Licenziamento
La prima regola per cercare un nuovo lavoro è quella di non cercarlo, ovvero di non farsi licenziare.
La cosa più importante da fare quando si viene licenziati è NON FIRMARE NIENTE. Verrete chiamati nell’ufficio del direttore finanziario. Lì troverete almeno un’altra persona che svolge il ruolo di testimone: serve all’azienda per dimostrare che vi è stata consegnata la lettera di licenziamento.
SE VI PROPONGONO DI FIRMARE UNA LETTERA DI DIMISSIONI RIFIUTATEVI CATEGORICAMENTE.
- Prendete la lettera di licenziamento, NON FIRMATE NIENTE, e andatevene tranquillamente a casa. Nel giro di un paio di giorni vi arriverà comunque una raccomandata. La maggior parte delle agenzie lascia qualche giorno di tempo per prendere dall’ufficio gli effetti personali, questo se prima non ci sono stati evidenti attriti o se la posizione che ricoprite non è particolarmente delicata.
- È probabile che vi verrà offerta una cifra, detta a voce oppure scritta su un foglio di carta anonimo. Magari la cifra vi sembrerà conveniente. Rispondete che ci penserete ma NON FIRMATE NIENTE. Avrete tutto il tempo per rifletterci bene.
- Mentre siete a casa in attesa della raccomandata dall’agenzia contattate un consulente del lavoro. Se non siete gli unici ad essere stati licenziati cercatene uno insieme ai vostri colleghi. Risparmierete sul suo compenso e potreste aver maggior potere contrattuale.
- Non pensate di poter gestire la cosa da soli. Il direttore finanziario della vostra agenzia è più esperto e bastardo di voi, altrimenti non farebbe quel mestiere. Affidarsi a un consulente del lavoro è la scelta giusta: riuscirà a farvi ottenere molto di più di quello che vi è stato offerto . E questo con una normalissima trattativa, quasi sempre senza la necessità andare in causa.
- Non ascoltate chi dice che vi conviene chiudere subito, con quello che vi offre l’agenzia, per evitare di essere bruciati nell’ambiente. Sia a voi sia all’agenzia conviene chiudere presto ma l’iter normale è quello di una trattativa tra il direttore finanziario dell’azienda e colui che vi rappresenta. Questa è una cosa risaputa da tutti. Dall’agenzia che vi sta lasciando a casa e da quella che vi assumerà in futuro.
- Ripeto. Rivolgersi in questi casi a un consulente del lavoro non significa fare guerra alla vostra ex agenzia – succede solo nel caso in cui poi decidiate di fare causa – vuol dire solo tutelarsi al meglio per far valere i propri diritti.
L’ultima cosa da sapere è che il licenziamento comporta sempre uno stress emotivo, non permettete che qualcuno si approfitti della vostra fragilità. Non siete i primi a essere lasciati a casa e, specie di questi tempi, le vostre capacità personali e professionali non c’entrano niente. Avrete tutto il tempo per prendere le decisioni giuste ma soprattutto per ottenere quello che è giusto.
Le attuali regole per il licenziamento
I diversi tipi di licenziamento a seconda dei motivi che lo hanno determinato e dal numero dei soggetti a cui è rivolto. Esistono diversi tipi di licenziamento a seconda dei motivi che lo hanno determinato e dal numero dei soggetti a cui è rivolto.
Licenziamento individuale
Il contratto di lavoro può cessare per dimissioni del lavoratore o per licenziamento da parte del datore di lavoro.
Forma del licenziamento
Il datore di lavoro, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, ha l’obbligo di comunicare in forma scritta al lavoratore la sua volontà di recedere dal contratto. Se la lettera di licenziamento non indica i motivi per cui il datore di lavoro ha deciso di licenziare, il lavoratore può richiederli per iscritto entro 15 giorni dal ricevimento della lettera di licenziamento. Il datore di lavoro nel termine di 7 giorni dal momento del ricevimento della richiesta di motivi deve fornirli per iscritto al lavoratore. E’ inefficace il licenziamento intimato verbalmente, o comunque senza forma scritta, e pertanto deve ritenersi tam quam non esset.
