1952 Nadia McCaffrey
"E' il 7 luglio 1952 ed ho sette anni. Sono una bambina solitaria con molte domande ed un desiderio immenso di conoscenza. Ogni anno trascorro le mie vacanze coi genitori di mia madre a Le Prieure de Beauvezet, nella fattoria che posseggono in Francia, in provincia di Auvergne . L'edificio principale di Le Prieure è vecchio di circa quattro secoli. Anticamente era una cappella e, più tardi, è divenuto un convento con annesso un piccolo cimitero. Alcuni muri sono spessi più di un metro e mezzo ed appartenevano ad una torre ormai in rovina. Col passare dei secoli, il convento è divenuto una grande casa elegante, circondata da un parco pieno di fiori, piante rare ed alberi, posta sulla cima di una collina. C'è ancora un passaggio sotterraneo, usato un tempo per scappare in caso di invasione.
Questo è il punto dove mi trovavo quel giorno, poiché amo i fiori, specialmente quelli dei piselli selvatici dolci che crescono a profusione fra il grano dorato, avevo deciso di coglierne un pò.....Non posso resistere! Corro nel campo, nell'erba alta e fitta, ma improvvisamente mi fermo. Ho disturbato un aspide rosso - un serpente dal veleno mortale, usato da Cleopatra per uscire da questa dimensione. Sta fermo per un lungo attimo, poi si incurva in un cerchio perfetto. Il suo corpo ora é eretto e due occhi penetranti guardano fisso nel profondo della mia anima: sono pietrificata!
Voglio gridare ma non posso muovermi. Un dolore orribile improvvisamente inonda i miei sensi e come il serpente fugge via veloce, due piccole macchie di sangue appaiono sulla mia caviglia sinistra. Comincio a lanciare lunghi, laceranti urli di agonia. Non ho paura, ma so perfettamente che la morte è vicina. Provo a camminare sul pendio umido, ma i miei passi sono dapprima pesanti e poi mi é impossibile proseguire. Mi lascio cadere giù sull'erba. A questo punto mia nonna comincia a correre verso la collina. Un serpente mi ha morso..." le dico, ma lei ha già capito."
Soccorsa dalla nonna, che aspirò il veleno con le labbra dopo averle legato la gamba con uno straccio, la bambina arrivò in coma all'ospedale. Solo dopo due ore dal morso Nadia aveva ricevuto un'iniezione di siero antivipera, praticata dal medico del paese, intervenuto grazie al nonno che si era precipitato in bicicletta a cercarlo, perché la fattoria -a quel tempo- era priva di telefono. Nadia restò in coma per 10 giorni.
"Durante il coma, ero totalmente incosciente della realtà ma ero stranamente consapevole del fatto che avevo lasciato questa dimensione. Fu allora che vidi un bellissimo Essere di Luce: la Signora della Luce, sospesa sopra la stanza, che si presentò così: "Je suis ta petite Maman du ciel." ("Sono la tua piccola Mamma del Cielo.")
Era così bella. Ancora la vedo chiaramente, come sospesa a mezz'aria, risplendente di una luce estremamente brillante e potente. Una luce meravigliosa che mi ha riempito con una sensazione di amore caldo e di serenità. Non trovo le parole adatte quando cerco di descrivere le sensazioni di benessere ed amore che ho sentito al cospetto della sua luce. Avevo la conoscenza del tutto, della Mente Universale della Creazione, dell'Infinito, ero parte di questa Luce, e ne sono ancora parte. L'Amore che la Signora di Luce mi donava era così forte e sereno che doveva essere elargito a tutti. Capivo perfettamente che questo Amore ci salverà: dobbiamo prenderci cura l'uno dell'altro e disseminare la pietà nel nostro mondo di tristezza e distruzione.
Lasciato il mio corpo nel letto, cominciai a fluttuare verso di Lei che mi sorrise aprendo le braccia ma contemporaneamente mi mostrava il palmo delle mani per farmi capire che dovevo fermarmi, perché voleva che ascoltassi ciò che doveva dirmi. "Sii forte ed amatevi l'un l'altro. Per favore condividi questo amore che ho per te con gli altri. Ci sono molte strade per amare. Non temere, sarai sempre guidata. Sarò con te per sempre, ma non puoi stare con me, ora. Mostrerai la via. Sarai la speranza. Nel mezzo di un giardino vedrai una rosa, più colorata e bella di tutte le altre. Quando il tempo verrà, aprirai te stessa al Prossimo e condividerai con loro questo messaggio d'Amore. Parlare con me è pregare e pregare è amare."
Successivamente, sempre durante il coma, Lei di nuovo mi ha visitato e di nuovo mi ha ripetuto lo stesso messaggio, ma con una profezia finale: "Ed ora ritornerai in vita. Hai molto da imparare, e molto da compiere. Il mio amore sarà sempre con te. Non dimenticarlo mai."
Guardando verso di lei per un'ultima volta, ho visto che indossava un vestito lungo, bianco e con un cordone annodato intorno alla vita. La testa e le spalle erano avvolte in un drappo blu. C'era un serpente di colore verde sotto ai suoi piedi e da una ferita di uno di essi fuoriusciva una goccia di sangue. Le braccia erano tese verso di me con i palmi rivolti in su e la testa inarcata leggermente da un lato. Poi, lentamente congiunse le braccia sul petto.
