In Cielo e Ritorno

NDE:Esperienze di morte e ritorno in vita

I N D I C E

M.F.

Una signora, M.F., ha sfiorato la morte dopo aver ingerito un grande quantitativo di barbiturici e si è ritrovata in una dimensione le cui caratteristiche non corrispondevano affatto alle sue aspettative. Mi ha spiegato infatti: "Quando in piena lucidità e coscienza decisi di uccidermi, ero convinta che Dio sarebbe stato talmente generoso da perdonarmi. Se un Dio esiste, mi dicevo, deve essere superiore alle debolezze umane. La mia delusione della vita era totale ed ero convinta che nell'aldilà sarei stata aiutata. Quello che ho vissuto è stato però completamente inaspettato: ero fiduciosa che quello che avrei trovato sarebbe stato completamente diverso da quello che lasciavo, che per me era assolutamente deludente, e invece non fu così, anche se alla fine c'è stata una specie di assoluzione. 

Ecco dunque l'esperienza: Vorrei raccontare il mio ritorno, o presunto tale, dal confine. Anni or sono, in seguito a una catena di dispiaceri, malattie, malintesi con i familiari eccetera, decisi di morire. Non condannate le disgraziate creature che arrivano a questa orribile scelta: chi non ha provato la sofferenza di quel momento e dei motivi che portano a questo non può capire.  lo sono una di questi disgraziati, anche se adesso, pur avendo ancora tanti problemi, non oserei ripetere quel gesto. Cercai dunque di uccidermi, ma fui raccolta in tempo, anche se sembra così assurdo che ci fosse ancora tempo: infatti quando mi fui ripresa il direttore del reparto che mi aveva curata fln dall'inizio mi disse: “Io ho fatto l'impossibile, ma non il miracolo. Lei era in condizioni disperate, non l'ho salvata io! Lei è stata rimandata indietro. . . ! ". 

Seppi, dopo, che fui in coma profondo, durato cinque giorni. Arrivai alla soglia? Penso di sì. Posso dire con certezza una cosa: durante lo stato di coma l'essere umano passa attraverso mille esperienze che sogni non sono, e neppure allucinazioni; è una vera seconda vita che ci trascina in un mondo simile al nostro con storie fantastiche ma possibili. Il sogno è spesso nebulosa e sconnesso, ma ciò che ho visto e sentito io è di una chiarezza incredibile, e anche a distanza di anni rammento ogni particolare di ciò che "vidi" e “vissi".

Non so quanto tempo fosse passato dal tragico gesto, ma a un certo punto fui in grado di capire e di pensare. Mi risvegliai sapendo di aver fatto qualcosa ai danni di me stessa, ma non ricordavo né dove né quando e non sapevo se ero viva o morta. Affiorai in un mondo di silenzio. Mi sentii di nuovo un corpo e una mente. Non so come, ma avevo la certezza di non sognare: ero consapevole di me stessa con i miei pensieri, i miei sentimenti, le mie sensazioni, da cui però erano escluse le preoccupazioni della vita di ogni giorno. Ho detto "corpo" ma non è esatto. Il corpo, lo muovo: data l'assenza di qualsiasi dolore fisico, questo mio corpo era leggero, risanato, stavo insomma fisicamente bene; eppure quando dopo qualche giorno ripresi il contatto con l'ambiente, quando cioè uscii dallo stato di coma, mi resi conto che in realtà questo corpo era martoriato da flebo, cannelli, catetere eccetera, perciò necessariamente dolente. 

Gradatamente mi resi conto di essere in una stanza oscura che andò lentamente rischiarandosi, come se avessi fatto io l'abitudine alla penombra e potessi scorgere particolari inizialmente inesistenti. Mi vedevo, ma non dal di sopra: dal punto stesso in cui mi trovavo, vedevo me stessa dov'ero. Vedevo il marmo rosa senza guardarlo. Non so se ero vestita, credo di no, avevo addosso quel telo leggero. Sapevo di avere un corpo perché lo indovinavo sotto la coltre, ma mi sentivo così bene che non ne avevo la sensazione. 

Quella che soffriva era la mente, per il turbinio di pensieri che mi agitavano. Cercai di percepire qualche rumore, la presenza di qualcuno, ma ero sola, desolatamente sola. Aspettavo qualche cosa, qualsiasi cosa, pur di non rimanere ancora distesa, in uno stato di angoscia mentale che cresceva, cresceva. Sapevo, non so per quale misterioso canale, di essere in ambiente ospedaliero, anche se la stanza in cui mi trovavo, una specie di cappella ampia e severa, di tono piuttosto sontuoso anche se spoglia, non assomigliava per niente a un ospedale... 

A un certo punto mi resi conto che una luce abbagliante era stata accesa ai miei piedi, sulla destra, accanto al gran marmo. Era un bel lampione dorato, con uno stelo cilindrico alto quasi due metri, a foggia di lanterna antica, e la sua luce bianchissima si proiettava su di me, pareva illuminare solo me e io parevo assorbirla, però mi consentiva una visione migliore della sala che rimaneva tuttavia in penombra, specie ai quattro angoli. Che freddo, mio Dio, pensavo. Sono viva o morta? Un morto dovrebbe avere dei fiori, qualcuno intorno che pianga. E se sono viva, sto certamente morendo, se nessuno mi assiste. Ma dove sono? 

