Così morì l'uomo della Sindone
Matteo Bevilacqua, già direttore del reparto di Fisiopatologia Respiratoria dell’Ospedale di Padova, è il responsabile di questa ricerca condotta presso l’Istituto di Anatomia Normale dell’Università di Padova assieme a Giulio Fanti, professore associato del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, a Raffaele De Caro, direttore dello stesso Istituto di Anatomia con i suoi aiuti Andrea Porzionato e Veronica Macchi, spiega i risultati ottenuti, pubblicati in parte dalla rivista americana di ortopedia Injury.
Prima intervista
Da Padova nuove luci sul mistero della Sacra Sindone. Dopo aver riportato un grave trauma al collo, alla spalla e al torace, l’uomo della Sindone è stato assicurato alla croce con due chiodi piantati nei polsi e due nei piedi, ma i polsi presentano due fori ciascuno, segno che i primi tentativi non erano andati a buon fine. Infatti le croci (formate dalla trave verticale piantata a terra e dal patibulum orizzontale che pesava circa 40 Kg) venivano riutilizzate e quindi avevano dei fori preformati su cui si conficcavano i chiodi di altri crocifissi. Probabilmente dopo l’inchiodatura del polso sinistro, le braccia furono tirate al massimo determinando quasi una lussazione anche del braccio sinistro (la spalla destra aveva già subito una dislocazione dell’omero cadendo col patibulum sulle spalle verso il Calvario?).Poi i romani che per lo stesso motivo tirarono con le corde il piede destro fino a lussargli la caviglia, inchiodarono il piede a livello del metatarso per fissarlo allo stipes (trave verticale). Successivamente inchiodarono il piede sinistro al centro del dorso: il chiodo fuoriuscito sul versante interno del tallone fu conficcato nella caviglia del piede destro. Furono impiegati due chiodi romani a testa quadrata di 0,8 cm di lato: uno lungo 10 cm (come per i polsi) per fissare il piede destro e l’altro di circa 25 cm per inchiodare i due piedi insieme, il sinistro sovrapposto al destro. Sono alcune delle nuove conclusioni a cui è arrivata un’equipe di studiosi dell’Azienda Ospedaliera di Padova e dell’Università di Padova che ha appena terminato uno studio di due anni basato su analisi cliniche delle tracce lasciate sulla Sindone e riproducendo, per la prima volta su arti di cadaveri, le procedure subite da chi lasciò l’impronta di un uomo crocefisso sul lenzuolo di lino conservato nel duomo di Torino.
«La sperimentazione - spiega Bevilacqua - indica che l’uomo della Sindone ha subito due inchiodature al polso sinistro: una fra gli ossicini del carpo semilunare, piramidale, capitato e uncinato (impronta da tempo nota del chiodo sulla Sindone); l’altra più in alto fra radio, semilunare e scafoide che ha provocato la retrazione del pollice con conseguente scomparsa della sua impronta sul lenzuolo di lino. Verosimilmente altre due inchiodature interessarono il polso destro, invisibili perché coperto dalla mano sinistra». Le macchie di sangue sulla Sindone sono dovute al sanguinamento dopo la schiodatura perché l’uomo venne deterso dopo la deposizione dalla croce: altrimenti le impronte non sarebbero così nitide su un corpo imbrattato di sangue. Il loro aspetto fa sospettare la presenza di due fori da chiodi al polso sinistro e due sulla pianta del piede destro, con lo scolo sugli avambracci dovuto al sanguinamento da schiodatura.
E’ verosimile quindi che l’uomo della Sindone abbia subito sette inchiodature: due per ogni polso, due al piede destro e una al sinistro, e sia stato fissato definitivamente sulla croce con quattro chiodi. «Gli esperimenti apportano ult e r i o r i importanti i n d i z i sull’autenticità della Sindone e sull’identificazione dell’uomo in Gesù – prosegue lo studioso - poiché confermano quanto riportato nel Vangelo e arricchiscono di inediti dettagli la descrizione della passione. Abbiamo anche rilevato che la testa presenta un enoftalmo destro, cioè il rientramento del bulbo oculare per il colpo della trave abbattutasi sulla spalla durante la caduta, con paralisi dell’intero plesso brachiale. Le ginocchia erano moderatamente flesse e i piedi inchiodati sui talloni. Le lesioni ai nervi mediani dei polsi provocano un dolore acutissimo e ogni movimento può portare allo svenimento. Secondo noi l’inchiodatura ha molto limitato la respirazione, ma non al punto da provocare la morte. La morte è sopraggiunta probabilmente per infarto e non per asfissia o per il versamento di sangue nel cavo pleurico di destra (da contusione toracica durante la caduta): e anche questo sarebbe compatibile con i Vangeli che parlano del grido di Cristo in croce immediatamente prima di morire».
