La Passione e la Sindone

Racconti della Passione e confronto con la Sindone

Katharina Eemmerick

Introduzione


La Beata Anna Katharina Emmerick nasce in Germania, presso Munster a Flamske l’8 settembre (Natività della Beata Vergine Maria) del 1774. Quinta di nove figli, ebbe visioni fin dall’infanzia. Fin dall’età di 9 anni, le apparivano la Madonna con Gesù Bambino, il suo angelo custode e diversi santi, e, fin da bambina, il Signore le mise nel cuore una grande sensibilità e devozione verso il Crocefisso.

Ancora piccola, Katharina si commuoveva davanti ai racconti della Passione del Signore, una delicatezza che non l’abbonderà più, tanto che, nel 1802, poco più che ventenne, decise di entrare nel monastero delle Agostiniane di Agnetenberg, ma la sua vita fu subito attraversata da incomprensioni, gelosie e maltrattamenti proprio a causa dei doni speciali e soprannaturali con i quali il Signore stesso la visitava, la consolava e la istruiva.

Di lei si dice, infatti, che distinguesse gli oggetti sacri da quelli profani, che potesse leggere nel pensiero delle persone e che avesse visioni di fatti che avvenivano nel mondo. Per esempio, vide nei dettagli tutta la rivoluzione francese. Le sue esperienze mistiche erano spesso accompagnate da fenomeni di levitazione e bilocazione. Inoltre, Katharina aveva il dono di conoscere le malattie delle persone: in questo modo, poteva prescrivere loro dei rimedi che si dimostravano sempre efficaci.

Maggior dolore visse la Katharina quando, a causa delle leggi napoleoniche del 1811, molti conventi subirono la ferocia rivoluzionaria e la chiusura forzata, obbligandola ad una mortificante trasferta. Fu accolta come domestica presso l’Abbé Lambert, un prete fuggito anch’egli dalla Francia e stabilitosi presso Dulmen. Qui Katharina decise di vivere come fosse stata in convento, offrendosi, illimitatamente, a sopportar ogni cosa per il bene della Chiesa, per la fine delle repressioni, per la salvezza delle anime. Dal 1812 venne presa in parola. Le apparve Gesù che le offrì la corona di spine: lei accettò ed ebbe così sulla fronte le prime stigmate. In seguito, le si aprirono le ferite anche alle mani, ai piedi e al costato, costringendola a letto.

A questo si aggiunse anche una serie di continue malattie che la portarono ad una profonda debilitazione corporale ma mai spirituale, così come spiegherà Clemens Brentano, il quale, dal 1818, non abbandonò più il capezzale della beata e che, oltre ad essere stato testimone delle gravi sofferenze fisiche che ella pativa, seppe trascrivere tutte le visioni che Katharina viveva e tutte le grazie con le quali veniva favorita, rimanendo con lei fino alla morte della donna, avvenuta il 24 febbraio del 1824. Lo stesso Brentano fu oggetto delle “visioni” della Emmerich. Ella infatti gli predisse che sarebbe vissuto fino a quando il suo compito (trascrivere tutte le visioni di cui ella lo aveva reso partecipe) non fosse stato terminato.

Tale profezia si avverò: il Brentano morì nel 1824 dopo aver trascritto tutte le visioni e la stesura del libro “Vita di Gesù Cristo”, tratto dalle visioni della suora. Anche lui era nato l’8 settembre.

Estratto da “La passione di Gesù”
[..] Gesù prese la patena con i frammenti del pane e pronunziò le parole della consacrazione: «Prendete e mangiate: questo è il mio corpo che dono a voi». Quando mise il pane sulla lingua degli apostoli, che si avvicinavano a due a due, vidi il volto di Giuda oscurarsi. Egli era stato il terzo a prendere il corpo di Cristo. Il Signore, posandogli il bocconcino sulla lingua, gli aveva sussurrato: «Fai presto ciò che vuoi fare!»

Ogni cosa era circonfusa di luce, il pane scese nella bocca degli apostoli come un bocconcino luminoso, riempiendoli di gioia. Solo Giuda restava nella sala come un’ombra oscura e torbida. Mentre Gesù proferiva le parole della consacrazione e Giovanni versava il sangue divino nelle sei coppe, una per ogni coppia di apostoli, il traditore uscì dal cenacolo e corse via. Vidi tre demoni che lo guidavano.

Nell’orto degli Ulivi
Dopo l’istituzione del santissimo Sacramento, in cui Gesù offrì sé stesso immolato misticamente, il Signore e gli apostoli intonarono un canto di ringraziamento e lasciarono il cenacolo. Nel vestibolo incontrarono Maria, la Madre di Gesù, con Maria figlia di Cleofa e Maria Maddalena. Le pie donne esortarono il Signore a non recarsi nell’orto degli Ulivi perché correva voce sulla sua cattura. Ma Gesù le confortò e lasciò il cenacolo, dirigendosi verso il monte degli Ulivi. Compresi che la sua anima era profondamente turbata. Attraversando la valle di Giosafat, Gesù parlò agli apostoli metaforicamente, ma essi non capirono e attribuirono alla stanchezza quel modo strano di esprimersi.

Quando giunsero al monte degli Ulivi era già notte. La luna, benché non fosse ancora piena, illuminava tutta la montagna e rifletteva la sua luce sul volto di Gesù e degli apostoli. Con aria afflitta il Signore disse: «Questa notte sarete indignati con me e vi disperderete, poiché è scritto: “Percuoterò il pastore e le pecore si disperde ranno”… Ma quando sarò risuscitato vi precederò in Galilea». Gli apostoli, che da quando avevano ricevuto il santo Sacramento vivevano la pace dello spirito, si strinsero affettuosamente attorno a lui e lo rassicurarono della propria fedeltà. Pietro intervenne più di tutti gli altri: «Se anche tutti si scandalizzassero, io non ti lascerà mai, Signore!».

Con il volto afflitto Gesù gli predisse: «In verità, in verità ti dico che questa notte stessa, prima ancora che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Ma Pietro non si diede per vinto e replicò: «Dovessi morire con te, Signore, non ti rinnegherò mai!’». Così ribadirono pure tutti gli altri. Attraversarono un ponte sul torrente Cedron e si fermarono nel giardino del Getsemani. Era questo un luogo adatto alla meditazione e alla preghiera; qualche volta veniva anche utilizzato dalle persone prive di un proprio giardino per organizzarvi feste e banchetti.

Il Getsemani è ampio, circondato da una siepe, pieno di alberi e di fiori. Vidi anche alcune capanne di frasche. Gli apostoli avevano la chiave del giardino. Nelle notti precedenti Gesù vi si era ritirato con i suoi apostoli per istruirli circa la scienza divina; quella notte, però, scelse di pregare solo nell’orto degli Ulivi, che è lì vicino, cinto da un muro. Il Signore lasciò otto apostoli all’ingresso del Getsemani e portò con sé soltanto i prediletti: Pietro, Giacomo e Giovanni. Giunto nell’angolo più incolto dell’orto interno, in cui si trovano piccole grotte e molti ulivi, Gesù di venne molto triste perché sentì vicina la sua ora. L’angoscia di quel momento si rispecchiava chiaramente sul suo volto. Allora Giovanni gli domandò perplesso: «Signore, come mai sei così triste, tu che ci hai sempre dato conforto e coraggio e ci hai consolato nei tempi peggiori?».

Gli rispose: «La mia anima è triste fino a morire!» Guardandosi intorno vide avanzarsi nubi cariche d’immagini orrende: erano le tentazioni della vicina prova. La sua passione spirituale stava per avere inizio. Prima di ritirarsi nella solitudine orante, Gesù disse ai tre: «Mentre io vado a pregare nel luogo che ho scelto, restate qui e vegliate: pregate per non cadere nella tentazione. Ricordate che lo spirito è pronto, ma la carne è debole!».

Così dicendo, nella sua sconfinata angoscia interiore, Gesù scese per un piccolo sentiero ed entrò in una grotta profonda sei piedi. Vidi spaventose figure affollare minacciose la stretta caverna dove il Signore si era ritirato a pregare. Fu qui, ai piedi del monte degli Ulivi, che Adamo ed Eva piansero disperati il loro peccato. Vidi i nostri progenitori nello stesso luogo in cui Gesù depose la sua divinità nelle mani della santissima Trinità, affidando la sua innocente umanità alla giustizia di Dio. Con questo sublime atto di carità il Redentore si donava interamente al Padre quale vittima riparatrice dei nostri peccati.

Tutte le colpe del mondo, commesse dall’uomo fin dal la sua prima caduta, gli apparvero a miriadi nella loro completa mostruosità. Nella sua sconfinata angoscia, Gesù supplicò il Padre celeste di perdonare i pensieri malvagi e le offese degli uomini, offrendogli in cambio la sua suprema espiazione. La grotta si era affollata di forme spaventose, immagini delle passioni, dei vizi e delle malvagità del genere umano. Vidi il Redentore abbandonarsi alla sua natura umana e prendere sopra di sé le nefandezze del mondo. Era sudato, stremato e angosciato di fronte agli innumerevoli peccati che Satana continuava a mostrargli come sue conquiste, mentre gli diceva: «Come?!… Anche questo vuoi prendere sopra di te e sopportarne la pena?».

La sua umanità stava già per soccombere sotto l’enorme peso dei nostri peccati, quando un solco di luce chiarissima scese dal cielo, da oriente. Erano le schiere angeliche del paradiso inviate dal Padre celeste per infondere rinnovato vigore al suo Figlio divino. Gesù era al limite delle sofferenze spirituali, il peso delle colpe umane continuava a gravare immensamente su di lui e a causargli dolori atroci, mentre gli spiriti malvagi lo deridevano e i demoni gli facevano sentire la loro orribile voce. Infine, nonostante le spaventose visioni, rincuorato dagli angeli, Gesù misericordioso seppe accogliere tutto su di sé. Egli amò immensamente Dio e anche gli uomini, vittime delle loro stesse passioni.

Il demonio ignorava che Gesù fosse il Figlio di Dio; credendolo soltanto un uomo giusto, lo tentò in tutti i modi come già aveva fatto nel deserto. Satana lasciò scorrere dinanzi alla santa anima del Signore le sue opere di carità facendole apparire come colpe contro il mondo e contro Dio. Tentò di dimostrargli che esse non sarebbero valse a nulla e non erano state adatte a soddisfare la giustizia divina, anzi erano state causa di scandalo e di rovina per molti.

Come un arguto fariseo, Satana gli rimproverò le mancanze e gli scandali che avevano suscitato i suoi apostoli e i discepoli, i disordini che essi avevano provocato abolendo le antiche usanze e, tra l’altro, incolpò Gesù di aver causato la strage degli innocenti e una vita di tribolazioni ai suoi genitori. Inoltre l’accusò di essersi rifiutato di operare diverse guarigioni e di non aver salvato Giovanni Battista, e così continuò a lungo. Gesù era rimasto perseverante nell’orazione, pur continuando a sudare con tremiti convulsi. Egli aveva lasciato prevalere la sua infinita misericordia permettendo al demonio di fargli soffrire le pene dei comuni mortali, in particolare dei giusti, i quali in punto di morte dubitano perfino delle loro sante opere.

Atterrito dall’immensa ingratitudine degli uomini verso Dio, il Signore sentì le piaghe della sua anima e cadde in un violento dolore; allora si alzò e rivolse la sua pena al Padre: «Abbà, Padre mio, se puoi, allontana da me quest’amaro calice!». Ma subito soggiunse: «Sia fatta, però, non la mia, ma la tua volontà!». Sebbene la sua volontà e quella del Padre fossero strettamente congiunte, la natura umana di Gesù tremava difronte alla morte. Lo vidi sfigurato in volto e le sue labbra erano livide. Barcollando, uscì dalla grotta e si diresse verso i tre apostoli che aveva lasciato fuori. Vedendoli addormentati, il Signore, estenuato e sopraffatto dalla tristezza, incespicò e cadde vicino a loro. Ancora circondato dalle tremende visioni, rialzandosi lentamente, Gesù disse: «Perché dormite? Non potete vegliare nemmeno un’ora? ».

I tre, che frattanto si erano svegliati e si erano levati in fretta, vedendo il Signore trafelato e madido di sudore, stavano per chiamare gli altri apostoli, ma Gesù fermò Pietro dicendo: «Non chiamare gli altri, non voglio che mi vedano in queste condizioni, dubiterebbero di me e cadrebbero in tentazione. Ma voi che avete veduto il Figlio dell’uomo nello splendore, potete pure vederlo nell’oscurità e nell’abbandono. Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è sveglio, ma la carne è debole e inferma». Gesù non ignorava che anche i suoi amati apostoli erano caduti in preda all’angoscia e alla paura. Allora parlò loro con amorevole tristezza, mettendoli al corrente sulla dura lotta della natura umana contro la morte. Dopo un quarto d’ora fece di nuovo ritorno alla grotta. Erano quasi le undici di notte. I tre apostoli, afflitti, si chiedevano: «Cosa gli accade per essere così smarrito?». Si coprirono la testa e si misero a pregare.

Frattanto, nella notte silenziosa di Gerusalemme, Maria santissima, Maria Maddalena, Maria figlia di Cleofa, Maria Salomè e Salomè avevano lasciato il cenacolo e si erano recate a casa di Maria, la madre di Marco. Tutte erano molto preoccupate per la sorte di Gesù, in modo particolare Maria santissima, la quale non dubitava più sul tradimento di Giuda. Con il cuore colmo d’amara tristezza, Gesù dunque era ritornato nella grotta. Si gettò col viso al suolo e, con le braccia distese, pregò il Padre in cielo.

Allora gli angeli consolatori gli mostrarono l’immagine beata dei nostri progenitori nello stato di santa innocenza, ossia quando Dio dimorava ancora nel loro cuore, facendogli vedere come la loro caduta l’avesse deturpata. In tale contesto il Salvatore vide le indicibili sofferenze che la sua anima avrebbe dovuto superare per redimere l’uomo dal peccato d’origine, causa di tutti i patimenti. Gli angeli gli fecero notare che l’unica natura umana esente dal peccato era quella del Figlio di Dio, il quale per prendere sopra di sé il debito dell’intera umanità doveva superare la ripugnanza umana per la sofferenza e la morte. La sua santa anima vide le pene future che sarebbero gravate sugli apostoli, sui discepoli e sui santi martiri. La crescita della Chiesa tra ombre e luci, le eresie, gli scismi e tutte le forme di vanità e le colpe scandalose del clero. La tiepidezza e la malvagità di numerosi sedicenti cristiani. E ancora: la desolazione del regno di Dio sulla terra e le orrende raffigurazioni dell’ingratitudine e degli abusi degli uomini. Con il suo martirio egli avrebbe instaurato nel mondo il precetto salvifico dell’amore e sarebbe stato il Salvatore divino per quanti, nei secoli, avrebbero voluto sfuggire alle fiamme dell’inferno e avvicinarsi alla luce beatifica di Dio.

L’umanità, corrotta dal peccato, che lui si preparava a riscattare col proprio tributo di sofferenze indicibili, si sarebbe potuta salvare solo imitandolo. Era quindi necessario che egli bevesse quest’amaro calice per trasfigurarsi nella “verità”, nella “vita” e nella “via” al Padre. Vidi Gesù versare lacrime di sangue di fronte all’immane ingratitudine degli uomini; per quelle moltitudini che l’avrebbero odiato e si sarebbero rifiutate di portare la croce con lui. Egli pativa affinché la sua Chiesa fosse fondata sulla roccia, contro la quale le porte dell’inferno non avrebbero prevalso. Ecco perché il demonio per provocano gli aveva detto: «Vuoi davvero soffrire per questa massa d’ingrati?».

Con forte dolore, vidi una fitta schiera di nemici del mio Sposo divino mossi dal fanatismo, dall’idolatria e dall’odio contro la Chiesa: ciechi, paralitici, sordi, muti e persino fanciulli. Ciechi che non volevano vedere la verità, paralitici che con la verità non volevano camminare, muti perché si rifiutavano di trasmetterla agli altri e sordi perché rifiutavano di ascoltare le ammonizioni di Dio. I fanciulli crescevano insensibili alle cose divine, istruiti dai genitori e dai maestri alla vana sapienza del mondo. Questi mi fecero maggior compassione perché erano stati oggetto del massimo amore di Gesù. Non potrei mai finire se volessi raccontare tutti gli oltraggi fatti a Gesù, dai sacerdoti indegni, nel santissimo Sacramento… Vidi gli angeli che seguivano con il dito le diverse immagini che essi stessi producevano, ma non udivo quel che dicevano; compresi solo che avevano molta compassione per le sofferenze del Signore. Le sofferenze interiori di Gesù, per tali orribili peccati e concupiscenze, furono così intense che il suo corpo versò fiotti di sangue.

Nello stesso tempo vidi la Vergine Maria patire a sua volta l’agonia spirituale del Figlio. La Madre di Gesù si trovava ancora nel giardino di Maria di Marco e veniva consolata dalle pie donne, particolarmente dalla padrona di casa e dalla fedele Maria Maddalena. Perse più volte i sensi mentre sollevava le mani imploranti verso il Getsemani. Anche Gesù, con molto trasporto, contemplava nello spirito le pene della sua santa Madre. Fu una visione intensa e molto commovente. Gli Otto apostoli, sbigottiti e afflitti dal dubbio, temevano per la sorte di Gesù e per la loro. Essi si chiedevano: «Che faremo, se il Maestro verrà arrestato e morirà? Abbiamo rinunciato a tutto per seguirlo e adesso siamo poveri ed esposti al ridicolo. Forse abbiamo sbagliato affidandoci completamente a lui».

Fu così che gli apostoli entrarono in tentazione e si misero a cercare un nascondiglio. Anche i discepoli furono assaliti da un grande sconforto e andavano in giro per Gerusalemme con l’intento di conoscere qualche notizia in torno alla sorte del Redentore. Mancava poco alla mezzanotte. Gesù continuava l’intimo colloquio con il Padre celeste, allorché si aprì la terra sotto di lui e si trovò all’improvviso su un sentiero luminoso che scendeva nel limbo. Il Maestro divino scorse Adamo ed Eva, gli antichi patriarchi, i profeti e i giusti, i genitori di sua Madre, Giovanni Battista e una moltitudine di sacerdoti, di martiri, di beati e di santi della futura Chiesa.

Tutti avevano il capo cinto dalle corone del santo trionfo, conseguite grazie alle sofferenze patite e alla perseverante lotta contro il male. Lo splendore di tale trionfo era legato unicamente ai meriti della sua prossima passione. Essi lo circondarono, esortandolo a compiere il sacrificio del suo sangue, sorgente di redenzione e di vita spirituale per tutti gli uomini di buona volontà. Questa visione rinvigorì Gesù che stava soggiacendo all’abbattimento umano. Dopo quelle confortanti scene, gli angeli gli mostrarono in tutti i particolari la passione che avrebbe subito tra poco. Quando il divino sofferente si vide inchiodato sulla croce completamente nudo per espiare l’impudicizia degli uomini, pregò fervorosamente il Padre di risparmiargli quell’immane umiliazione. Questa preghiera sarebbe stata esaudita per l’intervento di un uomo pietoso che l’avrebbe coperto.

Dopo la visione del suo martirio sulla croce anche gli angeli lo abbandonarono. Egli cadde a terra sfinito come se fosse moribondo: il suo corpo era agonizzante e in preda a un tremito convulso. Vidi la grotta illuminata da tenui raggi lunari. All’improvviso un’altra luce illuminò la grotta: era un angelo inviato da Dio, indossava abiti sacerdotali e aveva nelle mani un piccolo calice. Senza discendere al suolo, la creatura celeste accostò il calice alle labbra di Gesù e, ciò fatto, disparve. Così il Signore aveva accettato il calice delle sue pene, dal quale ne trasse straordinarie energie. Restò ancora per alcuni minuti in atto di gratitudine verso il Padre celeste, poi si rialzò, si asciugò il volto con un sudario e fece ritorno dagli apostoli.

Quando Gesù uscì dalla grotta, vidi la sua faccia pallidissima e spettrale: destava profonda compassione; notai però che il suo passo era diritto. La luce lunare e lo splendore delle stelle mi apparvero molto più naturali. Pietro, Giacomo e Giovanni, spossati dall’angoscia, erano caduti di nuovo nel torpore e si erano assopiti con la testa coperta. Gesù, pieno di amarezza, li chiamò ancora una volta e disse loro che non era il momento di dormire ma di pregare, perché l’ora della verità era venuta. Li avvertì che egli si sarebbe consegnato ai suoi nemici senza opporre resistenza; chiese che assistessero sua Madre ed ebbe parole di compassione per il traditore. Ma Pietro gridò: «Noi ti difenderemo, vado a chiamare gli altri!». Gesù lo fermò e gli fece segno di guardare nella valle, dall’altra parte del torrente Cedron, dove una masnada di armati si avvicinava alla luce di una lanterna.

L’arresto di Gesù
Giuda era un ambizioso, e come tale aveva interpretato l’insegnamento di Gesù in senso riduttivo e materiale; aveva creduto in un regno temporale e, non vedendolo mai venire, aveva perso ogni fiducia nel Signore. La sua anima era lontana da Dio ed era giunto a rubare dalla cassa delle elemosine a lui affidata; infine, stanco di quella vita, il miserabile aveva ordito il tradimento. Egli non immaginava le tremende conseguenze che ne sarebbero derivate, cioè la morte e la crocifissione di Gesù. Durante il colloquio di Giuda con Anna e Caifa davanti al sinedrio, vidi il traditore trattato con disprezzo dai sommi sacerdoti. Fu chiesto all’Iscariota: «Sarà possibile farlo prigioniero? Non ha numerose schiere di armati che lo proteggono?». A questa domanda l’infame traditore rispose con spavalderia: «Egli è solo con undici discepoli pigri e timorosi; il Nazareno stesso non ha più il coraggio di proseguire nella predicazione!». I sacerdoti, però, erano in dubbio sull’opportunità di arrestare Gesù nel corso delle celebrazioni pasquali. Per con vincerli Giuda aggiunse: «Se non verrà catturato adesso, non vi sarà mai più possibile, perché Gesù vuole andar via e ritornare con un grande esercito per diventare re».

Queste parole ebbero l’effetto voluto: il sinedrio e i sommi sacerdoti si convinsero della necessità di catturare Gesù prima della Pasqua. Il vile traditore ricevette trenta denari d’argento e fu guardato con severo biasimo; tre farisei lo guidarono in un atrio dove si stava preparando la spedizione per la cattura del Signore. I soldati avevano ricevuto l’ordine di sorvegliare attentamente il traditore fin ché non avessero preso Gesù. Le trenta monete erano di forma oblunga, forate all’estremità rotonda e attaccate con degli anelli a una catena; recavano incisi alcuni caratteri. Giuda, per dimostrarsi un uomo pio, le offrì al tempio, ma non furono accettate perché erano il prezzo di un tradimento. Questo rifiuto lo ferì definitivamente e si sentì esasperato, ma ormai era troppo tardi per ritornare sui suoi passi.

Nel frattempo un impiegato del sinedrio inviò sette schiavi a procurare il materiale per costruire la croce. I lavori furono iniziati dietro il tribunale di Caifa. Il legno della croce proveniva da un albero cresciuto presso il torrente Cedron. Il drappello, che avanzava per catturare Gesù, era composto da venti soldati prelevati dalla guardia del tempio e da quella dei capi dei sacerdoti; non tutti erano ebrei, alcuni erano originari di paesi stranieri. Gli sgherri vestivano quasi come i soldati romani ed erano dotati di spade, fruste e catene, avevano con loro torce di pece, ma, per via, accesero solo una lanterna.

Giuda, il miserabile, era tenuto stretto fra di loro. Sei membri del sinedrio guidavano il drappello: un sacerdote confidente di Anna, un incaricato di Caifa, due farisei e due sadducei, che erano anche erodiani. Altre trecento guardie erano state dislocate nei punti nevralgici della città, fino al monte degli Ulivi, in particolare nel piccolo borgo di Ofel. Vidi il Signore e i tre apostoli prediletti muoversi tra il Getsemani e il monte degli Ulivi; a loro si erano affiancati gli altri otto apostoli. Spinti dalla curiosità e dall’inquietudine erano saliti lassù anche alcuni discepoli, ma si mantenevano a distanza, pronti a fuggire. Gesù, facendo segno ai suoi di starsene fermi, avanzò verso le guardie e chiese a voce alta: «Chi cercate?». «Gesù di Nazaret!», gli fu risposto dal comandante delle guardie. Il Signore con voce ferma rispose: «Io sono colui che cercate!».

A queste parole quasi tutti gli sgherri vacillarono e caddero a terra. Si rialzarono e si avvicinarono di nuovo a Gesù, in attesa del segno che avrebbe dato l’Iscariota baciando il Signore. Gesù chiese ancora una volta: «Chi cercate?». Ed essi risposero: «Gesù di Nazaret!». «Sono io! Se cercate me, lasciate andare costoro», rispose il Signore. Quelli vacillarono di nuovo e, caduti a terra, si contorcevano come epilettici. Gesù disse alle guardie: «Alzatevi!». E quelli, tutti confusi, si alzarono e spinsero avanti Giuda. Sconvolto, il traditore si accostò a Gesù e lo baciò sul la guancia per dare il segnale convenuto. Lo udii dire: «Salve, Signore!». Gesù gli rispose con tristezza: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo! Sarebbe stato meglio per te che non fossi mai nato!». Intanto, avuto il segno che attendevano, i soldati circondarono il Signore, mentre gli altri sgherri ricacciavano indietro gli apostoli che volevano liberare Gesù a tutti i costi. Pietro, il più audace di tutti, con un colpo di spada recise l’orecchio di uno dei servi del sacerdote, un certo Malco, che cadde a terra tramortito. Vi fu un grande tumulto.

Gesù disse: «Pietro, chi di spada ferisce di spada perisce. Rimetti dunque la spada dentro il fodero perché io devo compiere la volontà del Padre mio!». Quindi chiese che gli fosse avvicinato Malco affinché potesse guarirlo. Accostatosi a lui pregò e, toccandolo, lo risanò perfettamente. Di fronte a tale prodigio gli sgherri rimasero stupefatti, ma subito si levò la voce dei farisei, i quali dissero che Gesù era in combutta con il diavolo. Subito dopo, le guardie, incitate dai membri del sinedrio, tentarono di arrestare gli apostoli, ma questi abbandonarono il Signore e fuggirono nella notte. Anche Giuda fuggì; però, poco avanti, fu fermato dai discepoli di Gesù, che inveirono contro di lui, finché fu liberato dai sinedriti.

