Il Libro dell'Apocalisse

La conoscenza della forma letteraria e dell’ambiente d’origine costituisce la base indispensabile per comprendere l’Apocalisse; ma per poter cogliere correttamente il messaggio che l’autore ha voluto comunicare ai suoi lettori è necessario evidenziare alcuni criteri fondamentali, da tenere sempre ben presenti nell’analisi dell’opera:


  • 1) L’Apocalisse nasce in un contesto liturgico;
  • 2) dipende strettamente dall’Antico Testamento e ne è una rilettura cristiana;
  • 3) il simbolismo è lo strumento abituale di comunicazione;
  • 4) nell’intento dell’autore spicca un forte interesse per la storia dell’umanità.

Il rapporto con l’Antico Testamento
Nella liturgia la comunità cristiana legge la Scrittura, ricorda gli eventi di Cristo ed interpreta la propria situazione presente: in questa dimensione celebrativa «colui che legge e coloro che ascoltano» compiono una specie di «lectio divina» e possono cantare la realizzazione della salvezza. La comunità cristiana primitiva per comprendere la figura di Gesù ed il senso della sua vicenda non aveva altri riferimenti che i libri della Scrittura ed è proprio su questi libri, abitualmenti letti e commentati in sinagoga, che i primi predicatori cristiani fondano le loro affermazioni teologiche e cristologiche. L’evento di Gesù Cristo, di cui avevano fatto esperienza, viene interpretato con i testi della Scrittura e, a loro volta, questi testi vengono interpretati alla luce dell’esperienza che essi hanno fatto del Cristo.

Nonostante l’indiscussa dipendenza dalle Scritture veterotestamentarie, tuttavia non compare mai nel testo nemmeno una esplicita citazione. Il metodo apocalittico di usare l’Antico Testamento non conosce, infatti, le citazioni dirette con formule introduttive; si tratta sempre di reminiscenze ed allusioni, per cui risulta molto soggettivo l’elenco dei riferimenti all’Antico Testamento. Si definisce «reminiscenza» l’uso di un’immagine conosciuta da precisi testi letterari ed utilizzata spontaneamente, perchè ormai entrata a far parte della fantasia stessa dell’autore; si parla, invece, di «allusione», quando il riferimento ad un testo è voluto, senza essere esplicito.

In ogni caso si tratta anche di re-interpretazione. L’autore, infatti, usa i testi scritturistici come il suo «grande codice», il tesoro da cui estrae materiale antico per dire un messaggio nuovo con un piano organico. Egli si avvicina ai passi biblici in modo tematico e sfumato; per creare una stessa scena prende elementi da più libri e li compone insieme con ritocchi e accrescimenti, in modo tanto originale da determinare un nuovo significato.

Nella rielaborazione del materiale veterotestamentario, a differenza di altri autori apocalittici, Giovanni non tende ad arricchire e sviluppare i testi che cita; opera, piuttosto, vigorose condensazioni, abbrevia le formule e semplifica le immagini. Soprattutto la novità  è la méta a cui l’autore vuole condurre la sua comunità nell’interpretazione dell’Antico Testamento e tale operazione avviene abitualmente nella liturgia dove l’annuncio trova la sua realizzazione sacramentale.

Il simbolismo
L’Apocalisse è una ben organizzata antologia di visioni simboliche e lo stesso schema letterario della visione, derivato dai libri di Ezechiele, Zaccaria e Daniele, appartiene ad metodo simbolico di comunicazione. Vuol dire che l’esperienza e la riflessione umana, illuminate dall’intervento divino, comunicano attraverso immagini significative un messaggio religioso; le «visioni apocalittiche» si possono così definire visioni teologiche del mondo, giacchè intendono comunicare un modo di vedere la vita e la storia. L’autore presenta la propria visione di Dio, la propria esperienza di fede attraverso il genere letterario delle visioni ed invita la comunità che ascolta a condividere la sua stessa visione.

Il simbolo è un «segno», cioè una realtà che rinvia ad un’altra realtà oltre a sè. Nell’Apocalisse i segni sono frutto di immaginazione, pensati ed organizzati con il preciso intento di comunicare un messaggio religioso, durante la liturgia che è fondamentalmente simbolica e si esprime attraverso segni per dire l’indicibile. Per poter comunicare, però, i segni devono essere compresi; ciò significa che l’autore ed il lettore devono parlare la stessa lingua simbolica, altrimenti si giunge solo a fraintendimenti e l’opera fallisce il proprio obiettivo. In questo senso, i segni si dividono, abitualmente, in naturali e convenzionali: sono detti «naturali» quelli ancorati alla realtà stessa e comprensibili ad ogni uomo di qualsiasi cultura; mentre si dicono «convenzionali» i segni legati ad una particolare cultura e comprensibili solo a chi conosce quella cultura. 

