Perchè scrivere?
Perché si scrive? Secondo un noto critico letterario, il francese Roland Barthes, vi sono almeno 10 buoni motivi perché una persona prenda carta e penna e scriva un testo: coloro che nel I secolo d.C. si presero il compito di scrivere di un certo Gesù detto il Cristo molto probabilmente lo fecero secondo la ragione n° 5 individuata da Barthes: “per assolvere impegni ideologici o contro-ideologici”.
Non bisogna tuttavia confondere l’ideologia dei primi discepoli con il senso di ideologia oggi comune a seguito dei regimi dittatoriali che hanno sconvolto e stanno sconvolgendo la vita di miliardi di uomini: essi infatti si trovarono ad un certo momento della loro vita a dover diffondere la memoria delle azioni del loro maestro ad un pubblico il più vasto possibile, onde evitare che tale memoria si disperdesse nel tempo e nella tomba di coloro che l’avevano direttamente conosciuto.
La maggioranza degli studiosi di critica neotestamentaria assegna a questa letteratura protocristiana una datazione medio-bassa: i Vangeli sarebbero stati scritti in un periodo di tempo che va dal ridosso della seconda guerra giudaica alla fine del I secolo d.C., in un arco cronologico cioè che va dai 35 ai 70 anni dopo la morte di Gesù.
In che modo è stata ottenuta questa datazione? Come si sa, i Vangeli non sono testi ritrovati a seguito di uno scavo archeologico ma sono testi tramandati di copia in copia, non contengono alcuna indicazione cronologica a riguardo della loro composizione e gli stessi autori sono rimasti anonimi rispetto al testo che componevano: insomma, non si possiede alcun elemento diretto di valutazione ed è stato quindi necessario rivolgere il proprio sguardo ad elementi indiretti, cioè ad elementi contenuti nel testo che fosse possibile accostare ad un qualche accadimento conosciuto della storia passata.
Segnatamente, tale accadimento è stato individuato nella distruzione del tempio di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. ad opera delle truppe romane guidate dal futuro imperatore Tito e, di seguito, tutti gli altri scritti sono stati datati in una sorta di cerchio: se Luca scrive qualche tempo dopo il 70, Marco deve aver scritto prima e Giovanni dopo di lui, con Matteo che si pone sostanzialmente allo stesso livello temporale.
È apparso evidente a molti che questo modo di procedere rappresenti in un certo senso il cane che si morde la coda, giacché è molto pericoloso, metodologicamente parlando, ancorare la datazione di un testo a quella di un altro testo.
Non bisogna tuttavia confondere l’ideologia dei primi discepoli con il senso di ideologia oggi comune a seguito dei regimi dittatoriali che hanno sconvolto e stanno sconvolgendo la vita di miliardi di uomini: essi infatti si trovarono ad un certo momento della loro vita a dover diffondere la memoria delle azioni del loro maestro ad un pubblico il più vasto possibile, onde evitare che tale memoria si disperdesse nel tempo e nella tomba di coloro che l’avevano direttamente conosciuto.
La maggioranza degli studiosi di critica neotestamentaria assegna a questa letteratura protocristiana una datazione medio-bassa: i Vangeli sarebbero stati scritti in un periodo di tempo che va dal ridosso della seconda guerra giudaica alla fine del I secolo d.C., in un arco cronologico cioè che va dai 35 ai 70 anni dopo la morte di Gesù.
In che modo è stata ottenuta questa datazione? Come si sa, i Vangeli non sono testi ritrovati a seguito di uno scavo archeologico ma sono testi tramandati di copia in copia, non contengono alcuna indicazione cronologica a riguardo della loro composizione e gli stessi autori sono rimasti anonimi rispetto al testo che componevano: insomma, non si possiede alcun elemento diretto di valutazione ed è stato quindi necessario rivolgere il proprio sguardo ad elementi indiretti, cioè ad elementi contenuti nel testo che fosse possibile accostare ad un qualche accadimento conosciuto della storia passata.
Segnatamente, tale accadimento è stato individuato nella distruzione del tempio di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. ad opera delle truppe romane guidate dal futuro imperatore Tito e, di seguito, tutti gli altri scritti sono stati datati in una sorta di cerchio: se Luca scrive qualche tempo dopo il 70, Marco deve aver scritto prima e Giovanni dopo di lui, con Matteo che si pone sostanzialmente allo stesso livello temporale.
È apparso evidente a molti che questo modo di procedere rappresenti in un certo senso il cane che si morde la coda, giacché è molto pericoloso, metodologicamente parlando, ancorare la datazione di un testo a quella di un altro testo.