Cielo e Inferno

Emanuel Swedenborg

W E B   L I B R O

(40) I RICCHI E I POVERI IN CIELO


(357) Sull’ingresso in Cielo esistono opinioni diverse; alcuni sostengono che soltanto i poveri, e non i ricchi possono entrarvi, altri ritengono che vi abbiano accesso sia i ricchi che i poveri. Altri ancora dicono che i ricchi possono esservi ricevuti soltanto se rinunciano ai loro beni e divengono come i poveri. Però coloro che stabiliscono delle differenze tra i ricchi e i poveri con riferimento al Cielo, non comprendono la Scrittura. Coloro che ne intendono solo il significato naturale, ma non vedono quello spirituale, cadono nell’errore nell’interpretazione di diversi passaggi, specialmente per quello che riguarda i ricchi e i poveri. Per esempio, il passaggio che afferma che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri in paradiso; o l’altro che dice che è facile per i poveri entrare in Cielo appunto perché sono poveri: Beati i poveri perché di loro è il regno dei Cieli (Luca VI, 20). Coloro che hanno qualche conoscenza del senso spirituale della Scrittura pensano in modo diverso, sanno che il Cielo è per tutti una vita di fede e d’amore, ricchi o poveri che siano. Dirò ora che cosa intende la Scrittura con ricchi e poveri. In base a numerosi incontri con gli angeli, mi è stato concesso di sapere con certezza che i ricchi accedono al Cielo con la stessa facilità dei poveri e che l’uomo non è escluso dal Cielo per il fatto di essere nell’abbondanza, né ricevuto in Cielo perché è nell’indigenza. Là ci sono i ricchi come i poveri, e molti ricchi si trovano in una gloria e in una felicità più grandi di quelle godute dai poveri.

(358) Prima di tutto mi è permesso di dire che l’uomo può acquisire delle ricchezze e accrescere la propria opulenza se ha occasione di farlo, purché non lo faccia con furberia o cattive azioni. Può mangiare bene e in modo raffinato, purché non ne faccia lo scopo della sua vita. Può abitare in case magnifiche a seconda della sua condizione, conversare con gli amici, frequentare luoghi di divertimento, parlare delle cose del mondo. Non è necessario che cammini in atteggiamento costantemente devoto, con viso triste, gemendo con la testa bassa, ma può essere gaio e gioioso. Non è neppure necessario che regali quello che ha ai poveri, a meno che non ne sia indotto da un sentimento d’amore. In una parola, può vivere nella forma esteriore come un uomo di mondo; e questo non gli impedisce affatto di entrare in Cielo, ammesso che dentro di sé pensi come si conviene con riferimento a Dio, che agisca con sincerità e giustizia verso il prossimo. L’uomo in effetti è come sono i suoi pensieri e i suoi sentimenti, oppure la sua fede e il suo amore; gli atti sono la diretta conseguenza dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. E’ dunque evidente che quello che conta è l’interiorità dell’uomo. Per esempio, chi non inganna nessuno per timore delle leggi, per non perdere il buon nome o per altri motivi simili, è una persona che ingannerebbe certamente se lo potesse. Invece chi agisce sinceramente e non inganna nessuno perché ingannare significa agire contro Dio e contro il prossimo, non saprebbe ingannare nessuno anche se potesse farlo. Gli atti dell’uno e dell’altro sembrano simili nella forma esterna, ma sono del tutto diversi nella forma interiore. Infatti il primo è all’inferno, il secondo in Cielo.

(359) Dato che l’uomo, nella forma esteriore, può vivere come gli altri, diventare ricco, organizzare delle cene, abitare e vestirsi elegantemente secondo la sua condizione e la sua attività, godere dei piaceri della società, occuparsi di cose mondane e di affari a condizione che dentro di sé riconosca Dio e sia benevolo verso il prossimo, è evidente che entrare in Cielo non è così difficile come si potrebbe pensare. La sola difficoltà è resistere all’amore per se stessi e per il mondo e impedire che prenda il sopravvento, perché è di lì che derivano tutti i mali. Queste parole del Signore mostrano che non è tanto difficile entrare in Cielo: Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristori per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero (Matteo XI, 29-30). Il giogo del Signore è leggero perché se l’uomo resiste ai mali derivanti dall’amore di sé e del mondo, è condotto dal Signore e non da se stesso; così il Signore l’aiuta a resistere ai mali e a gettarli lontano.

(360) Ho conversato con alcuni spiriti che durante la loro vita terrena avevano rinunciato al mondo e si erano dedicati a una vita quasi solitaria, allo scopo di occuparsi di pie meditazioni e staccare il loro pensiero dalle cose mondane, nella convinzione di poter così entrare in Cielo. Nell’altra vita essi hanno un carattere triste, disprezzano quelli che non assomigliano a loro, si indignano per il fatto di non godere di più gioie degli altri ritenendo di averle ben meritate. Non si preoccupano degli altri, si astengono dai doveri della carità - che sono in realtà quelli che creano l’unione col Cielo. Questi spiriti desiderano il Cielo più degli altri, ma quando vengono introdotti là dove sono gli angeli, portano con sé delle ansietà che turbano la felicità degli angeli. Sono dunque separati da loro e dopo la separazione si recano in luoghi deserti dove conducono una vita analoga a quella che conducevano nel mondo. L’uomo non può essere formato per il Cielo che attraverso i mezzi offerti dal mondo, e questi mezzi sono in primo luogo quelli della carità verso il prossimo; non esiste infatti una vera vita di pietà senza carità. Così avviene che i gesti di carità di una persona che vive nel mondo e negli affari possono essere più numerosi di quelli di chi vive in isolamento. E in effetti un buon numero di coloro che sono vissuti nel mondo e hanno praticato il commercio diventando ricchi, sono in Cielo. In minor numero invece sono coloro che nel mondo sono pervenuti agli onori e alle ricchezze amministrando la giustizia e la legge: costoro infatti spesso hanno finito per amare se stessi più del Cielo e si sono allontanati col pensiero dal divino.