Nell’Apocalisse sono pochissimi i simboli naturali, perchè quasi tutto il patrimonio letterario delle immagini è derivato dall’Antico Testamento e dalla cultura giudaica del I secolo; una corretta interpretazione dei simboli, quindi, richiede la conoscenza della cultura di origine.

Il simbolismo più tipico del genere apocalittico è quello della catastrofe, che evoca il cambiamento radicale operato dall’intervento divino nella storia. In questo quadro tutte le realtà assumono un ruolo simbolico che supera il loro significato materiale: gli elementi cosmici, le figure angeliche, gli animali, gli uomini nei vari aspetti della loro vita, vari oggetti, importanti e semplici, ed i materiali di cui sono fatti.

Un ruolo molto importante è svolto anche dagli elementi della liturgia veterotestamentaria, reinterpretati nell’ottica cristiana, dai nomi allusivi e simbolici e soprattutto dai numeri, che non servono per indicare delle quantità, ma funzionano quasi da aggettivi per segnalare delle qualità.

Questo immenso materiale simbolico non è semplicemente accumulato in una continua girandola di immagini; è invece organizzato secondo una precisa grammatica della comunicazione simbolica che rispetta alcune regole fondamentali. L’organizzazione generale dei simboli in settenari rivela una struttura continua: l’autore, infatti, raccoglie le varie immagini secondo schemi coerenti e progressivi, volendo comunicare un messaggio proprio attraverso questo ordine simbolico. Eppure all’interno di queste grandi unità molti particolari simbolici sono organizzati secondo una struttura discontinua: non possono, cioè, essere riprodotti visivamente, nè assommati gli uni agli altri; ogni elemento simbolico, invece, deve essere compreso e decodificato, prima di passare al successivo. 

Infine, un terzo modo di strutturare i simboli può essere chiamato ridondante, perchè in alcuni casi i particolari che vengono accumulati non hanno un preciso significato, ma rinforzano per esagerazione un’idea già espressa. La comunicazione attraverso i simboli richiede una vivace collaborazione da parte del lettore/ascoltatore; proprio perchè mediata dalle forme simboliche, la trasmissione del messaggio non è immediata. Richiede una continua operazione ermeneutica: la comunità liturgica, destinataria dell’Apocalisse, non ascolta semplicemente delle informazioni o delle esortazioni: è chiamata direttamente in causa per comprendere il senso e applicarlo alla propria concreta situazione.

Pertanto, il compito ermeneutico richiesto al lettore non è quello di trovare risposte predeterminate ad una serie di domande enigmistiche; l’Apocalisse non è una raccolta di indovinelli. L’interpretazione non consiste nemmeno nell’identificare quali personaggi o fatti storici si nascondano dietro ai vari simboli. La comprensione del messaggio apocalittico, infatti, non si risolve in una serie di equivalenze del tipo: i due testimoni = Pietro e Paolo; il cavaliere sul cavallo bianco = l’esercito dei Parti; Babilonia la prostituta = Roma. Proprio in quanto simboli, tutte le immagini dell’Apocalisse hanno una portata universale e comunicano il messaggio cristiano in una dimensione cosmica valida per tutti i tempi e tutte le situazioni storiche. Il compito fondamentale della comunità che ascolta l’Apocalisse è proprio quello di compiere il processo di attualizzazione ed adattamento alla propria concreta situazione, senza sostituire il simbolo con una formula concettuale o una identificazione storica. Il simbolo deve rimanere simbolo; comunica solo se rimane simbolo.

L’attenzione alla storia
L’interesse fondamentale dell’Apocalisse riguarda la storia: l’autore invita la sua comunità a reagire di fronte alla situazione contingente e, con quest’opera, espone una valutazione cristiana delle vicende storiche. Ma proprio a questo riguardo le opinioni degli esegeti, fin dall’antichità, non sono concordi: il punto più difficile da chiarire, infatti, è la prospettiva storica dell’Apocalisse. Tutta l’esegesi del libro dipende da questa idea di fondo, che, spesso purtroppo, è frutto solo di precomprensione.

