Cielo e Inferno

Emanuel Swedenborg

W E B   L I B R O

(56) NON È DIFFICILE COME SI CREDE CONDURRE LA VITA CHE PORTA AL CIELO


(528) Certe persone credono che sia difficile condurre la vita che porta al Cielo, vita chiamata spirituale. Lo credono perché hanno sentito dire che l’uomo deve rinunciare al mondo, privarsi di quelle che sono chiamate le concupiscenze del corpo e della carne, che deve vivere spiritualmente rifiutando le cose mondane che sono soprattutto ricchezze e onori. Credono anche di dover stare continuamente in pie meditazioni su Dio, sulla salvezza e la vita eterna, di dover passare la vita in preghiera, leggendo la Scrittura e libri di pietà. Mi è stato invece concesso di sapere attraverso conversazioni con gli angeli che le cose non stanno affatto così. Ho anche saputo da loro che quelli che rinunciano al mondo e vivono spiritualmente in questa maniera si preparano una vita triste che non sarà capace di accogliere la gioia celeste, perché ognuno conserva la propria vita. Per ricevere la vita del Cielo, l’uomo deve vivere a tutti gli effetti nel mondo, negli affari e in attività: allora riceverà la vita celeste attraverso la vita morale e civile. La vita spirituale deve essere formata in questo modo. Vivere una vita interiore senza una vita esteriore è come abitare in una casa senza fondamenta, che poco a poco si riempie di crepe e si indebolisce fino a crollare.

(529) Se si considera la vita dell’uomo razionalmente, si scopre che essa è tripla, cioè spirituale, morale e civile, e queste vite sono distinte. Certi uomini vivono una vita civile, senza una vita morale e spirituale. Altri ancora vivono una vita civile e una vita morale, ma non una vita spirituale; altri invece vivono tutte e tre le vite, cioè vivono una vita del Cielo, mentre gli altri vivono la vita del mondo separata da quella del Cielo. Si può così vedere che la vita spirituale non è separata da quella naturale e dalla vita del mondo, ma è ad essa congiunta come l’anima è congiunta al corpo. Se fosse separata, sarebbe come abitare in una casa senza fondamenta. In effetti la vita morale e civile è la vita spirituale in azione. Se queste vite sono separate, la vita spirituale diviene un fatto intellettuale non sostenuto dalla volontà.

(530) Da quello che seguirà si può vedere che non è difficile come si crede condurre la vita che porta al Cielo. Qual è l’uomo che non è in grado dicondurre una vita civile e morale ? Ognuno fin dall’infanzia viene istruito in questo senso. Tutti, i malvagi come i buoni, conducono questa vita perché vogliono passare per sinceri e giusti. Quasi tutti praticano queste virtù esteriormente, come se agissero sincer amente e giustamente. L’uomo spirituale deve vivere alla stessa maniera, può farlo con la stessa facilità dell’uomo naturale, con la differenza però che l’uomo spirituale crede in Dio. Egli agisce sinceramente e giustamente non per la sola ragione che ciò è conforme alle leggi civili e morali, ma anche perché ciò è conforme alle leggi divine. Quest’uomo pensa alle cose divine quando agisce ed è quindi in comunicazione con gli angeli. Egli è allora guidato dal Signore senza che se ne renda conto. Ciò che fa di sincero e di giusto in base ala vita morale e civile, lo fa su base spirituale. La sua giustizia e la sua sincerità appaiono esteriormente del tutto simili a quelle dell’uomo naturale e persino a quelle dei malvagi, ma interiormente sono del tutto dissimili. In effetti i malvagi agiscono giustamente e sinceramente solo in vista di se stessi e del mondo. Se non temono le leggi e le pene e neppure la perdita della reputazione, dell’onore, del lucro e della vita, agiscono senza sincerità e senza giustizia perché non temono né Dio né alcuna legge divina. L’uomo spirituale può quind vivere alla stessa maniera dell’uomo naturale nella vita civile e morale, con la differenza che il suo uomo interiore, ovvero la sua volontà e il suo pensiero, sono congiunti a Dio.

