Egiziano: lo difese e, per vendicarlo, uccise l'Egiziano. Mosè pensava che i suoi fratelli di razza avrebbero capito che, per mezzo di lui, Dio intendeva salvarli dagli Egiziani. Ma essi non capirono.

Il giorno dopo si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si dava da fare per metterli in pace. Diceva loro: Non sapete che siete fratelli? Perché vi insultate tra di voi? Ma colui che stava maltrattando il suo vicino lo respinse dicendo: Chi ti ha fatto capo e giudice sopra di noi? Vuoi forse uccidermi, come ieri hai ucciso quell'Egiziano? Sentendo queste parole, Mosè fuggì e andò ad abitare nella terra di Madian e là ebbe due figli». «Quarant'anni dopo, quando era nel deserto del monte Sinai, gli apparve un angelo tra le fiamme di un cespuglio che bruciava. Mosè rimase stupito per questa visione, e mentre si avvicinava al cespuglio per vedere meglio, udì la voce del Signore che diceva: Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. «Tutto tremante, Mosè non osava alzare lo sguardo. Ma il Signore gli disse: Togliti i sandali, perché il luogo in cui stai è terra santa. Ho visto il mio popolo duramente maltrattato in Egitto, ho udito i loro gemiti e sono venuto a liberarli. Ora vieni: voglio mandarti in Egitto.

Dio manda Mosè

«Quest'uomo, Mosè, è colui che gli Israeliti avevano rinnegato dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice?: proprio lui Dio ha mandato come capo e salvatore, per mezzo dell'angelo che gli era apparso nel cespuglio. Egli li fece uscire dall'Egitto, facendo prodigi e miracoli in quel paese, nel mar Rosso e nel deserto, per quarant'anni. Egli è quel Mosè che disse al popolo d'Israele: Dio farà sorgere un profeta come me e sarà uno del vostro popolo. Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fece da intermediario tra l'angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri. Egli ricevette da Dio parole capaci di dare la vita e le comunicò a noi.

«Ma i nostri padri non vollero ascoltarlo, anzi lo respinsero e desiderarono ritornare in Egitto. «Dicevano infatti ad Aronne: Facci degli dèi che possano camminare davanti a noi, perché non sappiamo che cosa sia capitato a questo Mosè che ci ha condotto fuori dell'Egitto. E in quei giorni si fecero un vitello d'oro, offrirono sacrifici a quell'idolo e furono contenti di quanto avevano fatto con le loro mani.  Allora Dio si allontanò da loro, li abbandonò a sé stessi, e così adorarono gli astri del cielo come sta scritto nel libro dei Profeti: Voi, o popolo d'Israele, avete offerto vittime e sacrifici per quarant'anni nel deserto, ma non a me. Avete invece preferito la tenda di Moloc e la stella del dio Refan: tutte immagini che vi siete fabbricati per adorarle! Perciò io vi castigherò e vi porterò al di là di Babilonia. «I nostri padri nel deserto avevano la tenda dell'incontro, nella quale Dio parlava con Mosè. Dio stesso aveva ordinato a Mosè di costruirla secondo un modello che gli aveva indicato. Essa fu poi consegnata ai nostri padri ed essi, sotto la guida di Giosuè, la portarono con loro quando conquistarono la terra dei pagani che Dio cacciò davanti a loro. Così rimase fino ai tempi di Davide. «Davide ottenne il favore di Dio e chiese di poter costruire una casa per il Dio di Giacobbe. Ma fu il re Salomone che costruì una casa al Signore.

Dio Onnipotente però non abita in edifici costruiti dalle mani dell'uomo. Lo dice anche il profeta: «Il cielo è il mio trono e la terra è lo sgabello per i miei piedi. Quale casa potrete mai costruirmi, dice il Signore, o quale sarà il luogo del mio riposo? Non sono stato io a fare tutte queste cose? «Testardi! I vostri cuori sono insensibili e le vostre orecchie sorde. Voi vi opponete sempre allo Spirito Santo: come hanno fatto i vostri padri così fate anche voi. Qual è il profeta che i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero i profeti che annunziavano la venuta di Gesù, il Giusto, quello che voi ora avete tradito e ucciso. Voi avete ricevuto la legge di Dio per mezzo degli angeli, ma non l'avete osservata!».

Stefano viene lapidato

Nel sentirlo parlare, quelli del tribunale ebraico si infuriarono e si agitarono contro Stefano. Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide lo splendore di Dio e Gesù che stava alla sua destra. Disse: «Ecco, io vedo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta in piedi alla destra di Dio». Allora si turarono le orecchie e gridarono a gran voce; poi si scagliarono tutti insieme contro Stefano, lo trascinarono fuori città per ucciderlo a sassate. I testimoni deposero i loro mantelli presso un giovane, un certo Saulo, perché li custodisse. Mentre gli scagliavano addosso le pietre, Stefano pregava così: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». E cadendo in ginocchio, gridò forte: «Signore, non tener conto del loro peccato». Poi morì.

Saulo perseguita la comunità cristiana

Saulo era uno di quelli che approvavano l'uccisione di Stefano. In quel giorno si scatenò una violenta persecuzione contro la comunità di Gerusalemme: tutti, eccetto gli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria. Alcune persone buone seppellirono il corpo di Stefano e piansero molto per la sua morte. Saulo intanto infieriva contro la Chiesa: entrava nelle case, trascinava fuori uomini e donne e li faceva mettere in prigione.

Filippo parla di Gesù ai Samaritani

Ma quelli che si erano dispersi andavano per il paese e annunziavano la parola di Dio. Filippo, uno dei sette diaconi, giunto in una città della Samaria, cominciò a parlare del Messia ai suoi abitanti. La folla seguiva attentamente i discorsi di Filippo per quel che diceva e perché vedeva i miracoli che egli faceva. Molti tormentati da spiriti maligni gridavano a gran voce, e gli spiriti se ne uscivano dagli ammalati; anche numerosi paralizzati e zoppi furono guariti. Perciò, gli abitanti della città erano molto contenti.

Il mago Simone

Già da tempo viveva in quella città un certo Simone, che praticava la magia ed era molto ammirato dalla popolazione della Samaria, perché si spacciava per un grande uomo. Tutti, dai più piccoli ai più grandi, gli davano ascolto. Dicevano tra l'altro: «In quest'uomo si manifesta la potenza di Dio, la grande potenza di Dio». Gli davano ascolto perché già da molto tempo li aveva profondamente sconvolti con le sue arti magiche. Quando però credettero a Filippo che annunziava loro il regno di Dio e Gesù, uomini e donne si fecero battezzare. Anche Simone credette e fu battezzato: anzi egli stava sempre con Filippo e, vedendo i grandi miracoli e prodigi che avvenivano, ne rimaneva incantato. Gli apostoli che erano rimasti in Gerusalemme vennero a sapere che gli abitanti della Samaria avevano accolto la parola di Dio: perciò mandarono da loro Pietro e Giovanni. Quando questi due arrivarono in Samaria, pregarono perché i Samaritani ricevessero lo Spirito Santo. Nessuno di loro infatti aveva ricevuto lo Spirito Santo, ma erano stati semplicemente battezzati nel nome del Signore Gesù.

Pietro e Giovanni impongono le mani

Allora Pietro e Giovanni posero le mani su loro, e quelli ricevettero lo Spirito Santo. Simone vedeva che quando gli apostoli ponevano le mani su qualcuno, quello riceveva lo Spirito Santo; perciò offrì denaro agli apostoli dicendo: Date anche a me questo potere, fate in modo che coloro sui quali io poserò le mie mani ricevano lo Spirito Santo. Ma Pietro gli rispose: Va' alla malora, tu e il tuo denaro, perché hai pensato che il dono di Dio si può acquistare con i soldi. Tu non hai assolutamente nulla da condividere con noi in queste cose, perché tu non hai la coscienza a posto davanti a Dio.

Smettila di pensare a questo modo e prega il Signore perché ti perdoni l'intenzione malvagia che hai avuto. Mi accorgo infatti che sei pieno di male e prigioniero della cattiveria. Allora Simone rispose: Pregate voi il Signore per me, perché non mi capiti nulla di quello che avete detto. Così Pietro e Giovanni davano la loro testimonianza e predicavano la parola del Signore. Poi ripresero la strada verso Gerusalemme: cammin facendo predicavano anche in molti altri villaggi dei Samaritani. 

Filippo incontra un funzionario della regina d'Etiopia

Un angelo del Signore parlò così a Filippo: «Alzati, e va' verso sud, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza: è una strada deserta». Filippo si alzò e si mise in cammino. Tutto a un tratto incontrò un Etiope: era un eunuco, un funzionario di Candace, regina dell'Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori. Era venuto a Gerusalemme per adorare Dio e ora ritornava nella sua patria. Seduto sul suo carro, egli stava leggendo una delle profezie di Isaia. Allora lo Spirito di Dio disse a Filippo: «Va' avanti e raggiungi quel carro». Filippo gli corse vicino e sentì che quell'uomo stava leggendo un brano del profeta Isaia. Gli disse: «Capisci quello che leggi?». Ma quello rispose: «Come posso capire se nessuno me lo spiega?».

Poi invitò Filippo a salire sul carro e a sedersi accanto a lui. Il brano della Bibbia che stava leggendo era questo: Come una pecora fu condotto al macello, e come un agnello che tace dinanzi a chi lo tosa, così egli non aprì bocca. È stato umiliato ma ottenne giustizia. Non potrà avere discendenti, perché con violenza gli è stata tolta la vita. Rivoltosi a Filippo l'eunuco disse: «Dimmi, per piacere: queste cose il profeta di chi le dice. di sé stesso o di un altro?». Allora Filippo prese la parola e cominciando da questo brano della Bibbia gli parlò di Gesù. Lungo la via arrivarono a un luogo dove c'era acqua e l'Etiope disse: «Ecco, qui c'è dell'acqua! Che cosa mi impedisce di essere battezzato?». Allora l'eunuco fece fermare il carro: Filippo e l'eunuco discesero insieme nell'acqua e Filippo lo battezzò. Quando risalirono dall'acqua, lo Spirito del Signore portò via Filippo, e l'eunuco non lo vide più. Tuttavia egli continuò il suo viaggio, pieno di gioia. Filippo poi si trovò presso la città di Azoto; da quella città fino a Cesarea egli predicava a tutti.

Saulo diventa cristiano

Saulo intanto continuava a minacciare i discepoli del Signore e faceva di tutto per farli morire. Si presentò al sommo sacerdote, e gli domandò una lettera di presentazione per le sinagoghe di Damasco. Intendeva arrestare, qualora ne avesse trovati, uomini e donne, seguaci della nuova fede, e condurli a Gerusalemme. Cammin facendo, mentre stava avvicinandosi a Damasco, all'improvviso una luce dal cielo lo avvolse. Cadde subito a terra e udì una voce che gli diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? E Saulo rispose: Chi sei, Signore? E quello disse: Io sono Gesù che tu perseguiti! Ma su, alzati, e va' in città: là c'è qualcuno che ti dirà quello che devi fare.

I compagni di viaggio di Saulo si fermarono senza parola: la voce essi l'avevano sentita, ma non avevano visto nessuno. Poi Saulo si alzò da terra. Aprì gli occhi ma non ci vedeva. I suoi compagni allora lo presero per mano e lo condussero in città, a Damasco. Là passò tre giorni senza vedere. Durante quel tempo non mangiò né bevve. A Damasco viveva un cristiano che si chiamava Anania. Il Signore in una visione lo chiamò: Anania! Ed egli rispose: Eccomi, Signore! Ma il Signore gli disse: Alzati e va' nella via che è chiamata Diritta.

Entra nella casa di Giuda e cerca un uomo di Tarso chiamato Saulo. Egli sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venirgli incontro e mettergli le mani sugli occhi perché ricuperi la vista. Anania rispose: Signore, ho sentito molti parlare di quest'uomo e so quanto male ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. So anche che ha ottenuto dai capi dei sacerdoti l'autorizzazione di arrestare tutti quelli che ti invocano Ma il Signore disse: Va', perché io ho scelto quest'uomo. Egli sarà utile per farmi conoscere agli stranieri, ai re e ai figli d'Israele. Io stesso gli mostrerò quanto dovrà soffrire per me.

Allora Anania partì, entrò nella casa e pose le mani su di lui, dicendo: «Saulo, fratello mio! È il Signore che mi manda da te: quel Gesù che ti è apparso sulla strada che stavi percorrendo. Egli mi manda, perché tu ricuperi la vista e riceva lo Spirito Santo». Subito dagli occhi di Saulo caddero come delle scaglie, ed egli ricuperò la vista. Si alzò e fu battezzato. Poi mangiò e riprese forza.

Saulo predica a Damasco

Saulo rimase alcuni giorni a Damasco insieme ai discepoli, e subito si mise a far conoscere Gesù nelle sinagoghe, dicendo apertamente: «Egli è il Figlio di Dio». Quanti lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: «Ma non è quel tale che a Gerusalemme perseguitava quelli che invocavano il nome di Gesù? Non è venuto qui proprio per arrestarli e portarli dai capi dei sacerdoti?». Saulo diventava sempre più convincente quando dimostrava che Gesù è il Messia, e gli Ebrei di Damasco non sapevano più che cosa rispondergli.

Saulo riesce a sfuggire agli Ebrei

Trascorsero così parecchi giorni, e gli Ebrei fecero un complotto per uccidere Saulo; ma egli venne a sapere della loro decisione. Per poterlo togliere di mezzo, gli Ebrei facevano la guardia, anche alle porte della città, giorno e notte. Ma una notte i suoi amici lo presero, lo misero in una cesta e lo calarono giù dalle mura.

Saulo arriva a Gerusalemme

Giunto in Gerusalemme, Saulo cercava di unirsi ai discepoli di Gesù. Tutti avevano paura di lui perché non credevano ancora che si fosse davvero convertito. Ma Barnaba lo prese con sé e lo condusse agli apostoli. Raccontò loro che lungo la via il Signore era apparso a Saulo e gli aveva parlato, e che a Damasco Saulo aveva predicato senza paura, per la forza che gli dava Gesù. Da allora Saulo poté restare con i credenti di Gerusalemme. Si muoveva liberamente per la città e parlava apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva anche con gli Ebrei di lingua greca, ma questi cercavano di ucciderlo. I credenti, venuti a conoscenza di questi fatti, condussero Saulo a Cesarea e di là lo fecero partire per Tarso. La Chiesa allora viveva in pace in tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria. Si consolidava e camminava nell'ubbidienza al Signore e si fortificava con l'aiuto dello Spirito Santo.

Pietro guarisce il paralitico Enea

In quel tempo Pietro andava a visitare tutte le comunità: capitò allora anche dai credenti della città di Lidda. Qui trovò un certo Enea che da otto anni non poteva muoversi dal letto perché era paralitico. Pietro gli disse: «Enea, Gesù ti guarisce: alzati e metti in ordine il tuo letto». E subito il paralitico si alzò. Gli abitanti di Lidda e della pianura di Saròn videro questo fatto e si convertirono al Signore.