Dopo la passione del Signore, tutti gli sgherri che erano caduti quando Gesù dichiarò il suo nome, si convertirono e divennero buoni cristiani, poiché il gesto del cadere e del rialzarsi è simbolo di sensibilità, pentimento e conversione a Dio. Malco si convertì subito dopo la sua guarigione. Invece Giuda, i sei sinedriti e i quattro bruti che trascinarono il Signore con le funi, non erano caduti davanti al santo nome di Gesù, perché si erano chiusi alla grazia. Le guardie legarono il Signore, accusandolo di essere in relazione con il demonio. Gesù disse loro: «Siete venuti con aste e bastoni a prendermi di notte come se fossi un assassino, mentre invece tutti i giorni insegnavo nel tempio, e non avete mai osato mettermi le mani addosso. Adesso, però, è giunta per voi l’ora delle tenebre».

Ma gli sgherri presero a ingiuriarlo e a maltrattarlo. Gli legarono le mani in modo assai crudele, usando corde nuove fatte con rami di salice: gli bloccarono il polso della mano destra al di sopra del gomito sinistro, e il polso sinistro sul braccio destro; gli strinsero attorno alla vita un’alta cintura munita di punte e vi fissarono le mani di Gesù con lacci di vimini. Inoltre gli appesero al collo un collare, dal quale partivano due corregge che, incrociandosi su petto, scendevano legandosi alla cintura. Da queste partivano quattro funi, che erano tirate a piacimento dai quattro bruti rozzi e muscolosi. Così il Salvatore iniziò la dolorosa via della croce.

Il triste corteo, con le fiaccole accese, si mise in cammino: aprivano la marcia dieci sgherri, dietro di essi veniva Gesù, ingiuriato e tirato per le funi dai quattro bruti, poi seguivano i sinedriti e le altre guardie. I discepoli e gli apostoli erano tutti fuggiti, solo Giovanni seguiva il corteo; quando le guardie tentarono di arrestarlo, egli riuscì a fuggire lasciando cadere il mantello. Gesù venne condotto via in tutta fretta, tra crudeli martiri e vili oltraggi. Per compiacere i farisei, gli aguzzini tiravano le funi con feroce violenza aumentando le sue sofferenze. I malvagi avevano in mano altre funi piene di nodi con le quali lo frustavano come un animale che viene portato al macello, mentre lo riempivano d’insulti e lo costringevano a camminare a piedi nudi tra rovi e cespugli. In fretta raggiunsero un ponte sul torrente Cedron; non era quello attraversato da Gesù e dagli apostoli quando si erano recati al Getsemani, ma un altro. Prima ancora che giungessero al ponte, vidi Gesù cadere due volte a causa dei maltrattamenti. Arrivati al centro del ponte, i miserabili gettarono il Signore nell’acqua «affinché spegnesse la sua sete!». La violenta caduta l’avrebbe ucciso se non fosse stato protetto dall’intervento di Dio. Sulla roccia dove cadde rimasero miracolosamente le impronte delle ginocchia, dei piedi, dei gomiti e delle dita. Queste orme sulla roccia diventarono in seguito oggetto di venerazione da parte della prima comunità cristiana. Perfino la roccia aveva reso testimonianza al Signore ed era stata più tenera e meno incredula degli uomini!

I crudeli aguzzini fecero risalire Gesù sulla riva. Vidi che la sua lunga veste di lana, divenuta pesante per l’acqua assorbita, si stringeva alle sue membra. Così impacciato, impedito a camminare, il Signore cadde a terra più volte, malmenato dagli aguzzini e ingiuriato dai farisei. Durante l’agonia spirituale del Getsemani Gesù era stato assalito da un’arsura terribile, ma non calmò la sua sete con un solo sorso d’acqua; invece lo vidi bere l’acqua del torrente Cedron e lo udii dire che si compiva un salmo profetico.

Siccome i farisei avevano notato la presenza di numerosi discepoli di Gesù alle porte del piccolo sobborgo di Ofel, provvidero a rinforzare il corteo con altri cinquanta soldati che facevano parte dei trecento uomini dislocati un po’ ovunque per reprimere eventuali sommosse dei seguaci di Gesù. In Ofel il Salvatore aveva risanato e consolato molta povera gente, e per tale motivo era benvoluto dalla popolazione. Dopo la Pentecoste la maggior parte degli abitanti si unì alla comunità cristiana.

Prima di entrare nel piccolo borgo, nostro Signore fu percosso con enorme ferocia dagli sgherri seminudi. Lo vidi pallido, sfigurato, insanguinato e pieno di lividi, con i capelli sconvolti e la veste inzuppata d’acqua e di fango. Era una scena che lacerava il cuore: Gesù era caduto già sette volte e non ce la faceva più a rialzarsi. Un soldato pietoso, rivolto ai commilitoni, disse: «Se dobbiamo condurre questo miserabile vivo davanti ai sommi sacerdoti, è opportuno allentargli i ceppi alle mani. Mettiamolo in condizione che possa aiutarsi quando cade».

Mentre gli allentavano i lacci, un altro di loro prese compassionevolmente una ciotola di corteccia, come quelle usate dai pellegrini e dai soldati, la riempì d’acqua di fonte e la porse al Signore. Gesù bevve qualche sorso e, ringraziando quel buon soldato, accennò a un altro passo profetico in cui si parla di una sorgente d’acqua viva. Nell’udire questa frase tutti gli altri, particolarmente i farisei, lo derisero, accusandolo di essere un bestemmiatore. Mi fu rivelato che i due soldati misericordiosi, toccati dalla grazia, si convertirono prima della morte del Signore. Irritati per le parole proferite da Gesù, gli sgherri ripresero a percuoterlo con straordinaria violenza.

Quando il triste corteo entrò in Ofel, una folla di miracolati strinse da ogni lato il condannato e chiese ai soldati che venisse rilasciato. Al passaggio del Signore uomini e donne, mossi a compassione, si gettavano in ginocchio e gridavano: «Liberatelo! Chi ci guarirà? Chi ci consolerà? Restituiteci il Messia!». Tendendo le mani protese verso di lui, la moltitudine lo implorava in ginocchio di compiere il miracolo della sua liberazione. I soldati riuscirono a respingere solo a mala pena la folla dei devoti. Ma giunti nella valle del Cedron, il popolaccio, aizzato dai servi dei sacerdoti del tempio, urlava e imprecava contro il Signore. Vidi Gesù sospinto brutalmente verso Sion, per un sentiero chiamato “Mulo”. A colpi di bastone, pallido e in sanguinato, il Signore fu condotto alla casa di Anna. Vidi Giovanni intento a raccontare alla Vergine gli in cessanti patimenti sofferti dal suo amatissimo Figlio, finché ella ruppe in singhiozzi; i due si trovavano nella dimora di Maria di Marco, nei pressi di Ofel. Gli abitanti del borgo, già sconvolti dall’aver visto il loro Maestro maltrattato e sofferente, condivisero profondamente il dolore di Maria. Pietro e Giovanni avevano seguito a distanza il corteo fino a Sion, poi li vidi entrare nella casa di alcuni messi del tribunale.

Questi ultimi erano amici di Giovanni e avevano il compito di percorrere la città allo scopo di convocare i membri del sinedrio e gli eruditi del tempio. Essi misero addosso ai due apostoli il mantello dei messi d’ufficio, affidando loro alcune convocazioni da consegnare. In tal modo, Simon Pietro e Giovanni ebbero libero accesso nella sala del tribunale di Caifa. Inoltre, così vestiti, gli apostoli s’incaricarono di avvertire i membri del consiglio favorevoli a Gesù, come Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che i farisei avrebbero certamente “dimenticato” di convocare. Vidi Giuda correre lungo la costa meridionale di Gerusalemme, come se avesse voluto sfuggire al demonio. In preda al delirio, tormentato dalla più profonda disperazione, egli vagava tra i cumuli di rifiuti e le ossa degli animali sacrificati.

I preparativi del processo
Anna e Caifa erano stati avvertiti della cattura di Gesù e avevano iniziato i preparativi del processo. Il cortile del loro tribunale venne illuminato, gli ingressi sorvegliati da numerose guardie e i messi d’ufficio furono inviati in città ad avvertire i membri del consiglio. I sommi sacerdoti avevano affidato ai farisei, ai sadducei e agli erodiani più avversi a Gesù il compito di raccogliere false testimonianze contro il Signore. Essi volevano dimostrare a tutti i costi che il Galileo era un impostore. In quei giorni si trovavano a Gerusalemme molti nemici di Gesù, giunti da Nazaret, Tirza, Gabara, Iotapata, Silo e da altri luoghi per celebrare la Pasqua.

Era una buona occasione per vendicarsi del Nazareno, che aveva predicato la verità suscitando il loro odio. Tra i più accaniti accusatori di Gesù vidi i mercanti scacciati dal tempio e i pavidi dottori che erano stati pubblicamente ridotti al silenzio dal Signore. Vidi pure quelli che non seppero perdonargli la sua prima istruzione nel tempio, all’età di dodici anni; i peccatori impenitenti, che egli rifiutò di sanare, e i peccatori recidivi, tornati subito infermi.

Vidi i giovani che Gesù non aveva accettato come discepoli; infine i perfidi e i malvagi seguaci di Satana, che infuriavano contro ogni cosa santa, tanto più contro colui che era santissimo. Vidi la feccia del popolo ebreo, manovrata dagli acerrimi nemici di Gesù, agitarsi lungo le vie di Sion per accusare l’immacolato Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Frattanto gli amici di Gesù, ignorando i disegni divini, vagavano sconsolati e afflitti, guardati con profondo sospetto dalla popolazione. I più deboli, temendo per il loro avvenire, erano caduti in tentazione ed erano passati dalla parte dei nemici di Gesù. In verità, scarso rimase il numero dei veri fedeli, perché, ieri come oggi, molti vogliono essere buoni cristiani, ma negano la croce appena diventa scandalo. Infatti numerosi seguaci del Signore si erano ritirati, delusi del Figlio di Dio che si lasciava tormentare senza invocare la vendetta dal cielo. Gli apostoli e i discepoli più fedeli, assaliti dal dubbio, continuavano a vagare nelle valli attorno a Gerusalemme o restavano celati fra le grotte del monte degli Ulivi. Il silenzio notturno a Sion era stato interrotto dai rumori e dal movimento frenetico intorno al tribunale, illuminato a giorno dalle fiaccole e dalle cosiddette “padelle” di pece ardente. Vidi il mio Redentore spinto brutalmente dinanzi ad Anna.

Gesù condotto da Anna
Verso mezzanotte Gesù fu condotto dinanzi ad Anna, che stava assiso sul seggio più alto ed era circondato da ventiquattro consiglieri. Vidi Gesù trascinato per le funi da alcuni sgherri. Il Signore fu fatto salire sul primo dei gradini sotto il seggio di Anna. I membri del consiglio erano già pronti ad accusare Gesù per aver violato più volte l’integrità della dottrina. Anna fremeva, impaziente di vedere Gesù condannato e giustiziato.

Vidi il Signore, insanguinato e con la veste inzuppata, davanti al crudele sacerdote. Gesù aveva il capo chino. Quel vecchio scellerato, dal volto scarno e con la barba rada, si rivolse a Gesù con tono ironico e il sorriso beffardo. Non ricordo tutte le sue parole, ma pressappoco furono queste: «Oh! Sei proprio tu? Gesù di Nazaret, dove sono dunque i tuoi discepoli? E il tuo regno? Adesso tutto ha preso un’altra piega! Hai finito di profanare il sabato e di bestemmiare. Ho saputo perfino che hai mangiato con i tuoi l’agnello pasquale in un giorno insolito e in modo profano. Qual è dunque questa nuova dottrina religiosa che vuoi introdurre?».

Gesù rispose in tono pacato: «Io ho insegnato pubblicamente nel tempio e nelle sinagoghe, non ho tenuto niente in segreto: non interrogare me, ma coloro che udirono quel che ho detto!». A questo punto Anna ebbe un moto interiore di rabbia; un servo se ne accorse e, con la mano destra coperta da un guantone di ferro, colpì Gesù in pieno viso dicendogli: «Così rispondi al sommo sacerdote, farabutto?». Scosso dal colpo, il Signore cadde dal gradino e finì a terra, con il volto sanguinante. Allora nella sala echeggiarono mille rumori, mormorii e ingiurie. Rialzato dalle guardie, come se nulla gli fosse accaduto, Gesù disse serenamente: «Se ho parlato a torto, devi provarmelo; ma se ho detto cosa giusta, perché mi percuoti?». Estremamente irritato da queste parole, e più ancora per l’estrema tranquillità di Gesù, Anna passò a interrogare i testimoni.

Si levò un coro di accuse ben concertate che tendevano a presentare Gesù come un agitatore del popolo: «Ha annunciato un nuovo regno di cui si è autoproclamato re. Ha affermato nientemeno di essere Figlio di Dio. Opera guarigioni nel giorno del sabato. Impreca contro Gerusalemme. Chiama adulteri i farisei. Mangia con gli impuri e frequenta donne di cattiva fama. Davanti alla porta di Ofel, a un uomo che gli portava da bere, ha detto che gli avrebbe dato l’acqua della vita eterna per la quale non avrebbe mai più avuto sete. Confonde il popolo con parole ambigue e abbaglia gli ingenui!». Seguirono centinaia di altre accuse, oltraggi e improperi. Ognuno gli andava vicino per rivolgergli le più inaudite insolenze. Mentre Gesù, tirato a destra e a sinistra dalle funi degli aguzzini, barcollava, Anna gli si rivolse in tono beffardo: «Sei tu il figlio del falegname di Nazaret o sei Elia venuto dal cielo sul carro di fuoco? Dicono che egli viva ancora, potresti essere tu, come lasci capire. Oppure sei Malachia, che non ebbe padre e potrebbe essere un angelo, come forse oseresti spacciarti? Hai detto perfino che sei più grande di Salomone! Su, giustificati! Ma stai tranquillo, adesso ti conferirò il titolo di regalità».

E il perfido sacerdote scrisse su una pergamena le maggiori accuse mosse a Gesù, poi l’arrotolò in un tubo che chiuse e che fissò all’estremità di una canna che fu infilata tra le mani del Signore nuovamente legate dopo che, durante il processo, erano state liberate. La canna era il simbolo derisorio dello “scettro regale”. Il Signore venne condotto da Caifa tra gli oltraggi della folla. «Quelli che avevano preso Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, dove si erano radunati gli scribi e gli anziani» (Matteo 26,57). La casa di Anna dista da quella di Caifa circa trecento passi. Mentre percorreva questo breve cammino, sempre spinto dalle guardie, Gesù fu deriso e malmenato da una massa di ebrei scalmanati e dai falsi testimoni usciti dal tribunale di Anna. Le guardie che lo scortavano riuscivano a fatica a con tenere la folla piena di livore contro il Galileo.

Gesù davanti a Caifa
La via e i cortili che conducono alla casa di Caifa erano abbondantemente illuminati. Il tribunale è preceduto da un primo cortile esterno, attraverso il quale si entra in un altro interno, più grande, che circonda l’intero fabbricato. Un vestibolo a cielo aperto con diverse colonne laterali introduce nella sala del tribunale. Su un’alta pedana a forma di ferro di cavallo ci sono i seggi dei membri del consiglio; quello del sommo sacerdote si trova al centro della pedana in posizione rialzata rispetto agli altri. L’imputato sta al centro del semicerchio circondato dalle guardie; ai due lati vi sono i testimoni. Tre porte alle spalle dei giudici danno accesso alla sala delle deliberazioni. Questa sala rotonda comunica per mezzo di alcune porte con il cortile interno, nel quale si vede l’ingresso della prigione sotterranea; successivamente alla Pentecoste, in una delle sue celle finirono Pietro e Giovanni dopo che avevano guarito lo zoppo del tempio.

Quella notte l’intero palazzo era illuminato a giorno dalle numerose fiaccole e lampade. Al centro dell’atrio principale vidi un gran fuoco ardere in un enorme braciere, ai cui lati, ad altezza d’uomo, si trovavano canne a forma di corni per assorbire il fumo. Intorno al fuoco si stringevano le guardie del tribunale, più in là vidi i falsi testimoni circondati da una folla di persone poco raccomandabili; alcune donne vendevano focacce e una bevanda rossa. All’interno dell’edificio e tutto attorno c’era una grande confusione, come avviene da noi l’ultima sera di carnevale. La maggior parte dei convocati sedeva vicino a Caifa, mentre giungevano i ritardatari. I falsi testimoni avevano già riempito l’atrio.

Vidi Caifa sul seggio rialzato al centro della pedana; adesso era circondato da tutti i settanta membri del sinedrio. Il sacerdote era un uomo dal contegno solenne, ma il volto tradiva la sua vera natura violenta e crudele. Portava un lungo mantello color porpora, adorno di fiori e frange d’oro, fermato sulle spalle e sul petto da fibbie di metallo lucente. Giovanni riuscì a entrare dalla porta del cortile interno, mentre Pietro avrebbe trovato serie difficoltà se Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea non lo avessero fatto entrare con loro. Appena furono nell’atrio, i due apostoli restituirono ai veri messi i loro mantelli e si confusero tra la folla. Caifa era iroso e impaziente, discese perfino dal suo alto seggio per chiedere quando sarebbe stato introdotto l’imputato, ma subito fece ritorno al suo posto, perché vide il corteo entrare nell’atrio. Il corteo fece il suo ingresso nella sala del tribunale, coperto dal vociare e dagli insulti degli astanti contro Gesù. Passando vicino ai due apostoli prediletti, il Signore li guardò senza volgere la testa, per non farli scoprire.

Appena Gesù uscì dal colonnato e si mostrò alla presenza dei membri del consiglio, Caifa gli gridò contro: «Sei tu, dunque, il profanatore nemico di Dio che disturbi la notte santa? ». Poi lesse le accuse formulate dal primo tribunale e lo tempestò di domande. Gesù restò tranquillo fissando gli occhi a terra. Le guardie lo punzecchiarono con bastoni dalla punta di ferro e lo percossero gridando: «Rispondi al sommo sacerdote! Hai perduto la lingua?». Ma egli continuava a tacere.

Si passò alle deposizioni dei testimoni. Prima di tutti parlarono i farisei e i sadducei, i più accaniti nemici di Gesù, seguiti dagli altri. Si ripeté quasi la stessa scena che si era svolta da Anna: Gesù fu accusato di operare guarigioni e scacciare i demoni con l’aiuto del capo dei demoni, inoltre di aver violato il sabato, di non osservare i digiuni e di chiamare i farisei razza di serpenti e generazione adultera; a queste, fecero seguito altre centinaia di imputazioni. In effetti ogni suo insegnamento, parola o parabola, veniva fraintesa o contorta intenzionalmente per farne altrettanti capi d’accusa contro di lui.

L’accusa principale, che gli venne mossa da più parti, fu di magia e stregoneria. I testimoni però erano confusi e le loro testimonianze si contraddicevano. Qualcuno ebbe l’ardire di affermare che Gesù era un bastardo, ma fu subito contraddetto da altri, i quali dissero di aver conosciuto la Madre di Gesù come pia donna del tempio e il padre come uomo timorato di Dio. Alcuni lo accusarono di voler distruggere il tempio e di aver celebrato irregolarmente la Pasqua per due anni consecutivi. Riguardo alla celebrazione della Pasqua nel cenacolo, furono interpellati Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea. I due sinedriti provarono che, secondo una legge antichissima, ai Galilei era permesso consumare l’agnello pasquale un giorno prima.

Aggiunsero che la cerimonia si era svolta secondo le regole comuni e vi avevano partecipato anche impiegati del tempio. Questa testimonianza sdegnò i nemici di Gesù, e i testimoni furono afferrati dal dubbio. Molti astanti, colpiti dal paziente silenzio di Gesù, dalle crudeltà esercitate su di lui e dall’evidente farsa, si sentirono turbati nella coscienza, anche perché l’odio dei farisei si era rivelato a tutti. Dieci guardie si ritirarono con il pretesto di un malessere; più tardi, indirizzate da alcuni discepoli, si rifugiarono sull’altro versante del monte Sion, nelle caverne a sud di Gerusalemme.

Caifa, estremamente furibondo per l’andamento del processo, dichiarò che la confusione delle deposizioni era effetto dei sortilegi di Gesù, poi si alzò dal suo seggio esce se alcuni gradini. Avvicinatosi a Gesù, con voce quasi supplichevole, gli chiese: «Ti scongiuro per il Dio vivente: dimmi se tu sei il Messia, il Figlio di Dio Altissimo». Adesso nella sala il tumulto era completamente cessato. Gesù, fortificato dal Padre celeste, rispose con il tono dignitoso della Parola eterna: «Tu lo hai detto, io lo sono! E vi dico che presto vedrete il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo, seduto al la destra dell’Altissimo!». Nel pronunziare queste parole, Gesù fu irradiato da un magnifico e indicibile splendore e il cielo si aprì sopra di lui; in quell’istante percepii la luce di Dio onnipotente. Vidi i giusti pregare per Gesù circondato dagli angeli. Invece sotto Caifa vidi una sfera incandescente piena di orrende figure: era l’inferno, sul quale egli stava. Quando il Signore dichiarò con voce ferma di essere il Cristo, il Figlio di Dio, l’inferno tremò e rovesciò la sua diabolica rabbia nella sala del tribunale. Vidi figure orribili uscire dalle tombe dall’altro lato di Sion: credo che fossero gli spiriti del male. Vidi altre cose tremende. Forse anche Giovanni le vide, come mi fu rivelato.

Afferrato da un moto di collera, Caifa si strappò una par te del suo magnifico mantello e urlò: «Lo avete udito? Egli ha bestemmiato: servono ancora i testimoni? Qual è dunque la vostra sentenza?». Tutti i presenti gridarono più volte: «E degno di morte!». Constatata che la loro opera era finita, i testimoni abbandonarono il tribunale con la coscienza offuscata. I più vili e falsi si ritirarono nell’atrio e si misero attorno al fuoco per prendere il poco denaro promesso, poi si trattennero a mangiare e a bere.

Ispirato dall’inferno, il sommo sacerdote consegnò Gesù alle guardie dicendo: «Consegno questo re in vostra balìa, rendete a lui gli onori dovuti!». Detto questo, Caifa si ritirò con i suoi consiglieri nella sala rotonda posta dietro al tribunale. Giovanni, nel suo profondo dolore, pensava alla triste notizia che doveva recare alla santa Vergine. Allora gettò uno sguardo d’intesa al Signore e lasciò la sala del tribunale. Intanto Pietro, angosciato e intirizzito dal freddò, si era accostato al grande braciere presso il quale si scaldava molta gentaglia. Egli non si rendeva precisamente conto di quel che faceva, in ogni caso non voleva allontanarsi dal suo Maestro.

Gesù oltraggiato nella casa di Caifa
Non appena Caifa e i membri del consiglio lasciarono la sala del tribunale, la folla si accanì bestialmente contro Gesù, abbandonandosi a ogni eccesso di crudeltà. Solo due sgherri lo tenevano per le funi perché gli altri due erano usciti. Già durante il processo alcuni perfidi avevano strappato al Signore intere ciocche di capelli, e così pure la barba; qualche pia persona le raccolse furtivamente e le portò via, ma poco tempo dopo non le trovò più.

Vidi Gesù coperto di oltraggi, sputi e percosse di ogni sorta, schiaffi, pugni e bastonate. Gli sgherri, dopo averlo ferito con bastoni acuminati, sputandogli continuamente in faccia, gli vuotarono sulla santa testa un secchio di acqua sporca dicendogli: «Ti rendiamo la tua unzione regale, così ti purifichiamo!». Poi gli strapparono con violenza la veste e gli misero sul capo una corona di paglia di frumento a guisa di mitra vescovile, quindi lo rivestirono di un lurido manto che gli scendeva fino alle ginocchia. Non contenti ancora, i torturatori appesero al collo di Gesù una catena di ferro che terminava con due pesanti anelli, le cui punte gli ferivano le ginocchia quando si muoveva.

Senza mai cessare di percuoterlo con i pugni e i pesanti bastoni nodosi, gli bendarono gli occhi con uno straccio sudicio e lo percossero, dicendogli: «Gran profeta, indovina: chi ti ha percosso?». Vidi Gesù pregare per i suoi perversi torturatori. Nonostante il sangue, i lividi e i tormenti, vidi il Signore aureolato di luce magnifica; la stessa non l’aveva più la sciato da quando egli si era proclamato Figlio di Dio. Trascinato per mezzo della catena attorno al collo, Gesù fu condotto dalle guardie nella sala antistante dov’era riunito il consiglio, i cui membri, appena lo videro, cominciarono a ingiuriarlo e a deriderlo. Però le loro pesanti offese non sfioravano minimamente la gloria della sua magnifica santità. Perfino quei perfidi percepirono vagamente la luce della grazia che splendeva sul Figlio di Dio.

Pietro rinnega tre volte il Signore
Pietro, confuso e intimorito, restava seduto nell’atrio a scaldarsi vicino al fuoco, ma la tristezza impressa sul suo volto lo rese sospetto agli altri. La portinaia si avvicinò al fuoco e gli chiese: «Sei discepolo del Nazareno?». L’apostolo, vedendosi scoperto, impallidì, senza avere il coraggio di rispondere. Un altro gridò: «Sicuro, io l’ho visto, era con il Galileo!». Fortemente spaventato, temendo di essere maltrattato da quella gentaglia, Pietro negò per la prima volta il Signore: «Io non lo conosco».

Proprio in quel momento mi sembrò di udire il canto del gallo. Un’altra donna, che lo fissava attentamente, disse a quelli che le stavano accanto: «Anche costui era con quel Gesù di Nazaret!». Quest’affermazione fu confermata da altre persone. Pietro, per timore di essere arrestato, rinnegò Gesù per la seconda volta: «Non conosco affatto quell’uomo!». Afflitto per essere stato costretto a rinnegare Gesù una seconda volta, Pietro, in preda alla disperazione, uscì dal vestibolo e corse fuori.

Nel cortile esterno incontrò alcuni discepoli che gli chiesero notizie del processo a Gesù, ma l’apostolo, senza rispondere, consigliò loro di ritirarsi. Dopo poco tempo, ansioso di rivedere Gesù, egli ritornò e si sedette di nuovo vicino al grande braciere, poiché non vide più la portinaia e quell’altro. Vicino a lui c’erano alcune persone che parlavano del Signore come di un grande farabutto. Pietro intervenne spontaneamente per dire qualche parola in favore di Gesù. Fu così che uno di quelli lo riconobbe, trasalì e gli disse: «Tu sei un discepolo del Galileo, ti ho visto mentre tagliavi l’orecchio di Malco!». A tale accusa egli si sentì mancare e dichiarò solenne mente di non conoscere affatto Gesù.