Passiamo in veloce rassegna i grandi sistemi interpretativi dell’Apocalisse, evidenziando soprattutto il loro rapporto con la storia.

a) L’Apocalisse prevede la storia della chiesa e del mondo  

L’interpretazione dell’opera di Giovanni come profezia futurologica ed il sistema della storia universale trovano le proprie origini nella teoria di Gioacchino da Fiore (1130-1202) ed hanno avuto incremento esegetico a partire dal grande commentario biblico del francescano Nicolò di Lyra (1270-1340): da allora l’Apocalisse venne letta abitualmente come profezia completa della storia universale, esposizione continuata degli avvenimenti futuri, in ordine cronologico e senza ripetizioni.

Ancora oggi questo tipo di lettura è seguito da sette e movimenti tendenti al fanatismo: infatti, è quanto di più soggettivo si possa immaginare, strumento valido per dir quel che si vuole contro chiunque. Un tale metodo, facendo forza sull’idea di rivelazione trascendente, non tiene in nessun conto l’apporto dell’autore e dei destinatari umani, cioè l’ambiente d’origine, l’uso dell’Antico Testamento ed il senso del genere apocalittico. Si può con certezza dire che questo approccio è scorretto e falsifica il senso dell’opera; mancando i punti sicuri di riferimento fra il testo e la storia, ogni spiegazione risulta inevitabilmente infondata.

b) L’Apocalisse annuncia la fine del mondo
Proprio in reazione alle eccessive fantasie esegetiche del metodo precedente si sviluppò alla fine del XVI secolo il sistema interpretativo detto escatologico, secondo cui l’Apocalisse tratta degli eventi finali della storia, senza nulla dire della fase intermedia, ma profetizzando la futura fine del mondo. Nonostante innumerevoli sfumature, molti commentari moderni sostengono come idea fondamentale che l’Apocalisse è innanzi tutto l’annunzio della fine dei tempi e della venuta escatologica del Cristo. L’opinione corrente su questo libro è influenzata da tale interpretazione e, con l’accentuazione dell’elemento catastrofico, «apocalisse» è divenuto nel linguaggio comune sinonimo di «fine del mondo». Anche questo sistema ermeneutico, però, non tiene conto dell’ambiente originale e non dà valore al linguaggio apocalittico ricolmo di allusioni veterotestamentarie.

c) L’Apocalisse valuta la storia contemporanea
Sempre come reazione al metodo di storia universale sostenuto da Nicolò di Lyra, si sviluppò il sistema interpretativo secondo cui l’Apocalisse fa riferimento alla storia contemporanea al suo autore, cioè alle difficoltà incontrate nel I secolo dalla giovane Chiesa cristiana nei confronti del giudaismo e dell’impero romano.

Questo metodo interpretativo ha il pregio di rispettare il genere letterario ed il contesto umano originale, ma nei suoi eccessi è altrettanto arbitrario ed ipotetico. L’idea di fondo è comunque valida e degna di considerazione: l’Apocalisse, nata nel I secolo, rispecchia quell’epoca e quelle vicende; inevitabilmente vi fa accenno e mira a formare la mentalità di cristiani che stanno vivendo quegli avvenimenti storici. Tuttavia, questo metodo non spiega il valore profondo dell’opera, che non può ridursi ad un riassunto simbolico ed enigmatico di fatti contemporanei.

d) L’Apocalisse riflette sulla storia della salvezza
L’ambiente liturgico, il continuo riferimento all’Antico Testamento ed il simbolismo apocalittico inducono ad attribuire all’autore dell’Apocalisse un interesse storico più generale e, soprattutto, più 
teologico: ciò che gli sta particolarmente a cuore è il mistero di Gesù Cristo, evento fondamentale che permette di comprendere il senso di tutto il progetto divino, cioè la storia della salvezza, preparata nella storia di Israele, attuata dal Messia ed in via di compimento nella storia della Chiesa.

Il passato, il presente ed il futuro, nell’ambito della liturgia, si rafforzano e si integrano a vicenda: il Signore «è venuto» negli eventi fondamentali della sua Pasqua, «viene» nella vita della Chiesa lungo la storia, «verrà» per il compimento finale. Nella celebrazione liturgica la comunità cristiana ricorda il passato salvifico degli interventi di Dio (nell’economia dell’Antico Testamento, nel mistero pasquale di Cristo, nella propria esperienza comunitaria), vive al presente il suo dono di grazia e rinnova l’attesa ed il desiderio del compimento finale. Nella liturgia, dunque, il gruppo di ascolto si impegna a leggere ed interpretare la propria storia nella luce del Cristo Risorto.