Pietro risuscita una vedova

Tra i credenti di Giaffa vi era una certa Tabità, nome che significa "Gazzella": essa faceva molte opere buone e dava molto in elemosina. Proprio in quei giorni si ammalò e morì. Allora i parenti presero il suo corpo, lo lavarono e lo deposero in una stanza al piano superiore della casa. Lidda era una città vicino a Giaffa. I discepoli seppero che Pietro si trovava là e mandarono da lui due uomini. Questi gli dissero: «Vieni presto da noi!». Pietro si mise subito in viaggio con loro. Appena arrivato lo condussero al piano superiore della casa.

Gli andarono incontro tutte le vedove: piangendo mostravano a Pietro le tuniche e i mantelli che Tabità faceva quando era con loro. Allora Pietro fece uscire tutti dalla stanza, si mise in ginocchio e pregò. Poi rivolto alla morta disse: «Tabità, alzati». La donna aprì gli occhi, guardò Pietro e si sedette. Dandole la mano, Pietro la fece alzare; poi chiamò i credenti e le vedove e la presentò loro viva. In tutta la città di Giaffa si venne a sapere di questo fatto, e molti credettero nel Signore. Pietro rimase a Giaffa parecchi giorni in casa di un certo Simone che faceva il conciatore di pelli.

Pietro e Cornelio

C'era in Cesarea un uomo che si chiamava Cornelio; era un ufficiale dell'esercito romano che comandava il reparto italiano. Egli era un uomo religioso e con tutta la sua famiglia credeva in Dio. Faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio. Un giorno, verso le tre del pomeriggio, Cornelio ebbe una visione: vide chiaramente un angelo di Dio che gli veniva incontro e lo chiamava per nome. Egli lo fissò e con timore disse: Che c'è, Signore? L'angelo gli rispose: Dio ha accolto le tue preghiere e le tue elemosine come un sacrificio gradito. Manda perciò alcuni uomini a Giaffa e fa venire qui un certo Simone, detto anche Pietro.

Egli alloggia presso un altro Simone che fa il conciatore di pelli e ha la casa in riva al mare. Poi l'angelo che gli parlava si allontanò. Allora Cornelio chiamò due suoi servitori e un soldato che credeva in Dio, tra quelli a lui più fedeli. Spiegò loro ogni cosa e li mandò a Giaffa. Il giorno dopo, mentre essi erano in cammino e stavano avvicinandosi alla città, Pietro salì sulla terrazza a pregare: era quasi mezzogiorno. Gli venne fame e voglia di mangiare.  Mentre gli preparavano il pranzo, Pietro ebbe una visione. Vide il cielo aperto e qualcosa che scendeva: una specie di tovaglia grande, tenuta per i quattro angoli, che arrivava fino a terra. Dentro c'era ogni genere di animali, di rettili e di uccelli. Allora una voce gli disse: Pietro, alzati! Uccidi e mangia! Ma Pietro rispose: Non lo farò mai, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di proibito o di impuro. Quella voce per la seconda volta gli disse: Non devi considerare impuro quel che Dio ha dichiarato puro. Questo accadde per tre volte; poi, all'improvviso, tutto fu risollevato verso il cielo. Mentre Pietro cercava di capire il significato di ciò che aveva visto, arrivarono gli uomini di Cornelio. Essi avevano chiesto dove abitava Pietro e quando furono presso la porta domandarono ad alta voce: «È qui Simone, detto anche Pietro?».

Mentre Pietro stava ripensando a quello che aveva visto, lo Spirito gli disse: «Senti, ci sono qui alcuni uomini che ti cercano. Alzati e va' con loro senza paura, perché li ho mandati io da te». Pietro scese incontro agli uomini e disse loro: «Eccomi, sono io quello che voi cercate. Per quale motivo siete qui?». Quelli risposero: «Veniamo per conto di Cornelio, ufficiale romano. Egli è un uomo giusto che crede in Dio ed è stimato da tutti gli Ebrei. Un angelo del Signore gli ha suggerito di farti venire a casa sua e di ascoltare quello che tu hai da dirgli». Pietro allora li fece entrare e li ospitò per la notte.

Pietro in viaggio

Il giorno dopo, Pietro si mise in viaggio con gli uomini mandati da Cornelio. Anche alcuni credenti che abitavano a Giaffa vollero accompagnarlo. Il giorno seguente arrivarono a Cesarea. Cornelio aveva riunito in casa sua i parenti e gli amici più intimi e li stava aspettando. Mentre Pietro stava per entrare in casa, Cornelio gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi. Ma Pietro lo rialzò dicendogli: «Alzati! Sono un uomo anch'io!». Poi, conversando con lui, entrò in casa. Qui trovò tutti quelli che si erano riuniti e disse loro: «Voi sapete che non è lecito a un Ebreo stare con un pagano o entrare in casa sua. Ma Dio mi ha mostrato che non si deve evitare nessun uomo come impuro. Perciò, appena chiamato, son venuto senza alcuna esitazione. Ora vorrei sapere per quale motivo mi avete fatto venire».

Cornelio disse: «Quattro giorni fa, proprio a quest'ora, ero in casa e stavo recitando la preghiera del pomeriggio, quando mi si presentò un uomo in vesti candide. Egli mi disse: Cornelio, Dio ha accolto la tua preghiera e si è ricordato delle tue elemosine. Manda dunque degli uomini a Giaffa e fa venire Simone, chiamato anche Pietro: è ospite nella casa di Simone, il conciatore di pelli, vicino al mare. Io allora ho mandato subito qualcuno a cercarti e tu hai fatto bene a venire da me. Ecco, ora noi siamo qui tutti riuniti davanti a Dio per ascoltare quello che il Signore ti ha ordinato di dirci».

Pietro parla in casa di Cornelio

Allora Pietro prese la parola e disse: «Davvero mi rendo conto che Dio tratta tutti alla stessa maniera: egli infatti ama tutti quelli che credono in lui e vivono secondo la sua volontà, senza guardare al popolo al quale appartengono. Egli ha inviato il suo messaggio al popolo d'Israele, annunziando loro la salvezza per mezzo di Gesù: egli è il Signore di tutti gli uomini. Voi siete al corrente di quello che è accaduto in Galilea prima e in Giudea poi, dopo che Giovanni era venuto a predicare e a battezzare.

Avete sentito parlare di Gesù di Nazaret, che Dio ha consacrato con lo Spirito Santo e con la sua potenza. Egli poi è passato dovunque facendo del bene e guarendo tutti quelli che il demonio teneva sotto il suo potere: Dio infatti era con lui. Del resto, noi siamo testimoni di tutto quello che Gesù ha fatto nel paese degli Ebrei e a Gerusalemme. Lo uccisero mettendolo in croce, ma Dio lo ha fatto risorgere il terzo giorno e ha voluto che si facesse vedere non a tutto il popolo, ma a noi scelti da Dio come testimoni. Infatti dopo la sua risurrezione dai morti, noi abbiamo mangiato e bevuto con Gesù; poi egli ci ha comandato di annunziare al popolo e di proclamare che egli è colui che Dio ha posto come giudice dei vivi e dei morti. Tutti i profeti hanno parlato di Gesù dicendo che chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati: lui infatti ha il potere di perdonare».

Anche i pagani ricevono lo Spirito Santo

Mentre Pietro stava ancora parlando, lo Spirito Santo venne su tutti quelli che lo ascoltavano. I credenti di origine ebraica che erano venuti con Pietro rimasero molto meravigliati per il fatto che il dono dello Spirito Santo veniva dato anche ai pagani. Inoltre li sentivano parlare in altre lingue e lodare Dio. Allora Pietro disse: «Come si può ancora impedire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi?». Allora ordinò di battezzarli nel nome di Gesù. Essi poi pregarono Pietro di rimanere con loro per alcuni giorni.

Pietro si difende

Gli apostoli e i credenti che vivevano in Giudea vennero a sapere che anche i pagani avevano accolto la parola di Dio. Perciò i credenti di origine ebraica rimproveravano Pietro quando egli ritornò a Gerusalemme. Gli dicevano: «Tu hai osato entrare in casa di gente non circoncisa e hai mangiato con loro!». Allora Pietro cominciò a raccontare con ordine come erano andate le cose. Disse loro: «Stavo pregando nella città di Giaffa ed ebbi in estasi una visione. Vidi qualcosa che discendeva verso di me: una specie di tovaglia grande, tenuta per i quattro angoli, che dal cielo arrivava fino a me. La fissai con attenzione e vidi che dentro c'era ogni specie di animali, di bestie selvatiche, di rettili e di uccelli. Allora sentii una voce che mi diceva: Pietro, alzati! Uccidi e mangia! Ma io risposi: Non lo farò mai, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di proibito o di impuro.

Quella voce per la seconda volta mi disse: Non devi considerare come impuro quello che Dio ha dichiarato puro! «Questo accadde per tre volte; poi tutto fu sollevato di nuovo verso il cielo. «Ma proprio in quel momento, tre uomini si presentarono alla porta della casa in cui mi trovavo: venivano da Cesarea e mi cercavano.  Lo Spirito di Dio mi disse di andare con loro senza alcuna esitazione. Con me vennero anche questi nostri sei fratelli ed entrammo nella casa di Cornelio. «Egli ci raccontò di aver visto in casa sua un angelo che gli diceva: Manda degli uomini a Giaffa e fa venire Simone, detto anche Pietro. Egli ti parlerà di quello che porta la salvezza a te e a tutta la tua famiglia.

«Mentre incominciavo a parlare, lo Spirito Santo scese sopra di loro, come in principio era sceso su di noi. Allora mi ricordai di quello che il Signore ci aveva detto: Giovanni ha battezzato con acqua, ma voi sarete battezzati nello Spirito Santo. Dunque Dio ha dato loro lo stesso dono che ha dato a noi, quando abbiamo creduto nel Signore Gesù: e io chi ero da potermi opporre a Dio?». Udite queste cose i credenti di Gerusalemme si calmarono, anzi glorificarono Dio con queste parole: «Dunque, anche ai pagani Dio ha offerto l'occasione di convertirsi perché possano partecipare alla sua vita».

La chiesa di Antiochia

Dopo l'uccisione di Stefano si era scatenata la persecuzione. Allora molti credenti avevano abbandonato Gerusalemme e si erano dispersi, alcuni in Fenicia, altri a Cipro, altri fino ad Antiochia. Essi però predicavano la parola di Dio solo agli Ebrei. Tuttavia alcuni di essi, che erano di Cipro e di Cirene, appena giunti ad Antiochia si misero a predicare anche ai pagani, annunziando loro il Signore Gesù. La potenza del Signore era con loro, così che un gran numero di persone credette e si convertì al Signore. I credenti della chiesa di Gerusalemme vennero a sapere queste cose: allora mandarono Barnaba ad Antiochia. Egli vi andò e vide quello che Dio aveva operato con la sua grazia. Se ne rallegrò e incoraggiava tutti a rimanere fedeli al Signore con cuore deciso. Barnaba era un uomo buono, pieno di Spirito Santo e di fede. Un numero considerevole di persone allora si convertì al Signore. Barnaba poi andò a Tarso per cercare Paolo. Lo trovò e lo portò ad Antiochia. In questa comunità rimasero insieme per un anno intero e istruirono molta gente.

Proprio ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani. In questo periodo di tempo alcuni profeti scesero da Gerusalemme ad Antiochia. Uno di loro, che si chiamava Agabo, si alzò a parlare e per impulso dello Spirito Santo annunziò che stava per arrivare una grande carestia su tutta la terra. Di fatto ciò avvenne sotto l'imperatore Claudio. I discepoli allora decisero di mandare soccorsi ai fratelli che abitavano in Giudea, ciascuno secondo le sue possibilità. Così fecero: per mezzo di Barnaba e Saulo mandarono i soccorsi ai responsabili di quella comunità.

Erode fa uccidere Giacomo e fa imprigionare Pietro

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare la Chiesa per colpire alcuni suoi membri. Fece uccidere Giacomo, fratello di Giovanni. Accortosi che gli Ebrei erano contenti, ordinò anche l'arresto di Pietro, proprio durante le feste di Pasqua. Erode dunque fece arrestare Pietro e lo gettò in prigione. Pensava di fare il processo pubblico dopo le feste pasquali: intanto comandò a quattro squadre di quattro soldati ciascuna di sorvegliare il prigioniero. Mentre Pietro stava in carcere, la Chiesa pregava intensamente Dio per lui.

Pietro liberato dal carcere

Si avvicinava il giorno nel quale Erode voleva giudicare Pietro davanti al popolo. La notte prima del processo Pietro dormiva tra due soldati, legato con doppia catena. Davanti alla porta della prigione le sentinelle facevano la guardia. Quand'ecco, improvvisamente, entrò un angelo del Signore e la cella si riempì di luce. L'angelo toccò Pietro, lo svegliò e gli disse: «Svelto, alzati!». E subito le catene, caddero dai polsi di Pietro. Poi l'angelo continuò: «Mettiti vesti e sandali». Pietro ubbidì. Infine l'angelo gli disse: «Ora prendi il tuo mantello e vieni con me». Pietro lo seguì fuori dal carcere, ma non si rendeva conto di quello che l'angelo faceva e di ciò che stava succedendo. Gli sembrava che non fosse vero: credeva di avere una visione. Pietro e l'angelo attraversarono i primi due posti di guardia. Poi arrivarono al portone di ferro che portava in città. Il portone si aprì davanti a loro, ed essi uscirono. Camminarono un po' in una strada, e all'improvviso l'angelo scomparve.

Allora Pietro si rese conto di quello che stava accadendo e disse: «Ora capisco: è proprio il Signore che ha mandato il suo angelo per liberarmi dal potere di Erode e da tutto il male che il popolo voleva farmi». Rimase un po' a pensare, poi andò verso la casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco. Là si erano riuniti molti cristiani per pregare insieme. Pietro bussò alla porta d'ingresso, e una ragazza che si chiamava Rode venne ad aprirgli. Essa riconobbe subito la voce di Pietro e per la gioia non pensò neppure di aprire la porta ma tornò indietro e riferì che Pietro era là fuori. Ma gli altri le dissero: «Tu sei matta». La ragazza però insisteva e diceva che era proprio vero. Allora le dissero: «Sarà il suo angelo». Pietro, intanto, continuava a bussare alla porta. Quando finalmente gli aprirono, videro che era proprio lui e rimasero sbalorditi. Ma Pietro con la mano fece segno di tacere: poi raccontò in che modo il Signore lo aveva liberato dal carcere. Alla fine disse: «Fatelo sapere a Giacomo e agli altri fratelli». Poi uscì e se ne andò altrove. Quando fu giorno, tra i soldati ci fu grande agitazione: tutti domandavano che cosa era accaduto di Pietro. Erode lo fece cercare con cura ma non riuscì a trovarlo. Allora processò le guardie e ordinò di ucciderle. In seguito Erode lasciò la regione della Giudea e si stabilì a Cesarea. 