Con il cuore in gola, tormentato dalla paura e dalla vergogna, Pietro udì il gallo cantare tre volte. Fattosi animo, l’apostolo si confuse tra la folla e giunse sotto l’arco della sala rotonda, dove vide il Signore sanguinante, con una corona di paglia intorno alla testa, ingiuriato e maltrattato nel più orrendo dei modi. Gesù gli rivolse uno sguardo di pietosa commiserazione, come a volergli ricordare il compimento della sua profezia: Pietro l’aveva rinnegato tre volte al sorgere dell’alba, prima che il gallo cantasse. Sotto quello sguardo l’apostolo sentì cadere su di sé il peso della sua miseria e fu angustiato dal dolore del sincero pentimento.

Allora si coprì la testa con il manto e decise di confessare il suo peccato di presunzione, memore di aver detto al Signore: «Meglio morire piuttosto che negarti!». Immenso fu lo strazio della santa Vergine quando Pietro le confessò che aveva rinnegato tre volte il suo Figlio diletto. Ella gli aveva domandato: «Simone, informami di quanto è avvenuto al mio amato Figlio…». Molto turbato, l’apostolo non le rispose. La Madre addolorata, avvicinandosi, gli chiese: «Perché non mi rispondi?». «Oh, Madre, non mi parlare! Hanno condannato Gesù a morte, e io l’ho vergognosamente rinnegato tre volte…». A queste parole la Madre di Gesù svenne proprio vicino alla porta di Gerusalemme, lasciandosi cadere su una pietra dove rimasero impresse le orme della sua mano destra e del suo piede. L’apostolo fuggì via dalla vergogna. Un’altra causa di strazio, per la Vergine, fu quando vide gli operai che preparavano la croce per suo Figlio.

Gesù in carcere
Vidi Gesù in una piccolissima cella dal soffitto a volta; uno spiraglio di luce penetrava da una fessura in alto. La prigione era sotterranea al tribunale di Caifa. Al Signore non gli era stata restituita la veste, era ricoperto solo da una fascia sul basso ventre e sulle spalle portava uno straccio rosso pieno di sputi. Non appena fu incarcerato, Gesù offrì i suoi patimenti al Padre celeste per espiare i peccati del mondo e dei suoi carnefici. Subito dopo i maltrattamenti nella casa di Caifa, il Signore era stato portato in quella segreta e legato a una colonna molto bassa al centro della prigione.

Questa posizione era abbastanza dolorosa perché lo costringeva a tenersi sulle gambe spossate e i piedi feriti e gonfi, mentre i carcerieri non cessavano di malmenarlo. Quando gli aguzzini si davano il cambio, i nuovi arrivati, freschi e riposati, si accanivano con maggior foga contro di lui. Intanto il Redentore continuava a pregare incessantemente, volgendo il suo sguardo luminoso in alto, verso il sole nascente che annunziava la sua passione. Lo udii sospirare e ringraziare Dio per quel giorno ardentemente atteso dagli antichi patriarchi.

Vidi il primo raggio di sole risplendere sul capo del Signore, quale benedizione mattutina del Padre al Figlio. Era il giorno del nostro riscatto. Nel vedere questa scena triste e commovente, lo supplicai con le lacrime agli occhi: «Oh, mio Sposo divino, lasciami partecipare alla tue sofferenze causate anche dai miei peccati!». Circondato di luce, Gesù apparve tanto santo e buono che perfino i carcerieri non osarono più tormentarlo.

Disperazione di Giuda
Vidi Giuda introdursi nel recinto del tribunale di Caifa; sul suo volto si leggeva la più completa disperazione. Fino a quel momento aveva vagato come un folle tra i cumuli di rifiuti alla periferia di Gerusalemme. I trenta denari, prezzo del suo tradimento, erano nella borsa appesa al suo fianco sotto il mantello. Quando egli entrò nel tribunale il processo era già finito e la sala era immersa nel silenzio. Profondamente turbato, Giuda chiese a una delle guardie l’esito del processo a Gesù. «È stato condannato a morte e sarà crocifisso», gli fu risposto.

Le guardie aggiunsero che all’alba il Galileo sarebbe stato trascinato di nuovo dinanzi al consiglio per essere con dannato pubblicamente. Il traditore uscì dal tribunale e apprese dalla gente altre notizie riguardo al Redentore. Udì raccontare con quanta durezza Gesù era stato trattato e con quanta pazienza aveva sopportato i maltrattamenti, gli schemi e le sofferenze. Caduto nella più profonda disperazione, l’infame traditore si nascose dietro la casa di Caifa; egli, come Caino, voleva sfuggire gli uomini. Proprio in questo luogo alcuni operai erano intenti a costruire la croce: i singoli pezzi erano in ordine l’uno vicino all’altro. Giuda guardò quella scena con terrore e fuggì via spaventato: quel patibolo era il frutto del suo orribile tradimento. Il miserabile si celò nei dintorni in attesa di conoscere il giudizio definitivo.

Il processo
Alle prime luci dell’alba il sinedrio si radunò nella grande sala del tribunale. Il consiglio era formato dai sommi sacerdoti, Caifa e Anna, dagli anziani e dagli scribi del popolo. Il giudizio su Gesù della notte precedente era stato solo preliminare, adesso serviva un giudizio definitivo valido pubblicamente, perché la legge non consentiva che fosse emessa una sentenza durante la notte. Era la vigilia di Pasqua e il tempo stringeva; i sacerdoti volevano condannare e crocifiggere il Nazareno prima della festa. Vidi che dal consiglio erano stati esclusi tutti coloro che coltivavano buone intenzioni verso Gesù, compresi quelli che non erano suoi dichiarati nemici. Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e gli altri membri esclusi avevano lasciato il tribunale e si erano ritirati nel tempio.

Quando tutto fu pronto, Caifa ordinò che venisse introdotto Gesù per la sentenza. I carcerieri trascinarono Gesù nella sala con orribile brutalità, tirandolo per una fune, tra beffe e percosse. Traboccando ira, Caifa lo interrogò: «Sei tu dunque l’Unto del Signore, il Figlio di Dio?». Gesù, con somma pazienza e solenne gravità, gli rispose: «Se io ve lo dico, non mi credete e non mi risponderete, né mi lascerete andare, perciò fin d’ora il Figlio dell’uomo starà assiso alla destra di Dio». I giudici si guardarono tra loro, poi dissero a Gesù con tono sdegnoso: «Tu sei dunque il Figlio di Dio?». «Voi lo dite, io lo sono!», rispose Gesù con la voce della Verità. Allorché il Signore pronunziò queste ultime parole tutti si levarono contro di lui indignati: «Cosa vogliamo di più, oltre questa bestemmia? Quale altra prova andiamo cercando?». Dopo averlo ingiuriato, accusandolo di essere un vagabondo impostore, lo fecero legare di nuovo e gli misero una corda al collo per inviarlo dinanzi al procuratore romano come condannato a morte. Il sinedrio aveva deciso di presentarlo a Pilato in qualità di «criminale nemico dell’imperatore», allo scopo di legittimare la condanna di Gesù.

Gesù condotto da Pilato
Vidi Gesù trascinato con le funi: il suo viso era gonfio e contuso. Egli appariva sfigurato dalle percosse e dagli oltraggi della notte, indossava soltanto la tunica inconsutile, insudiciata di sputi e macchiata di sangue. La plebaglia affluiva da ogni parte e seguiva il corteo lanciando grida e invettive contro il Galileo. Nel vederlo in quelle condizioni, sanguinante e pieno di lividi, molti amici esclusero Gesù dal loro cuore, la loro fede si affievolì e si ritirarono scoraggiati, mentre i più superficiali si unirono alla marmaglia. Essi non riuscivano a persuadersi che il Signore, così barcollante e malandato, potesse essere il Re, il Profeta, il promesso Messia e il Figlio di Dio. I farisei dicevano a quelli che osservavano dubbiosi: «Vedete il vostro re? Riveritelo!».

Dopo una breve visita notturna al tribunale di Caifa, la Madonna era rimasta nel cenacolo immersa nel suo muto dolore, in costante unione spirituale con Gesù. Quando il Signore fu fatto uscire dalla prigione per essere condotto nuovamente davanti ai giudici, ella si alzò per andare a vedere personalmente il suo Figlio diletto. La Vergine mise il velo e il manto, mentre diceva a Maria Maddalena e a Giovanni: «Seguiamo mio Figlio fino al palazzo di Pilato, lo voglio rivedere!». I tre uscirono e percorsero un sentiero obliquo, quindi aspettarono il corteo in un luogo dove sapevano che sarebbe passato. Vidi la santa Madre nascosta dietro l’angolo di un edificio, e con lei c’erano Giovanni e Maria Maddalena. Essi attendevano il passaggio dell’infame corteo. Maria santissima aveva impresse nel cuore le sofferenze del Figlio divino, tuttavia anche i suoi occhi interiori non potevano immaginare come la cattiveria degli uomini lo avesse sfigurato. Vidi la miserabile processione sfiorare la Madre: prima i diabolici principi dei sacerdoti, poi gli accusatori, gli scribi e i farisei, infine Gesù, seguito dalla plebaglia agitata che gli urlava contro ingiurie e maledizioni. Alla vista del suo diletto Figlio, così orribilmente sfigurato, ella esclamò tra le lacrime: «Questo è mio Figlio! Come hanno ridotto il mio Gesù!». Il Signore la guardò commosso e la Vergine santa si sentì mancare; Giovanni e Maria Maddalena la condussero subito via.

Davanti a Pilato
Riavutasi da quell’orrendo spettacolo, la Vergine si fece condurre da Giovanni e da Maria Maddalena al palazzo di Pilato. Questo edificio è situato in una posizione sopraelevata e vi si accede salendo per una gradinata di marmo. Esso domina un ampio piazzale circondato da portici, sotto i quali ci sono i mercati. Il palazzo è circondato da un grande muro di cinta interrotto dal “foro”, ossia quattro ingressi disposti secondo i punti cardinali, presidiati da un consistente corpo di guardia. Il palazzo di Pilato è congiunto dal lato nord con il foro e dal lato sud con il pretorio, dove Pilato pronunciava i suoi giudizi.

Di fronte alla colonna della flagellazione, presso il corpo di guardia, si eleva una loggia chiamata “Gabbata” una sorta di tribunale all’aperto, elevato e cilindrico, con i sedili di pietra, dove Pilato emanava i giudizi più solenni; vi si accede per mezzo di alcuni scalini. Invece la scalinata di marmo, che sale al palazzo del procuratore, conduce a una terrazza scoperta dalla quale Pilato parlava con gli accusatori, i quali sedevano su alcune panche di pietra all’entrata del foro. Non lontano dal corpo di guardia e dalla colonna della flagellazione si trovano le prigioni sotterranee in cui erano stati rinchiusi due ladroni. Dietro al palazzo del procuratore ci sono altre terrazze con chioschi e giardini che conducono alla dimora di Claudia Procla, moglie di Pilato.

Erano circa le sei del mattino, secondo il nostro modo di calcolare il tempo, quando il triste corteo raggiunse il palazzo di Pilato. Sfigurato orribilmente dai maltrattamenti, Gesù fu condotto fin sotto la scala del procuratore, mentre i sinedriti si erano disposti davanti al pretorio senza varcarne la soglia per non contaminarsi. La striscia che essi non dovevano oltrepassare era tracciata sul selciato del cortile. Pilato stava sopra la grande terrazza sporgente, disteso su una lettiga; davanti a sé aveva una piccola tavola a tre piedi sulla quale erano collocate le insegne del suo rango. Accanto a lui c’erano ufficiali e soldati con i fregi e le insegne del potere romano.

Quando Pilato vide arrivare Gesù in mezzo a un gran de tumulto, si alzò e parlò con un’aria sprezzante: «Perché venite così presto? Come mai avete ridotto quest’uomo in così miserabili condizioni? Cominciate di buon’ora a percuotere e scorticare le vostre vittime!», e indicò Gesù in mezzo a loro. I Giudei, senza rispondere, urlarono agli sgherri: «Avanti, conducetelo al tribunale!». Poi si rivolsero a Pilato: «Ascolta le nostre accuse contro questo malfattore. Noi non possiamo entrare nel tuo tribunale, perché secondo la nostra legge ci renderemmo impuri». Solo gli sgherri salirono i gradini di marmo trascinando Gesù sulla grande terrazza sporgente. Pilato aveva spesso sentito parlare di Gesù di Nazaret, “il Galileo”. Ora, nel vederlo così sfigurato e maltrattato, sentì aumentare il suo disgusto per i sacerdoti del tempio. Con tono imperioso e sprezzante il procuratore romano chiese loro: «Di che cosa accusate quest’uomo?». «Se non fosse un malfattore non te l’avremmo condotto», risposero irritati. «E meglio che lo giudichiate secondo le vostre leggi», replicò Pilato. «Tu sai che abbiamo pesanti limitazioni riguardo alla pena capitale», risposero i sacerdoti con voce ansiosa, perché volevano uccidere Gesù prima della festa solenne.

Pilato dimostrò di non essere disposto a condannare Gesù senza prove e intimò loro di produrre i capi d’accusa. Essi ne presentarono tre, per ognuno dei quali erano pronti a deporre dieci testimoni. I sinedriti volevano persuadere a tutti i costi Pilato che Gesù era reo innanzi tutto contro l’imperatore, in modo che fosse condannato dal procuratore romano. Essi presentarono Gesù di Nazaret come agitatore delle masse, colpevole di avere turbato l’ordine pubblico; aggiunsero che egli violava il sabato perché operava guarigioni in quel giorno sacro.

A questo punto furono interrotti da Pilato: «A quanto sembra, voi non siete malati, diversamente le sue guarigioni non vi avrebbero scandalizzati». Senza badare all’ironia del procuratore romano i sinedriti continuarono: «Attira il popolo con insegnamenti orrendi, dice che per ottenere la vita eterna bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue». Rendendosi conto dell’accanimento col quale essi presentavano le accuse, Pilato, sorridendo ai suoi ufficiali, disse ai Giudei: «Sembra che anche voi seguiate la sua dottrina, perché avete fretta di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue!». Imperturbati, essi passarono al secondo capo d’accusa. Dissero che il Nazareno sobillava il popolo a non pagare il tributo all’imperatore. Nell’udire queste parole Pilato ebbe un moto di collera e li interruppe con tono tagliente: «Questa è una grande menzogna perché io l’avrei saputo prima di voi!».

E, senza reagire, i Giudei mossero contro Gesù la terza accusa: «Comunque sia, quest’uomo di bassa origine ha formato un grande partito e ha profetato la caduta di Gerusalemme. Inoltre diffonde tra il popolo parabole a doppio senso circa un re che prepara le nozze di suo figlio. Costui ha radunato sopra una montagna una moltitudine di gente che lo ha proclamato re. Ma il Galileo ha trovato che il tempo non era ancora maturo per quest’evento e si è tenuto nascosto, uscendo fuori solo recentemente per assumere la dignità regale. Infatti è stato accolto trionfalmente dalla folla osannante di Gerusalemme che lo acclamava: “Figlio di Davide! Benedetto sia il regno di nostro padre Davide!”. Si è fatto chiamare Cristo, re dei Giudei, l’unto del Signore, il re promesso agli Ebrei!».

Su queste ultime parole, confermate da dieci testimoni, Pilato apparve molto pensoso; passò nell’ultima sala del tribunale e ordinò alle guardie di portargli Gesù per interrogarlo. Pilato era un pagano superstizioso e alquanto superficiale, facile a turbarsi. Aveva sentito parlare vagamente dei «figli degli dei romani»; non ignorava neppure che i profeti dell’antichità giudaica avevano preannunciato «l’Unto del Signore», il Messia promesso ai Giudei. Sapeva inoltre che dall’Oriente erano venuti alcuni re a visitare il vecchio Erode, il quale aveva fatto massacrare molti lattanti. Pilato non credeva che Gesù, caduto in tali compassionevoli condizioni, potesse essere il re della promessa, ma lo volle interrogare ugualmente perché era accusato di voler usurpare i diritti dell’imperatore.

Quando Gesù gli fu dinanzi, Pilato, dopo averlo scrutato con stupore, gli chiese: «Sei dunque il re dei Giudei? ». Gesù gli disse: «Mi chiedi questo spontaneamente o altri ti hanno parlato di me?». «Sono io forse un ebreo per interessarmi di simili miserie? Il tuo popolo ti ha consegnato a me perché io ti con danni a morte. Dimmi: che cosa hai fatto?», gli chiese Pilato in tono sprezzante. L’interrogato rispose: «Sì, sono re, come tu dici. Sono nato e venuto in questo mondo per rendere testimonianza alla Verità. Chiunque è dalla Verità ascolta la mia voce». Pilato, alzandosi, lo guardò e disse: «Cos’è mai la verità?». Egli aveva ormai compreso che Gesù non poteva danneggiare l’imperatore romano. Fece ritorno sulla terrazza e sentenziò, rivolto ai sinedriti: «Non trovo alcuna colpa in quest’uomo!».

I nemici di Gesù reagirono scagliando contro di lui un mare di accuse e d’improperi. Siccome il Salvatore restava silenzioso e orante, Pilato gli disse: «Non hai nulla da obiettare a queste accuse?». Gesù non proferì parola. Il procuratore romano aggiunse: «Costoro inventano menzogne contro di te!». Intanto gli accusatori gli continuavano a gridare furiosi: «Non trovi colpa in un miserabile che ha sollevato la popolazione dalla Galilea fino qui?». Udendo nominare la Galilea, Pilato domandò: «Ma quest’uomo è Galileo, quindi suddito di Erode?». «Sì!», risposero i sinedriti. «La sua residenza attuale è a Cafarnao e i suoi genitori hanno avuto dimora a Nazaret». «Se è suddito di Erode, conducetelo dinanzi a lui. Egli è qui per la festa e potrà giudicarlo».

Detto questo, Pilato inviò un messo a Erode e fece condurre Gesù fuori del tribunale. Così fu felice d’aver evitato il giudizio su Gesù, perché questo compito gli era assai increscioso. Inoltre Pilato desiderava mostrarsi gentile con Erode, con il quale era in urto per motivi politici. Il procuratore romano sapeva che il tetrarca era molto curioso di vedere Gesù. Furiosi per l’affronto subito di fronte al popolo, i sinedriti fecero ricadere tutta la loro collera sul Redentore. Lo fecero frustare selvaggiamente e, coprendolo di insulti, lo trascinarono da Erode. Attraversando la folla che gremiva le vie di Gerusalemme giunsero alla reggia del tetrarca.

Pilato e il sogno di Claudia Procla
Claudia Procla, la moglie del procuratore romano, osservava da una galleria segreta il corteo che conduceva Gesù da Erode. Profondamente turbata, inviò un domestico da Pilato perché desiderava parlargli. Claudia era una donna di bell’aspetto, portava sul capo un velo che le scendeva sul dorso e un diadema fermava la sua folta capigliatura. Sul petto aveva un fermaglio prezioso che manteneva la lunga veste ad ampie pieghe. La vidi parlare a lungo col suo sposo. Gli raccontò le meravigliose visioni che aveva avuto in sogno riguardo al Figlio di Dio. Era pallida in volto e scongiurò Pilato di non fare del male a Gesù. Mentre Claudia raccontava a Pilato i sogni avuti quella notte, la maggior parte di essi passò davanti alla mia vista interiore. La consorte di Pilato aveva visto i principali episodi della vita del Signore e aveva sofferto tutta la notte. Aveva appreso molte verità penose, come il massacro degli innocenti, la profezia di Simeone, la passione di nostro Signore e i dolori della sua santa Madre. I nemici di Gesù si erano manifestati nel sogno visionario di Claudia sotto forme mostruose.

La donna stava vedendo molti miracoli e verità meravigliose, quando improvvisamente fu risvegliata dal rumore del corteo che conduceva Gesù attraverso il foro. Nel vedere il Signore così sfigurato e maltrattato, il suo cuore ne fu assai sconvolto e mandò a chiamare Pilato. Dopo aver ascoltato attentamente il racconto e la supplica della sua sposa, che si era espressa con tanta tenerezza, egli la rassicurò: «Non ho trovato colpa in quest’uomo, perciò non emetterò nessuna condanna nei suoi confronti; ho riconosciuto la sua innocenza e la malizia degli Ebrei». Come pegno della sua solenne promessa Pilato le diede un anello. Così si separarono. Il procuratore romano era un uomo corrotto e superbo, capace di ricorrere a qualsiasi bassezza pur di ottenere i suoi vantaggi, ma allo stesso tempo era molto superstizioso.

La sua concezione religiosa era molto confusa; egli offriva segretamente l’incenso ai suoi dèi per invocarne l’aiuto. Temeva che essi si vendicassero di lui se avesse riconosciuto l’innocenza di Gesù, nella quale egli tuttavia credeva. Le meravigliose visioni narrate da sua moglie lo convinsero a liberare il Galileo. Il corpo di guardia del pretorio fu messo in allarme e tutti i luoghi importanti di Gerusalemme furono fatti presidiare dai soldati romani.

Gesù davanti a Erode Antipa
Il palazzo di Erode Antipa si innalza nella parte nuova della città, non lontano dal pretorio. Vidi alcuni soldati romani che scortavano il corteo dei Giudei con Gesù prigioniero. Il popolo, intanto, istigato dai farisei, affluiva nella zona del mercato, affollando i paraggi della reggia di Erode. Il tetrarca, avvertito dal messo di Pilato, aspettava il Galileo nella sala più sontuosa; lo vidi assiso su una specie di trono fatto di cuscini, circondato dalla corte e da alcune guardie armate. Erode si sentiva molto lusingato per il fatto che Pilato gli avesse riconosciuto il diritto di giudicare un suo suddito alla presenza dei sacerdoti del tempio. Gesù giunse da Erode completamente sfigurato, con la faccia sanguinante e la veste macchiata di sangue.

Il tetrarca, assalito da un moto di pietà mista a ribrezzo, disse ai sacerdoti: «Come vi permettete di portarmelo in queste condizioni? Prima lavatelo e pulitelo!». Allora gli aguzzini lavarono Gesù nell’atrio senza cessare di tormentano, al punto di sfregargli un panno ruvido sul volto ferito. Erode rimproverò aspramente i sacerdoti per la loro crudeltà, ma fece questo solo perché voleva imitare Pilato. Appena finirono di lavarlo, le guardie riportarono Gesù davanti a Erode Antipa. Il quale dimostrò molta benevolenza verso il Galileo, addirittura gli fece portare un calice di vino per farlo ristorare; ma Gesù non bevve, restò silenzioso e fermo come una statua.

Erode invece parlò molto, rivolgendo parole elevate e cortesi al Signore e facendogli una serie di domande. Gesù non pronunciò parola e tenne lo sguardo fisso a terra. Senza lasciar trapelare la sua ira e il suo disappunto per l’atteggiamento di Gesù, l’Antipa continuò con le domande e le lusinghe, invitandolo a fare un miracolo alla sua presenza: «E vero che sei il Figlio di Dio… o chi sei veramente? Perché taci? Mi hanno parlato molto dei tuoi discorsi, dei miracoli e delle prodigiose guarigioni che riesci a produrre. Vuoi mostrarmi qualcosa? Tu sai che io posso farti liberare»

Vedendo che Gesù restava impassibile, egli riprese le sue domande con maggior vigore: «Ho saputo di te cose meravigliose: hai reso la vista ai ciechi nati, hai sfamato migliaia di persone con pochi pani, hai ridestato Lazzaro dalla morte. Perché adesso non possiedi più questo potere? Sei tu colui che sei sfuggito al la morte che fu data a numerosi bambini sotto il regno di mio padre? Mi rammento che alcuni re dell’Oriente erano venuti da mio padre per vedere un neonato re degli Ebrei; il neonato di cui parlo eri tu? Oppure vuoi utilizzare quest’episodio per diventare re?». Poiché il Signore continuava a non degnare di uno sguardo quell’adultero incestuoso, assassino di Giovanni Battista, Erode sentenziò con voce grave: «Non vedo in te niente di regale, vedo solo un pazzo!».

I sinedriti, approfittando del disgusto del tetrarca provocato dal silenzio di Gesù, rinforzarono le loro accuse. Essi adoperarono gli argomenti più convincenti per fare in modo che Erode intravedesse il suo trono in pericolo se Gesù fosse stato rimesso in libertà. Ciò nonostante, il tetrarca non era disposto a condannare il Redentore per una serie di motivi: innanzi tutto perché davanti al Signore provava un intimo terrore e il rimorso per aver fatto uccidere Giovanni; inoltre disprezzava i capi dei sacerdoti, i quali l’avevano allontanato dai sacrifici a causa del suo adulterio; infine, non voleva fare un affronto a Pilato che aveva dichiarato Gesù innocente. Umiliato però dal persistente silenzio di Gesù, lo consegnò ai servi e alle guardie della sua reggia, che erano più di duecento, dando loro quest’ordine: «Rendete a questo re da strapazzo gli onori che si merita!». Il Salvatore venne trascinato in un grande cortile e colà fu vittima di nuovi e crudelissimi oltraggi, mentre Erode si godeva il supplizio da una terrazza di marmo.

Intanto Anna e Caifa tentavano con ogni mezzo di con vincere il tetrarca a condannare Gesù a morte, ma egli disse loro: «Condannarlo sarebbe da parte mia un delitto contro il giudizio di Pilato, che ebbe la cortesia di mandarlo a me!». Vedendo che questi era deciso a non condannare Gesù, i sacerdoti incaricarono i farisei di sollevare il popolo contro il Galileo. Alcuni dei più acerrimi nemici del Signore, temendo che Pilato lo rimettesse in libertà, distribuirono denaro ai servi di Erode affinché lo maltrattassero fino a provocargli la morte.

Vidi Gesù martoriato dai duecento servi di Erode. Gli misero un gran sacco bianco come mantello e lo percossero a più non posso, lo tiravano come per farlo ballare, poi lo gettavano a terra trascinandolo per il cortile. Il suo sacro capo sbatté più volte contro le colonne di marmo. Lo rialzavano e ricominciavano a martoriarlo, sputandogli addosso e coprendolo d’insulti. I servi, prezzolati dai nemici di Gesù, gli assestavano colpi sul sacratissimo capo. Il Signore li guardava con compassione, mentre sospirava per i dolori atroci; i suoi gemiti strazianti suscitavano le risate deliranti dei suoi torturatori; nessuno sentiva pietà di lui. Completamente insanguinato, Gesù cadde tre volte sotto i feroci colpi di bastone. Vidi gli angeli che gli ungevano il sacratissimo capo, piangevano ed erano molto addolorati. Mi fu rivelato che senza la loro celeste assistenza il Redentore sarebbe certamente morto. Dopo quest’orrenda infamia, Erode Antipa rinviò Gesù da Pilato.

