Prima o dopo il 70 d.C.?
Per cercare di contestualizzare meglio le parole pronunciate da Gesù, è necessario richiamare brevemente l’ordinamento dell’esercito romano e la sua tattica, tenendo presente che negli anni intorno al 70 d.C., sotto l’imperatore Vespasiano, l’organizzazione militare era quella impartita da Augusto nel corso del suo principato.
Avendo accentrato a sé il comando militare in quanto depositario dell’imperium supremo, Augusto consentì a Roma un lungo periodo di pace. Fu lui, tra le altre cose, a fondare il volontariato professionale nelle forze armate. L’esercito era costituito da tre componenti: le legioni, formate da cittadini, gli auxilia, formate da peregrini ed una terza componente prettamente urbana e al diretto suo comando, composta dalle coorti pretorie, dalle coorti urbane e dalle coorti dei vigili, distinguendosi in tal modo dalle prime due inviate nelle province dell’impero e nelle regioni non pacificate.
L’organico della legione si stabilizzò intorno ai 5500 uomini, in 10 coorti di fanteria pesante, costituite ciascuna da sei centurie di 80 uomini (tranne la prima che ne aveva 160). Degli ausiliari si conoscono meno particolari, ma è in questo periodo che entrarono a far parte ufficialmente, quindi come regolari, dell’esercito romano.
Il numero di uomini deputato alla difesa dell’impero variava tra 250.000 e 350.000 uomini, a seconda del momento storico, più o meno equamente divisi tra legionari ed ausiliari. Insieme ad Agrippa, tra il 27 ed il 23 a.C. Augusto si preoccupò anche di riorganizzare le flotte navali: la più importante fu quella stanziata a Miseno, con 50 navi e 10.000 uomini, la seconda fu quella stanziata a Ravenna, mentre il terzo porto militare creato proprio dal princeps a Forum Julii in Provenza non ebbe fortuna e decadde nel giro di pochi decenni.
Oltre a tutto questo, Augusto riformò anche la gerarchia militare: l’imperium maius, cui dovevano sottostare anche le alte cariche (spesso trasmesse per investitura), era concentrato nelle sue mani (quindi in quelle dell’imperatore); il corso degli ufficiali venne regolamentato nella carriera, ad ogni livello delle gerarchie.
Delineata a grandissime linee la situazione dell’esercito romano ai tempi di Vespasiano così come riorganizzata da Augusto, è necessario spendere qualche parola sulla loro tattica. Purtroppo in tal senso le fonti sono piuttosto frammentarie, e le ricostruzioni degli storici si basano anche su argomenti ex silentio, a sottolineare la lacunosità della conoscenza. Qualche risultato è stato comunque raggiunto e, sebbene non risolva tutte le difficoltà, non di meno è di estremo interesse: la coorte si disponeva in modo frontale, con le sei centurie dei tre manipoli affiancate, lasciando spazi purtroppo imprecisabili.
Anche la profondità e l’ampiezza della coorte dipendevano dalla sua dimensione, che dopo Mario variava da 300 a 450 uomini. Le centurie manipolari erano invece serrate in ordine chiuso, cosicché ogni soldato occupava lo spazio di tre piedi (ca. 90cm): tale ordinamento doveva essere di schieramento, dal momento che la manovra in battaglia seguiva inevitabilmente gli ordini dei comandanti che adattavano la loro arte della guerra alla situazione contingente.
Gli schemi tuttavia non dovettero essere molti e, sebbene ogni generale cercasse di guidare il suo esercito con la modalità nella quale aveva maturato più esperienza, gli studiosi ritengono che lo schema tipo fu mutuato dallo schieramento con il quale Cesare dispose le sue truppe affrontando i Pompeiani ad Ilerda, con la cavalleria sulle ali. Ma dagli scritti dello stesso Cesare si apprende che il suo disegno fu dettato dalla personale volontà di non combattere e dall’atteggiamento del generale avversario Afranio.
Dunque, nell’impossibilità di definire uno schema paradigmatico, si può dire in ogni caso che le manovre dei soldati erano dirette in ogni fase secondo il piano operativo stabilito e che le direttive erano competenza degli ufficiali.
Dalla media età repubblicana i Romani dotarono le loro forze armate di macchine da getto, e sembra che dalla tarda repubblica in poi le legioni avessero una dotazione regolare di macchinari, anche se nulla spinge a pensare che il loro numero fosse standardizzato se non, forse, nel contesto militare del IV secolo d.C. a quanto riferisce Vegezio.
Con il passare del tempo, le pesanti parti in legno vennero sostituite con parti metalliche, che permettevano di contenere lo spazio occupato senza diminuire, anzi in alcuni casi aumentando, la potenza d’azione: le macchine erano poste su ruote onde favorirne lo spostamento, mentre l’uso di installazioni fisse era riservato agli accampamenti di confine per la fase difensiva contro gli assalti dei barbari e il loro numero e la loro importanza crebbe nel corso del medio principato a motivo anche delle scarse forze di presidio. Anche il numero delle artiglierie mobili da campagna crebbe.