Avrei voluto ardentemente raggomitolarmi fra quelle braccia, rimanere con lei piuttosto che ritornare nel mio corpo, ma non avevo nessuna alternativa! Il mio corpo mi chiamava e fui immediatamente sommersa dal dolore e dalla tristezza. Ero completamente incapace di capire quello che mi era accaduto e dovetti stare a letto per molte settimane. La mia gamba si era gonfiata terribilmente ed ero terrorizzata perché era dello stesso colore del serpente che mi aveva morsicato. Mi rifiutavo di parlare con chicchessia e non tolleravo il fatto di vivere in questa dimensione piena di risentimento, desiderosa solo di scivolare fuori dal mio corpo dolente e sfigurato.
Solo dopo esser guarita, venni a sapere che un adulto sopravvive al massimo per venti minuti al veleno dell'aspide mentre io avevo ricevuto l'iniezione di siero dopo almeno due ore dal morso: la mia sopravvivenza era un vero e proprio miracolo."
Informata la Nonna di quanto aveva visto durante il coma, Nadia fu invitata fermamente a tacere, per non essere presa per matta. La povera vecchina morì convinta che sua nipote fosse caduta preda di spiriti maligni e Nadia attraversò gli anni della sua adolescenza combattuta fra il desiderio di parlare a tutti del suo incontro e la paura che sua nonna avesse ragione. "La gente non capirebbe. Ti caccerebbero via per sempre, se lo raccontassi in giro." le ripeteva spesso.
Nadia pregava frequentemente la Madonna inginocchiandosi di fronte alla statuina che aveva incastrato nel cavo di un albero, ma non era serena perché non voleva vivere più sulla terra. Fu così che un brutto giorno (aveva 15 anni), scoprì delle vecchie medicine della bisnonna dimenticate in soffitta. Ingoiò 15 boccette di pillole e sciroppi tutti recanti la scritta "VELENO", prima di sentirsi molto male.
Soccorsa da un familiare, fu salvata ancora una volta dai medici dell'Ospedale, ma dopo poco tempo ci provò di nuovo, causandosi questa volta un arresto cardiaco della durata di dieci minuti durante i quali ebbe una NDE, proprio quando i sanitari del Pronto Soccorso avevano perso ogni speranza di salvarla. Ecco come ce la racconta la protagonista.
"Gli infermieri mi avevano ancora una volta riportata in sala di rianimazione. Ero fuori dal mio corpo. Rimasi a galleggiare là per un poco e poi guardai giù verso il mio corpo esanime sulla barella, sebbene il mio vero io ora fosse divenuto un involucro molto più confortevole e splendente. Per un pò guardai come infermieri e dottori lavorassero velocemente per rianimarmi, ma poi persi l'interesse e la mia attenzione fu attratta da un tunnel lungo e scuro.
Al termine del tunnel c'era una luce molto brillante e così volai verso l'apertura. Una volta giunta al suo interno, mi mossi con quella che mi è sembrata essere una velocità straordinaria e, senza alcuno sforzo, finalmente raggiunsi la luce. La mia mente era dominata da un unico pensiero chiaro.
A quel punto, però, la voce di un uomo estremamente forte e potente mi disse di ritornare, perché avevo un lavoro da compiere. Cominciai a tornare indietro e non potevo far nulla per fermarmi. Un attimo dopo mi ritrovai di nuovo sulla barella, immersa in un terribile dolore ed in un'indicibile tristezza. Un'infermiera, una donna anziana e gentile, piangeva perché pensava che fossi morta.
Nelle ore successive, nemmeno l'obnubilamento causato dal dolore fisico che si esacerbava ad ogni respiro poteva farmi scordare la mia tristezza. Non tristezza per quello che avevo fatto, ma per ciò che non avevo raggiunto. Dal di fuori ero una bella donna intelligente e giovane, con tutte le promesse della primavera, ma dentro di me ero prigioniera in una gabbia dorata fatta di carne ed ossa.
Il senso di isolamento che sentiamo come esseri umani è un'esperienza solitaria. La nostra serenità ci viene data a piccoli bocconi. Come animali affamati, dobbiamo assaporare ciascun boccone con gratitudine, ben consci del fatto che oltre questa vita troveremo serenità illimitata ed amore. Pian piano sono stata costretta a comprendere che mi era stato assegnato un compito e che non avrei avuto il permesso di esimermi dalle mie responsabilità. La mia scelta era semplice: potevo vivere una vita contorta, piena di amarezza, o potevo accettare le mia responsabilità con generosità.
Potreste pensare che una tale decisione debba richiedere molti anni di tormento ed invece fu semplice come premere un interruttore e fu così che ho acceso una luce nuova, la luce della mia responsabilità personale. Da quel giorno non ho più pensato di suicidarmi: questa esperienza ha completamente cambiato la mia vita. Una volta capito che non potevo ritornare indietro, ho smesso di combattere contro il mondo ed ho cominciato a cercare di trasmettere quell'Amore che avevo ricevuto a tutti coloro che mi stanno intorno.
Nel mio lavoro con i malati terminali, uso la mia esperienza a beneficio di coloro che stanno per passare da una dimensione ad un'altra. Aver perso la paura della morte tanto tempo fa mi rende cosciente, con ogni atomo del mio essere, che l'Amore non può mai abbandonarci. E' questa certezza che posso trasmettere ai moribondi ed a quelli che sono agitati e con l'anima in tumulto.