Gesù ricondotto da Pilato
Così ridotto, ancora coperto con il sacco bianco di cotone, Gesù fu riportato a Pilato. I sacerdoti erano furiosi perché neanche Erode aveva voluto condannarlo. Pieni di rabbia, perché costretti a ripresentarsi davanti al procuratore romano, essi tormentarono Gesù in tutti i modi. Per mostrano in quello stato ignominioso, gli fecero percorrere un cammino due volte più lungo del normale. I sommi sacerdoti fecero questo anche per lasciar tempo ai farisei di sobillare la popolazione contro Gesù. Per via gli aguzzini non cessarono un solo istante di torturare il Redentore. Egli cadde più volte e fu fatto rialzare a furia di pugni, calci e bastonate, mentre il popolo, facendosi sempre più numeroso al suo passaggio, l’oltraggiava senza fine.

Stremato e deriso dalla marmaglia istigata dai farisei, Gesù pregò il Padre di non farlo morire prima del tempo. Alle otto e un quarto il corteo, attraversando il foro, giunse davanti all’ingresso orientale del palazzo di Pilato. Il procuratore romano era stato preavvertito da un messo di Erode sull’esito del giudizio. Nel suo messaggio a Pilato, l’Antipa gli esternava la sua gratitudine e lo pregava di riprendersi il Galileo, avendo visto in lui solo un pazzo muto ma nessuna colpa. Il procuratore fu molto contento di apprendere che Erode era stato del suo stesso parere e non aveva condannato Gesù; allora gli inviò i suoi complimenti e i due divennero nuovamente amici.

Vedendo il popolo in tumulto, scatenato dai farisei, Pilato aveva mobilitato circa mille soldati provenienti dalle province italiche. Essi occupavano il pretorio, il corpo di guardia, gli ingressi del foro e quelli del suo palazzo. La santa Vergine, Maria Maddalena e circa venti discepole si erano messe in un luogo appartato da dove potevano vedere e udire ogni cosa. Giovanni era con loro. Gli aguzzini spinsero Gesù sulla gradinata che conduce alla terrazza di Pilato, il quale l’attendeva con i suoi ufficiali. A causa delle spinte grossolane dei suoi aguzzini, il Signore incespicò nella veste di cui era stato ricoperto e cadde sui gradini di marmo bianco, macchiandoli col suo sangue. La plebaglia rise della sua caduta, ridacchiarono pure i suoi aguzzini, i quali lo fecero rialzare a calci e lo costrinsero a salire fino alla sommità della gradinata.

Il procuratore romano si alzò dalla sua lettiga, avanzò sulla terrazza e disse con voce ferma: «Mi avete presentato quest’uomo come un agitatore di popolo, ma io, dopo averlo interrogato alla vostra presenza, non ho trovato in lui nessuna colpa. Nemmeno Erode lo ha trovato colpevole, poiché non ne avete ottenuto la sentenza di morte. Lo farò flagellare e poi lo libererò». Contro questa decisione di Pilato si levò un possente mormorio di protesta. Il procuratore accolse con grande disprezzo quelle rimostranze del popolo sobillato. Manipolata dagli agitatori, prezzolati dai farisei, la folla chiese che fosse liberato un prigioniero in occasione della festa solenne.

Per indurre la massa a sollecitare la liberazione di Gesù, Pilato fece comparire accanto al Salvatore un bandito della peggiore specie. «E consuetudine che io, per la Pasqua, vi liberi un prigioniero. Chi volete che vi liberi: Barabba o Gesù, il re dei Giudei, colui che dice di essere l’unto del Signore?». A questa domanda del procuratore, dopo una prima esitazione, la folla gridò in coro: «Barabba! ». I farisei, guidati dai sacerdoti e dai sinedriti, si agitavano tra la moltitudine distribuendo denaro e incitandola contro Gesù. In disparte dalla folla, sotto un porticato, vidi la Vergine Maria, Maria Maddalena e le altre pie donne profondamente afflitte dal dolore. Giovanni andava in giro per il foro con la speranza di raccogliere qualche buona notizia, poiché correva voce che Pilato volesse liberare Gesù. Benché la Vergine santa sapesse che l’unico mezzo di salvezza per gli uomini era la morte del Figlio, il suo cuore materno anelava a strapparlo dal supplizio. E come Gesù, fattosi uomo, soffriva le pene di un qualsiasi innocente torturato e inviato a morte, così Maria pativa il tormento di una madre che vede il proprio figlio sfigurato dal popolo ingrato e crudele. Questa Madre soffriva in modo indicibile e supplicava Dio con le stesse parole pronunciate da Gesù nell’orto degli Ulivi: «Se è possibile, si allontani da me questo calice».

Intanto Pilato era stato chiamato da un servo di Claudia Procla, la quale gli aveva rinviato l’anello da lui donato per rammentargli la promessa. Dopo aver restituito il pegno alla sua consorte per assicurarla che avrebbe mantenuto la promessa, il procuratore ritornò sul loggione e ripeté: «Insomma, chi volete che vi liberi: Barabba o Gesù?». Con profondo stupore, egli udì un grido unanime: «Noi vogliamo libero Barabba!» Disse ancora: «Cosa debbo fare di Gesù, chiamato il Cristo, il re dei Giudei?». Un coro tumultuoso si levò in alto: «Sia crocifisso! Sia crocifisso! ». «Ma che cosa ha dunque fatto di male? Non vedo nulla in lui che meriti la morte; per questo lo farò flagellare e poi lo rimetterò in libertà». A queste parole echeggiò un grido simile a un tuono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo! ». Così Pilato liberò il malfattore Barabba e fece flagellare Gesù.

L’orribile flagellazione
Per calmare la plebaglia con una punizione che la impietosisse, Pilato diede ordine di flagellare Gesù, secondo l’uso romano, ma il popolaccio, aizzato dai farisei, continuava a gridare: «Sia crocifisso!». Fra il tumulto e il furore popolare Gesù fu condotto da gli sgherri sul piazzale. Il Signore venne trascinato bruscamente vicino al corpo di guardia del pretorio, dove si trovava la colonna di marmo munita di anelli e ganci; essa era destinata esclusivamente alla flagellazione dei condannati. I sei flagellatori, che svolgevano la funzione di carnefici nel pretorio, provenivano dalle frontiere egiziane, erano bruni, bassi e tarchiati; seminudi e mezzo ebbri, sembravano bestie assetate di sangue.

Essi avevano nello sguardo qualcosa di diabolico; vicino a quella colonna avevano fustigato a morte molti altri condannati. Benché il Salvatore non avesse opposto alcuna resistenza, venne trascinato con le funi, mentre i flagellatori gli assestavano pugni e calci. Gli strapparono di dosso il manto derisorio di Erode e fecero quasi cadere il Signore a terra. Vidi Gesù tremare e rabbrividire davanti alla colonna. Egli stesso si tolse la veste con le mani gonfie e sanguinanti. Poi pregò e volse per un attimo lo sguardo verso la sua santa Madre immersa nel dolore.

Gesù si rivolse verso la colonna e, poiché lo avevano costretto a denudarsi completamente, disse ai suoi fustigatori: «Distogliete i vostri sguardi da me!». Non so se Gesù avesse pronunciato realmente queste parole, o fosse solo il suo pensiero, ma compresi che Maria aveva udito quella frase perché svenne tra le braccia delle sue compagne. I carnefici, senza cessare le loro orrende imprecazioni, legarono le mani di Gesù a un grande anello fissato alla sommità della colonna dell’infamia. Così facendo, gli tesero talmente le braccia al di sopra della testa che i piedi legati fortemente alla colonna non toccavano completa mente il suolo.

Due di quei bruti, assetati di sangue, iniziarono a flagellare il corpo immacolato di Gesù provocandogli i più atroci tormenti. Non mi è possibile descrivere nei particolari le tremende atrocità inflitte a nostro Signore. Le prime verghe di cui si servirono gli aguzzini erano strisce di color bianco, sembravano fatte di legno durissimo o nervi di bue. Dorso, gambe e braccia venivano lacerati sotto i pesanti colpi del flagello, finché la pelle a brandelli col sangue schizzò al suolo. I gemiti dolorosi di Gesù sofferente erano soffocati dal clamore della plebaglia e dei farisei, che continuavano a gridare: «Fatelo morire! Crocifiggetelo!» Per imporre il silenzio, e continuare a parlare al popolo, Pilato faceva suonare una tromba.

Allora sulla piazza si udivano solo le sue parole, accompagnate dall’orribile sibilo della frusta e dai gemiti del Signore, come anche dalle imprecazioni degli ebbri carnefici. Particolare commozione suscitavano i belati lamentosi degli agnelli pasquali mentre venivano lavati nella Piscina delle Pecore; il loro innocente belato si confondeva con i lamenti di Gesù. La maggior parte del popolo manteneva una certa distanza dal luogo della flagellazione, solo alcuni andavano e venivano dai paraggi della colonna per insultare il Signore. Altri si erano commossi; vidi su questi aleggiare un raggio di luce.

Giovani infami preparavano verghe fresche presso il corpo di guardia, altri cercavano rami spinosi per intrecciare la corona di spine. I servi dei sacerdoti avevano regalato denaro ai flagellatori e avevano dato loro delle brocche colme di un liquore rosso, del quale bevvero fino a ubriacarsi. Dopo un quarto d’ora i carnefici che avevano flagellato Gesù furono Sostituiti da altri due. Questi ultimi si avventarono contro Gesù con cieco furore, usando anche bastoni nodosi con spine e punte. I colpi dei loro flagelli laceravano la carne del Signore fino a farne sprizzare il sangue sulle braccia dei carnefici. Presto quel santo corpo fu ricoperto di macchie nere e rosse, il sangue colava a terra ed egli si muoveva in un tremito convulso, tra ingiurie e dileggi. Intanto si trovavano a passare per il foro diversi stranieri sui cammelli; li vidi guardare con angoscia e commozione quella scena orribile.

Tra i viaggiatori c’erano alcuni battezzati da Giovanni e altri che avevano udito il sermone della montagna. La notte era stata insolitamente fredda e il cielo era rimasto coperto; con grande meraviglia della gente, durante la mattinata era caduta la grandine. La terza coppia di carnefici si avventò con maggior foga delle altre sul corpo martirizzato di Gesù. Per la fustigazione essi si servirono di cinghie munite di uncini di ferro. Eppure la loro rabbia diabolica non si placò. Gesù venne slegato e poi di nuovo legato, questa volta col dorso contro la colonna. Poiché il Signore non poteva più reggersi, gli passarono delle corde sul petto e lo legarono con le mani dietro la colonna.

Ripresero così a fustigarlo. Gesù aveva il corpo ridotto a un’unica piaga e guardava i suoi carnefici con gli occhi pieni di sangue, come se implorasse la grazia. Ma, in risposta ai suoi flebili gemiti, la loro furia aumentò e uno dei carnefici lo colpì al viso con un’asta più flessibile. L’orribile flagellazione durava già da tre quarti d’ora, quando uno straniero d’infima classe, parente di un cieco sanato da Gesù, si precipitò dietro la colonna con un coltello a forma di falce e gridò con voce indignata: «Fermatevi! Non colpite quest’innocente fino a farlo morire!» Approfittando dello stupore dei carnefici ebbri, lo straniero recise le corde annodate dietro la colonna e subito disparve tra la folla. Gesù cadde al suolo in mezzo al suo sangue; gli aguzzini lo lasciarono e se ne andarono a bere. Il Signore, sanguinante e coperto di piaghe, si trovava disteso ai piedi della colonna, quando vidi due prostitute dall’aria sfrontata avvicinarsi a lui. Queste donne di malaffare si tenevano per mano, lo guardarono e ne ebbero un moto di disgusto.

Gesù levò verso di loro il suo capo sofferente e il dolore si fece più straziante. Esse si affrettarono ad allontanarsi, accompagnate dalle parole indecenti delle guardie e degli aguzzini. Durante l’orribile flagellazione avevo udito la preghiera con la quale Gesù si offriva al Padre per espiare i peccati del mondo. Avevo visto degli angeli piangenti vicino a lui. Mentre il Signore giaceva immerso nel suo sangue, un cherubino ai piedi della colonna gli mise sulla lingua un boccone lucente. Al loro ritorno i flagellatori lo presero a calci per farlo rialzare. Gesù, strisciando, fece per riprendersi la fascia che gli aveva cinto i fianchi, ma i carnefici gliela spingevano sempre più lontana, costringendolo a contorcersi al suolo nel suo sangue e a strisciare come un verme; tutto questo avveniva tra i fischi, i motti e gli insulti della gente. Infine lo rimisero in piedi, gli gettarono la veste sulle spalle e lo sospinsero frettolosamente verso il corpo di guardia. Con la veste egli si asciugava il sangue che gli fuoriusciva copioso dal volto.

Invece di condurlo attraverso i porticati, i carnefici lo fecero passare davanti ai sommi sacerdoti, i quali, appena lo videro, gridarono: «A morte!», e distoglievano il capo con disgusto. Gesù fu fatto passare per la corte interna del corpo di guardia; in quel momento non c’erano soldati ma solo schiavi e miserabili della peggiore specie. Quando la crudele flagellazione ebbe fine erano circa le nove del mattino. Poiché il popolo era in grande agitazione, Pilato fece intervenire la guarnigione della fortezza Antonia. I soldati, schierati intorno al corpo di guardia, si prendevano beffa di Gesù e ridevano divertiti senza uscire dai ranghi.

Maria durante la flagellazione di Gesù
Durante il supplizio di Gesù la Vergine Maria rimase rapita in un’estasi dolorosa. Soffrì nello spirito le stesse pene provate dal suo divin Figlio: dalle sue labbra prorompevano dei gemiti sommessi e i suoi occhi erano arrossati dal molto pianto. La Madonna giaceva svenuta tra le braccia della sorella maggiore, Maria Heli, che era già in età avanzata e aveva molta somiglianza con sua madre Anna. Maria di Cleofa, figlia di Maria Heli, stava appoggiata al braccio di sua madre. Le altre sante compagne di Maria santissima e di Gesù erano tutte presenti, velate e tremanti per il dolore e l’angoscia.

Le discepole si stringevano intorno alla santa Vergine, piangendo e fremendo come se stessero aspettando la propria condanna a morte. Maria santissima portava una lunga veste color cielo, sormontata da un lungo mantello di lana bianca e da un velo giallo pallido. Maria Maddalena appariva annientata dal dolore, con i capelli in disordine e gli occhi gonfi dal pianto. Nello stesso momento in cui Gesù era caduto ai piedi della colonna, Claudia Procla aveva inviato alla Vergine un pacco di grandi teli di lino. Non so se la consorte di Pilato credesse nella liberazione del Signore o avesse avuto il presentimento della sua crocifissione; in qualsiasi caso quei teli sarebbero stati utili per fasciare il suo corpo piagato. Quando riprese i sensi, Maria vide suo Figlio, con il corpo piagato e insanguinato, trascinato via dai carnefici. Gesù si asciugò il sangue dagli occhi con un lembo della veste per guardare la sua amatissima Madre. Ella tese le braccia verso di lui e seguì con strazio profondo le orme di sangue che lasciavano i suoi passi. Allontanatasi la folla, la santa Vergine e Maria Maddalena si avvicinarono alla colonna e, protette dalle pie donne, asciugarono dal suolo il sangue del Signore con alcuni teli. Vidi alcuni discepoli di Gesù nel tempio: sui loro volti erano ritratte la tristezza e l’angoscia.

Maria e la Maddalena durante la passione
Vedo le guance della Madonna pallide e smunte, il naso di forma sottile e gli occhi arrossati dal gran piangere. Indescrivibile è il suo aspetto sconvolto, eppure nulla vi è di scomposto o in disordine nel suo abbigliamento. L’ho vista errare in mezzo alla folla di Gerusalemme e poi nel la valle di Giosafat. Dalla sua figura traspare la luce della santità, i suoi movimenti sono semplici, calmi e dignitosi; il suo contegno e il modo di guardare sono regali, tutto in lei è semplice, degno, puro e innocente. La sua veste azzurra è inumidita dal la rugiada notturna e dalle abbondanti lacrime, mentre lei appare pulita e bene ordinata. La sua indicibile bellezza, ineffabile e soprannaturale, esprime contemporaneamente casta purezza, semplicità e santità.

Maria Maddalena ha un aspetto diverso: è più alta e robusta, inoltre nella sua persona e negli atteggiamenti vedo qualcosa di più accentuato che in Maria. Le sue vesti sono in disordine e lacere, sporche di fango, i suoi capelli cadono sciolti sotto il velo umido ridotto in cenci. Il pentimento e la disperazione l’hanno sconvolta e sfigurata, non pensa ad altro che al suo Signore e ha l’aria d’una pazza. Molte persone di Magdala, che si trovano a Gerusalemme in occasione della Pasqua, l’insultano a causa della sua passata vita scandalosa e le gettano fango addosso. Ma lei è tanto assorta nel suo dolore che non bada a nulla.

Gesù oltraggiato e coronato di spine
(Il lunedì dopo la quarta domenica di Quaresima, la pia suora cominciò nuovamente ad avere le visioni sulla passione di Gesù; fu afferrata da un accesso di febbre e da una sete ardente, tanto che la sua lingua era interamente inaridita. L’estatica iniziò la narrazione senza ordine alcuno, con molta fatica e strazianti sofferenze; disse che le era impossibile narrare tutti i maltrattamenti subiti da Gesù durante l’incoronazione di spine. Suor Emmerick aveva chiesto a Dio la grazia di provare la stessa arsura del Salvatore.) 

Pilato parlò ancora al popolo, che gli rispose elevando un solo grido: «Condannalo a morte! Dovessimo noi pure morire tutti insieme! ». E quando Gesù fu condotto all’incoronazione di spine i suoi nemici gridarono: «A morte! A morte! ». Questo grido fu ripetuto più volte da nuove masse di Giudei che, sobillati dai farisei, continuavano ad affluire nella piazza vicino al pretorio. Il procuratore si ritirò per offrire incenso agli dei e impartire ordini ai suoi soldati. Ci fu una breve pausa, i sacerdoti e i sinedriti, seduti sulle panche davanti alla terrazza del procuratore, si fecero portare dai loro servi qualcosa da mangiare. Dopo aver asciugato le tracce del santo sangue di Gesù ai piedi della colonna e tutt’intorno, la santa Vergine e le pie donne lasciarono il foro ed entrarono in una casetta a ridosso di un muro; avevano con loro i teli di lino intrisi di sangue. L’incoronazione di spine fu eseguita nel cortile del corpo di guardia, le cui porte erano aperte; nell’interno si trovavano una cinquantina di aguzzini, servi e furfanti, i quali presero parte attiva ai martiri di Gesù. La folla si accalcava da tutti i lati, finché l’edificio fu isolato dai soldati romani.

Gesù fu spogliato nuovamente e rivestito di un vecchio mantello militare color porpora, che gli arrivava fin sopra alle ginocchia. Il mantello si trovava in un angolo della stanza e con esso venivano coperti i criminali dopo la flagellazione. Il Signore fu fatto sedere al centro del cortile, su un tronco di colonna ricoperto di cocci di vetro e di pietre. Indicibile fu il tormento di quella incoronazione: intorno al capo di Gesù venne legato un serto intrecciato di tre rami spinosi, alto due palmi, le cui punte erano rivolte verso l’interno. Nel legare posteriormente la corona al santo capo, i carnefici gliela strinsero brutalmente per fare in modo che le spine grosse un dito si conficcassero nella sua fronte e nella nuca.

Poi gli infilarono una canna tra le mani legate, si posero in ginocchio davanti a lui e inscenarono l’incoronazione di un re da burla. Non contenti gli strapparono di mano quella canna, che doveva figurare come scettro di comando, e iniziarono a percuotergliela sulla corona di spine, tanto che gli occhi del Salvatore furono inondati di sangue; al tempo stesso i malfattori lo schiaffeggiavano e gli rivolgevano volgarità di ogni tipo. Non saprei ripetere tutti i violenti maltrattamenti che quei perfidi miserabili riuscivano a inventare per far soffrire il nostro povero Gesù.

Nostro Signore era orribilmente sfigurato. Inoltre era tormentato dall’arsura e dalla febbre violenta, causata dalle sue numerose ferite. Tremava tutto e le sue carni erano dilaniate fino all’osso, la lingua era ritratta convulsamente e solo il santo sangue che gli colava dalla fronte rinfrescava la sua bocca riarsa. I tormenti di Gesù, causati dall’infame incoronazione di spine, durarono circa mezz’ora. I numerosi soldati che circondavano il pretorio non avevano fatto altro che ridere e trarne godimento.

«Ecce homo»
Con il mantello scarlatto sul dorso, la corona di spine sul capo e lo scettro di canna tra le mani, Gesù venne ricondotto nel palazzo di Pilato. Il Signore era irriconoscibile, il sangue gli riempiva gli occhi e dalla fronte incoronata gli scorreva sul volto congestionato fin nella bocca e in mezzo alla barba. Il suo corpo era tutto una piaga, tanto che camminava curvo e malfermo. Il povero Gesù giunse sotto la scalinata davanti a Pilato, suscitando perfino in quest’uomo crudele un senso di compassione. Il popolo e i perfidi sacerdoti continuavano a schernirlo. Il procuratore romano, assalito da un forte fremito di ribrezzo, si rivolse a uno dei suoi ufficiali e disse: «Se il diavolo dei Giudei è così crudele, non si può abitare nel loro inferno!».

Condotto faticosamente dagli sgherri, il Signore fu portato per la scalinata davanti a Pilato. Il quale, sporgendosi sulla terrazza, fece suonare la solita tromba per imporre il silenzio, poi parlò ai sacerdoti e al popolo: «Vedete, lo faccio venire ancora una volta davanti a voi perché riconosciate che io lo trovo innocente!». Allora il Signore fu condotto accanto a Pilato in modo che tutti potessero vederlo così sfigurato. Allorché egli comparve davanti al popolo, insanguinato, con la corona di spine sul capo e la canna tra le mani, si levò nell’aria un mormorio generale d’orrore. Frattanto alcuni stranieri, uomini e donne in veste succinta, attraversavano il foro per scendere nella Piscina delle Pecore e aiutare l’abluzione degli agnelli pasquali. I lamenti di quelle bestiole si levavano alti verso il cielo, quasi a testimoniare il prossimo sacrificio dell’Agnello di Dio. Gesù teneva gli occhi inondati di sangue diretti in basso sulla folla ondeggiante, mentre Pilato, segnandolo a dito, gridava ai Giudei: «Ecco l’uomo!».

I sacerdoti, i sinedriti e gli altri sobillatori, nel vedere Gesù come implacabile specchio della loro coscienza, furono presi dal furore e urlarono in coro: «Sia tolto dal mondo! Sia crocifisso!». Con voce risentita, Pilato gridò: «Non ne avete abbastanza? Egli è stato trattato in modo che non ha più voglia di farsi eleggere re!». Ma quei forsennati urlarono nuovamente: «Sia crocifisso!». Dopo un altro squillo di tromba, il procuratore romano disse con rabbia: «Prendetelo e crocifiggetelo voi, perché io non vedo in lui nessuna colpa!». I principi dei sacerdoti e i sinedriti ribatterono: «Noi abbiamo una legge secondo la quale deve morire, perché si è dichiarato Figlio di Dio».

Queste ultime parole risvegliarono in Pilato timori superstiziosi. Egli fece portare Gesù in disparte e gli chiese: «Da dove vieni?». Ma siccome il Signore non rispondeva, il procuratore gli disse: «Non mi dici nulla? Non sai che io ho il potere di crocifiggerti o di liberarti?». Gesù rispose: «Non avresti alcun potere su di me se non ti fosse concesso dall’Alto. Perciò chi mi ha consegnato a te ha una colpa più grave». Claudia Procla, timorosa per l’esitare del marito, gli aveva rinviato il pegno per ricordargli la promessa, ma questa volta Pilato le diede una risposta vaga, facendole sapere che si era affidato alla volontà degli dei. I sacerdoti e i farisei, avendo avuto notizia dell’intervento di Claudia in favore di Gesù, fecero circolare la voce di un’alleanza dei Romani con il Galileo ai danni del popolo ebraico.

Vidi Pilato molto turbato per il diffondersi di queste false voci, per le parole di Gesù e i sogni della sua consorte. Perciò egli ripeté ai sacerdoti che non trovava nel Galileo alcuna colpa degna di morte. Ma poiché questi ultimi chiedevano con sempre maggior insistenza la morte del Signore, volle ottenere da Gesù stesso una risposta che potesse toglierlo da quel penoso stato d’animo. Pilato rientrò nel pretorio e restò solo con lui. Guardando il Signore così malridotto, egli pensava: «E mai possibile che costui sia il figlio di Dio?». Poi lo scongiurò di dirgli se fosse davvero il promesso re dei Giudei, fin dove si estendesse il suo impero e a che genere di divinità appartenesse; infine promise a Gesù la libertà se gli avesse dato queste risposte.

Il Signore gli rispose con tono grave e severo, di cui posso ricordare solo il senso di quanto disse. Spiegò a Pilato che il suo vero regno era quello dello Spirito di Dio, gli mostrò la verità del mondo e gli ricordò tutti i delitti da lui commessi in segreto, profetandogli la miserabile sorte che lo aspettava, cioè l’esilio, la miseria e la terribile fine. Inoltre gli annunciò che il Figlio dell’uomo avrebbe pronunciato su di lui un equo giudizio. Irritato e spaventato dalle parole del Salvatore, il procuratore ritornò sulla terrazza e riconfermò la sua decisione di liberare Gesù. La folla rumoreggiò nel cortile del pretorio, mentre i sinedriti gli gridavano: «Se lo liberi, non sei amico dell’imperatore, perché chi vuole farsi re è nemico di Cesare!». Infine lo minacciarono dicendogli che l’avrebbero denunciato all’imperatore e che era necessario farla finita, perché alle dieci dovevano trovarsi al tempio. Il grido: «Crocifiggilo!» risuonava adesso da tutte le parti, perfino dai tetti piatti del foro dov’erano saliti numerosi furibondi.

Quel tumulto aveva in sé qualcosa di orrendo. Pilato, rimasto isolato, fu preso dallo spavento e temette una rivolta. Fatta portare dell’acqua in una brocca, se la fece versare sulle mani da un servo e, rivolto al popolo, disse: «Del sangue di questo giusto io sono innocente e voi soli ne risponderete». In quel momento si levò la possente voce del popolo, tra cui si trovava gente di tutta la Palestina: «Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli!».

