In Cielo e Ritorno

NDE:Esperienze di morte e ritorno in vita

I N D I C E

Pim van Lommel: la spiegazione scientifica della NDE


Pim van Lommel, il cardiologo olandese pluripremiato e noto per il primo studio mondiale sulle NDE (Near Death Experience): "Dopo aver ascoltato migliaia di persone credo che la morte non sia la fine di tutto".

Da una luce calda e accogliente a un lungo tunnel, alle parole dei medici e degli infermieri indaffarati in sala operatoria, visti come se ci si trovasse fuori dal proprio corpo, con dettagli precisi sui 'bip' dei macchinari. I racconti delle esperienze di premorte sono intensi e scioccanti: "Secondo una recente indagine randomizzata, circa il 4% della popolazione occidentale sembra averle sperimentate, sarebbe a dire 2,5 milioni di italiani. Ebbene, dopo aver ascoltato migliaia di pazienti, e dopo gli studi scientifici condotti sui sopravvissuti ad arresto cardiaco, sono giunto all'inevitabile conclusione che la morte non è la fine della coscienza, ma solo un cambiamento di stato di coscienza". Lo dice all'agenzia di stampa AdnKronos Salute Pim van Lommel, cardiologo olandese pluripremiato e noto per il primo studio mondiale sulle Nde (esperienze di premorte), pubblicato su The Lancet.

Van Lommel indaga da oltre 30 anni su questo momento delicato e particolarissimo, a cavallo tra vita e morte. La sua esperienza e i suoi studi si sono concretizzati in "Coscienza oltre la vita. La scienza delle esperienze di premorte", un best seller internazionale ora pubblicato anche in Italia (Edizioni Amrita). "Quello che finisce con la morte è solo il nostro aspetto fisico. Non vi è inizio né ci sarà mai fine alla nostra coscienza", dice l'esperto, raggiunto via email.

Ma che cos'è una Nde e perché può verificarsi? "Ci sono persone che sono sopravvissute a crisi in cui era in gioco la loro vita, che hanno raccontato di aver avuto esperienze coscienti straordinarie. Una premorte può essere definita come il ricordo di una serie di impressioni vissute durante uno speciale stato di coscienza, con diversi elementi comuni: un'esperienza fuori dal corpo, sensazioni piacevoli, la visione del tunnel, della luce, dei propri cari defunti, il passare in rivista la propria vita, e il ritorno cosciente nel corpo. L'arresto cardiaco (morte clinica), uno shock a seguito di emorragia (parti difficili), un insulto cerebrale o colpo apoplettico, un quasi affogamento o un'asfissia, ma anche malattie gravi, episodi di depressione, isolamento o meditazione possono essere all'origine di queste esperienze."

Si tratta comunque sempre di un'esperienza trasformativa, "in quanto causa cambiamenti profondi nel modo di cogliere la vita, elimina la paura della morte e rafforza la sensibilità intuitiva", prosegue van Lommel. Inoltre è "sempre più frequente: i malati che sopravvivono sono più numerosi, grazie alle moderne tecniche di rianimazione e al miglioramento delle cure per chi subisce un trauma cerebrale". Per molti medici però la Nde "è ancora un fenomeno incomprensibile e sconosciuto, perché solleva molti interrogativi fondamentali: come si può avere una consapevolezza lucida all'esterno del corpo, proprio quando il cervello non funziona più, e il paziente è clinicamente morto?".

"Sappiamo dai casi di esperienze fuori dal corpo, occasionali e verificabili durante il periodo di incoscienza, ma non nei primi né negli ultimi secondi di arresto cardiaco; tuttavia, dal punto di vista delle convinzioni mediche attuali - evidenzia l'esperto - non dovrebbe essere possibile una forma di coscienza durante l'arresto cardiaco e il coma profondo".

Proprio per chiarire alcuni aspetti, "nel 1988 è partito in Olanda uno studio longitudinale sulle Nde: all'epoca non c'erano nel mondo altri studi longitudinali su larga scala su questo tema. La ricerca era stata progettata per includere tutti i pazienti con un infarto del miocardio acuto sopravvissuti a un arresto cardiaco in uno dei 10 ospedali olandesi partecipanti. Tutti i pazienti inclusi nello studio erano stati dichiarati 'clinicamente morti
' - racconta van Lommel - Per morte clinica si intende il periodo di incoscienza causato da anossia, assoluta mancanza di ossigeno al cervello. Circostanze in cui, se non si procede alla rianimazione entro 5-10 minuti, i danni al cervello sono irreversibili e il paziente muore. Lo studio quindi è stato condotto su pazienti con un comprovato rischio di morte; erano nel primo stadio del processo di morte".