Avendo accentrato a sé il comando militare in quanto depositario dell’imperium supremo, Augusto consentì a Roma un lungo periodo di pace. Fu lui, tra le altre cose, a fondare il volontariato professionale nelle forze armate. L’esercito era costituito da tre componenti: le legioni, formate da cittadini, gli auxilia, formate da peregrini ed una terza componente prettamente urbana e al diretto suo comando, composta dalle coorti pretorie, dalle coorti urbane e dalle coorti dei vigili, distinguendosi in tal modo dalle prime due inviate nelle province dell’impero e nelle regioni non pacificate.
L’organico della legione si stabilizzò intorno ai 5500 uomini, in 10 coorti di fanteria pesante, costituite ciascuna da sei centurie di 80 uomini (tranne la prima che ne aveva 160). Degli ausiliari si conoscono meno particolari, ma è in questo periodo che entrarono a far parte ufficialmente, quindi come regolari, dell’esercito romano.
Il numero di uomini deputato alla difesa dell’impero variava tra 250.000 e 350.000 uomini, a seconda del momento storico, più o meno equamente divisi tra legionari ed ausiliari. Insieme ad Agrippa, tra il 27 ed il 23 a.C. Augusto si preoccupò anche di riorganizzare le flotte navali: la più importante fu quella stanziata a Miseno, con 50 navi e 10.000 uomini, la seconda fu quella stanziata a Ravenna, mentre il terzo porto militare creato proprio dal princeps a Forum Julii in Provenza non ebbe fortuna e decadde nel giro di pochi decenni.
Oltre a tutto questo, Augusto riformò anche la gerarchia militare: l’imperium maius, cui dovevano sottostare anche le alte cariche (spesso trasmesse per investitura), era concentrato nelle sue mani (quindi in quelle dell’imperatore); il corso degli ufficiali venne regolamentato nella carriera, ad ogni livello delle gerarchie.
Delineata a grandissime linee la situazione dell’esercito romano ai tempi di Vespasiano così come riorganizzata da Augusto, è necessario spendere qualche parola sulla loro tattica. Purtroppo in tal senso le fonti sono piuttosto frammentarie, e le ricostruzioni degli storici si basano anche su argomenti ex silentio, a sottolineare la lacunosità della conoscenza. Qualche risultato è stato comunque raggiunto e, sebbene non risolva tutte le difficoltà, non di meno è di estremo interesse: la coorte si disponeva in modo frontale, con le sei centurie dei tre manipoli affiancate, lasciando spazi purtroppo imprecisabili.
Anche la profondità e l’ampiezza della coorte dipendevano dalla sua dimensione, che dopo Mario variava da 300 a 450 uomini. Le centurie manipolari erano invece serrate in ordine chiuso, cosicché ogni soldato occupava lo spazio di tre piedi (ca. 90cm): tale ordinamento doveva essere di schieramento, dal momento che la manovra in battaglia seguiva inevitabilmente gli ordini dei comandanti che adattavano la loro arte della guerra alla situazione contingente.
Gli schemi tuttavia non dovettero essere molti e, sebbene ogni generale cercasse di guidare il suo esercito con la modalità nella quale aveva maturato più esperienza, gli studiosi ritengono che lo schema tipo fu mutuato dallo schieramento con il quale Cesare dispose le sue truppe affrontando i Pompeiani ad Ilerda, con la cavalleria sulle ali. Ma dagli scritti dello stesso Cesare si apprende che il suo disegno fu dettato dalla personale volontà di non combattere e dall’atteggiamento del generale avversario Afranio.
Dunque, nell’impossibilità di definire uno schema paradigmatico, si può dire in ogni caso che le manovre dei soldati erano dirette in ogni fase secondo il piano operativo stabilito e che le direttive erano competenza degli ufficiali.
Dalla media età repubblicana i Romani dotarono le loro forze armate di macchine da getto, e sembra che dalla tarda repubblica in poi le legioni avessero una dotazione regolare di macchinari, anche se nulla spinge a pensare che il loro numero fosse standardizzato se non, forse, nel contesto militare del IV secolo d.C. a quanto riferisce Vegezio.
Con il passare del tempo, le pesanti parti in legno vennero sostituite con parti metalliche, che permettevano di contenere lo spazio occupato senza diminuire, anzi in alcuni casi aumentando, la potenza d’azione: le macchine erano poste su ruote onde favorirne lo spostamento, mentre l’uso di installazioni fisse era riservato agli accampamenti di confine per la fase difensiva contro gli assalti dei barbari e il loro numero e la loro importanza crebbe nel corso del medio principato a motivo anche delle scarse forze di presidio. Anche il numero delle artiglierie mobili da campagna crebbe.