Storia di Giuseppe
La Storia di Giuseppe il falegname è un testo apocrifo conservatosi in lingua copta (boairico e saidico) e araba ma probabilmente redatto inizialmente in greco, databile in maniera incerta al VI secolo o ai secoli immediatamente successivi. Nella prima parte si tratta di una rielaborazione del materiale presente nel ProtoVangelo di Giacomo e nel Vangelo dell'infanzia di Tommaso relativamente al matrimonio tra Giuseppe e Maria. La parte successiva è relativa alla morte di Giuseppe e rappresenta un contributo originale.
PREMESSA
Questa è la relazione del trapasso del corpo del nostro santo padre Giuseppe falegname, padre di Cristo secondo la carne, che visse centoundici anni. Il nostro Salvatore ha raccontato agli apostoli tutta la sua biografia sul monte degli Ulivi. Gli stessi apostoli hanno scritto queste parole e le hanno depositate nella biblioteca di Gerusalemme. Il giorno in cui il santo vegliardo lasciò il suo corpo, era il 26 del mese di Epip. Nella pace di Dio. Amen!
DAL MATRIMONIO ALLA MORTE
Un giorno, sul monte degli Ulivi, il nostro buon Salvatore era seduto e aveva attorno a sé i suoi discepoli; parlò ad essi in questi termini: "Miei cari fratelli, figli del mio buon Padre che vi ha scelto da tutto il mondo, spesso, come sapete, vi ho avvertito ch'io devo essere crocifisso, ch'io devo assolutamente gustare la morte, che risusciterò dai morti, che vi affiderò il compito di predicare il Vangelo affinché l'annunciate in tutto il mondo, che vi investirò di una forza dall'alto, che vi riempirò di uno Spirito santo affinché predichiate a tutte le nazioni, dicendo loro: "Fate penitenza, poiché per l'uomo è meglio trovare un bicchier d'acqua nel mondo che verrà, che possedere tutti i beni del mondo intero"; e ancora: "Lo spazio di un'impronta di piede nella casa di mio Padre vale più di tutte le ricchezze di questo mondo"; e ancora: "Un'ora di gioia dei giusti, vale più di cento anni dei peccatori che piangono e si lamentano senza che alcuno asciughi le loro lacrime o s'interessi minimamente di essi".
Or dunque, mie membra gloriose, quando andrete, rivolgete loro questo insegnamento: "Il Padre mio regolerà il vostro conto con una bilancia giusta e un peso giusto" e ancora: "Sarà esaminata anche una parola vana detta da voi. Come non v'è modo di sfuggire alla morte, così nessuno può sfuggire alle proprie azioni buone o cattive". Tutto quanto vi ho detto si riassume in questo: il forte non può essere salvato dalla sua forza, né alcuno può salvarsi ad opera della sua grande ricchezza.
GIUSEPPE
Ascoltate ora, ch'io vi racconterò la storia di mio padre Giuseppe, il vecchio falegname. Sia benedetto! C'era un uomo chiamato Giuseppe della città di Betlemme degli Ebrei, città di David. Era ben dotato di saggezza e istruito nell'arte della falegnameria. Quest'uomo chiamato Giuseppe sposò una donna, nell'unione di un matrimonio santo, che gli diede figli e figlie: quattro maschi e due femmine. Ecco i loro nomi: Giuda e Loseto, Giacomo e Simone; i nomi delle figlie sono: Lisia e Lidia. La moglie di Giuseppe morì, come è stabilito per tutti gli uomini, lasciando Giacomo ancora in tenera età. Giuseppe era una persona giusta che in tutte le sue azioni dava gloria a Dio. Andava ad esercitare il mestiere di falegname di fuori; secondo la legge di Mosè, lui e i suoi due figli vivevano del lavoro delle loro mani. Questa persona giusta di cui parlo è Giuseppe, mio padre secondo la carne colui al quale fu unita come sposa mia madre Maria.