La ricerca "prevedeva anche un gruppo di controllo, formato da pazienti che, pur essendo sopravvissuti ad un arresto cardiaco, non avevano ricordi del periodo di incoscienza. I dati di tutti i pazienti furono attentamente rilevati prima, durante e dopo la rianimazione. Il vantaggio di un progetto del genere era che tutte le procedure potevano essere definite in anticipo, escludendo così pregiudizi legati alla selezione. In 4 anni, tra il 1988 e il 1992, la ricerca studiò 344 pazienti successivi sottoposti a un totale di 509 rianimazioni riuscite". Se i pazienti riportavano ricordi legati al periodo di incoscienza, alle loro esperienze veniva dato un punteggio in base all'indice Wcei (Weighted Core Experience Index). Maggiore era il numero di elementi che venivano riferiti, "più alto era il punteggio e più profonda era la Nde", continua l'esperto.

"Scoprimmo - riporta van Lommel - che 282 pazienti (l'82%) non avevano alcun ricordo del periodo trascorso in incoscienza, mentre 62 (18%) riferirono di aver avuto una esperienza di premorte. Dei 62 pazienti dotati di ricordi, 21 (il 6%) ne avevano pochi; 18 avevano vissuto una premorte di moderata profondità, 17 una Nde profonda e 6 una molto profonda". Ma cosa emerse dalle parole dei protagonisti? "La metà dei pazienti disse di essere stato consapevole di essere morto, e riferì emozioni positive; il 30% di aver vissuto l'esperienza del tunnel, osservato un paesaggio celestiale o incontrato persone decedute; all'incirca un quarto raccontò un'esperienza fuori dal corpo, di aver comunicato con 'la luce', e percepito colori; il 13% aveva passato in rassegna la propria vita e l'8% aveva percepito la presenza di un confine".

"Cercammo una spiegazione per il fatto che solo alcuni ricordano il periodo trascorso in incoscienza - continua il ricercatore - Paragonammo quindi i dati che avevamo rilevato, confrontando i 62 pazienti che avevano avuto una esperienza di premorte con i 282 che non l'avevano avuta. Il grado di anossia cerebrale si dimostrò irrilevante, perché non potemmo riscontrare alcuna differenza fra pazienti il cui arresto cardiaco era stato molto lungo o molto breve. Non scoprimmo differenze neppure rispetto alla durata del periodo d'incoscienza, alla necessità o meno di intubare i pazienti particolarmente gravi. Stabilimmo anche che i farmaci non influivano in alcun modo, così come non influivano le cause psicologiche, per esempio il fatto di avere o meno paura della morte, sebbene influissero sulla profondità dell'esperienza".

"Fummo dunque sorpresi nel non riuscire a trovare una spiegazione medica. La spiegazione psicologica era dubbia, perché la maggior parte dei pazienti non riferì di aver avuto paura di morire. Venne esclusa anche la spiegazione farmacologica. E' stato grazie ai casi di percezione avvenuti durante la rianimazione - sottolinea van Lommel - che siamo arrivati all'inevitabile conclusione che tutti gli elementi dell'esperienza di premorte erano stati sperimentati durante l'arresto cardiaco, quando la circolazione sanguigna nel cervello era completamente assente".

"Se ci si basa sulle scoperte e le conclusioni dei quattro studi longitudinali sulle Nde dei sopravvissuti a un arresto cardiaco e sugli studi neurofisiologici durante l'arresto cardiaco, vi sono buone ragioni per dedurre che la coscienza non sempre coincida con il funzionamento del cervello: un'accresciuta consapevolezza, con eventuali percezioni, può talvolta essere esperita separatamente dal corpo". Per lo studioso ciò si spiega con l'ipotesi della coscienza "al di là del tempo e dello spazio": "La funzione cerebrale dovrebbe essere paragonata a una ricetrasmittente, o a un'interfaccia, non diversamente dalla funzione di un computer. Non siamo consapevoli dell'enorme quantità di campi elettromagnetici da cui siamo costantemente circondati oltre che permeati. Diventiamo coscienti di quei campi elettromagnetici solo quando usiamo il cellulare o accendiamo la radio, la tv o il laptop".