Non è richiesta la forma scritta per procedere al licenziamento di:
- lavoratori domestici;
- lavoratori in prova;
- lavoratori ultrasessantenni che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro.
L’art. 3 prevede tre ipotesi di inefficacia del licenziamento:
- mancanza della forma scritta del licenziamento;
- mancata comunicazione dei motivi del licenziamento a seguito di tempestiva richiesta avanzata dal lavoratore;
- tardiva comunicazione dei motivi del licenziamento.
Giusta causa e giustificato motivo
Un licenziamento può considerarsi efficace se sorretto da:
- giusta causa;
- giustificato motivo, oggettivo o soggettivo
Per giusta causa ai sensi del codice di civile art. 2119, deve intendersi un inadempimento, contrattuale o extracontrattuale, del lavoratore talmente grave da non permettere neanche la prosecuzione temporanea del rapporto. Sussistendo tali presupposti il datore di lavoro può procedere al licenziamento in tronco del lavoratore, senza obbligo di preavviso. I casi individuati dalla giurisprudenza sono notevoli e passano dal furto aziendale, alla trasmissione di notizie riservate alla grave insubordinazione (inadempimento di natura contrattuale), fatti privati costituenti reato se in connessione con il rapporto di lavoro e le mansioni espletate (inadempimento di natura extracontrattuale). Non è mai considerata giusta causa di licenziamento l’avvenuto fallimento dell’ imprenditore o amministrazione coatta amministrativa dell’azienda. La giurisprudenza, invece, considera giusta causa di licenziamento anche fatti molto gravi non commessi nell’ambito della prestazione lavorativa, ad es. spaccio di droga o rapina non commesse nei confronti del datore di lavoro. Per evitare contrasti spesso i contratti collettivi spesso indicano i fatti qualificabili come giusta causa di licenziamento.
Giustificato motivo soggettivo
Per giustificato motivo soggettivo (art. 3 legge 604/66) va invece inteso un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore. A differenza dell’ inadempimento che da luogo a giusta causa, il giustificato motivo soggettivo è caratterizzato dalla sua minore gravità e dalla natura esclusivamente contrattuale. Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il rapporto non si estingue subito ed il datore di lavoro è tenuto a concedere un periodo di preavviso ovvero, a sua discrezione, può corrispondere al lavoratore una indennità sostitutiva di preavviso. Esempi di giustificato motivo oggettivo sono considerati l’abbandono del posto di lavoro, l’assenza ingiustificata, la violazione dei doveri di diligenza ed obbedienza. Se il licenziamento ha carattere disciplinare, preventivamente, va esperita la procedura di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori. L’addebito va contestato ed il lavoratore va sentito a discolpa. Il licenziamento potrà essere effettuato, è sarà formalmente valido, trascorsi 5 giorni dalla contestazione scritta.
Giustificato motivo oggettivo
Il licenziamento può, altresì, trovare causa in particolari situazioni negative aziendali, ”ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa” (art. 3 legge 604/66). Tali situazioni prescindono da comportamenti imputabili al lavoratore. Trattasi del c.d. licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Affinché si possa procedere a licenziamento per giustificato motivo oggettivo è richiesta una duplice condizione: l’effettività delle esigenze aziendali indicate nella lettera di licenziamento e l’esistenza del nesso di causalità tra tali esigenze e il licenziamento stesso.
Licenziamento disciplinare
L’art 7 della L. 300\1970 ( Statuto dei Lavoratori) detta le regole necessarie perché il datore di lavoro, a fronte di un notevole inadempimento possa intimare al lavoratore il licenziamento come sanzione disciplinare in ragione del suo comportamento manchevole del lavoratore. Preventivamente il datore di lavoro ha l’obbligo di esporre nel luogo di lavoro il c.d. codice disciplinare; successivamente deve contestare per iscritto gli addebiti specifici mossi al lavoratore;deve concedere un termine al lavoratore per consentirgli di spiegare le sue ragioni a gli addebiti mossigli; Nel caso in cui il datore di lavoro irroghi il licenziamento disciplinare senza il rispetto delle regole di cui all’art. 7 dello statuto dei lavoratori, il provvedimento è inefficace.