MARIA
Mentre mio padre viveva nella vedovanza, Maria, mia madre, buona e benedetta sotto tutti gli aspetti, si trovava nel tempio, dedita al suo servizio nella santità. Aveva raggiunto l'età di dodici anni dopo aver passato tre anni in casa dei suoi genitori e nove nel tempio del Signore. I sacerdoti, vedendo che la Vergine praticava l'ascetismo e proseguiva nel timore del Signore, deliberarono tra loro dicendo: "Cerchiamo un uomo per bene al quale fidanzarla in attesa della celebrazione del matrimonio, affinché non le avvenga nel tempio quanto suole capitare alle donne, e diventiamo così colpevoli di un grande peccato". Nello stesso tempo convocarono le tribù di Giuda e scelsero in essa dodici nomi secondo il nome delle dodici tribù.
La sorte cadde sul buon vecchio Giuseppe, mio padre secondo la carne. Allora i sacerdoti risposero e dissero a mia madre, la Vergine benedetta: "Va' con Giuseppe, obbedisci a lui fino a quando verrà il tempo in cui avverrà il matrimonio". Mio padre Giuseppe prese Maria a casa sua. Lei vi trovò il piccolo Giacomo nella tristezza dell'orfano, e si prese cura di allevarlo: per questo motivo fu chiamata Maria madre di Giacomo. Dopo che l'ebbe presa a casa sua, si pose in cammino nell'esercizio del suo mestiere di falegname. In casa sua, mia madre Maria passò due anni, fino al momento opportuno. Nel quattordicesimo anno della sua età, di mia propria volontà, venni ed entrai in lei: io, Gesù, vostra vita. Dopo che era incinta da tre mesi, il candido Giuseppe ritornò dal viaggio ove aveva esercitato il mestiere di falegname, e trovò che mia madre, la vergine, era incinta.
GIUSEPPE TURBATO
Ne fu turbato, ebbe paura e pensò di congedarla segretamente. Ma a causa del suo dispiacere non mangiò né bevve. Ed ecco che nel cuore della notte, Gabriele, l'arcangelo della gioia, per ordine del mio Padre buono, andò da lui con una visione e gli disse: "Giuseppe, figlio di David, non temere di ricevere presso di te Maria tua sposa, poiché colui che lei partorirà viene dallo Spirito santo, sarà chiamato Gesù e farà pascolare tutti i popoli con uno scettro di ferro". L'angelo si allontanò, poi, da lui. Alzatosi dal suo giaciglio, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore, e Maria rimase con lui. Venne in seguito un ordine del re Augusto per fare registrare tutta la terra, ognuno nella sua città. Nella sua buona vecchiaia, il vecchio si alzò e condusse la Vergine Maria, mia madre, nella sua città, Betlemme.
Essendo lei prossima al parto, egli aveva iscritto il suo nome presso lo scriba, così: Giuseppe, figlio di David, con Maria, sua sposa, e Gesù, suo figlio, della tribù di Giuda. Mia madre Maria mi mise al mondo sulla via del ritorno da Betlemme, nella tomba di Rachele, moglie del patriarca Giacobbe, madre di Giuseppe e di Beniamino. Satana consigliò a Erode il Grande, padre di Archelao, di decapitare il mio amico e parente Giovanni; assecondandolo, cercò di uccidere anche me pensando che il mio regno fosse di questo mondo. Giuseppe ne fu avvertito da mio Padre per mezzo di una visione: s'alzò e mi prese con Maria, mia madre, sulle braccia della quale mi trovavo; Salome venne dietro di noi. Partimmo per l'Egitto e restammo là un anno, fino al giorno in cui i vermi entrarono nel corpo di Erode: di essi egli morì, a causa del sangue dei piccoli bambini innocenti da lui sparso.
RITORNO IN GALILEA
Dopo la morte dell'empio Erode, ritornammo in una città della Galilea, che si chiama Nazaret. Mio padre Giuseppe, il vecchio benedetto, esercitava il mestiere di falegname e noi abbiamo vissuto del lavoro delle sue mani; osservante della Legge di Mosè, non mangiò mai il suo pane gratuitamente. Dopo tutto questo lungo tempo, il suo corpo non si era indebolito, non aveva scemato la luce dei suoi occhi, non un solo dente della sua bocca si era guastato. Egli non mancò mai di discernimento e di saggezza; era come un giovane, sebbene la sua età avesse raggiunto, in una beata vecchiaia, l'anno cento e undici. I suoi due figli più giovani, Loseto e Simeone, si sposarono e si stabilirono nelle loro case. Anche le due sue figlie si sposarono, come è lecito ad ogni essere umano. Giuseppe restò in casa con l'ultimo figlio, Giacomo. Dopo che la Vergine mi aveva generato, rimasi presso di loro in completa sottomissione, come un figlio. In verità, infatti, ho compiuto tutte le azioni umane, con la sola eccezione del peccato. Chiamavo Maria, mia madre, e Giuseppe, mio padre, e obbedivo loro prevenendo i loro ordini; non rispondevo mai una sola parola e li amavo molto.
