L'indagine:Marco

L’indagine di Robinson sulla cronologia degli scritti che compongono il Nuovo Testamento muove dalla constatazione che la caduta di Gerusalemme nel 70 d. C. e il conseguente collasso del giudaismo istituzionale fondato sul tempio non sembrano mai menzionati con certezza dalla letteratura neotestamentaria come un evento passato.

Partendo da Marco, Robinson prende in esame Mc. 13, 1-4:
«Mentre usciva dal tempio, un discepolo gli disse: “ Maestro, guarda che pietre e che costruzioni! ”. Gesù gli rispose: “ Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta ”. Mentre era seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: “Dicci, quando accadrà questo, e quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi?”».


La domanda che l’evangelista pone in bocca ai discepoli rimane senza risposta, e il discorso apocalittico si presenta, a giudizio di Robinson, come una compilazione di insegnamenti diversi di Gesù, dedicati a questioni concernenti la vita della chiesa, come sempre in Marco quando l’ammaestramento è rivolto soltanto alla cerchia dei discepoli. Dunque le parole iniziali, che abbiamo riportato, non sono necessariamente una profezia post eventum della rivolta e della guerra giudaica del 66-70 contro Roma.

Quella che piuttosto caratterizza il discorso apocalittico di Mc. 13 è la volontà di resistenza, da parte dei giudei, alla profanazione del tempio di Gerusalemme per mezzo di un’immagine idolatrica. Il precedente a cui il discorso si richiama è costituito evidentemente dall’iniziativa presa dal re Antioco Epifane nel 168/167 a. C., narrata in 1 Mach. 1, 54 e riecheggiata in Dan. 9, 27; 11, 31; 12, 11. Il libro di Daniele ritorna in effetti più volte sul tema della cessazione dell’offerta nel tempio (cfr. Dan. 8, 13, oltre ai passi ora citati), e poiché questa realmente si verificò nell’agosto dell’anno 70, difficilmente, osserva Robinson, una profezia post eventum non ne avrebbe fatto parola.


È quindi più probabile che nel discorso escatologico, e in particolare nelle parole: «Quando vedrete l’abominazione della desolazione posta là dove non dovrebbe – il lettore faccia bene attenzione –, allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, ecc.» (Mc. 13, 14), si debba riconoscere un’allusione alla pretesa, avanzata dall’imperatore Caligola nell’anno 40, di avere una sua statua nel tempio. Visto in questa prospettiva, il discorso apocalittico di Mc. 13 si presenta piuttosto come il risultato della combinazione di tre elementi, nessuno dei quali è connesso con la guerra giudaica: il linguaggio del libro di Daniele, la resistenza del popolo giudaico ad accettare l’idolatria romana, il pensiero di Gesù in merito al rifiuto del suo messaggio da parte della sua gente.

Si nota inoltre che i seguaci di Gesù non sono raffigurati come rinchiusi in una città assediata, ma sono considerati ancora liberi di fuggire («quelli che sono in Giudea fuggano sui monti»). L’evento, infine, è atteso entro lo spazio di una generazione dall’anno 30 (Mc. 13, 30: «non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute»).