La morte di Erode

In quel tempo Erode era in forte contrasto con gli abitanti di Tiro e Sidone. Essi si misero d'accordo e vennero da lui. Avevano ottenuto anche l'appoggio di un certo Blasto, che era addetto agli affari del re. Volevano la pace perché avevano bisogno di importare viveri dal paese del re. Nel giorno stabilito per l'incontro, Erode indossò il manto regale, si sedette sul trono e cominciò a fare un discorso tra gli applausi del popolo. La gente gridava: «È un dio che parla, non un uomo!». Ma improvvisamente un angelo del Signore colpì Erode perché aveva preso per sé la gloria che è dovuta solo a Dio. Egli mori, divorato dai vermi.

Barnaba e Saulo ricevono un nuovo incarico

La parola di Dio si diffondeva sempre di più e il numero dei credenti cresceva. Intanto Barnaba e Saulo portarono a termine il loro incarico a Gerusalemme. Ritornarono ad Antiochia e condussero con sé anche Giovanni Marco. Nella comunità di Antiochia vi erano alcuni che predicavano e insegnavano. Erano: Barnaba e Simeone, soprannominato il Niger, Lucio di Cirene e Manaen, compagno d'infanzia di Erode, e Saulo. Un giorno, mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse loro: «Mettetemi da parte Barnaba e Saulo perché li ho destinati a una missione speciale». Allora, dopo aver digiunato e pregato, stesero le mani su loro e li fecero partire.

Barnaba e Saulo nelle città di Cipro

Mandati dallo Spirito Santo, Barnaba e Saulo andarono nella città di Selèucia e di qui si imbarcarono per Cipro. Arrivarono quindi nella città di Salamina e si misero ad annunziare la parola di Dio nelle sinagoghe degli Ebrei. Avevano con loro anche Giovanni Marco che li aiutava. Attraversarono tutta l'isola fino alla città di Pafo: qui trovarono un Ebreo che si faceva passare per profeta e conosceva l'arte della magia. Si chiamava Bar-lesus ed era amico di Sergio Paolo, governatore dell'isola, il quale era un uomo intelligente. Costui fece chiamare Barnaba e Saulo perché desiderava ascoltare la parola di Dio. Ma Elimas, il mago, si opponeva all'azione di Barnaba e Saulo e faceva di tutto perché il governatore non credesse.

Allora Saulo, detto anche Paolo, pieno di Spirito Santo, fissò gli occhi sul mago e disse: «Tu sei pieno di menzogna e di malizia. Tu sei figlio del diavolo e nemico di tutto ciò che è bene. Quando la finirai di sconvolgere i progetti del Signore? Ma ora il Signore ti colpisce: sarai cieco e per un certo tempo non potrai più vedere la luce». Subito il mago si trovò nelle tenebre più oscure: si moveva a tentoni e cercava qualcuno che lo guidasse per mano. Dinanzi a questo fatto, il governatore credette, profondamente scosso dall'insegnamento del Signore.

Paolo e Barnaba ad Antiochia, in Pisidia

Paolo e i suoi compagni lasciarono la città di Pafo e giunsero a Perge, città della Panfilia. Qui Giovanni si separò da loro per ritornare a Gerusalemme. Essi invece partirono da Perge e arrivarono ad Antiochia, capitale della Pisidia. Quando fu sabato, Paolo e Barnaba entrarono nella sinagoga e si sedettero. Dopo la lettura della legge di Mosè e degli scritti dei profeti, i capi della sinagoga li invitarono a parlare: «Fratelli, se volete esortare l'assemblea con qualche vostra parola, fatelo liberamente!». Allora Paolo si alzò, fece un cenno con la mano e disse: «Israeliti e voi tutti che adorate Dio, ascoltatemi! Il Dio del popolo d'Israele scelse i nostri padri. Mentre il popolo si trovava in esilio nella terra d'Egitto, lo fece diventare un popolo numeroso; poi, con la sua grande potenza, li fece uscire da quel paese. Per circa quarant'anni, nel deserto, si prese cura di loro. Distrusse sette popoli nella regione di Canaan e diede le loro terre in eredità al suo popolo.  Per circa quattrocentocinquant'anni le cose andarono così. Poi Dio stabilì alcuni giudici sopra il suo popolo fino ai tempi del profeta Samuele. Quando i nostri padri chiesero un re, Dio diede loro Saul, figlio di Cis, uno della tribù di Beniamino. Egli regnò per quarant'anni. Ma poi Dio lo tolse via dal trono e scelse per il suo popolo il re Davide. Di lui abbiamo questa testimonianza nella Bibbia: Ecco Davide, figlio di lesse. Egli mi è caro e farà in tutto la mia volontà».

«Dio è fedele alle sue promesse: perciò dalla discendenza di Davide egli ha fatto nascere per Israele un salvatore, Gesù. Prima dell'arrivo di Gesù è venuto Giovanni il Battista. Egli predicava al popolo d'Israele di farsi battezzare e di cambiare vita. Verso la fine della sua missione Giovanni affermò: Per chi mi avete preso? No, non sono io quello che voi aspettate. Ecco, egli verrà dopo di me, e io non sono degno neppure di slacciargli i sandali. «Fratelli, discendenti di Abramo, e voi tutti che adorate Dio: a noi Dio ha mandato questo messaggio di salvezza. «Gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi non hanno capito che Gesù era il Salvatore. Eppure, condannando Gesù, senza saperlo, hanno realizzato quelle profezie che si leggono ogni sabato. Non hanno trovato alcun motivo per poterlo condannare, ma hanno chiesto a Pilato di condannarlo a morte.

Così, hanno portato a termine tutto quello che i profeti avevano scritto su Gesù. In seguito, qualcuno ha tolto Gesù dalla croce e lo ha messo in un sepolcro. «Dio però lo ha fatto risorgere dai morti, ed egli per molti giorni è apparso a quelli che erano venuti con lui dalla Galilea a Gerusalemme. Questi, ora, sono i tuoi testimoni davanti al popolo. «Anche noi vi portiamo questo messaggio di salvezza: Dio ha fatto risorgere Gesù, e così la promessa che egli aveva fatto ai nostri padri l'ha realizzata per noi che siamo loro figli. Così sta scritto anche nel salmo secondo: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Dio ha risuscitato Gesù dai morti liberandolo una volta per sempre dalla potenza della morte. Anche questo era scritto nella Bibbia: Sarò fedele: vi darò la salvezza promessa a Davide. E anche in un altro testo della Bibbia si dice: Tu non permetterai che il tuo santo vada in corruzione.

Ora il re Davide servì Dio durante la vita facendo la sua volontà; ma poi morì, fu sepolto, e il suo corpo è andato in polvere. Colui invece che Dio ha fatto risorgere non è andato in polvere. «Sappiate dunque, o fratelli: per mezzo della legge di Mosè voi non potevate essere liberati dai vostri peccati: per mezzo di Gesù invece avete il perdono dei peccati, perché chiunque crede in lui è salvato. Badate dunque che non capiti anche a voi quello che hanno scritto i profeti: Voi, gente abituata a disprezzare, state a vedere! Guardate bene e sparite per sempre! Mentre siete in vita io voglio compiere un'opera: un'opera da non credere se qualcuno ve la racconta».

Mentre Paolo e Barnaba uscivano dalla sinagoga, qualcuno chiese loro di riprendere questo discorso il sabato seguente. Quando l'assemblea fu sciolta, molti tra gli Ebrei e anche tra quelli che si erano convertiti alla religione ebraica seguirono Paolo e Barnaba. Essi rimasero a parlare con loro e li esortavano a rimanere fedeli alla grazia di Dio. Il sabato seguente quasi tutti gli abitanti di Antiochia si riunirono per ascoltare la parola del Signore. Appena videro tutta quella gente, gli Ebrei traboccarono di gelosia: si opponevano a tutto quello che Paolo diceva e lo insultavano.  Ma Paolo e Barnaba rispondevano loro con coraggio. Dicevano: «Noi dovevamo annunziare la parola di Dio a voi, prima che a tutti gli altri; ma dal momento che voi la rifiutate e dimostrate che non vi importa nulla della vita eterna, ecco che noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha comandato il Signore: Io faccio di te la luce delle nazioni per portare la mia salvezza in tutto il mondo».

Sentendo queste cose i pagani si rallegrarono molto e si misero a lodare la parola del Signore. Tutti quelli che erano destinati alla vita eterna diventarono credenti. Intanto la parola del Signore si diffondeva in tutta quella regione. Gli Ebrei però sobillarono le donne religiose dell'alta società e gli uomini più importanti della città. Così scatenarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. Allora essi scossero la polvere dai piedi, come segno di rottura con loro. Poi se ne andarono verso la città di Iconio. Intanto i cristiani di Antiochia vivevano nella gioia ed erano pieni di Spirito Santo.

Paolo e Barnaba nella città di Iconio

Anche nella città di Iconio, Paolo e Barnaba entrarono nella sinagoga degli Ebrei. Parlarono così bene che molti Ebrei e Greci credettero. Ma gli altri Ebrei, quelli che avevano rifiutato di credere, convinsero i pagani a mettersi contro i cristiani. Paolo e Barnaba, tuttavia, rimasero ancora un po' di tempo nella città di Iconio e con coraggio annunziavano la parola di Dio. Essi avevano fiducia nell'aiuto del Signore, e il Signore confermava l'annunzio della sua grazia con miracoli e prodigi. Gli abitanti della città si divisero in due partiti: alcuni stavano dalla parte degli Ebrei, altri invece dalla parte degli apostoli. A un certo punto tra i pagani e gli Ebrei ci fu un accordo con i loro capi per malmenare gli apostoli e poi ucciderli a sassate. Ma Paolo e Barnaba vennero a saperlo e fuggirono nelle città della Licaònia, Listra e Derbe, e nei loro dintorni. Anche qui continuarono ad annunziare la parola del Signore.

Attività di Paolo e Barnaba nella città di Listra

Nella città di Listra viveva un uomo paralizzato alle gambe e storpio fin dalla nascita: non aveva mai camminato in vita sua. Egli stava ascoltando il discorso di Paolo, quando Paolo lo fissò negli occhi e si accorse che aveva fede per essere guarito. Perciò gli disse ad alta voce: «Alzati, diritto in piedi». Quell'uomo saltò su e si mise a camminare. La gente che era li attorno, vedendo quello che Paolo aveva fatto, si mise a gridare: «Gli dèi hanno preso forma umana e sono venuti tra noi». Essi gridavano usando il dialetto di quella regione: dicevano che Barnaba era il dio Giove: Paolo, invece, era il dio Mercurio, perché parlava di più. All'ingresso della città vi era un tempio dedicato a Giove: allora il sacerdote di quel tempio portò tori e ghirlande di fiori davanti al tempio. Insieme alla folla voleva offrire un sacrificio in onore di Paolo e Barnaba.

Appena se ne accorsero, gli apostoli si stracciarono le vesti e si precipitarono verso il popolo, gridando: «Perché fate questo? Anche noi siamo uomini mortali, come voi! Siamo venuti solo a portarvi questo messaggio di salvezza: voi dovete abbandonare questi idoli senza valore e dovete rivolgervi al Dio vivente. È lui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutte le cose che essi contengono. Nel passato, Dio ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; ma anche allora non ha mai smesso di farsi conoscere, anzi si è sempre mostrato come benefattore. Infatti dal cielo ha mandato le piogge e le stagioni ricche di frutti, vi ha dato il nutrimento e vi ha riempito di gioia». Con questo discorso Paolo e Barnaba riuscirono a stento a trattenere quella gente dal fare un sacrificio in loro onore. Poi, dalle città di Antiochia e di Iconio arrivarono alcuni Ebrei e riuscirono a conquistarsi le simpatie della folla. Presero Paolo a sassate e poi lo trascinarono fuori della città, credendo che fosse morto. Ma vennero attorno a lui i discepoli, e allora Paolo si rialzò e entrò in città. Il giorno dopo, insieme a Barnaba, Paolo partì per la città di Derbe.

Paolo e Barnaba ritornano ad Antiochia

Paolo e Barnaba annunziarono il messaggio della salvezza anche nella città di Derbe e fecero un buon numero di discepoli. Poi, iniziarono il viaggio di ritorno, passando da Listra e da Iconio fino ad Antiochia, città della Pisidia: dappertutto infondevano coraggio ai discepoli e li esortavano a rimanere saldi nella fede. Tra l'altro dicevano: «È necessario passare attraverso molte tribolazioni, per poter entrare nel regno di Dio». In ogni comunità Paolo e Barnaba scelsero e lasciarono alcuni responsabili. Dopo aver pregato e digiunato, li raccomandarono alla protezione del Signore nel quale avevano creduto.

Poi attraversarono la regione della Pisidia e raggiunsero il territorio della Panfilia. Qui, predicarono la parola di Dio agli abitanti della città di Perge e poi discesero nella città di Attalia. Di qui, si imbarcarono per Antiochia di Siria, la città da dove erano partiti e dove erano stati affidati alla grazia di Dio per quella missione che ora avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la comunità e raccontarono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo di loro. Dissero che Dio aveva dato ai pagani la possibilità di credere. Poi, Paolo e Barnaba rimasero per un lungo periodo con i cristiani di Antiochia.

Le decisioni prese a Gerusalemme

In quel tempo, alcuni cristiani della Giudea vennero nella città di Antiochia e si misero a diffondere tra gli altri fratelli questo insegnamento: «Voi non potete essere salvati se non vi fate circoncidere come ordina la legge di Mosè». Paolo e Barnaba non erano d'accordo, e ci fu una violenta discussione tra loro. Allora si decise che Paolo e Barnaba e alcuni altri andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dai responsabili di quella comunità per presentare la questione. La comunità di Antiochia diede a Paolo e a Barnaba tutto il necessario per questo viaggio. Essi attraversarono le regioni della Fenicia e della Samaria, raccontando che anche i pagani avevano accolto il Signore. Questa notizia procurava una grande gioia a tutti i cristiani. Giunti a Gerusalemme, furono ricevuti dalla comunità, dagli apostoli e dai responsabili di quella chiesa. Ad essi riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo di loro. Però, alcuni che erano del gruppo dei farisei, ed erano diventati cristiani, si alzarono per dire: «È necessario circoncidere anche i credenti non ebrei e ordinar loro di osservare la legge di Mosè».