TRISTEZZA DI FRONTE ALLA MORTE
Poi si avvicinò la morte di mio padre Giuseppe, come è stato imposto a tutti gli uomini. Allorché il suo corpo fu colpito da malattia, il suo angelo lo avvertì: "Quest'anno tu morrai". Rimase turbato, e allora si recò a Gerusalemme nel tempio del Signore, si prostrò davanti all'altare e pregò così: "Dio, padre di ogni consolazione e Dio di tutta la carne, Dio della mia anima, del mio corpo e del mio spirito, poiché ho terminato i giorni di vita che mi avete accordato in questo mondo, ecco che vi prego, Signore Dio, di mandarmi l'arcangelo Michele affinché resti presso di me fino a tanto che la mia povera anima sia uscita dal mio corpo senza dolore e senza turbamento. La morte, infatti, costituisce una grande paura e un grande dolore per ogni uomo.
Per l'uomo come per l'animale domestico, per la bestia selvatica come per il rettile, per l'uccello come per tutte le creature che sono sotto il cielo ed hanno un'anima viva, la separazione dell'anima dal corpo è un dolore e un'afflizione grande. Or dunque, mio Signore, il tuo angelo sia presso l'anima mia e presso il mio corpo, fino a che si siano separati l'uno dall'altra senza dolore. Quando io verrò verso di te, non permettere che, lungo il cammino, l'angelo, al quale mi hai associato dal giorno in cui mi hai formato fino ad ora, volti verso di me un viso infuocato dall'ira, bensì mi tratti benevolmente. Non permettere che lungo il cammino verso di te, mi tormentino quelli dalla faccia cangiante. Non fare arrestare la mia anima dai preposti alla porta, e non confondermi davanti al tuo terribile tribunale. Non scatenare contro di me i flutti del fiume di fuoco, quello nel quale sono purificate tutte le anime, prima di vedere la gloria della tua divinità: Dio che giudichi ognuno con verità e giustizia! Or dunque, mio Signore, mi conforti la tua misericordia, giacché sei la fonte di ogni bene. A te la gloria nell'eternità delle eternità. Amen!".
SUL LETTO DI MORTE
Ritornò poi a Nazaret, la città ove abitava, e si pose a letto con la malattia della quale poi doveva morire, secondo il destino di ogni uomo. La sua malattia divenne più grave che in tutti gli altri casi nei quali era stato malato dal giorno in cui era al mondo. Ecco i dati sulla vita del mio diletto padre Giuseppe. Giunto all'età di quarant'anni, prese moglie e visse quarantanove anni di matrimonio con la moglie; poi questa morì ed egli restò solo per un anno. Poi mia madre passò due anni a casa sua, allorché gliela affidarono i sacerdoti dandogli il seguente avvertimento: "Sorvegliala fino al momento in cui avverrà il vostro matrimonio". All'inizio del terzo anno in cui lei era a casa sua, nel quindicesimo anno della sua età, mi mise al mondo con un mistero che in tutto l'universo nessuno comprende ad eccezione di me, di mio Padre e dello Spirito santo, che siamo uno. La somma dei giorni di vita di mio padre vegliardo benedetto, fu di centoundici anni, come aveva ordinato il mio buon Padre.