Due scienziati, quattro salme e l'autopsia sul corpo di Gesù
Stefano Lorenzetto - Dom, 25/05/2014 - 09:51
Sarebbe stato più semplice capire come avvenne la crocifissione di Gesù di Nazaret se, anziché in quest'aula del dipartimento di ingegneria dell'ateneo di Padova, il cronista fosse stato ammesso alle prove avvenute nei sotterranei dell'Istituto di anatomia umana, diretto dal professor Raffaele De Caro. Lì i piedi e i polsi non erano del professor Bevilacqua, già direttore del reparto di fisiopatologia respiratoria del Policlinico universitario patavino dove ha lavorato per 43 anni, bensì quelli di quattro cadaveri, messi a disposizione della scienza dai legittimi proprietari mediante testamenti biologici. I fori di entrata e di uscita dei chiodi, le slogature degli arti e le altre torture che segnarono le carni del Nazareno dal pretorio di Ponzio Pilato fino al Golgota sono stati riprodotti - dal vivo, si dovrebbe scrivere, se non stessimo parlando di morti - per poi essere pubblicati su Injury, la rivista di riferimento della British trauma society e di altre associazioni mediche del settore (australiana, greca, saudita, spagnola, turca, croata, brasiliana), fra cui la Società italiana di ortopedia e traumatologia.
La ricerca scientifica, che dischiude inedite prospettive sul modo in cui fu messo a morte l'uomo in assoluto più famoso fra gli 85 miliardi d'individui vissuti fino a oggi sulla Terra, è nata dall'incontro di Bevilacqua, 75 anni, specialista in pneumologia, cardiologia, medicina interna e radiologia diagnostica, con il professor Giulio Fanti, 58, docente associato di misure meccaniche e termiche nel dipartimento di ingegneria industriale dell'Università di Padova. E ha coinvolto il professor Michele D'Arienzo, direttore della clinica ortopedica dell'Università di Palermo. I tre hanno anche ricostruito un manichino in scala 1 a 2 con la postura esatta del Cristo deposto dalla croce così come appare nell'immagine rimasta impressa nella Sindone, posizionandolo su una riproduzione del lenzuolo che rispetta le medesime proporzioni.
Si potrebbe dire che Bevilacqua si trovasse da tempo nei paraggi: al suo attivo ha tre brevetti incentrati su incenso e mirra, i primi doni che furono portati dai re magi al Bambino di Betlemme destinato a finire in croce 33 anni dopo a Gerusalemme. Con i terpeni ricavati da queste sostanze e da altri olii essenziali, lo pneumologo esegue dal 1993 terapie inalatorie che migliorano il trofismo delle cellule cerebrali, ottenendo straordinari risultati nella cura delle malattie polmonari e neurologiche, inclusi Parkinson, Alzheimer, sclerosi multipla e schizofrenia. «Nel sepolcro il corpo nudo di Cristo avvolto dal lenzuolo fu appoggiato su una pietra che Giuseppe d'Arimatea aveva cosparso con 100 libbre di una mistura ad azione antiputrefattiva a base di mirra e polvere di aloe, probabilmente anche di natron, cioè carbonato idrato di sodio, tutte sostanze assai costose. Siccome ogni molecola di natron ne assorbe 10 di acqua, la salma, anziché decomporsi, era destinata a mummificarsi».
Quanto a Fanti, è un sindonologo che aveva già pubblicato otto libri sul sacro lenzuolo custodito nel Duomo di Torino, il più recente dei quali, per le Edizioni Segno, conclude con certezza che esso risale al primo secolo dopo Cristo. «Ci sono arrivato grazie a una macchina di prove a trazione che ho progettato, tarato e costruito con l'aiuto di Pierandrea Malfi, un mio allievo laureatosi con una tesi sulla datazione delle fibre tessili. Dai test ciclici di carico e scarico sulle singole fibre di lino abbiamo potuto determinare vari parametri meccanici legati all'invecchiamento. I risultati di questi esami meccanici, combinati con i dati relativi a datazioni alternative di tipo opto-chimico, hanno permesso di dimostrare che la reliquia risale al 33 avanti Cristo con un'incertezza di 250 anni in più o in meno».
