Conclusioni
Prima di concludere questo breve elaborato è necessario trattare un’ultima questione. Come detto nel testo, nel I secolo d.C. gli scritti che più tardi sarebbero confluiti nel Canone della Chiesa non erano niente altro che scritti autorevoli. Questo significa che chiunque approcci a tali documenti non ha di fronte alcun Nuovo Testamento, ma soltanto dei testi da studiare: questa banale considerazione non sempre viene rispettata, cosicché nelle introduzioni al NT si sovrastima l’importanza di tali testi, la si separa dall’ambiente nella quale è nata e la si rinchiude nel cassetto intitolato “Letteratura cristiana”, come se davvero potesse essere considerata come tale agli occhi dei primi cristiani.
In realtà, così come almeno per i primi 40 anni i cristiani non erano altro che una setta ebraica, allo stesso modo i loro scritti vanno considerati pienamente all’interno della letteratura ebraica, esattamente come si fa con gli esseni. Uno dei principali campi di indagine messi in piedi da alcuni studiosi negli ultimi venti anni è proprio la rivalutazione di questo aspetto, che potrebbe avere importantissime ripercussioni sul significato generale che si è soliti dare agli inizi del movimento dei seguaci del Cristo.
Già le scoperte di Nag Hammadi e di Qumran hanno aperto una luce impensabile sul mondo giudaico, rivoluzionando e non poco le conoscenze che si consideravano acquisite: è incredibile a dirsi, ma dopo 250 anni di ricerca, il personaggio più studiato della storia è quello sul quale si hanno meno informazioni sicure!
Gli pseudoepigrafi dell’Antico Testamento sono così diventati di fondamentale importanza per comprendere il giudaismo del I secolo d.C. e di riflesso le origini cristiane: quante volte si è sentito ripetere che il Vangelo secondo Giovanni deve essere necessariamente tardo perché l’elaborazione teologica in esso presente avrebbe richiesto decenni di studi e di riflessioni?
Eppure, come sottolinea J.H. Charlesworth: «Il presupposto che un testo neotestamentario il quale presenti termini ed idee ampiamente elaborate debba essere necessariamente uno scritto tardo, crolla di fronte al riconoscimento che il nascente giudaismo fu caratterizzato da una sorprendente erudizione e da concetti e intuizioni brillantemente articolati e altamente elaborati».
La cristologia del Nuovo Testamento prende avvio da potenzialità già pronte in seno al popolo giudaico, il quale aveva compiuto importantissime riflessioni (ad es. sul Signore ed i suoi messaggeri) e messo insieme idee altamente elaborate.
Continua Charlesworth: «Il più significativo sviluppo di pensiero nel nascente cristianesimo avvenne con ogni probabilità in Palestina e nei decenni tra il 35 ed il 75 e non altrove tra il 75 ed il 150».
I tentativi di ridatare scritti come la Lettera agli Ebrei prima dell’anno 70 hanno trovato fondamenta strutturali nella letteratura enochica e non solo, ed anche altri testi come la Lettera di Giacomo hanno trovato nuova linfa in una cronologia ante-70. Tale percorso di studi è ancora molto giovane: in Italia, grandissimi meriti vanno a studiosi di fama internazionale come P. Sacchi e G. Boccaccini, all’estero, studiosi del calibro di W. Meeks e M. Hengel hanno permesso con i loro studi il primo di approfondire l’organizzazione ed il pensiero delle prime comunità cristiane ed il secondo di mostrare la vitalità di idee in seno alla cultura ebraica di I secolo d.C.
Nonostante tutto, molte di queste recenti acquisizioni non vengono tenute in debito conto ed anche nelle più recenti opere di introduzione e/o critica neotestamentaria si continuano stantii canovacci di analisi la cui debolezza è stata ampiamente dimostrata. La scienza non si fa con i numeri: il consenso che esiste intorno a determinate ipotesi significa soltanto che esiste una certa preferenza ma non significa in alcun modo che quelle idee siano intoccabili.
Purtroppo questo modo di ragionare è tipico non solo delle scienze umanistiche ma anche di quelle matematiche, a testimonianza di una metodologia di studio che sembra più attenta alla difesa corporativistica e settaria piuttosto che veramente proiettata verso nuove acquisizioni. Ovviamente, tutto ciò non vuol dire che chiunque si alzi la mattina possa essere considerato alla stregua dei grandi studiosi: come sempre, così come l’onere della prova spetta ai critici e non ai testi che vengono analizzati, allo stesso modo l’onere della prova spetta ai portatori di nuove idee, perché è comunque vero che l’accettazione di nuove idee e nuove ipotesi passa necessariamente attraverso la forza dell’argomentazione e non sulla base dell’importanza accademica di chi l’ha pronunciata.
Nel campo degli studi storico-religiosi sembra che si viva in un clima diverso: siccome gli scritti sono stati filtrati dalle idee di chi li ha prodotti, gli studiosi si sentono in dovere di smontare, sezionare, traslare ogni singola componente con una metodologia di indagine che nessuno studioso “classico” si sognerebbe di applicare, quasi a trasformare la religione in un contenitore a parte dove buttare ciò che non si comprende.
È evidente tuttavia quanto la mentalità di una società secolarizzata come la nostra stenti a comprendere quanto fosse stretto il legame tra religione e vita, tra religione e Stato, tra religione e cultura, che a volte si sovrapponevano e si identificavano in modalità che per noi oggi è estremamente difficile individuare.
Troppo spesso vengono pronunciate parole inadeguate come “settario”, “normativo”, “ortodosso”, “eretico”, parole che non avevano alcun significato per gli autori dei primi testi cristiani ma che entreranno in circolazione soltanto molto più tardi, mentre magari non si mette sufficientemente in luce il loro carattere “didattico”, “parenetico”; errori di prospettiva vengono ancora compiuti nell’analisi di tali scritti e, giova ricordarlo, la sofisticatezza intellettuale delle primissime comunità cristiane dovrebbe far seriamente ripensare il principio secondo il quale una elaborata cristologia è indice di tarda cronologia: le lettere di Paolo rendono testimonianza di una formazione ricevuta (secondo le sue stesse parole) nei sette anni seguenti la morte di Gesù dunque ad uno stadio della predicazione cristiana risalente ad un’epoca molto vicina alla sua origine.
«Chiunque voglia sostenere che il primo evangelo cristiano era fondamentalmente diverso da quello che troviamo in Paolo dovrà assumersi l’onere di tale ipotesi».
Distruggere consolidate categorie e schemi di parti della storia non significa lasciar fuggire i cavalli di battaglia faticosamente acquisiti, quasi come ciò costituisse un incubo.
Le oscure tenebre della storia nelle quali lo studioso deve farsi luce sono spesso insidiose, ed i barlumi di luce devono essere colti con prontezza e spirito di discussione. Mutuando una espressione di Einstein: «Raffiniert ist der Herrgott aber boschaft ist er nicht», (Letteralmente: "Dio è sottile, ma non malizioso". Poi spiegato in: "La natura nasconde il suo segreto a causa della sua naturale elevatezza, ma non per inganno.") a riconoscere la bontà e la giustizia nella ricerca della verità.