Il giorno in cui abbandonò il suo corpo fu il 26 del mese di Epip [luglio]. Allora l'oro raffinato, cioè la carne di mio padre Giuseppe, iniziò la trasformazione, e l'argento, la sua ragione cioè e il suo giudizio, si alterò. Dimenticò di bere e di mangiare, e la valentia della sua arte iniziò a vacillare. Capitò dunque che in quel giorno, e cioè il 26 di Epip, allo spuntare dell'aurora, mio padre Giuseppe si agitò molto sul suo letto. Sperimentò una viva paura, mandò un gemito profondo e con grande turbamento si mise a gridare. Allorché il mio caro padre Giuseppe parlava così, io mi alzai e andai da lui che giaceva sul letto. Lo trovai che aveva l'anima e lo spirito turbati. Gli dissi: "Salute, amato padre Giuseppe, dalla vecchiaia buona e benedetta!".
LA PAURA DELLA MORTE
Egli mi rispose con grande paura della morte e mi disse: "Mille volte salute, amato figlio! All'udire la tua voce la mia anima si calma un poco. Gesù, mio signore! Gesù, mio vero re! Gesù, mio buono e misericordioso salvatore! Gesù liberatore! Gesù guida! Gesù difensore! Gesù tutto bontà! Gesù dal nome dolce e tenero sulla bocca di tutti! Gesù, occhio scrutatore! Gesù, orecchio veramente attento, ascoltami oggi, io tuo servo che ti imploro e verso le mie lacrime davanti a te. Sei veramente Dio, sei veramente Signore, come disse molte volte l'angelo, e soprattutto il giorno in cui il mio cuore era mosso da sospetti perché lei era incinta; io pensavo: Voglio rimandarla segretamente!
Mentre riflettevo così, l'angelo mi apparve in una visione e mi parlò così: Giuseppe, figlio di David, non avere timore di ricevere con te Maria tua sposa, giacché colui che lei partorirà sarà dello Spirito santo. Non avere alcun dubbio a proposito della sua gravidanza, poiché partorirà un figlio che chiamerai Gesù. Tu sei Gesù Cristo, il salvatore della mia anima, del mio corpo e del mio spirito. Non condannarmi! Io sono tuo schiavo e opera delle tue mani. Io non sapevo, o Signore, e non comprendo il mistero dello sconcertante concepimento. né mai ho udito che una donna sia rimasta incinta senza un uomo, e che una Vergine abbia partorito pur conservando il sigillo della sua verginità. O mio Signore, se non ci fosse questo mistero, non crederei in te né al tuo santo concepimento, rendendo gloria a quella che ti ha generato, a Maria, Vergine benedetta.
GESÙ SALVA UN RAGAZZO
Ricordo il giorno in cui il ceraste morse il ragazzo che poi morì; la sua famiglia ti cercò per consegnarti ad Erode, ma la tua misericordia lo raggiunse e hai risuscitato colui a proposito del quale ti dicevano: Sei tu che l'hai ucciso! Vi fu gran gioia a casa di colui che era morto; e io ti presi subito per l'orecchio dicendo: Sii prudente, figlio mio! Ma tu mi rimproverasti, dicendo: Se non foste mio padre, secondo la carne, non era necessario ch'io vi insegnassi quanto avete compiuto. Or dunque, mio Signore e mio Dio, se è causa di quel giorno che tu mi hai mandato questi segni terrificanti, io chiedo alla tua bontà di non entrare in contesa con me. Io sono tuo schiavo, figlio della tua serva. Se tu spezzi i miei vincoli, ti offrirò un sacrificio di lode, cioè la confessione della gloria della tua divinità. Tu, infatti, sei Gesù Cristo, vero figlio di Dio e allo stesso tempo figlio dell'uomo".
Mentre mio padre Giuseppe diceva questo, io non potei trattenermi dal versare lacrime alla vista della morte che lo dominava e all'udire le parole di bisogno che proferiva. Poi, fratelli, mi ricordai della mia morte in croce per la salvezza di tutto il mondo. E si alzò colei il cui nome è soave alla bocca di tutti coloro che mi amano, la mia cara madre Maria. Mi disse con grande tristezza: "Guai a me, figlio mio! Non muore forse colui che ha una vecchiaia buona e benedetta, il vostro caro e venerabile padre secondo la carne, Giuseppe?”.