Allora, gli apostoli e i responsabili della comunità di Gerusalemme si riunirono per esaminare questo problema. Dopo una lunga discussione si alzò Pietro e disse: «Fratelli, come voi ben sapete, è da tanto tempo che Dio mi ha scelto tra di voi e mi ha affidato il compito di annunziare anche ai pagani il messaggio del vangelo, perché essi credano. Ebbene, Dio che conosce il cuore degli uomini ha mostrato di accoglierli volentieri: infatti ha dato anche a loro lo Spirito Santo, proprio come a noi. Egli non ha fatto alcuna differenza fra noi e loro: essi hanno creduto e perciò Dio li ha liberati dai loro peccati. Dunque, perché provocate Dio cercando di imporre ai credenti un peso che, né i nostri padri né noi, siamo stati capaci di sopportare? In realtà, sappiamo che anche noi siamo salvati per mezzo della grazia del Signore Gesù, esattamente come loro». Tutta l'assemblea rimase in silenzio. Poi ascoltarono Paolo e Barnaba che raccontavano i miracoli e i prodigi che Dio aveva fatto per mezzo loro tra i pagani. 

Quando essi ebbero finito di parlare, Giacomo disse: «Fratelli, ascoltatemi! Simone ci ha raccontato come fin da principio Dio si è preso cura dei pagani, per accogliere anche loro nel suo popolo. Questo concorda in pieno con le parole dei profeti. Sta scritto infatti nella Bibbia: Dopo questi avvenimenti io ritornerò; ricostruirò la casa di Davide che era caduta. Riparerò le sue rovine e la rialzerò. Allora gli altri uomini cercheranno il Signore, anche tutti i pagani che ho chiamati ad essere miei. Così dice il Signore. Egli fa queste cose, perché le vuole da sempre. «Per questo io penso che non si devono creare difficoltà per quei pagani che si convertono a Dio. A loro si deve soltanto chiedere di non mangiare la carne di animali che sono stati sacrificati agli idoli. Devono anche astenersi dai disordini sessuali. Infine non dovranno mangiare il sangue e la carne di animali morti per soffocamento. Queste norme, date da Mosè, fin dai tempi antichi sono conosciute in ogni città. Infatti dappertutto ci sono uomini che, ogni sabato, nelle sinagoghe predicano la legge di Mosè».

Una lettera ai nuovi credenti

Allora gli apostoli e i responsabili della chiesa di Gerusalemme, insieme a tutta l'assemblea, decisero di scegliere alcuni tra di loro e di mandarli ad Antiochia insieme con Paolo e Barnaba. Furono scelti due: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, che erano tra i primi di quella comunità. Ad essi fu consegnata questa lettera: «Gli apostoli e i responsabili della comunità di Gerusalemme salutano i fratelli cristiani di origine non ebraica che vivono ad Antiochia, in Siria e in Cilicia. Abbiamo saputo che alcuni della nostra comunità sono venuti fra voi per turbarvi e creare confusione. Non siamo stati noi a dare questo incarico. Perciò, abbiamo deciso, tutti d'accordo, di scegliere alcuni uomini e di mandarli da voi.

Essi accompagnano i nostri carissimi Barnaba e Paolo, i quali hanno rischiato la vita per il nostro Signore Gesù. Noi quindi vi mandiamo Giuda e Sila: essi vi riferiranno a voce le stesse cose che noi vi scriviamo. Abbiamo infatti deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose che sono necessarie: non mangiate la carne di animali che sono stati sacrificati agli idoli; non mangiate sangue o carne di animali morti per soffocamento.

Infine astenetevi dai disordini sessuali; tenetevi lontani da tutte queste cose e sarete sulla buona strada. Saluti!». Gli incaricati partirono e giunsero ad Antiochia. Qui riunirono la comunità e consegnarono la lettera. Quando l'ebbero letta, tutti furono pieni di gioia, per l'incoraggiamento che avevano ricevuto. Anche Giuda e Sila erano profeti: perciò parlarono a lungo ai fratelli nella fede, per incoraggiarli e per sostenerli. Rimasero là ancora un po' di tempo; poi, gli altri augurarono loro buon viaggio e li lasciarono tornare a Gerusalemme da quelli che li avevano mandati. Paolo e Barnaba invece rimasero ad Antiochia. Insieme a molti altri, essi insegnavano e annunziavano la parola del Signore.

Paolo e Barnaba si separano

Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba: «Ritorniamo a visitare i fratelli in tutte le città dove abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno». Barnaba voleva prendere con sé anche Giovanni Marco. Paolo invece era contrario, perché nel viaggio precedente Giovanni Marco si era staccato da loro fin dalla Panfilia e non li aveva più aiutati nella loro missione. Il loro disaccordo fu tale che alla fine si separarono: Barnaba prese con sé Marco e si imbarcò verso l'isola di Cipro; Paolo invece scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla protezione del Signore. Paolo passò attraverso le regioni della Siria e della Cilicia, e incoraggiava tutte le comunità che visitava.

Paolo attraversa l'Asia Minore

Paolo arrivò nella città di Derbe e poi a Listra. In questa città viveva un discepolo chiamato Timoteo: sua madre era una ebrea convertita, suo padre invece era greco. I cristiani di Listra e di Iconio avevano grande stima per Timoteo. Paolo lo volle prendere come compagno di viaggio. Però, per riguardo agli Ebrei che vivevano in quelle regioni, lo fece circoncidere: tutti sapevano che il padre di Timoteo era greco. Passando da una città all'altra, essi facevano conoscere alle varie comunità le decisioni prese dagli apostoli e dai responsabili della chiesa di Gerusalemme e raccomandavano loro di osservarle. Così le chiese si fortificavano nella fede, e i cristiani aumentavano di numero ogni giorno.

Troade: la visione di Paolo

Lo Spirito Santo non permise a Paolo, a Sila e Timoteo di annunziare la parola di Dio nella provincia dell'Asia; perciò essi attraversarono le regioni della Frigia e della Galazia. Arrivarono quindi vicino alla regione della Misia, e sarebbero voluti andare verso la Bìtinia, ma lo Spirito di Gesù non glielo permise. Allora attraversarono la regione della Misia e scesero nella città di Troade. Qui Paolo ebbe una visione: una notte egli vide davanti a sé un uomo, un abitante della Macedonia. Costui lo supplicava con queste parole: «Vieni da noi, in Macedonia, ad aiutarci!». Subito dopo questa visione, decidemmo di partire e di andare in Macedonia: eravamo convinti che Dio ci chiamava ad annunziare il messaggio della salvezza agli abitanti di quella regione.

Filippi: la conversione di Lidia

Ci imbarcammo a Troade e arrivammo diretti all'isola di Samotracia. Il giorno dopo continuammo il viaggio verso la città di Neapoli. Di qui andammo a Filippi, che è una colonia romana e capoluogo della Macedonia. A Filippi ci fermammo per alcuni giorni. Un sabato uscimmo dalla città per andare a pregare: pensavamo infatti che lungo il fiume ci fosse un luogo di preghiera. Arrivati là, ci sedemmo e ci mettemmo a parlare alle donne che si erano già riunite. Una di esse si chiamava Lidia: veniva dalla città di Tiatira ed era commerciante di porpora. Essa credeva in Dio e stava ad ascoltare. Il Signore l'aiutò a capire perché credesse alle parole di Paolo. Allora si fece battezzare, lei e tutta la sua famiglia. Poi ci invitò a casa sua: «Se siete convinti che ho accolto sinceramente il Signore, siate miei ospiti». E ci costrinse ad accettare. 

Paolo e Sila imprigionati a Filippi

Un altro giorno, mentre ritornavamo al luogo della preghiera, ci venne incontro una giovane schiava. Uno spirito maligno si era impossessato di lei e la rendeva capace di indovinare il futuro. Faceva l'indovina e procurava molti soldi ai suoi padroni. Quella ragazza si mise a seguire Paolo e noi, e gridava: «Questi uomini sono servi del Dio Onnipotente. Essi vi fanno conoscere la via che porta alla salvezza». Questa scena si ripeté per molti giorni, finché Paolo non poté più sopportarla. Si voltò bruscamente e disse allo spirito maligno: «Esci da questa donna! Te lo comando in nome di Gesù».

In quello stesso istante lo spirito maligno si allontanò dalla schiava. Ma i suoi padroni, vedendo svanire la speranza di altri guadagni, presero Paolo e Sila e li trascinarono in tribunale davanti alle autorità cittadine. Li presentarono ai giudici e dissero: «Questi uomini creano disordine nella nostra città. Essi sono Ebrei e stanno diffondendo usanze che noi, come sudditi di Roma, non possiamo accettare e tanto meno mettere in pratica». Allora anche la folla si scagliò contro Paolo e Sila; i giudici comandarono di spogliarli e di bastonarli. Dopo averli bastonati, li gettarono in prigione. Ai carcerieri raccomandarono di custodirli nel modo più sicuro possibile. Dinanzi a questi ordini, il carceriere prese Paolo e Sila, li gettò nella cella più interna della prigione e legò loro i piedi a grossi ceppi di legno.

Paolo e Sila liberati dal carcere

Verso mezzanotte Paolo e Sila pregavano e cantavano inni di lode a Dio. Gli altri carcerati stavano ad ascoltare. All'improvviso ci fu un terremoto tanto forte che la prigione tremò fin dalle fondamenta. Tutte le porte si spalancarono di colpo e le catene dei carcerati si slegarono. Il carceriere si svegliò e vide che le porte della prigione erano aperte: pensò che i carcerati fossero fuggiti. Allora prese la spada e stava per uccidersi. Ma Paolo gli gridò con tutta la voce che aveva: «Non farti del male! Siamo ancora tutti qui!». Il carceriere chiese una lanterna, corse nella cella di Paolo e Sila, e tutto tremante si gettò ai loro piedi. Poi li condusse fuori e domandò loro: Signori, che cosa devo fare per essere salvato? Essi risposero: Credi nel Signore Gesù. Sarai salvato tu e la tua famiglia. Quindi, Paolo e Sila annunziarono la parola del Signore al carceriere e a tutti quelli di casa sua. Egli li prese in disparte, in quella stessa ora della notte, e curò le loro piaghe. Subito si fece battezzare, lui e tutta la sua famiglia. Poi li invitò a casa sua e offrì loro un pranzo, e insieme con tutti i suoi fece festa per la gioia di aver creduto in Dio.

Quando fu giorno, i giudici mandarono le guardie a dire: Lascia liberi quegli uomini! Il carceriere andò da Paolo per informarlo. Gli disse: I giudici hanno dato l'ordine di lasciarvi liberi! Potete dunque uscire e andarvene in pace. Ma Paolo si rivolse alle guardie e disse loro: «Prima ci hanno fatto picchiare in pubblico e senza processo e poi ci hanno buttato in prigione, noi che siamo cittadini romani. Ora vogliono farci uscire di nascosto! No! Devono venire loro, personalmente, a farci uscire di qui». Le guardie riferirono queste parole ai giudici, ed essi si spaventarono, appena sentirono che Paolo e Sila erano cittadini romani. Andarono subito alla prigione a scusarsi. Poi li fecero uscire dalla prigione e li pregarono di lasciare la città. Paolo e Sila allora, lasciata la prigione, andarono in casa di Lidia. Qui incontrarono i cristiani di Filippi e li incoraggiarono. Poi partirono.

Paolo e Sila arrivano a Tessalonica

Paolo e Sila passarono per le città di Anfipoli e di Apollonia; poi arrivarono a Tessalonica. In questa città gli Ebrei avevano una sinagoga. Come al solito, Paolo andò da loro, e per tre sabati rimase a discutere con loro sulla base di quello che sta scritto nella Bibbia. Spiegava le profezie e dimostrava agli Ebrei presenti che il Messia doveva soffrire e poi risorgere dai morti. E concludeva così: «Questo Gesù che io vi annunzio, è lui il Messia». Alcuni dei presenti restarono convinti e si unirono a Paolo e Sila; così pure un buon numero di Greci credenti in Dio e molte donne dell'alta società. Ma gli Ebrei furono presi da grande gelosia.

Raccolsero nelle piazze alcuni malviventi, provocarono una sommossa tra la folla e crearono disordini in città. Poi assalirono la casa di un certo Giasone, per catturare Paolo e Sila e condurli davanti al popolo. Poiché non li trovarono, presero Giasone e alcuni altri credenti e li trascinarono davanti ai responsabili della città e si misero a gridare: «Questi uomini hanno messo in agitazione il mondo intero e ora sono arrivati anche qui da noi. Giasone li ha accolti in casa sua. Tutta questa gente agisce contro la legge dell'imperatore: essi infatti dicono che c'è un altro re, Gesù». Con queste accuse gli Ebrei eccitarono la folla e i capi della città. Giasone e gli altri credenti dovettero pagare una multa alle autorità e così furono rilasciati.

Paolo e Sila nella città di Berea

Durante la notte i cristiani di Tessalonica fecero partire in fretta Paolo e Sila per la città di Berea. Appena arrivati, essi entrarono nella sinagoga degli Ebrei. Gli Ebrei di questa città pero erano migliori di quelli di Tessalonica: infatti accolsero la loro predicazione con grande entusiasmo. Ogni giorno esaminavano le profezie della Bibbia per vedere se le cose stavano come Paolo diceva. Molti tra gli Ebrei di Berea diventarono credenti, e anche tra i Greci, molti uomini e molte nobildonne. Ma gli Ebrei di Tessalonica vennero a sapere che Paolo predicava la parola di Dio anche nella città di Berea: allora corsero in quella città per mettere in agitazione la folla e spingerla contro di lui. Ma i cristiani di Berea fecero subito partire Paolo verso il mare. Sila e Timoteo invece restarono in città. Quelli che accompagnavano Paolo andarono con lui fino ad Atene. Qui Paolo li incaricò di dire a Sila e Timoteo di raggiungerlo il più presto possibile.

Paolo nella città di Atene

Mentre Paolo aspettava Sila e Timoteo ad Atene, fremeva dentro di sé nel vedere quella città piena di idoli. Nella sinagoga invece discuteva con gli Ebrei e con i Greci credenti in Dio. E ogni giorno, in piazza, discuteva con quelli che incontrava. Anche alcuni filosofi, epicurei e stoici, Si misero a discutere con Paolo. Alcuni dicevano: «Che cosa pretende di insegnarci questo ciarlatano?». Altri invece sentendo che annunziava Gesù e la risurrezione osservavano: «A quanto pare è venuto a parlarci di divinità straniere». Per questo lo presero e lo portarono al tribunale dell'Areopago. Poi gli dissero: «Possiamo sapere cos'è questa nuova dottrina che vai predicando? Tu ci hai fatto ascoltare cose piuttosto strane: vorremmo dunque sapere di che cosa si tratta». Infatti per tutti i cittadini di Atene e per gli stranieri che vi abitavano il passatempo più gradito era questo: ascoltare o raccontare le ultime notizie.

