I maestri della legge contro Gesù
In un giorno di festa Gesù andò al Tempio e si mise a insegnare. I capi ebrei si meravigliavano e dicevano: «Come fa costui a conoscere le Scritture, senza aver studiato?». Allora i capi dei sacerdoti e le altre autorità del popolo si avvicinarono a lui e gli domandarono: «Che diritto hai di fare quel che fai? Chi ti ha dato l’autorità di agire così?». Gesù rispose loro: «Voglio farvi anch’io una domanda, e se voi mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio queste cose. Dunque, Giovanni, chi lo ha mandato a battezzare? Dio o gli uomini?». Quelli allora si consultarono e cominciarono a discutere fra loro: «Se diciamo che Giovanni è stato mandato da Dio, ci chiederà: Perché allora non avete creduto in lui?. Se invece diciamo che è stato mandato dagli uomini, c’è da aver paura della folla, perché tutti considerano Giovanni come un profeta». Perciò risposero: – «Non lo sappiamo».
Allora anche Gesù dichiarò: «Ebbene, in questo caso neanch’io vi dirò con quale autorità faccio queste cose». I farisei allora gli dissero: «Tu sei testimone di te stesso, dunque la tua testimonianza non è valida». Ma Gesù replicò: «Certo, se io stesso mi presento a testimoniare a mio favore, la mia testimonianza non conta nulla. In realtà è un altro che testimonia per me, e certamente la sua testimonianza a mio favore è valida e superiore a quella di Giovanni. Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera perché io so da dove sono venuto e dove vado. Questo, voi non lo sapete, perché voi giudicate con criteri umani, mentre, se io giudico qualcuno, il mio giudizio è veritiero perché non lo pronunzio da solo, ma insieme a colui che mi ha mandato, il Padre. E se nella vostra Legge sta scritto che la parola di due testimoni è valida, ebbene, io sono testimone di me stesso, ma anche il Padre che mi ha mandato, anche lui, ha testimoniato a mio favore».
Allora gli domandarono: «Dov’è tuo padre?». Gesù rispose: «Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio. Dovete sapere: La dottrina che io v’insegno non è sapienza mia, ma viene da Dio che mi ha mandato. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette ha me, e chi è pronto a fare la sua volontà riconoscerà se il mio insegnamento viene da Dio o se io parlo da me stesso».
E diceva ancora loro: «Voi siete di quaggiù, della terra, io sono di lassù, del cielo. Voi appartenete a questo mondo, io non appartengo a questo mondo. Se voi non credete che IO SONO, andrete in rovina per i vostri peccati. Ma non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c’è già chi vi accusa: Mosè, cioè proprio la persona nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me. Ma se non credete ai suoi scritti e a quello che ha scritto di me, dunque come potrete credere alle mie parole? Solo quando avrete innalzato sulla croce il Figlio dell’uomo, allora vi accorgerete che IO SONO e vedrete che non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, colui che mi ha mandato, che è con me e che non mi lascia mai solo».
Continuando a discutere con Gesù allora quegli Ebrei gli dissero: «Non diciamo con ragione che sei un infedele e un pazzo? Tu hai un demonio. Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo, il Messia, vivrà in eterno, come mai ora dici che il Figlio dell’uomo dev’essere innalzato su una croce? Chi è questo Figlio dell’uomo?». Gesù rispose loro: «Ancora per poco tempo la luce è fra voi, voi invece mi ingiuriate e mi disonorate perché siete incapaci di ascoltare la mia parola. Io non sono pazzo e non ho un demonio, anzi onoro il Padre mio».
Così parlò Gesù mentre era nel Tempio, nella sala del tesoro, e nessuno l’arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora. A queste sue parole, molti credettero in lui. Gesù però non si fidava di loro perché li conosceva tutti: non aveva bisogno di informazioni, perché sapeva benissimo che cosa c’è nel cuore di ogni uomo. Difatti i capi dei sacerdoti e i maestri della Legge si misero a spiare Gesù mandando alcuni che si fingevano persone oneste, con il compito di cogliere Gesù in fallo su qualche punto dei suoi discorsi, in modo da poterlo consegnare al governatore romano e farlo condannare.