Le forme simboliche, inoltre, non hanno la semplice funzione di mascherare fatti storici contemporanei o futuri, ma conservano il loro valore comunicativo per ogni comunità cristiana ed evocano «le cose che devono accadere», cioè il senso degli eventi storici guidati dal progetto divino ed orientati al compimento definitivo. L’Apocalisse si può così qualificare come la divina spiegazione del senso profondo della storia.
Questo metodo esegetico, pur nella molteplicità delle sfumature, è stato seguito dalla maggior parte dei commentatori patristici e medievali fino al XII secolo; oggi viene comunemente riconosciuto il suo valore, anche se molti esegeti che lo seguono propongono interpretazioni diverse, sottolineando aspetti differenti.

Sintesi teologica
La risposta di fede al dramma della storia
La struttura simbolica dell’Apocalisse rende complessa ed ardua la sua interpretazione: è praticamente impossibile esaurire il significato delle varie immagini e determinare con precisione il loro messaggio teologico. Se, a livello generale, la celebrazione del mistero pasquale di Cristo e la riflessione sul senso della storia possono considerarsi punti chiari e sicuri, lo stesso non può dirsi per moltissimi particolari dell’opera. E’ quindi rischioso costruire una sintesi di teologia dell’Apocalisse, basata sull’ipotetica interpretazione di alcune immagini; mentre è via più sicura far emergere dal testo quei frammenti di teologia, costituiti dalle esplicite formule di fede presenti nell’opera, quali i titoli attribuiti a Dio e al suo Cristo, gli inni liturgici inseriti nella struttura simbolica e le sette beatitudini.

I tasselli di un mosaico
Sono anzitutto importanti i titoli con cui viene presentata la figura di Dio. La tipica formula divina «Colui che è e che era e che viene» mostra Dio come colui che interviene attivamente e attualmente nella storia; egli è «l’alfa e l’omega», colui che determina l’inizio, lo sviluppo e la conclusione di ogni storia; è il «Pantokrator» (l’onnipotente), «colui che siede sul trono» ed esercita un reale controllo sul cosmo e sulla storia; egli, inoltre, «vive nei secoli dei secoli»  non è limitato dal tempo, anzi ne è il signore.

Alla sobrietà dei titoli divini si contrappone l’abbondante varietà delle formule che presentano e descrivono Gesù Cristo. Nel saluto iniziale egli è presentato come «testimone degno di fede», cioè rivelatore credibile del mistero divino; «primogenito dei morti», in quanto ha condiviso la sorte mortale degli uomini ed ha dato origine alla nuova generazione dei viventi; «principe dei re della terra», cioè sovrano dominatore di tutte le potenze che continuano ad operare nel mondo e nella storia.

L’assemblea liturgica celebra e ringrazia il Cristo innanzi tutto per lo stato abituale di relazione amorosa che lo lega alla sua Chiesa; tale relazione, fondata nell’evento storico della Pasqua, si instaura grazie al battesimo, inteso come reale partecipazione alla morte e alla nuova vita di Gesù: l’aspetto negativo è presentato come scioglimento dai legami dei peccati per mezzo del sacrificio stesso di Cristo, mentre l’aspetto positivo è indicato come effettiva partecipazione dei cristiani alla regalità e alla mediazione sacerdotale del Signore Risorto: «Ha fatto di noi un regno, sacerdoti per Dio e Padre suo». Quest’ultimo elemento è particolarmente significativo. L’espressione, derivata da Es 19,6, ricorre in forma simile in altri due passi dell’Apocalisse e con essa l’autore esprime una innovativa visione teologica. La comunità cristiana, liberata dal Cristo, si sente un «regno», sente cioè di appartenere totalmente al Padre di Gesù Cristo e di condividere con lui la funzione sacerdotale di mediazione e di salvezza: tutti i cristiani sono sacerdoti e condividono una responsabilità attiva, collaborano col Cristo per fare della storia il Regno di Dio.

Alcuni titoli importanti qualificano Gesù Cristo come «il risorto»: «il Primo e l’Ultimo», «il Vivente», «divenni morto», «sono vivente per i secoli dei secoli», «ho le chiavi della morte e dell’Ade». Altre formule, infine, lo avvicinano alla stessa figura di Dio, come «Figlio di Dio», «Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini e dà a ciascuno secondo le proprie opere», «il Santo»; oppure ne mostrano il ruolo decisivo di rivelatore e salvatore, tipo «il Veritiero», «l’Amen», «il principio della creazione di Dio», «il Logos di Dio», «re dei re e signore dei signori».