Insomma, alla luce di tanti anni di studio "non si può evitare di giungere alla conclusione che la coscienza sia sempre esistita e continui a esistere indipendentemente dal corpo, e che essa non abbia né inizio né fine"

Ma esistono prove oggettive di una premorte? " - risponde van Lommel - e sono basate sull'aver potuto comprovare la veridicità di certi aspetti delle 'esperienze fuori del corpo', e sul momento in cui queste esperienze si sono prodotte durante la rianimazione cardio-polmonare. In una recente rassegna di 93 testimonianze di percezioni extracorporee potenzialmente verificabili e avvenute durante le premorti, si è scoperto che circa il 90% delle testimonianze riportate erano accuratissime: la verifica ha provato che tutte le percezioni avvenute durante il coma, l'arresto cardiaco o un'anestesia generale riferivano dettagli davvero accaduti; l'8% delle testimonianze conteneva solo piccoli errori e il 2% era del tutto errato". 

Dato che le varie forme di coscienza non-locale non possono essere spiegate dall’attuale scienza occidentale, questo libro ha dovuto sfidare un paradigma scientifico puramente materialista. Questo paradigma è colpevolmente responsabile del tabù sociale e scientifico sulle NDE e su altre esperienze non spiegabili. Spero che, avendo reso ragionevolmente accettabile una coscienza non-locale e perciò ubiquitaria, questo libro possa aiutare a far sorgere nuove visioni riguardo ad essa. L’accettazione di nuove idee scientifiche in generale, e di idee su una coscienza infinita in particolare, richiede una mente aperta e non ostacolata da dogma. 

A volte basta un solo reperto anomalo, che non possa essere spiegato con le idee e i concetti comunemente accettati, per trasformare la scienza. La ricerca sulle NDE mi ha aiutato a sviluppare il concetto di coscienza non-locale e infinita, che può spiegare molti e forse tutti gli aspetti delle straordinarie esperienze di coscienza discusse in questo libro. Queste includono le NDE, le esperienze di paura della morte, le esperienze identiche scatenate dalla disperazione, dalla depressione, dall’isolamento, dalla meditazione (esperienze mistiche e religiose) e dal totale rilassamento (esperienze di illuminazione o di unità), come anche le esperienze determinate dalla terapia regressiva e dall’uso di sostanze che espandono la mente come LSD o DMT. 

Le visioni dal letto di morte, le esperienze peri-mortem o l’aumento delle capacità intuitive o lo scambio di informazioni non locali, le percezioni non locali e l’influenza della mente sulla materia (perturbazioni non-locali) possono anche essere viste come manifestazioni della coscienza non-locale. È difficile evitare la conclusione che la nostra coscienza infinita ha preceduto la nascita e sopravvivrà alla morte indipendentemente dal corpo e in uno spazio non-locale in cui tempo e luogo non hanno alcun ruolo. Secondo la teoria della coscienza non-locale, non c’è un inizio e non c’è una fine della nostra coscienza.

Una NDE è sia una crisi esistenziale sia un’esperienza intensa e istruttiva. Le persone vengono trasformate dal trovarsi anche solo di sfuggita in una dimensione in cui il tempo e lo spazio non hanno ruolo, in cui possono vedere il passato e il futuro, in cui si sentono complete e guarite e in cui possono sperimentare la saggezza infinita e l’amore incondizionato. Queste trasformazioni sono alimentate primariamente dalla visione che l’amore e la compassione per se stessi, per gli altri e per la natura sono essenziali. Dopo una NDE, le persone si rendono conto che tutto e tutti sono connessi, che ogni pensiero ha un impatto su se stessi e sugli altri, e che la nostra coscienza sopravvive alla morte fisica. 

Il realizzare che tutte le cose sono connesse non-localmente cambia sia le teorie scientifiche che la nostra immagine dell’umanità nel mondo. Nel suo libro Markings, Dag Hammarskjöld scrive: «Le nostre idee sulla morte definiscono come viviamo la nostra vita». Quando le persone pensano che la morte sia la fine di tutto, scelgono di investire nell’effimero, nel materiale e nelle cose esteriori, sono meno inclini a rispettare l’ambiente, il mondo futuro dei nostri bambini e nipoti. La nostra mente dà forma alla nostra percezione del mondo. 

