Il Libro dell'Apocalisse


Il genere letterario 
La parola «Apocalisse» è la trascrizione italiana del sostantivo greco «apokàlypsis», che significa «azione del togliere ciò che copre o nasconde», cioè «scoprire, svelare». La traduzione corrente con «rivelazione» esprime bene l’azione di chi rimuove il velo per mostrare ciò che era nascosto.

Posto all’inizio dell’ultimo libro del NT, il vocabolo apokàlypsis ne è divenuto il titolo e, conservando la sua forma greca, è stato usato nei secoli come termine tecnico per designare l’intero libro ed il suo contenuto. Il libro dell’Apocalisse, dunque, intende essere la rivelazione di Gesù Cristo: il grande annuncio della salvezza operata dal Cristo, dell’intervento definitivo di Dio nella storia umana, della presenza potente ed operante del Signore Risorto nelle dinamiche storiche fino al compimento finale. E’ un libro di consolazione e di speranza, una grande professione di fede nella signoria cosmica del Cristo Signore, vincitore del peccato e della morte; tutt’altro che una lugubre previsione di sciagure e disgrazie.

L’autore dell’Apocalisse adopera un patrimonio linguistico e simbolico che ha ereditato dalla tradizione giudaica: è quindi naturale che assomigli sotto molti aspetti alla letteratura apocalittica giudaica. Tuttavia, per alcuni elementi importanti, relativi all’ambiente di origine e alla teologia che esprime, se ne distacca, al punto da far nascere il dubbio che si possa parlare di uno scritto apocalittico.

Nonostante la prima parola dell’opera, l’autore fa sempre riferimento al suo testo, chiamandolo «profezia», sia nel prologo sia nell’epilogo; egli stesso, inoltre si presenta come investito del compito profetico. Con tale terminolgia, tuttavia, non si intende la previsione del futuro, ma lo sforzo di leggere ed interpretare la storia alla luce della rivelazione divina. L’apocalittica è, per molti aspetti, erede dell’antica profezia e l’opera di Giovanni si presenta proprio come tale: una riflessione sulla storia ed il suo senso, un tentativo coraggioso di legare la fede alla vita, per capire il presente e poter progettare il futuro secondo l’ottica di Dio.

L’unità dell’opera
Molti critici, a partire dalla fine dell’800, sono rimasti colpiti da presunte incoerenze e contraddizioni nell’uso dei simboli e nella formulazione delle idee teologiche dell’Apocalisse; hanno inoltre sottolineato ripetizioni, fratture narrative ed incongruenze. Tali osservazioni hanno indotto gli esponenti della critica letteraria a negare l’unità del testo e ad escogitare fantasiose ipotesi di composizione redazionale di fonti e frammenti. Lasciando da parte molti preconcetti, una lettura serena del testo e uno studio attento della struttura, della lingua e del simbolismo inducono a sostenere l’unità originale dell’Apocalisse: unità di intento, di dottrina, di procedimenti letterari e di linguaggio. E’ opportuno dunque considerare il testo in sé, così come si presenta, senza pretendere di individuare fonti precedenti nè di ricostruire un ipotetico testo migliore.

La struttura letteraria
Già i primi commentatori dell’Apocalisse avevano preso in seria considerazione il modo di procedere di questo libro; si erano accorti, infatti, del ritorno di alcune immagini e dell’insistenza su alcuni simboli. Sembra che sia stato Ticonio, scrittore africano del IV secolo, a formulare la teoria della ricapitolazione, seguita anche da Agostino e ripresa comunemente da molti commentatori latini medievali. Nonostante le numerose sfumature personali date dai vari studiosi, la teoria della ricapitolazione prende in seria considerazione il rapporto fra il contenuto e la struttura letteraria, ma senza confonderli. In base allo studio delle formule e delle immagini che, pur variando, ritornano secondo schemi precisi, si riconosce la sostanziale identità del messaggio, mediato da parole diverse. Tale valutazione del fattore letterario, quindi, determina anche l’interpretazione.

Questa impostazione esegetica fu abbandonata a partire dal XII secolo con lo sviluppo del metodo interpretativo che riconosceva nell’Apocalisse un’esposizione degli eventi futuri, lineare, in ordine cronologico, senza alcuna ripetizione. La reazione a questo metodo si ebbe solo nel ‘600, ma l’interesse fu rivolto principalmente agli antichi fatti storici o all’insegnamento morale. Solo in questo secolo si è dato di nuovo importanza ai fattori letterari del testo e alla sua struttura.