(531) Le leggi della vita spirituale, della vita civile e della vita morale sono insegnate anche nei dieci precetti del Decalogo. I tre primi precetti contengono le leggi della vita spirituale, i quattro successivi della vita civile e i tre ultimi quelle della vita morale.

(532) Tutti sanno che i pensieri sono guidati e condotti dalle intenzioni e dallo scopo che l’uomo si propone. In effetti il pensiero è la vista interiore dell’uomo, e questa vista si comporta come quella esteriore, cioè si rivolge e si ferma là dove vuole l’intenzione. Se dunque la vista interiore o il pensiero si rivolgono verso il mondo e qui si fermano, il pensiero diviene mondano. Se si rivolge verso di sé e verso gli onori rivolti a se stessi, diviene corporale; ma se si rivolge verso il Cielo, diviene celeste e di conseguenza si eleva. E’ l’amore dell’uomo che crea le sue intenzioni e che determina la vista interiore dirigendo i pensieri verso gli oggetti del suo amore. L’amore di se stessi si rivolge verso se stessi e ciò che ha a che fare con se stessi; l’amore del mondo verso le cose mondane, e l’amore del cielo verso le cose celesti. 

(533) E’ evidente quindi che non è poi così difficile come si potrebbe credere condurre la vita del Cielo. Basta che l’uomo, quando il suo spirito è attratto verso qualcosa che gli sembra non sincero e ingiusto, pensi che questa cosa non si può fare perché è contraria ai precetti divini. Se l’uomo si abitua a pensare così e ne contrae la consuetudine, poco a poco si unisce al Cielo. Nella misura in cui ciò avviene, il suo spirito si apre e comprende in che cosa consistono la non-sincerità e l’ingiustizia. Vede quindi i mali e può dissolverli, perché un male non può essere dissolto che dopo che è stato visto. L’uomo possiede la libertà, quindi può pensare liberamente ciò che vuole. Quando l’uomo si è iniziato a questo stato, il Signore attiva in lui ogni bene: fa sì che veda i mali, che non li voglia e li abbia infine in avversione. E quanto è inteso nelle parole del Signore: Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero (Matteo XI, 30). Bisogna però sapere che la difficoltà di pensare così e di resistere ai mali cresce nella misura in cui l’uomo fa i mali per volontà propria. Vi si abitua talmente che non li vede e infine arriva ad amarli. Dato che gli procurano piacere, li scusa, li conferma con illusioni di ogni genere e arriva a dire che sono permessi e sono addirittura dei beni. Questo capita a coloro che fin dall’adolescenza si precipitano senza ritegno nei mali e al tempo stesso rifiutano le cose divine.