Le risposi: "Mia cara, ma qual è mai quell'uomo che, rivestito di carne umana, non debba provare la morte? Giacché la morte è la sovrana dell'umanità, madre mia benedetta! Anche voi, dovete morire come ogni altro uomo. Ma sia per mio padre Giuseppe che per voi, madre benedetta, la morte non sarà una morte, ma una vita eterna senza fine. Anch'io, infatti, devo assolutamente morire a causa della carne mortale di cui mi sono rivestito dentro di voi. Or dunque, mia cara madre, alzatevi per andare dal vegliardo benedetto, Giuseppe, per conoscere il destino che gli giungerà dall'alto".
MARIA E GESÙ AL CAPEZZALE DI GIUSEPPE
Lei si alzò, andò nel luogo ove giaceva e lo vide proprio mentre si stavano manifestando in lui i segni della morte. Io pure, amici miei, mi sedetti al suo capezzale, mentre Maria, mia madre, si sedette ai suoi piedi. Egli fissò gli occhi sul mio viso, ma non poté‚ parlare essendo dominato dalla morte. Improvvisamente alzò gli occhi in alto e mandò un grande gemito. Per lungo tempo, io tenni le sue mani e i suoi piedi, mentre egli mi guardava e mi implorava dicendo: "Non permettere che essi mi portino via!". Pressai la mano sul suo cuore e vidi che la sua anima era già salita nella gola per sfuggire dal corpo. Ma l'ultimo momento non era ancora giunto, quello cioè nel quale viene la morte senza indugio; di fatti c'era ancora il tormento e le lacrime che la seguono, e lo sgomento che la precede. Quando la mia amata madre mi vide tastare il suo corpo, anche lei gli tastò i piedi. Sentì che la respirazione e il calore se ne erano andati, e mi disse ingenuamente: "Grazie, mio caro figlio! Non appena avete passato la vostra mano sul suo corpo, il calore se n'è andato. I suoi piedi e i polpacci sono freddi come il ghiaccio".
I FIGLI DI GIUSEPPE
Io andai dai suoi figli e dalle sue figlie e dissi loro: "Venite a parlare a vostro padre, giacché è il momento di parlargli, prima che la sua bocca cessi di parlare e la sua carne diventi fredda". Allora i figli e le figlie di Giuseppe vennero a intrattenersi con lui. Egli era in pericolo a causa dei dolori della morte e sul punto di uscire da questo mondo. Lisia, figlia di Giuseppe, disse: "Guai a me, fratelli miei, questo è certo il male della nostra cara madre che fino ad oggi non abbiamo più rivisto. Così avverrà pure a nostro padre Giuseppe: non lo rivedremo più". I figli di Giuseppe alzarono allora la voce piangendo. Anch'io e mia madre, la Vergine Maria, piangemmo con essi, poiché era giunto il momento della morte. Allora io guardai verso il sud e scorsi la morte. Essa entrò in casa seguita dall'Amenti, che ne è lo strumento, e con il diavolo attorniato da una folla innumerevole di inservienti vestiti di fuoco, dalla bocca dei quali usciva fumo e zolfo.
Mio padre Giuseppe guardò, vide che lo cercavano pieni di ira, contro di lui, con la quale sono soliti infiammare il loro volto, e contro ogni anima che lascia il corpo, specialmente contro i peccatori nei quali vedono anche il più piccolo segno. Quando il buon vecchio li vide in compagnia della morte, i suoi occhi si riempirono di lacrime. In quel momento, l'anima di mio padre Giuseppe ebbe un sussulto mandando un grande respiro, mentre cercava un mezzo per nascondersi ed essere salva. Udito il gemito di mio padre Giuseppe allorché scorse potenze che non aveva ancora veduto, subito mi alzai e minacciai il diavolo e tutti coloro che erano con lui: essi scapparono con gran disordine e vergogna. Nessuna delle persone che si trovavano attorno a mio padre Giuseppe, neppure mia madre Maria, si accorse degli eserciti terribili che perseguitano le anime degli uomini. Anche la morte ebbe timore allorché vide che avevo minacciato le potenze delle tenebre e le avevo scacciate.