Il licenziamento discriminatorio
Per licenziamento si intende il provvedimento determinato da ragioni di fede religiosa o di credo politico ai sensi dell’art 15 dello Statuto dei Lavoratori e dell’art. 3 della L. 604\1966. Tale licenziamento deve considerarsi sempre nullo, indipendentemente dalle motivazioni addotte dal datore di lavoro ed indipendentemente dal numero dei dipendenti darà sempre luogo a un autotutela reale, ovvero reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, come se non fosse mai stato licenziato e risarcimento del danno superiore alle 5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, indipendentemente dal le dimensioni dell’azienda.
IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO
Qualora il lavoratore ritenga il licenziamento illegittimo può impugnarlo entro 60 giorni dalla sua comunicazione o dalla comunicazione dei motivi, se avvenuta posteriormente. L’art. 6 della L. n. 604 prevede che l’impugnazione sia fatta con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore licenziato, anche stragiudiziale, anche tramite lettera raccomandata spedita al datore di lavoro. La comunicazione può essere trasmessa anche dal sindacato o dal legale del lavoratore ma deve essere da questi controfirmata. Il lavoratore può sceglie di impugnare il licenziamento direttamente in via giudiziale. In tal caso al fine di evitare decadenze dovrà depositare un ricorso nella cancelleria del Tribunale territorialmente competente, previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
La tutela reale
Quando si versa in ipotesi di annullamento del licenziamento ingiustificato, di nullità del licenziamento discriminatorio o nel caso di dichiarazione di inefficacia del licenziamento per difetto di forma, si applica l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (modificato dalla L. n. 108/1990) nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori o meno, che occupano:
- più di 15 dipendenti (5 se agricoli) in ciascuna unità produttiva: sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, dove è avvenuto il licenziamento;
- più di 15 dipendenti (5 se agricoli) nell'ambito dello stesso Comune, anche se ciascuna unità produttiva non raggiunge il limite;
- più di 60 dipendenti complessivamente se nell'unità produttiva interessata sono occupati meno di 16 dipendenti.
Dal computo dei dipendenti, ai fini dell’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, vanno esclusi i lavoratori assunti con contratto a termine, gli apprendisti, il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea retta e collaterale. Al contrario, ai fini del calcolo delle soglie occupazionali si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro e i lavoratori a tempo indeterminato part – time per la quota effettivamente di orario effettivamente svolta. Se il licenziamento è dichiarato illegittimo, il datore di lavoro deve risarcire il danno subito dal lavoratore, danno che viene quantificato in misura pari al pagamento della retribuzione globale di fatto, in misura non inferiore a 5 mensilità. Se però il lavoratore prova di essere rimasto disoccupato dal licenziamento e sino alla reintegra avrà diritto a percepire anche tutte le mensilità maturate nel periodo. Tale risarcimento prevede anche il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. Ottenuta la reintegra il lavoratore può rinunciare alla stessa e chiedere l’indennità sostitutiva della reintegra la cui corresponsione comporta la risoluzione del rapporto di lavoro.
La misura dell’indennità è pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto e va a sommarsi alle somme eventualmente dovute a titolo risarcimento. Tale opzione può essere esercita solo dal lavoratore e va richiesta entro 30 giorni dall'invito a riprendere il lavoro. Se il lavoratore, entro 30 gg. dal ricevimento dell’ invito del datore di lavoro, non riprende il lavoro, e se entro 30 giorni dal deposito della sentenza non ha richiesto il pagamento della indennità sostitutiva, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei suddetti termini. Una ipotesi particolare è data dal licenziamento illecito e discriminatorio che viene sempre considerato nullo e comporta il diritto alla reintegra nel posto di lavoro in uno con il risarcimento del danno indipendentemente dalle dimensioni occupazionali dell’azienda (art. 3 legge 108/90). La norma si applica anche nei confronti del licenziamento del dirigente ed è valida in tutti i casi in cui sussiste la libera recedibilità dal rapporto.