Angeli e demoni
Ogni qual volta contemplo la dolorosa passione di Cristo, risento quell’orribile e poderoso grido dei Giudei: «Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli!». Gli effetti della spaventosa maledizione mi appaiono sotto l’aspetto d’immagini terribili. Vedo la folla urlare sotto il cielo cupo, coperto di nubi color sangue, da cui guizzano verghe di fuoco che penetrano fino all’utero delle madri di questo popolo. Vedo la moltitudine immersa nelle tenebre e quell’urlo spaventoso uscire dalla sua bocca sotto forma di fuoco. Esso ricade sopra alcuni come una spada ardente e penetrante, e resta invece sospeso sopra i convertiti al Signore.

Questi ultimi non furono pochi, poiché per tutto il tempo della sua passione Gesù e la santa Madre avevano incessantemente pregato per la salvezza dei loro persecutori. Ho visto innumerevoli demoni agitarsi tra la folla: eccitavano i Giudei animandoli contro Gesù, bisbigliando loro nell’orecchio ed entrando nella loro bocca; ma dopo li ho visti fuggire, sbigottiti di fronte al puro amore del Signore. Vedo gli angeli circondare Gesù, Maria e un ristretto numero di santi, i cui volti e atteggiamenti hanno le sembianze delle opere di misericordia che praticano: la consolazione, la preghiera, l’unzione o altro.

Gesù è condannato a morte
Lo spirito vacillante di Pilato era colmo d’orrore per le parole di Gesù. Il Signore lo aveva reso cosciente dei suoi peccati più segreti e lo aveva convocato davanti al tribunale divino nel giorno del giudizio. Nonostante il procuratore romano si ,sentisse molto irritato dalle amare rivelazioni di Gesù, non avrebbe voluto condannarlo. D’altra parte, per evitare di essere denunciato all’imperatore, si sentiva spinto a compiere un ennesimo atto di viltà contrario alla giustizia, alla propria convinzione e alla promessa che aveva fatto alla sua consorte. Alla fine egli cedette alla paura e decise di abbandona re ai Giudei il sangue di Gesù.

Per lavare la propria coscienza si fece versare sulle mani l’acqua e disse: «Io sono innocente del sangue di questo giusto. Voi soli ne risponderete!». No, Pilato, anche tu dovrai rendere conto del tuo operato, perché, quantunque lo riconosca giusto, lo condanni e versi il suo sangue innocente! Sei un giudice ingiusto e senza coscienza! Mentre continuava a echeggiare il grido: «Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli!», Pilato rientrò nel suo palazzo e si dispose a pronunciare la sentenza. Si fece portare delle vesti da cerimonia, si pose intorno al capo una specie di corona con una gemma lucente e, indossato un manto, impugnò anche uno scettro. Circondato dai soldati e preceduto dai littori, seguito dagli scribi muniti di rotoli e tavolette, il procuratore discese dal palazzo e giunse nel Gabbata, la loggia rotonda dove pronunciava le sentenze più importanti. Il corteo era preceduto dal suono di tromba.

Pilato si assise sul seggio più elevato, di fronte alla colonna della flagellazione. Il seggio era ricoperto da un drappo scarlatto sul quale stava un cuscino azzurro con i bordi gialli; dietro ad esso si trovava il banco degli assessori. Numerosi legionari romani avevano circondato la terrazza e si erano assiepati sui gradini. Il Salvatore fu trascinato attraverso la folla e venne posto in mezzo a due ladroni condannati alla crocifissione. Gesù aveva il manto rosso sulle spalle e la corona di spine intorno al capo martoriato; la moltitudine furiosa lo scherniva e lo malediceva. I sacerdoti avevano fatto ritardare l’esecuzione di questi ladroni della peggiore specie con l’intenzione di umiliare maggiormente Gesù.

Le croci dei ladroni giacevano a terra accanto a loro; ma non vidi la croce del Salvatore, probabilmente perché la sua sentenza di morte non era stata ancora pronunciata. Appena si fu assiso sul seggio, Pilato disse ancora una volta ai nemici di Gesù: «Ecco il vostro re!». Ma essi risposero: «Crocifiggilo!». Pilato replicò: «Dovrò dunque crocifiggere il vostro re? ». «Noi non abbiamo altro re all’infuori dell’imperatore!», risposero pronti i sommi sacerdoti. Vidi Gesù, alla base della scalinata che conduce al tribunale, esposto al dileggio dei suoi nemici. La santa Vergine, che si era ritirata dopo la flagellazione di Gesù, si gettò attraverso il furore della folla per udire la sentenza di morte dell’amato suo Figlio e suo Dio. Uno squillo di tromba interruppe il tumulto del popolo imponendo il silenzio. Pilato pronunciò la sentenza di morte Con la disinvoltura di un pusillanime. Dopo un lungo preambolo espose i capi d’accusa contro Gesù: «Condannato a morte dai capi dei sacerdoti per aver turbato l’ordine pubblico e violato le leggi ebraiche, facendosi chiama figlio di Dio e re dei Giudei».

Il procuratore romano disse che il popolo ebreo aveva chiesto all’unanimità la crocifissione del Galileo. Quando poi lo sentii aggiungere che egli stesso aveva trovato giusto quel giudizio, mi sentii morire di fronte alla sua infame doppiezza. E, facendo portare la croce, Pilato concluse con la condanna capitale: «Condanno Gesù di Nazaret, re dei Giudei, alla crocifissione!». Nel sentir pronunciare queste parole l’Addolorata svenne. Giovanni e le pie donne la portarono subito via per ché non fosse sottoposta all’onta dell’insulto; anche per non permettere a quella folla scatenata di accollarsi un’altra colpa infame.

Non appena rinvenne, la Madonna volle unirsi al suo santo Figlio nello spirito del dolore percorrendo i luoghi in cui egli aveva sofferto. Le pie donne l’accompagnarono sul cammino della via dolorosa. Pilato redasse la condanna a morte e gli scrivani la copiarono tre volte: una copia venne inviata in un paese lontano. La sentenza scritta dal procuratore romano differiva notevolmente da quella espressa verbalmente. Vidi che mentre scriveva il suo spirito era assai turbato, come se un angelo incollerito guidasse la sua penna.

Il senso di questo scritto era il seguente: «Costretto dalle insistenti pressioni dei sacerdoti del tempio, da tutto il sinedrio e dalla minaccia di una sommossa popolare, ho consegnato agli Ebrei Gesù di Nazaret, accusato d’aver turbato la pace pubblica, di aver bestemmiato e violato le loro leggi. Ho pronunciato la condanna di quest’uomo nonostante le accuse non chiare, per non essere accusato dall’imperatore di aver provocato una rivolta dei Giudei. L’ho consegnato alla crocifissione insieme a due criminali già condannati dai Giudei».

Egli fece scrivere su una tavoletta di colore bruno l’iscrizione da apporre sopra la croce. I sommi sacerdoti, che si trovavano ancora nel tribunale, protestarono indignati contro la formulazione della sentenza, poiché Pilato aveva scritto che essi avevano fatto ritardare l’esecuzione dei ladroni con il proposito di crocifiggere Gesù con loro. Inoltre essi chiesero che sulla tavoletta non si scrivesse «re dei Giudei», bensì che «si era detto re dei Giudei». Pilato si spazientì e rispose loro incollerito: «Ciò che ho scritto, è scritto!». Tuttavia essi pretendevano che l’iscrizione fosse almeno soppressa, rappresentando un insulto al loro onore.

Pilato non esaudì la loro richiesta, e così fu necessario allungare la croce mediante l’aggiunta di un altro pezzo di legno, sul quale si poteva inchiodare la tavoletta con la scritta. Quando la croce di Gesù fu adattata in questo modo, risultò più alta di quelle dei ladroni e assunse la forma di una Y, come ho sempre contemplato; i due bracci risultarono più sottili del tronco; infine si appose uno zoccolo di legno nel posto dei piedi per sostenerli. Dopo che Pilato ebbe pronunciato l’infame sentenza, la sua consorte gli restituì il pegno e si separò da lui per sempre. La sera stessa della sentenza la vidi uscire furtivamente dal suo palazzo e correre verso gli amici di Gesù; fu nascosta in un sotterraneo nella casa di Lazzaro, a Gerusalemme.

Claudia Procla si fece cristiana e seguì san Paolo. Vidi poi un amico di Gesù scolpire su una pietra verdastra alla base del Gabbata queste parole: «Claudia Procla – Judex injustus». Il Signore venne abbandonato nelle mani dei carnefici. Gli restituirono i suoi indumenti, poiché era usanza dei Romani rivestire coloro che venivano condotti al supplizio. Gli indumenti di Gesù erano stati lavati da persone compassionevoli. Per poterlo rivestire, quegli ignobili lo denudarono un’altra volta e gli slegarono le mani. Gli strapparono violentemente il mantello purpureo, provocandogli con gran dolore la riapertura delle ferite. Egli stesso, tremante, si cinse con la fascia che serviva a coprirgli le reni.

Gli fu gettato lo scapolare sulle spalle. Siccome a causa della corona di spine era impossibile infilargli la tunica inconsutile, essi gliela strapparono dalla testa causandogli dolori indicibili. Sulla tunica, tessuta dalla sua santa Madre, gli fecero indossare l’ampia veste di lana bianca, la larga cintura e il mantello. Intorno alla vita gli legarono la cinghia munita di punte, dov’erano attaccate le corde con le quali lo trascinavano. Tutto ciò fu eseguito con disgustosa brutalità.

I due ladroni stavano uno a destra e l’altro a sinistra di Gesù, avevano le mani legate e portavano una catena attorno al collo. Erano ridotti male: a causa della recente flagellazione i loro corpi erano ricoperti di piaghe. Indossavano una tunica senza maniche e una cintura intorno alle reni, sul capo avevano un cappello di paglia intrecciata, simile a quello che portano i bambini. Il ladrone, che più tardi si convertì, era già calmo, rassegnato e pensoso; l’altro, invece, era volgare e insolente: egli si univa ai carnefici nel lanciare insulti e imprecazioni contro Gesù, il quale offriva le sue sofferenze per la loro salvezza. Vidi i carnefici occupati a sistemare gli attrezzi di tortura e a organizzare il doloroso cammino del Redentore. Dopo aver ricevuto una copia della sentenza, i sacerdoti si affrettarono a raggiungere il tempio. E mentre questi perfidi immolavano sull’altare di pietra gli agnelli pasquali, lavati e benedetti, i brutali carnefici sacrificavano sull’altare della croce l’Agnello di Dio, sfigurato e contuso. Il primo era l’altare simbolico della legge; il secondo era quello della grazia, della carità e del perdono. L’iscrizione fu stilata in latino, greco ed ebraico, in modo che anche gli stranieri potessero leggerla. Dopo aver pronunciato la sentenza di morte, Pilato fece ritorno al palazzo. Era trionfante, circondato dalle guardie e preceduto dagli squilli di tromba. L’infame giudizio era stato pronunciato intorno alle dieci del mattino.

Gesù porta la croce verso il Calvario
Ventotto farisei armati arrivarono a cavallo per scortare il corteo sul luogo del supplizio, tra questi vidi i sei sinedriti che avevano guidato la cattura di Gesù sul monte degli Ulivi. Nel momento in cui i carnefici condussero Gesù al centro del foro, parecchi schiavi entrarono dalla porta occidentale portando il legno della croce. Avvicinandosi ai Signore, essi lo gettarono ai suoi piedi con gran fracasso. Altri servi portavano gli angoli, i pezzi di legno destinati a sorreggere i piedi e il prolungamento su cui si doveva inchiodare la tabella. Il Signore s’inginocchiò accanto alla sua croce e l’abbracciò tre volte. Contemporaneamente lo udii supplicare il Padre suo per la redenzione del genere umano. Infine il Salvatore baciò la croce, divenuta altare del suo cruento sacrificio. Impazienti, i carnefici sollevarono Gesù e gli caricarono sulla spalla destra il pesante fardello.

Egli rimase curvo sotto il grave peso, non sarebbe mai riuscito a sostenerlo sulle spalle se gli angeli non l’avessero di nuovo soccorso. Mentre Gesù pregava, le mani dei due ladroni furono legate saldamente alle assi trasversali delle loro croci poste dietro la nuca. I tronchi verticali delle due croci erano portati dagli schiavi; una volta sul Golgota si sarebbe provveduto al montaggio. La tromba della cavalleria di Pilato squillò per dare il segnale della partenza. Uno dei farisei a cavallo si accostò a Gesù, inginocchiato sotto il peso della croce, e gli disse: «E terminato per sempre il tempo dei bei discorsi. Avanti, avanti! Facciamola finita!».

Allora i carnefici rialzarono il Signore con terribile violenza, facendogli sentire sulle spalle tutto il peso dell’intera croce. Così cominciò la marcia trionfale del Re dei re, tanto ignominiosa sulla terra quanto gloriosa in cielo. Ai piedi del legno della croce erano state legate due corde, per mezzo delle quali due carnefici la tenevano sollevata. Altri quattro aguzzini tenevano delle funi attaccate alla catena che cingeva la cintura di Gesù. Il suo mantello era sollevato e trattenuto dalla cintura. Gesù mi ricordò Isacco, che portava il legno destinato alla propria immolazione. Lo stesso Pilato si era messo al comando del distaccamento di soldati per prevenire una sommossa popolare.

Il procuratore romano indossava l’armatura e procedeva a cavallo, protetto dai suoi ufficiali e da una schiera di cavalieri, seguivano trecento fanti provenienti dal confine tra l’odierna Italia e l’odierna Svizzera. Il drappello dei legionari romani si mise in marcia sulla strada principale della città, mentre il corteo con i condannati attraversò una viuzza laterale per non intralciare il popolo che si recava al tempio. Precedeva il triste corteo un trombettiere che proclamava a ogni crocevia la sentenza di morte. Qualche passo dietro a lui venivano i servi con le funi, i chiodi, i cunei e tutti gli accessori delle croci dei due ladroni. Seguivano poi i farisei a cavallo e un giovinetto che portava sul petto l’iscrizione della croce. Questo giovane non era del tutto perverso.

Infine veniva Gesù, il Cristo, curvo e straziato sotto il carico della croce; era ferito in tutto il corpo e aveva i piedi nudi e sanguinanti. Non aveva preso cibo né bevanda dalla sera prima ed era oltremodo sfinito a causa delle perdite di sangue, della febbre e delle molteplici sofferenze. Il Signore sosteneva la pesante croce sulla spalla aiutandosi con la mano destra, mentre con la sinistra tentava ripetutamente di sollevare la lunga veste che gli ostacolava il passo.

Le sue mani erano ferite e gonfie a causa della brutalità con la quale erano state legate, il suo viso era gonfio e insanguinato, i capelli e la barba imbrattati di sangue raggrumato. La croce e le catene gli premevano sul corpo la veste di lana riaprendogli le piaghe con grande dolore. Quattro carnefici tenevano a distanza le estremità delle corde fissate alla sua cintura. Due lo tiravano in avanti e gli altri due da dietro, così che il suo passo era malfermo.

Benché attorno a Gesù non ci fosse altro che derisione e crudeltà, il suo sguardo era pieno di compassione e le sue labbra si aprivano in preghiera al Padre. Dietro di lui seguivano i due ladroni trascinati con le funi. Alcuni farisei a cavallo chiudevano il corteo, mentre numerosi soldati romani ne proteggevano i lati in modo che la folla non potesse entrarvi. Nel percorrere quella stradina larga due passi, sporca e lunga, il Signore subì molte sofferenze. I carnefici gli si stringevano addosso, la plebaglia lo insultava dalle finestre, dalle terrazze, dalla strada e dalle vie laterali, molti gli gettavano addosso fango, immondizie e altre cose immonde; perfino i fanciulli, incitati dagli adulti, gli lanciavano pietre e lo coprivano di ingiurie. Erano gli stessi fanciulli che lui aveva benedetto e chiamato beati.

La gente accorreva da tutte le parti. Presto una folla considerevole riempì la stradina e le vie laterali per veder passare la triste processione. Molti altri si erano già recati al Calvario. Al suo termine la stretta viuzza volge a sinistra e va un poco in salita; in quel punto passa una specie di acquedotto sotterraneo che proviene dal monte Sion. Ho udito il gorgoglìo dell’acqua.

Prima caduta di Gesù sotto la croce
Davanti alla salita vi è un avvallamento nel quale si accumula acqua piovana e fango. Per facilitare il passaggio, vi era stata posta una grossa pietra, come se ne vedono in molte vie di Gerusalemme. Arrivato a quella pietra, con il grave peso sulle spalle, Gesù non riusciva a proseguire. Tirato dai suoi carnefici, cadde e la croce rovinò accanto a lui. I carnefici lo colmarono di ingiurie e lo colpirono con calci e pugni. Il corteo si fermò e ci fu un grande tumulto. Invano il Signore tese la mano in cerca d’aiuto; allora esclamò: «Sarà presto la fine!». I farisei urlavano: «Rialzatelo, altrimenti morirà prima della crocifissione!».

Ai lati della strada vidi alcune donne e fanciulli atterriti da quello scempio. Quando Gesù riuscì a riprendersi, quegli uomini abominevoli, invece di alleviare le sue sofferenze, gli rimisero intorno alla testa la corona di spine. Lo fecero alzare a forza di maltrattamenti e gli misero la croce sul dorso. Egli fu costretto a inclinare da un lato il capo straziato dalle spine. E Gesù, con questo nuovo supplizio, riprese il doloroso cammino per la ripida strada.

Gesù incontra sua Madre
Dopo la sentenza pronunciata da Pilato, l’Addolorata si fece condurre nei luoghi santificati dalle ultime sofferenze del suo adorato Figlio. Ella voleva coprire con le sue calde lacrime il sangue di Gesù. Con profonda devozione, Giovanni e le pie donne accompagnarono la Vergine nel suo sacrificio mistico. Con questa consacrazione, la santa Vergine divenne lei stessa Chiesa vivente, Madre comune di tutti i cristiani.

Mentre visitava le stazioni della sofferenza di suo Figlio, la Vergine udì il suono agghiacciante delle trombe che annunziavano la partenza del triste corteo diretto al Calvario. Allora, non potendo più trattenere il desiderio di rivedere il santo Figlio, pregò Giovanni di condurla in uno dei luoghi presso i quali doveva passare Gesù. Scesero dal quartiere di Sion e raggiunsero la piazza dalla quale era partito il corteo con Gesù, e continuarono per le viuzze laterali passando attraverso porte di solito chiuse ma che in quel giorno erano aperte per consentire il transito della folla. Poi Giovanni, la Vergine Maria, Susanna, Giovanna Cusa e Salomè di Gerusalemme entrarono in un grande palazzo; mi sembra che questa costruzione comunicasse, attraverso viali e cortili, con il palazzo di Pilato, oppure con la dimora di Caifa.

Giovanni ottenne dal benevolo portiere il permesso di attraversare il palazzo e uscire dal lato opposto. Costui li fece entrare e si prestò ad aprire la porta orientale dell’edificio. Nel vedere la Madre di Gesù pallida come una morta, con gli occhi arrossati dal pianto, tremante e sfinita, avvolta in un mantello azzurro, mi sentii morire per il dolore. Sempre più chiari si avvertivano il clamore e gli squilli di tromba che annunciavano i condannati condotti alla crocifissione. Appena il portiere aprì la porta orientale il clamore si fece ancora più distinto. L’Addolorata chiuse gli occhi, pregò e poi chiese a Giovanni: «Devo assistere a questo doloroso scempio oppure allontanarmi? Come potrò sopportarlo?». L’apostolo le rispose: «Se tu non rimanessi, ne avresti poi sempre il rammarico». Allora si fermarono sotto il portone e guardarono giù per la via.

Un altro squillo di tromba, questa volta più vicino, trapassò il cuore della santa Vergine. La triste processione era adesso visibile, distava ormai un centinaio di passi dal portone. Il corteo non era preceduto dalla folla, ma questa stava soltanto ai lati e dietro. Dopo il trombettiere avanzavano gli schiavi con aria insolente e trionfante; essi portavano gli arnesi del supplizio. A quella vista la Madre di Gesù incominciò a tremare, a singhiozzare e a torcersi le mani. Uno di quegli insolenti, pieno d’arroganza, chiese agli altri: «Chi è quella donna che tanto si lamenta?». Gli fu subito risposto: «E la madre del Galileo». Subito gli scellerati la colmarono di beffe e la segnarono a dito; uno di essi presentò al suo sguardo addolorato i chiodi che dovevano servire alla crocifissione del Figlio.

Vidi i farisei passare superbi sui loro cavalli, seguiti dal giovinetto che recava l’iscrizione. A pochi passi di distanza seguiva Gesù con l’orrenda corona di spine. Il Signore barcollava ed era sanguinante sotto la pesante croce. Gli occhi spenti e arrossati del Cristo sofferente gettarono sulla santa Madre uno sguardo compassionevole. Toccata da quello sguardo colmo di misericordioso amore, la santa Vergine giunse le mani e si appoggiò al portone per non cadere. Era pallida ed aveva le labbra livide. 

La seconda caduta
Il Signore inciampò e barcollò, poi cadde per la seconda volta sotto il peso della croce. La Madre di Gesù, accecata dal dolore, non vide più né i soldati né gli altri, ma solo il Figlio sanguinante torturato dagli aguzzini. Nell’impeto del suo amore, si precipitò in mezzo ai carnefici nel tentativo di abbracciarlo, così cadde in ginocchio vicino a lui e se lo strinse tra le braccia. Udii esclamare: «Figlio mio!», «Madre mia!», ma non sono certa se queste parole fossero state pronunciate realmente o solo nello spirito.

Vidi i soldati commossi di fronte a quella Madre straziata dal dolore: essi avevano cercato di respingerla ma non ebbero il coraggio di farle del male. Vi fu un momento di confusione generale, in cui Giovanni e le pie donne ne approfittarono per rialzare Maria. Gli sgherri la ingiuriarono e uno le disse: «Donna, che vieni a fare qui? Se tu lo avessi educato meglio, ora non sarebbe ridotto in questo stato!». Circondata da Giovanni e dalle pie donne, l’Addolorata fu portata via e il corteo proseguì il suo triste cammino.

Mentre stava per rientrare, e voltava ormai le spalle alla lugubre processione, la Madonna cadde in ginocchio contro la pietra angolare della porta. La pietra, sulla quale era caduta aveva venature di verde: le ginocchia della Vergine vi lasciarono dei buchi e le sue mani lasciarono delle impronte nel punto dove le aveva appoggiate. La Madonna fu rialzata dalle due discepole e riportata nel palazzo, la cui porta fu subito chiusa. Frattanto la soldataglia aveva rialzato Gesù e gli aveva rimesso la croce sulle spalle. In mezzo alla masnada, che seguiva il corteo per ingiuriare il Signore, vidi alcune donne velate piangere in silenzio.

Terza caduta di Gesù
Proseguendo il suo triste cammino, il corteo passò sotto l’arco di un antico muro della città. Davanti a quell’arco vi è una piazza da cui si diramano tre vie trasversali. Vidi parecchie persone ben vestite allontanarsi alla vista di Gesù per il farisaico timore di contaminarsi. Costretto ancora una volta a passare su una grande pietra, Gesù barcollò e cadde a terra sotto la croce. Molta gente, che si recava al tempio, esclamò con compassione: «Ahimè, quel poveretto muore! ». Siccome il Signore non riusciva più a sollevarsi, i farisei, che precedevano il corteo, dissero ai soldati: «Non arriverà alla crocifissione se non troveremo qualcuno disposto ad aiutarlo a portare la croce». Proprio in quel momento passava di là un pagano accompagnato dai suoi tre figli: si chiamava Simone ed era nativo di Cirene. Egli tornava dal suo lavoro e portava sottobraccio un fascio di ramoscelli. Costui era giardiniere e ogni anno nel tempo pasquale veniva a Gerusalemme a curare le siepi del muro orientale della città.

Avendolo riconosciuto per un pagano dagli abiti che indossava, i soldati gli intimarono di aiutare il Galileo a portare la croce. In un primo momento il Cireneo respinse quell’ingiusta imposizione, ma vi fu ugualmente costretto; alcune conoscenti presero i suoi figli in lacrime. Simone provava una forte ripugnanza per lo stato miserabile in cui versava il Signore, e per la sua veste macchiata di fango e di sangue. Poiché Gesù piangeva e lo guardava con occhi pietosi, egli l’aiutò a rialzarsi. I carnefici legarono sulle spalle del pagano l’albero della croce e diedero a Gesù la trave trasversale. Il Cireneo seguiva il Redentore, alleggerito dell’enorme peso. Simone aveva circa quarant’anni ed era di costituzione robusta. Più tardi, i due figli maggiori, Rufo e Alessandro, si unirono ai discepoli del Signore, mentre il minore seguì santo Stefano. L’iniziale senso di ripugnanza, provato dal Cireneo nei confronti del Redentore, alla fine si mutò in un sentimento di dolorosa compassione.

Santa Veronica con il sudario
Non avevano fatto nemmeno duecento passi da quando il Cireneo era venuto a portare la croce del Signore, allorché vidi una donna uscire da una casa e gettarsi davanti al corteo. Costei era alta e bella e conduceva per mano una giovinetta. La donna si chiamava Serafia ed era moglie di Sirach, un membro del consiglio del tempio. A seguito dell’avvenimento di questo giorno fu chiamata Veronica (da vera icona, vero ritratto). Serafia aveva preparato a casa un eccellente vino aromatico per confortare Gesù sul doloroso cammino.

Impaziente di compiere la sua offerta, la pia donna era uscita più volte per andare incontro alla triste processione. Infatti l’avevo vista correre al fianco dei soldati tenendo per mano la sua figlia adottiva di circa nove anni. Poiché non le era stato possibile aprirsi un varco tra i soldati per raggiungere il Redentore, ella era rientrata a casa per attendere il passaggio del corteo. Giunto l’atteso momento, Serafia discese nella strada, velata e con un sudario di lino sulle spalle. La bimba, tenendosi stretta vicino a lei, manteneva nascosto sotto il grembiulino il vaso chiuso di vino aromatico.