Diversi studi recenti, organizzando gli indizi strutturali presenti nell’opera stessa, hanno permesso di delineare una coerente struttura d’insieme, che comprende, anzitutto, un prologo ed un epilogo; mentre il corpo dell’opera risulta constare di due parti, disuguali per lunghezza e contenuto: la prima parte è costituita dalla sette lettere alle chiese d’Asia e la seconda comprende lo svolgimento apocalittico vero e proprio; ha un’articolazione letteraria molto complessa che, tuttavia, si può dividere secondo i tre settenari espliciti, ciascuno dei quali è preceduto da una visione introduttiva come proemio. In sintesi, l’intero libro sarebbe così configurato:

  • Prologo liturgico 
  • Prima parte: LE LETTERE ALLE SETTE CHIESE:
    • - visione introduttiva;
    • - le sette lettere.
  • Seconda parte: I TRE SETTENARI:
  • 1) Settenario dei sigilli:
    • - visione introduttiva;
    • - apertura dei sette sigilli;
  • 2) Settenario delle trombe:
    • - visione introduttiva;
    • - suono delle sette trombe.
  • 3) Settenario delle coppe:
    • - visioni introduttive (trittico dei segni);
    • - versamento delle sette coppe;
    • - complemento del settenario.
  • Epilogo liturgico

Questi tre settenari, inoltre, sembrano contenuti l’uno nell’altro: il settimo sigillo ), infatti, abbraccia tutta la parte seguente, così la settima tromba  comprende tutto il seguito e anche la settima coppa  ingloba tutto il resto del libro. L’idea della ricapitolazione, quindi, con i dovuti chiarimenti, ritorna ad illuminare l’interpretazione letteraria e teologica dell’Apocalisse.

La lingua e lo stile
Per chi legge l’Apocalisse in una traduzione moderna il problema della lingua non si presenta neppure; tuttavia esiste una seria questione riguardo alla lingua originale di quest’opera, data la sua sconcertante stranezza.

Il vocabolario dell’Apocalisse non è povero ed il suo esame non presenta particolari rilievi, se non la completa assenza di molte particelle usatissime in greco e il cambiamento di significato per alcune parole. Dal punto di vista grammaticale, invece, le osservazioni da fare diventano un’infinità: bisognerebbe scrivere una grammatica apposta per l’Apocalisse, perchè le forme rare o irregolari sono innumerevoli. Ma è il capitolo delle concordanze che lascia veramente stupiti, perchè si presentano moltissimi casi di solecismi o autentici errori grammaticali, dovuti a concordanze semplicemente assurde.

Molti studiosi hanno cercato di risolvere il problema di questa «strana grammatica», assolutamente omogenea in tutto il libro, proponendo soluzioni diverse. Qualcuno ha attribuito queste stravaganze linguistiche alla semplice ignoranza della lingua; mentre molti altri hanno imputato gli «errori» grammaticali soprattutto al forte influsso semitico, dicendo che l’autore «mentre scrive in greco, pensa in ebraico». Dunque, più che di barbarismi o errori, si preferisce parlare di veri «semitismi».

E’ vero che l’autore non riesce a dominare bene la lingua greca, con tutte le sue regole e sfumature; tuttavia, padroneggia un ricco vocabolario, acquisito forse solo con la conversazione; dunque non per semplice ignoranza, bensì per libera scelta Giovanni adopera un linguaggio greco-ebraico, creando una specie di «stile sacro» molto vicino al linguaggio dell’AT e si ha quasi l’impressione che l’autore abbia voluto lanciare una sfida all’assemblea liturgica, nell’intento di colpire il lettore, coinvolgendolo nel suo ragionamento e provocandone attivamente le reazioni.

Come l’aspetto grammaticale, anche lo stile risente fortemente del substrato semitico e della narrativa biblica. Le frasi sono semplicemente giustapposte per paratassi; la ripetizione di alcune espressioni caratterizza tutta l’opera e, all’interno di singole scene, l’insistenza su alcune parole tematiche crea una specie di sottofondo concettuale che deve colpire particolarmente l’ascoltatore; il gusto, infine, per le composizioni ordinate e schematiche è un altro aspetto di rilievo che permette di parlare di autentica raffinatezza di stile e non di banale ripetizione.

Il genere apocalittico, inoltre, ha le sue esigenze e anche Giovanni adotta i principi formali di questa letteratura; eppure, se confrontata con altre opere analoghe, l’Apocalisse risulta immediatamente più sobria ed equilibrata, decisamente meno prolissa e noiosa. Soprattutto la capacità evocativa merita ammirazione, proprio perchè le scene grandiose dell’opera sono in genere delineate semplicemente con pochissimi tratti e rapidi accenni; laddove, invece, l’autore si dilunga in descrizioni e spiegazioni, inevitalmente lo stile decade.