Paolo allora si alzò in mezzo all'Areopago e disse: «Cittadini ateniesi, io vedo che voi siete gente molto religiosa da tutti i punti di vista. Ho percorso la vostra città e ho osservato i vostri monumenti sacri; ho trovato anche un altare con questa dedica: al dio sconosciuto. Ebbene, io vengo ad annunziarvi quel Dio che voi adorate ma non conoscete. «Egli è colui che ha fatto il mondo e tutto quello che esso contiene. Egli è il Signore del cielo e della terra, e non abita in templi costruiti dagli uomini. Non si fa servire dagli uomini come se avesse bisogno di qualche cosa: anzi è lui che dà a tutti la vita, il respiro e tutto il resto. «Da un solo uomo Dio ha fatto discendere tutti i popoli, e li ha fatti abitare su tutta la terra. Ha stabilito per loro i periodi delle stagioni e i confini dei territori da loro abitati. Dio ha fatto tutto questo perché gli uomini lo cerchino e si sforzino di trovarlo, anche a tentoni, per poterlo incontrare. In realtà Dio non è lontano da ciascuno di noi. In lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Anche alcuni vostri poeti l'hanno detto: "Noi siamo figli di Dio".

«Se dunque noi veniamo da Dio non possiamo pensare che Dio sia simile a statue d'oro, d'argento o di pietra scolpite dall'arte e create dalla fantasia degli uomini. Ebbene: Dio, ora, non tiene più conto del tempo passato, quando gli uomini vivevano nell'ignoranza. Ora, egli rivolge un ordine agli uomini: che tutti dappertutto devono convertirsi. Dio infatti ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia. E lo farà per mezzo di un uomo, che egli ha stabilito e ha approvato davanti a tutti, facendolo risorgere dai morti». Appena sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni dei presenti cominciarono a deridere Paolo. Altri invece dissero: «Su questo punto ti sentiremo un'altra volta». Così Paolo si allontanò da loro. Alcuni però lo seguirono e credettero. Fa questi vi era anche un certo Dionigi, uno del consiglio dell'Areopago, una donna di nome Dàmaris e alcuni altri.

Paolo nella città di Corinto

Dopo questi fatti, Paolo lasciò Atene e andò a Corinto. In quella città trovò un Ebreo che si chiamava Aquila, nato nella provincia del Ponto. Con Priscilla sua moglie, era appena arrivato dall'Italia, perché l'imperatore Claudio aveva espulso da Roma tutti gli Ebrei. Paolo andò a casa loro e, siccome faceva lo stesso mestiere, rimase con loro e li aiutava a fabbricare tende. Ogni sabato però andava nella sinagoga, si metteva a discutere, e cercava di convincere tutti, Ebrei e Greci. Poi arrivarono Sila e Timoteo dalla Macedonia: allora Paolo si dedicò soltanto alla predicazione. Di fronte agli Ebrei egli sosteneva che Gesù è il Messia mandato da Dio. Gli Ebrei però gli facevano opposizione e lo insultavano. Allora Paolo si stracciò le vesti in segno di sdegno e disse loro: «Se non vi salverete è colpa vostra: io ho fatto per voi tutto quello che potevo! D'ora in poi mi rivolgerò soltanto a quelli che non sono Ebrei». Quindi Paolo lasciò la sinagoga e andò in casa di un tale che si chiamava Tizio Giusto: era un Greco che seguiva la religione ebraica e la sua casa si trovava vicino alla sinagoga. Crispo, il capo della sinagoga, credette nel Signore insieme con tutti i suoi familiari. Anche altri abitanti di Corinto ascoltarono Paolo  e così credettero e si fecero battezzare.

Una notte il Signore apparve in sogno a Paolo e gli disse: «Non aver paura! Continua a predicare, e non tacere, perché io sono con te! Nessuno potrà farti del male. Anzi, molti abitanti di questa città appartengono già al mio popolo». Paolo rimase a Corinto un anno e mezzo, e annunziava loro la parola di Dio. Mentre Gallione era governatore romano della provincia dell'Acaia, gli Ebrei insorsero in massa contro Paolo: lo presero e lo portarono davanti al tribunale, dicendo: «Quest'uomo cerca di convincere la gente ad adorare Dio in modo contrario alla legge». Paolo stava per rispondere, ma Gallione disse agli Ebrei: «Se si tratta di un delitto o di una colpa grave, o Ebrei, è giusto che vi ascolti. Ma visto che si tratta di sottigliezze dottrinali della vostra legge, arrangiatevi da soli! Io non voglio essere giudice in queste faccende». Così li fece uscire dal tribunale. Allora tutti afferrarono Sòstene, capo della sinagoga, e si misero a picchiarlo davanti al tribunale. Gallione però non volle interessarsi di queste cose.

Paolo lascia la Grecia

Paolo rimase a Corinto ancora un po' di tempo. Poi salutò i cristiani di quella città e si imbarcò verso la provincia della Siria, insieme a Priscilla e Aquila. Siccome aveva fatto un voto, a Cencre si era fatto tagliare del tutto i capelli. Quando arrivarono nella città di Efeso Paolo si separò dai due coniugi. Entrò nella sinagoga e si mise a discutere con gli Ebrei. Essi lo pregarono di rimanere più a lungo, ma Paolo non accettò. Tuttavia li salutò dicendo: «Se Dio vorrà, tornerò da voi un'altra volta». Da Efeso si imbarcò per Cesarea. di qui andò a salutare la comunità di Gerusalemme, poi discese ad Antiochia. In questa città Paolo rimase per un po' di tempo. Di là partì di nuovo e attraversò una dopo l'altra le regioni della Galazia e della Frigia. Dappertutto egli rafforzava i discepoli nella fede.

Apollo predica nella città di Efeso

A Efeso in quei giorni arrivò un Ebreo, un certo Apollo, nato ad Alessandria d'Egitto. Parlava molto bene ed era esperto nella Bibbia. Apollo era già stato istruito nella dottrina del Signore; predicava con entusiasmo e insegnava con esattezza quello che riguardava Gesù. Con grande coraggio Apollo cominciò a predicare nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo sentirono parlare: allora lo presero con loro e lo istruirono più accuratamente nella fede cristiana. Apollo aveva intenzione di andare in Grecia; i fratelli allora lo incoraggiarono e scrissero ai cristiani di quella provincia di accoglierlo bene. Appena arrivato, Apollo, sostenuto dalla grazia di Dio, si rese molto utile a quelli che erano diventati credenti. Egli infatti sapeva rispondere con sicurezza alle obiezioni degli Ebrei e pubblicamente, con la Bibbia alla mano, dimostrava che Gesù è il Messia promesso da Dio.

Paolo nella città di Efeso

Mentre Apollo si trovava a Corinto, Paolo attraversò le regioni montuose dell'Asia Minore e arrivò alla città di Efeso. Qui trovò alcuni discepoli e domandò loro: Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete diventati cristiani? Gli risposero: Non abbiamo nemmeno sentito dire che esiste uno Spirito Santo. Paolo domandò loro ancora: Ma che battesimo avete ricevuto? Quelli risposero: Il battesimo di Giovanni il Battista. Allora Paolo spiegò loro: Quello di Giovanni era un battesimo per quelli che accettavano di cambiar vita; egli invitava la gente a credere in colui che doveva venire dopo di lui, cioè in Gesù. Dopo questa spiegazione i discepoli di Efeso si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù.

Quindi Paolo stese le mani su loro, ed essi ricevettero lo Spirito Santo. Cominciarono a parlare in altre lingue e a profetizzare. Erano in tutto circa dodici uomini. Per tre mesi Paolo poté andare regolarmente nella sinagoga. Discuteva con franchezza del regno di Dio e cercava di convincere quelli che lo ascoltavano. C'erano però alcuni che si dimostravano ostinati e si rifiutavano di credere; anzi, in pubblico, parlavano male della fede cristiana. Allora Paolo li abbandonò e separò nettamente i cristiani dalla sinagoga. Ogni giorno si metteva a discutere nella scuola di un tale che si chiamava Tiranno. Così Paolo continuò per due anni: tutti gli abitanti dell'Asia Minore, Ebrei e Greci, poterono ascoltare la parola del Signore.

I figli di Sceva

Dio intanto faceva miracoli straordinari per opera di Paolo. La gente prendeva fazzoletti o grembiuli che erano stati a contatto con Paolo, li metteva sopra i malati e questi guarivano. Anche gli spiriti maligni uscivano dai malati. Allora alcuni Ebrei che andavano in giro a scacciare gli spiriti maligni dai malati pensarono di servirsi del nome del Signore Gesù nei loro scongiuri. Dicevano agli spiriti maligni: «Nel nome di quel Gesù che Paolo predica, io vi comando di uscire da questi malati». Così facevano, ad esempio, i sette figli di un certo Sceva, Ebreo e capo dei sacerdoti. Ma una volta lo spirito maligno rispose loro: «Gesù lo conosco e Paolo so chi è! Ma voi, chi siete?».

Poi l'uomo posseduto dallo spirito maligno si scagliò contro di loro e li afferrò: li picchiò con tale violenza che essi fuggirono da quella casa nudi e pieni di ferite. Tutti gli abitanti di Efeso, Ebrei e Greci, vennero a sapere questo fatto. Furono pieni di meraviglia e dicevano: «Il Signore Gesù è grande!». Molti di quelli che erano diventati cristiani venivano e riconoscevano davanti a tutti il male che avevano fatto. Altri che avevano praticato la magia portarono i loro libri e li bruciavano davanti a tutti. Il valore di quei libri, secondo i calcoli fatti, era di circa cinquantamila monete d'argento. Così la parola del Signore si diffondeva e si rafforzava sempre più.

La sommossa di Efeso

Dopo questi fatti, Paolo decise di attraversare le province della Macedonia e della Grecia, e poi andare a Gerusalemme. Diceva: «Prima vado a Gerusalemme, poi dovrò andare anche a Roma». Per il momento, però, mandò nella provincia della Macedonia due suoi aiutanti, Timoteo ed Erasto. Egli, invece, rimase ancora un po' di tempo in Asia. Durante questo periodo, nella città di Efeso ci fu un grande tumulto a causa di questo nuovo insegnamento. Un certo Demetrio, di professione orafo, fabbricava tempietti della dea Artemide in argento: un mestiere che procurava agli artigiani un buon guadagno. Egli radunò gli orafi e tutti gli artigiani che facevano un mestiere del genere e disse loro: «Cittadini, voi sapete che questo lavoro è la fonte del nostro benessere. Ma avete sentito dire che questo Paolo continua a ripetere che non sono divinità quelle che noi facciamo con le nostre mani.

È così, ha convinto e portato fuori strada molta gente, non solo qui ad Efeso ma in quasi tutta l'Asia Minore. Dunque c'è il pericolo che il nostro mestiere vada in rovina. Ma c'è di più: nessuno si interessa più del tempio della grande dea Artemide; la dea che l'Asia e il mondo intero adorano perderà la sua grandezza». Sentendo questo discorso tutti si accesero di collera e si misero a gridare: «Grande è Artemide, la dea degli Efesini!».  La sommossa si estese a tutta la città. La gente corse in massa al teatro, trascinando con sé Gaio e Aristarco, nativi della Macedonia e compagni di viaggio di Paolo. Paolo voleva presentarsi al popolo, ma i cristiani di Efeso non glielo permisero. Anche alcuni funzionari della provincia dell'Asia, amici di Paolo, gli mandarono a dire di non andare al teatro. Intanto, al teatro chi gridava una cosa chi un'altra. Nell'assemblea vi era una grande confusione e la maggior parte della gente non sapeva neppure per quale motivo era andata là. Alcuni della folla volevano far parlare un certo Alessandro che gli Ebrei avevano spinto avanti. Egli fece un segno con la mano per ottenere il silenzio e parlare alla folla. Ma appena si accorsero che era Ebreo, tutti cominciarono a gridare: «Grande è Artemide, la dea degli Efesini!», e gridarono in coro per quasi due ore.

Alla fine il cancelliere della città riuscì a calmare la folla e disse: «Cittadini di Efeso, tutti sanno che la nostra città custodisce il tempio della grande dea Artemide e che la sua statua è stata a noi donata dal cielo! Nessuno al mondo può contestare questi fatti! State dunque calmi e non fate azioni imprudenti. Voi avete trascinato qui questi uomini, ma essi non hanno derubato il tempio e non hanno bestemmiato contro la nostra dea. Può darsi che Demetrio e i suoi colleghi di lavoro abbiano qualche diritto da rivendicare contro qualcuno, ma per questo ci sono i tribunali e i giudici. Vadano dunque in tribunale a esporre le loro accuse. Se invece avete qualche altra questione da discutere, si deciderà in una assemblea legalmente costituita. Per i fatti di oggi, c'è il pericolo di essere accusati di aver provocato disordini. Non c'è nessun motivo che possa giustificare questa riunione». Con queste parole il cancelliere della città sciolse l'assemblea.

Paolo va in Macedonia e in Grecia

Quando la sommossa finì, Paolo radunò i cristiani e li incoraggiò a continuare; quindi li salutò e partì verso la provincia della Macedonia. Mentre l'attraversava, Paolo esortava continuamente i fedeli con molti discorsi. Finalmente arrivò in Grecia e vi rimase tre mesi. Mentre stava partendo per la Siria, venne a sapere che alcuni Ebrei avevano preparato un complotto contro di lui. Allora decise di fare il viaggio di ritorno passando di nuovo per la Macedonia. Lo accompagnava Sòpatro, figlio di Pirro, abitante nella città di Berea, Aristarco e Secondo di Tessalonica, Gaio di Derbe e Timoteo, Tichico e Tròfimo della provincia dell'Asia. Questi però partirono prima di noi e ci aspettarono a Troade. Noi invece lasciammo Filippi dopo le feste pasquali. Con cinque giorni di viaggio li raggiungemmo a Troade. Qui restammo per una settimana.

Paolo visita i cristiani di Troade

Il primo giorno della settimana ci riunimmo per la celebrazione della Cena del Signore, e Paolo rimase a parlare con i discepoli. Siccome il giorno dopo doveva partire, continuò a parlare fino a mezzanotte. La stanza dove c'eravamo riuniti si trovava al piano superiore della casa ed era molto illuminata. Mentre Paolo continuava a parlare, un ragazzo di nome Éutico, che si era seduto sul davanzale della finestra, si addormentò. A un certo punto cadde giù dal terzo piano e fu raccolto morto. Paolo allora scese, si piegò su di lui, lo prese nelle sue braccia e disse: «Calma e coraggio. Éutico è vivo!». Poi risalì nella sala, spezzò il pane e lo mangiò con gli altri. Parlò ancora a lungo e quando spuntò il sole partì. Intanto quel ragazzo era stato portato a casa sano e salvo, con gran sollievo di tutti.

Paolo in viaggio da Troade a Mileto

Noi eravamo partiti per primi, con la nave, ed eravamo andati verso la città di Asso. Qui dovevamo prendere a bordo Paolo. Era stato lui a decidere così, perché voleva fare il viaggio a piedi. Quando ci raggiunse ad Asso, Paolo salì a bordo con noi e arrivammo nella città di Mitilene. Il giorno dopo partimmo da Mitilene e arrivammo di fronte a Chio. Con un altro giorno di viaggio arrivammo nella città di Samo, e il giorno dopo giungemmo a Mileto. Paolo infatti aveva deciso di non fermarsi ad Efeso, per non trattenersi troppo a lungo in Asia. Aveva fretta di arrivare a Gerusalemme, possibilmente per il giorno di Pentecoste.

