La Passione e la Sindone

Racconti della Passione e confronto con la Sindone

Storia antica della Sindone

Molti sono gli oggetti legati alla Bibbia, alla vita di Cristo e degli Apostoli che circolano nel mondo (veroniche, sindoni, trombe di Gerico, penne del gallo di Pietro, verga di Mosè, ampolla con il latte della Madonna, santo prepuzio – ve ne sono ben tre –chiodi, spine e schegge, queste ultime in così gran numero da poter costruire una nave).



Mandilion

Fra tutte, però, la maggior fortuna l’ebbe il Mandilion (in arabo: velo, fazzoletto) che fu trovato nel 544 murato in una nicchia sopra una porta della città di Edessa (oggi Urfa, nella Turchia centro meridionale). Era una tela riproducente il volto di Cristo. Abgar V, che regnò ad Edessa dal 13 al 50 d.C., la ebbe da Giuda Taddeo, un discepolo di Gesù, unitamente ad una lettera del Messia, al quale il re si era rivolto affinché lo guarisse dalla lebbra e dalla gotta. Il Mandilion sparì sotto il regno del figlio, persecutore dei Cristiani. Fu nascosto in una nicchia e lì fu rinvenuto nel 544 (per altri nel 525).

Giustiniano per esso fece costruire ad Edessa un reliquiario ed una cattedrale. Sopravvisse alla occupazione araba, che anzi lo valorizzò, e perfino alla iconoclastia. Nel 944 fu traslato a Costantinopoli per volere di Romano Lecapeno, che lo barattò con l’emiro di Edessa per 200 prigionieri e 12.000 denari di argento. Venne esposto nella basilica di S. Maria di Blacherne.

Fin qui la storia del Mandilion è raccontata con buona verosimiglianza dai libri liturgici della chiesa bizantina, che il 16 agosto celebra la traslazione della reliquia a Costantinopoli.


Le notizie poi si fanno scarse. Si sa che il Mandilion fu visto e descritto come la tela che avvolse l’intero corpo di Cristo (e non solo il volto) da Gugliemo di Tiro nel 1171, da Nicola Mesarites, patriarca di Costantinopoli nel 1201, che parla di “telo di poco pregio che avviluppò la salma nuda coperta di mirra”, e da Roberto di Clary, cronista ufficiale della IV Crociata, nel 1203.

L’anno successivo scomparse durante il saccheggio di Costantinopoli ad opera dei Crociati. Dal 1204 al 1300 circa fu, con ogni probabilità, posseduta dai templari, i ben noti cavalieri dell’ordine religioso più ricco e potente, che nel 1312 fu condannato per eresia.

Fra le molte accuse v’era quella secondo cui avrebbero venerato una “testa” misteriosa, barbuta, forse proprio quella che fu trovata nel 1951 dipinta su un pannello di quercia in un castello generalizio dei templari nel villaggio di Templecombe, in Inghilterra.

Ma si può affermare che Mandilion e Sindone siano la stessa cosa? Probabilmente sì, non solo per quanto riferirono i cronisti sopra citati, ma anche e soprattutto perché sappiamo che un tal Goffredo di Charnay di Lirey (antenato dell’omonimo proprietario della Sindone) era un templare, morto sul rogo accanto al gran maestro dell’ordine Giacomo di Molay. Proprio lui potrebbe essere l’anello mancante.

Si è obiettato che il Mandilion avrebbe ritratto il solo volto di Cristo, ma noi siamo informati dai libri liturgici che la tela era piegata in quattro (ràkos tetràdiplon), come del resto risulta dalla Sindone medesima, che rivela otto piegature (quattro per lato), così da mostrare (una volta piegata) proprio il solo volto dell’uomo. Dunque il Mandilion (o veronica) erano in realtà l’intero telo che avvolse il corpo di Cristo, un telo che fu piegato ed incorniciato forse per celarne la vera natura del lenzuolo funebre, impuro. Perfino i Bizantini, come è noto, fino la XIII secolo evitarono di rappresentare la crocifissione.

A favore della identificazione Mandilion-Sindone gioca anche il fatto che prima della scoperta del Mandilion (anno 544) Cristo era raffigurato giovane e senza barba, con capelli corti, dal VI secolo in avanti, invece, la sua immagine è straordinariamente simile a quella della Sindone, come dimostrano la linea trasversale sulla fronte, il triangolo all’attaccatura delle sopracciglia, il sopracciglio estro rialzato, la narice sinistra più larga, la barba a due punte, i riccioli sulla fronte( in realtà sono le gocce del sangue); e questo nell’80% delle icone bizantine. Del pari impressionante è la somiglianza del volto sindonico con il pantocrator riprodotto su monete coniate da Giustiniano II (685-695), Michele III (842-867) e Costantino VII (945-956).

Il codice Pray

Nel Codice Pray della Biblioteca Nazionale di Budapest, datato con certezza tra il 1150 e il 1195, il miniaturista ha raffigurato non solo il telo con l’impronta del Cristo, ma anche il pollice piegato all’interno della mano, la trama del lino a spina di pesce e perfino i piccoli fori a forma di “Elle” , prodotti da un incendio diverso da quello del 1532!

 
Il prezioso telo detto “Sindon”, era stato mostrato dall’Imperatore d’Oriente Manuele II Comneno in occasione del matrimonio di sua figlia col principe ereditario Bela d’Ungheria.













Nella prima scena il corpo morto di Cristo è posto sopra un lenzuolo. Accanto ci sono S. Giovanni e Giuseppe d’Arimatea, che vi versa sopra il liquido di un vasetto. Nella seconda scena ci sono le donne davanti al sepolcro vuoto e l’angelo che annuncia la resurrezione ed indica il telo ed il sudario. 

Le bruciature della Sindone: 

e nel codice Pray: