In Cielo e Ritorno

NDE:Esperienze di morte e ritorno in vita

I N D I C E

Elisabeth Kübler-Ross


Elisabeth Kubler – Ross ( Zurigo, 8 luglio 1926 – Scottsdale, Arizona, 24 agosto 2004) medico, psichiatra e docente di medicina comportamentale.

Nel 1945 decise di incentrare i propri studi sulla morte e sul morire. Lavorando nei principali ospedali di New York, Colorado e Chicago, rimase impressionata dal modo in cui venivano trattati solitamente i pazienti terminali, spesso tenuti in regime di isolamento e sottoposti ad abusi. Per modificare il comportamento del personale medico ed infermieristico, iniziò a tenere seminari volti al miglioramento della qualità assistenziale di coloro in procinto di lasciare questa vita. Dalle sue prime esperienze con i malati terminali ha tratto il libro “Sulla morte e sul morire”, pubblicato nel 1969, che l’ha resa nota come fondatrice della psicotanatologia. Con il termine di psicotanatologia o tanatologia psicologica si definisce il sostegno psicologico di fronte alla morte- sia per i pazienti terminali (accompagnamento alla morte) sia per i loro familiari (supporto durante le fasi della malattia del congiunto, ed elaborazione del lutto in seguito al decesso).

Raccolta personale di esperienze NDE

"I casi che abbiamo raccolto non arrivano soltanto dagli Stati Uniti, ma anche dall’Australia, dal Canada e da altri paesi. Il paziente più giovane è stato un bambino di due anni, il più anziano un signore di 97 anni. Abbiamo studiato pazienti provenienti da diversi contesti culturali e religiosi, inclusi gli eschimesi, gli hawaiani autoctoni, gli aborigeni dell’Australia, gli hindu, i buddhisti, i protestanti, i cattolici, gli ebrei e parecchi pazienti senza alcuna identità religiosa, inclusi alcuni che si definivano agnostici o atei. Per noi era importante raccogliere dati con la più grande varietà possibile di persone da contesti religiosi e culturali diversi. Volevamo essere sicurissimi che il nostro materiale non fosse contaminato e che si trattasse di un’esperienza unicamente umana che non aveva nulla a che vedere con precedenti condizionamenti religiosi o di altro tipo. 

Dopo tutti questi anni trascorsi a raccogliere dati, possiamo affermare che i seguenti punti sono comuni denominatori in tutti i casi di persone che hanno vissuto un’esperienza di pre-morte. È rilevante anche il fatto che avessero vissuto queste esperienze dopo un incidente, un tentativo di omicidio o di suicidio o una lenta e lunga malattia. Oltre la metà dei nostri casi riguarda esperienze di morti improvvise, perciò i pazienti non avevano potuto preparare o prevedere l’esperienza. 

Nel momento della morte, tutti voi vivrete la separazione del vostro vero Io immortale dalla dimora temporanea, vale a dire il corpo fisico. Chiameremo questo io immortale anima, entità o coscienza, oppure per usare il linguaggio simbolico che usiamo con i bambini, una farfalla che sta lasciando il bozzolo. 

Quando abbandoneremo il corpo fisico, tutto avverrà nella totale assenza di panico, paura o ansia. Sperimenteremo sempre una integrità fisica e saremo del tutto consapevoli del contesto in cui questo incidente o questa morte avviene. Potrebbe trattarsi di una stanza d’ospedale, la nostra camera da letto dopo aver avuto un infarto a casa, o dopo un tragico incidente d’auto o aereo. 

Saremo assolutamente consapevoli delle persone che lavorano nella squadra di rianimazione, o delle persone che lavorano nel tentativo di liberare un corpo mutilato o ferito dalla carcassa di un’automobile. Li guarderemo dalla distanza di qualche metro, in uno stato mentale piuttosto distaccato, se posso usare il termine «mentale», anche se nella maggior parte dei casi in quel momento non siamo più collegati con la mente o un cervello funzionante. 

Tutto questo avviene nel momento in cui non presentiamo segni valutabili di attività cerebrale. Si verifica molto spesso nel momento in cui i medici non riscontrano alcun segno di vita. In quell’istante di osservazione della scena di morte saremo consapevoli della conversazione tra i presenti, del loro comportamento, del loro abbigliamento e dei loro pensieri senza provare alcun sentimento negativo verso l’intero avvenimento. Quello che percepiamo in quel momento, non è il corpo fisico, bensì uno etereo. 