PREGHIERA AL PADRE
Allora io mi alzai ed elevai una preghiera al mio misericordioso Padre, dicendo: "Padre mio e padre di ogni misericordia, padre della verità! Occhio che vede, orecchio che ascolta, ascoltate me, vostro amato figlio, che vi supplico per l'opera delle vostre mani, per mio padre Giuseppe, affinché mandiate un folto coro di angeli con Michele, dispensatore di bontà, e Gabriele, messaggero di luce, ad accompagnare l'anima di mio padre Giuseppe fino a tanto che oltrepassi le sette guardie delle tenebre. Che essa non transiti per quelle vie strette che è terribile percorrere e lungo le quali si ha grande paura di vedere le potenze che le signoreggiano, e il fiume di fuoco che vi scorre e accavalla i suoi flutti come le onde del mare. Siate misericordioso con l'anima di mio padre Giuseppe che viene verso le vostre sante mani: è infatti il momento in cui ha bisogno di questa misericordia".
Vi assicuro, miei venerabili fratelli e miei apostoli benedetti: ogni uomo che nasce in questo mondo e conosce il bene e il male, dopo avere trascorso tutto il suo tempo sospeso alla concupiscenza dei suoi occhi, ha bisogno della pietà del mio buon Padre, non appena giunge il momento di morire, di valicare il transito e presentare la propria difesa davanti al tribunale terribile. Ma ritorno al transito di mio padre Giuseppe, il giusto vegliardo. Quando rese lo spirito, io l'abbracciai, gli angeli presero la sua anima e la misero in un delicato tessuto di seta. Accostatomi, mi assisi presso di lui, ma nessuno dei circostanti sapeva che era morto. A motivo delle potenze che erano sul sentiero, feci custodire la sua anima da Michele e da Gabriele, mentre gli angeli cantavano davanti ad essa fino a quando la riportarono al mio buon Padre. Ritornai dunque presso il corpo di mio padre Giuseppe che giaceva come una cesta, mi sedetti, gli abbassai gli occhi, gli chiusi la bocca e rimasi a contemplarlo.
VITA PER L’ETERNITÀ
Dissi alla vergine: "Dove sono ora, o Maria, tutti i lavori del mestiere da lui esercitato dall'infanzia ad oggi? Sono finiti tutti in un istante. È come se non fosse mai nato in questo mondo". I suoi figli e le sue figlie udendomi asserire questo a Maria mia madre, mi dissero con molte lacrime: "Guai a noi, o signore, nostro padre è morto e noi non lo sapevamo". Risposi: "È morto veramente. Tuttavia la morte di Giuseppe, mio padre, non è una morte, ma una vita per l'eternità. Molto grande è ciò che riceverà il mio carissimo Giuseppe, giacché da quando la sua anima ha lasciato il corpo, è per lui cessato ogni dolore. Se n'è andato nel regno per l'eternità. Dietro di sé ha lasciato il peso del corpo, dietro di sé ha lasciato questo mondo pieno di ogni genere di dolori e di vani affanni. Se n'è andato alla dimora del riposo del mio Padre celeste, quella che non sarà mai distrutta". Quando io dissi ai miei fratelli: "Vostro padre Giuseppe il vegliardo benedetto, è morto", si alzarono, si strapparono le vesti e piansero a lungo.
Tutti quelli della città di Nazaret e della Galilea, avuta notizia del lutto, si adunarono tutti nel luogo ove eravamo noi, come è costume presso gli Ebrei. Trascorsero tutto il giorno a piangere, fino all'ora nona. All'ora nona li feci uscire tutti, versai dell'acqua sul corpo del mio amato padre Giuseppe, l'unsi di olio profumato, e pregai il mio buon Padre celeste con preghiere celestiali scritte con le mie stesse dita sulle tavolette celesti quando ancora non avevo preso carne dalla Vergine Maria. Nel momento stesso in cui io pronunciai l'amen della preghiera, giunse una moltitudine di angeli: diedi loro ordine di spiegare un vestito, feci alzare loro il corpo del mio benedetto padre Giuseppe e lo feci deporre in questi abiti per seppellirlo.
Posi la mia mano sul suo cuore dicendo: "Il fetido odore della morte non ti colpisca mai, le tue orecchie non puzzino e la putrefazione non coli mai dal tuo corpo! Il lenzuolo della tua carne, con il quale ti ho vestito, non venga mai leso dalla terra, bensì rimanga sul tuo corpo fino al momento del banchetto dei mille anni. I capelli della tua testa, ch'io tante volte ho afferrato con le mie mani, non si scoloriscano mai, mio caro padre Giuseppe! Con un dono celeste che sarà dato loro in cielo, benedirò quanti metteranno da parte un'offerta per presentarla nel tuo santuario nel giorno della tua commemorazione, cioè il 26 del mese di Epip.