(534) Un giorno mi fu rappresentato un cammino che conduce al Cielo e all’inferno. Esso era largo, rivolto a sinistra o verso settentrione, e un gran numero di spiriti lo seguiva. A una certa distanza, nel punto in cui questo cammino terminava, c’era una pietra molto grande; da questa pietra partivano due strade, una che andava a destra e una a sinistra. Quella di sinistra era chiusa e stretta e portava verso mezzogiorno, cioè verso la luce del Cielo. Quella di destra era larga e spaziosa e portava obliquamente in basso, verso l’inferno. Vidi tutti quegli spiriti che camminavano separarsi alla biforcazione segnata dalla grande pietra. I buoni voltavano a sinistra ed entravano nel cammino stretto che portava al Cielo. I malvagi però non vedevano la pietra, vi inciampavano e si ferivano. Dopo essersi alzati, correvano nel cammino largo che andava verso l’inferno. In seguito mi fu spiegato che cosa significava tutto ciò: la prima strada larga e il gran numero di spiriti, buoni e malvagi, che camminavano insieme e parlavano tra loro come amici, rappresentavano coloro che esteriormente vivono allo stesso modo, sinceramente e giustamente, senza alcuna differenza apparente. La pietra posta alla biforcazione sulla quale cadevano i malvagi che poi correvano verso la strada che conduceva all’inferno, rappresentava la divina verità, negata da coloro che guardano verso l’inferno. Questa stessa pietra, nel suo significato supremo, rappresenta la divina umanità del Signore. Al contrario, coloro che riconoscevano la divina verità e al tempo stesso la divinità del Signore, imboccavano il cammino che conduceva al Cielo. Mi è stato così mostrato una volta di più che i malvagi come i buon i conducono una vita simile esteriormente o seguono lo stesso cammino, tutti con la stessa facilità. Tuttavia coloro che riconoscono la divinità del Signore, sono guidati verso il Cielo; gli altri invece vanno all’inferno. I pensieri dell’uomo, che procedono dall’intenzione o dalla volontà, sono rappresentati nell’altra vita da strade. Ne consegue che gli spiriti vengono riconosciuti dalle strade che intraprendono. Compresi allora chiaramente il significato di queste parole del Signore: Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto è stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano ! (Matteo VII, 13- 14). Il cammino che conduce alla vita è stretto e pochi lo trovano, però trovarlo non è difficile. La pietra che si trovava all’angolo dove finiva la via larga e comune, illustra chiaramente le parole del Signore: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo. Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà e a chi cadrà addosso, lo stritolerà (Luca XX, 17-18).

(535) Mi è stato concesso di conversare nell’altra vita con persone che sulla terra si erano allontanate dagli affari del mondo per vivere piamente o santamente. Ho parlato anche con altri che avevano imposto a se stessi vari patimenti credendo così di rinunciare al mondo e domare le concupiscenze della carne. Tuttavia la maggior parte di queste persone, avendo condotto una vita triste ed essendosi allontanate dalla vita di carità, vita che può essere condotta soltanto nel mondo, non possono unirsi agli angeli, perché la vita degli angeli è felice e lieta e consiste nel fare delle buone azioni che sono opere di carità. Inoltre coloro che hanno passato la loro vita fuori dalle cose del mondo, coltivano l’idea del merito e di conseguenza desiderano continuamente il Cielo e pensano alla gioia celeste come a una ricompensa, ignorando assolutamente in che consiste la gioia celeste. Quando queste persone vengono introdotte tra gli angeli e nella gioia angelica, si stupiscono grandemente, perché la gioia angelica rifiuta l’idea del merito e prevede invece l’esecuzione di doveri da cui deriva la beatitudine. Dato che non hanno la capacità di ricevere questa gioia, queste persone si ritirano e si associano a coloro che nel mondo hanno condotto una vita simile alla loro. Le persone che sono vissute santamente dal punto di vista esteriore, sempre in preghiera nei templi, che hanno afflitto le loro anime e hanno continuamente pensato che in questo modo si sarebbero guadagnati maggiore stima e maggiori onori degli altri, e sarebbero stati considerati come santi durante la loro vita postmortale, non entrano in Cielo perché hanno agito soltanto per se stessi. Vanno dunque all’inferno coi loro simili. Altri invece sono nell’inferno dei furbi, perché hanno agito con artificio e inganno, inducendo i semplici a crederli in possesso di una santità divina. In queste condizioni si trovano parecchi santi della religione cattolica romana. Mi è stato consentito di parlare con loro e di vedere chiaramente la vita che essi hanno condotto nel mondo e quella che hanno avuto in seguito. Queste cose mi sono state dette per mostrare che la vita che conduce al cielo è una vita nel mondo, ma non distaccata dal mondo. Una vita di pietà senza la carità, che può essere esercitata soltanto nel mondo, non conduce al Cielo. Vi si accede invece attraverso una vita di carità, che consiste nell’agire sinceramente e giustamente in ogni funzione, affare, impiego, in base a una motivazione interiore, e di conseguenza di origine celeste. Questa vita non è difficile; è difficile invecei la vita di pietà separata dalla vita di carità, che allontana dal Cielo in misura direttamente proporzionale al convincimento che essa invece conduca al Cielo.