In secondo luogo, gli interventi lirici nel corso dell’Apocalisse sono particolarmente significativi, perchè riportano con buona probabilità frammenti di testi liturgici effettivamente adoperati nella comunità giovannea e testimoniano quindi in modo esplicito la fede di quella Chiesa.

Gli inni della visione iniziale mostrano come l’opera della creazione tenda alla salvezza e l’evento della redenzione sia il vertice del piano di Dio: la grande scena simbolica presenta, di fronte all’umanità incapace e impotente, il Cristo risorto, l’unico capace di aprire il libro del mistero, perchè ha accolto perfettamente il piano di Dio fino ad essere ucciso e la sua «capacità» viene offerta a tutti gli uomini senza alcuna distinzione, in modo tale che li abilita a collaborare all’instaurazione del Regno con una mediazione tipicamente sacerdotale. Creazione e redenzione sono strettamente legate come in stretto rapporto sono il Dio creatore ed il Messia redentore: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello» .

Gli altri interventi lirici nel corso del libro mettono in particolare evidenza l’instaurazione del regno di Dio attraverso l’opera del Cristo: in questi casi le formule sono molto vicine alle corrispondenti espressioni usate comunemente nel resto del Nuovo Testamento. Il compimento del «mistero di Dio»  viene espresso generalmente da un canto: «Il regno del mondo è diventato del nostro Signore e del suo Cristo e regnerà per i secoli dei secoli»; «hai messo mano alla tua grande potenza e hai instaurato il tuo regno»; «ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo». Il solenne canto dell’alleluia, infine, è giustificato da due cause: l’inaugurazione del regno messianico («Ha preso possesso del suo regno il Signore») e la celebrazione delle nozze fra l’Agnello e la «sua donna»: l’intervento escatologico dell’Agnello divino, infatti, distrugge il mondo corrotto e trasforma l’umanità (la donna: da prostituta a sposa), rendendola capace di una autentica comunione con Dio (le nozze).

In ultimo, anche le sette beatitudini, che compaiono disseminate nel corso dell’Apocalisse, manifestano il pensiero dell’autore e rivelano, anche se solo per allusioni ed accenni, un ricco messaggio teologico. In queste formule sintetiche emerge soprattutto il grande tema della vigilanza cristiana e della fede «apocalittica» nella risurrezione dei giusti connessa con il mistero pasquale di Cristo. La comunità cristiana, quindi, grazie al dono battesimale della vita nuova, simboleggiato dalle vesti può partecipare, in modo reale e duraturo, al mistero salvifico del Cristo, da cui è stata superata la nudità e la vergogna dell’uomo peccatore. Il battesimo, dunque, produce e richiede un comportamento di conseguenza; e da questo dono-impegno nasce, come beatitudine, la possibilità di mangiare dell’albero della vita (probabile allusione all’Eucaristia) e di entrare nella nuova comunione con Dio, simboleggiata dalle nozze, dal banchetto e dalla nuova città santa. 

La comunità liturgica deve, quindi, essere riconoscente per questo beneficio e guardarsi bene dal rifiutare l’invito; ancora una volta la prospettiva teologica è quella dell’incontro personale con Dio attraverso Gesù Cristo ed i simboli sottolineano proprio la dimensione della comunione offerta in dono.

Tentativo di ricomposizione del mosaico
La sintesi teologica dell’Apocalisse è facilmente ricostruibile intorno al mistero del Cristo risorto: presentato con il simbolo dell’agnello, è riconosciuto come l’unico in grado di rivelare pienamente il progetto salvifico di Dio, simbolicamente egli «può» aprire i sette sigilli .

Questa visione introduttiva fondamentale fa seguito alle sette lettere, che hanno rappresentato la fase di purificazione della comunità ecclesiale, ed introduce tutto il resto dell’opera, in cui la comunità è impegnata a riconoscere la presenza e l’azione di Dio nelle vicende della storia. Lungi dall’essere una previsione di futuri disastri, l’Apocalisse è la rilettura dell’Antico Testamento alla luce del mistero cristiano, nello sforzo di comprendere il piano di Dio, secondo le varie fasi del suo svolgimento, e tale operazione avviene abitualmente nella liturgia dove l’annuncio trova la sua realizzazione sacramentale.