La tutela obbligatoria
Se l’azienda non risponde ai requisiti dimensionali previsti dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori, la tutela del lavoratore illegittimamente licenziato si riduce considerevolmente. Se è vero che è previsto un obbligo di riassunzione del lavoratore dall'art. 2 L. n. 108/1990 (che ha ampliato l'art. 8 della L. 604), è pur vero che, nella pratica, chi presta la propria opera in aziende che hanno un organico:
- fino a 15 dipendenti (5 se agricoli) in ciascuna unità produttiva;
- fino a 60 complessivamente se nell'unità produttiva interessata sono occupati meno di 16 dipendenti.
in organizzazioni di tendenza, cioè datori non imprenditori che svolgono attività senza fini di lucro (sindacati, partiti politici, associazioni religiose, culturali) difficilmente si vedrà riassumere in quanto, al datore di lavoro, è concessa una opzione tra la riassunzione ed il pagamento di un'indennità, a titolo di danno. Quest'ultima viene ricompresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione al numero dei dipendenti, alla dimensione dell'impresa, all'anzianità, al comportamento e alle condizioni delle parti. I casi in cui può concretizzarsi un licenziamento discriminatorio sono vari e possono comprendere tanto la partecipazione ad attività sindacali o politiche, quanto discriminazioni basate sul sesso, sulla razza, sulla religione.
Licenziamento collettivo e messa in mobilità
Con il termine mobilità si indica il licenziamento collettivo, che l'imprenditore può adottare solo in presenza delle due seguenti condizioni:
- l'imprenditore, che ha già in atto sospensioni dal lavoro con intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria, ritenga di non poter attuare il risanamento o la ristrutturazione necessari al superamento della Cassa (art. 4 legge 223/91.). In questo caso si considera licenziamento collettivo anche se con esso se venga risolto un unico rapporto di lavoro.
- l'imprenditore con più di 15 dipendenti intenda licenziare almeno 5 lavoratori, nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività o di lavoro, o quando lo stesso intenda cessare l'attività (art. 24 legge 223/91).
La procedura per la messa in mobilità si articola in due fasi:
Fase sindacaleL'imprenditore, prima di procedere al licenziamento, ha il dovere preventivamente informare le rappresentanze sindacali aziendali e i sindacati maggiormente rappresentativi, mediante l’invio di una comunicazione. Essa deve contenere i motivi che impediscono l'adozione di strumenti alternativi al licenziamento e le misure eventualmente programmate per ridurne l'impatto sociale. Alla comunicazione va allegata copia della ricevuta del versamento all’ INPS di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale moltiplicato per il numero dei lavoratori considerati in esubero. Tale versamento costituisce un’anticipazione del contributo di mobilità posto a carico delle aziende, pari a 9 volte il trattamento mensile di mobilità spettante al lavoratore. Tale importo può essere versato in trenta rate mensili e può essere ridotto a tre volte (3 mensilità) nei casi di accordo sindacale (art. 24, comma 3). Nello stesso tempo copia di tale ricevuta unitamente alla copia della comunicazione del datore di lavoro al sindacato devono essere inviate all’ Ufficio provinciale del lavoro. Entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, a richiesta del sindacato, dovrà seguire la c.d fase sindacale, un esame congiunto della situazione, che dovrà concludersi entro 45 giorni, all'esito del quale le parti possono raggiungere un accordo, che individui - tra l'altro - i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in maniera diversa da quelli indicati dalla legge (carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali). In caso di raggiungimento di un accordo tra azienda e organizzazioni sindacali, l’azienda può intimare i licenziamenti collettivi concordati, nel rispetto dei termini di preavviso, senza dover attendere la scadenza dell’ulteriore termine per l’espletamento della seconda fase avanti alla Direzione Provinciale del lavoro, e beneficia della riduzione a 1/3 del contributo da versare all’INPS per il trattamento mensile di mobilità (3 mensilità anziché 9).