Paolo parla ai responsabili della chiesa di Efeso

Trovandosi a Mileto, Paolo fece venire da Efeso i responsabili di quella comunità. Quando arrivarono, Paolo disse loro: «Voi sapete come io mi sono comportato con voi per tutto questo tempo: dal primo giorno che arrivai in Asia fino a oggi.  Ho lavorato per il Signore con profonda umiltà. Ho sofferto e ho anche pianto. Ho dovuto subire le insidie degli Ebrei a rischio della vita. Voi sapete che non ho mai trascurato quello che poteva esservi utile: non ho mai cessato di predicare e di istruirvi sia in pubblico che nelle vostre case. A tutti, Ebrei e Greci, ho raccomandato con insistenza di cambiar vita, di tornare a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù. «Ed ora, ecco: io devo andare a Gerusalemme senza sapere quel che mi accadrà. È lo Spirito Santo che mi spinge. Durante tutto questo viaggio lo Spirito Santo mi avverte e mi dice che mi aspettano catene e tribolazioni. Tuttavia, quel che più mi importa non è la mia vita, ma portare a termine la mia corsa e la missione che il Signore Gesù mi ha affidato: annunziare a tutti che Dio ama gli uomini.

«Ecco: io sono passato in mezzo a voi annunziando il regno di Dio; ora so che voi tutti non vedrete più il mio volto. Per questo, oggi, vi dichiaro solennemente che se qualcuno di voi non accoglie il Signore, io non ne ho colpa. Io infatti non ho mai trascurato di annunziarvi tutta la volontà di Dio. Badate a voi stessi e abbiate cura di tutti i fedeli: lo Spirito Santo ve li ha affidati e vi ha fatto essere loro pastori. Dio si è acquistata la Chiesa con la morte del Figlio suo, e ora tocca a voi guidarla come pastori. «Io so che, quando sarò partito, altri verranno fra voi e si comporteranno come lupi rapaci. Essi faranno del male al gregge. Perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse e cercheranno di tirarsi dietro altri credenti.  Perciò state bene attenti, e ricordate che per tre anni, notte e giorno, non ho mai smesso di esortare ciascuno di voi anche con le lacrime. 

«Ed ora, ecco: io vi affido a Dio e alla parola che annunzia il suo amore. Egli ha il potere di farvi crescere nella fede, e di darvi tutto quel che ha promesso a quelli che gli appartengono. Io non ho desiderato né argento né oro, né i vestiti di nessuno. Voi sapete bene che alle necessità mie e di quelli che erano con me ho provveduto con il lavoro di queste mie mani. Vi ho sempre mostrato che è necessario lavorare per soccorrere i deboli, ricordandoci di quello che disse il Signore Gesù: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere"». Quando ebbe finito di parlare, Paolo si inginocchiò con i responsabili della chiesa di Efeso, e insieme si misero a pregare. Piangevano tutti, si gettavano al collo di Paolo e lo abbracciavano. Erano molto tristi, specialmente per quello che Paolo aveva detto: «Voi non mi vedrete più». Poi lo accompagnarono fino alla nave.

Paolo in viaggio verso Gerusalemme

Venne poi il momento di separarci da loro e partimmo con la nave. Andammo e infine a Patara. Qui trovammo una nave che faceva la traversata verso la Fenicia: vi salimmo e prendemmo il largo Giunti in vista dell'isola di Cipro, la lasciammo sulla sinistra e puntammo verso la regione della Siria. Quindi arrivammo nella città di Tiro, dove si doveva lasciare a terra il carico della nave. Visitammo i discepoli di questa città e restammo con loro una settimana. Per suggerimento dello Spirito, essi dicevano a Paolo di non salire a Gerusalemme. Ma quando furono passati quei giorni partimmo. Tutta la comunità, comprese le donne e i bambini, ci accompagnò, finché arrivammo fuori città. Qui ci mettemmo in ginocchio sulla spiaggia a pregare. Poi ci salutammo a vicenda: noi salimmo sulla nave, ed essi ritornarono alle loro case. Dalla città di Tiro andammo a Tolemaide, e così si concluse il nostro viaggio per mare. Andammo a salutare i cristiani della città di Tolemaide, restando con loro un giorno.

Il giorno dopo partimmo di nuovo per raggiungere Cesarea. Là ci ospitò l'evangelista Filippo che era uno dei sette diaconi. Egli aveva quattro figlie non sposate, che avevano il dono della profezia. Eravamo a Cesarea da parecchi giorni, quando giunse nella regione della Giudea un certo Agabo, profeta. Egli venne a farci visita. A un certo punto, prese la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani, poi disse: «Ecco che cosa dice lo Spirito Santo: l'uomo al quale appartiene questa cintura sarà legato in questa maniera dagli Ebrei a Gerusalemme e sarà consegnato in mano ai pagani». Sentendo queste parole, noi e gli altri presenti pregammo Paolo di non andare a Gerusalemme. Ma Paolo ci rispose; «Perché piangete e cercate di togliermi il coraggio? Io sono pronto ad affrontare in Gerusalemme non solo la prigione ma anche la morte per amore del Signore Gesù». Visto che Paolo non si lasciava convincere, noi, rassegnati, dicemmo: «Sia fatta la volontà del Signore». Alcuni giorni più tardi, ci preparammo per il viaggio e si partì per Gerusalemme. Vennero con noi anche alcuni cristiani di Cesarea: essi ci condussero da un certo Mnasone, presso il quale trovammo alloggio. Egli era nativo di Cipro, ed era stato uno dei primi a diventare cristiano.

Paolo va a far visita a Giacomo

Appena arrivati a Gerusalemme, i cristiani ci accolsero con gioia. Il giorno dopo, Paolo venne con noi da Giacomo, e trovammo uniti tutti i responsabili della comunità. Paolo li salutò e poi riferì loro, ad una ad una, tutte le cose che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo del lavoro missionario che egli aveva svolto. I responsabili lo ascoltarono e ringraziarono Dio. Poi dissero a Paolo: «Tu vedi, fratello, quante migliaia di Ebrei sono diventati cristiani e tu sai che tutti sono rimasti molto attaccati alla legge di Mosè. Ebbene, essi hanno sentito dire che tu insegni a tutti gli Ebrei che vivono tra i pagani di abbandonare la legge di Mosè, dici di non circoncidere più i figli e di non seguire più le tradizioni ebraiche. Ora che cosa accadrà, quando gli Ebrei di questa città verranno a sapere che sei arrivato?  «Fa’ quello che ti suggeriamo: ci sono tra di noi quattro uomini che hanno fatto il voto di non bere vino e di non tagliarsi i capelli per un po' di tempo. Va' al tempio con loro e partecipa anche tu alla cerimonia della purificazione. Poi paga per loro le spese per i sacrifici che sciolgono dal voto. Così tutti capiranno che non c'è nulla di vero nelle informazioni ricevute riguardo a te, e che tu invece vivi in modo conforme alla legge di Mosè. «Ai pagani che sono diventati cristiani noi abbiamo fatto conoscere per lettera le nostre decisioni: essi non devono mangiare la carne di animali sacrificati agli idoli; non devono mangiare il sangue o la carne di animali morti per soffocamento; infine devono astenersi dai disordini sessuali». Paolo prese con sé quei quattro uomini e con loro, il giorno seguente, partecipò al rito della purificazione. Poi entrò nel tempio per far sapere ai sacerdoti quando scadeva il loro voto: per quel giorno infatti ciascuno di loro doveva offrire il sacrificio.

Paolo arrestato nel tempio

Stavano ormai per finire i sette giorni, quando gli Ebrei della provincia dell'Asia videro Paolo nel tempio. Eccitarono la folla contro di lui e riuscirono a prenderlo. Gridavano: «Uomini d'Israele, venite ad aiutarci! Questo è l'uomo che va predicando a tutti e dappertutto contro il popolo d'Israele, contro la legge di Mosè e contro il tempio di Dio. Adesso, per di più, ha fatto entrare alcuni non Ebrei nel tempio e così ha profanato questo luogo santo». Poco prima infatti essi avevano visto Paolo in giro per la città in compagnia di Trofimo, nativo di Efeso, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare nel tempio. Allora in tutta la città ci fu grande agitazione e il popolo accorse da ogni parte. Presero Paolo e lo trascinarono fuori del tempio. Poi chiusero subito le porte del tempio.

La gente stava cercando di ucciderlo, ma qualcuno salì in fretta dal comandante romano e gli disse: «Tutta Gerusalemme è in agitazione». Subito il comandante prese con sé alcuni soldati e ufficiali e si precipitò verso la folla. Vedendo il comandante e i soldati, gli Ebrei smisero di picchiare Paolo. Allora il comandante si avvicinò, e arrestò Paolo e lo fece legare con due catene. Intanto chiedeva alla gente: «Chi è costui? Che cosa ha fatto?». Ma in mezzo alla folla chi gridava una cosa, chi un'altra. Non potendo conoscere con sicurezza quel che era accaduto, a causa della confusione, il comandante ordinò di condurre Paolo nella fortezza. Quando arrivarono ai gradini della fortezza, la folla premeva con tale violenza che i soldati dovettero prendere Paolo sulle spalle. Una gran massa di popolo infatti veniva dietro e gridava: «A morte!».

Paolo si difende di fronte agli Ebrei di Gerusalemme

Mentre lo portavano nella fortezza, Paolo disse al comandante dei soldati: Posso dirti una cosa? Il comandante allora gli disse: Come, tu sai parlare in greco? Non sei tu, dunque, quell'Egiziano che recentemente ha provocato una rivolta e ha condotto nel deserto quattromila briganti? Paolo rispose: Io sono un Ebreo nato a Tarso, una città abbastanza importante della Cilicia. Ti prego, permettimi di parlare al popolo. Il comandante acconsentì. Allora Paolo in piedi, dall'alto della scala, con un cenno della mano invitò la folla a tacere. Ottenuto il silenzio Paolo cominciò a parlare loro in ebraico così: 

Sono Paolo

«Fratelli e padri, ascoltate quello che sto per dirvi in mia difesa». Quando sentirono che parlava in ebraico, fecero più silenzio di prima. Paolo continuò: «Io sono ebreo. Sono nato a Tarso, città della Cilicia, e sono cresciuto a Gerusalemme. Gamaliele è stato il mio maestro e mi ha insegnato a osservare scrupolosamente la legge dei nostri padri. Sono sempre rimasto fedele a Dio, come lo siete voi oggi. Ho perseguitato a morte quelli che seguono questa nuova dottrina. Ho arrestato e gettato in prigione uomini e donne cristiani. Anche il sommo sacerdote e tutti i capi del popolo possono testimoniare che dico il vero: da loro infatti ho avuto una lettera da portare agli Ebrei di Damasco. Allora partii, e avevo l'intenzione di arrestare e condurre a Gerusalemme anche i cristiani di Damasco per farli punire. «Ma durante il viaggio, verso mezzogiorno, prima di entrare nella città di Damasco, ecco che all'improvviso dal cielo venne una gran luce. Caddi a terra, e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? «Allora io domandai: Chi sei, o Signore? «E quella voce disse: Io sono Gesù di Nazaret, quello che tu stai perseguitando.

«Anche i miei compagni di viaggio videro la luce, ma la voce che mi parlava non la sentirono. «Allora io chiesi: Che cosa devo fare, Signore? «E il Signore mi rispose: Alzati, entra in Damasco: là qualcuno ti dirà quello che Dio vuole da te. «La luce era così forte che io non ci vedevo più. Allora i miei compagni di viaggio mi presero per mano e così giunsi a Damasco. «In quella città abitava un certo Anania, un uomo molto religioso, che ubbidiva alla legge di Mosè. Tutti gli Ebrei di Damasco lo stimavano molto. Egli venne a trovarmi, si avvicinò e mi disse: "Saulo, fratello mio, guardami!". In quello stesso istante io ricuperai la vista e lo vidi. «Anania allora mi disse: "Il Dio dei nostri padri ti ha scelto perché tu conosca la sua volontà, perché tu veda Cristo, il Giusto, e ascolti direttamente la sua voce. Tu infatti devi diventare suo testimone per annunziare a tutti gli uomini quello che hai visto e udito.

Dunque, perché aspetti? Alzati e fatti battezzare! Invoca il nome del Signore e sarai liberato dai tuoi peccati". «Allora ritornai a Gerusalemme, e mentre pregavo nel tempio ebbi una visione. Vidi il Signore che mi disse: Svelto, lascia subito Gerusalemme perché i suoi abitanti non ascolteranno la tua testimonianza su di me. «Ma io risposi: Signore, tutti sanno che io andavo nelle sinagoghe per imprigionare e far frustare quelli che credono in te. E quando fu ucciso Stefano, tuo testimone, ero presente anch'io. Approvavo quelli che lo uccidevano e custodivo i loro mantelli. «Ma il Signore mi disse: Va'! Io ti manderò lontano tra gente straniera».

Paolo nella fortezza Antonia

Fino a questo punto lo ascoltarono, ma poi cominciarono a gridare: «A morte quest'uomo! Non è degno di vivere su questa terra». La folla urlava, si stracciava le vesti, e faceva un gran polverone. Allora il comandante dei soldati ordinò di condurre Paolo nella fortezza, di frustarlo a sangue e d'interrogarlo. Sperava in tal modo di poter sapere perché gli Ebrei erano così infuriati contro Paolo. Appena fu legato, pronto per essere frustato, Paolo disse all'ufficiale che gli stava vicino: Potete voi frustare un cittadino romano senza fargli prima il processo? L'ufficiale corse subito a informare il comandante. Gli disse: Che cosa stai facendo? Quell'uomo è un cittadino romano! Allora il comandante venne da Paolo e gli chiese: Dimmi un po': sei davvero cittadino romano? Paolo rispose: Sì. Il comandante disse ancora: Per poter essere cittadino romano, io ho dovuto pagare una grossa somma di denaro. Io invece disse Paolo sono cittadino fin dalla nascita. Subito quelli che stavano per frustarlo si allontanarono da lui. Anche il comandante ebbe paura, perché aveva fatto incarcerare Paolo senza sapere che egli era cittadino romano.

Paolo davanti al tribunale ebraico

Ma il comandante romano voleva sapere con esattezza perché gli Ebrei accusavano Paolo. Perciò il giorno dopo gli fece togliere le catene e ordinò ai capi dei sacerdoti e a tutti i membri del tribunale ebraico di radunarsi. Poi fece venire Paolo davanti a loro. 

