Il Telelavoro dal punto di vista giuridico
Poichè privi di una loro specifica categoria legale, i telelavoratori sono inevitabilmente chiamati a confrontarsi con il difficile processo di inquadramento nell’ambito delle figure giuridiche tradizionali. Si tratta di un processo che tende ad attribuire al telelavoratore uno degli status giuridici già esistenti e più o meno rispondenti alla specifica tipologia lavorativa.
La prima alternativa che si pone è quella tra autonomia e subordinazione. La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato è di grande importanza nell’ambito del diritto per via del particolare regime di tutele e garanzie che contraddistinguono il lavoro prestato alle dipendenze altrui. Non è semplice tracciare una linea di demarcazione netta tra le due tipologie di lavoro, soprattutto in una fase storica come quella attuale che tende a spostare il confine del lavoro dipendente verso l’area del lavoro indipendente o autonomo (si pensi, ad esempio, alla disciplina del lavoro interinale).
Diversi possono essere i criteri sui quali si basa la distinzione tra le due forme di lavoro: l’assoggettamento o meno del lavoratore ai poteri di direzione, la presenza o l’assenza del coordinamento e del controllo esercitato dal datore di lavoro; l’inserimento o meno del lavoratore nella struttura organizzativa dell’azienda; la presenza o meno (nella prestazione d’opera) delle spese e del rischio tipici di impresa; la proprietà dei mezzi di produzione; l’osservanza di un orario di lavoro giornaliero o settimanale, così come la concessione di giorni di ferie e di riposo senza incidenza sulla retribuzione.
La giurisprudenza corrente tende a configurare i rapporti di lavoro come autonomo o dipendente basandosi sulla reale volontà delle parti contraenti, salvo che la situazione di fatto osservabile in concreto non lasci presumere diversamente. In alcuni casi è il legislatore stesso che si preoccupa di fissare il criterio sulla cui base deve delinearsi il confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Un altro esempio è costituito dai disegni di legge sul telelavoro che stanno transitando in Parlamento. Questi tendono ad inquadrare il telelavoro come rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato basandosi sul criterio del potere di direzione, indirizzo e controllo esercitabile dal datore di lavoro sul telelavoratore oppure rinviando, di volta in volta, a varie leggi in materia di subordinazione e parasubordinazione.
Se è vero che l’ordinamento giuridico tende a tutelare il lavoratore dipendente a scapito del lavoratore autonomo, talvolta riconosce l’applicabilità di una parte della normativa di tutela anche nei confronti di quest’ultimo: ciò avviene quando si configura un rapporto di lavoro parasubordinato. Questa tipologia ingloba quelle prestazioni di lavoro autonome caratterizzate da continuità, coordinamento e prevalente personalità della prestazione.
Il telelavoro è un fenomeno estremamente difficile da afferrare e classificare in termini giuridici, perché spazia da chi offre servizi informatici con gestione pienamente autonoma della propria attività a chi svolge nella sua abitazione lo stesso lavoro che svolgeva in azienda, in modo ancor più controllato e vincolante. Le caselle all’interno delle quali è stato classificato fino ad oggi il diritto del lavoro sembrano insufficienti a contenere la fattispecie telelavoro, caratterizzato da una componente tecnologica in continua evoluzione e da una molteplicità di forme con cui si manifesta, per questo motivo da più parti si richiede l’intervento del legislatore ad innovare la materia. Al tempo stesso, però, un intervento legislativo nella presente fase, in cui si sta sviluppando questa modalità lavorativa, potrebbe ingessare l’istituto e condizionare eccessivamente le sue future manifestazioni.
Allo stato attuale delle cose, viene applicata al telelavoro la disciplina che meglio di attaglia alla fattispecie specifica, tra gli istituti giuridici esistenti:
• lavoro autonomo e di impresa;
• lavoro parasubodinato e lavoro a domicilio;
• lavoro subordinato.