Quando siamo innamorati, il mondo è bello; quando siamo depressi, il mondo è terribile e quando siamo ansiosi (quando ci lasciamo spaventare dai giornali e dai politici), il nostro mondo diviene un luogo spaventoso. «La mente ha il suo proprio posto, e da se stessa può farne un paradiso o l’inferno», scrive John Milton nel Paradise Lost.

Tutti i cambiamenti nel mondo cominciano con noi stessi. Come mi scrisse in una e-mail una donna americana che aveva avuto una NDE: «Quando il potere dell’amore diventa più forte del nostro amore per il potere, il mondo cambia». Questo necessita di un’altra coscienza. Questa è la visione che si acquisisce quando ci si apre al significato di una NDE e si ascoltano persone che vogliono condividere con noi la loro NDE. Queste visioni sono antiche e senza tempo, ma le NDE le hanno ricondotte alla nostra portata, dandoci la possibilità di imparare ad ascoltare col cuore. 

Spesso ci vuole una NDE per portare le persone a considerare la possibilità di sperimentare la coscienza indipendentemente dal corpo e a rendersi conto che la coscienza è sempre stata e sempre sarà, che tutto e tutti sono connessi, che tutti i nostri pensieri esisteranno per sempre e hanno un impatto sia su noi stessi che su chi ci circonda, e che la morte in quanto tale non esiste. Una NDE dà l’opportunità di riconsiderare la nostra relazione con noi stessi, con gli altri e con la natura, ma solo se continuiamo a porci domande aperte e se abbandoniamo i nostri preconcetti. Spero che questo libro abbia contribuito a questo processo.

Indipendentemente dalla causa che ha determinato la NDE, i sopravvissuti mostrano cambiamenti permanenti e fondamentali sulla loro visione della vita, sulle convinzioni religiose, sui valori e sul comportamento. La profondità dell’esperienza e, soprattutto, la rassegna panoramica della vita e l’incontro con la luce, sembrano contribuire all’intensità e all’inevitabilità di questi cambiamenti. La letteratura popolare tende a concentrarsi sulla natura positiva di questi cambiamenti, pure molte persone fanno fatica ad accettare e a integrare le loro nuove conoscenze, specialmente quando si devono confrontare con le reazioni negative dei familiari, degli amici e degli operatori sanitari. «Improvvisamente il mio corpo, la mia vita e il mondo intero mi sembravano una prigione». 

I cambiamenti riportati sono probabilmente scatenati dalla sperimentazione consapevole di una dimensione in cui il tempo e la distanza non hanno alcun ruolo, in cui passato e futuro possono essere intravisti, in cui le persone si sentono complete e intere, e in cui si possono sperimentare saggezza infinita e amore incondizionato. 

Dopo una NDE, la comprensione non si basa più sulla fede, ma sulla certezza. «Ha avuto un effetto così profondo sul resto della mia vita: l’eternità che ho sperimentato; la consapevolezza che la mia coscienza sopravvivrà al di fuori del mio corpo. Sono bastati a destabilizzare la mia vita». 

Alcune persone provano nostalgia verso la loro NDE a causa degli indimenticabili sentimenti di pace, accettazione e amore che hanno incontrato durante l’esperienza. Di fatto, i cambiamenti della vita derivano in non piccola misura da questa nuova concezione che l’amore e il rispetto verso se stessi, gli altri e la natura siano le cose più importanti e che la morte non è la fine di tutto. Le NDE insegnano alle persone che la vita va oltre la morte fisica. «L’esperienza ha cambiato tutto per me: c’è qualcosa dopo la morte, ed è buono. La morte è semplicemente un distacco dal corpo»

