Sentenze della Cassazione
In Italia, ma credo in tutta Europa, la magistratura non ha la competenza per entrare nel campo delle dinamiche del business e quindi decidere se il licenziamento è realmente o meno dovuto a cambiate dinamiche del mercato.
Rispetto alla singola persona, la magistratura può solo decidere se vi è stata discriminazione o meno.
Questo orientamento ha prodotto a volte delle storture, per cui alcune aziende hanno accusato e quindi licenziato un dipendente o un manager per "scarso rendimento", dopo avegli imposto obiettivi difficilmente raggiungibili. Quindi per motivi di businnes e non per motivi discriminanti.
Ora tuttavia vi sono alcune sentenze della Cassazione che ribaltano questo concetto:
CASS. CIV. SEZ. LAV. DEL 12/06/2013 N° 14758
"....In altri termini a nulla rileva invece il mancato raggiungimento dell'obiettivo fissato dal datore di lavoro se lo stesso non è 'mediamente' raggiungibile e, cioè, se quel medesimo obiettivo non è stato raggiunto - o ragionevolmente non poteva esserlo - da nessuno altro dipendente impegnato nella medesima mansione. Il ragionamento della Cassazione sembra essere assolutamente condivisibile; vero è infatti che la magistratura si è posta il problema di risolvere la prassi datoriale dello stabilire un obiettivo soggettivamente irraggiungibile allo scopo poi di poter comminare, a seguito del (inevitabile) mancato raggiungimento per negligenza del prestatore di lavoro, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Ora invece, sul filone giurisprudenziale che si è andato via via formando, i Supremi Giudici hanno stabilito che il raggiungimento di quello stesso obiettivo non dev'essere valutato soggettivamente, ma oggettivamente, ovvero deve fornirsi prova che, a parità di condizioni, quello stesso risultato era raggiunto dagli altri colleghi, mentre invece non lo era dal lavoratore licenziato e che, per (sola) tale ragione, egli risulta negligente, con una mancanza grave e legittimante (solo in quel caso) il provvedimento espulsivo."
"..Il licenziamento per scarso rendimento: grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare che lo scarso rendimento è conseguenza della negligenza del lavoratore nell’esecuzione della prestazione e che gli obiettivi a lui posti siano stati nella media degli obiettivi assegnati agli altri dipendenti.."
Dall’art. 10, L. n. 604/1966, si desume che non godono della tutela legislativa contro i licenziamenti ingiustificati – e sono, quindi, licenziabili ad nutum – i dirigenti amministrativi e tecnici, cui non si applica né l’art. 18 St. lav. né la L. 604/1966. L’esclusione è stata ritenuta costituzionalmente legittima in virtù del particolare vincolo fiduciario che contraddistingue il rapporto dei dirigenti e che rende improponibile una prosecuzione di tale rapporto con soggetti che non godono più della completa fiducia da parte del datore236. Per espressa previsione dell’art. 3, II comma, della L. n. 108/1990, i dirigenti godono, invece, della tutela contro i licenziamenti discriminatori e il datore di lavoro è tenuto comunque all’obbligo di comunicare il licenziamento in forma scritta (art. 2, II comma, L. n. 108/1990)237.
Occorre inoltre precisare che la mancata applicazione della disciplina legislativa sui licenziamenti individuali è compensata da una diffusa tutela prevista dalla contrattazione collettiva di categoria che, in caso di recesso privo di “giustificatezza”, riconosce al dirigente il diritto ad un’indennità supplementare. A tali fini la contrattazione di categoria prevede a carico del datore di lavoro l’obbligo di comunicare per iscritto la motivazione del licenziamento. In merito ai contenuti della nozione di “giustificatezza”, la giurisprudenza di legittimità è solita escludere una sovrapposizione con le nozioni legali di “giusta causa” e di “giustificato motivo”, ritenendo che la “giustificatezza” sia da valutare, in ragione del carattere fiduciario del rapporto dirigenziale, secondo buona fede e correttezza, ovvero da individuare nella mera assenza di comportamenti pretestuosi da parte del datore di lavoro.
La contrattazione collettiva di alcuni settori ha inoltre riconosciuto ai dirigenti la possibilità di ricorrere ad un Collegio di conciliazione e di arbitrato per l’accertamento della giustificatezza o meno del licenziamento: nella seconda ipotesi – ferma restando la validità del licenziamento – il Collegio ha facoltà di condannare il datore di lavoro al pagamento dell’indennità supplementare, di natura risarcitoria, il cui quantum oscilla tra un minimo ed un massimo di mensilità di retribuzione predeterminato dalla contrattazione collettiva.
Le diverse figure dirigenziali
In dottrina è stata prospettata l’opportunità di distinguere, nell’affollato quadro delle posizioni dirigenziali, tra dirigenza autentica e dirigenti di livello inferiore – le cui mansioni non hanno le caratteristiche proprie del rapporto dirigenziale - , in sostanza equiparabili agli impiegati di grado elevato e che andrebbero perciò tutelati dalla disciplina limitativa dei licenziamenti e non mediante la sola previsione della suddetta indennità.
A questa distinzione peraltro si è uniformata parte della giurisprudenza di legittimità, affermando che il regime legale di libera recedibilità non vale per i così detti pseudo-dirigenti, ovvero i dipendenti ai quali è riconosciuta la qualifica formale di dirigente senza però che le mansioni concretamente svolte siano quelle proprie della qualifica dirigenziale.
È stata poi elaborata sulla scorta di quanto prospettato in dottrina, un’ulteriore distinzione, tutt’interna alla categoria dirigenziale, tra dirigenti apicali, veri e propri alter ego del datore di lavoro in ragione della posizione di vertice ricoperta e dell’autonomia riconosciuta, assoggettati al regime legale di libera recedibilità ed altri dirigenti destinatari della disciplina vincolistica.
Quindi è possibile per i dirigenti "non apicali" poter ugualmente ricorrere alle precedenti sentenze della Cassazione.