Gli Atti degli Apostoli
Negli Atti non si parla mai dell’epistolario paolino e non vi è traccia di una sua utilizzazione. Non si parla della persecuzione neroniana (anni 64/65), né della morte di Giacomo fratello di Gesù (anno 62), che fu conseguenza di una iniziativa del sinedrio in contrasto con l’autorità romana, e perciò avrebbe potuto essere utile all’autore per i suoi scopi apologetici. Soprattutto, non si parla del compimento delle profezie contro i giudei con la conquista di Gerusalemme.
Già Adolf von Harnack aveva ipotizzato che gli Atti fossero stati scritti prima della conclusione del processo contro Paolo, notando che questo spiegherebbe i silenzi di cui sopra e l’interruzione brusca del racconto. Lo stesso von Harnack mise anche in evidenza gli arcaismi nella terminologia e il fatto che nel libro degli Atti non risultano ancora avvenuti alcuni cambiamenti nell’amministrazione e nella legislazione romana, che da altre fonti sappiamo aver avuto luogo negli ultimi decenni del primo secolo. La conclusione alla quale giunge von Harnack, seguito da Robinson, è che l’autore del libro degli Atti (o almeno la tradizione di cui si serve il successivo redattore dell’opera) non conosce eventi successivi all’anno 62.
Sembra utile, a questo punto, ricordare che nella stessa direzione puntano anche i risultati di un’indagine sul ruolo delle magistrature greco-romane nel libro degli Atti, condotta in anni recenti da Giuseppe Camodeca, studioso e docente di storia romana nell’Università “ L’Orientale ” e valente epigrafista. Camodeca ha rilevato che l’autore degli Atti, nell’indicare cariche e funzioni pubbliche greche e romane, impiega una terminologia corretta, anzi in alcuni casi sorprendentemente precisa (ad es. i ‘politarchi’ di Tessalonica, il grammateus di Efeso): questo dimostra in ogni caso la bontà dell’informazione utilizzata, e inoltre la probabilità che l’autore sia contemporaneo ai fatti narrati. Da questo punto di vista, osserva Camodeca, nulla impedisce di datare l’opera agli anni 60 del primo secolo.