Per illustrare questo, ecco alcuni estratti da un’intervista con un paziente che aveva avuto una NDE durante un arresto cardiaco, otto anni prima: "Non ho più paura della morte perché non dimenticherò mai cosa mi è accaduto lì. Ora sono certo che la vita continua. Negli anni ho avuto molti cambiamenti. Sento una forte connessione con la natura. Il giardino adesso ha un ruolo importante nella mia vita. Sono diventato molto più sensibile. Ho acquisito un grande senso della giustizia. Sono diventato più paziente e più pacifico. Adesso riesco a vedere le cose in prospettiva. La mia aggressività appartiene al passato. Sento un forte bisogno interiore di non mentire più. Preferisco tacere piuttosto che dire anche una piccola bugia. Mi sforzo per rispettare le scadenze: le cose vanno fatte entro un certo tempo. Ma riesco a gestirle abbastanza bene. Prima non sapevo nulla di spiritualità. Non ero interessato. Ma adesso sono diventato consapevole di avere dei poteri profetici grazie ai quali posso aiutare gli altri. Ho un sesto senso. Con gli anni ho imparato a conviverci. È diventato semplicemente parte della mia vita. Realmente oggi mi baso sui miei istinti. Nel momento in cui inizio a pensare, tutto diventa confuso. Ma la mia ipersensibilità mi causa anche un monte di problemi, poiché crea conflitto in coloro che non capiscono perché oscillano tra la repulsione e la curiosità. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo. Mi piace la vita immensamente. Ora sono consapevole di cose che non avevo mai notato in vita mia prima dell’esperienza. Credo che le persone abbiano smesso di vivere col cuore. Preferisco fare ogni cosa nel modo più semplice possibile. Sono felice e grato di poterne parlare con mia moglie."

Nella cultura occidentale l’esperienza è completamente estranea alle conoscenze tradizionali. E non sorprende che persone cresciute con valori materialistici trovino più difficile accettare la nuova visione che i soldi e il potere non sono più essenziali per essere felici. Non è tanto il contenuto che rende la NDE così difficile da accettare, ma il fatto che la cultura e la scienza occidentali realmente non riescono ad accogliere questo tipo di esperienza spirituale. 

Come è stato detto, la profondità della NDE non è il solo fattore importante nel processo di cambiamento. Sono significative anche le circostanze mediche in cui è avvenuta la NDE, come un incidente automobilistico con una lunga riabilitazione, un attacco cardiaco con la sensazione di costrizione e di ansietà, o un’emorragia cerebrale con una paralisi paralisi permanente. I pazienti devono accettare la NDE, ma devono anche accettare le conseguenze del grave evento clinico che l’ha causata, il che a volte comporta una riabilitazione prolungata, l’uso di una sedia a rotelle, e altri cambiamenti duraturi. Accanto all’accettazione personale e all’integrazione della NDE, il supporto sociale della famiglia e degli amici è ugualmente cruciale. 

Una NDE può mettere severamente in crisi le relazioni. L’integrazione dipende anche dalla risposta degli operatori sanitari, se sono in grado di prestare un ascolto rispettoso e il supporto necessario al processo di cambiamento. La reazione scettica della maggior parte degli operatori sanitari è una fonte di enorme frustrazione per coloro che sperimentano una NDE. Il processo di integrazione può essere accelerato se la persona impara che non è l’unica protagonista di una simile esperienza travolgente e che esiste un nome per essa (NDE). 

Il contatto con altre persone che hanno avuto una NDE e la lettura di libri su tale argomento e sulle sue conseguenze può essere ugualmente d’aiuto. Questo tipo di conferme fa sì che le persone riconoscano la loro esperienza, riduce l’ansia e facilita un’integrazione migliore e più veloce.

Intervista a Pim van Lommel

Dottor Van Lommel, come avviene una Nde e quanto è frequente?

«Un’esperienza di premorte (o NDE, “Near Death Experience”) può essere definita come il ricordo di una serie di impressioni vissute durante uno speciale stato di coscienza, fra le quali si trovano diversi elementi “universalmente presenti”, come un’esperienza fuori dal corpo, sensazioni piacevoli, la visione del tunnel, della luce, dei propri cari defunti, il passare in rivista la propria vita, e il ritorno cosciente nel corpo. Tra le circostanze di una NDE abbiamo l’arresto cardiaco (morte clinica), uno shock a seguito di emorragia, la conseguenza di un colpo apoplettico, un quasi affogamento (un caso più frequente nei bambini!) o asfissia, ma anche malattie gravi dove la minaccia di morte non è immediata, o addirittura durante episodi di depressione, isolamento o meditazione, e persino senza una ragione evidente. Come a dire che non c’è sempre bisogno, a quanto pare, di avere un cervello fuori uso per vivere e poi raccontare una NDE. La NDE è sempre un’esperienza trasformativa, in quanto causa cambiamenti profondi nel modo di cogliere la vita, elimina la paura della morte e rafforza la sensibilità intuitiva. Le NDE sono oggi sempre più frequenti: i malati che sopravvivono, infatti, sono più numerosi grazie alle moderne tecniche di rianimazione e al miglioramento delle cure per chi subisce un trauma cerebrale».