Come ho anticipato, nel secondo corpo, etereo e temporaneo, sperimentiamo una totale integrità. Se ci sono state amputate le gambe, le riavremo. Se eravamo sordomuti, riusciamo a sentire e parlare e cantare. Se eravamo malati di sclerosi multipla in sedia a rotelle con la vista offuscata, la parlata confusa e l’incapacità di muoverci sulle nostre gambe, torniamo a essere in grado di cantare e ballare. 

È comprensibile che tanti nostri pazienti rianimati con successo non siano sempre grati quando la loro farfalla viene rificcata nel bozzolo, perché con il ripristino delle nostre funzioni corporee dobbiamo accettare anche le sofferenze e le disabilità che le accompagnano. Nella condizione di corpo etereo, non abbiamo né sofferenze né disabilità. 

Molti miei colleghi si chiedevano se questa non sia semplicemente proiezione del nostro pensiero illusorio, che potrebbe essere del tutto comprensibile e giustificabile. Se si è rimasti paralizzati, muti, ciechi o disabili per tanti, tanti anni, si potrebbe desiderare un momento in cui le sofferenze trovano una fine. È molto facile valutare se si tratti o meno della proiezione di un pensiero illusorio. Metà dei nostri casi riguardava incidenti improvvisi e inaspettati o esperienze di pre-morte in cui gli interessati non erano in grado di prevedere cosa li avrebbe colpiti, come nel caso di un automobilista, poi fuggito senza prestare soccorso, che aveva amputato le gambe a uno dei nostri pazienti. 

Quando il paziente si trovava fuori dal suo corpo fisico, vedeva le gambe amputate sulla strada, eppure era del tutto consapevole di averle entrambe nel suo corpo etereo, perfetto e integro. Non possiamo presupporre che avesse una conoscenza pregressa della perdita delle gambe, tanto da proiettare il proprio pensiero illusorio di essere in grado di camminare di nuovo. 

Ma esiste un modo molto più semplice per escludere la proiezione del pensiero illusorio, e consiste nello studio dei casi di non vedenti privi di percezione della luce. Abbiamo chiesto loro di condividere con noi la sensazione provata nell’esperienza di pre-morte. Se si fosse trattato della semplice realizzazione di un desiderio, questi non vedenti non sarebbero stati in grado di descriverci il colore di un maglione, il disegno di una cravatta, o tanti dettagli di forma, colori e modelli dell’abbigliamento dei presenti. 

Abbiamo intervistato parecchi non vedenti con cecità totale e non solo erano in grado di raccontarci chi fosse entrato per primo nella stanza e chi avesse praticato la rianimazione, ma erano in grado anche di fornire dettagli minuziosi sullo stile e l’abbigliamento dei presenti, una cosa che una persona totalmente cieca non sarebbe mai stata in grado di fare. 

Oltre alla mancanza di dolore e all’esperienza di integrità fisica in un corpo simulatamente perfetto, che potremmo chiamare corpo etereo, si acquisisce anche la consapevolezza dell’impossibilità di morire da soli. Sono tre le ragioni per cui nessuno può morire da solo. Per nessuno intendo persino le persone che muoiono in un deserto a qualche migliaio di chilometri dall’essere umano più prossimo, o un astronauta che viene mandato da solo nello spazio, manca l’obiettivo e gira per l’universo fino a quando non muore per cause naturali. 

Quando ci si prepara lentamente alla morte, come è spesso il caso dei bambini malati di tumore, prima della morte tanti di questi bambini iniziano ad acquisire la consapevolezza di possedere la capacità di lasciare il proprio corpo fisico e vivere quella che chiamiamo esperienza extracorporea. Tutti noi facciamo queste esperienze extracorporee in certi stadi del sonno. Pochissimi di noi ne sono coscientemente consapevoli. 

