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Se fossi l’antagonista non cambierei nulla della politica.
Governi di destra, di centro e di sinistra. Governi conservatori e governi progressisti.
Governi laici e governi religiosi. Governi regali e governi popolari.
I popoli non si fanno la guerra, sono tra loro solidali; i loro governanti no.
Sono la casta.
Ognuno con le proprie parole e le proprie ideologie, ma di fatto governano unicamente i loro interessi, gli interessi della élite sovranazionale.
Se fossi l’antagonista non cambierei niente della morale corrente.
Dettata dai poteri forti dominanti; morale che indirizza, di fatto, alla massimizzazione dei profitti.
Una morale flessibile, funzionale, facilitatrice degli interessi contingenti dei pochi.
Se fossi l’antagonista non cambierei niente del mondo scientifico.
Scienza, ricerca e innovazione imbrigliate verso uno stesso percorso, nominalmente per il bene dell’umanità, ma di fatto condizionate, guidate, sponsorizzate da chi ne vuol trarre un proprio, chiaro beneficio.
Se fossi l’antagonista non cambierei niente delle religioni.
Tutte belle, tutte sante, tutte spirituali, tutte unite nel farsi chiamare ‘guru’, ‘padre’, ‘ayatollah’,’eccellenza’.
Tutte piene di santi, piene di promesse in un bellissimo aldilà a condizione di seguire con cura, attenzione e costanza i precetti, le regole, i comandamenti.
Camicie di forza che impediscono nella realtà la diretta comunicazione del figlio col Padre.
Allontanano, attraverso la complessa e regolamentata mediazione, il rapporto affettivo tra l’uomo ed il suo Creatore.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Se fossi l’antagonista non mi vestirei di rosso con il forcone in pugno.
Ma alla moda con un ramoscello di ulivo in mano.
La voce non irosa, ma calda e suadente.
Non un ghigno, ma sempre stampato un bel sorriso a trentadue denti.
Se fossi l’antagonista farei salire sul loro vagone riservato:
i progressisti per lasciarli liberi di parlare delle loro rivoluzioni;
i conservatori sul vagone speciale per ricordare i bei tempi;
i religiosi, ognuno sul proprio vagone particolare, per continuare a discutere sulla interpretazione dei punti e delle virgole;
i militari sul loro vagone blindato per decidere su armi e strategie mondiali;
i politici sul vagone regale per lasciarli pensare a come continuare a incantare gli elettori;
molti vagoni riservati agli indecisi, gli apatici, a cui tutto va bene a condizione di non chiedere loro un’opinione, di fargli prendere una qualunque decisione.
Ma intanto sono tutti seduti su quell’ unico treno che lentamente, accontentando ciascuno, senza troppi scossoni, ma inesorabilmente li porta verso la caldissima e terribile destinazione finale.
Il grande convoglio, il grande imbroglio.
Una sola cosa non può fare l’antagonista: fare il bene.
Ne può parlare, lo può inneggiare, santificare, pregare, predicare, codificare, legiferare, declamare; può scolpirlo, dipingerlo, cantarlo.
Ma non può farlo. È contro la sua natura. È la cartina di tornasole.
Allora cercherei con attenzione, in ogni campo, queste cartine di tornasole, questi umili lavoratori del bene; uomini e donne di buona volontà.
Ricercherei con cura il gesto buono, l’azione caritatevole, la pericolosa ricerca di giustizia, la partecipazione non di mente né di cuore ma di pancia, la condivisione che coinvolge nel profondo, un atto fatto anche di piccolissimi gesti come un bicchiere d’acqua o una carezza, ma vivo, vero, tangibile, palpabile, concreto.
Mi fiderei solo di loro e scenderei, finché in tempo, da quel convoglio e salirei su quest'ultimo treno: piccoli, tanti, gesti d'amore.