Che cosa si “vede” durante una NDE?

«Secondo uno studio olandese a cui ho partecipato insieme ad altri colleghi e che è apparso su Lancet nel 2001, la metà dei pazienti che aveva avuto una NDE dissero di essere stati consapevoli di essere morti, e riferirono emozioni positive; il 30% disse di aver vissuto l’esperienza del tunnel, osservato un paesaggio celestiale o incontrato persone decedute; all’incirca un quarto disse di aver avuto un’esperienza fuori dal corpo, di aver comunicato con “la luce”, e descrisse percezioni di colori; il 13 % aveva passato in rassegna la propria vita e l’ 8 % aveva percepito la presenza di un confine».

La scienza ufficiale ipotizza che gli stati di Nde siano semplicemente alterazioni cerebrali, perché lei è scettico?

«Immagino che per “scienza ufficiale” lei intenda il paradigma materialistico ancora largamente accettato. In passato sono state formulate diverse teorie per spiegare le NDE, ma il nostro studio ha evidenziato che non vi sono fattori psicologici, farmacologici o fisiologici capaci di causare queste esperienze durante un arresto cardiaco. Se una pura spiegazione fisiologica fosse valida, come la mancanza di ossigeno nel cervello, la maggior parte dei pazienti che avevano avuto una morte clinica avrebbero dovuto riferire una NDE, dal momento che tutti i pazienti coinvolti nel nostro studio avevano perso conoscenza proprio per mancanza di ossigeno nel cervello conseguente a un arresto cardiaco. Invece solo il 18% riferì di aver avuto una NDE, ed è tuttora un gran mistero perché mai solo il 18% abbia riferito di una NDE dopo un arresto cardiaco. Sembra corretto concludere che allo stato attuale delle nostre conoscenze non ci è permesso ridurre la coscienza ad attività e processi cerebrali: la lacuna in materia di spiegazioni fra il cervello e la coscienza non è mai stata superata perché un certo stato neuronale non è la stessa cosa di un certo stato di coscienza. La coscienza non è visibile, né tangibile, né percepibile, né misurabile, né verificabile, né falsificabile: non siamo in grado di oggettivare l’essenza soggettiva della nostra coscienza».

Esistono riscontri oggettivi ai racconti dei pazienti che dicono di essersi visti dall’esterno mentre erano in coma durante un’operazione?

«Nelle OBE (“Out of Body Experiences”, o esperienze extracorporeee) le persone riportano percezioni veridiche che avvengono da un punto al di fuori e al di sopra del loro corpo senza vita. Chi ha vissuto una NDE ha l’impressione di essersi liberato del corpo come di un vecchio cappotto, ed è sorpreso di avere ancora un’identità con la possibilità di provare percezioni, emozioni, ed una coscienza particolarmente lucida. Questa esperienza fuori dal corpo è particolarmente importante dal punto di vista scientifico perché i medici, gli infermieri e i parenti possono verificare le percezioni che vengono riportate, e anche confermare il momento preciso in cui è avvenuta la NDE con la OBE durante il periodo di rianimazione cardio polmonare. In una recente rassegna di 93 testimonianze di percezioni OBE potenzialmente verificabili e avvenute durante le NDE, si è scoperto che circa il 90% delle OBE riportate erano accuratissime: la verifica ha comprovato che tutte le percezioni avvenute durante il coma, l’arresto cardiaco o un’anestesia generale riferivano dettagli davvero accaduti; l’8 % delle testimonianze conteneva solo piccoli errori e il 2 % era del tutto errato».

Un esempio?