Questa volta Serafia attraversò d’impeto la folla venendo finalmente dinanzi a Gesù. Invano i soldati avevano cercato di trattenerla. Alla presenza del Figlio di Dio ella cadde in ginocchio: fuori di sé dalla compassione, dispiegò per uno dei lati il sudario e gli disse: «Oh, fammi degna di tergere il volto del mio Signore!». Gesù prese il velo con la mano sinistra e lo compresse sul suo volto insanguinato, indi muovendo la sinistra col sudano verso la destra che manteneva il capo della croce, strinse il lino con entrambe le mani e glielo rese. Serafia baciò la stoffa, se la mise sotto il manto e si rialzò. Ma quando la bambina tese timidamente il vaso di vino verso Gesù, i soldati non glielo permisero. Il popolo fu subito in tumulto di fronte all’ardire di quel pubblico omaggio reso al Salvatore. Il corteo si era arrestato, i farisei e i carnefici, assai irritati, si misero a colpire Gesù, mentre Veronica rientrò in fretta a casa sua.

Appena fu rientrata, ella stese il panno insanguinato sul tavolo e perse i sensi; la bimba si inginocchiò piangendo vicino a lei. Più tardi, un conoscente le trovò svenute accanto al sudario sul quale era impressa l’immagine del volto di Gesù. L’uomo, colpito dal prodigio, le fece rinvenire e mostrò loro il volto del Signore sul sudario spiegato. Con profonda emozione, Veronica s’inginocchiò e disse: «Ora che il Signore mi ha onorata del suo ricordo, voglio abbandonare ogni cosa!». Il lino era tre volte più lungo che largo, abitualmente lo si portava attorno al collo; un’altra stoffa simile si portava pure sulle spalle.

A quel tempo, vi era l’uso di andare con i sudari dalle persone malate, o in qualche modo afflitte, e di asciugare loro il viso in segno di amorevole compassione. Veronica appese il sudario al capezzale del suo letto e lo venerò per tutta la vita. Dopo la sua morte, questo fu passato dalle pie donne alla santa Vergine e poi alla Chiesa degli apostoli. Serafia era nata a Gerusalemme ed era cugina di Giovanni Battista. La pia donna aveva almeno cinque anni più della santa Vergine e aveva assistito al suo matrimonio con san Giuseppe. Aveva relazioni di parentela col santo vecchio Simeone e fu compagna dei suoi figli fin dalla giovinezza. Si sposò tardi; da principio suo marito era molto contrario a Gesù e lei ne soffrì molto, finché Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo indussero Sirach a migliori sentimenti.

Durante l’infame giudizio del tribunale di Caifa, Sirach si dichiarò a favore di Gesù e prese posizione con Giuseppe e Nicodemo, e come loro si separò dal sinedrio. Malgrado i suoi cinquant’anni, Serafia era ancora una bella donna. La domenica delle Palme, per onorare l’entrata trionfale del Signore a Gerusalemme, si era tolta il velo e l’aveva steso sulla strada dove egli passava. Fu questo stesso velo che ella porse a Gesù per alleviare le sue sofferenze. Il santo velo è tuttora oggetto di venerazione nella Chiesa di Cristo.

Il terzo anno dopo l’ascensione di Cristo, l’imperatore romano, molto malato, inviò un suo fiduciario a Gerusalemme per raccogliere informazioni circa la morte e la risurrezione di Gesù. Il fiduciario ritornò a Roma accompagnato da Nicodemo, Veronica e il discepolo Epatras, parente di Giovanna Cusa. Vidi santa Veronica al capezzale dell’imperatore, il cui letto era elevato su due gradini; una grande tenda appesa alla parete pendeva fino a terra. La camera da letto era quadrata; non era grande e non vidi finestre: la luce proveniva da un’ampia fessura posta in alto. I parenti dell’imperatore si erano riuniti nell’anticamera. Veronica aveva con sé, oltre al velo, un lenzuolo di Gesù. Ella spiegò il velo davanti all’imperatore, che guardò stupefatto l’impronta di sangue del santo volto del Signore.

Sul lenzuolo, invece, vi era impressa l’immagine del dorso del santo corpo flagellato. Credo che fosse uno di quei grossi lini inviati da Claudia, sui quali vi era stato adagiato il santo corpo del Signore per essere lavato prima della sepoltura. L’imperatore guarì alla sola vista di quelle immagini, senza nemmeno toccarle. Egli offrì a santa Veronica un palazzo con gli schiavi, pregandola di stabilirsi a Roma, ma lei chiese il permesso di far ritorno a Gerusalemme per morire vicino al santo sepolcro di Gesù crocifisso. Ella ritornò a Sion nel periodo della persecuzione contro i cristiani, mentre Lazzaro e le sue sorelle conoscevano la miseria dell’esilio.

Santa Veronica fu costretta a fuggire con altre donne cristiane, ma fu presa e incarcerata. Morì con il santo nome di Gesù sulle labbra. Ho visto il velo nelle mani delle pie donne, poi in quelle del discepolo Taddeo a Edessa, dove la santa reliquia operò diversi miracoli. Lo vidi ancora a Costantinopoli, e in fine fu consegnato dagli apostoli alla Chiesa. Mi sembra di aver visto il santo velo a Torino, dove si trova anche la sindone del Redentore.

Quarta e quinta caduta di Gesù
Vicino alla porta sud-ovest di Gerusalemme i carnefici spinsero brutalmente il Signore in un pantano. Siccome Simone voleva passare al di fuori del pantano, la croce vacillò e Gesù cadde nel fango. Era la sua quarta caduta. Il Cireneo riuscì appena a trattenere la croce. Il Signore cadde nel fango e udii la sua voce, flebile ma distinta, pronunciare queste parole: «Ahimè, ahimè! Quanto ti ho amata, Gerusalemme! Volevo raccogliere i tuoi figlioletti, come la chioccia raccoglie i suoi piccoli sotto le ali, ma tu mi cacci crudelmente fuori dalle tue porte!». I farisei, udendo queste parole, lo ingiuriarono: «L’agitatore non è ancora soddisfatto, continua a straparlare!». Allora i carnefici lo trascinarono fuori dal pantano e lo percossero. Nauseato da queste crudeltà, Simone di Cirene esclamò: «Se non smettete con le vostre infamie, getto via la croce, anche se mi ucciderete!». Dalla porta, attraverso la quale era uscito il Signore, si snoda un sentiero angusto e roccioso che conduce sul monte Calvario.

All’inizio di questa viuzza era stato fissato un palo con un cartello che annunciava la condanna a morte di Gesù di Nazaret e dei due ladroni. Poco distante vidi un gruppo di povere donne che si lamentavano e piangevano. Non tutte erano di Gerusalemme: erano venute da Betlemme, da Ebron e dai luoghi vicini in occasione della Pasqua. Arrivato a quel posto, Gesù cadde in deliquio, ma non stramazzò a terra, perché Simone appoggiò la croce al suolo e lo sorresse. Fu la quinta caduta del Signore sotto la croce.

Nel vederlo in quello stato miserevole, le giovani e le donne si batterono il petto per il forte dolore. Esse gli tesero dei sudari con i quali potesse asciugarsi il sangue e il sudore. Gesù, rivolgendosi a loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli, perché verrà un tempo in cui si dirà: “Felici le sterili, i corpi che non hanno partorito e le mammelle che non hanno allattato!”. Allora si comincerà a dire alle montagne: “Piombateci addosso; e voi colline copriteci!”. Perché se questo avviene per il legno verde, che sarà di quello secco?».

Il Signore aggiunse altre parole piene di profondo significato, il cui senso era: le loro lacrime sarebbero state ricompensate e da questo momento avrebbero camminato per altre vie. Ai piedi del Golgota la triste processione fece una breve sosta, mentre gli inservienti si avviarono sul monte. Essi portavano gli arnesi del supplizio ed erano seguiti da un centinaio dì soldati romani. Pilato, che aveva scortato a di stanza il corteo, rientrò in città con i suoi legionari.

Sesta e settima caduta
Il corteo riprese il cammino. Gesù, piegato dai brutali colpi dei carnefici, curvo sotto il suo fardello, fu costretto a salire penosamente il tortuoso sentiero che conduce al Calvario. Al punto dove lo scabroso sentiero piega a sud, Gesù cadde per la sesta volta. Questa caduta fu la più dolorosa di tutte le altre; gli aguzzini percorsero il Signore con inaudita violenza. Arrivati sulla cima del Calvario, egli cadde ancora sotto il peso della croce perché era stremato. Fu la sua settima e ultima caduta. Il Cireneo, anch’egli maltrattato e sfinito, era fuori di sé dalla collera e dalla compassione verso Gesù, che avrebbe voluto aiutare a rialzarsi. Ma i carnefici lo scacciarono dalla montagna battendolo e oltraggiandolo. Con lui, furono fatti allontanare tutti quelli del corteo dei quali non si aveva più bisogno. Poco tempo dopo Simone si unì ai discepoli del Signore.

Dalla cima del monte Calvario si domina tutta la città. Il luogo delle crocifissioni è di forma circolare, come un’ampia piazza dalla quale si snodano cinque sentieri. Cinque strade, o sentieri, si trovano dappertutto in Palestina, in particolar modo presso le fonti d’acqua usate per bagnarsi o per battezzare, come la Piscina di Bethsaida. Molte città hanno anche cinque porte. In Terrasanta quest’antica tradizione ha un significato profondo e profetico, che trova compimento nelle sacre piaghe del Signore: le cinque vie aperte alla, nostra redenzione. I farisei a cavallo raggiunsero il luogo delle croci da ponente, dove il pendio e più agevole e meno ripido, mentre i condannati venivano fatti passare dal lato opposto, più aspro e scosceso. I cento soldati romani si erano disposti intorno al promontorio delle crocifissioni per impedire eventuali disordini. Alcuni di essi vigilavano sui ladroni, che ancora non erano stati condotti sulla cima della collina. I due condannati giacevano al suolo, sul dorso, con le braccia legate agli assi trasversali delle loro croci.

La plebaglia — schiavi, gentili e pagani — non temeva l’impurità e perciò aveva preso posto attorno al luogo delle croci; i fanciulli furono fatti allontanare. Le montagne vicine e la parte occidentale del monte Gihon traboccavano di pellegrini per la Pasqua. Erano le dodici meno un quarto quando Gesù, giunto sulla cima del Calvario, cadde sotto il peso della croce. Fu, come già detto, la sua settima e ultima caduta. I carnefici lo risollevarono con violenza e gettarono al suolo i pezzi della croce. Che spettacolo pietoso vedere il Signore Gesù in piedi vicino alla sua croce, pallido come un morto e completamente sfigurato!

I miserabili lo gettarono di nuovo a terra ed esclamarono: «Vieni, gran re, prendiamo le misure per il tuo trono!». Vidi Gesù stendersi da solo sulla croce per permettere agli aguzzini di prendere le misure per la chiodatura delle sue mani e dei suoi piedi; contemporaneamente i farisei si facevano beffe di lui. Quando ebbero finito, lo fecero rialzare e lo condussero più in là, vicino a una specie di caverna scavata nella roccia, nella quale ve lo spinsero così brutalmente che si sarebbe spezzato le ginocchia contro la roccia, se non ci fosse stato l’intervento divino. Udii i suoi gemiti di dolore e vidi gli angeli vicino a lui. I carnefici chiusero la porta della prigione e vi lasciarono a guardia due uomini.

Nel punto più alto del Golgota furono iniziati i preparativi del supplizio. Il luogo delle crocifissioni era un’altura tondeggiante che si elevava circa due piedi dal suolo e vi si accedeva per mezzo di alcuni gradini. In questa specie di piattaforma naturale si preparò la buca per fissarvi dentro la croce di Gesù quando sarebbe stata elevata. All’estremità dei due tronchi della croce si praticarono i fori per conficcarvi i chiodi. In alto si fissò la tavoletta della sua condanna e in basso uno zoccolo per posarvi i piedi. In mezzo al tronco verticale furono praticate alcune incavature che avrebbero dato spazio alla corona di spine e avrebbero sostenuto il dorso del Signore, in modo che il suo corpo rimanesse sorretto e il peso non gravasse tutto sulle mani.

Maria e le donne si recano al Calvario
Dopo il doloroso incontro con il Signore la santa Vergine aveva perso i sensi; le compagne la ricondussero nel palazzo per sottrarla alla plebaglia infuriata. Il portone si chiuse tra lei e il Figlio carico della croce. Le pie donne trovarono immediato rifugio nella casa di Lazzaro, luogo di conforto per Maria santissima. Presto ella fu presa di nuovo dall’ardente desiderio dì soffrire accanto al Figlio, il che le rese la forza di ripercorrere la via della passione. Ripartì con Maria Maddalena e le pie donne. Erano in diciassette, velate e piene di dolore. Marta, Maria Maddalena e le altre piangevano sulle sofferenze del loro Signore, indifferenti alle ingiurie e al sarcasmo della plebaglia. Ciò nonostante, imponevano a molti un sentimento di rispetto. Le vidi baciare la terra su cui Gesù era stato caricato della croce, quindi proseguirono il doloroso cammino da lui percorso. L’Addolorata mostrò alle pie discepole le varie stazioni santificate dal sangue e dai dolori del suo amatissimo Figlio, e tutte fecero oggetto di venerazione. Così esse diedero pubblicamente inizio alla devozione più commovente nella tradizione della Chiesa, fissata per la prima volta nel cuore della Vergine dalla profezia del vecchio Simeone.

Fin dai tempi più antichi gli Ebrei venerarono i luoghi santi della loro storia e vi si recavano a pregare. Allo stesso modo nacque il culto della Via Crucis, affermatosi mediante i dolorosi pellegrinaggi della Vergine e delle pie donne, non già per un disegno meditato, ma per servire i disegni di Dio sul suo popolo. Le pie donne ripararono a casa di Veronica per non incontrare Pilato con i suoi cavalieri che stava rientrando per la stessa via. Le vidi molto commosse di fronte al santo volto di Gesù impresso nel sudario.

Più tardi, presero il vaso di vino aromatizzato e si diressero verso il Golgota. Giunte in cima al Calvario, la Madre di Gesù, sua nipote Maria, figlia di Cleofa, e Salomè avanzarono fino al promontorio delle croci. Con loro c’era anche Giovanni. Marta, Maria Heli, Veronica, Giovanna Cusa e Susanna si mantennero più distanti, accanto a Maria Maddalena che sembrava uscita fuori di sé. Più lontano si trovavano altre sette donne circondate da alcune persone compassionevoli. E impossibile descrivere il dolore della Vergine Maria quando vide il luogo della crocifissione: la terribile croce, i martelli, le corde, i chiodi spaventosi e gli orrendi carnefici, i quali, mezzo nudi e ubriachi, compivano il loro lavoro lanciando continue imprecazioni. Il suo sguardo andò oltre, posandosi sui farisei a cavallo, che, impazienti di vedere Gesù crocifisso, impartivano ordini e andavano su e giù dal promontorio.

Di fronte a quella scena tremenda, la Madre di Gesù si sentì morire e patì interiormente le sofferenze del suo Figlio dilettissimo. Il martirio della Vergine fu ancora più doloroso perché non vide Gesù e tremava al pensiero degli indicibili tormenti a cui sarebbe stato sottoposto. Dall’alba fino alle dieci, ora in cui era stata pronunciata la condanna del Signore, grandinò a tratti, poi il cielo si rischiarò, ma verso mezzogiorno una nebbia rossastra velò completamente il sole.

Gesù è spogliato delle vesti
Gesù, richiuso nella piccola caverna, aveva pregato il Padre di dargli la forza necessaria per affrontare il supremo supplizio. Quattro sgherri lo fecero uscire dalla prigione e lo trascinarono verso la croce. Nemmeno questa volta gli risparmiarono calci, pugni e maltrattamenti d’ogni genere. Non era di meno il popolo che insultava il Signore facendo uso dei più abominevoli improperi. I soldati romani mantenevano l’ordine con atteggiamento altero e distaccato. Le pie donne diedero del denaro ai carnefici affinché permettessero a Gesù di bere il vino aromatizzato di Veronica, ma i furfanti presero il denaro e si bevvero il vino.

I carnefici avevano portato due vasi di color bruno, dei quali uno conteneva aceto e fiele e un altro vino mescolato a fiele. Da quest’ultimo ne presentarono una coppa a Gesù, che bagnò appena le labbra riarse, ma non bevve. Sul promontorio delle crocifissioni vidi diciotto sgherri: i sei che avevano flagellato Gesù, i quattro che l’avevano trascinato, i due che avevano tenuto le funi attaccate alla croce e sei crocifissori. Erano uomini piccoli e forti dal l’aspetto truce, quasi animalesco; servivano per denaro i Romani e i Giudei. Vidi quegli uomini crudeli guidati da figure demoniache che li ispiravano a compiere le azioni più infami. Sopra il Salvatore vidi gli angeli piangenti, e anche sulla Vergine e i fedeli di Gesù si libravano creature celesti. Gli sgherri strapparono a nostro Signore il mantello, la cintura di ferro e la sua propria cintura, quindi gli tolsero la veste di lana bianca facendola passare sopra la sua testa. Non riuscendo a sfilargli la tunica inconsutile, impedita dalla corona di spine, gli strapparono quest’ultima con violenza, riaprendogli tutte le ferite del capo.

Il Signore rimase con un panno attorno alle reni e lo scapolare di lana che gli proteggeva le spalle; il medesimo si era appiccicato alle piaghe del corpo ed egli patì dolori strazianti quando glielo strapparono. La profonda ferita scavata sulla spalla dall’enorme peso della croce gli provocava una sofferenza indicibile; il dorso e le spalle erano lacerati fino all’osso, il corpo nudo era orribilmente sfigurato, gonfio e piagato. Gesù, sfinito per questi ultimi tormenti, minacciava di perdere conoscenza. Tuttavia i carnefici lo fecero sedere su un masso, gli rimisero la corona di spine e gli presentarono il vaso colmo di fiele e aceto, ma egli chinò il capo in silenzio e anche questa volta non bevve. Allorché gli aguzzini lo aiutarono ad alzarsi e gli strapparono la fascia dalle reni, si sollevarono tra i suoi amici grida di dolore e morii d’indignazione per questa ennesima ignominia.

Sua Madre pregava ardentemente e già pensava di precipitarsi da suo Figlio per coprirlo col proprio velo, quando vide che Dio l’aveva già esaudita: un uomo uscì dalla folla e si gettò ai piedi del Signore tendendogli un lino con il quale Gesù si avvolse le reni. L’uomo, inviato da Dio in seguito alla preghiera della Vergine, impressionò i carnefici per il suo coraggio. Egli mostrò loro il pugno e disse: «Lasciate che questo poveretto si copra! ». Poi scomparve rapidamente tra la folla. Costui si chiamava Jonadab, era nipote di san Giuseppe e abitava nei dintorni di Betlemme; non aveva mai avuto interesse per l’insegnamento di Gesù e durante la crocifissione si trovava nel tempio per assistere alle celebrazioni.

All’improvviso, sentendosi profondamente indignato dalle crudeltà che il Signore stava soffrendo, ebbe la santa intuizione di correre sui Golgota per coprirne la nudità. Dopo il magnifico atto di carità, Jonadab sentì il suo cuore purificato. Ancora commosso, rientrò a casa e narrò a sua moglie la crocifissione di Gesù, il Cristo, che lui aveva servito per ispirazione divina. Jonadab restò illuminato in Cristo e si unì alla comunità cristiana. Gesù, vera immagine di dolore, fu disteso dai carnefici sul letto della sua morte. Dopo avergli sollevato il braccio destro, questi poggiarono la sua mano sul foro praticato nel braccio della croce e ve la legarono strettamente. Poi uno dei due crocifissori pose il ginocchio sul sacratissimo petto del Signore, mentre gli manteneva aperta la mano che si contraeva, e subito l’altro gli conficcò nel palmo di quella stessa mano un chiodo spesso e lungo, dalla punta acuminata. Quindi gli diede sopra dei pesanti colpi di martello.

Il Salvatore emise un gemito di dolore e il suo sangue sprizzò sulle braccia dei carnefici. Contai i colpi di martello, ma ne ho dimenticato il numero. I mazzuoli dei carnefici erano di ferro, avevano pressappoco la forma dei martelli da falegname, però erano più grandi e formavano un pezzo unico col manico. I chiodi, la cui dimensione aveva fatto fremere Gesù, erano talmente lunghi che quando furono conficcati nelle mani e nei piedi del Redentore uscivano dietro la croce. Dopo aver inchiodato la mano destra di Gesù al legno della croce, i carnefici si accorsero che l’altra mano non arrivava al foro praticato nell’asse sinistro della croce. Allora legarono una fune al braccio sinistro di Gesù e, puntando i piedi contro la croce, lo tirarono con tutte le loro forze, finché la sua mano raggiunse il foro. Gesù soffriva indicibilmente perché gli avevano slogato interamente il braccio. I crocifissori s’inginocchiarono sopra le braccia e sul petto del Signore e conficcarono il chiodo nella sua mano sinistra, che subito sprizzò un gettito di sangue. I gemiti di dolore del Salvatore si udivano attraverso il rumore dei pesanti colpi di mazzuolo.

La santissima Vergine risentiva nel corpo e nello spirito la crocifissione di Gesù; il suo viso era pallido come la cera e interrotte esclamazioni di dolore uscivano frementi dalle sue labbra. Fu condotta più indietro, accanto alle pie donne, per evitare gli insulti che le indirizzavano i farisei. Maria Maddalena era come uscita di senno, si graffiava il volto e aveva gli occhi e le gote insanguinate. Sul piede della croce, a circa un terzo della sua altezza, era stato collocato uno zoccolo di legno che doveva servire a sostenere Gesù, in modo che egli fosse più in piedi che appeso alla croce. In quel pezzo di legno era stato praticato un foro per il chiodo che doveva trapassare i piedi, nel legno della croce era stato inciso un incavo per appoggiare i talloni.

I carnefici distesero le gambe del Signore, che si erano ritratte verso il corpo a causa della violenta tensione delle braccia, e le legarono con le corde. Non riuscendo però a far arrivare i piedi al supporto di legno destinato a sostenerlo, essi rinnovarono gli insulti contro di lui. Intervennero alcuni crocifissori propensi a fare nuovi fori per i chiodi conficcati nelle mani perché sembrava difficile spostare lo zoccolo di legno che avrebbe dovuto sostenere i piedi, altri però esclamarono: «Non vuole allungarsi? Ebbene, lo aiuteremo noi!». Detto questo, legarono con le funi la gamba destra e la tirarono con violenza crudele finché non raggiunse lo zoccolo di legno, provocando a Gesù un orribile stiramento.

Era così estrema la tensione del corpo, che il petto di Cristo crepitò. Egli gemendo esclamò: «Mio Dio! Mio Dio!». Essi gli avevano legato il petto e le braccia perché le mani non si staccassero dai chiodi. Poi legarono il piede sinistro sopra il destro, presero un chiodo ben più lungo di quello delle mani e glielo infissero, conficcandolo fin nel legno della croce. Io guardai quel chiodo trapassare i due piedi del Signore e il supporto di legno. La chiodatura dei piedi fu più crudele di ogni altra, a causa della tensione di tutto il corpo.

Gesù è crocifisso
Ho contato trentasei colpi di martello, tutti accompagnati dai dolorosi gemiti del Signore. Durante l’orribile supplizio vidi molti angeli in lacrime. La santa Vergine era appena ritornata sul promontorio delle crocifissioni. Quando udì i gemiti di suo Figlio misti ai colpi del martello, e vide l’atroce chiodatura dei piedi, cadde di nuovo svenuta fra le braccia delle sue compagne. I farisei a cavallo le si avvicinarono per coprirla d’ingiurie. I suoi amici la trasportarono distante. Gesù pregò ininterrottamente fino alla morte. I suoi gemiti sommessi interrompevano appena le preghiere e i passaggi dei salmi e dei profeti, che egli recitò nei diversi momenti della sua passione. Ho ripetuto con lui le sue sante parole, ma sono tanto oppressa dal dolore che non saprei ripeterle. Il centurione aveva fatto attaccare sulla croce l’iscrizione di Pilato, e poiché i Romani ridevano del titolo di re dei Giudei, numerosi farisei fecero ritorno in città per chiedere di nuovo al procuratore un’altra iscrizione. Intanto si continuava a lavorare di scalpello intorno alla buca in cui doveva essere piantata la croce di Gesù. Straordinariamente la buca risultava sempre troppo piccola e il suolo era durissimo in quel punto. I carnefici, che avevano bevuto il vino aromatico di santa Veronica, si erano ubriacati e sentivano in corpo un fuoco tale che li aveva resi frenetici, chiamavano Gesù stregone ed erano furiosi per la sua paziente sopportazione.

A turno, discesero più volte il Calvario per bere il latte d’asina e rinfrescare il loro ventre infiammato, poiché sotto al monte si trovavano alcune donne che mungevano due asine e ne vendevano il latte. Era circa mezzogiorno e un quarto quando la croce fu innalzata con Gesù crocifisso. Nello stesso momento si udirono le trombe del tempio che annunziavano il sacrificio dell’agnello pasquale.

Innalzamento della croce
Quando la croce fu innalzata, e fu lasciata cadere di peso nella buca, tremò tutta per il contraccolpo. Gesù levò un profondo gemito di dolore, le sue ferite si allargarono, il sangue ne sgorgò più copioso e le sue ossa slogate si urtarono. La testa, cinta dalla corona di spine, sanguinò violentemente. La croce fu fissata nella buca con cinque cunei attorno al suo piede, uno a destra, uno a sinistra, uno davanti e due dietro. Il legno della morte oscillò e poi s’innalzò fra gli insulti dei carnefici, dei farisei e della marmaglia. Fu un momento molto drammatico.

Verso il Crocifisso non si levarono solo insulti e improperi, ma anche le voci sofferenti dei suoi devoti. Le sante voci dell’Addolorata, delle pie donne e di tutti coloro che avevano il cuore puro salutarono con tristi lamenti l’elevazione del Verbo incarnato. Durante la crocifissione di Gesù, e la successiva erezione della croce, le pie donne avevano lanciato grida di orrore e di sgomento: «Perché mai la terra non inghiotte questi miserabili? Perché il fuoco del cielo non scende a consumarli!». A queste parole i nemici di Gesù avevano risposto con tremende offese. I carnefici appoggiarono le scale alla croce e slegarono le funi che avevano trattenuto il santo corpo di Gesù durante la chiodatura; in tal modo il sangue riprese a circolare improvvisamente affluendo alle sue piaghe. Ciò causò al Signore altri indicibili dolori. Sfinito dalle sofferenze, Gesù chinò il capo sul petto e rimase come morto per circa sette minuti.