IL PANE A UN POVERO
Non lascerò mancare di alcun bene di questo mondo, per tutti i giorni della sua vita, colui che, nel tuo nome, avrà dato del pane in mano a un povero. Coloro che nel giorno della tua commemorazione daranno un bicchiere di vino nella mano di uno straniero o di una vedova o di un orfano, io te li offrirò affinché tu li conduca al convivio dei mille anni. Coloro che scriveranno il libro del tuo transito con tutte le parole che oggi sono uscite dalla mia bocca, per la tua salvezza, mio caro padre Giuseppe, io te li offrirò in questo mondo, e inoltre quando abbandoneranno il loro corpo io strapperò l'obbligo di pagamento dei loro peccati affinché non subiscano alcun tormento, eccetto l'angoscia della morte e il fiume di fuoco che è al cospetto di mio Padre e purifica ogni anima.
Se poi un pover'uomo non ha modo di fare quanto detto, se avrà un figlio e lo chiamerà Giuseppe a gloria del tuo nome, la sua casa non sarà raggiunta né da fame né da malattia, perché c'è il tuo nome. I grandi della città si recarono poi ove era stato deposto il corpo di mio padre, in compagnia dei preposti ai funerali per seppellire il suo corpo secondo i riti funebri degli Ebrei; ma lo trovarono già sepolto. Il lenzuolo era stato unito al suo corpo quasi con ganci di ferro, ed essi non trovarono l'apertura del lenzuolo. Poi lo portarono alla tomba. Dopo che ebbero scavato l'ingresso della caverna per aprire la porta e deporlo con i suoi padri, mi ricordai del giorno in cui era partito con me verso l'Egitto, delle grandi tribolazioni che per me aveva subìto, e mi stesi sul suo corpo e piansi a lungo su di lui, dicendo: Ineluttabilità della morte.
LA COLPA DI ADAMO
"O morte causa di molte lacrime e lamentazioni, tu hai ricevuto questo sorprendente potere da colui che comanda ogni cosa. Il rimprovero, più che alla morte, è rivolto ad Adamo e sua moglie. La morte non fa nulla senza l'ordine di mio Padre. Ci furono uomini che vissero novecento anni prima di morire e molti vissero ancora di più; nessuno di loro disse: Ho visto la morte, e neppure: Essa viene ad intervalli a tormentare qualcuno. Non tormenta che una sola volta, ed è mio Padre che la invia all'uomo; nel momento in cui va verso di lui, ode la sentenza che viene dal cielo. Se la sentenza viene con tormento e con collera, anche la morte porta a compimento l'ordine del Padre mio prendere l'anima dell'uomo e condurla al suo Signore con tormento e con collera. La morte non ha il potere di condurla nel fuoco o di condurla nel regno dei cieli. La morte adempie l'ordine di Dio.
Adamo invece non adempì la volontà del Padre mio, la trasgredì tanto che irritò mio Padre, attirò in tal modo la morte su di ogni vivente. Se Adamo non avesse disobbedito al mio buon Padre, non avrebbe attirato su di sé la morte. Che cosa dunque avrebbe potuto impedirmi di pregare il mio buon Padre affinché mandasse un grande carro di luce sul quale io avrei posto mio padre Giuseppe, prima che gustasse la morte, per farlo condurre verso il luogo del riposo con gli angeli incorporei, con la carne nella quale fu generato? È a causa della trasgressione di Adamo che venne questo grande dolore su tutt'intera l'umanità, con questa grande angoscia della morte. Io stesso, essendo rivestito di questa carne passibile, è necessario che gusti la morte per essere misericordioso verso la creatura che ho plasmato".
Mentre parlavo così e abbracciavo, piangendo, mio padre Giuseppe, aprirono la porta della tomba e deposero il suo corpo presso il corpo di suo padre Giacobbe. La sua fine giunse alla età di centoundici anni. In bocca non aveva un sol dente cariato e i suoi occhi non s'erano ancora affievoliti, la sua vista era come quella di un fanciullo. Il suo vigore non s'era mai scemato e proseguì il suo mestiere di falegname fino al giorno in cui fu colpito dalla malattia della quale doveva poi morire".