Paolo e Anania

Paolo fissò lo sguardo su di loro e disse: «Fratelli, fino ad oggi io ho servito Dio e la mia coscienza è perfettamente tranquilla». Il sommo sacerdote Anania comandò a quelli che stavano vicino a Paolo di colpirlo sulla bocca. Paolo allora disse: «Dio colpirà te, specie di muro imbiancato. Proprio tu che siedi lì per giudicarmi secondo la legge, contro la legge comandi di percuotermi?». I presenti fecero notare a Paolo: Ma tu stai insultando il sommo sacerdote di Dio! Allora Paolo disse: Fratelli, io non sapevo che egli fosse il sommo sacerdote. So che nella Bibbia sta scritto: Non maledire il capo del tuo popolo. Paolo sapeva che i membri del tribunale ebraico erano di idee diverse: alcuni erano sadducei e altri farisei.

Perciò esclamò dinanzi a loro: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei e mi vogliono condannare perché spero nella risurrezione dei morti». Queste parole di Paolo fecero scoppiare un contrasto tra i farisei e i sadducei, e l'assemblea si trovò divisa. I sadducei infatti dicono che i morti non risorgono e che non esistono né angeli né spiriti. I farisei invece credono a tutte queste cose. Ci fu dunque una grande confusione. Poi alcuni maestri della legge appartenenti al partito dei farisei si alzarono e protestarono: «Noi non troviamo nulla di male in quest'uomo. Non potrebbe darsi che uno spirito o un angelo gli abbia parlato?». A questo punto il contrasto si fece tanto forte che il comandante ordinò ai soldati di scendere nell'assemblea per portare via Paolo e ricondurlo in fortezza. Temeva infatti che Paolo venisse fatto a pezzi. La notte seguente il Signore apparve a Paolo e gli disse: «Coraggio! Tu sei stato mio testimone a Gerusalemme: dovrai essere mio testimone anche a Roma».

Alcuni Ebrei cercano di uccidere Paolo

La mattina dopo, alcuni Ebrei si riunirono per organizzare una congiura contro Paolo, e giurarono di non toccare né cibo né bevanda fino a quando non lo avessero ucciso. Quelli che avevano partecipato a questa congiura erano più di quaranta. Essi andarono dai capi dei sacerdoti e dai capi del popolo e dissero: «Noi ci siamo impegnati con solenne giuramento a non mangiare nulla finché non avremo ucciso Paolo. Voi dunque, d'accordo con il tribunale ebraico, dite al comandante di portarvi qui Paolo. Il pretesto potrebbe essere questo: che voi volete esaminare un po' meglio il suo caso. Noi intanto ci terremo pronti a ucciderlo prima che egli arrivi qui». Ma un nipote di Paolo venne a sapere qualcosa di questa congiura. Perciò andò alla fortezza, entrò e informò Paolo.

Allora Paolo chiamò uno degli ufficiali e gli disse: Accompagna questo ragazzo dal comandante; egli ha qualcosa da dirgli. L'ufficiale lo prese con sé, lo portò dal comandante e gli disse: Il prigioniero Paolo mi ha fatto chiamare e mi ha pregato di accompagnare da te questo giovane perché ha qualcosa da dirti. Il comandante prese per mano quel giovane, si ritirò in disparte e gli domandò: Che cosa hai da dirmi? Egli rispose: Gli Ebrei, tutti d'accordo, ti domanderanno di condurre Paolo domani davanti al loro tribunale con il pretesto di esaminare più accuratamente il suo caso. Tu però non crederci perché ci sono più di quaranta Ebrei che stanno preparando un tranello a Paolo. Essi hanno giurato di non mangiare né bere prima di aver ucciso Paolo. E ora sono già pronti, in attesa che tu lo faccia uscire dalla fortezza. Allora il comandante gli raccomandò: Non raccontare a nessuno le cose che mi hai detto! Poi lo lasciò andare.

Paolo viene trasferito nella città di Cesarea

Il comandante fece chiamare due ufficiali e disse loro: «Tenete pronti per stasera alle nove duecento soldati, settanta cavalieri e duecento uomini armati di lance: dovranno andare fino a Cesarea. Preparate anche alcuni cavalli per trasportare Paolo: egli deve arrivare sano e salvo dal governatore Felice». Poi scrisse anche una lettera che presso a poco diceva: «Claudio Lisia saluta Sua Eccellenza il governatore Felice. Quest'uomo che io ti mando, lo hanno arrestato gli Ebrei. Stavano per ammazzarlo, quando intervenni con le mie guardie. Venni a sapere che era cittadino romano e lo liberai. Poi volevo sapere perché gli Ebrei lo accusavano, e per questo lo condussi davanti al loro tribunale. Ho potuto stabilire che contro quest'uomo non c'erano accuse degne di morte o di prigione: si trattava solo di questioni che riguardano la loro legge.

Tuttavia sono venuto a sapere che gli Ebrei stanno preparando una congiura contro di lui: perciò te lo mando subito. Nello stesso tempo faccio sapere a quelli che lo accusano che devono rivolgersi a te». Con questi ordini, i soldati presero Paolo e lo condussero di notte fino alla città di Antipatride. Il giorno dopo lasciarono partire con lui soltanto i cavalieri. Gli altri tornarono alla fortezza. I cavalieri arrivarono a Cesarea, consegnarono la lettera al governatore e gli presentarono anche Paolo. Il governatore lesse la lettera e domandò a Paolo in quale provincia era nato. Paolo gli rispose: Sono originario della Cilicia. Allora Felice disse: Ti ascolterò quando saranno qui anche quelli che ti accusano. Poi comandò di rinchiudere Paolo nel palazzo di Erode.

Paolo processato davanti a Felice

Cinque giorni dopo, Anania, il sommo sacerdote, arrivò con alcuni capi del popolo e un avvocato che si chiamava Tertullo. Si presentarono al governatore Felice per dichiarare le loro accuse contro Paolo. Fu chiamato anche lui. Poi Tertullo cominciò la sua accusa dicendo: «Per merito tuo, eccellentissimo Felice, noi godiamo di una lunga pace. Tu hai provveduto a concedere a questa nazione alcune riforme. Noi accogliamo tutto ciò con la più profonda gratitudine. Ma non ti voglio far perdere troppo tempo; perciò ti prego di ascoltare, con la tua bontà, quel che brevemente abbiamo da dirti. «Quest'uomo, secondo noi, è estremamente pericoloso. Egli è capo del gruppo dei nazarei, e provoca disordini dappertutto tra gli Ebrei sparsi nel mondo. Ha tentato perfino di profanare il tempio, noi l'abbiamo arrestato. Se tu lo interroghi potrai accertarti di tutte queste cose delle quali noi lo accusiamo». Anche gli Ebrei appoggiarono l'accusa di Tertullo e dissero che i fatti stavano proprio così.

Paolo si difende davanti al governatore Felice

Il governatore fece un cenno a Paolo di parlare. Allora egli cominciò a dire: «So che da molti anni sei giudice di questo popolo. Perciò con fiducia parlerò in mia difesa. Sono venuto a Gerusalemme appena dodici giorni fa, per pregare nel tempio; è un fatto questo che tu stesso puoi controllare. Gli Ebrei non mi hanno mai trovato nel tempio a discutere con qualcuno o a mettere confusione tra la folla. Neppure nelle sinagoghe o per la città. Essi non possono dimostrare le accuse che ora lanciano contro di me. Ma ti dichiaro questo: che seguo quella nuova dottrina che essi considerano falsa. Io però riconosco e servo solo il Dio dei nostri padri e accetto tutto quel che è scritto nella legge di Mosè e quello che è scritto nei libri dei profeti. Come loro, io ho questa sicura speranza nel Signore: che tutti gli uomini, sia buoni che malvagi, risorgeranno dai morti. Per questo cerco anch'io di conservare sempre una coscienza pura dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.

«Ora, dopo molti anni, sono tornato per portare aiuti al mio popolo e per offrire sacrifici. Proprio durante questi riti, gli Ebrei mi hanno trovato nel tempio: stavo partecipando alla cerimonia della purificazione e non c'era folla né agitazione di popolo. C'erano però alcuni Ebrei della provincia d'Asia: questi si dovrebbero essere qui davanti a te per accusarmi se proprio hanno qualcosa contro di me. Oppure, lo dicano quelli che sono qui ora, se hanno trovato in me qualche colpa quando sono stato portato al tribunale ebraico. L'unica cosa che potrebbero dire è, che una volta, stando in mezzo a loro, io gridai: Oggi, io vengo processato davanti a voi perché credo nella risurrezione dei morti». Felice era molto ben informato sulla fede cristiana; perciò mandò via gli accusatori di Paolo dicendo: «Quando verrà il comandante Lisia, allora esaminerò il vostro caso». Poi ordinò al capo dei soldati di fare la guardia a Paolo e di concedergli una certa libertà. Tutti gli amici di Paolo potevano andare da lui per aiutarlo.

Paolo in carcere si incontra con Felice e Drusilla

Alcuni giorni dopo, Felice fece chiamare Paolo per sentirlo parlare della fede in Gesù: era presente anche sua moglie, Drusilla che era ebrea. Ma quando Paolo cominciò a parlare del giusto modo di vivere, del dovere di dominare gli istinti e del giudizio futuro di Dio, Felice si spaventò e disse: «Basta, per ora puoi andare. Quando avrò tempo ti farò richiamare». Intanto sperava di poter ricevere da Paolo un po' di soldi: per questo lo faceva chiamare abbastanza spesso e parlava con lui. Trascorsero così due anni. Poi al posto di Felice venne Porcio Festo. Ma Felice voleva fare un altro favore agli Ebrei, e così lasciò Paolo in prigione.

Paolo fa ricorso all'imperatore

Il governatore Festo, dunque, arrivò nella sua provincia e dopo tre giorni salì dalla città di Cesarea a Gerusalemme. Subito vennero da lui i capi dei sacerdoti e i capi degli Ebrei e presentarono le loro accuse contro Paolo. Poi, con molta insistenza, per l'odio che avevano contro Paolo, chiesero a Festo il favore di farlo condurre a Gerusalemme. Stavano infatti preparando un tranello per ammazzarlo durante il viaggio. Ma Festo rispose: «Paolo deve restare in prigione a Cesarea. Anch'io vi tornerò presto. Quelli tra voi che hanno autorità vengano con me a Cesarea, e se quest'uomo è colpevole di qualche cosa, là lo potranno accusare». Festo rimase a Gerusalemme ancora otto o dieci giorni, poi ritornò a Cesarea. Il giorno dopo aprì il processo e fece portare Paolo in tribunale. Appena arrivò, gli Ebrei venuti da Gerusalemme lo circondarono e lanciarono contro di lui molte gravi accuse. Essi però non erano capaci di provarle.

Paolo allora parlò in sua difesa e disse: Io non ho fatto niente di male; né contro la legge degli Ebrei, né contro il tempio e neppure contro l'imperatore romano. Festo però voleva fare un favore agli Ebrei; perciò domandò a Paolo: Accetti di andare a Gerusalemme? Il processo per queste accuse potrebbe essere fatto là, davanti a me. Ma Paolo rispose: Mi trovo davanti al tribunale dell'imperatore: qui devo essere processato. Io non ho fatto nessun torto agli Ebrei e tu lo sai molto bene. Se dunque sono colpevole e ho fatto qualcosa che merita la morte, io non rifiuto di morire. Ma se non c'è niente di vero nelle accuse che questa gente lancia contro di me, nessuno ha potere di consegnarmi a loro. Io faccio ricorso all'imperatore. Allora Festo si consultò con i suoi consiglieri. Poi decise: Tu hai fatto ricorso all'imperatore e dall'imperatore andrai.

Paolo dinanzi al re Agrippa e a Berenice

Alcuni giorni dopo il re Agrippa e sua sorella Berenice arrivarono a Cesarea per salutare Festo. Siccome si fermarono parecchi giorni, Festo raccontò al re il caso di Paolo. Gli disse: «Il governatore Felice mi ha lasciato qui un prigioniero. Quando io mi trovavo a Gerusalemme vennero da me i capi dei sacerdoti e i capi degli Ebrei per accusano e mi domandarono di condannarlo. Risposi loro che i Romani non hanno l'abitudine di condannare un uomo prima che egli abbia la possibilità di difendersi davanti ai suoi accusatori. I capi dei sacerdoti e i capi degli Ebrei vennero dunque qui da me, e io, senza perder tempo, il giorno dopo cominciai il processo e vi feci condurre anche Paolo. Quelli che lo accusavano si misero attorno a lui, e io pensavo che lo avrebbero accusato di alcuni delitti. Invece no: si trattava solo di questioni che riguardano la loro religione e un certo Gesù, che era morto, mentre Paolo sosteneva che era ancora vivo. Di fronte a un caso come questo io non sapevo che decisione prendere; perciò domandai a Paolo se accettava di andare a Gerusalemme e di essere processato in quella città. Ma Paolo fece ricorso e volle che la sua causa fosse riservata all'imperatore. Allora ho comandato di tenerlo in prigione fino a quando non potrò mandarlo all'imperatore».

A questo punto il re Agrippa disse al governatore Festo: Avrei piacere anch'io di ascoltare quest'uomo! E Festo gli rispose: Domani lo potrai ascoltare. Il giorno dopo, Agrippa e Berenice arrivarono con grande seguito ed entrarono nell'aula delle udienze, accompagnati dai comandati e dai cittadini più importanti. Festo fece venire Paolo e disse: Re Agrippa e voi cittadini tutti, qui presenti con noi: questo è l'uomo per il quale il popolo degli Ebrei si è rivolto a me a Gerusalemme e in questa città. Essi pretendono di farlo morire; io invece mi sono convinto che egli non ha commesso niente che meriti la condanna a morte. Ora egli ha fatto ricorso all'imperatore e io ho deciso di mandarlo a lui. Sul suo caso però non ho nulla di preciso da scrivere all'imperatore. Perciò ho voluto condurlo qui davanti a voi e specialmente davanti a te, re Agrippa, per avere, dopo questa udienza, qualcosa da scrivere all'imperatore. Mi sembra assurdo infatti mandare a Roma un prigioniero senza indicare le accuse che si fanno contro di lui.

Paolo si difende di fronte ad Agrippa

Il re Agrippa disse a Paolo: Ora tu puoi difenderti. Allora Paolo fece un cenno con la mano e si difese così: «Sono contento, o re Agrippa, di potermi difendere oggi, davanti a te, di tutte le accuse che gli Ebrei lanciano contro di me. So che tu conosci molto bene le usanze e le questioni religiose degli Ebrei. Ti prego dunque di ascoltarmi con pazienza. «Tutti gli Ebrei sono al corrente della mia vita: fin da quando ero ragazzo ho vissuto tra il mio popolo, a Gerusalemme. E tutti sanno anche, da molto tempo, che io ero fariseo e vivevo nel gruppo più rigoroso della nostra religione. Se vogliono, essi lo possono testimoniare. Ora invece mi trovo sotto processo, perché spero nella promessa che Dio ha fatto ai nostri padri.