Subentrò un profondo silenzio, in cui tutti sembrarono rapiti da un sentimento sconosciuto fino allora. Il suono delle trombe del tempio era svanito nell’aria e tutti i presenti erano sfiniti di rabbia o di dolore. I puri di cuore tesero in alto le loro mani, verso lo Sposo delle loro anime. Perfino l’inferno restò annichilito dalla pesante scossa della croce: per alcuni minuti cessò di ispirare bestemmie e oltraggi ai suoi seguaci. Vidi le anime dei defunti sospirare di gioia perché quel la croce piantata nella terra apriva le porte della loro sospirata redenzione. Di fronte ad essa molti cuori pentiti compresero le parole di Giovanni Battista: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo». I piedi di Gesù si trovavano a un’altezza tale che i suoi amici potevano venerarli. Il suo volto era girato verso nord ovest.

Crocifissione dei due ladroni
Durante la crocifissione del Signore i due ladroni erano rimasti sul lato orientale del Calvario sorvegliati dalle guardie. Entrambi erano stati condannati per l’assassinio di una giovane donna ebrea e dei suoi figli. Il cosiddetto ladrone di sinistra, il più anziano, era stato il corruttore e il maestro di quello che poi si sarebbe convertito. I due sono chiamati Dismas e Gesma; il primo è il buon ladrone. Avevano fatto parte di quella banda di assassini sotto il cui tetto aveva pernottato la santa famiglia durante la fuga in Egitto. Dismas era il ragazzo lebbroso sanato nell’acqua dov’era stato bagnato il bambino Gesù. La guarigione miracolosa fu il frutto della carità e dell’amore che sua madre aveva usato verso la Vergine. Dio aveva reso possibile, per mezzo dell’intercessione della Vergine, la salvezza fisica di quell’anima sciagurata, la cui salvezza spirituale sarebbe avvenuta sulla croce con la promessa di Cristo.

Dismas non aveva una natura cattiva, si era pervertito col tempo; non poteva ricordarsi di Gesù, ma la mite pazienza del Signore l’aveva commosso profondamente. In attesa della propria crocifissione egli così discuteva col suo compagno: «Questa gente si comporta in modo orribile contro il Galileo, forse egli ha commesso qualche delitto più grave del nostro, ma ha una pazienza enorme e un potere grandissimo sopra tutti gli uomini». Rispose Gesma: «Ma che potere avrebbe mai costui sugli altri? Se fosse davvero potente, come dice, potrebbe liberarsi e aiutare noi». Così parlavano tra loro, quando vennero gli sgherri e dissero: «Ora tocca a voi!». Slegarono i ladroni e li portarono vicino ciascuno alla propria croce, in tutta fretta, poiché il cielo si era oscurato e si preannunciava un forte temporale. Sulle croci erano state montate le assi trasversali.

Dopo averli spogliati delle misere tuniche, diedero loro a bere aceto e mirra e li costrinsero a salire sulle scale a pioli tempestandoli di calci e di pugni. Furono legati sulle croci con solide corde fatte di corteccia d’albero. Li legarono così stretti che le giunture e le ossa delle mani e dei piedi scricchiolarono e i loro muscoli sanguinarono. Tra le atroci sofferenze, il buon ladrone disse ai carnefici: «Se ci aveste maltrattati come quel povero Galileo, non avreste più avuto bisogno di legarci qui sopra».

La veste di Gesù è giocata a sorte
Vidi i crocifissori di Gesù che avevano fatto dei suoi indumenti piccoli mucchietti per dividerseli. Il mantello, più stretto sopra che sotto, fu lacerato in lunghe strisce; si divisero anche il suo scapolare, la cintura e la biancheria. Decisero di giocare a sorte la tunica inconsutile già lacera, perché quei brandelli, se divisi, non sarebbero serviti loro a nulla. Avevano appena preso i dadi nelle mani, quando giunse un inviato di Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea ad avvertirli che ai piedi del monte si trovava gente disposta ad acquistare le vesti di Gesù. I crocifissori, raccolti in fretta gli indumenti, corsero giù e li vendettero. Così quelle sante reliquie entrarono in possesso dei cristiani.

Gesù in mezzo ai due ladroni
Piena di dolore guardavo nostro Signore in croce. Il mio cuore era colmo di languore e di profondo amore per lui. Credetti che fosse già morto. Sentivo la mia testa come se fosse incoronata di spine, mentre il mio intelletto si perdeva nel nulla. Le mani e i piedi mi bruciavano come se fossero arsi dalle fiamme, mentre le membra e le viscere mi procuravano tormenti inauditi. Queste tremende sofferenze non erano altro che amore puro per Gesù Salvatore. Nelle cupe tenebre io vedevo solo il mio Sposo in croce che recava consolazione alle anime del mondo.

Contemplai con tenera compassione il mio Signore con l’orribile corona di spine, il sangue che gli riempiva gli occhi, la bocca semiaperta, la chioma e la barba insanguinata, il capo abbattuto sul petto. Dopo lo svenimento, a causa del peso della corona di spine, egli rialzò la testa con fatica. Il suo petto si era rialzato, scavando al di sotto una depressione profonda, l’addome era cavo e rientrato; le spalle, i gomiti, i polsi, le cosce e le gambe tutte slogate. Le sue membra erano tese e i muscoli dilaniati, al punto tale che era possibile contarne le ossa.

Il suo santo corpo era ricoperto di macchie orribili, nere, blu e giallastre. Il sangue gli colava dalle mani lungo le braccia e scorreva dal foro prodotto nei suoi sacratissimi piedi, irrorando la parte inferiore dell’albero della croce. Il sangue, dapprima rosso vivo, divenne alla fine pallido e acquoso. Eppure, anche così sfigurato, il santo corpo del Signore, simile a un cadavere dissanguato, conservava un’esprimibile luce di maestosa potenza. Nonostante i maltrattamenti e le atroci torture, il Figlio di Dio restava bello e santo in quel corpo d’Agnello pasquale, immolato sotto il peso dei peccati del mondo.

Il petto di Gesù era alto e ampio, non era villoso come quello di Giovanni Battista. Le sue ginocchia erano forti e robuste, tipiche di un uomo che ha viaggiato spesso e si è inginocchiato a pregare; le gambe erano lunghe e muscolose. I suoi piedi avevano una forma solida e graziosa, sotto la cui pianta la pelle era divenuta callosa a motivo del molto camminare; le mani erano belle, con dita lunghe e delicate. Il collo era moderatamente lungo, robusto e muscoloso, la testa non troppo grande, la fronte alta e spaziosa, l’ovale del viso era ben tratteggiato dalla carnagione pallida, simile a quella della santa Vergine. Il suo aspetto era purissimo. Gesù aveva i capelli bruno dorati, lunghi e ricadenti sul le spalle; la barba non era lunga, ma terminava a punta ed era divisa in due parti sotto il mento.

Adesso, sulla croce, la sua capigliatura era in parte strappata e piena di sangue raggrumato, il corpo era una piaga sola e si era talmente assottigliato che non copriva nemmeno interamente l’albero della croce. La croce di Gesù era stata costruita con alcuni legni di color bruno e altri giallastri. Il tronco era di colore scuro, come quello del legno che è stato a lungo immerso nell’acqua. Tra le croci dei ladroni e quella del Signore vi era uno spazio sufficiente per il passaggio di un uomo a cavallo. I due ladroni presentavano uno spettacolo ripugnante, soprattutto Gesma, quello che era stato crocifisso alla sinistra del Signore. Era completamente ebbro e ripeteva pesanti imprecazioni e ingiurie. I due corpi sospesi erano slogati, i loro volti erano lividi con gli occhi iniettati di sangue. Il dolore causato dalle corde strappava loro grida spaventose.

Gesù in croce prega per i suoi nemici
Dopo la crocifissione dei ladroni, i carnefici raccolsero i loro strumenti e lanciarono al Signore gli ultimi insulti prima di ritirarsi. I farisei, a loro volta, passando a cavallo davanti a Gesù gli indirizzarono alcune parole oltraggiose e poi si ritirarono anch’essi. Cinquanta soldati romani, al comando dell’arabo Abenadar, diedero il cambio ai primi cento. Dopo la morte di Gesù, Abenadar si fece battezzare prendendo il nome di Ctesifon. Il comandante in seconda si chiamava Cassio, e anch’egli divenne cristiano col nome di Longino.

Sopraggiunsero sul monte altri dodici farisei, dodici sadducei, dodici scribi e parecchi anziani. Tra questi ultimi si trovavano coloro che avevano chiesto a Pilato di modificare l’iscrizione e erano esasperati perché il procuratore non aveva voluto nemmeno riceverli. Quelli a cavallo fecero il giro della piattaforma e scacciarono la santa Vergine chiamandola donna perversa. Giovanni la condusse tra le braccia di Maria Maddalena e di Marta. I farisei, arrivati di fronte a Gesù, scossero la testa con disprezzo e lo beffeggiarono con queste parole: «Vergognati, impostore! Come farai a distruggere il tempio e a ricostruirlo in tre giorni? Hai sempre voluto aiutare gli altri e non hai neppure la forza di aiutare te stesso. Se sei figlio del Dio d’Israele, discendi da quel la croce e fatti aiutare da lui!». Anche i soldati romani lo schernivano dicendo: «Se tu sei il re lei Giudei e il Figlio di Dio, salva te stesso!». Gesù stava crocifisso privo di sensi.

Allora Gesma disse: «Il suo demonio l’ha abbandonato!». Intanto un soldato romano pose sopra un bastone una spugna inzuppata di aceto e l’innalzò fino alle labbra di Gesù, il quale ne gustò un poco. Compiendo quel gesto, il sol dato fece da eco al ladrone e disse: «Se sei il re di Giudei, aiutati da te stesso!». Il Signore sollevò un poco la testa e disse: «Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno. Poi proseguì la sua preghiera in silenzio. Nell’udire qu parole, Gesma gli gridò: «Se tu sei il Cristo, aiuta te e noi!». E così dicendo continuò a schernirlo. Ma Dismas, il ladrone alla destra, si commosse profondamente quando udì Gesù pregare per i suoi nemici.

Udendo la voce di suo Figlio, la Vergine Maria si precipitò verso la croce seguita da Giovanni, da Salomè e da Maria di Cleofa, incapaci di trattenerla. Il centurione di guardia non li respinse e li lasciò passare. Appena la Madre si avvicinò alla croce, si sentì confortata dalla preghiera di Gesù. Nello stesso momento, illuminato dalla grazia, Dismas riconobbe che Gesù e sua Madre l’avevano guarito nella sua infanzia, e con voce forte e rotta dall’emozione gridò: «Come potete ingiuriare Gesù mentre prega per voi? Egli ha sofferto pazientemente tutte le vostre ingiurie e i vostri affronti. Costui è veramente il Profeta, il nostro Re e il Figlio di Dio».

A quelle parole di biasimo, uscite dalla bocca di un assassino sul patibolo, scoppiò un grande tumulto fra gli astanti. Molti presero delle pietre per lapidarlo, ma Abenadar non lo permise, li fece disperdere e ristabilì l’ordine. Rivolto al suo compagno, che continuava ad ingiuriare Gesù, Dismas gli disse: «Non temi dunque il Signore, tu che sei condannato allo stesso supplizio? Noi ci troviamo giustamente qui per ché la pena l’abbiamo meritata con le nostre azioni, ma lui non ha fatto nulla di male, ha sempre consolato il prossimo. Pensa alla tua ultima ora e convertiti!». Quindi, profondamente commosso, confessò a Gesù tutti i suoi peccati dicendogli: «Signore, se tu mi condanni, è secondo giustizia; ma, ciò nonostante, abbi pietà di me!». Gesù gli rispose: «Tu proverai la mia misericordia!». Così Dismas ottenne la grazia di un sincero pentimento. Tutto quanto è stato narrato avvenne tra mezzogiorno e mezzogiorno e mezzo. Mentre il buon ladrone si pentiva, si verificavano nella natura segni straordinari che riempirono tutti di spavento. Verso le dieci, momento in cui fu pronunziato il giudizio di Pilato, aveva grandinato a tratti, poi il cielo si era schiarito ed era uscito il sole. A mezzogiorno, nubi fitte e rossastre coprirono il cielo; a mezzogiorno e mezzo, che corrisponde alla cosiddetta ora sesta dei Giudei, vi fu l’oscuramento miracoloso del sole.

Per grazia divina ho vissuto molti particolari di quell’avvenimento prodigioso, ma non riesco a descriverli in modo adeguato. Posso solo dire che fui trasportata nell’universo, dove mi ritrovai fra miriadi di vie celesti che si incrociano in un’armonia meravigliosa. La luna, simile a un globo di fuoco, apparve a oriente e si mise rapidamente davanti al sole già coperto dalle nubi. Poi, sempre in spirito, discesi a Gerusalemme, da dove, con spavento, vidi al lato orientale del sole un corpo oscuro che presto lo coprì interamente. Il fondo di questo corpo era giallo scuro, aureolato da un cerchio rosso come il fuoco.

Un poco alla volta, il cielo intero s’incupì e si tinse di rosso. Uomini e bestie furono afferrati dalla paura; il bestiame fuggì via e gli uccelli cercarono riparo verso le colline del Calvario. Erano così spaventati che passavano rasenti al suolo e si lasciavano catturare con le mani. Le strade della città erano avvolte in una fitta nebbia, gli abitanti cercavano il cammino a tentoni. Molti giacevano a terra con il capo coperto, altri si battevano il petto gemendo di dolore. Gli stessi farisei guardavano con timore il cielo: essi erano talmente spaventati da quelle tenebre rossastre che cessarono perfino d’ingiuriare Gesù. Tuttavia cercavano di fare passare questi fenomeni come naturali.

Le tenebre
Ma molti non si lasciarono convincere e, continuando a torcersi le mani, gridavano: «Che il suo sangue ricada sugli assassini!». Quindi, gettandosi in ginocchio, imploravano il perdono del Signore. Gesù volse i suoi occhi sofferenti verso di loro. Con l’intensificarsi delle tenebre molte persone hanno abbandonato la croce, tranne la santa Vergine e gli amici più fedeli di Gesù. Profondamente pentito, Dismas rivolse al Signore parole di timida speranza: «Signore, pensa a me quando sarai nel tuo regno!». Gesù gli rispose: «In verità ti dico: tu sarai oggi con me in Paradiso». Adesso la Madre di Gesù, Maria Maddalena, Maria di Cleofa e Giovanni stavano fra la croce di Gesù e quelle dei ladroni, e guardavano il Signore. Maria santissima pregava interiormente il Figlio di permetterle di morire con lui.

Il Salvatore comprese quella preghiera e la guardò con ineffabile tenerezza, poi rivolse lo sguardo a Giovanni e disse a sua Madre: «Donna, ecco tuo figlio. Egli ti sarà tale più che se tu lo avessi generato!». Quindi disse a Giovanni: «Ecco tua Madre!». Giovanni abbracciò rispettosamente la Madre di Gesù divenuta ormai anche la sua. A queste ultime disposizioni del Figlio, accasciata dal dolore, la Vergine cadde priva di sensi sotto la croce; fu subito sorretta dalle pie donne e fatta sedere su un terrapieno poco distante. Giovanni, l’apostolo spirituale, era divenuto figlio di Dio perché Cristo già viveva in lui. Non fa meraviglia, infatti, che il Signore abbia dato Giovanni per figlio a colei che l’angelo aveva salutato «piena di grazia», perché il nome Giovanni significa appunto “grazia”.

Il tempio durante le tenebre
La gente, gemendo per la paura, vagava disorientata per le strade o si era rinchiusa in casa. Vidi Pilato nella casa di Erode. I due scrutavano costernati il cielo: si trovavano sulla medesima terrazza dalla quale Erode aveva guardato il Signore in balìa della marmaglia. Essi erano convinti che tutto quello che stava accadendo aveva certamente relazione con la condanna di Gesù. Più tardi, scortati da numerose guardie, si recarono al palazzo del procuratore romano; con il cuore angustiato, attraversarono a grandi passi il loro deserto. Pilato non osò nemmeno guardare il tribunale detto Gabbata.

Rientrato nel suo palazzo, egli fece convocare gli anziani del popolo ebraico per conoscere la loro opinione riguardo i segni del cielo. Il procuratore sosteneva davanti ai sinedriti che la crocifissione del Galileo, provocata dalla loro ostinazione, era la causa della collera degli dei e aveva suscitato i segni contrari della natura. Ma i Giudei, niente affatto pentiti, continuavano a considerare quei sinistri presagi come fenomeni naturali. Molti altri però si erano già convertiti, come le guardie che erano cadute davanti al santo nome del Signore. Davanti al palazzo di Pilato vidi un grande affollamento. La gente urlava: «Il suo sangue cada sui suoi assassini! Abbasso il giudice iniquo!». Erano gli stessi che al mattino avevano gridato: «Crocifiggilo!». Il miserabile Pilato replicò, gridando, che egli non c’entrava nulla con la condanna del Galileo; disse che i Giudei l’avevano voluta e che costui era il loro re e profeta, e non il suo.

Anche nel tempio aveva regnato l’angoscia durante l’immolazione dell’agnello pasquale. Quando il cielo si era oscurato completamente, i fedeli erano caduti in preda al terrore. Alcune volte crollarono, il velo del “santo dei santi” si squarciò e i fedeli videro i morti risuscitati. I sommi sacerdoti avevano tentato in tutti i modi di tranquillizzare la folla. Accesero perfino tutti i candelieri, il panico era continuato a crescere. Lasciai la città mentre l’oscurità si faceva sempre più cupa. Alla periferia nord-est di Gerusalemme, vicino al muro di cinta, si aprì il terreno che copriva alcune tombe.

Abbandono di Gesù
In un primo momento l’oscurità non fu notata sul Calvario, perché vi regnava una grande agitazione: i crocifissori occupati a rizzare la croce e a lanciare bestemmie, le urla dei due ladroni sulle croci, gli insulti a Gesù da parte dei farisei a cavallo, il cambio dei soldati romani e la tumultuosa partenza dei carnefici ebbri. Poi venne il pentimento di Dismas, e i farisei si sdegnarono contro di lui. Ma quando le tenebre divennero fitte produssero un’impressione terribile nei presenti, i quali, molto preoccupati, si allontanarono dalla croce.

Fu allora che Gesù raccomandò sua Madre a Giovanni e la Vergine fu subito dopo allontanata perché svenne. Seguì un momento di silenzio solenne, in cui la maggior parte degli astanti rivolse gli occhi al cielo e alle stelle che scintillavano di luce vermiglia. Alcuni guardarono il Crocifisso e conobbero la grazia del pentimento: in tal modo la loro coscienza si risvegliò straordinariamente alla vera vita. Infine quasi tutti andarono via e la calma regnò intorno alla croce. Vidi una schiera di angeli levarsi accanto al Salvatore crocifisso, abbandonato nelle profondità del suo martirio. Fu l’unico conforto prima di restare solo nell’oscurità. Il Signore concludeva nelle tenebre più scure la sua missione umana, in intimità di preghiera con il suo Padre celeste. Lo pregava con amore raccomandandogli i suoi nemici, mentre recitava i salmi che andavano compiendosi. Egli patì l’angoscia più profonda, come un povero uomo privato di ogni consolazione umana e divina. Quando la fede, la carità e la speranza restano vuote e spoglie nel deserto della prova, questo dolore è inesprimibile. Abbandonato completamente nell’oscurità più fitta, Gesù donò sé stesso e tutti i suoi infiniti meriti per noi peccatori, affinché non dovessimo più discendere soli nella notte interiore.

Verso le tre Gesù si lamentò: «Eh, Eh, lama sabachtani!», che significa: «Mio Dio! Mio Dio! Perché mi hai lasciato?». Con questo grido di dolore filiale il Signore permise agli afflitti di riconoscere Dio come Padre. Nell’udire il suo lamento lacerante, uno di quelli che lo oltraggiavano disse: «Chiama Elia!». Un altro intervenne: «Vedremo se Elia verrà a soccorrerlo!». La Vergine santa corse di nuovo ai piedi della croce, seguita da Giovanni, da Maria figlia di Cleofa, da Maria Maddalena e Salomè. Una trentina di cavalieri stranieri, provenienti dai dintorni di Giaffa, nel vedere Gesù sopra la croce, gridarono con rabbia: «Se non vi fosse il tempio di Dio, questa città meriterebbe di essere bruciata! ». Il grido di sdegno, uscito dalla bocca di quegli uomini di rango, provocò la protesta dei Giudei rimasti vicino alla croce.

Tra questi ultimi si erano formati spontaneamente due gruppi: da uno provenivano gemiti di dolore, dall’altro, che protestò al grido degli stranieri, si levavano solo ingiurie e bestemmie contro il Redentore. I farisei erano diventati meno arroganti e, temendo un’insurrezione popolare, chiesero al centurione Abenadar di chiudere la porta più vicina alla città; furono pure richiesti consistenti rinforzi a Pilato e a Erode. Appena dopo le quindici, il cielo si schiarì e la luna incominciò ad allontanarsi dal sole nella direzione opposta, ma il sole apparve annebbiato, privo di raggi e rosso. A poco a poco riapparvero i raggi del sole e le stelle scomparvero, e tuttavia il cielo rimase offuscato. Con il ritorno della luce i nemici di Gesù ripresero la loro baldanza, ma il centurione Abenadar impose l’ordine, impedendo che Gesù fosse lapidato.

La morte di Gesù
Quando tornò la luce del giorno, si vide il santo corpo del Signore appeso alla croce, esangue, livido e più bianco di prima a causa del sangue versato. Gesù era moribondo; con la lingua riarsa pronunciò: «Ho sete». Ma poiché i suoi amici fedeli continuavano a guardarlo dolorosamente senza far niente, il Signore chiese: «Non potreste darmi una goccia d’acqua?». Egli voleva intendere che durante l’oscurità nessuno li avrebbe visti. Giovanni rispose addolorato: «Oh, Signore! Ti abbiamo dimenticato!». Questa dimenticanza da parte dei suoi più intimi amici deluse Gesù al punto tale che egli sussurrò interiormente: «Anche i miei più prossimi dovevano dimenticarmi e non darmi da bere, affinché ciò che sta scritto trovasse compimento».

Gli amici di Gesù offrirono denaro alle guardie perché gli portassero un po’ d’acqua, ma anche questi ultimi presero il compenso e non gli diedero nulla. Uno di loro immerse una spugna nell’aceto, in un bariletto di scorza, e vi aggiunse del fiele per darglielo a bere. Il centurione Abenadar non lo permise: strappò dalle mani del soldato la spugna, la svuotò e l’impregnò d’aceto puro. Poi l’adattò a una canna d’issopo e la pose in cima alla sua lancia, che portò fino alla bocca del Signore. Gesù pronunciò alcune parole, di cui ricordo solo queste: «Quando io non avrò più la mia voce, parlerà la bocca dei morti!».

L’ultima ora del Signore era ormai prossima. Egli lottava contro la morte come un uomo comune; un sudore freddo gli copriva tutto il corpo e il petto ansimava sempre più forte. Giovanni, sotto la croce, gli asciugava i piedi con un sudario. Maria Maddalena, distrutta dal dolore, era appoggiata dietro la croce. La Vergine si manteneva in piedi fra la croce di Gesù e quella del buon ladrone, sostenuta da Salomè e da Maria di Cleofa. Giunto all’estremo, Gesù disse: «Tutto è compiuto! ». Sollevò il capo e gettò un grido forte e soave che penetrò il cielo e la terra: «Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito!» Quando il Signore chinò il capo e rese lo spirito, erano passate da poco le ore quindici.

Vidi la sua anima discendere nel limbo come una figura luminosa. Giovanni e le pie donne caddero con la fronte nella polvere. Tutto si era ormai compiuto, l’anima del Signore aveva abbandonato il santo corpo. L’ultimo grido del Santo dei santi aveva fatto tremare la terra e quelli che lo avevano udito; la roccia del Calvario si spaccò e numerose case crollarono. Le poche persone ancora presenti sul Golgota si percossero il petto e si affrettarono a rincasare. Le vidi profondamente commosse, mentre si laceravano le vesti e si cospargevano il capo di polvere.

Giovanni e le pie donne si rialzarono e prestarono amorevoli cure alla Vergine. Abenadar, dopo aver presentato l’aceto al Salvatore, rimase stranamente impressionato: fermo sul suo cavallo, egli non poteva più distogliere gli occhi dal santo volto di Gesù coronato di spine. Perfino il cavallo abbassò il capo e il centurione gli allentò le redini. In quel momento la luce della grazia lo illuminò e si sentì trasformato. Il cuore orgoglioso del fiero centurione si era infranto come la roccia del Calvario. Egli gettò lontano la lancia, si batté il petto con forza ed emise il grido dell’uomo nuovo: «Benedetto sia il Signore onnipotente, il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe! Questi era certamente un giusto, ed è veramente il Figlio di Dio!». I suoi soldati gli fecero eco, perfino alcuni farisei si batterono il petto.

Pronunciate le parole di redenzione, Abenadar consegnò il cavallo a Cassio e gli affidò il comando, poi prese commiato dai suoi soldati e lasciò il Calvario. Lo vidi annunciare la morte del Salvatore ai discepoli nella valle di Gihon, infine si diresse al palazzo di Pilato. Il Signore aveva ormai affidato la sua anima al Padre e abbandonato il suo santo corpo alla morte. Egli aveva pagato il suo debito d’amore all’umanità. Con un’estrema convulsione, il corpo di Cristo divenne esangue e impallidì in modo straordinario, mentre le sue ferite, dalle quali era fuoruscito il sangue in abbondanza, risaltavano come macchie scure. Il suo volto si era allungato, perché le gote erano afflosciate, il naso sembrava più affilato e gli occhi pieni di sangue erano rimasti aperti a metà.

Nell’affidarsi completamente alla morte, Gesù aveva sollevato la sua testa coronata di spine lasciandola ricadere sotto il peso dei dolori; le sue labbra, divenute livide e contratte, si erano socchiuse senza più alcuna tensione, così le sue mani sostenute dai chiodi si distesero, come anche le braccia. Il suo dorso si irrigidì lungo la croce e tutto il peso del corpo poggiò sui piedi, le ginocchia si piegarono tutte da un lato ed i suoi piedi trafitti si girarono un poco intorno al chiodo. La Vergine guardò quel santo corpo, concepito per opera dello Spirito Santo nella più assoluta purezza, come carne della sua carne, ossa delle sue ossa, cuore del suo cuore, adesso privato di ogni bellezza e separato dalla sua anima santissima. La Madre lo contemplò con una sofferenza indicibile: sospeso alla croce, tra i due ladroni, sfigurato e disprezzato da coloro che era venuto a salvare.