Mi sembrava che il tempo scorresse lento e sconsolato, e io aspettavo di sapere. Ricordo perfettamente ogni sensazione, tutto era lucidissimo, niente del solito sogno. Ero confusa perché non sapevo se ero viva o morta, né quello che mi aspettava, ma la mia percezione della situazione era perfetta, i sentimenti che provavo erano logici e conseguenti, non c'era nulla di assurdo. Tutto avrebbe potuto essere vero. In quella dimensione sconosciuta aspettai un bel po', e solo la luce del lampione mi dava un po 'di conforto. 

Poi la situazione cambia improvvisamente. Ad un certo punto mi parve che nella luce ci fosse un volto maschile, giovane, pallido, un viso di luce, con occhi neri, severi ma amichevoli e pieni di comprensione. E quegli occhi mi fissavano, mi fissavano. lo comunicai mentalmente con quell'essere e lui mentalmente mi rispose. Fu una lunga conversazione, senza parole. Aiuto! Chiedevo, aiutami chiunque tu sia. Stai calma, ferma e abbi fiducia, mi rispondeva il volto di luce. Ma ho paura, dove mi trovo? Sono morta o viva? Zitta, zitta, calmati. 

Da qualche parte mi giungeva un rumore crescente di voci, molte voci che sembrava discutessero. In un angolo della sala, quello di sinistra in fondo ai miei piedi, ci doveva essere una scala a chiocciola in legno ( più che vederla la intuivo, sapevo insomma che c'era), che portava al piano di sopra. E con la mente vedevo anche il piano di sopra: una stanza severa dal soffitto basso, tipo convento, o qualcosa di simile, intonacata di bianco, con una sola finestrella. 

Diverse figure ammantate di scuro stavano discutendo, di me certamente, lo sapevo. Erano figure senza volto, o con un cappuccio che copriva loro ogni fattezza, parevano dei frati. lo avvertivo le loro parole solo come rumore e capivo con la mente il senso di quello che veniva detto. Seppi così che mi stavano processando, con l'accusa che avevo trasgredito e dovevo pagare. lo però non sapevo ancora se ero viva o morta, per cui non sapevo - e non so ancor oggi - se il giudizio sarebbe consistito nel rimandarmi in terra, dove non volevo andare perché avevo voluto morire, o andare all'inferno. 

C'erano alcune voci che mi difendevano, ma la maggior parte mi accusava e una voce era particolarmente cattiva e spietata: era una voce forte e profonda, che chiedeva con violenza la mia condanna totale. Io rimanevo distesa piena di terrore sul mio marmo, al freddo e in attesa. All'improvviso ci fu un violento sbatter di porte, uno scalpiccio come di gente che si affretti; le voci salivano di tono, specialmente una, la solita, più cattiva e imperiosa che mai. La scala scricchiolò sotto il peso di una moltitudine di persone che inflne si precipitarono nella sala dove mi trovavo io. 

Era un ammasso di figure oscure, vecchie, ricurve. Si gettarono su di me, che ebbi appena il tempo di gettare un'ultima, supplichevole occhiata alla luce; e ancora una volta seppi che dovevo sperare. Io però ero terrorizzata, perchè sentivo che il giudizio era stato negativo, che mi avevano condannata e vedevo quell'ammasso di gente precipitarsi su di me. 

Ma quando stavano per ghermirmi le figure scure si fermarono, non poterono più avanzare: io sfuggii loro dalle mani perché la luce le aveva fermate. Fu la luce ad assolvere me e fermare loro, forse le illuminò sullo sbaglio che stavano facendo. In realtà la luce mi aveva assolto fin dall'inizio: infatti, pur giudicandomi serenamente, aveva sempre continuato ad inviarmi pensieri di speranza. Non fu però vera assoluzione: il giudizio negativo era stato pronunciato, anche se era stato arbitrario, e io avevo dovuto subire fino in fondo quella paura e quella amarezza: le figure infatti erano state fermate a soli pochi centimetri da me. Le flgure ammantate dunque si fermarono, retrocessero, e io seppi - come, non saprei - che venivo assolta. 

Certo mi rimandarono tra i vivi. Era quello il giudizio che temevo? O forse avevo paura di non salvare l'anima mia, visto che togliersi la vita è peccato mortale? Mi sono posta tante volte questo interrogativo, ma non sono mai riuscita a darmi una risposta. Poi l'ambiente cambia: nello stesso momento in cui le figure si bloccarono, cambiò la scena: mi ritrovai in un altro ambiente, non so però se fosse trascorso del tempo oppure no. 

Ebbi tante visioni, alcune delle quali certamente preludevano al risveglio dallo stato di coma, perché i miei ricordi sono popolati di cuffie bianche, camici, camerette luminose. E via via che il coma si faceva più leggero, io mi sentivo fisicamente peggio. Chissà perchè, in quella fase avevo la sensazione di scivolare da una stanza all'altra, sollevata da terra di circa venti o trenta centimetri: e queste visioni sono di una impressionante somiglianza con la realtà che mi circondava e che io non potevo assolutamente vedere né sapere con i normali mezzi conosciuti. 

Altre visioni erano popolare dalle persone della mia famiglia, mio marito, mia figlia, un'altra persona che ha avuto molta importanza nella vita di tutti noi: vedevo me e loro in situazioni diverse dalle solite, ma anche qui si trattava di riflessi della realtà. La prima visione invece no, era stata diversa. 

In seguito, quando dopo tanti giorni fui in grado di alzarmi, stanca e ridotta a un'ombra, cercai a lungo la sala dove si era svolta quella scena, ma non la ritrovai: dove ero stata? Eppure non era stato un sogno, era troppo lucido, reale, coerente.