Il suo collega Luigi Garlaschelli dell'Università di Pavia mi spiegò che è tutto frutto di un procedimento chimico con ocra in polvere, opera di un falsario su un telo del 1300.
«Teoria non supportata da dati scientifici. Anche sul Journal of Imaging Science and Technology ha scritto che la Sindone è un'immagine medievale. Con Thibault Heimburger, un medico francese, ho contestato questa sua affermazione. Prima di pubblicare il nostro intervento, la rivista americana ha interpellato Garlaschelli per sapere come intendesse replicare. Non avendo argomenti per farlo, è rimasto zitto».
Perché lei si occupa della Sindone?
«Nel 1997 insegnavo ai miei studenti i sistemi di visione ed elaborazione d'immagini. Visto che quella stampata nel lenzuolo di Torino è un'immagine inspiegabile, ho voluto capirne di più». Bevilacqua: «Per me s'è trattato di un approccio emotivo. Fino al 1964 ero credente, sono stato persino segretario dell'Azione cattolica al mio paese d'origine, San Marco in Lamis, nel Foggiano. Ma poi sono diventato ateo, perché non riuscivo a capire il significato del dolore: allora ero medico in un reparto pneumologico con 110 malati di tumore e di tubercolosi polmonare. Nel 1989 passavo un periodo difficile per problemi in ospedale. Un giorno, rincasando, mia moglie Anna Maria mi disse: Sono andata a pregare sulla tomba di padre Leopoldo Mandic. Spero che il santo ti aiuti. Mi riconvertì all'istante. Da quel momento vidi nella Sindone il dolore umano che si sublima nel divino e redime».
I test di laboratorio sui cadaveri che cos'hanno rivelato circa il modo in cui morì Gesù?
«Sulla Sindone mancano le impronte dei pollici e il polso sinistro presenta i segni di due inchiodature. Perché? È molto verosimile che la croce, composta da una trave orizzontale, il patibulum, e da una verticale, lo stipes, essendo di legno duro, noce o ulivo, presentasse dei fori preformati per evitare che i chiodi di ferro dolce, dopo aver trapassato le carni, si storcessero contro i pali. Probabilmente i soldati romani stirarono le braccia di Gesù con delle funi per far coincidere i punti di uscita dei chiodi con tali fori, ma l'operazione non riuscì. Perciò estrassero il chiodo conficcato fra radio, scafoide e semilunare e procedettero a una seconda inchiodatura fra le ossicine del carpo, proprio dove sulla Sindone si osserva il foro più grande di uscita del chiodo. Ma in tal modo fu deviato il tendine del muscolo flessore lungo del pollice e fu leso il nervo mediano. Ciò indusse la retrazione del pollice: ecco spiegata l'assenza di impronte. Lo abbiamo sperimentato su tre arti superiori».
Negli arti inferiori che accadde?
«L'analisi delle impronte fa riconoscere nel piede destro due fori di uscita, uno al calcagno e uno fra il secondo e il terzo osso del metatarso, mentre nel piede sinistro è riconoscibile un solo foro. L'inchiodatura sul metatarso serviva a dare stabilità alla vittima. Va tenuto conto che il Nazareno era sospeso nel vuoto: gli mancava infatti il suppedaneum sotto i piedi, un sostegno di legno utilizzato per prolungare al massimo l'agonia, che poteva in tal modo durare fino a tre giorni. Poiché è impossibile che un chiodo fuoriesca sul tallone senza rompere le ossa del piede, bisogna obbligatoriamente ammettere che Gesù abbia subìto anche una lussazione della caviglia destra prima delle inchiodature. E anche questo lo abbiamo dimostrato su cadavere in laboratorio. L'uomo della Sindone in pratica subì sette inchiodature: due per ogni polso, due al piede destro e una al sinistro, con quattro chiodi in tutto».
E prima di questo atroce supplizio?