Adesso, pur così sfigurato, il santo corpo del Signore imponeva rispetto e toccava il cuore degli uomini. La sua dolorosa passione e l’atroce morte sulla croce ispirarono profondamente la conversione di numerosi peccatori. Gesù stesso aveva detto: «Se il seme non muore non porta frutto!». I ladroni erano in preda a frequenti convulsioni. Dismas pregò per tutto il tempo del suo supplizio sulla croce. I farisei tentarono di misurare con le corde la profondità della spaccatura della roccia, ma non riuscendo a toccarne il fondo lasciarono il Calvario, salutati dai lamenti degli amici di Gesù. I soldati romani andarono a rinforzare quelli che custodivano le porte della città, perché si temeva una sommossa. Il silenzio e il lutto regnavano intorno al corpo del Signore. Di fronte alla croce vidi solo gli amici di Gesù. Dalle valli circostanti qualche discepolo del Signore guardava con inquietudine verso il Calvario. L’aria si era rinfrescata, ma la luce del sole era ancora offuscata.

Il corpo di Gesù
Appena la città ebbe un po’ di quiete, il sinedrio chiese a Pilato che fossero rotte le gambe ai condannati e tolti i corpi prima della festa imminente. Il procuratore romano inviò subito degli uomini allo scopo. Giuseppe d’Arimatea si recò da Pilato e gli chiese la salma del Messia. Il buon sinedrista desiderava seppellire il corpo del Signore nel suo giardino vicino al Calvario. Pilato fu molto turbato nel constatare che un uomo di tale rango voleva rendere gli estremi onori al corpo di Gesù, colui che egli aveva fatto crocifiggere. Così venne assalito dal rimorso del suo errore fatale. Il procuratore romano si meravigliò che Gesù fosse morto così presto, perché generalmente i condannati alla crocifissione vivevano più a lungo, e per questo aveva inviato i soldati a finirli.

In seguito alla relazione del centurione Abenadar, che descrisse i particolari della morte di Gesù e parlò senza timore della sua conversione, Pilato concesse la salma del Messia a Giuseppe. Il procuratore romano era stato toccato dalle ultime parole di Gesù sulla croce, riportate dal centurione, ma acconsentì a Giuseppe anche per fare dispetto ai sommi sacerdoti del tempio, i quali avrebbero voluto vedere Gesù gettato nella fossa comune con i due ladroni. Il procuratore inviò qualcuno al Calvario per far eseguire la consegna del corpo del Signore. Credo che quest’incarico fosse stato affidato ad Abenadar, perché lo vidi collaborare alla deposizione di Gesù dalla croce.

Intanto Nicodemo era andato ad acquistare le erbe aromatiche per imbalsamare il santo corpo di Cristo. A sua volta, Giuseppe acquistò una sindone di cotone finissimo per avvolgere la salma del Salvatore. Il lenzuolo funebre era lungo sei braccia. I servi di Giuseppe prepararono tutto il necessario per pulire e imbalsamare il santo corpo di Gesù: le erbe, i balsami e le bende furono deposti su una lettiga che si chiudeva come un baule.

Apertura del costato di Gesù
Sul Golgota regnava la più assoluta disperazione. Il cielo era cupo e la natura sembrava in gran lutto. La Vergine Maria, Giovanni, Maria Maddalena, Maria, figlia di Cleope, e Salomè stavano col capo coperto di fronte alla croce e la contemplavano con il cuore contrito. Molte delle pie donne avevano fatto ritorno in città. Alcuni soldati sedevano sul terrapieno, avevano le lance piantate a terra e discutevano con gli altri commilitoni più lontani. Il luogotenente Cassio cavalcava da una parte all’altra. Era un giovane di venticinque anni, la cui aria d’importanza e lo strabismo suscitavano spesso la derisione dei suoi subordinati. Sul promontorio delle croci giunsero sei carnefici che recavano scale, picconi e pesanti mazze di ferro per spezzare le gambe ai moribondi.

Alla loro vista gli amici di Gesù si allontanarono un poco. La santa Vergine soffrì nuove angosce al pensiero che essi avrebbero oltraggiato ancora il corpo del Figlio. I carnefici appoggiarono le scale alla croce e scossero il santissimo corpo di Gesù per provare se fosse ancora vivo, e quantunque avessero visto benissimo che era bianco, freddo e rigido, non sembrarono convinti della sua morte. In seguito alle insistenze di Giovanni e delle pie donne, per il momento essi lo lasciarono e salirono sulle croci dei due ladroni. Con le pesanti mazze di ferro spezzarono a questi le ginocchia, le gambe e i gomiti, Dismas dette un gemito e spirò. Fu uno dei primi martiri che rivide il suo Redentore. Gesma invece lanciò urla orrende, i carnefici per finirlo gli assestarono altri tre colpi al petto.

Poi vennero staccate le funi e i due corpi martoriati caddero a terra; furono subito sepolti nella fossa comune dei condannati, tra il Calvario e le mura di Gerusalemme. Subito dopo i carnefici ritornarono al corpo del Signore, gli amici di Gesù temettero che gli fossero spezzate le gambe. In quel momento Cassio ebbe un’improvvisa ispirazione, mediante la quale tolse ogni dubbio sulla morte di Gesù: spronò il suo cavallo verso la croce e conficcò a due mani la lancia nel costato destro del Signore, trafiggendogli il cuore da parte a parte. Ne sgorgò un fiotto abbondante di sangue e acqua, che sprizzò sul volto di Cassio come una fontana di salvezza e di grazia. Allora il giovane centurione smontò da cavallo, cadde in ginocchio, si batté il petto e riconobbe ad alta voce Gesù. In quel momento riacquistò miracolosamente l’uso completo della vista e i suoi occhi si raddrizzarono. La Vergine era rimasta svenuta tra le braccia delle pie donne, come se la lancia avesse attraversato anche il suo cuore.

Subito dopo l’episodio prodigioso Cassio divenne umile di cuore e lodò Dio alla presenza di tutti. Gli occhi della sua anima, come quelli del corpo, si erano aperti alla luce della verità. Toccati dal miracolo, anche i soldati si gettarono spontaneamente in ginocchio e, battendosi il petto, riconobbero Gesù come Dio. Frattanto il sacratissimo sangue di Cristo frammisto ad acqua aveva riempito la cavità della roccia ai piedi della croce. Cassio, Maria Maddalena e la Vergine, che adesso si era ripresa, lo raccolsero in ampolle e asciugarono quel luogo con i lini. Le loro lacrime si mischiarono al sacratissimo sangue. Il centurione convertito a Cristo da quel momento si chiamò Longino; portò sempre con sé un’ampolla col preziosissimo sangue. Questo miracolo presso la croce era avvenuto poco dopo le quattro, mentre Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo procuravano tutto il necessario per la sepoltura di Gesù. I carnefici si ritirarono dal Golgota, avendo ricevuto l’ordine di lasciare la salma del Signore a Giuseppe d’Arimatea. Gli amici di Gesù appresero subito la notizia. Giovanni e le pie donne ricondussero la santa Vergine al cenacolo per farla riposare.

Il giardino di Giuseppe d’Arimatea
Ho visto il giardino di Giuseppe d’Arimatea: si trova presso la Porta di Betlemme [di Efraim], poco distante dal Calvario. È un bel giardino di forma irregolare che sale fino alle mura della città; è pieno di grandi alberi, di panche e di luoghi ombrosi. La vegetazione è ricca di cespugli, di fiori e di erbe aromatiche. A levante, dal lato dove il terreno è in salita, si vede una grotta sepolcrale circondata da una siepe verdeggiante, accanto vi è una grande pietra orbicolare per ostruire l’ingresso. Qualche palma si trova davanti alla tomba. Non lontano da quest’ultima vi sono altri due sepolcri in grotte più piccole e uno stretto sentiero che conduce al lato occidentale del giardino.

Per accedere al sepolcro bisogna discendere alcuni passi. La grotta è molto pulita e l’ambiente interno ben lavorato; è piuttosto spaziosa, tanto che otto persone, quattro per lato, possono restare addossate alle pareti senza impedire i movimenti di coloro che depongono la salma. In fondo alla grotta, proprio di fronte all’ingresso, c’è una specie di nicchia abbastanza ampia scavata nella parete rocciosa. La cavità ha la forma di un altare, è sopraelevata dal suolo ed è appoggiata alla roccia da un solo lato. La porta del sepolcro è di rame e si apre a due battenti. Appena sarà deposto il corpo di Gesù, la pietra orbicolare verrà rotolata davanti all’apertura. Il masso sepolcrale è bianco, ricoperto d’erba, e presenta venature rosse e turchine.

La deposizione del corpo di Gesù
Il venerdì santo 30 marzo 1820, mentre suor Anna Katharina Einmerick contemplava la deposizione di Gesù dalla croce, svenne improvvisamente, al punto di sembrare morta. Quando si riebbe, nonostante le sue sofferenze non fossero cessate, così proferì: «Mentre contemplavo il corpo di Gesù steso sulle ginocchia della Madre dissi a me stessa: Guarda come è forte Maria, non ha nemmeno un istante di debolezza!» (Clemens Brentano).

Cinque uomini si avvicinarono al Calvario, levarono gli occhi alla croce e si dileguarono. Forse erano discepoli di Gesù che venivano dalla valle di Betania. La croce era sorvegliata solo da poche guardie. Ho visto tre volte Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea sul Calvario: quando fecero riscattare le vesti del Signore durante la crocifissione; mentre osservavano il popolo che rientrava pentito a Gerusalemme; e infine per attuare il piano di recupero del santissimo corpo di Cristo. Dopo di che rientrarono in città e iniziarono a raccogliere tutto il necessario per l’imbalsamazione, mentre i loro servi prendevano le scale e alcuni attrezzi con cui effettuare la deposizione di Gesù dalla croce.

La donna, presso la quale Nicodemo aveva acquistato cento libbre di balsamo e le erbe aromatiche, aveva preparato con gran cura la merce. Giuseppe d’Arimatea portava un vaso con un unguento prezioso, i servi recavano sulla portantina vasi, otri, spugne e altri attrezzi vari; vidi anche del fuoco in una lanterna chiusa. I servitori precedettero i loro signori sui Calvario passando per un’altra porta. Vidi la santa Vergine e altre quattro donne seguire a qualche distanza i servi dei due sinedriti. Esse portavano grossi involti di tela sotto gli ampi mantelli neri. Ebbi l’impressione che vestissero a lutto. Giuseppe e Nicodemo erano avvolti in ampi mantelli grigi con il cappuccio, che servivano anche a nascondere gli involti preziosi. Essi si diressero verso la porta principale che conduce al Calvario. La maggior parte della popolazione di Gerusalemme si era chiusa in casa. Le strade pullulavano solo di soldati. Giunti alla porta della città, Giuseppe e Nicodemo presentarono il lasciapassare di Pilato ai soldati, i quali spiegarono che, dopo il terremoto, la porta si era inceppata e non poteva più aprirsi.

Ma appena i due amici di Gesù misero mano al chiavistello, la porta si aprì suscitando lo stupore dei presenti. Quando i due buoni sinedriti giunsero sul Calvario, il cielo era ancora cupo e nuvoloso. Essi trovarono le pie donne piangenti sotto la croce. Cassio e alcuni legionari convertiti, con umile deferenza, si mantenevano a rispettosa distanza dalle discepole. Giuseppe e Nicodemo narrarono alla Vergine e a Giovanni tutto quanto avevano fatto per sottrarre Gesù all’ignominiosa morte. Essi spiegarono che adesso la profezia aveva trovato il suo compimento. Infine si parlò dell’episodio miracoloso vissuto da Cassio a seguito del colpo di lancia al costato di Gesù. Appena arrivò il centurione Abenadar, gli amici di Gesù si prepararono a rendere gli ultimi onori al loro Signore, provvedendo alla sua deposizione dalla croce.

La santa Vergine e Maria Maddalena erano sedute ai piedi della croce in mesto raccoglimento, mentre le altre donne erano intente a preparare i lini, gli aromi, l’acqua, le spugne e i vasi. Tutti erano piegati dal dolore, ma allo stesso tempo restavano silenziosi e raccolti. Alcune pie donne, di tanto in tanto, non potevano trattenere dei gemiti sommessi. Maria Maddalena, soprattutto, si era abbandonata interamente al suo patimento, da cui nessuno poteva distoglierla.

Dopo aver collocato le scale dietro la croce, Nicodemo e Giuseppe vi salirono e legarono all’albero della stessa il santo corpo di Cristo, poi ne fissarono le braccia al tronco trasversale e iniziarono a sfilare i chiodi, battendoli da dietro. Giuseppe tolse il chiodo di sinistra, lasciando che il braccio di Gesù ricadesse col laccio che lo circondava. Nello stesso momento, Nicodemo fissò alla croce il santo capo del Signore, che si era tutto piegato sulla spalla destra, e tolse il chiodo di destra, lasciando ricadere il braccio di Gesù sul corpo. I chiodi delle mani subito caddero dalle piaghe ingrandite per il peso del corpo; Abenadar, invece, strappò faticosamente il lungo chiodo che trapassa va i piedi. Cassio raccolse con gran rispetto i chiodi e li depose ai piedi della Vergine.

Una volta che ebbero estratto tutti i chiodi, Giuseppe e Nicodemo collocarono le scale sulla parte anteriore della croce, vicino al santo corpo del Signore. Con molta cura lo liberarono dolcemente dalle corde e lo lasciarono calare con grande attenzione. Il centurione, salito su uno sgabello, lo raccolse tra le sue braccia, al di sopra delle ginocchia, mentre Giuseppe e Nicodemo, sostenendolo dall’alto, lo facevano scendere adagio. Ad ogni piolo delle scale essi si soffermavano, usando ogni precauzione, come se portassero il corpo di un amico fraterno gravemente ferito.

Così la salma martoriata del Salvatore giunse fino a terra. Le pie donne, i soldati convertiti e qualche altro amico di Gesù, con il cuore straziato, seguivano i movimenti della sua discesa dalla croce. Essi esprimevano con le lacrime l’indicibile dolore che li stava attraversando. Qualcuno levava le braccia al cielo e gemeva. Le manifestazioni di dolore, come tutti gli altri movimenti compiuti da questa gente, si svolgevano nella massima compostezza, che rivelava sincera umiltà verso la suprema volontà di Dio. Al rumore dei colpi di martello, Maria santissima, Maria Maddalena e tutti gli altri che avevano assistito alla crocifissione, avvertirono un fremito di angoscia nel proprio cuore. Quei colpi rammentavano loro le sofferenze di Gesù. Dopo la deposizione, il santissimo corpo di Cristo venne ricoperto con un panno di lino dalle ginocchia ai fianchi, poi fu deposto fra le braccia della Madre addolorata.

La Sindone
Vidi la Vergine seduta al suolo sopra una coperta, col dorso appoggiato su alcuni mantelli arrotolati. Aveva il ginocchio destro un poco rialzato, sul quale riposava il santo capo di Gesù, il cui corpo era steso sul sudario. La santa Madre teneva per l’ultima volta tra le braccia le sacre spoglie del Figlio amatissimo, al quale, durante il lungo martirio, non aveva potuto dare alcuna testimonianza d’amore. Ella baciava e adorava quel corpo orribilmente sfigurato e insanguinato, contemplandone le profonde piaghe e i terribili patimenti, mentre Maria Maddalena abbandonava delicatamente il volto sui suoi sacratissimi piedi.

Nel contempo gli uomini si erano ritirati in un piccolo avvallamento a sud-ovest del Calvario per preparare gli oggetti necessari all’imbalsamazione. Cassio e i soldati convertiti erano rimasti a rispettosa distanza in attesa di prestare aiuto. Giovanni si prodigava tra il gruppo degli uomini e quello delle donne, le quali porgevano a questi primi i vasi, le spugne, i lini, gli unguenti, gli aromi e tutto quanto serviva. Fra le pie donne vidi Maria di Cleofa, Salomè e Veronica. Maria Maddalena stava sempre accanto a Gesù. Maria Heli, seduta, contemplava tutta la scena. Accanto al gruppo delle discepole vidi degli otri e un vaso pieno d’acqua collocato sopra un fuoco a carbone.

Nel suo indicibile dolore la santa Vergine conservava una magnifica prontezza d’animo. Ella non poteva lasciare il corpo di suo Figlio in quell’orribile stato, perciò incominciò a cancellare le tracce degli oltraggi che aveva sofferto.

Con estrema delicatezza gli tolse la corona di spine, aprendola dal lato posteriore, quindi posò la corona vicino ai chiodi.

Servendosi di una specie di tenaglia rotonda, tolse le spine che erano rimaste nel capo del Signore e le mostrò mestamente alle pie donne e ai discepoli. Anche queste vennero raccolte vicino ai chiodi e alla corona; alcune furono conservate a parte.

Vidi la Vergine lavare il capo e il volto insanguinato del Signore, passando la spugna bagnata sui suoi capelli per toglierne il sangue raggrumato. Via via che ella detergeva il santo corpo del Figlio, contemplandone le numerose piaghe, aumentavano la compassione e la tenerezza per le immani sofferenze che egli aveva subito.

La santa Vergine gli lavò le piaghe del capo, il sangue che riempiva gli occhi, le narici e le orecchie, con una spugna e un piccolo lino steso sulle dita della mano destra.
Allo stesso modo gli pulì la bocca semiaperta, la lingua, i denti e le labbra. Poi la santa Madre suddivise la capigliatura di suo Figlio in tre parti, una per ogni tempia e l’altra dietro il capo.

Quando ebbe sgrovigliati i capelli davanti e li ebbe resi lucidi e lisci, li fece passare dietro le orecchie.

Una volta ripulito il capo, dopo aver baciato il Figlio sulle guance, passò infine a ripulire il collo, le spalle, il petto, il dorso, le braccia e le sue tenere mani piagate.

La Madonna addolorata lavò e ripulì, ad una ad una, tutte le numerose e orribili piaghe.

Allora solamente le fu possibile vedere in tutti i minimi particolari gli spaventosi martiri subiti dal Figlio.

Le ossa del petto e le giunture delle membra erano tutte slogate e non si potevano piegare.

La spalla conservava la spaventosa ferita della croce e la parte superiore del santissimo corpo era coperta dalle lividure e dalle ferite dello staffile.

Al lato sinistro del petto si trovava una piccola piaga, da cui era uscita la punta della lancia di Cassio; al lato destro si apriva la larga ferita dov’era entrata la lancia che aveva attraversato il cuore da parte a parte.

Maria Maddalena, in ginocchio, aiutava la santa Madre, senza lasciare i piedi del Signore. Li bagnava per l’ultima volta con le sue lacrime, li asciugava con la sua capigliatura e vi appoggiava il suo pallido volto, con il quale, per rispetto, non osava toccare quello di Gesù.

Il santissimo corpo, che aveva assunto un colore bianco bluastro, perché dissanguato al suo interno, riposava sulle ginocchia di Maria, la quale, lavati il capo, il petto e i piedi del Figlio, li coprì con un velo e iniziò a passare il balsamo su tutte le sante piaghe. Le pie donne, in ginocchio, davanti a lei, le passavano di volta in volta una scatola, dove ella prendeva gli unguenti e i preziosi balsami con cui ungeva le ferite del Figlio.

Maria santissima gli unse anche i capelli, poi prese nella sua mano sinistra entrambe le mani di Gesù e le baciò con profondo rispetto, alla fine riempì con un unguento i larghi buchi prodotti dai chiodi, e lo stesso fece con la profonda piaga del costato.

L’acqua che era servita a lavare le ferite non veniva gettata, ma era raccolta solertemente in otri di cuoio in cui venivano spremute anche le spugne. Vidi Cassio e i soldati attingere acqua alla fontana di Gihon.

Quando la santa Vergine ebbe imbalsamato tutte le ferite, avvolse il sacro capo nei lini, ma senza coprire ancora il santo volto. Ella chiuse gli occhi semiaperti del Signore, lasciando riposare sopra la sua mano; poi gli chiuse anche la bocca, baciò il santo corpo e accostò il suo viso a quello del Figlio. Fu interrotta da Giovanni, che la pregò di separarsi dal corpo del Figlio perché il sabato era vicino e lo si doveva seppellire. Obbediente, ella abbracciò per l’ultima volta le sante spoglie e se ne distaccò con profonda commozione.

Dopo averle tolte dal grembo materno, gli uomini portarono le sante spoglie nell’avvallamento del Golgota dove avevano preparato tutto il necessario per l’imbalsamazione. Lasciata di nuovo ai suoi dolori, Maria santissima, con il capo coperto, cadde svenuta tra le pie donne. Maria Maddalena, come se fosse stata derubata del suo amato Sposo, fece qualche passo avanti tenendo le braccia protese verso il corpo del Signore, poi ritornò vicino alla Vergine.

Il corpo del Salvatore venne adagiato su un lino lavorato a maglia; probabilmente il lino era lavorato a giorno per lasciar colare meglio l’acqua.

La parte superiore del sacro corpo fu coperta con un altro lenzuolo. Nicodemo e Giuseppe s’inginocchiarono e, mettendo le mani al di sotto del lenzuolo, tolsero il lino col quale avevano cinto le reni di Gesù subito dopo la sua deposizione dalla croce, poi gli tolsero anche la cintura che gli aveva portato Jonadab prima della crocifissione.

Passarono delle spugne sotto il lenzuolo e gli lavarono il corpo, tenendolo celato a ogni sguardo. Continuarono a lavarlo finché le spugne non diedero acqua chiara.

A questo punto versarono acqua di mirra su tutto il santo corpo e, trattandolo con rispettoso amore, gli fecero riprendere la sua lunghezza, perché era rimasto curvo com’era morto sulla croce.

Vidi che le ginocchia erano rimaste sollevate come al momento della morte.

Successivamente l’unsero bene e lo riempirono di aromi e di pacchetti d’erbe, che misero in abbondanza tra le gambe per tutta la loro lunghezza. Il tutto fu cosparso con una polvere preziosa che Nicodemo aveva portato con sé.

Quando si giunse alla fine, Giovanni ricondusse accanto alle sacre spoglie la santissima Vergine e le altre pie donne. Inginocchiatasi vicino al volto di Gesù, la Madonna gli avvolse strettamente un lino finissimo intorno al capo e alle spalle. Aveva ricevuto questo lino dalla moglie di Pilato, e lo portava avvolto al collo sotto il mantello.

Aiutata dalle pie donne, la Vergine riempì di erbe, di aromi e di polvere odorosa lo spazio tra le spalle e le guance del Signore, mentre Maria Maddalena versava un flacone di balsamo nella piaga del costato. Le pie donne gli disposero delle erbe intorno alle mani ed ai piedi.

A loro volta, gli uomini riempirono di balsamo gli incavi delle ascelle del Signore, poi gli incrociarono sul petto le braccia irrigidite e avvolsero il santo corpo in un grande lino, come se fasciassero un neonato. Poi le sacratissime spoglie vennero messe nel grande lenzuolo funebre acquistato da Giuseppe d’Arimatea.

L’impronta
Mentre rendevano l’estremo omaggio alla santa salma di Gesù, si manifestò un prodigio assai commovente: l’immagine del Cristo apparve impressa sul lenzuolo funebre che lo ricopriva. I suoi amici compresero che il Signore aveva voluto lasciare la sua effigie per gratitudine verso le loro amorevoli cure. Essi, piangendo, la baciarono con profonda devozione.

La loro meraviglia fu tanto più grande quando essi sollevarono la sindone e videro il lino e tutte le bende sottostanti bianche, constatando così che solo quella prima aveva ricevuto la miracolosa impressione.

Anche la parte del lenzuolo funebre sul quale il santo corpo era coricato aveva ricevuto l’impronta dorsale del Redentore. Non erano impronte sanguinanti, essendo stata la salma di Gesù curata e ricoperta di aromi.

Vidi alcuni episodi della storia posteriore della santa Sindone, ma non li ricordo nei particolari. Posso solo dire questo: dopo la risurrezione del Signore fu custodita dalla prima comunità cristiana, operò molti miracoli e fu oggetto di aspre contese.

La sepoltura
Gli amici di Gesù deposero le sante spoglie sopra una barella di cuoio, la ricoprirono con una coperta di colore bruno e vi adattarono due lunghi bastoni ai lati. Quell’immagine mi richiamò alla mente l’arca dell’alleanza. Nicodemo e Giuseppe misero sulle spalle le stanghe dalla parte anteriore, Abenadar e Giovanni quelle della parte posteriore. Dietro di loro seguivano la Vergine Maria, Maria Heli, Maria Maddalena e Maria di Cleofa, e poi le pie donne rimaste più distanti dalla croce: Veronica, Giovanna Cusa, Maria madre di Marco, Salomè moglie di Zebedeo, Maria Salomè, Salomè di Gerusalemme, Susanna e Anna, una nipote di san Giuseppe cresciuta a Gerusalemme.

Cassio e i soldati convertiti chiudevano il corteo. Maroni di Naim, Dma la Samaritana, Mara la Sufanita e le altre pie donne erano rimaste a Betania con Marta e Lazzaro. Due soldati con le fiaccole accese illuminavano la via che conduceva al sepolcro. Il funerale entrò nel giardino di Giuseppe d’Arimatea intonando i salmi con aria malinconica. Vidi Giacomo il Maggiore, fratello di Giovanni, che osservava la scena dalla cima di una collina. Subito dopo egli corse a informare gli altri discepoli nascosti nelle caverne.

Quando il corteo fu giunto davanti al sepolcro, gli uomini levarono la coperta dalla barella e ne tolsero la salma. Entrati nella grotta, i due buoni sinedriti deposero il santo corpo del Signore sul letto tombale, mentre Giovanni e Abedenar ripiegarono uno sull’altro i lembi della sindone. Le pie donne avevano preso posto davanti all’ingresso della grotta. Il letto di roccia, che aveva ricevuto la santa salma, era stato precedentemente ricoperto con un grande lino e diverse erbe aromatiche.

La grotta era stata precedentemente ben pulita dai servi di Nicodemo, che vi avevano bruciato perfino incensi profumati. L’interno era abbastanza presentabile e, sulla parete in alto, vi era scolpita una bella decorazione. Questi amici fedeli gli attestarono il loro amore baciandolo per l’ultima volta, quindi uscirono dalla grotta versando calde lacrime. Subito dopo vi entrò la santa Vergine, si sedette dal lato della testa e si chinò a piangere sulle sacre spoglie del Figlio. Appena ella uscì, Maria Maddalena si precipitò a sua volta nel sepolcro e gettò sopra al corpo di Gesù fiori e fronde, poi congiunse le mani piangendo e baciò i suoi piedi, finché gli uomini l’avvertirono che dovevano chiudere il sepolcro.

Conclusosi il pietoso ufficio, fecero rotolare il masso davanti all’ingresso. L’inumazione era avvenuta alla luce delle fiaccole. Vidi alcuni discepoli di Gesù aggirarsi come ombre notturne nei pressi del sepolcro.