Studi non definitivi

Come è stato notato da uno dei pochi studiosi italiani che accolsero con un’attenzione serena e sgombra da pregiudizi i contributi stranieri sull’argomento all’epoca della loro pubblicazione, gli studi di Robinson, Tresmontant, Wenham, Carmignac e altri meritano attenzione e rispetto, ma in nessun caso possono essere considerati definitivi, proprio a causa dei condizionamenti sopra accennati e che nei diversi casi hanno influito su di loro in modo diverso. L’indagine filologica sui manoscritti (papiracei e pergamenacei, antichi, tardoantichi e medioevali) mostra che l’elaborazione dei testi del Nuovo Testamento, per quanto iniziata assai presto (come rilevato dagli studiosi sopra ricordati), è durata a lungo, certamente anche dopo il fatidico anno 70. Questo spiega il fenomeno della compresenza di indizi contraddittori nel corpo di uno stesso testo quale è pervenuto fino a noi.

Osserviamo a questo proposito che, nonostante la mancanza di riferimenti espliciti alla guerra giudaica, all’assedio di Gerusalemme e alla sua caduta, è difficile (anche se non impossibile, tenuto conto della tradizione letteraria del profetismo veterotestamentario) non riconoscerne gli echi in alcuni passi dei vangeli che abbiamo citato a più riprese nelle pagine precedenti, come Mt. 22, 7; 23, 38; Lc. 19, 43 s.; 21, 20. 24, ecc.

In questi casi, e in altri simili, l’ipotesi più economica rimane quella di una formazione arcaica delle tradizioni (sia orali che scritte) utilizzate dagli evangelisti, ma con una rielaborazione e un arricchimento successivo alla luce dell’evolversi degli eventi.