Fase innanzi la direzione provinciale del lavoro se la procedura sindacale è stata infruttuosa la legge prevede una fase ulteriore conciliativa in sede amministrativa, su iniziativa del Direttore della Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente. Se in tale sede si raggiunge un accordo, pur nel silenzio della legge si ritiene che l’azienda possa ugualmente beneficiare del pagamento ridotto dell’indennità di mobilità. Esaurita la suddetta procedura, che non deve avere una durata superiore a 75 giorni, se permane ancora le necessità di procedere a licenziamento, il datore di lavoro ha la facoltà di individuare i lavoratori colpire il provvedimento di recesso. Tale individuazione va fatta di seguendo i criteri elencati negli accordi collettivi i oppure ai criteri stabiliti dall'articolo 5, comma 1, legge 223\1991:i esigenze tecnico-produttive ed organizzative, carichi di famiglia e anzianità in concorso tra loro. L’ art. 6 comma 5 bis della L. 19 luglio 1993 n. 236 ha integrato tale disciplina con una disposizione diretta a prevenire forme di discriminazione sessuale nell’ambito - appunto - dei licenziamenti collettivi.
Infatti "L'impresa non può altresì collocare in mobilità una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione". Ad esempio se, nell’impresa una determinata mansione è svolta da 10 persone di cui 5 donne, la collocazione in mobilità (ovvero il licenziamento), nell'ambito degli addetti a tale mansione, non potrà riguardare una percentuale di lavoratrici donne superiore al 50%. L'impresa è poi tenuta a rispettare le percentuali di soggetti invalidi o comunque di assunti obbligatori.
La scelta dei lavoratori da licenziare deve riguardare l'intero complesso organizzativo e produttivo dell'azienda, e non può essere limitata solo ai reparti o agli uffici interessati alla riduzione del personale. Vale a dire che nel caso in cui in altri reparti o uffici della stessa unità produttiva vi siano lavoratori che svolgono mansioni professionalmente simili a quelle interessate alla riduzione, i criteri di scelta devono essere applicati anche nei loro confronti. Lo stesso vale nel caso in cui lavoratori che svolgano mansioni fungibili siano addetti ad altre unità produttive o ad altri stabilimenti dello stesso datore di lavoro: anche questi lavoratori dovranno essere tenuti in considerazione nella scelta del personale da licenziare.
Il datore di lavoro ha il dovere di informare la parte pubblica e le associazioni sindacali indicando i nominativi dei lavoratori licenziati il luogo di residenza, la qualifica, il livello di inquadramento, l'età, il carico di famiglia e le modalità seguite scelta. Il licenziamento deve essere intimato in forma scritta con il rispetto del prescritto preavviso. In caso di mancato il rispetto della procedura di cui agli artt. 4 e 5 della legge 223\1991, i recessi risultano invalidi con applicazione della tutela reale, ex articolo 18 legge 300 /1970 (Statuto dei lavoratori). Anche in questo caso il licenziamento dovrà essere impugnato entro 60 giorni dalla comunicazione.
Il licenziamento, oltre alla funzione di porre fine a rapporto di lavoro, assume anche la funzione di mettere il lavoratore licenziato nelle liste di mobilità che percepirà la corrispondente indennità. L’art. 8 comma 1 della L. 223/91, ha garantito ai lavoratori iscritti alla lista di mobilità a seguito di licenziamento collettivo, il diritto di prelazione all’assunzione. Qualora la società che ha collocato lavoratori in mobilità si trovi nella necessità di procedere a nuove assunzioni, deve dare la precedenza ai propri ex dipendenti. Perché tale diritto di precedenza si applichi devono, peraltro, ricorrere condizioni ben precise. Il diritto è riservato a lavoratori ancora iscritti alle liste di mobilità, e dunque che non abbiano già reperito una nuova occupazione.
L’assunzione deve avvenire nell’ambito di mansioni fungibili, ovvero deve riguardare attività che il lavoratore collocato in mobilità sia in grado di svolgere, sebbene ciò non significhi che la nuova assunzione debba essere destinata a ricoprire proprio lo stesso posto di lavoro prima occupato dal lavoratore licenziato. Le nuove assunzioni devono avvenire entro l’anno, questo essendo il termine di durata del diritto di prelazione.