Anche le dodici tribù del nostro popolo servono Dio con perseveranza giorno e notte, perché sperano di vedere realizzata questa promessa. Proprio per questa speranza, o re, io sono accusato dagli Ebrei. Perché ritenete assurdo che Dio faccia ritornare i morti alla vita? «Anch'io una volta credevo di dover combattere contro Gesù, il Nazareno, ed è quello che ho fatto in Gerusalemme. I capi dei sacerdoti mi avevano dato un potere speciale, e io gettavo in prigione molti cristiani. E quando essi venivano condannati a morte, anch'io votavo contro di loro. Spesso andavo da una sinagoga all'altra per costringerli con torture a bestemmiare. Ero crudele contro i cristiani senza alcun riguardo, e li perseguitavo anche nelle città straniere.

«Un giorno però stavo andando a Damasco: i capi dei sacerdoti mi avevano autorizzato dandomi pieni poteri.  Durante il viaggio, o re Agrippa, io vidi, in pieno giorno, una luce che scendeva dal cielo e sfolgorava intorno a me e a quelli che mi accompagnavano: era più forte del sole. Tutti cademmo a terra, e io sentii una voce in ebraico che diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Perché ti rivolti come fa un animale quando il suo padrone lo pungola? «Io domandai: Chi sei Signore? Allora il Signore rispose: Io sono Gesù, quello che tu perseguiti. Ma ora alzati e sta' in piedi. Io ti sono apparso per fare di te un mio servitore. Tu mi renderai testimonianza dicendo quello che hai visto oggi e proclamando quello che ti rivelerò ancora. Io ti libererò da tutti i pericoli, quando ti manderò dagli Ebrei e dai pagani. Andrai da loro per aprire i loro occhi, per farli passare dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana al servizio di Dio. Quelli che crederanno in me riceveranno il perdono dei loro peccati e faranno parte del mio popolo santo.

«Perciò, o re Agrippa, io non ho disubbidito a questa apparizione celeste, ma mi sono messo a predicare prima agli abitanti di Damasco e di Gerusalemme, poi a quelli della provincia della Giudea e anche ai pagani. A tutti dicevo di cambiar vita volgendosi all'unico Dio e di mostrare con le azioni la sincerità della loro conversione. Questo è il motivo per il quale gli Ebrei mi arrestarono mentre ero nel tempio e tentarono di uccidermi. Ma Dio mi ha dato il suo aiuto fino ad oggi: per questo sono testimone di Cristo davanti a tutti, piccoli e grandi. Io dico soltanto quello che gli scritti dei profeti e la legge di Mosè avevano previsto per il futuro: e cioè che il Messia doveva soffrire, che doveva essere il primo a risuscitare dai morti, e che doveva portare al popolo di Israele e ai pagani una luminosa speranza».

Paolo invita il re Agrippa a credere

Mentre Paolo parlava così per difendersi, il governatore Festo disse ad alta voce: Tu sei pazzo, Paolo! Hai studiato troppo e sei diventato matto! Ma Paolo gli rispose: Io non sono pazzo, eccellentissimo Festo; sto dicendo cose vere e ragionevoli. Il re Agrippa conosce bene queste cose e a lui posso parlare con franchezza. I fatti dei quali sto parlando non sono accaduti in segreto: per questo io penso che egli li conosce tutti. Re Agrippa, tu credi alle promesse dei profeti? Io so che tu ci credi! Agrippa allora rispose a Paolo: Ancora un po' e tu mi convincerai a farmi cristiano. Paolo gli disse: Io non so quanto manca alla tua conversione. Vorrei però chiedere a Dio che non solo tu, ma tutti quelli che oggi mi ascoltano diventino simili a me, tranne ovviamente per queste catene. Allora il re Agrippa si alzò e con lui anche il governatore Festo, Berenice e tutti quelli che avevano partecipato alla seduta. Mentre si allontanavano parlavano insieme e dicevano: «Quest'uomo non ha fatto niente che meriti la morte o la prigione». Agrippa disse a Festo: «Se non avesse fatto ricorso all'imperatore, quest'uomo poteva essere liberato».

Inizia il viaggio di Paolo verso Roma

Quando decisero di farci partire per l'Italia, consegnarono Paolo e alcuni altri prigionieri a un ufficiale, un certo Giulio, che apparteneva al reggimento imperiale. Salimmo a bordo di una nave della città di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d'Asia, e si partì. C'era con noi Aristarco, un cittadino macedone, originario di Tessalonica. Il giorno seguente arrivammo nella città di Sidone; qui Giulio gentilmente permise a Paolo di andare a trovare i suoi amici che lo ospitarono e lo circondarono di premure. Poi partimmo da Sidone. Il vento soffiava in senso contrario e noi allora navigammo al riparo dell'isola di Cipro. Costeggiammo la Cilicia e la Panfilia e arrivammo alla città di Mira, nella regione della Licia.

Qui l'ufficiale Giulio trovò una nave di Alessandria diretta verso l'Italia e ci fece salire su di essa.  Navigammo lentamente per molti giorni, e solo a gran fatica arrivammo all'altezza della città di Cnido. Ma il vento non ci era favorevole; perciò navigammo al riparo dell'isola di Creta, presso capo Salmone. Con molta difficoltà ci fu possibile costeggiare l'isola e finalmente arrivammo a una località chiamata "Buoni Porti", vicino alla città di Lasea. Avevamo perso molto tempo. Era già passato anche il periodo del digiuno ebraico d'autunno, ed era ormai pericoloso continuare la navigazione. Paolo l'aveva fatto notare, dicendo ai marinai: «Io vedo che questo viaggio sta diventando molto pericoloso, non soltanto per la nave e il carico ma anche per tutti noi che rischiamo di perdere la vita». Ma Giulio, l'ufficiale romano, dette ascolto al parere del pilota e del padrone della nave e non alle parole di Paolo. D'altra parte, la località di "Buoni Porti" era poco adatta per passarvi l'inverno: perciò la maggior parte dei passeggeri decise di ripartire per raggiungere possibilmente Fenice, porto di Creta, aperto a sud-ovest: là si poteva passare l'inverno.

La tempesta e il naufragio

Intanto si alzò un leggero vento del sud, ed essi credettero di poter realizzare il loro progetto. Levarono le ancore e ripresero a navigare, tenendosi il più possibile vicino alle coste dell'isola di Creta. Ma subito si scatenò sull'isola un vento impetuoso, detto Euroaquilone La nave fu travolta dalla bufera: era impossibile resistere al vento, e perciò ci lasciavamo portare alla deriva. Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Caudas, a fatica riuscimmo a prendere la scialuppa di salvataggio. I marinai la tirarono a bordo e con gli attrezzi cominciarono a legare la struttura della nave per renderla più forte. Poi, per paura di andare a finire sui banchi di sabbia della Libia, i marinai gettarono l'àncora galleggiante e così si andava alla deriva.

La tempesta continuava a sbatterei qua e là con violenza: perciò, il giorno dopo, si cominciò a gettare in mare il carico. Il terzo giorno, i marinai stessi scaricarono con le loro mani anche gli attrezzi della nave. Per parecchi giorni non si riuscì a vedere né il sole né le stelle, e la tempesta continuava sempre più forte. Ogni speranza di salvarci era ormai perduta per noi. Da molto tempo nessuno più mangiava. Allora Paolo si alzò in mezzo ai passeggeri e disse: «Amici, se mi davate ascolto e non partivamo da Creta, avremmo evitato questo pericolo e questo danno. Ora però io vi raccomando di avere coraggio. Soltanto la nave andrà perduta: ma nessuno di noi morirà. Questa notte, infatti, mi è apparso un angelo di quel Dio che io servo e al quale io appartengo.

Egli mi ha detto: "Non temere, Paolo! Tu dovrai comparire davanti all'imperatore e Dio, nella sua bontà, ti dona anche la vita dei tuoi compagni di viaggio". Perciò fatevi coraggio, amici! Ho fiducia in Dio: sono sicuro che accadrà come mi è stato detto. Andremo a finire su qualche isola». Da due settimane noi ci trovavamo alla deriva nel mare Mediterraneo quand'ecco, verso mezzanotte, i marinai ebbero l'impressione di trovarsi vicino a terra. Gettarono lo scandaglio e misurarono circa quaranta metri di profondità. Un po' più avanti provarono di nuovo e misurarono circa trenta metri di profondità. Allora, per paura di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, e aspettarono con ansia la prima luce del giorno.

Ma i marinai cercavano di fuggire dalla nave: per questo stavano calando in mare la scialuppa di salvataggio, col pretesto di gettare le ancore da prora. Allora Paolo disse all'ufficiale e ai soldati: «Se i marinai non restano sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo». Subito i soldati tagliarono le corde che sostenevano la scialuppa di salvataggio e la lasciarono cadere in mare. Nell'attesa che spuntasse il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo. Diceva: «Da due settimane vivete sotto questo incubo senza mangiare. Per questo vi prego di mangiare: dovete farlo, se volete mettervi in salvo. Nessuno di voi perderà neppure un capello». Dopo queste parole Paolo prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e incominciò a mangiare. Tutti si sentirono incoraggiati e si misero a mangiare anche loro. Sulla nave vi erano in tutto duecentosettantasei persone. Quando tutti ebbero mangiato a sufficienza, gettarono in mare il frumento per alleggerire la nave.

Il naufragio

Spuntò il giorno, ma i marinai non riconobbero la terra alla quale ci eravamo avvicinati. Videro però un'insenatura che aveva una spiaggia e decisero di fare il possibile per spingervi la nave. Staccarono le ancore e le abbandonarono in mare. Nello stesso tempo slegarono le corde dei timoni, spiegarono al vento la vela principale e così poterono muoversi verso la spiaggia. Ma andarono a sbattere contro un banco di sabbia, e la nave si incagliò. Mentre la prua, incastrata sul fondo, rimaneva immobile, la poppa invece minacciava di sfasciarsi sotto i colpi delle onde. I soldati allora pensarono di uccidere i prigionieri: avevano paura che fuggissero gettandosi in mare. Ma l'ufficiale voleva salvare Paolo e perciò impedì loro di attuare questo progetto. Anzi, comandò a quelli capaci di nuotare di gettarsi per primi in acqua per raggiungere la terra. Gli altri fecero lo stesso, aiutandosi con tavole di legno e rottami della nave. In questa maniera tutti arrivarono a terra sani e salvi.

Paolo nell'isola di Malta

Dopo essere scampati al pericolo, venimmo a sapere che quell'isola si chiamava Malta. I suoi abitanti ci trattarono con gentilezza: siccome si era messo a piovere e faceva freddo, essi ci radunarono tutti intorno a un gran fuoco che avevano acceso. Anche Paolo raccolse un fascio di rami per gettarlo nel fuoco; ma ecco che una vipera, a causa del calore, saltò fuori e si attaccò alla sua mano. La gente del luogo, come vide la vipera che pendeva dalla mano di Paolo, diceva fra sé: «Certamente questo uomo è un assassino: infatti si è salvato dal mare, ma ora la giustizia di Dio non lo lascia più vivere». Ma Paolo, con un colpo, gettò la vipera nel fuoco e non ne ebbe alcun male.

La gente invece si aspettava che la mano di Paolo si gonfiasse, oppure che Paolo cadesse a terra morto sul colpo. Aspettarono un bel po', ma alla fine dovettero costatare che Paolo non aveva alcun male. Allora cambiarono parere e dicevano: «Questo uomo è un dio». Vicino a quel luogo, aveva i suoi possedimenti il governatore dell'isola, un certo Publio. Egli ci accolse e ci ospitò per tre giorni con grande cortesia. Un giorno il padre di Publio si ammalò di dissenteria ed era a letto con febbre alta. Paolo andò a visitarlo: pregò, stese le mani su lui e lo guarì. Dopo questo fatto, anche gli altri abitanti dell'isola che erano ammalati, vennero da Paolo e furono guariti. I maltesi perciò ci trattavano con grandi onori, e al momento della nostra partenza ci diedero tutto quello che era necessario per il viaggio.

Paolo arriva a Roma

Dopo tre mesi ci imbarcammo su una nave della città di Alessandria che aveva passato l'inverno in quell'isola. La nave si chiamava "I Dioscuri". Arrivammo a Siracusa e qui rimanemmo tre giorni. Poi, navigando lungo la costa, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò il vento del sud e così in due giorni potemmo arrivare a Pozzuoli. Qui trovammo alcuni cristiani che ci invitarono a restare una settimana con loro. Infine partimmo per Roma. I cristiani di Roma furono avvertiti del nostro arrivo e ci vennero incontro fino al Foro Appio e alle Tre Taverne. Appena li vide, Paolo ringraziò il Signore e si sentì molto incoraggiato. Arrivati a Roma, fu permesso a Paolo di abitare per suo conto, con un soldato di guardia.

Paolo predica a Roma

Dopo tre giorni, Paolo invitò a casa sua i capi degli Ebrei di Roma. Quando furono riuniti disse loro: Fratelli, io non ho fatto nulla contro il nostro popolo e le tradizioni dei padri. Eppure a Gerusalemme gli Ebrei mi hanno arrestato e mi hanno consegnato ai Romani. I Romani mi hanno interrogato e volevano lasciarmi libero perché non trovavano in me nessuna colpa che meritasse la morte. Ma gli Ebrei si sono opposti a questa decisione, e allora sono stato costretto a fare ricorso all'imperatore. Io però non ho alcuna intenzione di portare accuse contro il mio popolo. Per questo motivo ho chiesto di vedervi e di parlarvi. Infatti io porto queste catene a causa di colui che il popolo di Israele ha sempre aspettato.

Gli risposero: Noi non abbiamo ricevuto dalla Giudea nessuna lettera che ti riguarda, e nessuno dei nostri fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. Tuttavia, noi vorremmo ascoltare da te quel che pensi: perché abbiamo saputo che il gruppo al quale tu appartieni trova opposizione un po' dappertutto. Poi si diedero un appuntamento. Nel giorno fissato, vennero nell'alloggio di Paolo ancor più numerosi. Dal mattino fino alla sera Paolo dava spiegazioni e annunziava ai presenti il regno di Dio. Partendo dalla legge di Mosè e dagli scritti dei profeti, Paolo cercava di convincerli a credere in Gesù. Alcuni si lasciarono convincere dalle parole di Paolo, altri invece non vollero credere. Poi se ne andarono, senza essere d'accordo tra di loro.

Allora Paolo aggiunse soltanto queste parole: «Lo Spirito Santo aveva ragione quando, per mezzo del profeta Isaia, disse ai vostri padri: Va' da questo popolo e parla gli così: Ascolterete e non capirete; guarderete e non vedrete perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile: sono diventati duri d'orecchi, hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, per non sentire con gli orecchi, per non comprendere con il cuore, per non tornare a Dio, per non lasciarsi guarire da lui».

Poi Paolo aggiunse: «Sappiate che questa salvezza Dio ora la offre ai pagani, ed essi l'accoglieranno». Paolo rimase due anni interi nella casa che aveva preso in affitto, e riceveva tutti quelli che andavano da lui. Egli annunziava il regno di Dio e insegnava tutto quello che riguarda il Signore Gesù con coraggio e senza essere ostacolato.