(361) I ricchi in Cielo vivono più degli altri nell’opulenza, certuni abitano in palazzi risplendenti d’oro e d’argento. Hanno in abbondanza tutte le cose che servono agli usi della vita, tuttavia il loro cuore aderisce agli usi stessi, e non alle cose. Nel mondo essi hanno amato l’uso che si può fare delle cose, ed è per questo che per loro ora le cose risplendono come oro e argento. Il buon uso delle cose consiste nel provvedere per sé e i propri cari le cose necessarie alla vita, a cercare l’abbondanza in vista della patria e del prossimo, ai quali il ricco - più del povero – può fare del bene. Nella misura in cui le ricchezze sono considerate in vista del bene per il quale possono essere utilizzate, esse sono buone e portano al Cielo.

(362) Tutta diversa è invece la sorte dei ricchi che non hanno creduto al divino e hanno allontanato dalla propria anima le cose che appartengono al Cielo e alla Chiesa. Essi si trovano all’inferno, dove non trovano che miseria e indigenza. E’ così che vengono trasformate le ricchezze quando se ne fa lo scopo della vita, se ne fa un uso solo personale e terreno, non le si mette al servizio degli altri. Nell’altra vita queste ricchezze marciscono come un corpo senz’anima e come una terra umida senza la luce del Cielo. Tale è la sorte di coloro che amando le ricchezze hanno distolto lo sguardo dal Cielo.

(363) Ognuno conserva dopo la morte i propri desideri e i propri affetti dominanti; essi gli restano per l’eternità perché lo spirito dell’uomo corrisponde in pieno al suo amore. Con riferimento a ricchi e poveri, le ricchezze di coloro che le hanno usate a buoni fini sono trasformate in cose piacevoli e utili; quelle che sono servite a fini malvagi sono trasformate in sporcizia - che tuttavia conservano per coloro che così hanno agito il fascino delle voluttà impure della terra.

(364) I poveri entrano in Cielo non a causa della loro povertà, ma della loro vita. Ognuno porta con sé la propria vita, ricca o povera che sia stata. Non c’è misericordia particolare per uno piuttosto che per un altro; chi ha vissuto bene è ricevuto in Cielo, chi ha vissuto male è rifiutato. Inoltre sia la povertà che l’opulenza possono allontanare l’uomo dal Cielo. Molti poveri non sono contenti della loro sorte, hanno grandi ambizioni e credono che le ricchezze siano delle benedizioni; se non riescono a ottenerle si irritano e pensano male della divina provvidenza. Invidiano agli altri tutti i loro beni, li ingannano quando se ne presenta l’occasione e vivono in voluttà impure. Diversamente avviene dei poveri che sono contenti della loro sorte, diligenti nel loro lavoro, preferiscono essere operosi che oziosi e agiscono con sincerità e fedeltà vivendo al tempo stesso una vita cristiana. Mi sono più volte intrattenuto con spiriti che erano stati contadini o comunque gente povera, e che in vita avevano creduto in Dio e avevano agito con giustizia e onestà nel loro lavoro. In Cielo essi conducevano una vita felice ed erano istruiti dagli angeli sulla fede e la carità.

(365) Da quanto fin qui detto, si vede chiaramente che sia i ricchi che i poveri possono accedere al Cielo, senza differenze di alcun genere. Si crede che i poveri vi pervengano con più facilità perché non è capito il passaggio della Scrittura che li riguarda. Nel senso spirituale, i ricchi sono coloro che hanno in abbondanza la conoscenza del bene e del vero, e coloro che sono all’interno della Chiesa e conoscono la Scrittura. I poveri sono coloro che non possiedono questa conoscenza e che tuttavia la desiderano, e anche coloro che sono fuori dalla Chiesa e non conoscono la Scrittura. Quando Matteo (XIX, 24) dice che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei Cieli, intende colui che lo è nei due sensi, quello naturale e quello spirituale. Nel senso naturale, il ricco abbonda in ricchezza e le ama con tutto il cuore; nel senso spirituale è inteso colui che abbonda di scienza e conoscenza, che sono le ricchezze spirituali, e che attraverso queste vuole entrare in Cielo. Ed è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago prima che questo possa avvenire. Nel senso spirituale il cammello significa la facoltà di apprendere e la conoscenza in generale; la cruna di un ago è la verità spirituale. Oggi nessuno sa che il cammello e la cruna di un ago hanno questi significati, perché fino ad oggi la scienza che insegna il senso spirituale contenuto nella lettera della Scrittura non è stata ancora rivelata. In effetti ogni parola della Scrittura ha un senso naturale e un senso spirituale. La Scrittura è stata infatti composta attraverso le corrispondenze delle cose naturali con le cose spirituali. In Arcana Coelestia sono rivelati molti di questi significati spirituali.