  • a) L’intervento decisivo di Dio

I vari settenari dell’Apocalisse offrono, dunque, una riflessione strutturata sul compimento delle promesse divine contenute nell’Antico Testamento: l’autore ripropone a più riprese i simboli della storia di salvezza e gli interventi di Dio nelle vicende del popolo di Israele. Riflettendo sugli antichi testi biblici alla luce del mistero pasquale, ne ricava un messaggio fondamentale: l’intervento escatologico di Dio, preparato e promesso da secoli, si è compiuto in Gesù di Nazaret; con lui si è instaurato il Regno di Dio. Nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, Dio ha compiuto l’intervento decisivo ed ha capovolto la situazione: il potere del male è definitivamente sconfitto e all’umanità è concessa la capacità di realizzare il progetto divino. Con entusiasmo e convinzione Giovanni moltiplica le immagini per ripetere lo stesso trionfante annuncio di una salvezza realizzata nel presente.

  • b) La collaborazione per il Regno

La comunità cristiana, aperta alle genti di tutta la terra, costituisce fin da ora la moltitudine innumerevole di coloro che traggono origine dalla passione del Cristo e nel battesimo hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello; ora sono giunte le nozze dell’Agnello e il nuovo popolo della Chiesa è come una fanciulla pronta per essere finalmente sua sposa; come il profeta Ezechiele in esilio, Giovanni annuncia la costruzione di una nuova Gerusalemme ad opera di Dio, vede la distruzione della città santa ad opera dei Romani come il segno della fine dell’antico mondo rovinato dal male e giudicato da Dio, mentre la comunità cristiana gli appare come l’immagine della nuova realtà operata dall’intervento escatologico di Dio in Cristo. La morte di Cristo segna la definitiva sconfitta delle forze maligne, ma non elimina dall’esterno tutti i malvagi e le loro diaboliche macchinazioni. I cristiani del I secolo se n’erano già amaramente accorti e questo faceva loro problema. L’opera di salvezza, annunciata da Giovanni alla sua comunità, è un evento di trasformazione dal profondo, che riguarda ogni singola persona e contemporaneamente tutte le strutture del mondo; una trasformazione che chiede collaborazione «sacerdotale» e non si realizza semplicemente in modo magico; una trasformazione che si sta lentamente realizzando in una continua tensione verso il compimento finale e che richiede ai cristiani impegno e decisione nella sicura fiducia che la storia è fermamente nelle mani di Dio.

  • c) La nuova realtà creata dal Cristo

L’ultima parte dell’Apocalisse evoca questa grande trasformazione coi simboli di due donne e due città, immagini interscambiabili fra loro che rappresentano bene l’idea di relazione, il terreno decisivo dell’intervento di Dio. L’evento pasquale ha creato un capovolgimento assoluto, eliminando la prostituta e fondando una nuova Gerusalemme: la realtà «nuova» che la comunità cristiana sperimenta e testimonia è la novità assoluta di Gesù Cristo. La città/sposa, qualificata come «nuova», è l’immagine fondamentale per presentare il «vangelo» di Gesù Cristo, il dono della comunione con Dio: «se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove». Il confronto inevitabile è con la «vecchia» Gerusalemme che, con la monarchia, il tempio ed il sacerdozio era divenuta il simbolo del popolo, dell’alleanza con Dio e della stessa dimora divina fra gli uomini. Il rinnovamento della città e della sposa significa il rinnovamento dell’alleanza. Giovanni non intende descrivere una realtà celeste appartenente ad un altro mondo, ma, con i consueti simboli biblici e in linguaggio apocalittico, vuole annunciare e celebrare la novità dell’alleanza, ovvero il nuovo rapporto filiale con Dio donato agli uomini da Dio stesso attraverso Gesù Cristo.


La Chiesa gode già pienamente della salvezza, ma non è esonerata dai pericoli, dalle sofferenze, dai difficili rapporti con il mondo che non accetta l’azione del Cristo. Di fronte al dramma della storia, dunque, l’autore dell’Apocalisse mette bene a fuoco l’annuncio cristiano fondamentale e, proprio in virtù di questa fede nel Cristo Risorto, propone un cammino coerente e coraggioso, perchè la Chiesa sia davvero una comunità «nuova» e abbia così la forza per rinnovare tutto il mondo: «Qui appare la costanza dei santi, che conservano le proposte di Dio e la fede di Gesù» .