Domande e Risposte
Ci sono dei casi in cui è vietato licenziare un lavoratore?
Sì, è vietato il recesso del datore di lavoro in caso di matrimonio della lavoratrice, dal giorno della richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio, ed in questo periodo sono nulle anche le dimissioni della lavoratrice, salvo siano personalmente confermate davanti la Direzione Provinciale del lavoro. Il divieto di licenziamento opera inoltre dall'inizio della gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino. Analogamente è nullo il licenziamento del lavoratore causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo di paternità e quello dei lavoratori che abbiano chiesto o fruito del congedo parentale. Vige inoltre il divieto di licenziamento in caso di infortunio o malattia professionale per tutto il periodo previsto dalla legge o dai contratti collettivi. In caso di malattia generica il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per un periodo variabile in relazione all'anzianità di servizio e alla categoria di appartenenza. Analogo divieto di licenziamento sussiste poi per i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, dei candidati e dei membri di commissione interna per un anno dalla cessazione dell'incarico, nonché per i lavoratori eletti a svolgere pubbliche funzioni. In ultimo è vietato il licenziamento dei lavoratori che partecipano ad azioni di sciopero.
Quali tipologie di licenziamento esistono?
Il licenziamento nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato può essere intimato solo per giusta causa o giustificato motivo (soggettivo ed oggettivo).
Posso essere licenziato oralmente?
No, il recesso orale (privo dei requisiti di forma di cui all'art. 2 L. 604/66 come modificato dalla L. 108/90) è inefficace e, pertanto, il rapporto di lavoro prosegue di diritto, con obbligo per il datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni per il periodo dal giorno del licenziamento fino all'effettiva riammissione del dipendente nel suo posto di lavoro.
Esiste un termine per impugnare un licenziamento?
Il lavoratore che desidera impugnare un licenziamento deve farlo entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso.
È possibile instaurare un procedimento giudiziario senza esperire la procedura di conciliazione?
No, l'esperimento preventivo delle procedure di conciliazione è obbligatorio, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Se il ricorso viene proposto in difetto del tentativo il giudice deve sospendere il processo e fissare un termine non superiore a 60 giorni entro cui le parti devono proporre la richiesta del tentativo di conciliazione.
Se viene accertata l’illegittimità del recesso il giudice cosa potrà dichiarare?
A seguito dell'impugnazione del licenziamento il giudice potrà dichiarare
- • L'inefficacia del licenziamento, intimato senza forma scritta, senza indicazione dei motivi ed, in generale, senza le formalità di cui all'art. 2 L. 604/66;
- • La nullità del licenziamento allorché esso sia stato discriminatorio e cioè determinato da ragioni di credo politico, fede religiosa, oppure perché intimato in periodo di divieto per le lavoratrici -madri;
- • L'annullamento del licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo.
Si parla di tutela obbligatoria e tutela reale. Cosa si intende?
La tutela reale è prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dall'art. 1 della L. 108/90. Il giudice con la sentenza che annulla il licenziamento ne dichiara l'inefficacia, ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Inoltre è tenuto a condannare il datore di lavoro ad un risarcimento del danno patito dal dipendente, liquidando un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione. La tutela obbligatoria è prevista dall'art. 8 della L. 604/66, come modificato dall'art. 2 della L. 108/90 e si applica al datore di lavoro che ha un numero di dipendenti non superiore a 15. Con la sentenza che dichiara l'illegittimità del licenziamento, non ricorrendo giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è condannato a riassumere il lavoratore entro tre giorni, oppure a risarcire il danno da questi patito versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
È valido un licenziamento determinato da motivi discriminatori?
No. L'art. 3 della L. 108/90 sancisce l'invalidità del recesso determinato per motivi discriminatori. È discriminatorio il licenziamento determinato da motivi di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, nonché da ragioni razziali, di lingua o di sesso. La sanzione prevista è la nullità.