GLI APOSTOLI SI RALLEGRANO
All'udire queste cose da nostro Signore, noi apostoli ce ne rallegrammo; dopo esserci lavati, adorammo le sue mani e i suoi piedi e gioimmo, dicendo: "Vi ringraziamo, nostro buon Salvatore, perché ci avete resi degni di udire da voi queste parole di vita. Ma siamo rimasti stupiti di voi, nostro buon Salvatore; perché mai avete accordato l'immortalità a Enoc e a Elia e fino ad oggi essi hanno ancora la carne nella quale sono nati? Perché la loro carne non conobbe la corruzione, mentre questo vegliardo benedetto, il falegname Giuseppe, al quale avete fatto così grande onore di chiamarlo vostro padre e al quale avete obbedito in tutto, e a proposito del quale ci avete dato degli ordini, dicendo: "Quando vi investirò di forza e quando vi avrò mandato colui che è il promesso del Padre mio, cioè il Paraclito, lo Spirito santo, inviandoci a predicare il santo Vangelo, predicherete anche il mio santo padre Giuseppe"; e ancora: "Dite queste parole di vita nel testamento della sua uscita dal corpo"; e ancora: "Leggete le parole di questo testamento nei giorni di festa e nei giorni sacri"; e ancora: "Nei giorni di festa leggete questo testamento all'uomo che non ha imparato la scrittura", e ancora: " Mi vendicherò contro colui che eliminerà o aggiungerà qualcosa di queste parole, relegandomi tra i bugiardi".
Siamo stupiti giacché dal giorno in cui siete nato a Betlemme, l'avete chiamato vostro padre secondo la carne, e ciononostante non gli avete promesso l'immortalità per farlo così vivere eternamente". Il Salvatore nostro ci rispose dicendo: "La sentenza che mio Padre ha emanato contro Adamo non sarà invalidata, poiché disobbedì ai suoi ordini. Allorché mio Padre decreta che l'uomo sia giusto, questi diviene suo eletto. Allorché l'uomo, desiderando fare del male, ama le opere del diavolo, se egli lo lascia vivere a lungo, non sa forse che qualora non faccia penitenza, cadrà nelle sue mani? Ma quando una persona raggiunge un'età avanzata compiendo opere buone, queste opere fanno di lui un vegliardo. Ogni volta che Dio vede qualcuno pervertire le sue vie, gli abbrevia la vita. Egli così interviene nei loro giorni.
Ogni profezia pronunziata da mio Padre sul genere umano deve compiersi e realizzarsi interamente. Mi avete parlato anche di Enoc e di Elia, dicendo: "Vivono nella carne in cui sono nati", e a proposito di Giuseppe, mio padre secondo la carne: "Perché non l'avete lasciato vivere nella carne fino al presente?”. Avesse pur vissuto duemila anni, gli era pur sempre necessario morire. Mie sante membra, vi assicuro che ogni qualvolta Enoc ed Elia pensano alla morte vorrebbero non avere più nulla da fare con essa ed essere ormai liberi dalla grande angoscia nella quale si trovano. Costoro, infatti, devono morire in un giorno di terrore, di tormento, di clamore, di minaccia e di afflizione.
Questi due uomini saranno uccisi dall'anticristo e, per un bicchier d'acqua, verseranno il loro sangue sulla terra, a causa della vergogna che gli faranno subire rimproverandolo". Noi rispondemmo: "Signore e Dio nostro, chi sono i due uomini dei quali avete detto che saranno uccisi dal figlio di perdizione per un bicchiere d'acqua?”. Gesù nostro Salvatore e nostra vita, rispose: "Sono Enoc ed Elia".
Mentre il nostro salvatore ci diceva questo, noi ci rallegrammo e fummo pieni di gioia, lo ringraziammo innalzando a lui omaggi e lodi, a lui che è nostro Salvatore e nostro Dio. A lui dal quale giunge al Padre ogni gloria e ogni lode, a lui stesso e allo Spirito vivificatore, ora e in ogni tempo fino all'eternità di tutte le eternità. Amen!