Specialmente i bambini in punto di morte, che sono molto più sintonizzati, diventano più spirituali dei bambini sani della stessa età. Acquisiscono consapevolezza di questi brevi viaggi fuori dal corpo fisico che li aiutano nella transizione, li aiutano a familiarizzare con il luogo in cui stanno andando. È nel corso di questi viaggi fuori dal corpo che i pazienti terminali, giovani e anziani, si accorgono della presenza di esseri che li circondano, li guidano e li aiutano. 

I bambini piccoli fanno spesso riferimento a loro definendoli compagni di gioco. Le Chiese li hanno chiamati angeli custodi. La maggior parte dei ricercatori li ha chiamati guide. Non è importante come li etichettiamo, ma è importante sapere che ogni singolo essere umano, da quando nasce fino al momento in cui compie la transizione e termina la sua esistenza fisica, si trova in presenza di queste guide o angeli custodi che ci aspettano e ci aiutano nella transizione dalla vita terrena a quella ultraterrena. Ci verranno sempre incontro anche le persone amate che ci hanno preceduto nella morte. 

La terza ragione per cui non siamo da soli nel momento della morte sta nel fatto che, quando abbandoniamo il nostro corpo fisico, anche solo temporaneamente, prima di morire, ci troviamo in una esistenza senza tempo e senza spazio. In questa esistenza possiamo essere ovunque vogliamo alla velocità dei nostri pensieri. 

La piccola Susy, che sta morendo di leucemia in ospedale, potrebbe essere curata dalla madre per settimane e settimane. Alla moribonda appare del tutto evidente che per lei sta diventando sempre più difficile lasciare la mamma che a volte, implicitamente o esplicitamente, afferma: «Tesoro, non morire, non posso vivere senza di te». Dunque, ciò che otteniamo è di far sentire, in un certo senso, questi malati in colpa perché muoiono tra le nostre braccia. Susy, entrata sempre più in sintonia con la vita totale, ha la consapevolezza della sua esistenza ultraterrena e la piena coscienza di una continuazione della vita. Durante la notte e in un normale stato di veglia Susy è uscita dal suo corpo ed è consapevole della sua capacità di viaggiare e volare letteralmente ovunque voglia essere. Semplicemente chiede a sua madre di andare via dall’ospedale. 

Spesso i bambini dicono: «Mamma, sembri tanto stanca, perché non vai a casa a fare una doccia e a riposarti? Adesso sto bene, davvero». La madre se ne va e mezz’ora dopo l’infermiera potrebbe chiamare dall’ospedale per dire: «Mi spiace, signora Smith, sua figlia è appena deceduta». Sfortunatamente, quei genitori restano con un tremendo senso di colpa e vergogna e si rimproverano per non essere rimasti in modo da essere accanto al proprio figlio o figlia nel momento della morte. Non capiscono né comprendono che nessuno può morire da solo. Susy, sollevata dai loro bisogni, è in grado di abbandonare il bozzolo e liberarsi piuttosto rapidamente. Dopodiché, alla velocità dei suoi pensieri, sarà con la sua mamma o il suo papà o con chiunque abbia bisogno di stare. 

A tutti è stato fatto il dono di una particella della divinità. Lo abbiamo ricevuto sette milioni di anni fa, e include non solo la capacità di esercitare il libero arbitrio, ma anche quella di abbandonare il nostro corpo fisico – non soltanto nel momento della morte, ma anche in tempi di crisi, di stanchezza, di circostanze particolarmente straordinarie, e durante un certo tipo di sonno. È importante sapere che ciò può avvenire prima della morte. 

Nel suo bellissimo libro 'Uno psicologo nei lager', Viktor Frankl ha raccontato le sue esperienze nei campi di concentramento. È stato probabilmente lo scienziato più conosciuto ad aver studiato le esperienze extra-corporee molti decenni fa, quando di esse non si parlava ancora. Esaminò persone cadute dalle montagne in Europa, le cui esperienze avevano attraversato la loro mente nel brevissimo periodo, forse pochi secondi, durante una caduta, e capì che durante questa esperienza extracorporea non può esistere il tempo. Tanti fanno esperienze simili quando stanno per affogare, o in un periodo della propria vita in cui si sono trovati in grande pericolo. 