«Questo è quello che scrive un’infermiera di un reparto di cardiologia intensiva: «Durante il turno di notte l’ambulanza porta nel mio reparto un uomo di 44 anni, cianotico e in stato comatoso: lo avevano trovato in coma in un prato una mezz’ora prima. Stiamo per intubarlo quando ci accorgiamo che ha la dentiera. Gli togliamo la dentiera superiore e la mettiamo sul carrello di emergenza. Ci vuole un’altra ora e mezza perché il paziente ritrovi un ritmo cardiaco e una pressione sanguigna sufficienti, ma è ancora intubato e ventilato, e sempre in coma. Lo trasferiamo in terapia intensiva per continuare la necessaria respirazione artificiale. Il paziente esce dal coma una settimana dopo e me lo vedo tornare nel reparto cardiologia. Appena mi vede, dice: «Ah, questa è l’infermiera che sa dov’è finita la mia dentiera». Sono davvero molto sorpresa, ma il paziente spiega: «Lei era presente quando mi hanno portato in ospedale, mi ha tolto la dentiera dalla bocca e l’ha messa nel cassetto scorrevole sotto il ripiano del carrello, carico boccettini».

Nel caso di malattie come l’Alzheimer che cancellano la personalità, dove finirebbe la coscienza?

«La coscienza è non-locale, il che significa che è ovunque, sempre, tanto intorno a noi quanto dentro di noi, e il cervello solo funge da interfaccia, ricevendo, quando siamo in stato di veglia, parti di questa coscienza potenziata e parti dei nostri ricordi. Mi spiego con un’immagine: le immagini e la musica che vediamo o udiamo aprendo la TV vengono trasmesse all’apparecchio televisivo, e se danneggiassimo alcune sue componenti probabilmente avremmo una distorsione di immagine e suono, o magari li perderemmo del tutto, il che non vorrebbe dire che quel programma sia un prodotto del nostro apparecchio. Tant’è vero che un altro apparecchio potrebbe ancora riceverlo. Questo è paragonabile alla funzione cerebrale: il danno o l’interruzione avvenuti in certe aree specifiche del cervello possono produrre cambiamenti di coscienza (Alzheimer, demenza) o la perdita di essa (coma), ma ciò non prova che la coscienza sia un prodotto della funzione cerebrale. Nei pazienti con Alzheimer quello che è danneggiato è lo strumento, l’interfaccia, ossia il cervello, con il risultato che la coscienza di veglia è disturbata o assente, tuttavia la nostra coscienza potenziata, non-locale, è sempre presente, in quanto non è localizzata né nel cervello né nel corpo. Qui è interessante menzionare la cosiddetta “lucidità in fase terminale”, quando, poco prima della morte, pazienti che hanno sofferto di Alzheimer per anni e non riconoscono più neppure i loro cari e i loro figli, possono avere uno sprazzo di lucidità in cui tornano a riconoscere il partner e i figli e li chiamano per nome, li ringraziano e poi muoiono. La lucidità terminale può manifestarsi anche in pazienti non più responsivi o in coma da giorni. Sono esperienze che non trovano spiegazione nelle teorie mediche correnti, perché il cervello di pazienti del genere dev’essere gravemente danneggiato; la lucidità terminale può invece essere ben compresa alla luce della non-località della coscienza. La lucidità terminale è ben nota a chi lavora negli hospice e nelle cure palliative».

La sua teoria ha influenzato la sua posizione sull’eutanasia?

«Le ricerche sulle NDE vertono sulla possibilità di esperire stati di coscienza potenziati durante un arresto cardiaco, il coma o un’anestesia generale. Certamente se ci fosse una maggiore conoscenza dei risultati di queste ricerche e della possibilità che la coscienza continui dopo la morte, l’impatto sulla medicina sarebbe significativo in quanto ispirerebbe una diversa visione di come occorra trattare i pazienti in coma o terminali. Certamente farebbe la differenza rispetto alle procedure di accanimento terapeutico all’inizio o alla fine della vita, all’eutanasia, o all’espianto di organi a cuore battente, quando il corpo è ancora caldo ma è stata diagnosticata la morte cerebrale. Le ricerche sulle NDE non sono solo rilevanti per i professionisti della salute, lo sono anche per i pazienti vicini alla morte e i loro cari. Dovrebbero essere tutti consapevoli delle straordinarie esperienze coscienti che possono avvenire durante la morte clinica o il coma, intorno al capezzale di un morente (esperienze di fine vita), o persino dopo la morte (comunicazione post mortem). Quindi approfondire la conoscenza della non-località della coscienza può cambiare il nostro punto di vista circa l’impatto dell’eutanasia sulla nostra coscienza, e anche la nostra concezione della morte e del morire».