Fanti: «Subì la flagellazione con il flagrum. L'ho ricostruito: tre cordicelle di cuoio munite di manico, che finiscono con due piombini pesanti distanziati da uno più piccolo. Ogni sferzata provocava perciò sei ferite lacero-contuse di circa 3 centimetri. Sulla Sindone se ne contano più di 370. Ma il lenzuolo avvolgeva il cadavere solo sopra e sotto, non lateralmente. È presumibile perciò che sul corpo vi fossero dai 500 ai 600 di questi lividi con lacerazione delle carni. Dividendo per il numero di piombini, stiamo parlando di circa 100 frustate».
E poi si parla di civiltà romana...
Bevilacqua: «La spalla destra risulta di 15 gradi più bassa di quella sinistra. Pure l'occhio destro è più infossato di quello sinistro. Questo significa che un grosso trauma lussò il braccio destro e danneggiò il plesso brachiale. La lesione fu provocata dal patibulum, che pesava dai 35 ai 60 chili, e dovette prodursi durante una delle cadute di Gesù sulla via del Calvario, tanto che egli non poté più reggere il carico e fu chiamato in suo aiuto Simone di Cirene».
Come previsto nel salmo 22: «Sono slogate tutte le mie ossa».
«Le lussazioni rendono compatibile la posizione delle braccia nella Sindone, incrociate a livello del pube e non al di sopra di esso, come ci si aspetterebbe in un corpo eretto, rigido, con il tronco leggermente dorsoflesso. Gesù spirò alle 15 e fu staccato dalla croce alle 18. Nelle morti traumatiche, il rigor mortis sopraggiunge quasi subito. È un effetto prodotto da actina e miosina, due proteine che, fondendosi, danno origine all'actomiosina e fanno contrarre la muscolatura. In pratica fu schiodata dal patibolo una specie di T umana, una salma con gli arti superiori spalancati e già induriti. Ma le articolazioni delle spalle lussate consentirono d'incrociarli sul pube con una minima forzatura».
Che cosa provocò la morte?
«Non un'asfissia, come è stato ipotizzato in passato. Essa comporterebbe perdita di coscienza e coma e invece Cristo sulla croce parlò con suo Padre, con sua Madre, con Giovanni, con i due ladroni e subito prima di morire lanciò un grido. Più probabile un infarto acuto del miocardio, al quale concorsero vari fattori».
Quali?
«Il primo è una causalgia, cioè un dolore urente, insopportabile, derivante dalla lesione dei nervi mediano e tibiale durante l'inchiodatura. Il secondo è uno shock ipovolemico in un corpo completamente disidratato e con volume ematico assai ridotto. In seguito alla caduta lungo la via crucis, vi fu anche una contusione polmonare, che provocò nel cavo pleurico una raccolta di sangue, il quale dopo la morte si sedimentò in uno strato superiore di siero, liquido limpido di colore giallino, e uno inferiore con coaguli e globuli rossi. Ciò spiega perché dal costato trafitto dalla lancia del centurione nella parte bassa del torace sia uscito prima sangue e poi acqua».
Non avete provato disagio a usare per questi esperimenti corpi appartenuti a persone come me, come voi?
«Per le indagini sul polso abbiamo utilizzato l'arto amputato a un giovane colpito da un tumore dell'avambraccio. E le salme sono state poi riutilizzate a fini didattici, per esempio da studenti di medicina statunitensi impegnati in un'esercitazione con il chirurgo plastico Cesare Tiengo». Fanti: «Disagio? Zero virgola zero. Semmai ho provato gratitudine per il Creatore di questi corpi. Seguo i colleghi universitari che costruiscono i robot. Be', da ingegnere posso assicurarle che un braccio umano presenta una complessità infinitamente superiore a quella dell'androide più sofisticato».
Ma cosa può dire un telo bruciacchiato agli uomini d'oggi?
«Se non fosse autentico, bisognerebbe ipotizzare che un falsario vi abbia avvolto un cadavere dopo averlo torturato barbaramente. Poiché un esperimento non riesce al primo tentativo, si dovrebbe pensare a più cadaveri torturati. Perciò o la Sindone è vera o documenta un assassinio. Papa Francesco ha deciso una nuova ostensione nel 2015. Gli chiedo: i pellegrini andranno a venerare nel Duomo di Torino la prova di un delitto plurimo o l'immagine del Risorto? Vorrei un sì o un no. Come Gesù comandò nel Discorso della Montagna».