Il nostro studio è stato confermato da una ricerca di laboratorio in collaborazione con Robert Monroe, che ha scritto il libro 'I miei viaggi fuori dal corpo'. Abbiamo preso in esame esperienze extracorporee spontanee nonché quelle indotte in laboratorio con la supervisione di Monroe, e guardate, osservate e condivise da parecchi scienziati della Menninger Foundation di Topeka. Sempre più scienziati e ricercatori adesso stanno ripetendo questo genere di studio e hanno scoperto che è del tutto dimostrabile. Naturalmente, si presta a tanti aspetti dello studio di una dimensione che è molto difficile concepire con il nostro approccio scientifico tridimensionale alla vita. 

Ci hanno rivolto anche domande sulle guide o gli angeli custodi, sulla presenza di esseri umani affettuosi, specialmente famigliari deceduti che hanno preceduto il paziente nella morte, e che giungono ad accoglierci al momento della transizione. Ancora una volta, sorge naturale la domanda: come si fa a verificare tali avvenimenti frequenti con un metodo più scientifico? Da psichiatra trovo interessante che migliaia di persone in tutto il mondo condividano le stesse «allucinazioni» prima della morte, in particolare il fatto di riconoscere alcuni parenti o amici che li hanno preceduti nella morte."

Dalla sua personale NDE
"All'incirca un'ora e mezzo dopo, mi svegliai, indossai la vestaglia e i sandali e scesi giù per la collina. Vissi quella che fu forse la più grande estasi dell'esistenza che gli esseri umani possano mai sperimentare su questo piano fisico. Ero in uno stato di amore e stupore totale verso tutta la vita che mi circondava. 

Ero innamorata di ogni foglia, ogni nuvola, ogni filo d'erba, ogni creatura vivente. Sentivo il pulsare del ciottoli sul sentiero e camminai letteralmente sollevata sopra quei ciottoli, ai quali dicevo: «Non posso calpestarvi, non posso farvi del male». Quando giunsi al piedi della collina, mi resi conto di non aver toccato il terreno di quel sentiero. Eppure non c'era modo di mettere in discussione la validità di quella esperienza: era semplicemente la consapevolezza di una coscienza cosmica della vita in ogni cosa vivente, e di un amore impossibile da descrivere con parole.

Mi ci vollero parecchi giorni per tornare alla mia esistenza fisica con le banalità dei piatti da lavare, il bucato da fare e i pasti da cucinare per la mia famiglia. E ci vollero parecchi mesi prima che fossi in grado di esprimere a parole la mia esperienza e raccontarla a un gruppo di persone belle, comprensive e acritiche, un gruppo che mi aveva invitato a tenere una conferenza a un convegno a Berkeley, in California, sulla psicologia transpersonale. 

Dopo aver condiviso la mia esperienza, mi diedero un'etichetta per descriverla. Si chiamava coscienza cosmica. Come al solito, dovetti andare in biblioteca a cercare un libro con lo stesso titolo per apprendere intellettualmente, e comprendere, il significato di quel tipo di condizione. Mi fu detto anche in quel momento che, mentre mi fondevo con quella energia spirituale, la fonte di tutta la luce, le parole che mi erano state date, «Shanti Nilaya», significano la casa finale della pace, la dimora cui tutti noi ritorneremo quando avremo attraversato tutte le agonie, i tormenti, le sofferenze e i dolori. 

È il luogo in cui saremo in grado di abbandonare il dolore e diventare ciò per cui siamo stati creati, un essere fatto di armonia tra i quadranti fisico, emotivo, intellettuale e spirituale. 

Un essere che comprende che l'amore, il vero amore, non ha pretese e non ha un 'sè'. Se riuscissimo a comprendere questo stato di amore, allora tutti noi saremmo integri e sani, e tutti noi saremmo in grado di portare a compimento il nostro destino nel corso di un'unica esistenza.

Questa esperienza ha segnato e cambiato la mia vita, in un modo che è difficilissimo esprimere a parole. Ma credo che sia stata questa esperienza a farmi capire che, se mai avessi raccontato la mia comprensione della vita dopo la morte, sarei dovuta passare letteralmente attraverso migliaia di morti. La società in cui vivo avrebbe provato a farmi a pezzi, ma l'esperienza e la conoscenza, la gioia, l'amore e la sensazione di ciò che è seguito all'agonia, le ricompense, sarebbero stati sempre di gran lunga più grandi del dolore".